Ricci - Le politiche del lavoro del governo

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Ricci - Le politiche del lavoro del governo
MAURIZIO RICCI
Prof. ord. dell’Università di Foggia
LE POLITICHE DEL LAVORO DEL GOVERNO RENZI
SOMMARIO: 1. Le politiche del lavoro del Governo Renzi: continuità o inversione di tendenza? – 2. Un progetto in due tempi: il d.l. n. 34 del 2014 e la l. delega n. 183 del 2014. –
3. Il contratto a tutele crescenti: spunti di riflessione. – 4. Alcune considerazioni finali.
1. – Commentare le disposizioni di una pluralità di testi normativi ( 1 )
senza allargare l’analisi al contesto nel quale questi ultimi affondano le loro
radici rischia di ridursi alla sola esegesi, sicuramente importante ma non
esaustiva per comprendere i mutamenti legislativi. Perciò, nel valutare le
politiche del lavoro del Governo Renzi, anche per coglierne profili di continuità e inversioni di tendenza rispetto ai precedenti esecutivi, è opportuno
analizzare il periodo nel quale sono state adottate le opzioni di fondo che le
hanno ispirate. Nell’ultimo quindicennio, infatti, tutti i Governi alla guida
del Paese hanno varato “riforme”, in misura più o meno ampia, sulla disciplina del mercato del lavoro e hanno contribuito a modificare in misura notevole l’edificio garantistico costruito nell’arco di mezzo secolo dal legislatore.
Senza ricordare il precedente della l. n. 30 del 2003 e dei relativi decreti di attuazione, a partire dall’ultimo Governo Berlusconi per effetto
del quale, nell’estate del 2011 in cui il vento della crisi sembrava aver raggiunto il suo acme, si è introdotto uno degli interventi più invasivi nella
contrattazione di secondo livello “in deroga”, dalla portata molto incisiva
su molteplici istituti di diritto del lavoro ( 2 ), passando per il Governo tecnico di Mario Monti, che ha modificato in maniera significativa la disciplina pensionistica ( 3 ) e quella del mercato del lavoro ( 4 ), per arrivare, dopo
(1) Il riferimento è, ovviamente, al d.l. 20 marzo 2014, n. 34, conv. in l. 16 maggio
2014, n. 78 (c.d. Jobs Act I) e alla l. delega 10 dicembre 2014, n. 183 (c.d. Jobs Act II) e ai
suoi otto decreti legislativi (nn. 22, 23, 80, 81, 148, 149, 150 e 151 del 2015).
(2) Art. 8, d.l. 13 agosto 2011, n. 138, conv. con modifiche in l. 14 settembre 2011, n.
148. Tra i molti, cfr. A. PERULLI, V. SPEZIALE, L’art. 8 della legge 14 settembre 2011, n. 148,
e la “rivoluzione di agosto” del diritto del lavoro, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.It,
2011, 132, e V. LECCESE, Il diritto sindacale ai tempi della crisi. Intervento eteronomo e profili di legittimità costituzionale, in Dir. Lav. Rel. Ind., 2012, 136, pag. 479 e segg.
(3) L. 22 dicembre 2011, n. 214, c.d. Decreto “Salva Italia”. Cfr. M. CINELLI, La riforma delle pensioni del « governo tecnico ». Appunti sull’art. 24 della legge n. 214 del 2011, in
Riv. It. Dir. Lav., 2012, I, pag. 385 e segg. e M. CINELLI, D. GAROFALO, G. TUCCI, “Esodati”,
“salvaguardati”, “esclusi” nella riforma pensionistica Monti-Fornero, in Dir. Lav. Rel. Ind.,
2013, 3, pag. 337 e segg.
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lo stallo successivo alle elezioni politiche del 2013, al Governo Letta che,
con il “Decreto Lavoro” ( 5 ), ha aumentato la c.d. “flessibilità in entrata” e
ha modificato la l. n. 92 del 2012, che, invece, ne aveva irrigidito la disciplina come “contrappeso” rispetto alla maggiore “flessibilità in uscita”
dopo la modifica dell’art. 18 St. lav.
Protagonisti diversi, maggioranze parlamentari spesso simili, sostanzialmente stesso copione. Il fil rouge delle politiche del lavoro degli ultimi
anni è il rilancio dell’occupazione attraverso il ridimensionamento di diritti e di tutele dei lavoratori ( 6 ). Così, secondo i sostenitori di questa tesi, si
renderebbe meno pesante il costo del lavoro, aumenterebbe il gradimento
per l’Italia da parte degli investitori stranieri e si porrebbe un freno alla
delocalizzazione delle imprese italiane, sempre più attratte dai Paesi con
livelli retributivi e di tutela dei lavoratori nettamente inferiori rispetto a
quelli raggiunti alle nostre latitudini. Una concezione del lavoro, questa,
di stampo neo-liberale, molto presente nelle istituzioni europee e internazionali e in Italia ben rappresentata anche nella parte politica più vicina
alle istanze del mondo del lavoro.
È, questo, il terreno nel quale si colloca l’azione del Governo Renzi,
che, appena insediato, ha indicato tra le sue priorità il “lavoro”. Abbandonata molto presto l’intenzione di provare a rimettere in moto l’economia con la predisposizione di una politica industriale, prima che con la rivisitazione delle regole sul lavoro ( 7 ), il Governo si è messo alacremente
all’opera per riscrivere la normativa lavoristica all’insegna della flessibilità.
Così quella che avrebbe dovuto rappresentare un’inversione di tendenza nella policy in materia di crescita e occupazione si è rivelata l’ennesima modifica delle regole, in sostanziale linea di continuità con il proces(4) L. 28 giugno 2012, n. 92 (c.d. riforma Monti-Fornero). Cfr., ex multis, F. CARINCI,
M. MISCIONE (a cura di), Commentario alla riforma Fornero, Milano, 2012; M. MAGNANI,
M. TIRABOSCHI (a cura di), La nuova riforma del lavoro, Milano, 2012; A. VALLEBONA, La riforma del lavoro, Torino, 2012; P. CHIECO (a cura di), Flessibilità e tutele nel lavoro. Commentario alla legge 28 giugno 2012, n. 92, Bari, 2013 e M. CINELLI, G. FERRARO, O. MAZZOTTA (a cura di), Il nuovo mercato del lavoro: dalla riforma Fornero alla legge di stabilità
2013, Torino, 2013.
(5) D.l. 28 giugno 2013, n. 76, conv. in l. 22 agosto 2013, n. 99. Cfr. M. MISCIONE, I
contratti di lavoro a termine 2013, in Lav. Giur., Gli Speciali, 2013, pag. 12 e segg. e C.
