Centro Donna Multiculturale - Pari Opportunità Provincia di Venezia

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Centro Donna Multiculturale - Pari Opportunità Provincia di Venezia
BIBLIOGRAFIA e scheda di sintesi di ogni opera
Bellatalla, Luciana - Genovesi, Giovanni - Marescotti, Elena (a cura di)
La scuola in Italia tra pedagogia e politica
(1945-2003)
Franco Angeli, Milano, 2004
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Besozzi, Elena (a cura di)
Il genere come risorsa comunicativa – Maschile e femminile nei processi di crescita
Franco Angeli, Milano, 2003
Boda, Giovanna
L’educazione tra pari
Linee guida e percorsi operativi
Franco Angeli, Milano, 2006
Boni, Federico
Men’s help
Sociologia dei periodici maschili
Meltemi, Roma, 2004
Bruni, Claudia
Zona d’ombra
Come i genitori attraversano l’adolescenza
La Meridiana, Molfetta, 2003
Bruni, Claudia
Ascoltare Altrimenti
Adolescenti stranieri a scuola
Franco Angeli, Milano, 2007
Chiti, Eleonora (a cura di)
Educare ad essere donne e uomini
Intreccio tra teoria e pratica
Rosenberg & Sellier, Torino, 1998
Colombo, Maddalena (a cura di)
Educazione e mutamento
Valori, pratiche e attori in un’epoca di trasformazioni
Bonanno, Roma-Catania, 2005
1
Colombo, Maddalena (a cura di)
Riflessività e creatività nelle professioni educative
Una prospettiva internazionale
Vita e Pensiero, Milano, 2005
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Crespi, Isabella
Il pendolo intergenerazionale
La socializzazione al genere in famiglia
Unicopli, Milano, 2003
De Luigi, Nicola
I confini mobili della giovinezza
Franco Angeli, Milano, 2007
De Pieri, Severino (a cura di)
Verso un sistema educativo integrato
Franco Angeli, Milano, 2002
Di Cristofaro Longo, Gioia – Mariotti, Luciana (a cura di)
Modelli culturali e differenza di genere
Armando, Roma, 1998
Frabboni, Franco – Baldacci, Massimo
La qualità della didattica nella scuola che cambia
Il monitoraggio Irrsae del piano dell’offerta formativa
Franco Angeli, Milano, 2001
Barbara Mapelli e Gabriella Seveso (a cura di)
Una storia imprevista
Femminismi nel Novecento ed educazione
Guerini Studio, Milano, 2003
Mapelli, Barbara - Bozzi Tarizzo, Gisella - De Marchi, Diana
Orientamento e identità di genere
Crescere donne e uomini
La nuova Italia, Milano, 2001
Mariani, Alessandro
Foucault: per una genealogia dell’educazione
Modello teorico e dispositivi di governo
Liguori Editore, Napoli, 2000
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Mattei, Martino
Insegnare con i concetti
Educazione alla cittadinanza
Franco Angeli, Milano, 2007
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Michelini, Maria-Chiara
Progettare e governare la scuola
Democrazia e partecipazione: dalla progettazione educativa all’organizzazione scolastica
Franco Angeli, Milano, 2006
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Pellai, Alberto - Rinaldin, Valentina - Tamburini, Barbara
Educazione tra pari
Manuale teorico-pratico di empowered peer education
Erickson, Trento, 2002
Remaury, Bruno
Il gentil sesso debole
Le immagini del corpo femminile tra cosmetica e salute
Meltemi, Roma, 2006
Sarsini, Daniela (a cura di)
Percorsi dell’autobiografia tra memoria e formazione
Unicopli, Milano, 2005
Tamanini, Chiara (a cura di)
Maschi e femmine a scuola: stili relazionali e di apprendimento
Una ricerca su genere e percorsi formativi
IPRASE Trentino – 2007
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La scuola in Italia tra pedagogia e politica
(1945-2003)
Luciana Bellatalla, Giovanni Genovesi, Elena Marescotti (a cura di) – Franco Angeli, Milano, 2004
Il presente volume raccoglie le relazioni presentate ad un seminario organizzato nell’anno accademico
2003-04 presso l’Università di Ferrara, nel quale sono stati impegnati, accanto a docenti dell’ateneo
ferrarese, studiosi provenienti da varie università italiane.
Questo seminario si presenta in continuità con un’analoga iniziativa svoltasi l’anno accademico
precedente, dal titolo “Pedagogia: aspetti epidemiologici e situazioni dell’esistenza ”. I due seminari
sono stati progettati come continui e strettamente interdipendenti, in quanto gli esiti del primo
costituiscono la base teorica sulla quale è andato a costruirsi il percorso di analisi, di riflessione e di
discussione del secondo seminario. Infatti in questo successivo ciclo di seminari il concetto di
pedagogia come scienza, e soprattutto le sue categorie fondative, non sono più state analizzate da
una prospettiva meramente teorica ma sono state ricercate ed esaminate da un punto di vista storico,
secondo la tesi, condivisa e difesa dai tre curatori, che la storia dell’educazione è necessariamente il
“laboratorio” della ricerca epistemologica.
Centro unificatore dei vari interventi è la
relazione tra
pedagogia, intesa come scienza
dell’educazione, e politica, intesa non solo come dimensione intrinseca dell’esistenza individuale e
sociale, ma anche come concreta scelta di orientamenti, norme e valori per tale esistenza.
Il periodo prescelto per ricostruire le vicende di questa relazione, tanto necessaria ed ineludibile
quanto ambivalente, è stato il secondo dopoguerra, assunto come momento paradigmatico per la
storia dell’educazione in generale e della scuola in Italia in particolare. Si tratta, infatti, del periodo
della ricostruzione e della speranza, che culmina con quel miracolo economico al quale si devono la
crescita significativa della scolarizzazione e il successo di percorsi formativi fino a quel momento
subalterni al percorso liceale ad orientamento umanistico. Si tratta di un periodo ricco di suggestioni
per l’intreccio fecondo di aspirazioni politiche progressiste, di sollecitazioni culturali e di tensioni
educative articolate, anche grazie all’arrivo e alla circolazione in Italia di teorie e suggestioni che,
prima della guerra, erano tenute rigorosamente lontane dalla preparazione degli insegnanti o erano
confinate in un recinto rigidamente accademico.
Dall’esame di tappe importanti di questo ultimo cinquantennio della vita italiana emerge con
chiarezza l’ambivalenza del nesso tra pedagogia e politica. Tale ambivalenza non è tanto (o non è
solo) frutto della natura intrinseca dei due termini in gioco; essa deriva soprattutto dalla capacità che
la politica scolastica italiana ha avuto, intenzionalmente e coscientemente, di estromettere la
pedagogia come scienza dell’educazione da tutti i suoi percorsi, dibattiti e scelte. Si nota infatti una
costante separazione tra le istanze della politica e dell’economia da un lato, e le istanze della
pedagogia dall’altro.
Ma se è vero che la scuola è costretta necessariamente a fare i conti con la vita concreta e pulsante
della società civile, è altrettanto vero che essa non può essere pensata né progettata, se vuole
realmente rispondere a criteri di qualità, al di fuori delle cornici teoriche poste dalla pedagogia. In
Italia, al contrario, il sistema scolastico ha per lo più subito senza reazioni lo strapotere della
dimensione politica (in senso sia partitico che ideologico).
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La storia del nostro sistema scolastico, perciò, è costellata di aspirazioni spezzate, di compromessi, di
dibattiti inconcludenti e della tendenza a mantenere inalterato lo status quo, che hanno finito per
neutralizzare le migliori intenzioni trasformative.
Analizzando dunque la storia del nostro sistema scolastico ci si rende conto che, di fatto, tale sistema
è dominato da una staticità che mal si coniuga con l’idea di educazione, legata invece ai concetti di
processo, di progetto e di cambiamento.
Tra disegno politico e tensione pedagogica, la seconda è risultata sempre perdente, al punto che
sarebbe corretto parlare di una costante prevaricazione del primo aspetto sul secondo. Deriva da
questa constatazione un quadro sconfortante, nel quale tutte le aspirazioni ad una reale
trasformazione della scuola e dell’educazione in Italia hanno dovuto arrendersi ad una Realpolitik, che
ha finito per snaturarle, travisarle e piegarle ad un complessivo disegno di conservazione.
Ma i contributi del volume non si limitano a questa pars destruens, giacché suggeriscono istanze ed
orientamenti per un’inversione di rotta. Si tratta del richiamo ai temi portanti di una pratica educativa,
fondata sulla pedagogia scientifica: l’urgenza di una nuova figura di docente; la necessità di una
relazione più salda tra scuola e dimensione extrascolastica; una riflessione più accurata e
pedagogicamente avvertita sulla natura e la funzione della scuola; un’attenta valutazione del concetto
di pubblico e di laico, nella loro accezione più ampia ed articolata.
La pedagogia, infatti, tramite la formulazione di un concetto logicamente cogente e storicamente
fondato di educazione, di didattica e di scuola, può impostare la direzione per un profondo e
giustificato mutamento e rinnovamento del sistema scolastico. Ma per questo fine, deve tornare a
confrontarsi con una volontà politica disposta e disponibile ad ascoltarne le ragioni e ad interagire
con essa in maniera significativa.
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Il genere come risorsa comunicativa – Maschile e femminile nei processi
di crescita
Elena Besozzi (a cura di) - Franco Angeli, Milano, 2003
Il testo si basa in gran parte sui risultati di una ricerca sul campo realizzata nel territorio della
Regione Lombardia, che ha visto la somministrazione, nell’a.a. 2000/2001, di un questionario a
risposte chiuse a 1550 studenti e studentesse di terza media e prima superiore (fascia d’età 14-16
anni), finalizzato a indagare vari aspetti del loro percorso scolastico e della loro vita quotidiana. In
seguito sono stati realizzati 2 focus group con gli insegnanti (uno a Milano e uno a Brescia) e 4 role
playing con gli studenti e le studentesse,focalizzati sulle scelte professionali future.
L’autrice individua innanzitutto un vistoso paradosso nel sistema scolastico di oggi: “saperi, processi
e stili di apprendimento sono concepiti all’insegna di un ipotetico universalismo (..) e di una
indifferenza verso la differenza”. E ancora: “la scuola tratta gli individui più come individui astratti
(secondo il principio di cittadinanza) che come persone umane con la loro singolarità” (p.12)
In altre parole: “la differenza di sesso diventa indifferenza di fronte a un diritto di pari opportunità.
Tuttavia, in questa indifferenza si nasconde un’insidia, quella di estendere un diritto senza modificare
gli assetti strutturali e le pratiche culturali. (….) Gli allievi (maschi e femmine) sono trattati in modo
uguale a come venivano trattati i maschi in passato. L’ingresso della componente femminile non ha
modificato contenuti, saperi, modalità di apprendimento, valori e norme della cultura scolastica” (p.
23). Vanno distinte pertanto la disuguaglianza (che va combattuta, in nome del diritto di uguaglianza
di opportunità) e la differenza, che è invece un diritto (diritto di essere differenti che implica un
trattamento diversificato, contro la tendenza all’”universalismo” e alla neutralizzazione). Secondo il
femminismo radicale e socialista, le istituzioni educative e i curricola scolastici sono giudicati
intrinsecamente maschili, visto che “a una cultura maschile fanno riferimento i valori fondamentali di
una buona scuola: achievement, razionalità, prestazione, valutazione” 1 (p.48). Come la scuola tende a
non considerare e ad appiattire le differenze di genere, così anche gli/le adolescenti tendono a
neutralizzare le differenze di genere (siamo prima di tutto persone..), e le ragazze stesse danno per
assunta un’uguaglianza di opportunità, salvo poi voler affermare il bisogno di differenziazione e
individualizzazione - non solo per genere -.
Ecco di seguito una breve sintesi di alcuni aspetti importanti emersi dall’analisi del questionario
“Raccontaci la tua esperienza”.
Esperienza scolastica: le ragazze riescono tendenzialmente meglio dei loro coetanei maschi, specie
passando alle superiori, ma sono tendenzialmente più disorientate circa le scelte. Se non sono state
1
Esiste un approccio conflittualista secondo cui non vi è parità tra maschi e femmine nella distribuzione delle
risorse educative, che si traduce in disuguaglianze nell’accesso all’educazione, sia dal punto di vista dei meccanismi di
selezione scolastica sia nei termini di stereotipi sessisti che agiscono sulle scelte. Il testo analizza anche l’approccio
funzionalista, secondo cui la scuola ha il compito di ridurre il deficit tra maschi e femmine creato dalla scorretta
interpretazione dei ruoli di genere operata nella prima infanzia, abolendo pertanto qualsiasi forma di discriminazione. Il
filone interazionista e costruzionista vede la differenza di genere come un costrutto simbolico, non è nulla di dato e
oggettivo. Questo approccio, oltre a considerare il modo in cui i modelli di genere influiscono sia nella prima infanzia
sia, dopo, a scuola, prende in esame i diversi atteggiamenti degli insegnanti verso gli alunni e le alunne (es: come le
aspettative possono influenzare il rendimento di alunne e alunni) (pp. 45-51).
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rilevate differenze nette circa il rapporto con le materie di studio, d’altra parte i ragazzi attribuiscono
alla scuola una valenza perlopiù strumentale, mentre le ragazze apprezzano maggiormente la
dimensione espressiva – autorealizzativa. Gli aspetti di tipo punitivo sono generalmente riservati ai
maschi, mentre le ragazze tendono generalmente a essere maggiormente apprezzate.
Esperienza familiare: vi è una diversità di stili relazionali in rapporto al genere di appartenenza:
generalmente i rapporti sono migliori con il genitore dello stesso sesso; tuttavia, le ragazze si
mostrano complessivamente più critiche. Il controllo è fondamentalmente analogo, ma le ragazze
sono più controllate nelle uscite serali.
Esperienza mediale: ragazzi e ragazze utilizzano PC e TV, ma i primi hanno un approccio più ludico
con il PC (videogiochi)
Aspettative verso il futuro: le ragazze tendono a essere più esplorative, i ragazzi più tradizionalisti (i
maschi sono più vicini agli stereotipi, esprimendo un bisogno di “ancoraggio” ad alcuni valori
tradizionali, mentre le ragazze hanno bisogno di affrancarsi dal classico “destino di donna”).
Va sottolineato inoltre che dall’analisi dei questionari sono emersi alcuni “clusters” (gruppi), che
possono essere riconducibili a 7 categorie/tipologie: tipo “acquisitivo” (a prevalenza femminile); tipo
“incerto” (a prevalenza maschile); tipo “disimpegnato” (a prevalenza maschile); tipo “apatico” (a
prevalenza femminile); tipo “sprecato” (a prevalenza maschile); tipo “integrato” (in egual misura
maschile e femminile); tipo “metropolitano” ( a prevalenza maschile). (cfr. pp. 39/44)
Nel capitolo “Genere e scuola” (pp. 45-88), Maddalena Colombo evidenzia non solo i principali
approcci alla questione di genere nella scuola (cfr. nota 1) ma mette in luce ulteriori elementi utili al
fine di un’analisi delle differenze di genere nell’esperienza scolastica (pp. 51/57), ovvero:

l’esistenza di un gender gap, in netta riduzione ma comunque a tutt’oggi persistente e
correlato con alcuni fattori socio-economici, quali: bassi livelli di industrializzazione e
urbanizzazione, ridotti fondi pubblici per l’educazione, incapacità del MdL di stimare le
credenziali educative, ridotti tassi di attività femminile, vicinanza o adesione a ideologie
patriarcali.

Va comunque rilevato (anche in Italia) un fenomeno di sorpasso femminile, correlato al
migliore rendimento scolastico delle allieve e alla maggior regolarità dei percorsi.

