Batteriosi dell`actinidia Situazione in Piemonte

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Batteriosi dell`actinidia Situazione in Piemonte
PAGINE INFORMATIVE
PSR - MISURA 111.1
SOTTOAZIONE B
Federazione Italiana
Gruppi Coltivatori Sviluppo
Federsviluppo
Associazione regionale del Piemonte
Programma sviluppo rurale 2007-2013
Informazione nel settore agricolo
Fondo europeo agricolo
per lo sviluppo rurale
Batteriosi dell’actinidia
Situazione in Piemonte
IL COLTIVATORE PIEMONTESE
anno 71 – numero 11 – novembre 2015 – pagina
12
n In Piemonte la batteriosi dell’actinidia ha determinato, a partire dal
2010, anno della comparsa in Piemonte, la perdita di 1.000 ettari di
superficie, con un danno alla frutticoltura piemontese senza precedenti. «Da quest’anno però – spiega
Graziano Vittone, tecnico del
Creso, oggi Fondazione piemontese
per la ricerca in agricoltura – si è assistito a una seppur timida inversione
di tendenza: infatti nel 2015 non si
sono più registrati estirpi, bensì un
modesto incremento di una cinquantina di ettari, assestando la superficie
investita a 4.409 ettari».
Estirpi di kiwi La situazione
sembrerebbe quindi migliorata; tuttavia, il rischio in campo persiste e
si evidenzia con la presenza di sintomi, seppur meno vistosi, come i
tipici essudati e spot fogliari – piccole macchie angolari – che stanno
a testimoniare la presenza sempre
costante del batterio.
Sintomi su foglia È comunque
innegabile che dal 2014 si sia assistito a una minore aggressività del
patogeno; è doveroso, prima di abbandonarsi a facili entusiasmi, prendere in considerazione anche i fattori
che in questi ultimi due anni hanno
sicuramente ostacolato l’ulteriore
diffusione di Psa e che possono venire così sintetizzati di seguito.
z Minor freddo invernale: nel corso
degli ultimi 3 inverni non si sono registrate le temperature tipiche dei
mesi invernali e non si è mai scesi
sotto ai -5°C. Al contrario, la virulenza del batterio era stata massima
nelle primavere 2011 e 2012 a seguito di inverni freddi caratterizzati
da temperature minime che avevano
raggiunto i -18°C, come nel febbraio 2012. Il clima meno rigido
degli ultimi inverni, seguito da primavere senza gelate, hanno limitato
la proliferazione delle cellule batteriche e di conseguenza la manifestazione di nuovi danni.
z L’eliminazione dell’inoculo primario: dal 2011 al 2013 sono stati
estirpati gli actinidieti-focolaio che
avevano generato la diffusione della
malattia. Grazie all’intervento dei
contributi erogati dall’assessorato
all’Agricoltura della Regione Piemonte si è riusciti in breve tempo a
tamponare una situazione davvero
drammatica. La rimozione della
fonte principale di inoculo è stata
determinante e ha consentito la riduzione del livello di rischio in tutto
l’areale piemontese.
z Strategia di difesa: le numerose
prove sperimentali condotte sul ter-
ritorio da Creso e Università di Torino hanno permesso la definizione
di una strategia di difesa incentrata
nei periodi di maggior suscettibilità
al patogeno, facendo finalmente
chiarezza sulla validità effettiva dei
numerosi prodotti proposti dalle società di preparati per l’agricoltura.
Come già ripetutamente confermato
dalle prove svolte, i prodotti che
hanno effettivamente svolto un ruolo
significativo nel controllo del patogeno – prima del suo insediamento
definitivo in pianta – sono comunque
risultati essere i rameici, nella fase
che va dal post-raccolta alla ripresa
vegetativa e l’acibenzolar-s-metile –
Bion –, da utilizzare dal germogliamento alla prima formazione dei
frutti. Oltre alla difesa preventiva,
sono state messe in atto tutta una
serie di pratiche agronomiche razionali allo scopo di limitare la vigoria
delle piante riducendo così la sensi-
bilità delle stesse al batterio.
Per quanto riguarda il panorama
varietale, in Piemonte, è stata osservata una maggior tolleranza al batterio
da parte dell’Actinidia arguta – baby
kiwi –, tanto da suscitare l’interesse di
alcuni produttori che hanno provveduto a effettuare qualche decina di
nuovi impianti. Riguardo alle varietà
a polpa gialla appartenenti al gruppo
Actinidia chinensis, quelle attualmente disponibili sul mercato presentano una sensibilità al batterio Psa pari
e, in alcuni casi, superiore, ad Hayward, che negli areali locali si pone già
di per sé a livelli di rischio elevato.
La visione attuale del settore del
kiwi piemontese sembra essere
quindi più ottimistica rispetto a
qualche anno fa, «anche se non si
può certamente cantare vittoria –
continua Vittone – visto che le condizioni ambientali sono imprevedibili e che il ritorno a inverni più
freddi e umidi potrebbe stimolare
nuovamente la batteriosi. Inoltre
vanno verificate, il prossimo anno,
tutte le zone colpite dalle grandinate
primaverili-estive 2015 che hanno
interessato alcune zone notoriamente coltivate a kiwi». Come noto,
le ferite originate dalla grandine rappresentano una via preferenziale per
le nuove infezioni da batteriodi.
