rapporto tra informazione e comunicazione

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rapporto tra informazione e comunicazione
RAPPORTO TRA INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE riflessioni aperte
Possiamo partire da una semplice affermazione:
l'informazione non è comunicazione
L'informazione è un servizio che risponde al bisogno espresso di conoscere
ed è prodotta e diffusa con un metodo controllato, in base ad un criterio di verità
esplicito.
La comunicazione serve a trasmettere messaggi che spesso hanno lo scopo di
orientare il modo di pensare , in modo studiato e calcolato, da chi diffonde
comunicazione.
Teoricamente, l'informazione è opera dei giornalisti e da chi svolge
un'attività intellettuale inserita in un contesto storico, economico e politico.
La comunicazione è veicolata anche dalle aziende, dai politici, da tutti quei soggetti che
hanno bisogno di valorizzare la propria attività con diverse forme pubblicitarie.
Lo scopo dell'informazione è servire il pubblico nel modo più “obiettivo” e
”distaccato” possibile.
Lo scopo della comunicazione è, dunque, servire chi comunica.
Se le due attività, così importanti e basilari, si confondono, entrambe
perdono credibilità e suscitano meno attenzione, cioè la reazione contraria al
loro stesso " essere ".
Se sempre nella vita si considera l'obiettività come un valore positivo,
l'obiettività per i giornalisti, per chi dell'informazione ne fa una professione, diventa una questione
di filosofia della conoscenza; e, poiché ogni concetto filosofico porta a convinzioni, più che a
ipotesi verificabili, non è sempre possibile parlare di “obiettività” nel giornalismo con la dovuta
oggettività.
I custodi dell'informazione sono, per il pubblico, coloro che offrono un servizio variegato,
cioè colmano i nostri bisogni informativi che vanno dal divertimento alla musica, dalla politica
all'economia. Pertanto, a livello di sistema culturale, il servizio reso da una buona e imparziale
informazione determina la crescita sana di una comunità.
Per altri enti, però,come aziende, partiti, organizzazioni, l'informazione e chi la pratica sono solo
canali della comunicazione.
Dunque sorge spontanea una domanda: a chi resta il punto di riferimento per definire
l'obiettività dell'informazione ?
Naturalmente (?) al giornalista, a colui che ha il compito di cercare e diffondere notizie.
La forza che può aiutare il giornalista a uniformarsi a un approccio obiettivo è il senso personale di
responsabilità e, come per altri mestieri, ruota tutto intorno alla questione soggettiva, che coinvolge
la stessa natura del fenomeno, caratterizzata da una lettura ermeneutica dei fatti.
Un altro aspetto dell'informazione è l'utilizzo delle nuove tecnologie e spesso l'eccesso di notizie
che finiscono per alterare la percezione degli eventi, eventi che, appunto, vengono spettacolarizzati,
studiati , per creare determinati effetti.
Un bombardamento continuo, come per un prodotto commerciale da consumare subito e
presto, evitando il processo di accumulazione, di introspezione della notizia e di una sua analisi
critica.
L’uso stesso delle tecnologie produce nuove dimensioni virtuali dei fatti e insidie cognitive
per il soggetto conoscente.
Come possiamo difenderci da questo appiattimento informativo?
Siamo in grado di valutare l'informazione non come spot comunicativo?
Tutto questo implica un attento studio dei fenomeni delle tecniche della comunicazione.
Se si pensa che le due principali agenzie mondiali di stampa sono : una tedesca, la Reuters, e
l'altra americana, la A.P.T.N, non valutiamo questa concentrazione di potere nelle mani di pochi
come un pericolo ?
In ultima analisi vale un unico principio: la differenza la facciamo noi come individui, come
soggetti fruitori di un servizio informativo; solo la nostra capacità di senso critico, di
approfondimento, di considerare sempre un margine di dubbio in quello che sentiamo o leggiamo,
ci rendono persone libere.
Dobbiamo fare uno sforzo personale nel creare un nostro spessore culturale che ci
permetta almeno qualche possibilità di difesa e di parola, per non essere schiacciati dai giganteschi
meccanismi di informazione o disinformazione.
L’Io individuale caricato della responsabilità dovrà mediare con l’Io sociale.