Centro Donna Multiculturale - Pari Opportunità Provincia di Venezia
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Centro Donna Multiculturale - Pari Opportunità Provincia di Venezia
BIBLIOGRAFIA e scheda di sintesi di ogni opera Bellatalla, Luciana - Genovesi, Giovanni - Marescotti, Elena (a cura di) La scuola in Italia tra pedagogia e politica (1945-2003) Franco Angeli, Milano, 2004 pag. 4 pag. 6 pag. 11 pag. 13 pag. 15 pag. 17 pag. 19 pag. 21 Besozzi, Elena (a cura di) Il genere come risorsa comunicativa – Maschile e femminile nei processi di crescita Franco Angeli, Milano, 2003 Boda, Giovanna L’educazione tra pari Linee guida e percorsi operativi Franco Angeli, Milano, 2006 Boni, Federico Men’s help Sociologia dei periodici maschili Meltemi, Roma, 2004 Bruni, Claudia Zona d’ombra Come i genitori attraversano l’adolescenza La Meridiana, Molfetta, 2003 Bruni, Claudia Ascoltare Altrimenti Adolescenti stranieri a scuola Franco Angeli, Milano, 2007 Chiti, Eleonora (a cura di) Educare ad essere donne e uomini Intreccio tra teoria e pratica Rosenberg & Sellier, Torino, 1998 Colombo, Maddalena (a cura di) Educazione e mutamento Valori, pratiche e attori in un’epoca di trasformazioni Bonanno, Roma-Catania, 2005 1 Colombo, Maddalena (a cura di) Riflessività e creatività nelle professioni educative Una prospettiva internazionale Vita e Pensiero, Milano, 2005 pag. 23 pag. 25 pag. 27 pag. 29 pag. 32 pag. 36 pag. 39 pag. 41 pag. 46 Crespi, Isabella Il pendolo intergenerazionale La socializzazione al genere in famiglia Unicopli, Milano, 2003 De Luigi, Nicola I confini mobili della giovinezza Franco Angeli, Milano, 2007 De Pieri, Severino (a cura di) Verso un sistema educativo integrato Franco Angeli, Milano, 2002 Di Cristofaro Longo, Gioia – Mariotti, Luciana (a cura di) Modelli culturali e differenza di genere Armando, Roma, 1998 Frabboni, Franco – Baldacci, Massimo La qualità della didattica nella scuola che cambia Il monitoraggio Irrsae del piano dell’offerta formativa Franco Angeli, Milano, 2001 Barbara Mapelli e Gabriella Seveso (a cura di) Una storia imprevista Femminismi nel Novecento ed educazione Guerini Studio, Milano, 2003 Mapelli, Barbara - Bozzi Tarizzo, Gisella - De Marchi, Diana Orientamento e identità di genere Crescere donne e uomini La nuova Italia, Milano, 2001 Mariani, Alessandro Foucault: per una genealogia dell’educazione Modello teorico e dispositivi di governo Liguori Editore, Napoli, 2000 2 Mattei, Martino Insegnare con i concetti Educazione alla cittadinanza Franco Angeli, Milano, 2007 pag. 48 Michelini, Maria-Chiara Progettare e governare la scuola Democrazia e partecipazione: dalla progettazione educativa all’organizzazione scolastica Franco Angeli, Milano, 2006 pag. 51 pag. 53 pag. 56 pag. 58 pag. 60 Pellai, Alberto - Rinaldin, Valentina - Tamburini, Barbara Educazione tra pari Manuale teorico-pratico di empowered peer education Erickson, Trento, 2002 Remaury, Bruno Il gentil sesso debole Le immagini del corpo femminile tra cosmetica e salute Meltemi, Roma, 2006 Sarsini, Daniela (a cura di) Percorsi dell’autobiografia tra memoria e formazione Unicopli, Milano, 2005 Tamanini, Chiara (a cura di) Maschi e femmine a scuola: stili relazionali e di apprendimento Una ricerca su genere e percorsi formativi IPRASE Trentino – 2007 3 La scuola in Italia tra pedagogia e politica (1945-2003) Luciana Bellatalla, Giovanni Genovesi, Elena Marescotti (a cura di) – Franco Angeli, Milano, 2004 Il presente volume raccoglie le relazioni presentate ad un seminario organizzato nell’anno accademico 2003-04 presso l’Università di Ferrara, nel quale sono stati impegnati, accanto a docenti dell’ateneo ferrarese, studiosi provenienti da varie università italiane. Questo seminario si presenta in continuità con un’analoga iniziativa svoltasi l’anno accademico precedente, dal titolo “Pedagogia: aspetti epidemiologici e situazioni dell’esistenza ”. I due seminari sono stati progettati come continui e strettamente interdipendenti, in quanto gli esiti del primo costituiscono la base teorica sulla quale è andato a costruirsi il percorso di analisi, di riflessione e di discussione del secondo seminario. Infatti in questo successivo ciclo di seminari il concetto di pedagogia come scienza, e soprattutto le sue categorie fondative, non sono più state analizzate da una prospettiva meramente teorica ma sono state ricercate ed esaminate da un punto di vista storico, secondo la tesi, condivisa e difesa dai tre curatori, che la storia dell’educazione è necessariamente il “laboratorio” della ricerca epistemologica. Centro unificatore dei vari interventi è la relazione tra pedagogia, intesa come scienza dell’educazione, e politica, intesa non solo come dimensione intrinseca dell’esistenza individuale e sociale, ma anche come concreta scelta di orientamenti, norme e valori per tale esistenza. Il periodo prescelto