ALESSI, Le modifiche in tema di lavoro a termine nel “decreto lavoro”: alcune osservazioni in
tema di “acausalità” e proroga del contratto, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.It, 2013,
188.
(6) Secondo una ricerca Ocse, seppur datata (Employment outlook, 1999, 1), sulla base
di un’analisi comparata nei 27 paesi economicamente allora più importanti nel mondo e di
un lungo arco temporale analizzato, era emersa la sostanziale inesistenza di un legame tra
un minor o maggior grado di protezione nella legislazione sul lavoro e andamento dell’occupazione.
(7) In questo senso si v. F. CARINCI, Jobs Act, atto I. La legge n. 78/2014 fra passato e
futuro, in WP ADAPT, 15 ottobre 2014, n. 164, pag. 1.
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so di profonda modifica del diritto del lavoro e di diminuzione delle tutele dei lavoratori dei Governi precedenti ( 8 ). Né possono sottacersi due
aspetti importanti sul piano delle relazioni industriali: il superamento del
metodo concertativo, così come il mancato coinvolgimento delle organizzazioni sindacali nei processi decisionali, modelli, questi, adottati storicamente dai governi di centrosinistra e rifiutati dall’attuale esecutivo, guidato dal Presidente del Consiglio, che nel contempo è anche il segretario del
maggiore partito di quello stesso schieramento.
2. – Le misure del Governo Renzi nella riregolamentazione del lavoro
nel settore privato seguono due direzioni: la prima, varata con d.l. n. 34
del 2014, convertito in l. n. 78 del 2014 (c.d. Jobs Act I) ( 9 ), per flessibilizzare maggiormente il mercato del lavoro; la seconda, affidata a un’ampia
legge delega, l. n. 183 del 2014 (c.d. Jobs Act II) ( 10 ), con la quale si è demandato al Governo il compito di modificare una pluralità di istituti molto importanti non solo del rapporto di lavoro (p.es., Naspi, Asdi).
La ricetta è quella della flexicurity ( 11 ) di matrice europea, fondata
sulla flessibilità nel rapporto di lavoro e sulla contestuale tutela del reddito e delle opportunità di lavoro. La declinazione, però, è “all’italiana”, dove il primo ingrediente sembra preponderante rispetto al secondo. La
scelta degli strumenti per la concretizzazione degli interventi, del resto, è
sintomatica di questa impostazione: la decretazione d’urgenza, d’immediata applicazione, per la “flessibilizzazione” del rapporto di lavoro e la
legge delega per la “sicurezza”.
(8) Cfr. V. BAVARO, La politica del Governo Renzi: rivoluzione o continuità?, in www.ildiariodellavoro.it, 11 luglio 2014; A. LASSANDARI, L’ordinamento perduto, in Lav. Dir., 2015,
1, pag. 63 e segg. Per un’analisi degli interventi normativi sul diritto del lavoro italiano nello
scenario della crisi europea, S. B. CARUSO, Nuove traiettorie del diritto del lavoro nella crisi
europea. Il caso italiano, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.It, 2014, 111.
(9) F. CARINCI, Jobs Act, atto I. La legge n. 78/2014 fra passato e futuro, cit.
(10) F. CARINCI, (a cura di), La politica del lavoro del Governo Renzi Atto II, Adapt Labour Studies, e-book series, 2014, 32; M. RUSCIANO, L. ZOPPOLI (a cura di), Jobs Act e contratti di lavoro dopo la legge delega 10 dicembre 2014 n. 183, in WP C.S.D.L.E. “Massimo
D’Antona”.It - Collective Volumes, 2014, 3; E. GHERA, D. GAROFALO (a cura di), Contratti
di lavoro, mansioni e misure di conciliazione vita-lavoro nel Jobs Act 2, Bari, 2015; L. MARIUCCI, Il diritto del lavoro ai tempi del renzismo, in Lav. Dir., 2015, 1, pag. 13 e segg.; T.
TREU, In tema di Jobs Act. Il riordino dei tipi contrattuali, in Dir. Lav. Rel. Ind., 2015, 2,
pag. 155 e segg.; G. SANTORO-PASSARELLI, Sulle categorie del diritto del lavoro “riformate”,
in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.It, 2016, 288 e G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura
di), Commentario breve alla riforma “Jobs Act”, Padova, 2016.
(11) Sulla flexicurity, con differenti angolazioni, cfr. M.T. CARINCI, Il rapporto di lavoro
al tempo della crisi: modelli europei e flexicurity all’italiana a confronto, in Dir. Lav. Rel.
Ind., 2012, 4, pag. 527 e segg. e L. ZOPPOLI, La flexicurity dell’Unione europea: appunti per
la riforma del mercato del lavoro in Italia, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.It, 2012,
141.
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Con il d.l. n. 34 del 2014 si sono introdotte modifiche incisive all’apprendistato e al contratto a termine, oltre ad alcune semplificazioni negli
adempimenti in materia di regolarità contributiva e a sgravi contributivi a
favore dei datori di lavoro che stipulino contratti di solidarietà.
Quanto al contratto di apprendistato, le novità più significative hanno
riguardato la nuova regolamentazione del sistema delle fonti a vantaggio
di quella amministrativa, con il contestuale ridimensionamento sia di
quella contrattuale, limitata all’apprendistato professionalizzante (la netta
maggioranza del totale dei rapporti di questa tipologia contrattuale), sia di
quella regionale, con un intervento confinato sostanzialmente alla terza tipologia di questo rapporto; la semplificazione del contenuto del piano
formativo (depotenziamento della funzione formativa); la riduzione del
tetto di apprendisti stabilizzati (dal 50% al 20%) per l’assunzione di nuovi e il contenimento del costo della retribuzione ( 12 ).
In merito al contratto a tempo determinato (e a quello di somministrazione a tempo determinato), il Decreto Poletti ha operato una “liberalizzazione” mediante la soppressione del principio di giustificazione causale (già messo in discussione con l’acausalità, introdotta dalla l. n. 92 del
2012 per il primo contratto a termine di durata inferiore ai dodici mesi) ( 13 ), la previsione di un numero di proroghe pari a cinque, la monetizzazione della sanzione seguente al divieto del superamento del limite del
20% di lavoratori a termine rispetto al totale degli occupati e il lieve incremento (+ 1,4%) del costo del lavoro di questa tipologia di rapporto rispetto al contratto a tempo indeterminato, per incentivare ulteriormente il
ricorso a quest’ultimo ( 14 ).
Nella l. n. 183 del 2014, invece, si è prevista una pluralità di “principi
e criteri direttivi” per raggiungere specifici risultati ( 15 ), a cui è seguita
(12) M. TIRABOSCHI, Apprendistato: una semplificazione che non aiuta, in M. TIRABOSCHI (a cura di), Decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34. Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese, Adapt
Labour Studies, e-book series, 2014, 22, pag. 69 e segg.