Vi è inoltre una femminilizzazione del personale docente.
Altri elementi importanti sono: il diverso atteggiamento maschile e femminile verso la scuola (ragazze
più concentrate sull’aspetto della autorealizzazione, vivono lo studio con un approccio più
interiorizzato e sono più organizzate); la persistenza di stereotipi sessisti nei libri di testo; la
differenza di attenzione prestata dagli/dalle insegnanti nei confronti di ragazze e ragazzi (fenomeno
dell’attenzione discriminante, che privilegia sempre i maschi); modalità differenti di vivere il ruolo di
studente (le femmine sono meno presenti nelle discussioni collettive e nella gestione delle attività ma
sono più interessate alle questioni relazionali e al rapporto diretto con gli insegnanti); la presenza di
episodi di esibizionismi e molestie sessuali.
Risultati della ricerca
Ragazzi/ragazze e scuola
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Rapporto con le materie di studio: la maggior predisposizione dei ragazzi per le attività logico
matematiche e tecniche e delle ragazze per quelle logico linguistiche ed espressive è da ascriversi a
pressioni culturali e sociali e alla varietà delle situazioni di apprendimento. Le differenze nel rapporto
con le materie di studio aumentano con il progredire dell’età e dei gradi di scuola (le femmine
gradiscono maggiormente attività in cui sono valorizzate le abilità verbali (es. lingua straniera,
italiano), mentre i ragazzi privilegiano attività che richiedono abilità percettivo – spaziali (scienze,
educazione fisica). Il rendimento delle ragazze è generalmente migliore, così come maggiore è il
tempo dedicato ai compiti da svolgere a casa. La valutazione verso gli insegnanti non è
particolarmente differente tra ragazzi e ragazze, anche se i primi privilegiano la capacità
professionale (competenze), le seconde quella relazionale. Esiste la percezione, da parte dei maschi,
di essere trattati peggio delle loro compagne (critica, punizione vs lode).
Durante i focus group, “negli insegnanti è stato riscontrato un basso livello di consapevolezza e di
tematizzazione delle declinazioni di genere dei propri comportamenti in classe, mentre prevale la
difesa dell’agire uniforme e rispetto del mandato istituzionale egualitario” (p.73). Nonostante gli
insegnanti non adottino un codice di genere nell’esercizio della loro professione, si tratta di un tema
considerato rilevante dalle/dai docenti.
Tra gli altri elementi di rilievo, spicca una forte associazione tra la scelta dell’indirizzo di studi e lo
status dei genitori, che rivela l’esistenza di vincoli impliciti (sia nelle classi medio-basse sia in quelle a
status elevato) spesso non riconosciuti dai ragazzi e dalle ragazze.
Ragazzi/ragazze in famiglia
A questo proposito non si può prescindere dal fenomeno del “prolungamento indefinito
dell’adolescenza”, che coincide con l’indebolimento dei percorsi biografici istituzionalizzati. Rispetto
alle comunicazioni di genere, generalmente maschi e femmine parlano più con la madre (con cui si
parla di più di questioni personali) piuttosto che con il padre (argomenti attinenti la sfera pubblica e
ludica). Per quanto riguarda le aspettative verso il futuro, i maschi tendono a parlarne di più con i
padri mentre le femmine con le madri. Rispetto ai propri genitori, sono le ragazze a esprimere un
maggior indice di autonomia, anche se in generale risulta fondamentale trovare un punto di
riferimento in adulti significativi.
Grosse differenze si rivelano rispetto alle “aspettative future di maschi e femmine in ordine alla
costituzione di una loro famiglia e riguardo ad alcuni aspetti della conduzione e delle decisioni
familiari. In particolare, fra le ragazze è spesso evidente un bisogno di libertà da condizionamenti e
stereotipi; nei maschi è più diffuso il bisogno di mantenersi ancorati a posizioni e orientamenti
tradizionali, che appaiono proteggere di più il ruolo maschile” (p. 113). I ragazzi, in altre parole,
aderiscono di più delle loro coetanee a modelli consolidati. Quindi, ad esempio, i maschi esprimono
una certa resistenza verso le donne lavoratrici. Esiste in tal senso una sorta di “crisi” maschile.
Ragazzi/ragazze e le amicizie
Il ruolo delle amicizie è fondamentale per questa fascia di età, perché si denota come momento di
affrancamento progressivo rispetto alla famiglia e al mondo degli adulti.
Generalmente, per le ragazze nell’amicizia è basilare lo scambio di vissuti (stile “riflessivo” di
socializzazione”, perlopiù nella sfera domestica), mentre per i ragazzi l’amicizia si fonda
prevalentemente su uno stile “attivistico”, basato sulla condivisione di attività, perlopiù all’aperto (ma
oggi, anche grazie all’avvento dei videogames, anche i ragazzi si stanno riappropriando della casa).
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Media e appartenenza di genere
L’indagine indaga sul rapporto con i media sia dal punto di vista del consumo che da quello della
rappresentazione, in cui la donna è marginale (specie nell’intrattenimento, il cliché della donna
corpo/oggetto è ancora tristemente diffuso). Riguardo il consumo dei media, va detto che essi
rivestono un ruolo basilare nei processi di crescita. Esso è praticato sia dai ragazzi sia dalle ragazze,
con alcune sostanziali differenze: entrambi usano il PC e internet, ma i maschi ne fanno un uso
prevalentemente ludico e ne hanno appreso il funzionamento attraverso un’esplorazione personale,
mentre per le ragazze si osserva una mediazione da parte del mondo adulto e un uso più strumentale
e impegnato (per comunicare e studiare). I ragazzi usano maggiormente i videogames, le ragazze
(con uno scarto piuttosto ridotto) i cellulari, specie per mandare SMS. Le ragazze ritengono che per
saper usare il PC sia necessario avere pazienza, mentre i ragazzi ritengono che la qualità principale in
tal senso sia l’intelligenza. Da sottolineare una distanza evidente e persistente tra mondo mediale e
scuola (spesso addirittura gli insegnanti temono che i ragazzini troppo “tecnologici” vengano distratti
da questa loro attitudine dall’impegno scolastico).
Nelle situazioni di “rischio” e di “incertezza” esistono delle differenze di genere: se da un lato vi è una
grandissima prevalenza maschile (il rapporto è 1/10) nonostante negli ultimi due decenni si sia
riscontrata un’inversione di tendenza, va detto che vi sono delle caratteristiche tipicamente “maschili”
e altre “femminili” in questi gruppi marginali. Le ragazze “a rischio” sono perlopiù sole, autocritiche (si
sentono inadeguate, specie fisicamente), con una grossa paura del futuro. Questo è in linea con la
tendenza, tipicamente femminile, di pensarsi nel lungo periodo. Le ragazze tendono maggiormente a
problematizzare all’infinito la propria esistenza, aprendosi continuamente nuovi sbocchi, esponendosi
quindi alla cosiddetta “tirannia delle possibilità”.
I ragazzi (con particolare attenzione a quelli “a rischio”) invece sono perlopiù conformi allo stereotipo
culturale di genere, e alla necessità di riconoscersi nei valori del gruppo dei pari (dove spesso la
mascolinità si associa all’omofobia); per i maschi in particolare l’eventuale carenza di solidità delle
figure genitoriali si traduce in una maggiore esposizione al rischio “qualora i genitori non svolgano in
maniera soddisfacente tali funzioni, lasciando così spazio alla pressione del gruppo nel modellamento
delle condotte” (p. 174): Tamar Pitch sottolinea che la differenza di genere nella maturazione dei
percorsi di devianza è dovuta a fattori sociali, non naturali. In sostanza, comunque, nella condotta
maschile si registra maggiore “immediatezza” e un approccio a “raggio corto” (fattore che ne
caratterizza le scelte), in quella femminile una tendenza maggiore a proiettarsi verso il futuro, senza
limiti di accesso alle opportunità.
Riti di passaggio: il testo esamina la complessità e l’indeterminatezza dei confini dell’adolescenza,
che nella nostra società è per certi versi “prolungata” (vi è infatti una situazione prolungata di
deresponsabilizzazione dai compiti di adulto). Nella nostra società è il gruppo a essere vissuto come
rito di passaggio, sostenendo il /la giovane nel processo di separazione dai genitori. Esistono dei
meccanismi rituali forniti dalla società, consumati internamente al gruppo. Nell’individuazione del
momento ideale per uscire dalla casa della famiglia d’origine, i ragazzi sono ancora una volta più
tradizionalisti delle ragazze, indicando “il matrimonio” mentre le ragazze affermano che il momento
giusto è “quando si guadagna abbastanza”.
Il testo analizza infine alcune teorie sul genere nella società contemporanea: quelle elaborate da
Nancy Chodorow si basano sulla necessità per i maschi di costruire un’identità separata da quella
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della madre (la prima figura di accadimento con cui il bimbo/la bimba si relaziona), andando a
configurarsi come “non femminile”; questo andrebbe a spiegare anche il timore dei ragazzi di essere
considerati “poco uomini” se compiono delle scelte anche professionali non tradizionalmente maschili,
cosa che per le ragazze non accade (cfr. il role playing effettuato contestualmente all’indagine). Carol
Gilligan afferma l’esistenza di due morali diverse per uomini e donne: i primi si basano su quella del
diritto, le seconde su quella della responsabilità. Chi contesta questi approcci teorici afferma che
entrambe le concezioni si basano su una visione rigida del modello femminile (WASP). Mulgan
sostiene come le tradizionali definizioni di maschile e femminile, per contro, stiano scomparendo. Si
va verso una “femminilizzazione” della società che, tra le altre cose, tende a valorizzare le doti
tradizionalmente
considerate
“femminili”
come
flessibilità,
adattabilità,
spirito
di
disponibilità, anche nel mondo del lavoro: si verifica, inevitabilmente, una crisi del maschile.
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servizio,
L’educazione tra pari
Linee guida e percorsi operativi
Giovanna Boda – Franco Angeli, Milano, 2006
L’offerta di informazioni specifiche sulle varie problematiche adolescenziali non sembra aver condotto
le popolazioni giovanili verso comportamenti più adeguati. In questo senso, al fine di lavorare
realmente in termini preventivi, non è utile solamente l’informazione ma bisogna riuscire a
direzionare in termini evolutivi i comportamenti dei ragazzi. Parlare di prevenzione in questa
accezione significa mettere in primo piano il gruppo dei pari, poiché esso ha in età adolescenziale un
ruolo fondamentale per orientare processi di crescita e percorsi di sviluppo.
Le esperienze più comuni in adolescenza hanno a che fare con la sperimentazione del rischio. In
questa fase il tema del coinvolgimento diretto nelle azioni di prevenzione e promozione del benessere
è un concetto chiave che può condurre ad una effettiva educazione alla salute. Coinvolgere però
significa anche responsabilizzare, e dunque dare voce alle istanze più spontanee che i ragazzi hanno
da offrire nel contesto scolastico e che attengono a contenuti che esulano quasi completamente dalle
questioni didattiche, per coinvolgere aspetti inerenti la comunicazione sociale, l’interazione emotiva,
il piano delle aspettative e dei bisogni che ciascuno alunno porta con sé.
In quest’ottica l’Unione Europea ha progettato un piano di offerta formativa molto articolato che
prevede per tutti gli Stati membri dei criteri di riferimento per l’istruzione e la formazione, stabiliti
con il limite temporale del 2010 e aventi i seguenti obiettivi specifici:
a. ridurre di almeno della metà, rispetto all’anno 2000,
i. la percentuale dei giovani che abbandonano prematuramente la scuola,
ii. lo squilibrio uomini-donne fra i diplomati nel settore delle matematiche, delle
scienze e della tecnologia, garantendo un aumento significativo del numero
complessivo dei diplomati,
iii. la percentuale dei giovani di 15 anni aventi cattivi risultati nella lettura, nella
matematica e nelle scienze;
b. adoperarsi affinché la percentuale media delle persone di età compresa tra i 25 e i 64
anni, aventi un livello di studi secondari superiori, raggiunga l’80% o più;
c. far sì che nell’Unione Europea il tasso medio di partecipazione all’istruzione ed alla
formazione durante l’intero arco della vita sia pari ad almeno il 15% della popolazione
adulta in età lavorativa.
La Comunità Europea ha inoltre elaborato anche delle apposite linee guida che inquadrano la natura e
le caratteristiche della peer education.
L’Unione Europea e l’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno offerto una serie di indicazioni sulle
competenze psicosociali, convenzionalmente indicate con il termine life skills, che si pongono
l’obiettivo di elaborare e sperimentare strategie di intervento efficaci basandosi sulla promozione
dell’assunzione di responsabilità da parte del soggetto in età evolutiva rispetto alla propria salute.
Le strategie promozionali utilizzabili per facilitare l’apprendimento di life skills comprendono diverse
metodologie formative, tra le quali si sottolinea l’importanza della peer education, che rappresenta
per i ragazzi un’occasione di sperimentare la propria partecipazione e il protagonismo attivo. La
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scuola può essere identificata come il contesto formativo-educativo privilegiato all’interno del quale è
possibile promuovere ed implementare programmi di peer education funzionali a stimolare i ragazzi
ad assumere e gestire un nuovo ruolo, quello di giovani cittadini attivi e responsabili. La peer
education è infatti una specifica metodologia formativa che prevede che un gruppo di studenti
prescelto, afferente ad un gruppo scolastico più esteso, venga appositamente formato e reinserito nel
gruppo di appartenenza al fine di realizzare precise attività che coinvolgano i loro coetanei.
La peer education deve essere identificata in termini di percorso particolarmente innovativo ed
alternativo rispetto ai metodi formativi tradizionali. I ragazzi devono avere la possibilità di assumersi
la responsabilità di ideare, organizzare e gestire iniziative mirate al coinvolgimento del gruppo dei
pari. Ne emerge un quadro in cui la figura del docente assume un nuovo, importantissimo ruolo:
quello di promotore di responsabilità e partecipazione individuale e collettiva. L’insegnante deve
assumersi cioè il compito di accompagnare i ragazzi nella globalità della loro esistenza.
Viene infine analizzata l’esperienza italiana in tema di peer education dal 2000 ad oggi. In Italia è
stato progettato e realizzato, infatti, sotto la guida del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca, il programma nazionale “La Peer Education: una strada europea per la lotta alla droga fra i
giovani del 2000”. Durante tale programma ciascuna scuola ha elaborato e gestito autonomamente, a
livello provinciale, percorsi mirati alle singole classi coinvolte nel progetto, provvedendo alla
formazione specifica con esperti locali, secondo standard e criteri monitorati a livello provinciale e
nazionale. (pp. 101-106)
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Men’s help
Sociologia dei periodici maschili
Federico Boni – Meltemi, Roma, 2004
Questo volume affronta una sorta di viaggio nella precarietà dell’uomo contemporaneo, così come
essa viene proposta dalle rappresentazioni dei men’s lifestyle magazines, i periodici maschili che
negli ultimi anni hanno letteralmente colonizzato le edicole italiane. Tali riviste per uomini si sono
affiancate alle tradizionali pubblicazioni di motori o bodybuilding: più vicine al lettore, più “complici”,
invitano ad una riscoperta edonistica del corpo e ad un crescente consumo di cosmetici e prodotti di
bellezza maschili.
Il testo analizzato vuol capire questo fenomeno piuttosto recente (almeno in Italia), attraverso l’analisi
di alcune riviste tra le più rappresentative della loro categoria («Men’s Health», «Fox Uomo» e «For
Men Magazine»). L’ipotesi principale da cui prende le mosse il volume è che il recente successo, in
continua crescita, dei periodici maschili sia in qualche modo legato al cambiamento delle identità e
delle relazioni di genere degli uomini. Nell’offrire un’ampia gamma di consigli riguardanti la “cura del
sé”, i men’s lifestyle magazines contribuiscono infatti alla produzione e alla riproduzione di un
“ordine corporeo maschile”, che viene realizzato attraverso una complessa serie di “tecniche del
corpo” e “tecnologie del sé”.
Quello che l’autore compie prendendo in esame le più famose riviste del settore è in fondo un viaggio
nell’incertezza e nella precarietà dell’uomo contemporaneo. Un viaggio che parte dalla discussione sul
ruolo della “maschilità” nell’epoca contemporanea, per poi procedere all’analisi delle varie tematiche
presentate nelle riviste (self-help, salute, sessualità, alimentazione, benessere fisico, sport, stile di
vita dell’uomo) e della tendenza alla medicalizzazione in generale del corpo maschile. Infine, il
volume si concentra sulla modalità con cui questi periodici affrontano il rapporto degli uomini con se
stessi, con le donne e con gli altri uomini, arrivando a costruire una sorta di “comunità immaginata
maschile”.
I corpi rappresentati dai periodici maschili che questo volume si propone di analizzare sono corpi “a
rischio”, che le nuove condizioni lavorative hanno messo in pericolo; sono i corpi di individui la cui
identità va costantemente ridefinita e rinegoziata in seguito al crollo di quelle certezze che fornivano
una legittimità a modelli (relativamente) stabili di maschilità e di ruoli sessuali. Sono corpi sottoposti
continuamente allo sguardo scrutinatore delle donne e di altri uomini, resi oggetti da consumare e
usati per veicolare altri beni di consumo (come nelle sempre più frequenti pubblicità dove viene usato
il corpo maschile). Soprattutto, sono corpi su cui viene esercitata una costante cura di sé, sostenuta
da tutta una serie di retoriche che si ispirano a pratiche di disciplinamento, di monitoraggio e di
controllo molto vicine al concetto foucaultiano di “medicalizzazione”.
La progettazione di questi corpi e di queste identità non è né facile né scontata, soprattutto in
un’epoca come quella contemporanea in cui l’insicurezza e l’incertezza sono assurte a un livello
globale. In questo scenario i periodici maschili analizzati dal volume giocano evidentemente un ruolo
di considerevole importanza. Anche le identità di genere infatti vanno continuamente prodotte e
riprodotte, in una performance che richiede una negoziazione e una legittimazione tutte interne alla
società. Insomma: maschi e femmine non si nasce: si diventa. E questo processo diviene uno dei più
significativi all’interno del progetto identitario.
13
È qui che entra in gioco l’importanza di strumenti, come periodici maschili quali «Men’s Health», «Fox
Uomo» o «For Men Magazine», nei quali il lettore cerca una risposta su come affrontare questo
processo progettuale. Di fatto, quindi, la lettura di queste riviste mostra che la maschilità, come
qualunque altro aspetto dell’identità, non è né fissa né data una volta per tutte: ogni pagina di questi
giornali infatti è centrata su come costruirla, non su come è.
Alcuni autori sostengono che tali periodici maschili costituiscono un tentativo di riaffermare una
cultura maschilista in relazione alla “svolta femminista” della cultura contemporanea, ma una lettura
attenta di questi periodici mostra come in realtà, lungi dall’affermare una maschilità egemone fatta di
cultura machista dove le donne vengono considerate come meri oggetti sessuali, i periodici maschili
mostrano una maschilità precaria, che va definita. Possono tranquillamente essere considerati come
uno degli esempi più evidenti dell’idea di maschilità come costruzione sociale, poiché molti articoli
non ripropongono tanto una “cultura fallocrate” quanto piuttosto una sostanziale incertezza della
maschilità e della sua costruzione, e si rivolgono a chi si sente insicuro nel proprio rapporto con
l’altro sesso.
Tale insicurezza si lega a tutta una serie di ansie che i periodici maschili analizzati sembrano fare
emergere in quasi ogni articolo: si tratta, soprattutto, di ansie in relazione al corpo, alla sua salute e
alla sua forma, alla sua prestanza e alla sua bellezza. In definitiva alla sua presentabilità nell’arena
della vita quotidiana.
Questo ruolo di “manuale per l’uso” per la produzione e riproduzione di modelli maschili assunto dai
periodici analizzati si inscrive in uno scenario che è inevitabilmente quello di una società dei consumi:
in altre parole i periodici maschili riflettono una “commercializzazione delle ansie di genere”, dove le
risorse disponibili per affrontare l’incertezza e l’insicurezza della maschilità contemporanea
consistono per lo più in beni di consumo.
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Zona d’ombra
Come i genitori attraversano l’adolescenza
Claudia Bruni, La Meridiana, Molfetta, 2003
Il testo nasce dagli incontri con gruppi di genitori, tenuti nello spazio scolastico dei figli, alla presenza
della Dott.ssa Bruni. Come stimoli sono stati utilizzati brani d’autore evocativi di emozioni, che hanno
aiutato l’identificazione e quindi un processo di rielaborazione della propria esperienza.
Quando i figli crescono i genitori rimangono molto più soli di quanto non lo fossero quando erano
bambini: la scuola media inferiore e superiore non ha la competenza di quella elementare e materna
sulle problematiche affettive e relazionali dei suoi allievi e i diritti e i doveri degli adolescenti non
sono chiari come quelli dei bambini. Inoltre le novità del loro processo di crescita sono rilevanti.
Parola chiave del testo è la nostalgia con cui si trovano a dover fare i conti sia i genitori che i figli: i
primi quando i figli cominciano il loro percorso di autonomia e definizione della personalità, che li
porta inevitabilmente ad allontanarsi e a creare nuovi equilibri nella relazione con i genitori, i secondi
quando, crescendo, devono abbandonare l’infanzia ed elaborare il senso del limite, il distacco, la
differenziazione.
Tutto il lavoro nasce nella convinzione che il confronto con i “colleghi” genitori possa aiutare a
comprendere meglio se stessi, i propri figli, la relazione con loro.
 CAP1: costruzione dell’identità dell’adolescente e distacco dalla famiglia: reazioni possibili dei
genitori (pp.16-24).
 CAP2: differenze tra madri e padri davanti alla crescita dei figli e importanza di figure di
riferimento
maschili e femminili. Bambine e bambini pare abbiano una percezione diversa del distacco (pp.2532).
 CAP.3: il corpo che cambia, l’identità che muta, il look, il linguaggio, la sessualità e come reagisco
e ci si
relazionano i genitori (pp.33-42).
 CAP.4: amicizia e la nascita del mondo extrafamiliare. Nuovo ruolo dei genitori che passano in
secondo piano rispetto agli amici e loro reazioni. Si evidenzia, tra ragazze e ragazzi delle medie, nel
periodo che precede i gruppi misti, una differenza di interessi: i gruppi maschili sono più proiettati
all’esterno, sono indirizzati verso il movimento e il fare, mentre quelli femminili sono più rivolti a
esplorazioni interiori, al parlare, all’essere (pp.43-51).
 CAP.5: sul silenzio degli adolescenti, su quello degli adulti, sui suoi molteplici significati e su come
ci si può rapportare (pp.52-58).
 CAP.6: punizioni, ricompense, dialogo, regole, significati e ripercussioni nella crescita dei “si” e dei
“no” (pp.59-66).
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 CAP.7: la presenza di madri e padri rispetto al rendimento scolastico. In generale emerge che le
madri sono più presenti ed esigenti mentre i padri tendono a delegare e ad essere più tolleranti. Si
suggerisce che la cosa migliore sarebbe che in entrambi ci fosse un atteggiamento normativo e uno
comprensivo. Il capitolo affronta anche il modo in cui gli adolescenti vivono la scuola, luogo di
crescita, di confronto, di relazioni, e lo studio (pp.67-74).
 CAP.8: il futuro, le scelte e come i genitori possono collaborare e aiutare nella definizione dei
percorsi (pp.75-81).
 CAP.9: la rabbia dei figli e quella dei genitori; derive violente; la necessità che l’adulto accetti la
conflittualità e ne aiuti l’elaborazione; gestione delle emozioni; separazione dei genitori e possibili
ripercussioni e reazioni degli adolescenti (pp.82-91)