per ricostruire le vicende di questa relazione, tanto necessaria ed ineludibile quanto ambivalente, è stato il secondo dopoguerra, assunto come momento paradigmatico per la storia dell’educazione in generale e della scuola in Italia in particolare. Si tratta, infatti, del periodo della ricostruzione e della speranza, che culmina con quel miracolo economico al quale si devono la crescita significativa della scolarizzazione e il successo di percorsi formativi fino a quel momento subalterni al percorso liceale ad orientamento umanistico. Si tratta di un periodo ricco di suggestioni per l’intreccio fecondo di aspirazioni politiche progressiste, di sollecitazioni culturali e di tensioni educative articolate, anche grazie all’arrivo e alla circolazione in Italia di teorie e suggestioni che, prima della guerra, erano tenute rigorosamente lontane dalla preparazione degli insegnanti o erano confinate in un recinto rigidamente accademico. Dall’esame di tappe importanti di questo ultimo cinquantennio della vita italiana emerge con chiarezza l’ambivalenza del nesso tra pedagogia e politica. Tale ambivalenza non è tanto (o non è solo) frutto della natura intrinseca dei due termini in gioco; essa deriva soprattutto dalla capacità che la politica scolastica italiana ha avuto, intenzionalmente e coscientemente, di estromettere la pedagogia come scienza dell’educazione da tutti i suoi percorsi, dibattiti e scelte. Si nota infatti una costante separazione tra le istanze della politica e dell’economia da un lato, e le istanze della pedagogia dall’altro. Ma se è vero che la scuola è costretta necessariamente a fare i conti con la vita concreta e pulsante della società civile, è altrettanto vero che essa non può essere pensata né progettata, se vuole realmente rispondere a criteri di qualità, al di fuori delle cornici teoriche poste dalla pedagogia. In Italia, al contrario, il sistema scolastico ha per lo più subito senza reazioni lo strapotere della dimensione politica (in senso sia partitico che ideologico). 4 La storia del nostro sistema scolastico, perciò, è costellata di aspirazioni spezzate, di compromessi, di dibattiti inconcludenti e della tendenza a mantenere inalterato lo status quo, che hanno finito per neutralizzare le migliori intenzioni trasformative. Analizzando dunque la storia del nostro sistema scolastico ci si rende conto che, di fatto, tale sistema è dominato da una staticità che mal si coniuga con l’idea di educazione, legata invece ai concetti di processo, di progetto e di cambiamento. Tra disegno politico e tensione pedagogica, la seconda è risultata sempre perdente, al punto che sarebbe corretto parlare di una costante prevaricazione del primo aspetto sul secondo. Deriva da questa constatazione un quadro sconfortante, nel quale tutte le aspirazioni ad una reale trasformazione della scuola e dell’educazione in Italia hanno dovuto arrendersi ad una Realpolitik, che ha finito per snaturarle, travisarle e piegarle ad un complessivo disegno di conservazione. Ma i contributi del volume non si limitano a questa pars destruens, giacché suggeriscono istanze ed orientamenti per un’inversione di rotta. Si tratta del richiamo ai temi portanti di una pratica educativa, fondata sulla pedagogia scientifica: l’urgenza di una nuova figura di docente; la necessità di una relazione più salda tra scuola e dimensione extrascolastica; una riflessione più accurata e pedagogicamente avvertita sulla natura e la funzione della scuola; un’attenta valutazione del concetto di pubblico e di laico, nella loro accezione più ampia ed articolata. La pedagogia, infatti, tramite la formulazione di un concetto logicamente cogente e storicamente fondato di educazione, di didattica e di scuola, può impostare la direzione per un profondo e giustificato mutamento e rinnovamento del sistema scolastico. Ma per questo fine, deve tornare a confrontarsi con una volontà politica disposta e disponibile ad ascoltarne le ragioni e ad interagire con essa in maniera significativa. 5 Il genere come risorsa comunicativa – Maschile e femminile nei processi di crescita Elena Besozzi (a cura di) - Franco Angeli, Milano, 2003 Il testo si basa in gran parte sui risultati di una ricerca sul campo realizzata nel territorio della Regione Lombardia, che ha visto la somministrazione, nell’a.a. 2000/2001, di un questionario a risposte chiuse a 1550 studenti e studentesse di terza media e prima superiore (fascia d’età 14-16 anni), finalizzato a indagare vari aspetti del loro percorso scolastico e della loro vita quotidiana. In seguito sono stati realizzati 2 focus group con gli insegnanti (uno a Milano e uno a Brescia) e 4 role playing con gli studenti e le studentesse,focalizzati sulle scelte professionali future. L’autrice individua innanzitutto un vistoso paradosso nel sistema scolastico di oggi: “saperi, processi e stili di apprendimento sono