(13) Sull’acausalità del primo contratto a termine introdotta dalla l. n. 92/2012 cfr., ex
multis, R. VOZA, Il contratto di lavoro a tempo determinato, in P. CHIECO (a cura di), Flessibilità e tutele nel lavoro. Commentario della legge 28 giugno 2012, n. 92, op. cit., pag. 75 e
segg.
(14) Sulle modifiche alla disciplina del contratto a termine, tra i contributi più recenti,
M. BROLLO, La nuova flessibilità “semplificata” del lavoro a termine, in Arg. Dir. Lav., 2014,
3, pag. 466 e segg.; C. ALESSI, Il lavoro a tempo determinato dopo il D.Lgs. 81/2015, in G.
ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario breve alla riforma “Jobs Act”, Padova,
2016, pag. 19 e segg.; A. DE FELICE, La flessibilità in entrata: il contratto a tempo determinato, in Il diritto del lavoro al tempo del Jobs Act, Atti del convegno (Benevento, 2 ottobre
2015), in corso di stampa e L. MENGHINI, Il contratto a tempo determinato, in Jobs Act: un
primo bilancio, Atti dell’XI Seminario di Bertinoro (Bologna, 22-23 ottobre 2015), in corso
di stampa.
(15) Nel dettaglio: a) uniformazione e universalizzazione delle tutele contro la disoccu-
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una serie di decreti delegati, varati a ritmi serrati dal Governo nei mesi
successivi ( 16 ).
3. – Senza entrare nel merito dei singoli obiettivi, sottesi alla delega, e
dei molteplici contenuti dei decreti delegati, prima di alcune considerazioni complessive, vanno sviluppate innanzitutto alcune osservazioni sull’istituto, forse il più controverso, del contratto a tutele crescenti.
La prima è la previsione di una coesistenza di tre discipline legali in
merito alle controversie a seconda della data della loro insorgenza e dell’applicazione della relativa disciplina legale (prima del luglio 2012; l. n.
92 del 2012; d.lgs. n. 23 del 2015). Nel contempo emerge una disomogeneità dell’intervento legislativo, oltre alla mancata introduzione di un efficace sistema di diritto transitorio, fondato sulla certezza inoppugnabile
dei termini.
Quanto al campo di applicazione della nuova normativa, per il futuro
vi sarà un differente grado di tutela tra lavoratori nella stessa condizione,
assoggettati a un licenziamento per motivi analoghi a seconda della diversa data di assunzione. Il vecchio assunto, purché impiegato in imprese con
determinate soglie dimensionali, continuerà a fruire della tutela reintegratoria, mentre il neo assunto solo di un modesto indennizzo economico: il
che sottolinea una mancanza di ragionevolezza circa la forte differenzazione di tutela offerta dal nostro ordinamento giuridico.
Anche in adesione a un obiter dictum di una sentenza della Cassazione ( 17 ), tra i limitati casi di reintegra, ora previsti dal d.lgs. n. 23 del 2015,
pazione involontaria attraverso la semplificazione delle procedure amministrative (art. 1,
commi 1 e 2); b) garanzia della fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva
del lavoro su tutto il territorio nazionale, con l’istituzione di un’Agenzia nazionale per l’occupazione partecipata da Stato, regioni e province autonome (art. 1, commi 3 e 4); c) semplificazione e razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti, anche attraverso il potenziamento dell’utilizzo dei canali telematici (art. 1, commi 5 e 6); d) razionalizzazione dei contratti di lavoro vigenti, promozione del contratto a tempo indeterminato, introduzione del contratto di lavoro a tutele crescenti, revisione della disciplina delle
mansioni, revisione della disciplina dei controlli a distanza, introduzione del salario minimo
nei settori non regolati da ccnl, estensione del ricorso al lavoro accessorio, istituzione di
un’Agenzia unica per le ispezioni del lavoro (art. 1, comma 7); e) sostegno alla genitorialità,
mediante misure volte a tutelare la maternità e favorire le opportunità di conciliazione dei
tempi di vita e di lavoro per la genitorialità dei lavoratori (art. 1, commi 8 e 9).
(16) In ordine cronologico: d.lgs. 4 marzo 2015, n. 22; d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23; d.lgs.
15 giugno 2015, n. 80; d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81; d.lgs. 14 settembre 2015, n. 148; d.lgs.
14 settembre 2015, n. 149; d.lgs 14 settembre 2015, n. 150 e d.lgs. 14 settembre 2015, n.
151.
(17) Cass., Sez. Lav., 6 novembre 2014, n. 23669, in Arg. Dir. Lav., 2015, 6, pag. 1381 e
segg.; in Giur. It., 2014, 12, pag. 2788 e segg., con nota di L. FIORILLO, Licenziamento disciplinare e tutela reale: la rilevanza del “fatto materiale”; in Foro It., 2014, 12, col. 3418 e
segg., con nota di M. DE LUCA, Il fatto nella riforma della tutela reale contro i licenziamenti
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vi è l’ipotesi del licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo,
purché sia dimostrata direttamente in giudizio l’insussistenza del fatto materiale ( 18 ). Si è sostenuto in proposito di essere in presenza di una prova
difficilmente dimostrabile ( 19 ): infatti, se il datore di lavoro non riuscirà a
dimostrarne la sussistenza, spetterà al lavoratore provarne direttamente
(quindi, senza avvalersi di presunzioni) l’insussistenza per ottenere la reintegra.
Non meno rilevanti sono gli effetti della nuova disciplina. Tra questi,
oltre al minor grado di tutela sul piano processuale dei lavoratori assunti
con il contratto a tutele crescenti a causa dell’inapplicabilità del c.d. “rito
Fornero” e al possibile freno alla mobilità, perché la nuova disciplina si
applicherà anche nel caso di nuove assunzioni per lavoratori fruitori in
precedenza della tutela reintegratoria, vanno ricordati anche due possibili
effetti sul piano della concorrenza tra le imprese, con eventuali ripercussioni in merito all’art. 41 Cost. Nei settori dove si lavora per appalti o servizi simili (servizi alle imprese, alle persone, edilizia...), caratterizzati dal
frequente mutamento del cantiere o dell’appalto, le nuove regole possono
rappresentare un possibile ostacolo all’effettività delle clausole sociali e alla libera concorrenza tra le imprese. Sotto altro profilo, potrebbe prospettarsi un analogo problema, in quanto la notevole convenienza dei nuovi
rapporti di lavoro (effetto combinato tra sgravio contributivo e maggiore
facilità di recesso) potrebbe indurre le imprese a sostituire i vecchi assunti
con neo assunti. Specie le imprese consolidate nei servizi ad alta intensità
di capitale potrebbero essere esposte a pratiche distorsive della concorrenza da parte di imprese di nuova costituzione che puntino al vantaggio
competitivo del minor costo del lavoro rappresentato dai neoassunti.