 CAP.10: si propone una partenza da sé, una rielaborazione della propria storia e del proprio
passato per meglio comprendere i figli e come ci si pone nei loro confronti (pp.92-98).
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Ascoltare Altrimenti
Adolescenti stranieri a scuola
Claudia Bruni – Franco Angeli, Milano, 2007
Da più di dieci anni molte scuole superiori dell’area milanese, in collaborazione con le aziende
sanitarie locali, hanno attrezzato uno sportello di ascolto psicologico per i propri allievi. Negli ultimi
anni vi giungono sempre più spesso ragazzi stranieri le cui ansie, derivanti dall’insediamento in un
nuovo paese, hanno molto in comune con quelle che tutti i ragazzi incontrano nel passaggio dal
paese dell’infanzia a quello dell’adolescenza.
Ma i ragazzi stranieri lasciano due paesi contemporaneamente: quello reale e quello simbolico. Nella
particolare fase adolescenziale l’appartenenza a due culture, che in genere fanno fatica a non entrare
in opposizione, si intreccia con il processo di crescita e lo complica. Per loro dunque è ancora più
importante avere un luogo per celebrare i riti della transizione, dove essere aiutati ad affrontare il
“trauma migratorio”.
Lo sportello di ascolto a scuola si pone come un luogo di prevenzione, preziosamente situato nella
quotidianità, dove ragazzi e genitori possano riuscire a tenere insieme le due equazioni inseparabili
per un immigrato: impregnarsi della cultura del paese che l’ha accolto e rispettare la propria cultura
d’origine.
È più che evidente che tutti gli adolescenti attraversano un momento importante e critico durante il
processo di costruzione dell’identità, processo che avviene attraverso successive identificazioni in
perpetua negoziazione tra il dover essere, legato alle attese del gruppo che, a seconda delle culture,
lascerà più o meno spazio di manovra, e il voler essere, legato alle ispirazioni individuali. Alcuni autori
hanno sottolineato i rischi e le difficoltà di questo processo di costruzione di un’identità, soprattutto
se in situazione di migrazione, ma recentemente si è parlato di un pluralismo coerente e di un’identità
plurale che può far interagire diverse identificazioni, talvolta anche contraddittorie, senza che per
questo nascano conflitti insormontabili.
Trattando il tema del porsi in ascolto del disagio, questo testo è utile per tutte le professioni
cosiddette “di aiuto”. Esso si basa sulla convinzione che il lavoro con i ragazzi stranieri porti ad un
ricchissimo bagaglio di conoscenze, che può aiutare ad ascoltare meglio tutti gli adolescenti. Sono
infatti figure di punta della modernità, di un tempo in continua accelerazione e in cui l’identità è
ormai in un processo dinamico e multiforme. In questo contesto diventa fondamentale avere nei
confronti dei ragazzi stranieri un atteggiamento accogliente e curioso verso la differenza, che ne
faciliti il racconto. È importante attrezzare uno spazio per celebrare con loro il rito della transizione e
aiutarli ad elaborare l’eventuale trauma migratorio.
Il libro ha però degli obiettivi pratici e operativi: ecco perché propone una rassegna di casi e di esempi
significativi sui cui riflettere creativamente alla luce di teorie, concetti ed esperienze che provengono
da diverse voci italiane ed europee.
Il materiale del volume, che presenta i casi che la psicologa autrice del testo ha incontrato nel suo
lavoro con gli adolescenti, viene strutturato in capitoli relativi alle seguenti coppie familiari:
1. Madri e figlie
2. Padri e figli
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3. Fratelli e sorelle
4. Nonni e nipoti
5. Gruppo dei pari e famiglia
6. Psicologo e adolescente
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Educare ad essere donne e uomini
Intreccio tra teoria e pratica
Eleonora Chiti (a cura di) - Rosenberg & Sellier, Torino, 1998
Il libro nasce da un Convegno tenutosi a Grosseto nel 1996, con docenti e ragazzi/e ed è frutto di
un’iniziativa del Provveditorato e della Provincia di Grosseto. Riguarda l’educazione alle pari
opportunità e si rivolge essenzialmente ai referenti delle scuole.
► Lo Stato, l’educazione, le donne. Modelli educativi dall’unità d’Italia ad oggi: in questo capitolo
Claudia Mausolei ripercorre la storia della politica scolastica dello Stato italiano dalla nascita ad oggi
(pp.25-36).
► Parlare e scrivere senza cancellare uno dei due sessi: Adriana Perrotta Rabissi affronta le questioni
relative alla natura convenzionale della lingua, che svalorizza costantemente il femminile. Sottolinea
l’importanza
di un lavoro delle insegnanti volto ad aiutare allieve/i a riconoscere gli automatismi
linguistici che si trasformano inevitabilmente in modelli mentali (pp.37-53).
► Dall’avere al dare, dall’autonomia alla dipendenza: le tappe fondamentali dello sviluppo femminile .
Elvira Reale tratta in questo suo intervento il problema della dipendenza che riguarda molte donne e
che nasce da un processo di inferiorizzazione delle funzioni, attività, capacità di una persona (pp.5571).
► Educare nella differenza. Imparare l’amore di sé e l’amore dell’altra . Elisabetta Zamarchi riflette
sulla necessità di conoscere se stesse, il proprio mondo interiore, sia nelle sue manifestazioni
negative che positive e sull’importanza di ascoltarsi, come condizioni necessarie ad amarsi e di
conseguenza a rapportarsi agli altri (pp.73-81).
► Ostacoli interni ed esterni. Eleonora Chiti pone qui l’accento sulla necessità che le insegnanti
escano dal ruolo neutro di trasmissione di un sapere maschile e che si riappropino di un linguaggio
femminile, dando spazio allo studio delle donne che hanno fatto cultura (nello specifico parla di
letteratura e suggerisce testi di scrittrici) (pp.83-95).
► Gli stereotipi sessisti tra vecchio e nuovo, nella scuola e nella famiglia di Gabriella Rustici: lo
stereotipo primo nella comunicazione tra i sessi è la perdita del segno di genere femminile nella
lingua che, interiorizzato, produce deprivazione, sottrazione di valore. Diventa quindi importante
l’uso del “linguaggio inclusivo” dentro e fuori la scuola come primo segno di una diversità
riconoscibile.
Lo stereotipo tende a permanere e, una volta appreso, in modo automatico, intorno ai 6-8 anni, per
radicarsi nell’adolescenza, diventa resistente al cambiamento; sfrutta le sue caratteristiche di
automatismo anche prevalendo sulle convinzioni personali coscientemente maturate. Lo stereotipo
rischia poi di tradursi in pregiudizio e in azioni discriminatorie.
Critica all’universalità del termine uomo che comprende maschi e femmine, parzialità che assume
valore di verità, decentramento per vedere la cultura come un prodotto storico e non naturale, per
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potersi avvicinare all’altro, meccanismo cognitivo funzionale allo studio di tutti gli aspetti della realtà
e quindi attivabile in ogni ambito disciplinare come acquisizione metodologica fondamentale per
conoscere le diversità etnico-culturali e per praticare relazioni basate sul riconoscimento e sulla
valorizzazione delle varie identità.
Alla scuola si chiede anche di aiutare a superare una definizione stereotipata del materno come del
paterno, per arrivare a una nuova definizione di genitorialità, non come categoria che assorbe i due
termini ma che li mette in relazione.
Pone anche la questione della necessità di avere spazi (che secondo lei dovrebbero essere separati tra
maschi e femmine), dentro la scuola, che consentano l’espressione del corpo e delle emozioni (pp.97109).
GRUPPO DI LAVORO SU NIDI E SCUOLE D’INFANZIA
Sono state raccontate le esperienze fatte a Pistoia: insegnanti e genitori si sono raccontati,
confrontando esperienze vissute e concentrandosi sulla differenza e sull’uguaglianza nella differenza.
Questo metodo consente di prendere atto delle proprie competenze e di mettere in gioco emotività e
conflitti a cui segue poi il discorso teorico e operativo (pp.125-126).
GRUPPO DI LAVORO SULLE SCUOLE ELEMENTARI
Il discorso si è concentrato sull’importanza di trovare un modo di fare scuola che parta dal corpo ma
anche sulla necessità di ripensare il rapporto tra colleghe. Hanno concordato sul fatto che
un’educazione nella differenza deve affrontare il problema degli stereotipi (pp.126-127).
GRUPPO DI LAVORO SULLE SCUOLE MEDIE INFERIORI
Sono state affrontate le differenza tra le scuole di città e quelle rurali. E’ emerso come nelle prime la
sfera emotiva e relazionale sia diventata marginale, mentre il problema principale delle scuole dei
centri rurali è il permanere di ruoli definiti e competenze maschili e femminili. Per entrambi i tipi di
scuola i/le partecipanti si sono trovati/e d’accordo nel privilegiare il rapporto con le famiglie piuttosto
che quello con enti esterni. Da recuperare infine sia la relazione di confronto tra insegnanti che la
manualità come sapere (pp128-130).
GRUPPO DI LAVORO SULLE SCUOLE MEDIE SUPERIORI
E’ emerso che parlare di pari opportunità significa mettersi in discussione, capire prima di tutto la
propria identità, che tipo di messaggio viene offerto alle alunne e agli alunni per affermare l’esistenza
di due soggetti autonomi.
20
Educazione e mutamento
Valori, pratiche e attori in un’epoca di trasformazioni
Maddalena Colombo (a cura di) – Roma-Catania, 2005
Nell’ambito della scuola vi sono significativi cambiamenti in atto sia sul versante dell’architettura
scolastica, sia sul versante della domanda sociale di istruzione (per esempio la presenza sempre
maggiore di stranieri in tutti gli ordini di scuola e il “sorpasso femminile” nei tassi di scolarizzazione),
sia per quanto riguarda le professionalità scolastiche. A livello istituzionale, dopo la tanto discussa
legge Berlinguer (L. 30/2000) si è giunti alle modifiche attuate dall’ex Ministro dell’istruzione Moratti
(L. 53/2003), e, dopo la riforma del 1998, anche l’ambito universitario si è modificato in maniera
sostanziale, così come sono state introdotte varie novità nell’ambito della formazione professionale
(apprendistato, tirocini formativi, ecc).
Di conseguenza, per governare tali cambiamenti, l’unica via perseguibile è la sperimentazione di
figure educative differenziate e di modelli formativi “locali”. Nei vari settori dell’educazione però, pur
lavorando simultaneamente alla costruzione di un sistema educativo integrato, sono presenti
numerosi fattori di resistenza e di inerzia, ma anche, al contempo, di innovazione spinta e di
conquista rapida dell’eccellenza. Ciò comporta il mantenimento di disuguali livelli di qualità,
disuguaglianze che sembrano neutralizzare gli scopi dell’universalizzazione dell’educazione. Quindi,
da un lato vi è un cambiamento spinto, una labilità e una turbolenza dei processi di mutamento,
dall’altro una serie di vincoli strutturali che frenano in sostanza il cambiamento in atto.
Alla luce di questo quadro, le analisi sociologiche sviluppate negli ultimi anni mettono in luce che il
cambiamento imposto ai luoghi dell’educazione, nonché il suo ritmo accelerato, stanno esercitando
notevoli tensioni sui valori, sulle pratiche e sui protagonisti dell’educazione, producendo incertezze
ed ambiguità riguardo ai punti di riferimento per l’azione educativa e ai limiti e alle potenzialità dei
contesti di apprendimento.
La Sezione di Sociologia dell’educazione dell’AIS - Associazione Italiana di sociologia, attiva da
decenni nella riflessione sui contesti sociali dell’educazione, ha attuato nel 2004 una serie di incontri
seminariali, durante i quali i partecipanti hanno affrontato questioni sia di carattere teorico, sia
empirico che metodologico. Il volume raccoglie pertanto i contributi dei sociologi italiani impegnati
attraverso indagini sul campo a “misurare” e “interpretare” il mutamento.
Gli interventi sono suddivisi in tre sezioni, che corrispondono ai diversi campi di analisi proposti, cioè
i valori, le pratiche e gli attori.
1. Nella sezione “Valori” si raccolgono due saggi che aprono prospettive nuove di fronte ai temi
teorici del “fare educazione”, ma anche a questioni dibattute all’interno della teoria sociologica
corrente. In questa sezione sono emerse alcune problematiche: tra queste la difficoltà a
considerare i valori fondativi dell’educazione come modelli chiari e condivisi, a causa della
pluralizzazione dei sistemi di senso e della contraddizione latente tra le filosofie ispiratrici e le
prassi concrete, sia a livello strutturale sia a livello individuale.
2. La seconda sezione “Pratiche” raccoglie gli stimoli provenienti da numerose ricerche empiriche,
che hanno inteso misurare dal punto di vista del sistema scolastico i mutamenti più
significativi avvenuti nella scuola contemporanea. I temi trattati hanno in comune la
21
preoccupazione generale per la qualità dell’istruzione, una questione cardine per la
sopravvivenza del sistema e la sua legittimazione sociale, sia in termini di consenso per le
riforme, sia in termini di capacità di ottenere i risultati. I diversi contributi illustrano una serie
di “pratiche valutative” per monitorare la qualità del sistema scolastico e, se possibile,
migliorarla e ne discutono non solo i problemi di validità (in pratica l’aderenza al contesto
mutevole di oggi) ma anche l’uso sociale, ai fini di un miglioramento del sistema complessivo.
È certo infatti che nessuno strumento valutativo dei processi e dei risultati educativi possa
essere impiegato senza un opportuno atteggiamento prudenziale e critico. Si può però
constatare il lento diffondersi della cultura della valutazione come momento integrante
dell’educazione e della sua legittimazione sociale, ancora una volta per la resistenza dei
soggetti e la scarsità di indicatori affidabili, che lasciano sempre “in ombra” settori importanti
dell’esperienza educativa.
3. Nella terza sezione “Attori” sono rappresentate sia soggettività tradizionalmente al centro della
riflessione sociologica (gli insegnanti) sia soggettività emergenti (gli studenti, gli istituti). In
quest’ultima sezione si evidenzia la crisi delle definizioni tradizionali dei ruoli scolastici e
l’affannosa ricerca di nuove etichette, rappresentazioni e linguaggi per comunicare nel mondo
dell’istruzione.
Il testo vuol cercare in definitiva di dare un immagine recente sul mondo scolastico ed educativo e le
sue capacità di rispondere ai bisogni emergenti nella società della globalizzazione. Se è vero che
emergono molte problematiche, numerose sono altresì le esperienze che tentano di risolverle. Nel
testo si è tentato infatti di tratteggiare anche il “volto buono” della scuola oggi: quello fatto di
capacità di adattamento, di volontà innovativa, di attitudine a conservare sempre, di fronte al
mutamento, una certa indispensabile “eredità” per funzionare e perseguire i propri obiettivi
soprattutto in considerazione del fatto che l’educazione è un bene pubblico.
22
Riflessività e creatività nelle professioni educative
Una prospettiva internazionale
Maddalena Colombo (a cura di) – Vita e Pensiero, Milano, 2005
L’epoca odierna è caratterizzata dall’individualizzazione e dai processi di globalizzazione, che
spingono gli individui verso il bisogno di distinzione, di identificazione e di appartenenza. La cultura
ha così assunto una posizione centrale nell’agire sui fenomeni odierni per modificarli, migliorarli e
distribuirli. Tale centralità della cultura ha indotto a sviluppare il tema della riflessività, che
rappresenta la “capacità del pensiero umano di trarre conseguenze dall’oggetto del suo pensare”. Il
tema della riflessività è oggi al centro di un ampio dibattito nelle scienze filosofiche e sociali, in
quanto gli effetti di questa nuova consapevolezza interessano i cosiddetti “custodi della cultura”, che
si possono distinguere tra:
1) professionisti;
2) ricercatori e scienziati;
3) insegnanti, educatori e formatori.
Il volume analizzato è dedicato in particolare a quest’ultima categoria. Il nuovo “attore sociale della
formazione”, infatti, è un professionista riflessivo, che adotta metodi, tecniche e approcci specifici per
applicare la riflessività all’esperienza e al proprio pensare.
Oltre alle caratteristiche di circolarità, unicità e dimensione temporale, la riflessività è caratterizzata
anche dalla creatività. La riflessività è con ogni evidenza un atto creativo, che mette in discussione le
norme sociali e le teorie implicite, e a ben vedere tutto il progresso scientifico, pur dominato dalla
razionalità tecnica, è dipeso da processi creativi. Negli ultimi secoli, pertanto, la creatività è stata
usata abbondantemente per garantire la modificabilità continua del presente.
La creatività comporta un’innovazione rispetto a ciò che esisteva in precedenza, dunque richiede
un’adeguata cornice istituzionale, che dia valore al rapporto tradizione-innovazione. Non si può
infatti creare il “nuovo” se non ci si basa su ciò che è considerato “vecchio”. Sviluppare processi di
creatività significa pertanto, dal punto di vista del mutamento culturale, creare interconnessioni,
suscitare reti e rimandi di significati che modificano il bagaglio della tradizione.
Sono gli insegnanti a rappresentare il caso emblematico nello scenario moderno, in quanto attori che
operano necessariamente all’interno di una tradizione culturale e professionale ben consolidata.
Questa comunità professionale, ampliamente toccata dalla sfida della riflessività, si trova a dover
affrontare una diffusa insoddisfazione verso il proprio ruolo e una crisi dell’identità professionale. È
proprio lo spostamento verso un approccio più creativo ai compiti professionali che implica
un’acquisizione di conoscenza e autocoscienza, maggiore libertà professionale e assunzione di
responsabilità verso i risultati del proprio lavoro.
Questo volume, che analizza in una prospettiva sociologica e pedagogica la figura del professionista
riflessivo nell’ambito educativo, è costituito da una serie di saggi, che rappresentano il risultato di un
percorso di lavoro comune tra gli autori. Esso si propone di presentare una sorta di “repertorio” di
base, sia concettuale che metodologico, sulla riflessività e le sue applicazioni, attraverso una chiara
impronta multidisciplinare e internazionale.
Il testo è suddiviso in tre parti.
23
La prima parte (Conoscenza e professionalità nel quadro della modernalizzazione riflessiva ) contiene
tre riflessioni teoriche che danno conto di come si applica la nozione di riflessività nella lettura del
quadro sociale e culturale contemporaneo, con un’attenzione particolare alle problematicità che
questo comporta.
La seconda parte (Professioni educative nel contesto italiano), dedicata alle professioni educative nel
contesto italiano, racchiude quattro contributi che applicano in modo più contestualizzato il principio
della riflessività, con particolare riguardo agli insegnanti e ai coordinatori di risorse umane.
La terza parte (Professioni educative nel contesto europeo), dedicata all’aggiornamento professionale
mediante l’approccio riflessivo in alcune realtà europee, comprende tre contributi. Gli autori sono
docenti presso vari istituti universitari ad Alta Formazione in Inghilterra, Norvegia e Belgio, ed hanno
avuto modo di applicare diverse metodologie riflessive con i propri studenti, generalmente
professionisti della formazione e insegnanti. Questi tre saggi in lingua originale hanno l’intento di
dimostrare la distanza tra il quadro italiano e quello di altri Paesi dove le pratiche riflessive sono state
più a lungo sperimentate e dove la riflessione teorica ha potuto raggiungere un livello maggiore di
elaborazione.
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Il pendolo intergenerazionale
La socializzazione al genere in famiglia
Isabella Crespi – Unicopli, Milano, 2003
Il volume considera i dati emersi da una ricerca sociologica condotta su un campione di
1500 adolescenti e 20 genitori di ragazzi e ragazze. Il filo rosso della riflessione coglie la
socializzazione come un processo relazionale che sviluppa una dimensione identitaria
maschile o femminile trasmessa attraverso le generazioni. La dimensione del genere e
quella familiare rappresentano al contempo una risorsa e una sfida per lo sviluppo
dell’identità degli adolescenti e per la loro socializzazione. La ricerca mette in luce, da un
lato, che i genitori si trovano a mediare tra il mantenimento del modello ricevuto e
l’emergere di nuovi e differenziati stili di socializzazione. Dall’altro gli adolescenti, alla
ricerca della propria identità, oscillano tra l’ancorarsi nel “rifugio sicuro” di una visione
stereotipata (soprattutto i maschi) e la sperimentazione di nuove appartenenze
(soprattutto le ragazze). La trasmissione intergenerazionale può essere espressa con
un’immagine, quella del moto del pendolo: esso si muove tra le generazioni “spostando”
esperienze di vita e aspettative per il futuro di uomini e donne , di ragazzi e ragazze. I
genitori trasmettono il modello di genere ricevuto dalla propria famiglia, mediandolo però
con le esigenze e le esperienze dei loro figli, in un modello continuo di rielaborazione dei
contenuti della socializzazione al genere. Gli esiti sono diversi, a volte incerti, a volte
positivi, a volte problematici.
Il libro si articola in una prima parte teorica e in una seconda in cui sono esposte le
ipotesi, le elaborazioni dei dati e i risultati della ricerca:
1. cap.1 (pp.19-66): vengono individuati i nodi cruciali della problematica in
questione,
analizzando
le
trasformazioni
della
società
contemporanea,
la
questione del genere tra omogeneizzazione e nuove differenze, l’adolescenza e il
rapporto con la famiglia, l’identità e le differenze di genere all’interno della
famiglia, la socializzazione al genere.
2. cap.2 (pp. 67-102): si affronta la relazione che gli adolescenti hanno con i genitori
(dialogo con madre e/o padre su diversi argomenti, percezione della comprensione
di madre e padre, percezione della propria autonomia, stima e fiducia nei confronti
del padre e della madre, aspettative dei figli e dei genitori sulla carriera scolastica
dei figli per genere,…), le aspettative rispetto al proprio futuro (emerge il
disinteresse per l’impegno nella sfera della politica e della religione e appare
invece fondamentale la dimensione familiare e quella affettiva), gli stereotipi
relativi alla vita familiare
3. cap.3 (pp.103-125): gli adolescenti maschi tra rischio e conformità e le adolescenti
femmine tra tradizione e autonomia. Per entrambi i generi si individuano delle
“classi” con caratteristiche specifiche in cui rientrano gli/le intervistati/e
4. cap.4 (pp.127-169): le interviste ai genitori. Si affronta il rapporto con i propri
figli, le differenze che emergono tra madri e padri nel porsi rispetto a diverse
questioni, la complicità e gli
incroci di genere (i genitori si collocano
25
sostanzialmente
su
3
posizioni
differenti:
quelli
che
adottano
uno
stile
comportamentale indifferenziato, quelli che preferiscono fare delle parziali
differenze e quelli ritengono opportuno usare diversi stili educativi con ragazzi e
ragazze), i “ruoli di genere” in famiglia, la trasmissione dei modelli di genere in
relazione al loro trascorso e alla luce delle trasformazioni sociali.
26
I confini mobili della giovinezza
Nicola de Luigi - Franco Angeli, Milano, 2007
Il testo esplora e analizza in maniera capillare il contesto, tipico di una realtà postmoderna di
globalizzazione in cui tuttavia risultano marcate le peculiarità territoriali (come quella del contesto
italiano). Punto cruciale del testo è: esiste un dilazionamento della giovinezza che rende questo
concetto sempre più indefinito e indeterminato.
Il testo si basa su un’indagine che ha coinvolto un campione di 1000 giovani dai 15 ai 29 anni
residenti in un’area della cosiddetta “Terza Italia” (Nord Est e Centro, caratterizzata da un’etica del
lavoro basata sulla laboriosità, della disciplina e del risparmio [etica contadina] e da una forte
dimensione associativa): l’area considerata è provincia di Forlì – Cesena. L’indagine è finalizzata a
indagare il rapporto delle giovani generazioni con il mondo del lavoro, nei seguenti termini: i
cambiamenti delle condizioni e delle aspettative delle giovani donne; le trasformazioni del rapporto
delle giovani generazioni col lavoro; la presa di distanza delle nuove generazioni dai luoghi e dalle
forme di aggregazione tipiche della subcultura dominante.
Parole e concetti chiave:

incertezza; maggior libertà corrispondente però a maggior individualismo e instabilità (anche
in concomitanza col venir meno di reti sociali e welfare, specie nel nostro paese, che
penalizzano in particolare donne e giovani); dinamismo e infinita gamma di vite possibili che
riduce la prevedibilità e la possibilità di creare percorsi istituzionalizzati in grado di definire un
percorso di vita “normale” (de-istituzionalizzazione della vita sociale che si traduce in
vulnerabilità); maggior esposizione degli individui alle dinamiche di mercato; precarietà
lavorativa che si traduce in instabilità anche in altri settori; accento maggiore sulla
responsabilità individuale e minore sulla solidarietà tra classi. Retorica della flessibilità:
adattamento.

Di conseguenza, la giovinezza, con le caratteristiche di attesa e semidipendenza che assume
in sé, diventa un concetto indeterminato (vengono considerati “giovani – adulti” anche i 3040enni) e i percorsi di transizione assumono un carattere reversibile e frammentario. Questo
avviene perché non si verifica più il modello tradizionale, per cui il passaggio alla vita adulta
corrispondeva all’uscita dal percorso di studio e all’entrata del mondo del lavoro da un lato,
mentre d’altra parte lo status di adulto veniva sancito dall’uscita dalla casa dei genitori per
vivere col coniuge (non c’è più sincronismo ma una molteplice gamma di scelte, che spesso
hanno il carattere della reversibilità: oggi si può tornare indietro rispetto a scelte un tempo
considerate definitive – metafora dello yoyo: modello yoyoisation). “Se si assumono come
riferimento i tradizionali 5 criteri (fine degli studi, assunzione di un ruolo lavorativo stabile,
uscita dell’abitazione dei genitori, costruzione di una nuova famiglia e assunzione di un ruolo
genitoriale), il numero di ventenni e trentenni che oggi si possono qualificare come adulti è
piuttosto ridotto, specie in Italia” (p.69).

L’Italia è uno dei mercati del lavoro meno ospitali, e penalizza in particolare, paradossalmente,
i laureati. Nel nostro paese inoltre, rispetto a quanto accade in altre realtà europee, è più
frequente che all’uscita dalla casa dei genitori segua immediatamente l’entrata in casa dei
27
genitori. Naturalmente la situazione in Italia si differenzia a seconda delle aree geografiche, e
non è possibile ricondurla a un modello nazionale unitario.
Alcuni punti cruciali dell’indagine:

Nell’area considerata negli ultimi 50 anni il tasso di scolarizzazione, anche femminile, è
aumentato considerevolmente. Il titolo di studio è in diretta correlazione con quello
conseguito dai genitori. Nella scelta delle facoltà universitarie, il dato vede una prevalenza di
ragazze che scelgono percorsi di tipo umanistico e di ragazzi che prediligono percorsi tecnico
– scientifici.

Il tipo di opportunità occupazionali offerte dall’area favoriscono un contatto molto precoce con
il mondo del lavoro. Emerge una certa segregazione verso la componente femminile (a parità
di mansioni svolte e di qualifica professionale, il titolo di studio delle ragazze è più elevato di
quello dei ragazzi). Le donne hanno inoltre più difficoltà a ottenere contratti di lavoro stabili.
Anche l’atteggiamento verso il lavoro è generalmente differenziato rispetto al genere, se i
ragazzi tendono a essere più “carrieristi” (danno importanza sia al lavoro sia alla carriera), le
ragazze hanno un atteggiamento più “impegnato” (danno importanza al lavoro, ma non alla
carriera). In generale, il lavoro non assume una dimensione di centralità ma è uno strumento
utile ad acquisire le risorse necessarie per le alter sfere della vita.

Per quanto riguarda la sfera politica l’orientamento generale propende verso il centro sinistra
(i due terzi degli/delle intervistati/e si collocano in questo orientamento). Vi è comunque una
generale sfiducia nella politica e nel sistema partitico e di rappresentanza, a fronte di una
grossa partecipazione al mondo associativo e solidale.

Tra ottobre 2005 e gennaio 2006 sono stati inoltre intervistati (analisi qualitativa) ragazze e
ragazzi nati nel 1971, 1976 e 1981, ed è stato chiesto loro di raccontare la propria esperienza
professionale. Sono stati quindi intervistati alcuni testimoni privilegiati del territorio, attori
centrali delle dinamiche del mondo del lavoro. Per analizzarne le storie di vita, sono state
esaminate tanto la dimensione soggettiva (stabilità o instabilità contrattuale) quanto la reale
aderenza del percorso professionale alle aspettative del soggetto.
28
Verso un sistema educativo integrato
Severino de Pieri (a cura di) – Franco Angeli, Milano, 2002
L’idea di integrazione si presenta come una modalità permanente del vivere oggi, un valore che è
fondamento di scelte sia metodologiche che culturali.
Nel momento in cui si è cercato di attuare la riforma scolastica si è scoperto che proprio nella scuola
dell’autonomia era possibile salvaguardare la diversità e costruire un sistema educativo aperto e
flessibile, che esalta la diversità. Il banco di prova di tale sistema educativo è l’educazione
interculturale, che costituisce la risposta teorica alla presenza nella realtà sociale e scolastica italiana
degli appartenenti a culture “altre”.
Il testo sviluppa, sottoforma di un saggio conclusivo di un incontro internazionale di studio, la
tematica dell’integrazione all’interno del sistema educativo costituito dalle scuole del territorio, in
regime di autonomia e parità. Il fine ultimo di tale testo è trasferire, dentro i processi di cambiamento,
i riferimenti ideali e storici ispirati al Vangelo e alla dottrina sociale della Chiesa. La realtà delle scuole
libere cattoliche, infatti, fiorenti in particolare nel Nord Est italiano, invita a promuovere patti educativi
e sinergie tra molteplici soggetti e istituzioni.
Il testo avanza quindi la tesi per cui la scuola non statale paritaria, specialmente quella promossa
dalle istituzioni religiose ed ecclesiali, non può restare ancorata al passato, ma deve rinnovarsi,
divenire competitiva, innovativa e creativa. L’ispirazione cristiana, a parere del testo, lungi dal
condizionare la libertà di coscienza, persuade ad operare nelle modalità della scuola come comunità
educante contro qualsiasi prassi individualistica o gruppettaria. Grazie al patrimonio culturale della
tradizione cristiana, infatti, le scuole cattoliche possono offrire ai giovani valori e criteri di
interpretazione della vicenda umana dell’oggi.
Le parti che articolano il volume sono tre e sono tra loro strettamente collegate:
PRESUPPOSTI FONDAMENTALI PER COSTRUIRE UN SISTEMA EDUCATIVO INTEGRATO
-
Cultura e umanizzazione: le sfide per una scuola aperta all’integrazione
La cultura viene vista come una via all’umanizzazione e come un’importante sfida per una
scuola che sia veramente aperta all’integrazione.
-
L’apporto del progetto culturale della Chiesa italiana nel sistema educativo integrato
Il progetto culturale della Chiesa italiana si fa portavoce dell’importanza di sviluppare le radici
cristiane all’interno della cultura italiana ed europea.
-
Autonomia della scuola statale e non statale: il caso Nord Est
L’integrazione perseguita viene sostanziata da un’autonomia complessa, esemplificata nel
testo dal caso del Nord Est italiano, visto come fenomeno di localismi che caratterizzano i
percorsi dell’autonomia scolastica in rapporto a contesti estremamente diversificati.
-
Scuola e giovani: l’identità difficile
Viene affrontata la questione della difficoltà odierna di creare un proprio progetto di vita
all’interno di un futuro così incerto, carico di insicurezza e di rischio sociale. In questo ambito
si sviluppa il tema della difficile identità delle giovani generazioni in cui si gioca il processo di
integrazione nell’autonomia.
29
-
Progettazione educativa e territorio
La progettazione educativa viene vista come strumento principale del processo di integrazione,
al fine di mettere l’autonomia dentro un percorso di intenzionalità puntuale ed efficace riferita
al territorio.
PROTAGONISTI NELL’ATTUAZIONE DI UN SISTEMA EDUCATIVO INTEGRATO
1) La partecipazione dei genitori alla scuola
Si sostiene la tesi che i genitori siano parte integrante nella formazione di un sistema educativo
integrato. Essi devono essere formati alla partecipazione, mentre gli insegnanti devono essere
consapevoli della necessità che i genitori entrino a far parte dell’educazione a scuola.
2) Il parere degli studenti
Anche gli studenti devono essere attori del sistema educativo integrato e il loro parere è
essenziale, purché sia autentico e autonomo.
3) La formazione professionale
Un sistema educativo integrato deve tener conto anche della formazione professionale come canale
in cui assolvere all’obbligo scolastico.
4) Le istituzioni scolastiche
Si sottolinea la necessità di ascoltare i docenti e farli divenire attori e protagonisti del sistema
educativo integrato.
5) L’Università: studenti e docenti
L’Università ha un ruolo essenziale nel sistema educativo integrato in quanto rappresenta il
coronamento del processo formativo, di importanza fondamentale per lo sviluppo dello studio e della
ricerca nel nostro paese.
6) Gli imprenditori
Nel sistema educativo integrato gli imprenditori sono chiamati a divenire formatori, al fine di
incentivare una formazione continua dei lavoratori.
“LE BUONE PRATICHE”
In questa parte del testo viene documentato come, nell’attuazione di un sistema educativo integrato,
si stiano sperimentando alcune vie nuove di realizzazione.
Tra queste “buone pratiche”, vengono menzionate:
-
Impianto valoriale, metodo e applicazione alle lingue straniere.
Collegio Vescovile Barbarico – Padova
-
I Nuovi Saperi. Sperimentare l’integrazione disciplinare: il modulo integrato di raccordo tra
biennio e triennio. “Mythos e logos: rappresentazioni della natura”.
Liceo Ginnasio Statale G.B. Brocchi – Bassano del Grappa
-
Sperimentazione: una scelta di eccellenza.
Istituto Don Bosco – Padova
-
Un centro orientamento di qualità.
Istituto Astori – Mogliano Veneto
-
Esperienze di percorsi integrati nella formazione Professionale.
Istituti professionali
-
Scuola/lavoro stage: storia di un progetto.
30
I.I.S. E.U. Ruzza – T. Pendola - Padova
Infine si precisa l’esigenza della parità scolastica per costruire un sistema educativo integrato. Ci deve
essere infatti un sostanziale rispetto dell’uguaglianza a tutti gli effetti dell’apporto di entrambe le
scuole, statale e paritaria, per dare un’effettiva consistenza e significato a tutto il sistema educativo
italiano.
31
MODELLI CULTURALI E DIFFERENZA DI GENERE
Gioia di Cristofaro Longo, Luciana Mariotti (a cura di) - Armando, Roma, 1998
Il volume presenta alcuni saggi sulle tematiche teoriche che hanno portato alla ridefinizione
dell’identità di genere femminile che, al giorno d’oggi investe anche quella maschile.
IDENTITA’ DI GENERE MASCHILE E FEMMINILE di Gioia di Cristofaro Longo
Il primo capitolo è centrato su una rilettura dei miti appartenenti sia alla mitologia che alla religione,
ed offre quindi le basi di una ricostruzione storico-culturale che, individuando l’origine del sessismo
nella cultura dei popoli, fonda contemporaneamente gli assi di una storia per la prima volta non
segnata dal giudizio antifemminile. All’origine del maschilismo, secondo un’opinione diffusa tra
molte/i studiose/i sta l’invidia per la capacità di procreare.
RICERCHE SULLA PERCEZIONE DEL MUTAMENTO DI IDENTITA’ NEI GIOVANI:
è stato chiesto a ragazze e ragazzi di definire sia la donna che l’uomo. Il risultato mette in luce
l’esistenza di due codici culturali profondamente diversi.
I modelli culturali emergenti per le donne sono:
1. modello della discriminazione: consapevolezza e individuazione nell’uomo culturale del
responsabile;
2. modello della parità: valore;
3. modello dell’orgoglio dell’appartenenza di genere: novità culturale degli ultimi anni.
Hanno inoltre riscoperto la maternità come esperienza distintiva ma non esclusiva del proprio
genere, e hanno grandi aspettative rispetto al lavoro.
I modelli culturali emergenti per gli uomini:
4. modello
della
discriminazione:
riconoscimento
della
discriminazione
delle
donne
accompagnata però dal timore di un rovesciamento che potrebbe portare a una
discriminazione degli uomini;
5. modello della parità: se ne riconosce la validità ma emerge la preoccupazione di un
mutamento considerato troppo radicale, che a volte si traduce in vero e proprio sentimento
di invidia nei confronti della donna, che viene avvertita come forte e autosufficiente;
6. modello della crisi di ruolo: emerge chiaramente la percezione di una crisi di ruolo del
modello maschile. I ragazzi si sentono prigionieri del vecchio modello ma spiazzati
dall’avanzare degli elementi che scardinano il modello tradizionale. Gli uomini sono
incamminati verso una nuova identità nella quale vecchio e nuovo si combinano in modo
inedito, tra rotture, persistenze e resistenze.
RAPPORTO DONNE E MASS-MEDIA: sottorappresentazione delle realtà femminili positive nella società
e sovrarappresentazione della donna oggetto, simbolo sessuale. Vista l’influenza, soprattutto della
televisione, nella costruzione del patrimonio culturale di riferimento; in particolare per i piccoli e per i
giovani la situazione è sempre più drammatica. (pp. 9-52)
PROCESSI EDUCATIVI E DIFFERENZE DI GENERE di Matilde Callari Galli
Dai dati di alcune ricerche svolte in anni recenti si evince che nelle abitazioni e nelle istituzioni della
prima infanzia viene riproposta la gerarchia dei sessi: si ascoltano di più i maschi, a loro viene dato
32
più spazio di intervento, gli è concesso un comportamento più apertamente aggressivo, la loro
curiosità, a livello fisico e intellettuale è più favorita. Alle femmine viene trasmesso il modello della
compagna piacevole, dell’accettazione delle iniziative dell’adulto o del compagno maschio, della
sicurezza trovata nel silenzio e nella dolcezza.
La storia che ci viene raccontata, e con essa tutto il sistema di valori che si crea, è l’interpretazione di
una selezione, accurata e mirata, di un infinito numero di fatti. Si intreccia con i risultati provenienti
da diverse discipline, ma viene presentata senza esitazioni, senza criticismo, seguendo un percorso
lineare in cui aggressività, forza e violenza costituiscono le qualità vincenti. La strada da intraprendere
è probabilmente quella di spezzare la costante contrapposizione che dal rapporto tra i sessi dilaga ad
ogni altro rapporto con la diversità.
Da qualche decennio si sta tentando di realizzare nella nostra società un processo educativo che,
rispetto all’appartenenza di genere, si pone almeno a livello esplicito come egualitario e che ha
prodotto mutamenti profondi nel costume, nel pensiero e nella vita individuale di molti uomini e di
molte donne. Ma l’educazione differenziata e discriminante rimane largamente presente nella
trasmissione culturale anche all’interno delle stesse istituzioni scolastiche: suddivisione di tempi e
spazi, aspettative diverse che gli adulti riservano ai bambini e alle bambine, linguaggio dei libri di
testo. Solo le abilità e le qualità conoscitive e intellettuali riferite al “modello maschile” sono
valorizzate nel percorso educativo “egualitario”. Il modello educativo, che regola i comportamenti
sociali dei due sessi, non consente all’individuo di poter esplicitare propensioni, capacità e abilità che
sono distribuite fra i sessi in modo variegato. Diffondere una cultura che dia valore alle differenze,
che sostituisca gli astratti valori di uguaglianza con un’ottica di pari opportunità, significa
necessariamente partire dalla proposta di un nuovo rapporto tra i sessi.
Ma spesso si insegna un rapporto tra i sessi che poi si nega con la propria prassi di vita davanti agli
allievi. E se così non fosse ci pensa la vita “pubblica”, la rappresentazione “collettiva” e
l’organizzazione sociale (si fa riferimento alle pubblicità televisive di giocattoli in cui i ruoli
stereotipati di separazione delle attività e delle capacità vengono riproposti anche nelle attività
ludiche e anticipano i successivi modelli di identificazione per adolescenti che si trovano nelle
telenovelas, nei fumetti, nei “romanzi d’amore”). (pp. 53-84)
ANCORA SUL PRAGMATISMO DELLE DONNE di Amalia Signorelli
Punto di partenza dell’autrice è un testo di Ann Cornelisen Women of the Shadows, nel quale l’autrice,
mantenendo costante il punto di vista femminile, riesce a rendere visibili le dinamiche di un
complicato processo: come sia la realtà sociale dei paesi di montagna lucana a produrre queste
donne; ma, al tempo stesso, come sia il vivere, l’agire, il pensare di queste donne a produrre la realtà
sociale dei paesi della montagna lucana.
Per sintetizzare l’insieme di caratteristiche che hanno in comune, Cornelisen ripete più volte « peasant
women are pragmatic». Le donne cioè, e non solo quelle contadine, hanno senso pratico; e la pratica è
il regno delle donne. Questo è un luogo comune assai diffuso e condiviso, che fa spesso concludere
che le donne sono inette alla teoria, che abbiano la testa vuota.
Esiste però il pragmatismo delle donne, che secondo l’autrice non è l’attitudine delle donne alla
pratica, ma piuttosto una filosofia nel senso di una concezione del mondo e della vita. L’autrice vuole
portare argomenti a favore dell’ipotesi che la produzione culturale delle donne, il loro pragmatismo,
sia interno alla relazione di potere che si instaura nel campo culturale; e che esso giochi una parte nel
produrre e riprodurre, ma anche nel modificare, condizioni di dominio e di sottomissione.
33
Attraverso l’analisi dei casi di alcune donne protagoniste dello studio di Cornelisen, l’autice vuol
mostrare come l’agire femminile non sia la meccanica applicazione di formule di routine, di un
conformismo al quale sarebbero state addestrate fin dall’infanzia e che ripeterebbero acriticamente;
né è, il loro agire, un susseguirsi di fiotti di sentimento filiale, coniugale o materno, come vorrebbe
un’interessata retorica, dura a morire. Si scopre così che l’agire delle donne è “sensato”.
L’autrice inoltre si interroga sul perché le donne in genere sembrano inclinare verso il pragmatismo.
Adottando
una
prospettiva
funzionalista
esso
sembra
corrispondere
alle
parti
pressoché
universalmente assegnate alle donne nei differenti sistemi sociali di divisione del lavoro: il lavoro della
riproduzione e quello di sostituzione. Entrambi devono necessariamente radicarsi e orientarsi
all’interno di una concezione pragmatista, poiché si legittimano in base ai risultati che producono.
Si nota infine che dallo scontro contro il razionalismo e l’idealismo maschili, il pragmatismo delle
donne sembra uscirne sconfitto. Ma è solo se se ne valuta la funzione sociale e se lo si mette in
relazione al lavoro di riproduzione e di sostituzione che esso mostra la sua ragion d’essere e la sua
logica interna. (pp. 85-105)
IL CORPO ECCENTRICO. IMMAGINI DELLA DONNA NELLA GRECIA CLASSICA: TRA MEDICINA E
LETTERATURA di Letizia Bindi
L’autrice vuol ricostruire il quadro della corporeità femminile all’interno della Grecia classica
osservando le specificità che l’approccio medico e letterario hanno prodotto in quel contesto.
Per quanto riguarda la medicina sono stati analizzati in particolar modo i trattati ginecologici
appartenenti al Corpus Ippocratico. Qui la tipologia di riferimento per l’immaginario del corpo
femminile è quella di un corpo cavo, all’interno del quale si sviluppa il sistema degli umori. Studiando
i movimenti di tali fluidi nel corpo i medici spiegavano le più diverse patologie femminili con una serie
di nozioni meccaniche molto semplici, e senza distinzione tra piano fisiologico e psicologico. Il corpo
cavo e umorale è un’immagine non confermata da una verifica empirica della struttura anatomica del
corpo femminile, ma essa si rivela funzionale ad un’idea della donna comune sia alla cultura che
all’ideologia della polis.
Questo corpo cavo è imperfetto e solo con molte difficoltà riesce ad assolvere alla propria funzione
principale, cioè il contenimento dello sperma maschile e quindi del feto, che costituiscono i soli
principi vitali che possono darle la salute e l’equilibrio che le mancano naturalmente. Le parole che i
medici scelgono per la descrizione di queste patologie femminili sono totalmente sottratte ai rinvii
simbolici poiché per i medici il corpo della donna è un luogo elementare, semplice, passivo di
riduzione.
Nella contemporanea attività di poeti e filosofi la descrizione del corpo e della malattia della donna
non è più un violento spostamento uterino, ma una follia d’amore. Nell’ Ippolito di Euripide, per
esempio, si assiste alla costruzione progressiva di un senso per la malattia di Fedra, ad
un’interpretazione sempre più articolata dei segni patologici, ad una sovrapposizione di cause, di
spiegazioni, di analogie possibili della sua sofferenza, la cui origine viene ricercata nell’ambito del
mito e delle antiche tradizioni rituali.
Emerge dunque un vero e proprio spartiacque tra metafora poetica e parola scarnificata dei medici. La
sofferenza per i medici deve trovare sempre una ragionevole causalità fisiologica, che sia lo
spostamento uterino o la disfunzione dei flussi umorali: le donne impazziscono a causa del mancato
equilibrio del loro corpo, perché mancano di una regola e della temperanza connesse da sempre al
modello fisico maschile. Nella tragedia, al contrario, intorno alla malattia cresce un racconto, si
34
struttura un intreccio di discorsi, creando un vero e proprio campo letterario intorno al « mal d’être
femme». (pp. 107-138)
PERCORSI… di Mariella Pandolfi
L’autrice pone la questione di come leggere alla luce del nuovo millennio i moderni percorsi
femminili, visto anche che, soprattutto in Italia, il dibattito sul femminile è stato messo in ombra per
vicende e fenomeni considerati più importanti.
L’autrice evidenzia soprattutto come vivere in Nord America, a differenza dell’Europa, significhi
costruire virtualmente la propria appartenenza, integrare nomadismo e radici, staccarsi dalla storia e
raccontare le proprie storie; significa muoversi fra le culture piuttosto che avere una cultura e significa
anche una necessaria elaborazione della propria storia personale, che le donne hanno fatto da tempo.
In questo contributo le riflessioni epistemologiche e le espressioni personali dell’autrice sono
fortemente correlate in un viaggio trasversale dentro l’antropologia, al fine di trovare uno spazio
femminile. Questi percorsi al femminile vengono intrecciati alla storia personale dell’autrice, che
spazia dalla sua esperienza nordamericana alle sue origini napoletane. (pp. 139-151)
35
La qualità della didattica nella scuola che cambia
Il monitoraggio Irrsae del piano dell’offerta formativa
Franco Frabboni, Massimo Baldacci - Franco Angeli, Milano, 2001
Il volume documenta due anni di monitoraggio (1998-2000) della sperimentazione dell’Autonomia
scolastica condotto dagli Irrsae del nostro Paese (oggi, Irre: Istituti regionali di ricerca educativa). Il
monitoraggio si è svolto su un campione di 1000 scuole e ha rivolto il proprio sguardo teorico e
metodologico sul versante della didattica.
PARTE I
Dagli Irrsae agli Irre nel nome del monitoraggio2 (pp.13-40)
Questa prima parte del volume vuole mettere in luce l’importante responsabilità pedagogica e
didattica assunta dagli Irrsae in questi anni nel monitoraggio nazionale della sperimentazione
dell’Autonomia scolastica e sul ruolo di “ponte” tra centro e periferie scolastiche e tra agenzie
formative pubbliche e private che sono chiamati ad assumere nella scuola della Riforma.
Gli Irre, in quanto soggetti di formazione, hanno 3 obiettivi prioritari:
-
l’obiettivo interistituzionale degli Accordi di programma
-
l’obiettivo della professionalità dei docenti
-
l’obiettivo della ricerca pedagogico-didattica
La legge 440/1997 ha attribuito, a partire dall’anno scolastico 1998-1999, un congruo finanziamento
alle scuole (di ogni ordine e grado) che hanno attivato Progetti di sperimentazione, suddivisi in
progetti
semplici
(sperimentazione
di
“settori”
didattici
innovativi)
e
Progetti
complessi
(sperimentazione di “modelli” didattici innovativi). Il monitoraggio ha preso in esame sia i Progetti
complessi (1998-1999) che i Pof (1999-2000).
La ricerca ha avuto il pregio di mettere in rete 1000 scuole (a partire dalle 20 reti regionali). La rete
costituisce il luogo “virtuale” della scuola della Riforma, è la sede di incontro “interistituzionale” che
consente di mettersi assieme per condurre in porto sia le finalità formative che gli obiettivi curricolari,
mettendo quindi in comune e usando congiuntamente servizi e attrezzature didattiche. La rete
consente anche di far uscire dall’isolamento-solitudine in cui dichiarano di vivere gli insegnanti. Dal
monitoraggio emerge chiaramente che la scuola chiede:
1) dialogo: rimprovera ai soggetti deputati a mettersi in relazione con lei di essere da questi
sistematicamente abbandonata;
2) aiuto: rimprovera alle politiche scolastiche di non aver messo a disposizione risorse e
opportunità di sostegno e supporto alla modernizzazione organizzativa e curricolare;
3) voto: vuole cioè essere valutata perché sia apprezzata e legittimata la qualità della
modernizzazione istituzionale e organizzativa e della loro innovazione curricolare e didattica;
4) formazione: gli insegnanti chiedono una formazione continua nella forma non più di corsi di
aggiornamento ma di laboratori territoriali dove poter essere attivi e partecipativi.
PARTE II
Riflettori sulla didattica. I Pof e le sette parole nuove dell’alfabeto scolastico (pp.43-74)
2
Per approfondimenti sulla metodologia utilizzata nel monitoraggio si veda pp.27-36
36
La Riforma pone nel mirino delle sue macrofinalità formative sia il diritto allo studio (inteso come
successo scolastico), sia la qualità dell’istruzione. L’allievo diventa il protagonista, il soggetto che
viene messo nelle condizioni pedagogiche di poter vivere integralmente la sua identità sociale ed
esistenziale. La scuola diventa autonoma, conquista una libertà decisionale collegiale.
Questa seconda parte fornisce un mini-dizionario del Pof, che la “nuova” professionalità degli
insegnanti è chiamata a consultare e utilizzare:

la continuità: ovvero una scuola che percorre il sentiero longitudinale (la continuità verticale
tra grado e grado del sistema scolastico) e il sentiero trasversale (la continuità orizzontale
come ponte tra scuola e ambiente, tra saperi ufficiali del dentro-scuola e saperi antropologici
del fuori-scuola) (pp.49-51);

l’ambiente: ovvero di una scuola capace di educare all’osservazione-conoscenza e all’uso
didattico dell’ambiente sociale e dell’ambiente naturale, nella prospettiva di avviare un
rapporto di “reciprocità” culturale e didattica con la cultura di ricambio di cui la scuola non può
fare a meno se vuole avvicinarsi ai bisogni e agli interessi degli allievi (pp.51-56);

l’individualizzazione: ovvero una scuola a misura di allievo. Individualizzare l’insegnamentoapprendimento significa predisporre i percorsi di insegnamento a misura cognitiva dell’allievo
allestendo didatticamente e temporaneamente la classe per gruppi a livello mobili, per le unità
didattiche più ostiche e selettive delle materie, assicurando flessibilità ai tempi-ritmi
dell’apprendimento
(gli
autori
criticano gli
approcci pedagogici che che teorizzano
l’insegnamento-apprendimento contestuale e simultaneo per tutti gli allievi di una classe)
(pp.56-58);

il credito didattico: si riferisce ad “ogni qualificata esperienza culturale, artistica e sportiva, di
formazione professionale, di attività lavorativa e di volontariato, debitamente documentata,
dalla quale derivino competenze coerenti con il tipo di corso cui si riferisce l’esame di Stato”
(circolare ministeriale n.275/1998). Le potenzialità sono sia didattiche che pedagogiche
(pp.59-61);

il laboratorio: simboleggia lo spazio extraclasse (atelier, biblioteca, museo didattico, centri di
interesse, palestra, sale comuni, auditorium,…) dotato di proprie identità pedagogiche – mette
in atto dinamiche relazionali, socioaffettive e consente la sperimentazione di progetti didattici
- e di proprie specificità didattiche – l’interdisciplinarità, le strategie non-individualizzate, il
progetto didattico (pp.61-67);

la ricerca: intesa come la strategia più idonea per alimentare il pensiero costruttivo (criticosimbolico) e creativo (euristico-intuitivo). Ricerca come strategia di apprendimento per
scoperta (pp.67-72);