concepiti all’insegna di un ipotetico universalismo (..) e di una indifferenza verso la differenza”. E ancora: “la scuola tratta gli individui più come individui astratti (secondo il principio di cittadinanza) che come persone umane con la loro singolarità” (p.12) In altre parole: “la differenza di sesso diventa indifferenza di fronte a un diritto di pari opportunità. Tuttavia, in questa indifferenza si nasconde un’insidia, quella di estendere un diritto senza modificare gli assetti strutturali e le pratiche culturali. (….) Gli allievi (maschi e femmine) sono trattati in modo uguale a come venivano trattati i maschi in passato. L’ingresso della componente femminile non ha modificato contenuti, saperi, modalità di apprendimento, valori e norme della cultura scolastica” (p. 23). Vanno distinte pertanto la disuguaglianza (che va combattuta, in nome del diritto di uguaglianza di opportunità) e la differenza, che è invece un diritto (diritto di essere differenti che implica un trattamento diversificato, contro la tendenza all’”universalismo” e alla neutralizzazione). Secondo il femminismo radicale e socialista, le istituzioni educative e i curricola scolastici sono giudicati intrinsecamente maschili, visto che “a una cultura maschile fanno riferimento i valori fondamentali di una buona scuola: achievement, razionalità, prestazione, valutazione” 1 (p.48). Come la scuola tende a non considerare e ad appiattire le differenze di genere, così anche gli/le adolescenti tendono a neutralizzare le differenze di genere (siamo prima di tutto persone..), e le ragazze stesse danno per assunta un’uguaglianza di opportunità, salvo poi voler affermare il bisogno di differenziazione e individualizzazione - non solo per genere -. Ecco di seguito una breve sintesi di alcuni aspetti importanti emersi dall’analisi del questionario “Raccontaci la tua esperienza”. Esperienza scolastica: le ragazze riescono tendenzialmente meglio dei loro coetanei maschi, specie passando alle superiori, ma sono tendenzialmente più disorientate circa le scelte. Se non sono state 1 Esiste un approccio conflittualista secondo cui non vi è parità tra maschi e femmine nella distribuzione delle risorse educative, che si traduce in disuguaglianze nell’accesso all’educazione, sia dal punto di vista dei meccanismi di selezione scolastica sia nei termini di stereotipi sessisti che agiscono sulle scelte. Il testo analizza anche l’approccio funzionalista, secondo cui la scuola ha il compito di ridurre il deficit tra maschi e femmine creato dalla scorretta interpretazione dei ruoli di genere operata nella prima infanzia, abolendo pertanto qualsiasi forma di discriminazione. Il filone interazionista e costruzionista vede la differenza di genere come un costrutto simbolico, non è nulla di dato e oggettivo. Questo approccio, oltre a considerare il modo in cui i modelli di genere influiscono sia nella prima infanzia sia, dopo, a scuola, prende in esame i diversi atteggiamenti degli insegnanti verso gli alunni e le alunne (es: come le aspettative possono influenzare il rendimento di alunne e alunni) (pp. 45-51). 6 rilevate differenze nette circa il rapporto con le materie di studio, d’altra parte i ragazzi attribuiscono alla scuola una valenza perlopiù strumentale, mentre le ragazze apprezzano maggiormente la dimensione espressiva – autorealizzativa. Gli aspetti di tipo punitivo sono generalmente riservati ai maschi, mentre le ragazze tendono generalmente a essere maggiormente apprezzate. Esperienza familiare: vi è una diversità di stili relazionali in rapporto al genere di appartenenza: generalmente i rapporti sono migliori con il genitore dello stesso sesso; tuttavia, le ragazze si mostrano complessivamente più critiche. Il controllo è fondamentalmente analogo, ma le ragazze sono più controllate nelle uscite serali. Esperienza mediale: ragazzi e ragazze utilizzano PC e TV, ma i primi hanno un approccio più ludico con il PC (videogiochi) Aspettative verso il futuro: le ragazze tendono a essere più esplorative, i ragazzi più tradizionalisti (i maschi sono più vicini agli stereotipi, esprimendo un bisogno di “ancoraggio” ad alcuni valori tradizionali, mentre le ragazze hanno bisogno di affrancarsi dal classico “destino di donna”). Va sottolineato inoltre che dall’analisi dei questionari sono emersi alcuni “clusters” (gruppi), che possono essere riconducibili a 7 categorie/tipologie: tipo “acquisitivo” (a prevalenza femminile); tipo “incerto” (a prevalenza maschile); tipo “disimpegnato” (a prevalenza maschile); tipo “apatico” (a prevalenza femminile); tipo “sprecato” (a prevalenza maschile); tipo “integrato” (in egual misura maschile e femminile); tipo “metropolitano” ( a prevalenza maschile). (cfr. pp. 39/44) Nel capitolo “Genere e scuola” (pp. 45-88), Maddalena Colombo evidenzia non solo i principali approcci alla questione di genere nella scuola (cfr. nota 