Ulteriori effetti potrebbero profilarsi in merito sia al possibile mutamento del nuovo regime sanzionatorio sulla disciplina legale della prescrizione dei crediti retributivi, con il ribaltamento dell’ormai consolidato orientamento della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione a
Sezioni Unite, sia all’ormai sempre più irreversibile divaricazione di discipline tra impiego privato in senso stretto e rapporti di lavoro alle dipendenze delle PP. AA. con il definitivo superamento dell’ambizioso
illegittimi: note minime sulla prima sentenza in materia della Corte di Cassazione e in Lav.
Giur., 2015, 2, pag. 152 e segg. con nota di M.L. BUCONI, L’insussistenza del fatto contestato
e il giudizio di proporzionalità nel licenziamento disciplinare.
(18) M. PERSIANI, Noterelle su due problemi di interpretazione della nuova disciplina dei
licenziamenti, in Arg. Dir. Lav., 2015, 2, pag. 396, secondo cui “l’inesistenza del fatto materiale contestato costituisce il fondamento del diritto alla reintegrazione [...] per cui, secondo la regola generale, incombe inevitabilmente sul lavoratore che chiede la reintegrazione
l’onere di provare il fatto che condiziona il suo diritto a ottenerla”.
(19) F. CARINCI, Il tramonto dello Statuto dei lavoratori (dalla l. n. 300/1970 al Jobs
Act), in Adapt Labour studies, e-book series, 2015, n. 41, pag. 11.
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progetto del legislatore riformatore del 1992/1993 di omogeneizzare
questi due rapporti di lavoro.
Peraltro, le descritte tipologie di rapporto di lavoro sembrano essere
ulteriormente confermate alla luce della scelta del Governo di non introdurre modifiche all’art. 18 nell’impiego pubblico, nonostante un recente
orientamento della Cassazione, seppur riferito alla disciplina introdotta
dalla l. n. 92 del 2012, abbia sancito il contrario ( 20 ). Anche alla luce di altri interventi legislativi emanati specie nel corso degli ultimi anni, le finalità del legislatore sia della l. delega n. 421 del 1992 sia di quelle successive
sembrano essere definitivamente superate, né rientrare più nelle scelte politiche del Governo ( 21 ).
Infine, nel determinare i contenuti della nuova legislazione non solo si
prescinde totalmente dal modello e di concertazione e di dialogo sociale
nelle relazioni industriali, ma potrebbe diventare sempre più complesso
per le organizzazioni sindacali garantire un’equilibrata rappresentanza degli interessi generali dei lavoratori. Infatti, alla frattura storicamente rappresentata tra imprese soggette alla tutela reintegratoria e quelle a tutela
obbligatoria si aggiunge un’ulteriore frammentazione degli interessi nelle
imprese del primo tipo per la contemporanea presenza di discipline legali
fortemente diversificate anche nella stessa impresa a seconda della data di
assunzione dei lavoratori.
4. – Delineati alcuni profili generali sulle nuove leggi, si impone qualche considerazione, seppure a fronte di una prima lettura « a caldo ».
La prima riguarda la frequente, notevole genericità dell’oggetto, dei
principi e dei criteri direttivi contenuti nella delega, tanto che tra i primi
commentatori non è mancato chi ha parlato di “delega in bianco”, paven(20) Cass., Sez. Lav., 26 novembre 2015, n. 24157, in www.cortedicassazione.it. Sul dibattito in dottrina rispetto all’applicabilità o no ai rapporti alle dipendenze delle PP.AA.
delle modifiche apportate all’art. 18 St. lav. dalla l. n. 92 del 2012, cfr., tra gli altri, a favore
A. BOSCATI, La difficile convivenza tra il nuovo articolo 18 e il lavoro pubblico, in Lav. Pubbl.
Amm., 2012, 6, pag. 991 e segg. e A. TAMPIERI, La legge n. 92/2012 e il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, in G. PELLACANI (a cura di), Riforma del lavoro. Tutte le novità introdotte dalla legge 28 giugno 2012, n. 92, Milano, 2012, pag. 27. Contra, F. CARINCI, È applicabile il novellato art. 18 St. al pubblico impiego privatizzato? (una domanda ancora in cerca di
risposta), in Lav. Pubbl. Amm., 2013, 6, pag. 913 e segg. e A. PILATI, Un problema in più per
il nuovo art. 18 St. Lav.: è applicabile anche al lavoro pubblico privatizzato?, in Lav. Pubbl.
Amm., 2013, 2, pag. 313 e segg. Sull’applicabilità al lavoro pubblico della sola tutela reintegratoria forte v. A. BOSCATI, La difficile convivenza tra il nuovo articolo 18 ed il lavoro pubblico, cit., pag. 991 e segg. Sull’applicabilità della tutela reale anche attenuata v. A. OLIVIERI, Licenziamento individuale e tutele nel lavoro pubblico dopo la l. n. 92/2012: una passeggiata nel bosco normativo, in Lav. Pubbl. Amm., 2013, 2, pag. 373 e segg.
(21) Per considerazioni in tal senso, sia consentito il rinvio al mio Lavoro privato e lavoro pubblico: rapporti tra le due ipotesi di riforma, estensione delle regole e modelli, in Lav.
Pubbl. Amm., 2014, pag. 461 e segg.
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tando un possibile contrasto con il dettato dell’art. 76 Cost. ( 22 ). La Consulta, infatti, tornata a pronunciarsi sul rapporto intercorrente tra legge
delega e decreto delegato ( 23 ), ha ribadito che il sindacato di legittimità
costituzionale “si esplichi attraverso un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli”, comprendenti “le disposizioni che determinano l’oggetto, i principi e i criteri direttivi indicati dalla legge di delegazione, tenuto conto del contesto normativo in cui si collocano e si individuano le ragioni e le finalità relative” e “le disposizioni stabilite dal legislatore
delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi e i criteri direttivi della delega”. La fisiologica conseguenza, enunciata in un’altra pronuncia di poco anteriore alla precedente ( 24 ), è che “il legislatore
delegato può emanare norme che rappresentino un coerente sviluppo dei
principi fissati dal delegante e, se del caso, anche un completamento delle
scelte compiute con la delega, ma non può spingersi ad allargarne l’oggetto, fino a ricomprendervi materie che ne erano escluse”. Perciò, “il test di
raffronto con la norma delegante, cui soggiace la norma delegata, deve ritenersi avere esito negativo, quando quest’ultima intercetta un campo di
interessi così connotato nell’ordinamento, da non poter essere assorbito in
campi più ampi e generici, e da esigere, invece, di essere autonomamente
individuato attraverso la delega”.