«I produttori piemontesi, considerate le difficoltà commerciali di altre
specie frutticole – conclude Graziano
Vittone – stanno pianificando l’impianto di nuovi actinidieti negli areali
storicamente a minor rischio, tenendo
presente che la situazione attuale non
è definitiva e potrebbe nuovamente
mutare nel corso dei prossimi anni».
z fonte: Graziano Vittone,
Fondazione per la ricerca,
l’innovazione lo sviluppo tecnologico
dell’agricoltura piemontese.
Web: www.agricolturaericerca.it
n Si aggrava la morìa del kiwi nel
Veronese, e inizia a espandersi in
altre aree. I dati e gli interventi del
convegno dedicato alle previsioni
produttive e commerciali dell’actinidia tenutosi a Veronamercato hanno
delineato i contorni di un problema
sempre più opprimente per i produttori veronesi, ma non solo. Claudio
Valente, rappresentante della Camera di Commercio locale, è stato
esplicito: «La situazione è pesante,
abbiamo calcolato che il danno per
un ettaro coltivato a kiwi ed espiantato causa morìa sia di 100.000 euro
in quattro anni: 18.000 euro l’anno
di mancata produzione, più i costi di
re-impianto e di coltivazione fino a
che la pianta non diventa produttiva,
al quinto anno. Al momento il danno
per le imprese veronesi è di 100 milioni di euro. Stiamo cercando di
mettere assieme tutti gli attori per
portare avanti un progetto comune».
Stando al Cso, Centro servizi ortofrutticoli, sono interessati 1.000
ettari, a fronte dei 600 ettari del
2014, con un coinvolgimento di
aree che lo scorso anno erano esenti.
Sul tema è intervenuto con una relazione ad hoc Lorenzo Tosi di Agrea
– specialisti nella ricerca e sperimentazione di campo – che ha sottolineato come «l’area interessata dal
fenomeno riguardi la zona di produ-
zione a ovest di Verona, ma ci sono
recenti segnalazioni in zone diverse
con focolai anche in Piemonte e richieste di informazioni dalla Nuova
Zelanda. Si verifica un’espansione
della malattia a nuovi impianti mentre la situazione nella zona “storica”
si fa molto critica».
Ma cosa si sta facendo? Lorenzo
Tosi ha detto: «C’è l’impegno della
Regione Veneto per finanziare un
progetto di tre anni per la realizzazione di un impianto pilota in cui verificare l’efficacia di nuove modalità
di impianto e di gestione dell’acqua
nel prevenire la malattia. In attesa
dell’incarico ufficiale l’impianto è
già stato realizzato su 5.000 metri
quadri, su espianto di kiwi morto per
morìa nel 2014, in zona Palazzolo di
Sona». Inoltre, in cantiere c’è un
progetto di ricerca finalizzato a individuare tutti i microrganismi
presenti sulle radici delle piante infette e sane nei rispettivi terreni:
«Dal confronto dei dati – ha detto
Lorenzo Tosi – sarà possibile evidenziare l’eventuale coinvolgimento
dei patogeni. L’indagine, in attesa di
approvazione ufficiale, sarà effettuata con tecniche di biologia molecolare da laboratori specializzati».
Ancora Lorenzo Tosi ha aggiunto:
«Continua a migliorare la situazione
per la Psa, ma guai ad abbassare la
guardia. L’actinidia sembra aver trovato un nuovo, temibile nemico».
Il fenomeno della morìa consi-
ste nell’appassimento e successivo disseccamento dell’intera
pianta. La morìa del kiwi che si è
registrata nel Veronese a partire dal
2012 ha interessato a oggi diverse
centinaia di ettari. È un fenomeno
molto complesso e di difficile interpretazione date le numerose casistiche osservate. È quanto mai difficile
trovare un minimo comune denominatore: i sintomi sono presenti in
punti diversi del frutteto, hanno un
andamento assolutamente variabile
da caso a caso, si riscontra in impianti di tutte le età, comprese
piante appena messe a dimora, sia
in pianura che in collina, sia con irrigazione a scorrimento che a
micro-jet. Rimane inoltre difficile
spiegare perché, dopo oltre trent’anni di coltivazione, il fenomeno
si sia presentato solo ora e in
un’area così vasta.
Sintomatologia Le piante talvolta mostrano sintomi sospetti
quali: foglie con disseccamenti parziali, di colore bruno, deformazioni
del lembo, attività vegetativa ridotta,
sviluppo ridotto dei frutti anche se
ben impollinati. Il sintomo più evidente è che l’apparato radicale delle
piante colpite risulta fortemente
compromesso con marcescenza diffusa delle radici di minore diametro,
con disfacimento della corteccia,
che si sfila dal midollo, e mancanza
delle radichette bianche ovvero di
alimentazione – feeder roots –.
La morìa del kiwi si aggrava nel Veronese
e si espande anche in regione Piemonte