1) ma mette in luce ulteriori elementi utili al fine di un’analisi delle differenze di genere nell’esperienza scolastica (pp. 51/57), ovvero: l’esistenza di un gender gap, in netta riduzione ma comunque a tutt’oggi persistente e correlato con alcuni fattori socio-economici, quali: bassi livelli di industrializzazione e urbanizzazione, ridotti fondi pubblici per l’educazione, incapacità del MdL di stimare le credenziali educative, ridotti tassi di attività femminile, vicinanza o adesione a ideologie patriarcali. Va comunque rilevato (anche in Italia) un fenomeno di sorpasso femminile, correlato al migliore rendimento scolastico delle allieve e alla maggior regolarità dei percorsi. Vi è inoltre una femminilizzazione del personale docente. Altri elementi importanti sono: il diverso atteggiamento maschile e femminile verso la scuola (ragazze più concentrate sull’aspetto della autorealizzazione, vivono lo studio con un approccio più interiorizzato e sono più organizzate); la persistenza di stereotipi sessisti nei libri di testo; la differenza di attenzione prestata dagli/dalle insegnanti nei confronti di ragazze e ragazzi (fenomeno dell’attenzione discriminante, che privilegia sempre i maschi); modalità differenti di vivere il ruolo di studente (le femmine sono meno presenti nelle discussioni collettive e nella gestione delle attività ma sono più interessate alle questioni relazionali e al rapporto diretto con gli insegnanti); la presenza di episodi di esibizionismi e molestie sessuali. Risultati della ricerca Ragazzi/ragazze e scuola 7 Rapporto con le materie di studio: la maggior predisposizione dei ragazzi per le attività logico matematiche e tecniche e delle ragazze per quelle logico linguistiche ed espressive è da ascriversi a pressioni culturali e sociali e alla varietà delle situazioni di apprendimento. Le differenze nel rapporto con le materie di studio aumentano con il progredire dell’età e dei gradi di scuola (le femmine gradiscono maggiormente attività in cui sono valorizzate le abilità verbali (es. lingua straniera, italiano), mentre i ragazzi privilegiano attività che richiedono abilità percettivo – spaziali (scienze, educazione fisica). Il rendimento delle ragazze è generalmente migliore, così come maggiore è il tempo dedicato ai compiti da svolgere a casa. La valutazione verso gli insegnanti non è particolarmente differente tra ragazzi e ragazze, anche se i primi privilegiano la capacità professionale (competenze), le seconde quella relazionale. Esiste la percezione, da parte dei maschi, di essere trattati peggio delle loro compagne (critica, punizione vs lode). Durante i focus group, “negli insegnanti è stato riscontrato un basso livello di consapevolezza e di tematizzazione delle declinazioni di genere dei propri comportamenti in classe, mentre prevale la difesa dell’agire uniforme e rispetto del mandato istituzionale egualitario” (p.73). Nonostante gli insegnanti non adottino un codice di genere nell’esercizio della loro professione, si tratta di un tema considerato rilevante dalle/dai docenti. Tra gli altri elementi di rilievo, spicca una forte associazione tra la scelta dell’indirizzo di studi e lo status dei genitori, che rivela l’esistenza di vincoli impliciti (sia nelle classi medio-basse sia in quelle a status elevato) spesso non riconosciuti dai ragazzi e dalle ragazze. Ragazzi/ragazze in famiglia A questo proposito non si può prescindere dal fenomeno del “prolungamento indefinito dell’adolescenza”, che coincide con l’indebolimento dei percorsi biografici istituzionalizzati. Rispetto alle comunicazioni di genere, generalmente maschi e femmine parlano più con la madre (con cui si parla di più di questioni personali) piuttosto che con il padre (argomenti attinenti la sfera pubblica e ludica). Per quanto riguarda le aspettative verso il futuro, i maschi tendono a parlarne di più con i padri mentre le femmine con le madri. Rispetto ai propri genitori, sono le ragazze a esprimere un maggior indice di autonomia, anche se in generale risulta fondamentale trovare un punto di riferimento in adulti significativi. Grosse differenze si rivelano rispetto alle “aspettative future di maschi e femmine in ordine alla costituzione di una loro famiglia e riguardo ad alcuni aspetti della conduzione e delle decisioni familiari. In particolare, fra le ragazze è spesso evidente un bisogno di libertà da condizionamenti e stereotipi; nei maschi è più diffuso il bisogno di mantenersi ancorati a posizioni e orientamenti tradizionali, che appaiono proteggere di più il ruolo maschile” (p. 113). I ragazzi, in altre parole, aderiscono di più delle loro coetanee a modelli consolidati. Quindi, ad esempio, i maschi esprimono una certa resistenza verso le donne lavoratrici. Esiste in tal senso una sorta di “crisi” maschile. Ragazzi/ragazze e le amicizie Il ruolo delle amicizie è fondamentale per questa fascia di età, perché si denota come momento di affrancamento progressivo rispetto alla famiglia e al mondo degli adulti. Generalmente, per le ragazze nell’amicizia è basilare lo scambio di vissuti (stile “riflessivo” di socializzazione”, perlopiù nella sfera domestica), mentre per i ragazzi l’amicizia si fonda prevalentemente su uno stile “attivistico”, basato sulla condivisione di attività, perlopiù all’aperto (ma oggi, anche grazie all’avvento dei videogames, anche i ragazzi si stanno riappropriando della casa). 