Se l’istituto della delega legislativa nel nostro ordinamento ha avuto
una progressiva espansione, divenendo lo strumento per attuare il programma di governo, la Corte costituzionale, lungi dal sindacare la discrezionalità politica al suo ricorso, cerca di riportarlo nell’alveo del dettato
costituzionale. In tal modo evita che questo strumento, pur nella naturale
elasticità nel rapporto tra legge delega e decreto delegato, sia allontanato
dal disegno costituzionale secondo cui l’attribuzione della funzione legislativa al Governo ha carattere “eccezionale” rispetto alla sua “regolare”
attribuzione al Parlamento ex art. 70 Cost. ( 25 ).
La seconda considerazione riguarda le coperture economiche con le
quali conseguire alcuni degli ambiziosi obiettivi della legge delega (p.es.,
in materia di universalizzazione delle tutele in caso di disoccupazione involontaria o di sostegno alla genitorialità). Presenza fissa di ogni intervento riformatore degli ultimi anni, con il che spesso si depotenziano i possibili effetti benefici, è la disposizione per effetto della quale dagli interventi
“non [debbano] derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
pubblica”, insieme con quella secondo cui, per gli adempimenti dei decreti attuativi della delega, si prevede che le amministrazioni competenti vi
(22) L. MARIUCCI, Il diritto del lavoro ai tempi del renzismo, op. cit., pag. 13 e segg.
(23) Corte cost. 14 marzo 2014, n. 50, in www.cortecostituzionale.it.
(24) Corte cost. 19 luglio 2013, n. 219, in www.cortecostituzionale.it.
(25) Cfr. L. PALADIN, Decreto legislativo, in Novis. Dig. It., Torino, 1957, pag. 293 e
segg. e A. CERRI, Delega legislativa, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1989, pag. 6 e segg.
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provvedano “attraverso una diversa allocazione delle ordinarie risorse
umane, finanziarie e strumentali, allo stato in dotazioni alle medesime amministrazioni” ( 26 ). Una previsione normativa, questa, fin troppo “miope”, che rischia di relegare nell’alveo di mere dichiarazioni di principio,
senza alcuna effettiva applicazione, buona parte degli obiettivi contenuti
nella delega.
In realtà, non è escluso che non vi siano “nuovi e maggiori oneri” ( 27 ),
ma questi ultimi sono rimessi ad altri provvedimenti. Infatti, la legge di
stabilità 2015 va in questo senso, prevedendo “un apposito fondo, con
una dotazione di 2.200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015 e
2016 e di 2.000 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2017” ( 28 ), per
fronteggiare le maggiori risorse occorrenti per l’attuazione dei nuovi interventi. Peraltro, è appena il caso di ricordare che una parte consistente del
finanziamento in proposito (3,5 miliardi di euro) è stata prelevata da un
capitolo di spesa destinato al Sud con un impiego, perciò, al di là dell’originario campo di applicazione di tale capitolo di spesa.
La terza considerazione, la più importante per gli effetti di sistema, riguarda un profilo di politica del diritto. Infatti, nel riscrivere alcune importanti regole della materia, il legislatore sembra aver scelto di attribuire
maggiore rilievo alle ragioni dell’impresa rispetto a quelle dei lavoratori ( 29 ); il che peraltro, anche sulla falsariga di altri interventi legislativi del
passato (d.lgs. n. 276 del 2003), è rafforzato talvolta dall’intervento sostitutivo dell’autonomia privata, nonché dalle previsioni normative sull’autonomia collettiva, con un suo ruolo nettamente ridimensionato perché il
quantum di flessibilità da immettere nell’ordinamento è stato già tipizzato
dal legislatore oppure, talvolta, è prevista una sua funzione finalizzata a rimuovere le non molte rigidità di fonte legale ( 30 ).
In altri termini, la prima valutazione è che si sia in presenza di un netto mutamento nel diritto del lavoro, dalle caratteristiche molto differenti
rispetto all’impostazione dello Statuto dei lavoratori, a proposito del quale si è parlato di un vero e proprio “tramonto” ( 31 ), contrassegnato dal notevole ridimensionamento delle due norme cardine della l. n. 300 del
(26) Art. 1, comma 12, l. 10 dicembre 2014, n. 183.
(27) F. CARINCI, Jobs Act, atto II: la legge delega sul mercato del lavoro, op. cit., pag. 2.
(28) Art. 1, comma 107, l. 23 dicembre 2014, n. 190.
(29) F. CARINCI, Il tramonto dello Statuto dei lavoratori (dalla l. n. 300/1970 al Jobs
Act), in Adapt Labour Studies, e-book series, 41, 2015; F. LISO, Brevi osservazioni della disciplina delle mansioni contenuta nel decreto legislativo n. 81/2015 e su alcune recenti tendenze
di politica legislativa in materia di rapporto di lavoro, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.It, 2015, 257, spec. pag. 15 e segg.
(30) A. BELLAVISTA, L’autonomia collettiva nel jobs act, in Il diritto del lavoro al tempo
del Jobs Act, Atti del convegno (Benevento, 2 ottobre 2015), in corso di stampa.
(31) F. CARINCI, Il tramonto dello Statuto dei lavoratori (dalla l. n. 300/1970 al Jobs
Act), cit.
MAURIZIO RICCI
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1970: prima il sostanziale svuotamento dell’art. 19, culminato con la sentenza n. 231 del 2013 della Consulta ( 32 ), a seguito di un lungo periodo di
inerzia del legislatore e di una giurisprudenza fin troppo “creativa” nel
delineare la nozione di sindacato maggiormente rappresentativo, ora il ribaltamento della regola della reintegrazione (art. 18), divenuta ormai
un’eccezione rispetto al regime di tutela obbligatoria. Si è progressivamente modificato il diritto del lavoro, oggi alle prese con la necessità,
sempre più avvertita dal legislatore, di fronteggiare le sfide della globalizzazione e dei profondi mutamenti nell’economia, cambiando radicalmente
i valori, un tempo ritenuti consolidati: di qui l’introduzione di nuove nozioni-simbolo (flessibilità, precarietà, derogabilità, individuale, differenza)
al posto di altre (rigidità, stabilità, inderogabilità, collettivo, eguaglianza).