la valutazione: prevede tre tappe: la valutazione diagnostica (accertamento della situazione di
partenza), quella formativa (accertamento in itinere dei rendimenti cognitivi e relazionali) e
quella sommativa (a carattere misurativo, ha il compito di accertare i “profitti” conclusivi degli
allievi) (pp.72-74).
PARTE III
Le dimensioni empiriche del monitoraggio
La terza parte del saggio rendiconta empiricamente i risultati emersi dal monitoraggio
dell’autonomia scolastica per quanto attiene all’ambito dell’indagine tematizzato sulla questione del
Modello didattico. L’esposizione è articolata su due versanti:
37
5) i Progetti complessi (1998-1999) e i Piani dell’offerta formativa (1999-2000): vegono illustrati,
dal punto di vista operatvo ed empirico, gli scopi, gli “oggetti” di indagine, le metodologie di
rilevazione e i risultati emersi (pp.77-119);
6) le parole della didattica: si riprendono le sette parole fondate dal punto di vista teorico nella
seconda parte del volume e si analizza la fisionomia operativa che sembrano acquisire nelle
pratiche scolastiche, sulla base della presentazione dei dati emersi dalla rilevazione sul campo
(pp.121-138).
38
Una storia imprevista
Femminismi nel Novecento ed educazione
Barbara Mapelli e Gabriella Seveso (a cura di), Guerini Studio, Milano, 2003
Il testo è strutturato come una vera e propria antologia che riporta il contributo di intellettuali,
studiose ed attiviste femministe sui temi dell’educazione e dell’istruzione nel corso del Novecento, i
primi 25 anni e gli ultimi tre decenni.
Il tema dell’educazione, sottolineano le curatrici, ha avuto stato centrale nel dibattito femminista
anche se è stato trattato con una certa discontinuità.
Il volume si divide in due parti: la prima curata da Gabriella Severo arriva fino al 1930 e tratta del
processo di emancipazione in Italia, le relative conquiste giuridiche nel primo Novecento fino
all’arretramento del periodo fascista. Questa prima parte riporta documenti di notevole interesse
storico, potenzialmente molto utili anche a docenti che vogliano, soprattutto nelle discipline
umanistiche, realizzare percorsi didattici sui cambiamenti nel ruolo delle donne nella società nei primi
decenni del ‘900.
Questa prima sezione si struttura in capitoli diversi che mettono al centro la vita quotidiana delle
donne (Capitolo “Ritratti di donne”, scritti di Sibilla Aleramo, Giselda Brebbia, Silvia Bemporad e
Giuseppe Fumagalli, Ilda Montesi Festa, Maria Rossi), la partecipazione politica femminile e
femminista (capitolo “Movimenti femministi e partecipazione politica”, scritti di Sibilla Aleramo, Anna
Kuliscioff; Giselda Brebbia, Teresa Labriola, Camilla Ravera, Laura Casartelli Cabrini, Fanny Dalmazzo,
Anita Pagliari Bianchi, Ester Lombardo); il mondo del lavoro (capitolo terzo “Le donne e il mondo del
lavoro”, scritti di Sibilla Aleramo, Ersilia Bronzini Majno, Margherita Sarfatti Grassi, Angelica
Balabanoff, Anna Kuliscioff, Fanny Dalmazzo); il tema della tutela della donna e dell’infanzia e
l’associazionismo femminile (capitolo “ Le associazioni femminili ed il dibattito sulla tutela della
donna e dell’infanzia”); quello, infine delle donne nell’educazione sia come docenti che come alunne
(capitolo “Donne, maestre, educatrici, allieve”, con scritti di Elvira Mancuso, Linda Malnati, Maria
Perotti Bornaghi, Placida Stefanini, Elisa M., Teresa Labriola, Laura Casatella Cabrini).
La seconda parte è curata da Barbara Mapelli. Il capitolo introduttivo è centrato sul femminismo negli
anni ’70 (capitolo omonimo con scritti di Lea Melandri, Rosalba Spagnoletti, Biancamaria Frabotta,
Elena Giannini Bellotti, Paola Melchiori) e riprende i temi più cari al movimento come quello della
disciplina dei corpi e delle sessualità operata dalle istituzioni, in primis quelle scolastiche ma anche
delle disparità di potere nelle relazioni tra maestre e allieve nei corsi delle 150 ore. I due capitoli
successivi che ripercorrono gli anni tra gli ’80 ed i ’90 riprendono il dualismo che ha effettivamente
caratterizzato le politiche di genere in Italia, polarizzate attorno al pensiero ed alla pratica della
differenza sessuale da una parte ed alle pari opportunità dall’altra. Il capitolo intitolato appunto “La
differenza sessuale” riprende soprattutto le riflessioni che la scuola di pensiero di Diotima, praticata
da molte insegnanti, ha maturato sulle tematiche dell’educazione, in merito alla centralità della
relazione maestra/allieva ed a concetti quali quello di “affidamento” o di “madre simbolica” (scritti di
Anna Maria Pissi, Elvira Franco, Francesca Graziani, Marina Cancan, Vanna Iori).
Il capitolo invece su “Le pari opportunità” ricostruisce, riportando anche brani dei documenti originari,
i passaggi centrali della discontinua storia delle politiche istituzionali/statali sull’istruzione declinate
in un’ottica di pari opportunità, quali la Risoluzione del Consiglio dei Ministri e dell’Istruzione del 3
39
giugno 1985, ma anche il Contributo alla Conferenza Nazionale sulla Scuola da parte del Comitato
Pari Opportunità del Ministero Istruzione (1990) e il “Piano Nazionale per le Pari Opp. nel sistema
scolastico italiano 1993/1995” promosso dal Comitato stesso. Integrano il capitolo i contributi di
Fiorella Farinelli, Barbara Mapelli, Luisella Erlicher su scolarità e segregazione femminile nel mercato
del lavoro, orientamento e identità di genere, il Progetto Polite ed un’intervista a Paola Ghiotti de
Biase, già presidente del Comitato Pari Opportunità del Ministero Istruzione.
Il capitolo conclusivo “L’eredità del femminismo” è invece dedicato alle tendenze emergenti a livello di
riflessioni e pratiche sviluppate sia a livello di movimenti femministi che entro le politiche istituzionali
di parità, caratterizzato da un’apertura della differenza di genere agli intrecci con una pluralità di
differenze e dalla declinazione del genere anche al maschile, con una nuova inedita presa di parola
degli uomini: attraverso i contributi di Barbara Mapelli, Stefano Ciccone, Giovanna Campani, Gruppo
Sconvegno, Duccio Demetrio, Mariangela Giusti, Andrea Bagni, Chiara Bertone e Chiara Saraceno, si
affrontano le tematiche delle relazioni intergenerazionali nel femminismo, dell’interculturalità nelle
differenze di genere, delle differenze di orientamento sessuale, delle definizioni di virilità e
formazione dell’identità maschile.
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Orientamento e identità di genere
Crescere donne e uomini
Barbara Mapelli, Gisella Bozzi Tarizzo, Diana De Marchi - La nuova Italia, Milano, 2001
► Realizzato soprattutto attraverso analisi e interpretazioni di interviste fatte agli/alle studenti/esse
di un liceo scientifico e di uno socio-pedagogico a Milano e di stralci di colloqui tratti da precedenti
ricerche.
► Si rivolge in particolare all’istituzione scuola, al corpo insegnante e a chi opera nel settore della
formazione partendo dal presupposto che la scuola si pone come luogo privilegiato per dar vita a
percorsi formativi in grado di facilitare, orientare e promuovere la crescita personale.
► Il volume è organizzato in diverse parti, a loro volta suddivise in capitoli, strutturate in moduli a sé
stanti, che possono essere utilizzati in classe dall’insegnante e che prevedono una partecipazione
diretta di studenti/esse
► Per ogni argomento sono disponibili percorsi didattici già sperimentati e riferimenti ai soggetti che
possono offrire ulteriori informazioni su singole tematiche
I e II PARTE
Si prova a delineare un quadro generale di temi e problematiche che il mondo contemporaneo
propone ai/alle giovani in crescita, analizzandolo in un’ottica di genere.
III PARTE
Si propone una riflessione pedagogica e didattica sulla scuola che orienta e che fa perno su tre temi
chiave:
1. la centralità del soggetto che apprende e quindi la valorizzazione delle differenze e la
flessibilità dei percorsi didattici;
2. la valutazione non selettiva quale momento formativo attento al processo di crescita di
ognuno secondo le proprie potenzialità
3. l’apprendimento come apertura all’esperienza e al mutamento che presuppone una
conoscenza non nozionistica e che si pone come strumento per rapportarsi criticamente alla
realtà consentendo al contempo la scelta personale, la progettualità, la ricerca.
I PARTE
 ORIENTAMENTO (pp.15-33)
Si riportano descrizioni della scuola fatte da studenti e studentesse
Emerge che la scuola, nella percezione che ne hanno studenti/esse, è strettamente legata alla vita e
dovrebbe fornire modelli e opportunità che aiutino nella costruzione del proprio percorso. Scopo
dell’educazione è riuscire a far si che la poliedricità di forme del poter essere di ciascuna persona
abbia modo di emergere e realizzarsi, ponendosi come interprete del reale, fornendo strumenti per
decodificare la realtà e per aiutare nello sviluppo del senso critico.
41
Rispetto alla percezione del futuro, dalle interviste emerge una differenza tra ragazzi e ragazze:
mentre tra i primi c’è una diffusa preoccupazione, tra le ragazze, seppure appaiano immagini vaghe
del futuro, sono però meno dense di ansie; si concedono squarci di indeterminatezza, prefigurandosi
destini e vocazioni anche molto diversi e prevedendo quindi competenze e comportamenti fluidi e
flessibili, adatti a cogliere diverse opportunità.
 ORIENTAMENTO E IDENTITA’ DI GENERE (p.34-58)
Dai colloqui di gruppo emerge una mescolanza di cultura tradizionale e modelli in mutamento sia
rispetto alla percezione del genere che in relazione ai progetti futuri.
Per le ragazze il lavoro si delinea come una prospettiva certa ma non viene esclusa una dimensione
affettiva e familiare. Il tutto lasciando spazio a ciò che può accadere durante il percorso di crescita,
trasformandolo e facendolo rientrare nel proprio progetto personale. Qui emerge una differenza
rispetto ai ragazzi: le giovani donne possono ancora permettersi una maggiore libertà, almeno
progettuale, rispetto al loro futuro professionale perché la domanda sociale le opprime con minore
insistenza in confronto ai giovani maschi, che la sentono invece vincolante rispetto al lavoro (e a una
cultura che ancora li vuole come i responsabili del mantenimento della famiglia) e quindi opprimente
per quanto riguarda desideri e disegni di futuro.
Ma se da una parte c’è la scuola che può consentire di sperimentare e approfondire la parità, di
riconoscerla come valore, di fatto non la produce nel lavoro, nella società, nella rappresentanza civile
o politica, nel privato.
Inoltre spesso “dentro la scuola vi è la cultura e la pratica del neutro” che non è sinonimo di parità.
“Parità dovrebbe significare consapevolezza di essere donne, di essere uomini e di poterlo essere alla
pari”3.
Riconoscere la propria identità di genere appare quindi come un passaggio educativo necessario
poiché radica la soggettività di studenti e studentesse in una storia sociale e culturale che nel tempo
ha reso i due generi quelli che sono.
Si assiste a un disagio maschile che pone la necessità ai ragazzi di ripensare il loro ruolo, dando
spazio a una ricerca che mette in gioco componenti, soprattutto a livello di sentimenti, che erano
prima negate e che vogliono ora una legittimazione. Emerge anche come il bisogno di costruire una
famiglia e di essere padri sia particolarmente diffuso tra i ragazzi.
E’ quindi necessario che la scuola apra una riflessione su queste nuove ricerche maschili di famiglia e
paternità, poiché si pone la necessità di costruire, nelle innovate immagini maschili, anche l’immagine
di genitorialità, di condivisione del lavoro di cura e domestico, di conciliazione.
 ORIENTAMENTO E INDIVIDUAZIONE (pp.59-105)
Si pone la necessità di riconoscere le differenze, quindi anche quelle di genere, non come opposte e
in conflitto, ma come capacità di individuazione, di costruzione e crescita personali e capacità di
scelta. Libertà, responsabilità, coraggio, unicità sono le parole dell’individuazione e i concetti intorno
a cui si muove la crescita, il senso più alto dell’educare e dell’orientare.
II PARTE
 LAVORO (pp.109-123)
3
Le parole sono della sociologa Marina Piazza
42
Si pone l’accento su come la precarietà lavorativa della nostra società influisca sulle ansie e sulla
difficoltà di comprensione del futuro dei/delle giovani. Non c’è corrispondenza tra il successo
scolastico e formativo e il successo professionale. La scuola è chiamata a formare non tanto, o non
solo, al lavoro quanto anche al futuro, al fuori, all’altrove.
 NUOVE FAMIGLIE (p.124-141)
In Italia ci si sposa meno, tardi e si fanno pochi figli. Se il matrimonio, o comunque la coppia e i figli,
fanno parte degli scenari futuri dei ragazzi e delle ragazze, sono comunque subordinati a
un’indipendenza economica e questo porta a posticipare l’esperienza della famiglia. Ma si è anche
notato che l’uscita dalla famiglia risulta ritardata nel centro-nord e coinvolge maggiormente i figli
unici, maschi e con una madre con titolo di studio superiore. Le famiglie in cui ci si trattiene di più
sono quindi quelle in migliori condizioni economiche, che assistono in tempi più lunghi e con
maggiori strumenti culturali al processo di crescita dei figli.
Dai dati di una ricerca condotta dal CISF di Milano4 emerge che giovani e adulti indicano la famiglia
tra i primi valori e la ritengono importante nel suo compito di mediazione, interpretazione e
adattamento alla realtà sociale, e che la percepiscono come una risorsa soprattutto per la crescita
personale e la capacità di instaurare rapporti umani significativi (percentuale di risposte superiore
all’80%). Quasi l’80% pensa al matrimonio o alla convivenza e più del 70% dichiara di volere dei figli.
 NUOVI PADRI (p.136)
Si sta assistendo, seppur lentamente, a un mutamento di ruoli all’interno della famiglia e le nuove
generazioni ne saranno protagoniste. Ma permane un problema di genere: la preminenza della sfera
pubblica del lavoro, l’inadeguatezza dei padri come modelli, una incapacità o difficoltà di
comprendere le conseguenze della condizione di genere maschile, un senso di isolamento.
Nonostante si viva in una società ancora discriminatoria nei confronti del genere femminile, appare
più difficile il compito del mutamento maschile.
 UN PROBLEMA DI GENERE: DONNE, SCIENZA E TECNICA. LE NUOVE TECNOLOGIE (p.142-165)
I percorsi delle ragazze continuano a essere lontani dalla formazione tecnica. Nelle interviste e nei
giudizi delle ragazze la critica, il rifiuto e la presunta incapacità spesso si legano. Ma da un’altra
ricerca emerge che il 94% delle studentesse universitarie ritengono che le donne, come gli uomini,
siano egualmente portate per le discipline scientifiche.
A livello universitario è la facoltà di ingegneria quella con la presenza più bassa di donne.
Rispetto alle nuove tecnologie dati e ricerche fanno pensare che ci sia una differenza di uso e di
approccio tra i generi
 EDUCARE ALLA CURA, alla cittadinanza, all’etica sociale (p.166-207)
Cultura ed etica della cura devono porsi come progetto educativo rivolto alle nuove generazioni.
Partire dalla cura di sé come condizione perché si possa apprendere la cura degli altri, dell’ambiente,
delle cose, il rispetto e la valorizzazione delle differenze.
(Viene proposto come lavoro che i/le docenti per primi/e devono fare su se stessi).
4
Nella ricerca sono stati intervistati genitori e figli di Milano , Bologna e Campobasso; i risultati sono pubblicati
nel volume, Paola di Nicola (a cura di), Onde del tempo, Milano, Franco Angeli, 1998
43
La scuola viene percepita dai ragazzi come un potenziale laboratorio in cui tutto ciò possa costruirsi e
prendere forma.
Una pedagogia pratica dei valori non può che confrontarsi con ciò che che determinerà sempre più nel
futuro l’accesso ai diritti dell’essere sociale e della cittadinanza.
III PARTE
GLI ASPETTI PEDAGOGICI E DIDATTICI DELLA SCUOLA CHE ORIENTA (p.211-257)
Il tu cosa farai da grande non ha mai significato chi e come sarai. C’è la necessità di dar vita a una
politica scolastica che fornisca ai giovani e alle giovani nuove e più ampie competenze per
rappresentarsi la realtà e che sia in grado di agire sulle motivazioni dei soggetti nel rapporto con il
processo di apprendimento, in funzione non solo di una acquisizione di competenze per le scelte
professionali e culturali, ma anche e soprattutto rispetto alla presa di coscienza della propria identità.
I ragazzi hanno la necessità del riconoscimento della soggettività di ognuno, della dimensione
interiore che viene portata in aula.
C’è una persistenza degli stereotipi sessuali nella scuola, luoghi comuni su comportamenti,
rendimento scolastico e riuscita in determinate materie, che gli insegnanti per primi contribuiscono a
mantenere. La neutralità del messaggio educativo si traduce in realtà in quello di parità al maschile sia
nei contenuti che nelle forme di trasmissione. Non viene trasmessa la consapevolezza di trovarsi di
fronte a una cultura vista al maschile: autori, scienziati, protagonisti della storia sono sempre
personalità maschili. Mancano modelli appartenenti ad entrambi i sessi. E questo non permette di
elaborare autonomamente nuove concezioni del maschile e del femminile, nuovi valori e ruoli, nuove
relazioni tra i sessi . La scuola dovrebbe invece porsi come uno dei principali agenti del cambiamento
sociale di cui ogni soggetto può essere protagonista.
GLI INSEGNANTI devono essere capaci di mettere in discussione i modelli di comportamento, i
parametri interpretativi, di adesione passiva alla cultura dominante. Devono tener conto delle
componenti della cultura giovanile che vengono acquisite al di fuori del luogo scuola.
Nella prospettiva dell’orientamento complessivo della persona attraverso la conoscenza intesa come
costruzione
di
significati,
l’asse
centrale
del
progetto
formativo
si
sposta
dall’oggetto
dell’insegnamento al soggetto dell’apprendimento.
Gli insegnanti, se disposti a mettersi in gioco, a creare occasioni e percorsi, a utilizzare le proprie
competenze professionali e umane in un ruolo che ne fa i facilitatori di un’esperienza di crescita, sono
la vera forza motrice.
Si riporta l’esempio di un progetto danese – “Parità in classe”(1996)- che ha alternato periodi trascorsi
in classi miste a periodi in classi separate: i risultati dimostrano che questo metodo ha favorito
l’autostima e lo sviluppo della propria identità di genere. Il presupposto su cui si basa il progetto è
quello in base al quale la parità può essere realizzata veramente solo se vengono riconosciute le
differenze di potenzialità tra uomini e donne, se si favoriscono azioni positive e si sviluppano
strategie diverse per i due gruppi nelle situazioni specifiche.
► Vengono infine riportati alcuni progetti realizzati in Europa e in Italia alla fine degli anni ’90
(pp.258-287)
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► In appendice (p.295) il Documento accompagnatorio al Codice di autoregolamentazione prodotto
nell’ambito del Progetto Polite (Pari Opportunità nei libri di testo), che sottolinea sinteticamente le
attenzioni principali cui occorre si attenga un testo o un altro materiale o strumento didattico che
intenda mostrarsi rispettoso della cultura di genere e delle differenze che essa esprime.
► Nel testo si propongono schede che suggeriscono possibili lavori in classe sui diversi argomenti
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Foucault: per una genealogia dell’educazione
Modello teorico e dispositivi di governo
Alessandro Mariani – Liguori Editore, Napoli, 2000
Attraverso un’operazione di ricerca l’Autore vuol dimostrare come, sebbene la pedagogia sia un
ambito rimasto spesso in sordina nel progetto foucaultiano rispetto alle riflessioni filosoficoeducative contemporanee, sussista la legittimità di un congegno pedagogico operante all’interno della
sua opera.
Il libro di Alessandro Mariani è proprio rivolto a far rimettere al centro dell’analisi di Foucault il
dispositivo della pedagogia e dell’educazione, che l’Autore mette a fuoco in particolare attraverso i
testi, i lessici e le “figure” di un discorso.
Nella realtà infatti il filosofo francese ha guardato con estrema attenzione anche ai problemi scolastici
e formativi, con una viva sensibilità che non gli è affatto estranea, sia come uomo che come
intellettuale. Egli è così in grado di mostrare anche al giorno d’oggi la strada per una seria resistenza
a certi atteggiamenti predicatori, moralistici e conformizzanti della pedagogia stessa.
Nell’opera di Foucault ci si trova spesso di fronte a questioni strutturalmente pedagogiche: la diade
maestro/discepolo nell’età greca; la funzione pedagogica del carcere; le somiglianze organizzative e
architettoniche tra collegio e prigione; le problematiche legate al controllo della sessualità infantile e
alle pratiche di confessione; la cura di sé come paradigma pedagogico, etc.
Seguendo il procedere cronologico e quello tematico dell’opera di Michel Foucault l’Autore ha cercato
di far emergere gli elementi fondamentali del suo “congegno” pedagogico. Con queste intenzioni il
discorso si è articolato intorno ad alcune tappe teorico-politiche del pensiero foucaultiano. Il testo
così affronta, dall’età greco-romana a quella moderna, alcuni paradigmi pedagogici come: le pratiche
di governo e di disciplinamento dei corpi, le forme della “governamentalità” pedagogica, i dispositivi
di sapere-potere realizzati dalla “microfisica dell’educazione” (pp. 21-51), le tecnologie d’esame e di
confessione (pp. 53-82), l’esperienza della sessualità tra libertà e controllo (pp. 83-116), la cura di sé
come manifestazione di verità e di autodominio (pp. 117-168).
In particolar modo l’Autore, attraverso questo studio, vuole consegnarci un’attenta ricostruzione sia
del “modello teorico” sia dei “dispositivi di governo” che illuminano la pedagogia foucaultiana.
Egli sottolinea come il senso del lavoro di Foucault passi più per le istituzioni che per le teorie e le
correnti di pensiero, al fine di ritrovare la funzione pedagogica dell’ordine sociale e del controllo
disciplinare.
L’intento del testo, infatti, è anche quello di utilizzare Foucault come uno strumento analitico-critico