8 Media e appartenenza di genere L’indagine indaga sul rapporto con i media sia dal punto di vista del consumo che da quello della rappresentazione, in cui la donna è marginale (specie nell’intrattenimento, il cliché della donna corpo/oggetto è ancora tristemente diffuso). Riguardo il consumo dei media, va detto che essi rivestono un ruolo basilare nei processi di crescita. Esso è praticato sia dai ragazzi sia dalle ragazze, con alcune sostanziali differenze: entrambi usano il PC e internet, ma i maschi ne fanno un uso prevalentemente ludico e ne hanno appreso il funzionamento attraverso un’esplorazione personale, mentre per le ragazze si osserva una mediazione da parte del mondo adulto e un uso più strumentale e impegnato (per comunicare e studiare). I ragazzi usano maggiormente i videogames, le ragazze (con uno scarto piuttosto ridotto) i cellulari, specie per mandare SMS. Le ragazze ritengono che per saper usare il PC sia necessario avere pazienza, mentre i ragazzi ritengono che la qualità principale in tal senso sia l’intelligenza. Da sottolineare una distanza evidente e persistente tra mondo mediale e scuola (spesso addirittura gli insegnanti temono che i ragazzini troppo “tecnologici” vengano distratti da questa loro attitudine dall’impegno scolastico). Nelle situazioni di “rischio” e di “incertezza” esistono delle differenze di genere: se da un lato vi è una grandissima prevalenza maschile (il rapporto è 1/10) nonostante negli ultimi due decenni si sia riscontrata un’inversione di tendenza, va detto che vi sono delle caratteristiche tipicamente “maschili” e altre “femminili” in questi gruppi marginali. Le ragazze “a rischio” sono perlopiù sole, autocritiche (si sentono inadeguate, specie fisicamente), con una grossa paura del futuro. Questo è in linea con la tendenza, tipicamente femminile, di pensarsi nel lungo periodo. Le ragazze tendono maggiormente a problematizzare all’infinito la propria esistenza, aprendosi continuamente nuovi sbocchi, esponendosi quindi alla cosiddetta “tirannia delle possibilità”. I ragazzi (con particolare attenzione a quelli “a rischio”) invece sono perlopiù conformi allo stereotipo culturale di genere, e alla necessità di riconoscersi nei valori del gruppo dei pari (dove spesso la mascolinità si associa all’omofobia); per i maschi in particolare l’eventuale carenza di solidità delle figure genitoriali si traduce in una maggiore esposizione al rischio “qualora i genitori non svolgano in maniera soddisfacente tali funzioni, lasciando così spazio alla pressione del gruppo nel modellamento delle condotte” (p. 174): Tamar Pitch sottolinea che la differenza di genere nella maturazione dei percorsi di devianza è dovuta a fattori sociali, non naturali. In sostanza, comunque, nella condotta maschile si registra maggiore “immediatezza” e un approccio a “raggio corto” (fattore che ne caratterizza le scelte), in quella femminile una tendenza maggiore a proiettarsi verso il futuro, senza limiti di accesso alle opportunità. Riti di passaggio: il testo esamina la complessità e l’indeterminatezza dei confini dell’adolescenza, che nella nostra società è per certi versi “prolungata” (vi è infatti una situazione prolungata di deresponsabilizzazione dai compiti di adulto). Nella nostra società è il gruppo a essere vissuto come rito di passaggio, sostenendo il /la giovane nel processo di separazione dai genitori. Esistono dei meccanismi rituali forniti dalla società, consumati internamente al gruppo. Nell’individuazione del momento ideale per uscire dalla casa della famiglia d’origine, i ragazzi sono ancora una volta più tradizionalisti delle ragazze, indicando “il matrimonio” mentre le ragazze affermano che il momento giusto è “quando si guadagna abbastanza”. Il testo analizza infine alcune teorie sul genere nella società contemporanea: quelle elaborate da Nancy Chodorow si basano sulla necessità per i maschi di costruire un’identità separata da quella 9 della madre (la prima figura di accadimento con cui il bimbo/la bimba si relaziona), andando a configurarsi come “non femminile”; questo andrebbe a spiegare anche il timore dei ragazzi di essere considerati “poco uomini” se compiono delle scelte anche professionali non tradizionalmente maschili, cosa che per le ragazze non accade (cfr. il role playing effettuato contestualmente all’indagine). Carol Gilligan afferma l’esistenza di due morali diverse per uomini e donne: i primi si basano su quella del diritto, le seconde su quella della responsabilità. Chi contesta questi approcci teorici afferma che entrambe le concezioni si basano su una visione rigida del modello femminile (WASP). Mulgan sostiene come le tradizionali definizioni di maschile e femminile, per contro, stiano scomparendo. Si va verso una “femminilizzazione” della società che, tra le altre cose, tende a valorizzare le doti tradizionalmente considerate “femminili” come flessibilità, adattabilità, spirito di disponibilità, anche nel mondo del lavoro: si verifica, inevitabilmente, una crisi del maschile. 