In realtà, se si fa riferimento all’evoluzione del diritto del lavoro dalle
origini in poi, ci si accorge come queste diadi siano sempre state presenti
e le nozioni indicate per prime non rappresentino una novità odierna. Infatti, a seconda dei periodi storici e dei mutevoli orientamenti di politica
del diritto del legislatore nel corso degli anni, le leggi man mano emanate
sono state maggiormente influenzate o dal primo gruppo di valori oppure
dal secondo per effetto di un condizionamento dei sistemi politici, economici e sociali.
Nelle due leggi in esame e negli otto decreti delegati sono radicalmente mutate le tecniche normative finora utilizzate nel diritto del lavoro. A
differenza del passato, il fulcro è ora rappresentato da una maggiore flessibilità nella gestione del rapporto di lavoro individuale (tra cui, lo ius variandi, i controlli sul lavoratore), ma soprattutto da una rilevante flessibilità in uscita, compensata da un favor nell’incentivare i rapporti di lavoro a
tempo indeterminato a tutele crescenti rispetto a forme di lavoro temporaneo/precario. Cambia l’impostazione di fondo del legislatore: la finalità
non è più tutelare il lavoratore nel rapporto individuale di lavoro, quanto
garantirgli un efficace sostegno nel mercato del lavoro ( 33 ). Infatti, il legislatore ha ritenuto opportuno intervenire con nuove politiche attive per
ricollocare il lavoratore in altri impieghi a tempo indeterminato, la cui diffusione dovrebbe essere incentivata anche dalla previsione di un notevole
sgravio contributivo, temporalmente decrescente e caratterizzato da un
regime transitorio.
(32) Per tutti, cfr. F. CARINCI (a cura di), Legge o contrattazione? Una risposta sulla rappresentanza sindacale a Corte costituzionale n. 231/2013, Atti del IX Seminario di Bertinoro-Bologna, ADAPT University Press, 2014 e G. SANTORO PASSARELLI (a cura di), Le rappresentanze sindacali in azienda: contrattazione collettiva e giustizia costituzionale, Atti del
convegno Aidlass (Roma 16 settembre 2013), Napoli, 2014.
(33) D. GAROFALO, Le politiche attive e passive per l’occupazione, in Jobs Act: un primo
bilancio, Atti dell’XI Seminario di Bertinoro (Bologna, 22-23 ottobre 2015), in corso di
stampa.
244
PARTE PRIMA - SAGGI
Paradigmatiche sono state alcune delle scelte compiute: si prenda, ad
esempio, l’introduzione del contratto c.d. “a tutele crescenti” e la correlata modifica dell’art. 18 St. lav. ( 34 ) o, ancora, la revisione della disciplina
delle mansioni, di cui all’art. 2103 Cod. Civ. ( 35 ), nonché quella dei controlli per gli impianti audiovisivi ( 36 ).
Con la prima si è provveduto a percorrere in maniera più spinta la
strada intrapresa dalla l. n. 92 del 2012, alla luce dell’opzione secondo cui
l’ormai “precaria” norma di risulta continuasse ancora a rappresentare un
ostacolo per le imprese sia Italiane, interessate ad assumere a tempo indeterminato sia straniere, anch’esse interessate a investire nel nostro Paese.
La scelta è stata quella di rendere più flessibile il licenziamento dei lavoratori, una misura, questa, che dovrebbe essere compensata dalla generalizzazione del contratto a tutele crescenti, con la contestuale riduzione
di alcuni dei rapporti di lavoro flessibili, per incrementare l’occupazione
(34) C. CESTER I licenziamenti nel Jobs Act, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.It,
273, 2015 e ivi M. MAGNANI, Correzioni e persistenti aporie del regime sanzionatorio dei licenziamenti: il c.d. contratto a tutele crescenti, 2015, 256; V. SPEZIALE, Il contratto a tempo
indeterminato a tutele crescenti tra law and economics e vincoli costituzionali, 2015, 259; M.
MARAZZA, Il regime sanzionatorio dei licenziamenti nel jobs act, in Arg. Dir. Lav., 2015, pag.
310 e segg.; R. ROMEI, La nuova disciplina del licenziamento: qualche spunto di riflessione, in
Dir. Lav. Rel. Ind., 2015, 4, pag. 557 e segg. e ivi R. VOZA, Licenziamenti illegittimi e reintegrazione: le nuove mappe del Jobs Act, pag. 575 e segg.; A. PERULLI, Le modifiche al contratto/rapporto di lavoro, in Jobs Act: un primo bilancio, Atti dell’XI Seminario di Bertinoro
(Bologna, 22-23 ottobre 2015), in corso di stampa e ivi S. BELLOMO, Il contratto a tempo indeterminato come forma comune. Tra i commentari, cfr. F. CARINCI, C. CESTER (a cura di), Il
licenziamento all’indomani del d.lgs. n. 23/2015 (contratto a tempo indeterminato a tutele
crescenti), Adapt Labour Studies, e-book series, 2015, 46; G. FERRARO (a cura di), I licenziamenti nel contratto “a tutele crescenti”, Quaderni di ADL, 2015, 14; L. FIORILLO, A. PERULLI
(a cura di), Contratto a tutela crescenti e Naspi. Decreti legislativi 4 marzo 2015, n. 22 e n.
23, Torino, 2015; E. GHERA, D. GAROFALO, Le tutele per i licenziamenti e per la disoccupazione involontaria nel Jobs Act 2, Bari, 2015 e R. PESSI, C. PISANI, G. PROIA, A. VALLEBONA,
Jobs Act e licenziamento, Torino, 2015.
(35) U. GARGIULO, Lo Jus variandi nel “nuovo” art. 2103 cod. civ., in WP C.S.D.L.E.
“Massimo D’Antona”.It, 2015, 268 e ivi R. VOZA, Autonomia privata e norma inderogabile
nella nuova disciplina del mutamento di mansioni, 2015, 262; F. LISO, Brevi osservazioni sulla revisione della disciplina delle mansioni contenuta nel decreto legislativo n. 81/2015 e su
alcune recenti tendenze di politica legislativa in materia di rapporto di lavoro, 2015, 257; M.
BROLLO, Lo ius variandi, in Jobs Act: un primo bilancio, Atti dell’XI Seminario di Bertinoro
(Bologna, 22-23 ottobre 2015), in corso di stampa e C. ZOLI, La disciplina delle mansioni, in
L. FIORILLO, A. PERULLI (a cura di), Tipologie contrattuali e disciplina delle mansioni, Torino, in corso di stampa.
(36) A. BELLAVISTA, Il nuovo art. 4 dello Statuto dei lavoratori, in G. ZILIO GRANDI, M.
BIASI (a cura di), Commentario breve alla riforma “Jobs Act”, op. cit., pag. 717 e segg. ed E.