in grado di orientare il lettore attorno alle modalità con cui gli uomini si governano e vengono
governati in certe fasi storiche. Una ricerca dalla quale si può concludere che la produzione di un
sapere pedagogico può collocarsi (attraverso le strategie di formazione dei soggetti, le meccaniche
dei poteri educativi, i dispositivi di governo, le procedure di controllo, etc.) nel punto di sutura
esistente tra i poteri e i saperi.
La pedagogia infatti, ponendo in evidenza l’intreccio coi poteri e il nesso con le istituzioni, si fa uno
dei saperi-chiave della Società e dello Stato. In questo modo alla pedagogia viene dunque assegnato
46
un volto sia di scienza sia di governo, mostrandola nell’inquietante ambiguità che l’attraversa come
sapere.
47
Insegnare con i concetti
Educazione alla cittadinanza
Martino Mattei - Franco Angeli, Milano, 2007
La pubblicazione è il frutto di una ricognizione tra gli studi recenti svolti nel campo dell’Educazione
alla cittadinanza in riferimento alle scuole primarie e secondarie di primo grado.
L’Educazione alla cittadinanza (che comprende quelle che fino a qualche anno fa si chiamavano
Educazione civica - per la scuola media – e Studi sociali – per la scuola elementare) gode oggi di uno
specifico interesse che la pone al centro di studi e ricerche nonché di interventi legislativi tesi a
rivitalizzarla.
I COMPITI DELL’EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA:
Compito della scuola si ritiene sia quello di sistematizzare il processo di alfabetizzazione, a cui
concorrono diversi soggetti anche al di fuori della scuola stessa, offrendo strumenti concettuali
necessari per l’apprendimento di un linguaggio utile per comprendere le realtà più vicine al mondo
degli alunni.
L’Educazione alla cittadinanza deve prevedere lo studio sistematico del testo costituzionale,
indispensabile per educare ai diritti umani e al senso di cittadinanza; deve di fissare i criteri in base ai
quali organizzare la vita scolastica e garantire la partecipazione democratica alle varie componenti
della scuola: alunni, insegnanti, genitori. Si pone anche l’accento sulla relazione tra motivazione allo
studio e ambiente di apprendimento, quindi sulla qualità delle relazioni vissute a scuola, viste come
obiettivo di carattere formativo e sociale.
La scuola d’oggi dovrebbe sentirsi chiamata ad orientare e a dotare di strumenti concettuali le giovani
generazioni in diversi campi: l’ecologia, la riscoperta dei valori della partecipazione politica, l’equa
distribuzione delle risorse, i processi e i mezzi di comunicazione di massa, l’incontro fra diverse
culture, educando al rispetto dell’altro, alla solidarietà, al confronto per prevenire il timore della
diversità che può sfociare in conflitto. L’Educazione alla cittadinanza si presta a sostenere il processo
di formazione di principi e valori etici.
Di fonte a queste dichiarazioni d’intenti si colloca la pratica didattica che denuncia però alcuni
ostacoli nel valorizzare l’Educazione alla cittadinanza:
-
ostacoli di natura pratica: la difficoltà risiede nel trovare il tempo adeguato da dedicare
all’insegnamento di specifici contenuti disciplinari anche se l’entrata in vigore della legge
sull’autonomia dovrebbe consentire il superamento del problema.
-
ostacoli relativi ai fondamenti: i libri di testo sono considerati inadeguati per contenuti, lontani
dai campi di esperienza e dagli interessi di alunni/e, e linguaggio.
-
Ostacoli di natura professionale: spesso i docenti non sono preparati ad affrontare queste
tematiche specifiche, anche se è importante ricordare il ruolo svolto in questo settore da altre
agenzie formative.
Nel corso degli anni, tenendo conto degli ostacoli, sono state ideate, sperimentate e documentate
alcune ipotesi di carattere metodologico, tenendo presente la duplice natura dell’Educazione alla
cittadinanza: insegnamento specifico e oggetto culturale trasversale a tutte le materie:
48
4. l’indagine d’ambiente: è una proposta didattica5 che prefigura il superamento di una visione
“descrittiva” della realtà sociale e sostiene un’impostazione basata sulle ipotesi da verificare, i
problemi da risolvere, le modalità per raccogliere e interpretare i dati, unendo le diverse
discipline impegnate nella ricerca sociale (Storia, Geografia, Studi sociali). Si riporta
l’esemplificazione di un’Unità Didattica (p.22)
5. l’interazione sociale: i principi ispiratori di questa proposta6 sono la funzione promozionale
dell’istruzione in relazione allo sviluppo cognitivo e l’interazione sociale, privilegiando quindi
le procedure che consentono agli allievi di operare in prima persona confrontandosi con i/le
compagni/e. Si riporta l’esemplificazione di un’Unità Didattica (p.24)
6. l’alfabetizzazione civica: la finalità di questa proposta è la familiarizzazione dell’alunno con il
linguaggio giuridico-politico, percepito talvolta come arido e distante dal vissuto esperenziale.
L’intervento è rivolto alla formazione di strumenti concettuali necessari per orientarsi
efficacemente e liberamente nella comprensione dei fenomeni sociali, istituzionali e politici. Si
riporta l’esemplificazione di un’Unità Didattica (p.26)
7. l’educazione affettiva e relazionale: si collocano qui le proposte che sottolineano lo stretto
legame esistente tra le motivazioni allo studio e l’ambiente di apprendimento. Si pone
l’accento sulle relazioni vissute all’interno della scuola, viste come obiettivo di carattere
formativo e sociale. Tra le varie proposte, quella particolarmente significativa perché frutto di
consolidata sperimentazione è l’”educazione all’altruismo” (pp.27-28). L’obiettivo finale a cui
tendono questi progetti è quello di guidare ad assumere atteggiamenti e comportamenti
responsabili come forma solidale di civiltà e di partecipazione civica e democratica, fondati sul
rispetto della dignità della persona.
Nella seconda parte del volume vengono presentate Unità Didattiche, ispirate alla Didattica per
concetti, quali esempi di impostazione, svolgimento e valutazione di percorsi inerenti il tema
dell’Educazione alla cittadinanza. Aspetti caratteristici sono quelli della sistematicità nella
rilevazione delle conoscenza pregresse degli/delle alunni/e e della flessibilità nella scelta dei
contenuti. La Didattica per concetti prevede la realizzazione di un percorso (la Rete concettuale)
capace di incidere sulla matrice cognitiva dell’alunno allo scopo di guidarlo nell’avvicinamento del
“sapere”, rappresentato a sua volta dalla Mappa concettuale che evidenzia i caratteri del concetto
da apprendere e le connessioni con altri concetti. La Didattica per concetti garantisce la centralità
dell’alunno/a nel processo di apprendimento.
Le unità Didattiche fungono da modelli rimanendo aperte alla possibilità di essere modificate in
base ad esigenze specifiche. Alcune trattano contenuti e approfondimenti di carattere sociale,
altre di tipo politico-istituzionale, altre sono di taglio economico:
-
Unità Didattiche di carattere sociale: mettono a fuoco i fattori che stanno alla base della vita di
relazione nelle società. Analizzano anche problemi di attualità e di rilevanza sociale per i quali,
oltre a fare appello alla sensibilità civica, si vogliono offrire gli strumenti concettuali per
orientarsi.
-
Unità didattiche di tipo politico-istituzionale: si soffermano sugli elementi identificativi
dell’organizzazione dello Stato, vista come modalità per regolare le relazioni fra i cittadini e
5
Si ispira al modello esplicitamente indicato dai Programmi ministeriali della scuola elementare del 1985
6
nata da una sperimentazione curata dall’IRRSAE Lombardia. La proposta è ampiamente documentata nel
volume edito dall’IRRSAE Lombardia Per un curricolo continuo di formazione geo-storico-sociale nella scuola di base.
49
tra i cittadini e le istituzioni e sulla modalità di gestione e controllod el potere e sulla
partecipazione democratica.
-
Unità didattiche di taglio economico: mirano a far emergere il significato assunto dalle leggi
che regolano i rapporti economici e sanciscono i diritti-doveri ad esse sottesi.
La suddivisione in base alle sopraindicate categorie è indicativa poiché alcuni argomenti hanno più
valenze.
SINTESI DELLE UNITÀ DIDATTICHE:
► Anche oggi c’è chi vive in tribù – classe seconda o terza (pp.53-70)
Concetto trattato: gruppo
Concetti correlati: tribù, clan, famiglia, gruppo organizzato, lavoro collettivo
Collegamenti pluridisciplinari: storia-geografia, musica, attività motorie, tecnologia
► Pagabili al portatore – classe terza (pp.71-84)
Concetto trattato: denaro
Concetti correlati: baratto, valore, risparmio, moneta, carta-moneta
Collegamenti pluridisciplinari: aritmetica, storia, geografia
► Il mercato – classe terza (pp.85-98)
Concetto trattato: mercato
Concetti correlati: leggi del mercato, prezzo, concorrenza, monopolio
Collegamenti pluridisciplinari: aritmetica, geografia, storia
► Diritti e doveri al lavoro – classe quarta (pp.99-120)
Concetto trattato: sindacato
Concetti correlati: contratto, sciopero, serrata, disoccupazione, diritti dei minori
Collegamenti pluridisciplinari: storia, geografia, tecnologia
► Le emigrazioni – classe quarta o quinta (121-135)
Concetto trattato: emigrazione
Concetti correlati: migrazioni, diritto internazionale, straniero, extracomunitario, clandestino,
razzismo, solidarietà
Collegamenti pluridisciplinari: storia-geografia, IRC
► Il potere di tutti – classe quinta (137-154)
Concetto trattato: democrazia
Concetti correlati: potere, cittadini, partecipazione, elezioni, referendum, volontariato, Governo,
Parlamento, Magistratura
Collegamenti pluridisciplinari: storia, geografia
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Progettare e governare la scuola
Democrazia e partecipazione: dalla progettazione educativa all’organizzazione
scolastica
Maria-Chiara Michelini - Franco Angeli, Milano, 2006
La scuola viene oggi sempre più spesso descritta come un’impresa o un’azienda; tale
definizione tende ad essere però fuorviante, in quanto punta l’attenzione sull’efficienza
delle decisioni e favorisce il “verticismo”. Affinché l’ambiente educativo possa davvero
favorire una crescita intellettuale, etico-sociale ed affettiva degli alunni esso deve essere
invece caratterizzato in senso democratico. Per poter educare alla democrazia è
necessaria però una gestione democratica della stessa scuola, che non significa
semplicemente indipendenza, ma autodeterminazione.
A differenza della metafora della scuola come impresa, il testo sviluppa un’idea di scuola come
comunità. Tale comunità deve essere democratica e partecipata e deve tendere ad una valorizzazione
e ad una crescita degli individui. Deve essere inoltre capace di autoriflessione e interpretare la propria
identità come costruzione dialettica, continua e problematica delle antinomie che la caratterizzano
(comunità/impresa, utilità/dono, efficienza/idealità), che non sono risolvibili se non in termini di
mediazione e di integrazione riflessiva e critica tra le posizioni espresse dai due poli. (pp. 9-21)
La comunità scolastica è costituita dall’intreccio tra la comunità di insegnamento/apprendimento, la
comunità professionale e la comunità partecipata. Ognuna di queste parti deve acquisire una propria
consapevolezza e affinché ciò si realizzi occorrono delle specifiche condizioni, le quali sono anche
condizioni di sviluppo delle comunità democratiche: le condizioni economiche, le strutture
intermedie, la leadership. (pp. 37-50)
Il principio dell’autonomia scolastica, costituzionalizzato dalla legge 3/2001, ha enfatizzato il ruolo
formativo della comunità territoriale che fa perno sulla scuola. La singola istituzione scolastica,
fortemente ancorata ad un territorio di cui si fa interprete, ha la responsabilità di fronteggiare le sfide
poste dalla modernità, come la globalizzazione. La scuola come comunità deve essere al giorno
d’oggi in grado di coniugare il globale e il locale: non può dunque prescindere dal paradigma
dell’incertezza, ma deve essere capace di affrontare congiuntamente universalismo e contestualismo,
superando da un lato i rischi del localismo e delle chiusure, e dall’altro quelli della dispersione. (pp.
50-59)
Sul piano politico la scuola dell’autonomia è una scuola fondata su due paradigmi fondamentali, che
si potenziano reciprocamente: quello della democrazia (esercizio del potere che parte dal basso) e
quello del pluralismo (potere distribuito). L’autonomia di una istituzione scolastica si realizza come
interpretazione concreta del potere che proviene dall’alto coniugato con quello che proviene dal
basso; al tempo stesso il potere decisionale viene esercitato non da uno solo ma da molti, nella
direzione di una decisionalità diffusa. Si realizza così l’ empowerment, nel senso di una valorizzazione
delle persone a tutti i livelli dell’organizzazione e come incoraggiamento all’emergere di
comportamenti di leadership da parte di ciascuno nel contesto di lavoro. (pp. 72-78)
La decisione nella progettazione educativa si configura come decisione non individuale,
ma collettiva. La progettazione educativa richiama decisioni collettive in tre sensi: di
gruppo, collettive e collettivizzate. Di importanza cruciale è il rapporto interno e
51
funzionale tra questi diversi e necessari livelli di decisione collettiva in cui risiedono in
gran parte la democraticità, la vitalità e la produttività di un istituto. (pp. 78-84)
Un’organizzazione diviene tale quando la collettività elabora una propria cultura come insieme di
significati collettivi. Dal punto di vista del governo e della progettazione della scuola le problematiche
si dispongono su due assi: quello dell’emergere e del far emergere la cultura della scuola e quello
dell’incidere positivamente sulla stessa. La scelta dell’autonomia delle istituzioni scolastiche ha fatto
emergere un modello culturale che comporta un assetto organizzativo della scuola di cui è perno il
Dirigente scolastico, figura che, a differenza del vecchio preside, è molto più incentrata sulla
dimensione pedagogico-culturale anziché su quella organizzativa, gestionale, manageriale. Bisogna
inoltre individuare possibili strategie con cui da un lato far emergere la cultura della scuola in termini
di consapevolezza, e dall’altro fare in modo che le teorie possano incidere sulla prassi. La ricercaazione, applicata sia alle questioni didattiche che a quelle organizzative ed istituzionali, può costruire
un modello di elaborazione culturale perfettamente democratico e duttile in riferimento agli snodi
fondamentali del governo della scuola e della progettualità collegiale effettiva. (pp. 94-113)
Il governo della scuola è il modo in cui il processo decisionale si realizza ed esso, nell’ottica di una
scuola autonoma, si colloca all’interno di ogni singola istituzione scolastica. Quest’ultima è quindi
protagonista della progettazione e della gestione del proprio agire e della propria proposta. L’autrice
sostiene la necessità di creare un modello operativo di governo della scuola il cui baricentro
teleologico risieda nella democraticità e che si sostanzi di una progettualità collegiale effettiva. Esso
dovrà caratterizzarsi per tre attributi fondamentali. Deve essere perciò:
-
antidogmantico, cioè intrinsecamente lontano da ogni forma di rigidità precostituita;
-
riflessivo, in quanto deve attuare una modalità costante in cui si attivi una circolarità tra la
visione e l’organizzazione, tra i fini e i mezzi, tra gli obiettivi e i risultati, tra le ipotesi teoriche
e le realizzazioni pratiche;
-
partecipativo, poiché il confronto deve essere condotto da più voci e devono essere coinvolti
tutti i soggetti portatori di interesse. (pp. 114-123)
Nella scuola odierna l’elemento cardine per il governo e la progettazione che traduce
l’intenzionalità della scuola è rappresentato dal Piano dell’offerta formativa (POF), previsto
dall’art.1 del regolamento dell’Autonomia. Esso deve essere elaborato dal Collegio dei
docenti e adottato dal consiglio di circolo o di Istituto; viene reso pubblico e consegnato
agli alunni e alle famiglie all’atto dell’iscrizione.
Il momento progettuale e di indirizzo si traduce quindi, secondo la normativa attuale, in un
documento programmatico chiamato POF, il quale definisce l’identità culturale della scuola e
comporta l’adozione successiva di strumenti giuridici di attuazione come per esempio, sul versante
interno, il Piano annuale delle attività la cui elaborazione trova un suo nucleo centrale nella
definizione dell’organigramma d’istituto. Tale strumento ha una valenza di esplicitazione, chiarezza,
comunicazione, distribuzione di ruoli e competenze, e quindi di empowerment e di gestione condivisa
del lavoro, anche se non è garanzia di una reale democraticità di un istituto.
Infine snodo fondamentale della progettualità e del governo della scuola è rappresentato dalla
valutazione della qualità. (pp.123-152)
52
Educazione tra pari
Manuale teorico-pratico di empowered peer education
Alberto Pellai, Valentina Rinaldin e Barbara Tamburini – Erickson, Trento, 2002
Dall’osservazione per cui sono i preadolescenti e i giovani adolescenti ad essere caratteristicamente a
rischio per problemi di natura comportamentale ed emotiva, si è giunti alla conclusione che è in
questa fase della vita che, di conseguenza, diviene particolarmente importante intervenire con
proposte educative e preventive. Ecco perché, anche a livello legislativo, il mondo della scuola diviene
il luogo privilegiato per la realizzazione degli obiettivi di salute in età evolutiva. Ma come hanno
dimostrato le campagne preventive degli ultimi anni indirizzate agli adolescenti, perché la
prevenzione abbia successo non si tratta soltanto di mettere a disposizione dei giovani una certa
quantità di informazioni. Si nota infatti una certa crisi del modello informativo, la cui svalutazione ha
comportato la nascita di un nuovo filone di azioni preventive, che hanno coinvolto le scuole superiori
di tutto il territorio nazionale.
Questo testo nasce proprio dal presupposto per cui i giovani hanno bisogno di vivere esperienze in
cui sperimentare empowerment, e l’educazione tra pari è un modo per creare un modello di lavoro
capace di valorizzare al massimo il protagonismo degli adolescenti, attraverso lo sviluppo di processi
di empowerment individuali, gruppali e microambientali. In questi ultimi anni si è giunti alla
definizione di un nuovo modello di educazione tra pari: l’ empowered peer education, alla cui base sta
proprio l’idea che gli adolescenti possano a tutti gli effetti essere protagonisti primari dell’ideazione,
progettazione, realizzazione e valutazione di iniziative per la promozione del proprio benessere
psicofisico, relazionale e ambientale. Obiettivo del testo è fornire strumenti per cimentarsi nella
progettazione e realizzazione di interventi di empowered peer education. (pp. 9-38)
L’EDUCAZIONE TRA PARI
È ormai comprovata l’innata propensione degli individui a esercitare un’influenza sociale reciproca nel
corso dell’infanzia, della preadolescenza e dell’adolescenza e, nel tempo, tale tendenza è stata
oggetto di un utilizzo sistematico in ambito didattico ed educativo. Da decenni la ricerca sociale ha
dimostrato che le persone sono in grado di cambiare il loro modo di pensare e di comportarsi per
effetto dei processi di influenza sociale esercitati all’interno del gruppo dei pari o dei sistemi di vita
ritenuti significativi. Il presupposto all’origine di tale orientamento riconosce gli adolescenti quali
attori primari nella promozione del proprio benessere e nella realizzazione di azione di prevenzione
di comportamenti a rischio.
Accanto ai temi inerenti alla prevenzione dell’AIDS e delle malattie sessualmente trasmissibili, con il
passare del tempo sono andati sviluppandosi programmi di educazione tra pari mirati alla
prevenzione delle violenze nella sfera domestica e tra pari, del bullismo, della prevenzione dal
consumo di tabacco, di alcol e sostanze ad azione psicotropa, e di specifiche tematiche relative alla
promozione della salute ritenute significative per gruppi mirati di persone (ad esempio: gruppi di
genere, gruppi di omosessuali e lesbiche, gruppi etnici particolari, ecc.).
Il panorama italiano presenta notevoli ritardi rispetto all’orizzonte europeo e soprattutto americano, e
solo nell’ultimo periodo si è registrato un significativo incremento dell’attenzione nei confronti
dell’educazione tra pari come modello di lavoro con gli adolescenti. (pp. 39-66)
53
L’EMPOWERED PEER EDUCATION
L’empowered peer education rappresenta un nuovo modello di educazione tra pari che si discosta
sensibilmente da quelli precedenti di peer education. La sua peculiarità è l’effettivo protagonismo dei
ragazzi in ogni fase di lavoro: dall’ideazione alla valutazione. Dal punto di vita operativo il modello si
declina in processi di ricerca-azione circolare e continua.
L’empowered peer education propone un ribaltamento significativo, perché a livello effettivo i ragazzi
possono assumere il ruolo di protagonisti, smettendo di essere semplici comparse: da destinatari e
consumatori a ideatori, realizzatori, valutatori delle proprie iniziative all’interno della scuola. Gli
animatori adulti collaborano con i ragazzi assumendo principalmente la funzione di facilitatori di
processi. Essi mettono a disposizione le proprie competenze, come ad esempio le competenze sociali,
le dinamiche di gruppo, le metodologie di ricerca, la progettazione.
Il modello dell’empowered peer education prevede un’articolazione variabile dai due ai tre anni di
lavoro. La dimensione pluriennale risulta infatti funzionale alla sviluppo complessivo del percorso dal
punto di vista sia evolutivo, che tecnico-operativo. Una volta stabilita la fascia target di riferimento la
proposta di lavoro viene fatta a tutti, senza alcuna discriminazione o selezione aprioristica, e i ragazzi
decidono autonomamente se desiderano partecipare. Si procede inoltre all’individuazione di ragazzi
disposti ad assumersi intenzionalmente il ruolo di attori primari.
(pp. 67-120)
Il testo si sofferma anche nella descrizione delle varie fasi operative e degli strumenti che
costituiscono l’empowered peer education, tra i quali:

l’attuazione e la progettazione di un intervento di educazione tra pari;

la selezione degli educatori tra pari;

la costituzione del gruppo;

la ricerca;

la progettazione delle azioni;

l’intervento degli educatori tra pari;

la valutazione.
(pp. 123- 332)
LE SPERIMENTAZIONI
Il percorso che ha condotto all’elaborazione e alla definizione dei progetti sperimentali di empowered
peer education ha come origine i risultati di una ricerca multicentrica sui comportamenti a rischio
degli adolescenti, che ha interessato i territori di Varese, Vercelli, Belluno, Como e della Comunità
Montana della Lunigiana (Pellai, 2000). La ricerca, effettuata in 5 diversi territori del Nord Italia, ha
coinvolto complessivamente 47 scuole, per un totale di 260 classi: 4.135 adolescenti, di cui 2.356
ragazze (57%) e 1.779 ragazzi (43%). Tale ricerca è stata sviluppata con l’intento di monitorare gli stili
di
vita
degli
adolescenti,
al
fine
di
promuovere
una
strategia
di
prevenzione
primaria
pluricomportamentale. Risulta infatti indispensabile per la promozione del benessere e della salute
dei ragazzi il confronto con la complessità socioculturale, la poliedricità degli stili di vita e dei modelli
comportamentali, fra loro sempre intrinsecamente correlati. Si sono così monitorate parallelamente 8
aree comportamentali:
4. sicurezza stradale
5. violenza e bullismo
6. consumo di tabacco
54
7. consumo di alcol
8. consumo di sostanze ad azione psicotropa
9. comportamenti sessuali
10. disturbi del comportamento alimentare
11. pratica di attività fisica e sportiva
Quest’ultima parte del testo, dedicata all’analisi delle sperimentazione dell’empowered peer
education ha come scopo anche quello di rianalizzare tutto l’impianto teorico e metodologico del
modello stesso. (pp. 339-388)
55
Il gentil sesso debole
Le immagini del corpo femminile tra cosmetica e salute
Bruno Remaury – Meltemi, Roma, 2006
Questo testo nasce con l’intento di dare una prospettiva critica sull’immagine del corpo femminile
proposta dalla cultura: il tema principale non è dunque il corpo in sé e neppure l’immagine che di
esso ne ha la donna in quanto singolo individuo, ma sono le rappresentazioni del corpo proposte
dalla cultura stessa.
Il testo è suddiviso in tre parti:
7) una prima analizza Le immagini del corpo femminile, comprendendo lo studio sul fenomeno
del dovere di bellezza e il dovere di salute, trasmesse dalle due nozioni di “gentil sesso” e
“sesso debole”;
8) la seconda parte analizza Le tecniche del corpo femminile, cioè le principali tecniche di cui la
donna dispone per portare a compimento i “doveri” di bellezza e salute;
9) la terza e ultima parte tratta de La “natura” del corpo femminile, cioè le sostanze e i fluidi
legati alla bellezza e alle malattie delle donne.
Per lo sviluppo della sua ricerca l’Autore parte da un’osservazione empirica sulle pubblicità, i
manifesti e i cartelloni che tappezzano le nostre città, e ne desume che nel passaggio quotidiano delle
immagini è proprio la donna l’oggetto più instancabilmente ripetuto. La nostra cultura vede la donna
ovunque, essa continua ad occupare il primo posto nella rappresentazione, sia che il pubblico cui la
sua immagine è destinata sia femminile (meccanismo dell’identificazione con il modello) sia che si
tratti invece di un pubblico maschile (meccanismo dell’alterità desiderabile). Secondo l’Autore la
sovrabbondanza di immagini di donne della nostra cultura non è affatto prova di una tendenza a
“femminizzarsi”; al contrario, è l’ennesima testimonianza di una tradizione maschile volta alla messa
in immagine del proprio oggetto di desiderio. La nostra cultura infatti è ancora ampliamente
“mascolinizzata” e rappresenta a se stessa lo spettacolo di ciò che ha voglia di contemplare: nel caso
in questione l’altro desiderabile, ovvero la donna. Essa rappresenta e incarna infatti, molto meglio di
ogni altra immagine, quello che è l’altro della nostra cultura.
Il postulato di base su cui si fonda il libro è che le rappresentazioni della bellezza femminile siano
prevalentemente di tipo maschile. Sia le variazioni culturali sia le evoluzioni storiche hanno avuto
scarsa incidenza sul modo in cui la donna viene vista: essa è sempre laggiù, sulla riva “altra” della
cultura umana, poiché incarna essenzialmente l’alterità radicale dell’uomo. La cultura ha sempre
creato una frattura, e ha voluto che fosse la più netta possibile: ne è emersa una differenza radicale
fra organi e consistenza fisiologica dell’uno e dell’altro sesso.
L’Autore individua pertanto tre dimensioni dell’immaginario fisiologico femminile. Esso viene
descritto come corpo molle, corpo poroso e corpo che mangia.
Tali dimensioni sono tenute insieme da un nesso concettuale creatosi a partire da tre principi:
7) il corpo femminile è un corpo attraversato;
8) il corpo femminile è un corpo impregnato (in quanto trattiene la sostanza che lo attraversa);
9) il corpo femminile è un corpo spremibile.
56
Da questi tre principi ne emerge una donna debole e facile da modellare, che afferra le sostanze con
le quali entra in contatto grazie alla malleabilità naturale del suo corpo; una donna carnale da sfamare
continuamente; una donna che diffonde sostanze ormai divenute parti di lei, divoratrice e nutrice che
reca dinanzi a sé il male, o la vita. In conseguenza a ciò è possibile rendersi conto di come la cultura
raffiguri costantemente il corpo femminile in base alla meccanica della spugna, pronta ad assorbire
ciò da cui viene impregnata ma anche ad espellere e spremere ciò che contiene. Questa immagine di
un corpo-spugna è all’origine delle idee di “bellezza che si mangia” e “salute che passa anche per la
pelle”.
La pesantezza spinta sino all’estremo delle immagini del corpo, come pure il loro ricorrere così
frequente, sono particolarmente evidenti nel discorso popolare contemporaneo: slogan delle
pubblicità di prodotti di bellezza e medicina volgarizzata delle riviste di salute. Esse fanno parte di un
vero e proprio dispositivo repressivo, del quale la donna è oggetto attraverso il suo corpo. L’intento
del testo è di evidenziare le forme repressive più o meno sottili che possono assumere i discorsi sul
corpo femminile, mettendo in luce i meccanismi sui quali sono fondate, e di “smontare” un gran
numero di discorsi pubblicitari e giornalistici estremamente insidiosi perché onnipresenti nella nostra
quotidianità. Infatti, se le conquiste sociologiche del femminismo non sembrano in discussione, le
conquiste culturali (relative all’immagine della donna proposta quotidianamente dalla stampa, dalla
televisione, dalla cultura popolare) stanno attraversando una fase di parziale regresso: gli archetipi
della donna oggetto e della donna sottomessa prendono nuovamente il sopravvento. È necessario
dunque riuscire a dar prova di distacco critico e, al tempo stesso, di vigilare il fenomeno, soprattutto
perché di recente alcune teorie sociologiche sulla realizzazione della donna ci hanno indotto a
pensare che le mete del femminismo siano state ormai raggiunte.
La donna invece, come ben emerge dalla ricerca svolta dall’Autore, a dispetto delle evoluzioni reali
che la storia ha concesso alla sua immagine, continua ad essere messa ai margini, ridotta ad una
sempre più radicale corporeità che la riduce alle due dimensioni simultanee di bellezza e debolezza.
Quelle del “gentil sesso” e del “sesso debole”, perciò, saranno ancora per molto i due fondamentali
specchi che la natura offre alla donna perché si rappresenti, e in ogni caso la donna sarà obbligata a
fare riferimento, anche se implicitamente, all’una o all’altra di queste due dimensioni.
La stretta associazione tra donna e corporeità dimostra che la personalità e l’esistenza stessa della
donna sono costantemente confuse con il suo corpo, forse più di quanto lo siano mai state in
passato. Se l’uomo ha sempre avuto coscienza di avere un corpo, è probabile che non ci siamo
ancora resi conto di quanto la cultura abbia costretto la donna a essere un corpo: il suo corpo.
57
Percorsi dell’autobiografia tra memoria e formazione
Daniela Sarsini (a cura di) - Unicopli, Milano, 2005
L’autobiografia come processo di formazione e di cura di sé e degli altri è una delle tematiche
attualmente più ricercate e discusse del fronte pedagogico ed educativo contemporaneo.
Lo scopo degli studi qui pubblicati è quello di proporre una serie di itinerari di riflessione e di
approfondimento della pratica autobiografica per mettere in luce lo statuto narratologico e relazionale
della società attuale e per interpretare in senso educativo l’identità dei soggetti e i suoi ruoli sociali. In
particolare la dimensione pedagogica dell’autobiografia è qui affrontata nei suoi aspetti più radicali e
fondativi, in riferimento cioè ai vissuti interiori, corporei, estetici e professionali dei soggetti in
formazione, siano essi adulti, adolescenti o anziani.
Daniela Sarsini affronta nel suo saggio (pp.13-38) la centralità del corpo nella narrazione
autobiografica, partendo dal presupposto che è nella memoria del corpo che si trattengono le
memorie del mondo, è nel corpo come memoria che si iscrivono i costrutti individuali e sociali come
segni di riconoscimento di sé e degli altri.
Franco Cambi pone la questione del “doppio legame” tra cura di sé e pratiche autobiografiche (pp.3951): l’autobiografia viene vista come processo formativo, esperienza di formazione, modellizzazione
“rieducativa” di sé, in quanto viaggio nel sé, per sé, per darsi forma. L’autobiografia cambia il
soggetto, lo rimette a fuoco in modo nuovo, ne sposta il baricentro, l’immagine, il senso. E in questo
diventa via di cura, terapia ma anche prendersi cura di sé. Questo prendersi cura deve anche essere
assunto all’interno delle istituzioni/agenzie educative per formare la coscienza professionale degli
educatori e dei formatori.
Duccio Demetrio (pp.53-69) spiega l’importanza del genere narrativo autobiografico, in quanto la
memoria rivisitata dalla scrittura da luogo a qualcosa che la oltrepassa. Il ritrovamento dei propri
ricordi, la loro ritrascrizione, talvolta è quasi un pretesto per suscitare emozioni, racconti, riflessioni e
prefigurazioni di quello che si intende fare ed essere. Il testo prosegue poi analizzando l’esperienza
autobiografica in una comparazione tra scrittura e pittura.
Alessandro Mariani (pp.71-98) parla del racconto autobiografico che si presenta con le caratteristiche
dell’invenzione letteraria, capace di disgiungere l’io che sta raccontando dall’io di cui si racconta. I
ambito pedagogico l’autobiografia permette al soggetto di produrre una ricostruzione significativa
degli eventi vissuti nell’ambito di un doppio processo in cui il narrarsi si unisce col formarsi e diventa
cura di sé. Il tutto naturalmente legato al corpo catalizzatore dei vari livelli dell’essere. Si propongono
due itinerari formativi: Il corpo “narrato” (pp.83-87) e Il “corpo dipinto” (pp.87-95)
Caterina Benelli, partendo dal presupposto che l’approccio autobiografico è un metodo educativo in
quanto promotore di cambiamento, di consapevolezza, di apprendimento e ristrutturazione del sé,
propone alcune tecniche per raccontarsi (pp. 99-110)
Maura Striano propone l’autobiografia nella formazione degli insegnanti (pp.113-123).
58
L’uso
di”storie
professionali”
costruite
attraverso
una
metodologia
di
narrativa
autobiografica nell’ambito della formazione degli insegnanti si inscrive all’interno di un
più ampio dispositivo riflessivo in cui la “riflessione” è essenzialmente intesa come
funzione di ricostruzione dell’esperienza professionale, alla quale viene a conferire nuovi
significati, generativi di istanze di crescita e di sviluppo sia sul piano personale, sia sul
piano professionale. La “riflessione” è dunque una procedura che genera una nuova
comprensione di:
-
azioni/situazioni educative;
-
se stessi in quanto professionisti e in quanto soggetti implicati in un processo di formazione
continua, in relazione ai contesti socio-culturali cui si appartiene;
-
di concezioni, credenze, teorie implicite o date per scontate sulla natura della pratica
educativa e sui ruoli degli agenti in essa implicati.
I dispositivi di riflessione utilizzati per la ricostruzione dell’esperienza professionale nella formazione
degli insegnanti assumono particolare interesse laddove il lavoro formativo si indirizzi sia in funzione
della ricostruzione di azioni in situazione, sia in funzione della ricostruzione di credenze, preconcetti,
teorie implicite che condizionano, orientano e vincolano l’agire professionale. Su quese basi possono
essere progettati e costruiti nuovi percorsi di azione. In questo ambito risultano essere molto utili
modelli operativi costruiti sulla base di un approccio fenomenologico tra i quali sono particolarmente
efficaci i modelli narrativi e autobiografici, in quanto portano a identificare e “ricostruire” le posizioni
e gli orientamenti professionali, e a mettere a fuoco i percorsi e le tappe evolutive e trasformative che
hanno condotto i professionisti a sviluppare una specifica fisionomia professionale e una
rappresentazione del proprio ruolo e delle sue funzioni culturali e sociali.
Vanna Boffo dimostra le potenzialità didattiche della narrazione autobiografica (pp.125-152).
La comunicazione come narrazione e autobiografia può diventare la chiave di accesso alla
costruzione del proprio sé, della propria soggettività e della propria persona. Insegnare la
comunicazione a scuola e saper comunicare nella scuola fra studenti e docenti è movente tanto
importante per ciascun insegnante quanto lo è la comprensione che solamente attraverso la
comunicazione sarà possibile, per dar origine al processo della costruzione del sé. La narrazione
si proietta nell’ambiente didattico come una forma di sapere trasversale e una possibilità
metodologica transdisciplinare. Nella scuola i metodi narrativi possono rappresentare la
congiunzione tra una modalità di apprendimento formulaica, sistematica e priva di vita e, al
contrario, un modo di “fare scuola” attraverso il racconto, l’immaginario, la possibilità e la
creatività.
Inoltre,
la
riorganizzazione
dell’esperienza
in
modo
narrativo
contribuisce
all’acquisizione del linguaggio. La scuola potrebbe introdurre la narrazione e l’autobiografia come
due modalità per eccellenza per sondare l’opera di formazione che le è pertinente. Imparare a fare
autobiografia implica imparare la narrazione e la comunicazione di sé. La scuola è il luogo della
formazione intesa come risultante del processo educativo che indirizza i soggetti alla costruzione
di un progetto di vita. Narrazione e pratica autobiografica connettono la scuola al mondo della
vita. Si propongono laboratori di scrittura autobiografica a partire da vari stimoli (pp.147-149).
59
Maschi e femmine a scuola: stili relazionali e di apprendimento
Una ricerca su genere e percorsi formativi
Chiara Tamanini (a cura di) - IPRASE Trentino - 2007
La ricerca, avviata dall’IPRASE in collaborazione con la Commissione provinciale e quella comunale per
le pari opportunità di Trento, indaga il modo in cui il genere viene trasmesso nei processi formativi e
dimostra come sia importante tenerne conto nel percorso educativo. L’indagine è circoscritta al ciclo
primario in quanto si ritiene che l’età più importante nel processo di costruzione dell’identità sia
quella dai 6 ai 14 anni. L’indagine si è avvalsa di metodologie quantitative e qualitative ed è stata
articolata secondo quattro linee di attività:
1. definizione dello stato dell’arte del dibattito sulla tematica in oggetto mediante l’analisi della
documentazione esistente e raccolta dati sulla femminilizzazione dei percorsi scolastici e
professionali in Trentino, sulla dispersione scolastica
e sulle valutazioni ottenute da maschi e
femmine a scuola e nelle indagini sugli apprendimenti
2. scheda di rilevazione da far compilare alle scuole per capire se esistessero progetti, corsi di
formazione, buone pratiche o se vi fosse attenzione verso le differenze/disuguaglianze di genere
3. organizzazione di focus group con docenti di varie aree disciplinari
4. interviste in profondità
INTRODUZIONE:
La scuola rappresenta il luogo dove i ragazzi e le ragazze si scoprono, si confrontano, si
sperimentano, si pongono in relazione con gli altri sperimentando le proprie competenze emotive,
relazionali, socio-affettive.I docenti sono artefici importanti di questo processo e influenzano
sensibilmente la formazione dell’identità degli allievi sia con le modalità educative che realizzano sia
in quanto portatori di sè.
Da molte interviste emerge che i/le ragazzi/e sentono la scuola lontana dalla vita. Questo può
trasformarsi in disagio e distacco. Che appare però meno diffuso tra le ragazze: questo pare sia dato
ANCHE dalla capacità di comunicazione che hanno le ragazze, trasmessa da una tradizione di genere
che ha costruito nel tempo nelle donne le competenze del dirsi e raccontarsi. Diversamente i ragazzi
stanno assieme per fare cose o per accreditarsi come maschi attraverso atteggiamenti e
comportamenti di supposta virilità, che soffocano fragilità e paure.
Nella crescita dei/delle giovani si intrecciano modelli contraddittori di culture nuove dell’essere donna
e uomo e la persistenza di tradizioni millenarie di genere. La scuola ha spesso la tendenza ad avere
un approccio egualitario che porta però ad una neutralità, ad una non valorizzazione delle differenze
(e quella di genere
comprenderle),
alla
appare come la fondativa di tutte le altre, il varco anche culturale per
costruzione
di
percorsi
che
parlano
solo
di
rincorse
al
maschile
e
contemporaneamente negano attenzione alle difficoltà del maschile.
L’assunzione della cultura e prospettiva di genere occorre sia un percorso che nasce innanzitutto da
un processo di consapevolezza dell’insegnante, di sé come persona e professionista sessuata. La
consapevolezza di genere deve diventare prima di tutto un patrimonio personale perché possa essere
trasmessa nel lavoro educativo. Chi insegna è un modello, è il primo agente di orientamento alla
crescita. Partire da sé diventa un sapere spendibile nel lavoro in classe, attraverso ad esempio la
riproposta e la discussione di queste tematiche. Nonché un lavoro di destrutturazione degli stereotipi
presenti e radicati anche negli insegnanti.
60
 Si ritiene utile la creazione di un coordinamento tra le attività di formazione dei/delle docenti, un
luogo e dei tempi di incontro e confronto, in cui chi opera nella scuola in queste prospettive possa
confrontare le esperienze e condividere le criticità.
SCUOLA E PROBLEMATICHE DI GENERE
Alcune posizioni che emergono dalla ricerca (pp.47-103).
 Nella scuola c’è sensibilità diffusa verso la differenza di genere ma resta ad un livello superficiale,
occasionale, non si traduce in attenzione costante e ragionata, oggetto di una riflessione didattica e
educativa.
 la questione di genere viene affrontata esplicitamente quando si pone come problema.
 la differenza di genere è affrontata in modo secondario entro alcuni percorsi educativi (sessualità,
affettività, salute,...) o disciplinari (scienza, storia, letteratura, ...) e solo saltuariamente è tema di
riflessione primaria e diretta. Non rientra quasi mai tra i temi di attenzione nella progettazione
curricolare.
 la diversità tra maschi e femmine viene talvolta percepita come un problema in più che la scuola
deve affrontare oltre ai molti già presenti.
 le differenze di genere diventano più evidenti nella scuola secondaria di primo grado, mentre in
quella primaria sono meno accentuate, anche se si nota un anticipo nelle manifestazioni di carattere
sessuale.
 tutti/e gli/le intervistati/e sono favorevoli alle classi miste. Tuttavia alcuni propongono di separare
maschi e femmine in alcuni momenti dell’attività didattica ed educativa.
 la femminilizzazione della scuola incide nei processi formativi e conoscitivi e sarebbe auspicabile
una maggiore presenza di insegnanti maschi nel corpo docente per consentire il confronto con stili
relazionali ed educativi differenti e proposte di modelli e comportamenti diversificati, utili sia per gli
alunni che per le alunne (approfondimenti pp.107-119)
 fattori extrascolastici accentuano i problemi legati alla costruzione dell’identità di genere.
 si pone la necessità di una rinnovata riflessione e attenzione verso la questione di genere alla luce
della consistente presenza di alunni di culture diverse:
 il tema dell’identità e della differenza di genere e degli stereotipi merita di essere approfondito con
corsi di formazione orientati a dare indicazioni operative.
 E’ importante che si tenga conto delle differenze di genere per consentire che l’itinerario scolastico
derivi dalla conoscenza delle proprie inclinazioni che non necessariamente devono corrispondere a
quelle tradizionalmente riconosciute in base al genere di appartenenza.
La cultura della differenza è essenziale al costruirsi dell’identità perché sollecita la persona a leggere
la propria parzialità e specificità. La comprensione delle dinamiche di genere arricchisce le prospettive
pedagogiche e dischiude nuove opportunità alla costruzione dell’identità. Dare valore, visibilità ai
percorsi, alle culture e alle competenze di ambedue i generi può significare aiutare ragazzi e ragazze
a sviluppare identità e differenza e a riconoscerle reciprocamente, ma anche a leggere criticamente la
realtà. Al contrario offerte formative indifferenziate e uniformi, con approcci alla conoscenza di tipo
astratto e teorico produce spesso demotivazione e dispersione scolastica (frequenti le critiche
dei/delle giovani a queste metodologie).
Il lavoro per progetti, che implica il lavoro d’equipe tra docenti e considera gli alunni attori e
costruttori dei loro percorsi di formazione, mette assieme interpreti diversi, mobilita competenze,
diffonde
un’idea
di
sapere
come
patrimonio
all’autoformazione e all’autorientamento.
61
da
riscrivere,
reinventare,
innovare,
educa
E’ importante che l’orientamento non sia limitato alla fase di transizione dalla scuola media a quella
superiore ma investa tutto il percorso formativo. Diversamente si accentuano i fattori negativi che
incido sulle scelte e che risentono degli stereotipi culturali e delle connotazioni di genere assegnati ai
campi del sapere e alle professioni.
 In una scuola che orami vede una presenza sempre maggiore di bambini/e provenienti da altre
culture, c’è il rischio per quanto riguarda la questione dei rapporti di genere, che i nuovi cittadini
sentano minacciate le loro radici culturali e i loro sistemi valoriali di riferimento. Per meglio affrontare
ogni progetto di educazione socio-affettiva e sessuale nelle classi, sarebbe importante che
insegnanti, operatori e famiglie partecipassero a laboratori di formazione antropologica e ricevessero
un accompagnamento di mediazione culturale dei processi educativi
► ALUNNE E ALUNNI: LE DIFFERENZE IN AMBITO SCOLASTICO (pp.120-170)
Si riportano alcune interpretazioni degli/delle insegnanti su differenze tra alunni e alunne, anche se
alcuni sostengono che non si possa generalizzare:
BAMBINE:
CARATTERISTICHE POSITIVE: gentili e dolci, docili, riservate, obbedienti, grintose, determinate, hanno
le idee chiare, rispettano le regole, espansive, capaci di autocontrollo, capacità di adattamento,
attente alle relazioni, hanno capacità di mediazione. IN AMBITO SCOLASTICO: motivate, brava,
riflessive, concentrate, mature, responsabili, attente, precise, costanti, ordinate, metodiche,
approfondiscono di più, collaborative, efficaci, rigorose, diligenti, tranquille, ligie al dovere, rispettano
le consegne.
CARATTERISTICHE NEGATIVE: difficoltà a risolvere i conflitti, poco solidali tra loro, gelose e possessive
negli affetti, ricorrono a sotterfugi e inganni, agiscono nell’ombra attente a non farsi scoprire,
complesse, difficili da interpretare, stuzzicano, pettegole, sciocchine, poco pratiche, piangono. IN
AMBITO SCOLASTICO: intelligenza mnemonica, preoccupate e ansiose per le proprie performaces, si
fermano di fronte agli ostacoli.
PREDISPOSIZIONI
E
INTERESSI
SCOLASTICI
eccellenti
nella
composizione,
buone
capacità
espositive/hanno difficoltà ad esporre, ricchezza di linguaggio capacità di analisi, capaci di esprimere
sentimenti ed emozioni nel testo scritto, elevate capacità nell’arte e nella musica, interessi nelle
discipline umanistiche
BAMBINI:
CARATTERISTICHE POSITIVE : dinamici, concreti, pratici, disinibiti, diretti, espliciti, schietti, litigiosi ma
fanno subito la pace. IN AMBITO SCOLASTICO: creativi, originali, intuitivi, acuti, curiosi
intellettualmente, competitivi, non si scoraggiano per i propri insuccessi.
CARATTERISTICHE NEGATIVE: irruenti, sguaiati, “rompiscatole”, aggressivi, usano un linguaggio
brutale, “fisici”, trasgressivi, grezzi, prevaricatori, prepotenti, incapaci di autocontrollo, non hanno
progettualità. IN AMBITO SCOLASTICO: irrequieti, difficoltà a mantenere l’attenzione, insofferenti,
iperattivi, immaturi, infantili, giocherelloni, disordinati, imprecisi, svogliati, approssimativi, frettolosi,
incapaci di essere propositivi.
PREDISPOSIZIONI E INTERESSI SCOLASTICI:scarni rispetto alla lingua scritta, colgono meno le
sfumature, hanno difficoltà ad esprimere idee personali e sentimenti , buona capacità di esposizione,
capaci di sintesi, propendono per gli aspetti logico-matematici, interessati a meccanica, elettricità,
fisica, tecnologia, buone capacità nel manipolare materiali, attivi e partecipativi nelle attività motorie.
Le cause individuate per spiegare le differenze sono molteplici e non condivise da tutte/i. FORSE DA
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► PERCHE’ LE FEMMINE SONO PIU’ BRAVE?
Si riportano alcune opinioni non omogenee e non condivise da tutti/e i/le partecipanti
La maturazione più precoce sembra portare le bambine ad avere più autocontrollo e più capacità di
attenzione; metodo, impegno e serietà e non intelligenza superiore; il giudizio sulla condotta ha
spesso effetti sul rendimento e questo penalizza il maschio; la prevalenza di donne nel corpo docente
e quindi un approccio che tende a valorizzare le caratteristiche degli alunni dello stesso sesso; le
aspettative da parte della scuola nei confronti delle ragazze si traducono spesso in un
incoraggiamento ad assecondare quegli stereotipi di genere che le portano ad essere studentesse
migliori.; le aspettative da parte della famiglia che incoraggia le ragazze ad impegnarsi maggiormente
(contribuisce la maggiore facilità che hanno gli uomini a trovare lavoro); la voglia di emergere e
emanciparsi
INSEGNANTI (Italia)
Se il corpo docente è costituito in gran parte da donne, in alta percentuale impiegate in materie
umanistiche e linguistiche, è però scarsamente rappresentato a livello gestionale soprattutto nella
Scuola secondaria di II grado.
STUDENTI E STUDENTESSE (Italia)
Si osserva in generale una più ampia partecipazione femminile ai percorsi liceali e un orientamento
maschile verso istituti tecnici e professionali.
Compito della scuola è quello di intervenire offrendo maggiori possibilità, soprattutto alle ragazze,
che, condizionate da fattori culturali, tendono ad indirizzarsi maggiormente verso percorsi umanistici.
Si ritiene necessario stimolarle attraverso proposte didattiche specifiche che le avvicinino agli indirizzi
scientifici e che consentano loro di allargare il raggio della scelta occupazionale.
CONCLUSIONI:
► La pluralità delle opinioni espresse nelle interviste testimonia che sulla linea da tenere
rispetto alle differenze di genere non c’è accordo:
 alcuni ritengono che compito della scuola sia quello di valorizzare le differenze ponendole al centro
dell’iniziativa didattica
 altri pensano che andrebbero attenuate, e che possano costituire un ostacolo da eliminare
attraverso il riferimento all’alunno in sé, senza connotazioni di genere.
 qualcuno, infine, pensa che vadano neutralizzate nel senso che non è l’istituzione scolastica –
universale – a doversene occupare.
► Affiora inoltre la necessità, sentita da parte degli insegnanti, di specifici corsi di aggiornamento
sulle problematiche legate alle diversità.
► Si suggerisce come possibile azione un monitoraggio, differenziato per genere, che rilevi, oltre
agli esiti finali, anche aspetti di comportamento e atteggiamento al fine di offrire un panorama più
articolato di come maschi e femmine stanno a scuola e di come apprendono..
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