10 servizio, L’educazione tra pari Linee guida e percorsi operativi Giovanna Boda – Franco Angeli, Milano, 2006 L’offerta di informazioni specifiche sulle varie problematiche adolescenziali non sembra aver condotto le popolazioni giovanili verso comportamenti più adeguati. In questo senso, al fine di lavorare realmente in termini preventivi, non è utile solamente l’informazione ma bisogna riuscire a direzionare in termini evolutivi i comportamenti dei ragazzi. Parlare di prevenzione in questa accezione significa mettere in primo piano il gruppo dei pari, poiché esso ha in età adolescenziale un ruolo fondamentale per orientare processi di crescita e percorsi di sviluppo. Le esperienze più comuni in adolescenza hanno a che fare con la sperimentazione del rischio. In questa fase il tema del coinvolgimento diretto nelle azioni di prevenzione e promozione del benessere è un concetto chiave che può condurre ad una effettiva educazione alla salute. Coinvolgere però significa anche responsabilizzare, e dunque dare voce alle istanze più spontanee che i ragazzi hanno da offrire nel contesto scolastico e che attengono a contenuti che esulano quasi completamente dalle questioni didattiche, per coinvolgere aspetti inerenti la comunicazione sociale, l’interazione emotiva, il piano delle aspettative e dei bisogni che ciascuno alunno porta con sé. In quest’ottica l’Unione Europea ha progettato un piano di offerta formativa molto articolato che prevede per tutti gli Stati membri dei criteri di riferimento per l’istruzione e la formazione, stabiliti con il limite temporale del 2010 e aventi i seguenti obiettivi specifici: a. ridurre di almeno della metà, rispetto all’anno 2000, i. la percentuale dei giovani che abbandonano prematuramente la scuola, ii. lo squilibrio uomini-donne fra i diplomati nel settore delle matematiche, delle scienze e della tecnologia, garantendo un aumento significativo del numero complessivo dei diplomati, iii. la percentuale dei giovani di 15 anni aventi cattivi risultati nella lettura, nella matematica e nelle scienze; b. adoperarsi affinché la percentuale media delle persone di età compresa tra i 25 e i 64 anni, aventi un livello di studi secondari superiori, raggiunga l’80% o più; c. far sì che nell’Unione Europea il tasso medio di partecipazione all’istruzione ed alla formazione durante l’intero arco della vita sia pari ad almeno il 15% della popolazione adulta in età lavorativa. La Comunità Europea ha inoltre elaborato anche delle apposite linee guida che inquadrano la natura e le caratteristiche della peer education. L’Unione Europea e l’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno offerto una serie di indicazioni sulle competenze psicosociali, convenzionalmente indicate con il termine life skills, che si pongono l’obiettivo di elaborare e sperimentare strategie di intervento efficaci basandosi sulla promozione dell’assunzione di responsabilità da parte del soggetto in età evolutiva rispetto alla propria salute. Le strategie promozionali utilizzabili per facilitare l’apprendimento di life skills comprendono diverse metodologie formative, tra le quali si sottolinea l’importanza della peer education, che rappresenta per i ragazzi un’occasione di sperimentare la propria partecipazione e il protagonismo attivo. La 11 scuola può essere identificata come il contesto formativo-educativo privilegiato all’interno del quale è possibile promuovere ed implementare programmi di peer education funzionali a stimolare i ragazzi ad assumere e gestire un nuovo ruolo, quello di giovani cittadini attivi e responsabili. La peer education è infatti una specifica metodologia formativa che prevede che un gruppo di studenti prescelto, afferente ad un gruppo scolastico più esteso, venga appositamente formato e reinserito nel gruppo di appartenenza al fine di realizzare precise attività che coinvolgano i loro coetanei. La peer education deve essere identificata in termini di percorso particolarmente innovativo ed alternativo rispetto ai metodi formativi tradizionali. I ragazzi devono avere la possibilità di assumersi la responsabilità di ideare, organizzare e gestire iniziative mirate al coinvolgimento del gruppo dei pari. Ne emerge un quadro