BALLETTI, Il potere di controllo sui lavoratori: rischio orwelliano?, in Il diritto del lavoro al
tempo del Jobs Act, Atti del convegno (Benevento, 2 ottobre 2015), in corso di stampa; P.
LAMBERTUCCI, I controlli a distanza, in Jobs Act: un primo bilancio, Atti dell’XI Seminario di
Bertinoro (Bologna, 22-23 ottobre 2015), in corso di stampa.
MAURIZIO RICCI
245
stabile anche attraverso sgravi contributivi temporalmente decrescenti per
le nuove assunzioni. Sempre in riferimento alla prima misura, va anche ricordato che la nuova normativa priva la giurisprudenza di ogni discrezionalità nel determinare l’indennità risarcitoria, peraltro sensibilmente ridimensionata rispetto alla previgente disciplina, oltre a disincentivare il ricorso al contenzioso attraverso una procedura conciliativa che, in virtù
della defiscalizzazione delle erogazioni economiche, attribuisce alle imprese uno strumento poco oneroso per sanare l’ipotetico illecito e, nel contempo, rende poco conveniente per il lavoratore affrontare il rischio e i
tempi del giudizio ( 37 ).
Con la seconda, invece, si è assicurata una massiccia dose di flessibilità gestionale riguardo alle mansioni dei lavoratori, anche se è molto fondato il dubbio di un eccesso di delega da parte del legislatore delegato.
Infatti, quest’ultimo non si è limitato a intervenire a una parziale riscrittura della disposizione con una nuova disciplina della mobilità interna “in
caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi”, così come prescrive la
legge delega ( 38 ), ma è intervenuto con una quasi integrale riscrittura, peraltro anche utile, dell’intero art. 2103 Cod. Civ.
L’obiettivo di una maggiore flessibilità gestionale è realizzato con il
superamento del criterio dell’equivalenza professionale, sostituito ora da
una tutela della professionalità, intesa in senso generico nei termini di appartenenza a un determinato livello di inquadramento ( 39 ). Il legislatore,
da un lato, conferma il suo orientamento di porre limitazioni al ruolo interpretativo della giurisprudenza, da un altro, rafforza il ruolo fondamentale dell’autonomia collettiva, l’unica per il futuro deputata, senza nessuna
mediazione della magistratura, a contemperare tra spinte datoriali verso
un’organizzazione del lavoro sempre più flessibile ed esigenze di tutela dei
lavoratori nello ius variandi.
Sempre funzionale a una maggiore flessibilità gestionale è la facoltà
dell’imprenditore di adibizione a mansioni inferiori, ripercorrendo una
strada già sperimentata in qualche misura dai giudici. A fronte di una
“modifica degli assetti organizzativi”, tali da incidere sulla posizione dei
lavoratori o di ulteriori ipotesi di assegnazione a mansioni di un inquadramento inferiore ( 40 ), il datore di lavoro può operare unilateralmente uno
spostamento peggiorativo, purché per mansioni appartenenti alla medesi-
(37) F. CARINCI, Il tramonto dello Statuto dei lavoratori (dalla l. n. 300/1970 al Jobs
Act), cit., pag. 11 e F. SCARPELLI, La disciplina dei licenziamenti per i nuovi assunti: impianto
ed effetti di sistema del D. Lgs. 23/2015, op. cit., pagg. 7 e 11.
(38) Art. 1, comma 7, l. 10 dicembre 2014, n. 183.
(39) Art. 3, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81.
(40) Art. 3, commi 2 e 4, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81.
246
PARTE PRIMA - SAGGI
ma categoria legale e con conservazione dell’inquadramento superiore e
della relativa retribuzione.
Oltre all’adibizione (unilaterale) peggiorativa di mansioni, nel decreto
delegato si prevede anche una consensuale per effetto di contratti stipulati
“nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita” ( 41 ). Ai fini della sua validità, è indispensabile che l’accordo
sia intervenuto nelle sedi, di cui all’art. 2113, comma 4, Cod. Civ. o davanti alle commissioni di certificazione ( 42 ).
Sempre finalizzata a recuperare un’intensa flessibilità gestionale è la
modifica legislativa nei controlli a distanza sui lavoratori con la radicale
sostituzione sia dell’impostazione sia del contenuto della norma, divenuta ormai obsoleta a quasi cinquant’anni dalla sua approvazione. Con la
nuova disciplina vi è un netto ridimensionamento della/del mediazione/controllo sindacale, prima garantito dal previgente art. 4 St. lav.; il
potere dell’imprenditore è assoggettato ai soli limiti della normativa sulla protezione dei dati personali; né è più affermato un principio generale di divieto di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. Potrebbero, perciò, ipotizzarsi pervasivi controlli sulla prestazione di lavoro, controlli eseguiti con gli strumenti utilizzati dallo stesso lavoratore nell’esecuzione della suddetta prestazione di lavoro, anche a fronte di un’incapacità
delle parti sociali di regolare l’eccessiva rigidità e/o obsolescenza dell’originario art. 4 attraverso lo strumento flessibile dell’autonomia collettiva ( 43 ).
Seppur in presenza di alcune modifiche auspicabili, le scelte del legislatore sembrano aver determinato una significativa diminuzione dell’apparato protettivo del lavoratore e un rafforzamento dei poteri del datore
di lavoro.
Peraltro, quanto queste modifiche abbiano realmente influenzato l’andamento del mercato del lavoro è ancora presto per dirlo. Tra i primi dati
empirici ufficiali per valutarne l’impatto effettivo sull’occupazione, si possono considerare quelli diffusi dall’Osservatorio Inps ( 44 ), secondo cui il
numero complessivo delle assunzioni nel 2015 ha registrato una crescita
(41) Art. 3, comma 6, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81.
(42) Art. 76, d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276.
(43) F. LISO, Brevi osservazioni della disciplina delle mansioni contenuta nel decreto legislativo n. 81/2015 e su alcune recenti tendenze di politica legislativa in materia di rapporto di
lavoro, op. cit., pag. 18 e segg.
(44) I dati utilizzati per le statistiche (gennaio-dicembre 2015) dell’Osservatorio Inps
sul precariato sono ricavati dalle dichiarazioni mensili Uniemens presentate dai datori di lavoro entro il mese successivo a quello di competenza dei contributi (esclusi i lavoratori domestici e gli operai agricoli).
MAURIZIO RICCI
247
rispetto agli anni precedenti ( 45 ), crescita dovuta essenzialmente all’aumento dei contratti a tempo indeterminato ( 46 ).
Peraltro, nel solo mese di dicembre, si è verificato un forte incremento delle assunzioni a tutele crescenti ( 47 ), spiegabile anche con la riduzione degli sgravi contributivi per le assunzioni a tempo indeterminato dal
2016 ( 48 ) e la consequenziale accelerazione delle assunzioni.