in cui la figura del docente assume un nuovo, importantissimo ruolo: quello di promotore di responsabilità e partecipazione individuale e collettiva. L’insegnante deve assumersi cioè il compito di accompagnare i ragazzi nella globalità della loro esistenza. Viene infine analizzata l’esperienza italiana in tema di peer education dal 2000 ad oggi. In Italia è stato progettato e realizzato, infatti, sotto la guida del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, il programma nazionale “La Peer Education: una strada europea per la lotta alla droga fra i giovani del 2000”. Durante tale programma ciascuna scuola ha elaborato e gestito autonomamente, a livello provinciale, percorsi mirati alle singole classi coinvolte nel progetto, provvedendo alla formazione specifica con esperti locali, secondo standard e criteri monitorati a livello provinciale e nazionale. (pp. 101-106) 12 Men’s help Sociologia dei periodici maschili Federico Boni – Meltemi, Roma, 2004 Questo volume affronta una sorta di viaggio nella precarietà dell’uomo contemporaneo, così come essa viene proposta dalle rappresentazioni dei men’s lifestyle magazines, i periodici maschili che negli ultimi anni hanno letteralmente colonizzato le edicole italiane. Tali riviste per uomini si sono affiancate alle tradizionali pubblicazioni di motori o bodybuilding: più vicine al lettore, più “complici”, invitano ad una riscoperta edonistica del corpo e ad un crescente consumo di cosmetici e prodotti di bellezza maschili. Il testo analizzato vuol capire questo fenomeno piuttosto recente (almeno in Italia), attraverso l’analisi di alcune riviste tra le più rappresentative della loro categoria («Men’s Health», «Fox Uomo» e «For Men Magazine»). L’ipotesi principale da cui prende le mosse il volume è che il recente successo, in continua crescita, dei periodici maschili sia in qualche modo legato al cambiamento delle identità e delle relazioni di genere degli uomini. Nell’offrire un’ampia gamma di consigli riguardanti la “cura del sé”, i men’s lifestyle magazines contribuiscono infatti alla produzione e alla riproduzione di un “ordine corporeo maschile”, che viene realizzato attraverso una complessa serie di “tecniche del corpo” e “tecnologie del sé”. Quello che l’autore compie prendendo in esame le più famose riviste del settore è in fondo un viaggio nell’incertezza e nella precarietà dell’uomo contemporaneo. Un viaggio che parte dalla discussione sul ruolo della “maschilità” nell’epoca contemporanea, per poi procedere all’analisi delle varie tematiche presentate nelle riviste (self-help, salute, sessualità, alimentazione, benessere fisico, sport, stile di vita dell’uomo) e della tendenza alla medicalizzazione in generale del corpo maschile. Infine, il volume si concentra sulla modalità con cui questi periodici affrontano il rapporto degli uomini con se stessi, con le donne e con gli altri uomini, arrivando a costruire una sorta di “comunità immaginata maschile”. I corpi rappresentati dai periodici maschili che questo volume si propone di analizzare sono corpi “a rischio”, che le nuove condizioni lavorative hanno messo in pericolo; sono i corpi di individui la cui identità va costantemente ridefinita e rinegoziata in seguito al crollo di quelle certezze che fornivano una legittimità a modelli (relativamente) stabili di maschilità e di ruoli sessuali. Sono corpi sottoposti continuamente allo sguardo scrutinatore delle donne e di altri uomini, resi oggetti da consumare e usati per veicolare altri beni di consumo (come nelle sempre più frequenti pubblicità dove viene usato il corpo maschile). Soprattutto, sono corpi su cui viene esercitata una costante cura di sé, sostenuta da tutta una serie di retoriche che si ispirano a pratiche di disciplinamento, di monitoraggio e di controllo molto vicine al concetto foucaultiano di “medicalizzazione”. La progettazione di questi corpi e di queste identità non è né facile né scontata, soprattutto in un’epoca come quella contemporanea in cui l’insicurezza e l’incertezza sono assurte a un livello globale. In questo scenario i periodici maschili analizzati dal volume giocano evidentemente un ruolo di considerevole importanza. Anche le identità di genere infatti vanno continuamente prodotte e riprodotte, in una performance che richiede una negoziazione e una legittimazione tutte interne alla società. Insomma: maschi e femmine non si nasce: si diventa. E questo processo diviene uno dei più significativi all’interno del progetto identitario. 