Nonostante l’aumento delle assunzioni a tempo indeterminato, però,
è quasi invariato il numero di quelle a termine, che restano la maggioranza ( 49 ), mentre si registra una forte riduzione delle assunzioni con contratto di apprendistato ( 50 ).
Un dato in crescita, rispetto agli anni precedenti, è relativo alle trasformazioni contrattuali a tempo indeterminato: rispetto al 2014 i rapporti a termine, trasformati in rapporti a tempo indeterminato, sono cresciuti
quasi del doppio ( 51 ), così come quelli di apprendistato, alla fine del periodo formativo, sono aumentati ( 52 ).
Alla luce dei dati descritti, si può scorgere una duplice tendenza: un
aumento delle assunzioni nel settore privato (pari a 600.000 unità) e una
leggera diminuzione dei contratti cd. precari ( 53 ).
Allo stato, il giudizio complessivo sull’intensa produzione legislativa
dell’ultimo biennio non può che rimanere sospeso. Occorrerà aspettare
un certo arco temporale, non influenzato neanche dagli sgravi contributivi
per i contratti a tutele crescenti, per valutare effettivamente se l’ambizioso
progetto del legislatore avrà successo o no: minori tutele e diritti nel rap(45) Il numero delle assunzioni è pari a 5.408.804, con un incremento dell’11% rispetto a quello del 2014 (4.870.427) e del 15% rispetto a quello del 2013 (4.720.353).
(46) Nel 2015, le assunzioni con contratto a tempo determinato sono cresciute del
47%, pari a 1.870.959 (tra queste, quelle a tempo pieno, sono poco meno del 60%) a fronte di 1.273.740 effettuate nel 2014. Le cessazioni di lavoro (pensionamento, licenziamento...) sono in leggera diminuzione (da 4.918.062 nel 2014 a 4.802.833, nel 2015, con una riduzione del -2,3%).
(47) Nel mese di dicembre 2015, si sono registrate 272.512 assunzioni con contratto a tempo indeterminato rispetto alle 119.998 assunzioni del mese di novembre dello stesso anno.
(48) In origine, lo sgravio contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato effettuate nel 2015 aveva una durata di 3 anni, con un tetto massimo pari a 8.060 euro. Dal
2016, per effetto dell’art. unico, comma 178, l. n. 208 del 2015, diminuisce la durata dello
sconto contributivo (da 3 a 2 anni) e il tetto massimo (40% dei contributi, non oltre il limite di 3.250 euro).
(49) Nel 2015, le assunzioni a termine sono state 3.353.649, di poco inferiori (-0,4%) a
quelle del 2014 (3.365.593).
(50) Nel 2015, le assunzioni con contratto di apprendistato sono state 184.196, con un
decremento (20%) rispetto all’anno precedente (231.084).
(51) Si è passati dalle 329.848 trasformazioni del 2014 alle 492.729 del 2015 (+49,4%).
(52) Si è registrato un incremento (20,3%) dal 2014 (69.271) al 2015 (85.352).
(53) Va peraltro segnalato l’incremento dei voucher per il pagamento del lavoro accessorio: nel 2014, sono stati venduti 69.172.979 buoni lavoro, mentre nel 2015 ne sono stati
venduti quasi il doppio (114.921.574).
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PARTE PRIMA - SAGGI
porto di lavoro in cambio di assunzioni non più precarie o temporanee e
maggiori garanzie nel mercato del lavoro attraverso politiche attive, per
favorire una maggiore occupabilità dei disoccupati e degli inoccupati,
nonché attraverso gli ammortizzatori sociali a sostegno del reddito.
Per ora, si può partire dal superamento, ormai irreversibile, di una fase garantista nel diritto del lavoro, il cui epicentro è stato lo Statuto dei lavoratori, anche se, nei successivi decenni, i suoi principi ispiratori sono
stati declinati con modalità più flessibili dallo stesso legislatore, dall’autonomia collettiva e dalla giurisprudenza.
Quanto al futuro, andrà verificata la tenuta dello scambio (minori tutele nel rapporto di lavoro/maggiori garanzie nel mercato del lavoro attraverso politiche attive e ammortizzatori sociali) e, soprattutto, i risultati
concreti in termini di incremento di nuova occupazione a tempo indeterminato, ma in ogni caso potrebbe porsi un problema di scarsa tutela dei
diritti dei lavoratori, al di là delle intenzioni dello stesso legislatore.
Specie sul versante dell’effettività di un più efficace funzionamento
del mercato del lavoro, sarà fondamentale il ruolo dell’Anpal ( 54 ), che dovrà curare il raccordo delle differenti fasi del processo di rioccupazione
(dall’orientamento alla ricollocazione professionale, dal sostegno al reddito alla vera e propria ricollocazione), oltre a sviluppare un equilibrato rapporto tra livello nazionale e locale, operazione, questa, particolarmente
ambiziosa e di non facile realizzazione. Nell’intento di promuovere efficaci politiche attive, il legislatore ha preso atto dei tempi non brevi sia per
riconvertire professionalmente i lavoratori disoccupati/inoccupati con
specifici interventi formativi sia per rioccuparli. Perciò, punta a un’efficace formazione, finalizzata a consentire l’acquisizione di competenze professionali in virtù del contratto di ricollocazione. Nel contempo, Naspi e
Asdi ( 55 ) hanno la funzione di garantire un sostegno al reddito dei lavoratori disoccupati, affinché, attraverso l’applicazione del principio di condizionalità, si attivino per la loro ricollocazione nel mercato del lavoro.
In definitiva, il quadro di riferimento è caratterizzato da una pluralità
di innovazioni legislative particolarmente rilevanti e ambiziose, per il cui
tasso di effettività bisognerà attendere un certo lasso temporale per verificare la tenuta del sistema e, soprattutto, i risultati concreti in termini di effettivo incremento di occupazione, che rappresenta l’obiettivo del legislatore.
(54) R. SANTUCCI, L’Agenzia Nazionale per le politiche del lavoro (ANPAL), in Jobs Act:
un primo bilancio, Atti dell’XI Seminario di Bertinoro (Bologna, 22-23 ottobre 2015), in
corso di stampa.
(55) M. D’ONGHIA, I trattamenti di disoccupazione dopo il d.lgs. n. 22/2015, in questo
volume e M. CINELLI, La tutela della disoccupazione totale (NASPI – DISCOLL – ASDI), in
Jobs Act: un primo bilancio, Atti dell’XI Seminario di Bertinoro (Bologna, 22-23 ottobre
2015), in corso di stampa.