13 È qui che entra in gioco l’importanza di strumenti, come periodici maschili quali «Men’s Health», «Fox Uomo» o «For Men Magazine», nei quali il lettore cerca una risposta su come affrontare questo processo progettuale. Di fatto, quindi, la lettura di queste riviste mostra che la maschilità, come qualunque altro aspetto dell’identità, non è né fissa né data una volta per tutte: ogni pagina di questi giornali infatti è centrata su come costruirla, non su come è. Alcuni autori sostengono che tali periodici maschili costituiscono un tentativo di riaffermare una cultura maschilista in relazione alla “svolta femminista” della cultura contemporanea, ma una lettura attenta di questi periodici mostra come in realtà, lungi dall’affermare una maschilità egemone fatta di cultura machista dove le donne vengono considerate come meri oggetti sessuali, i periodici maschili mostrano una maschilità precaria, che va definita. Possono tranquillamente essere considerati come uno degli esempi più evidenti dell’idea di maschilità come costruzione sociale, poiché molti articoli non ripropongono tanto una “cultura fallocrate” quanto piuttosto una sostanziale incertezza della maschilità e della sua costruzione, e si rivolgono a chi si sente insicuro nel proprio rapporto con l’altro sesso. Tale insicurezza si lega a tutta una serie di ansie che i periodici maschili analizzati sembrano fare emergere in quasi ogni articolo: si tratta, soprattutto, di ansie in relazione al corpo, alla sua salute e alla sua forma, alla sua prestanza e alla sua bellezza. In definitiva alla sua presentabilità nell’arena della vita quotidiana. Questo ruolo di “manuale per l’uso” per la produzione e riproduzione di modelli maschili assunto dai periodici analizzati si inscrive in uno scenario che è inevitabilmente quello di una società dei consumi: in altre parole i periodici maschili riflettono una “commercializzazione delle ansie di genere”, dove le risorse disponibili per affrontare l’incertezza e l’insicurezza della maschilità contemporanea consistono per lo più in beni di consumo. 14 Zona d’ombra Come i genitori attraversano l’adolescenza Claudia Bruni, La Meridiana, Molfetta, 2003 Il testo nasce dagli incontri con gruppi di genitori, tenuti nello spazio scolastico dei figli, alla presenza della Dott.ssa Bruni. Come stimoli sono stati utilizzati brani d’autore evocativi di emozioni, che hanno aiutato l’identificazione e quindi un processo di rielaborazione della propria esperienza. Quando i figli crescono i genitori rimangono molto più soli di quanto non lo fossero quando erano bambini: la scuola media inferiore e superiore non ha la competenza di quella elementare e materna sulle problematiche affettive e relazionali dei suoi allievi e i diritti e i doveri degli adolescenti non sono chiari come quelli dei bambini. Inoltre le novità del loro processo di crescita sono rilevanti. Parola chiave del testo è la nostalgia con cui si trovano a dover fare i conti sia i genitori che i figli: i primi quando i figli cominciano il loro percorso di autonomia e definizione della personalità, che li porta inevitabilmente ad allontanarsi e a creare nuovi equilibri nella relazione con i genitori, i secondi quando, crescendo, devono abbandonare l’infanzia ed elaborare il senso del limite, il distacco, la differenziazione. Tutto il lavoro nasce nella convinzione che il confronto con i “colleghi” genitori possa aiutare a comprendere meglio se stessi, i propri figli, la relazione con loro. CAP1: costruzione dell’identità dell’adolescente e distacco dalla famiglia: reazioni possibili dei genitori (pp.16-24). CAP2: differenze tra madri e padri davanti alla crescita dei figli e importanza di figure di riferimento maschili e femminili. Bambine e bambini pare abbiano una percezione diversa del distacco (pp.2532). CAP.3: il corpo che cambia, l’identità che muta, il look, il linguaggio, la sessualità e come reagisco e ci si relazionano i genitori (pp.33-42). CAP.4: amicizia e la nascita del mondo extrafamiliare. Nuovo ruolo dei genitori che passano in secondo piano rispetto agli amici e loro reazioni. Si evidenzia, tra ragazze e ragazzi delle medie, nel periodo che precede i gruppi misti, una differenza di interessi: i gruppi maschili sono più proiettati all’esterno, sono indirizzati verso il movimento e il fare, mentre quelli femminili sono più rivolti a esplorazioni interiori, al parlare, all’essere (pp.43-51). CAP.5: sul silenzio degli adolescenti, su quello degli adulti, sui suoi molteplici significati e su come ci si può rapportare (pp.52-58). CAP.6: punizioni, ricompense, dialogo, regole, significati e ripercussioni nella crescita dei “si” e dei “no” (pp.59-66). 15 CAP.7: la presenza di madri e padri rispetto al rendimento scolastico. In generale emerge che le madri sono più presenti ed esigenti mentre i padri tendono a delegare e ad essere più tolleranti. Si suggerisce che la cosa migliore sarebbe che in entrambi ci fosse un atteggiamento normativo e uno comprensivo. Il capitolo affronta anche il modo in cui gli adolescenti vivono la scuola, luogo di crescita, di confronto, di relazioni, e lo studio (pp.67-74). CAP.8: il futuro, le scelte e come i genitori possono collaborare e aiutare nella definizione dei percorsi (pp.75-81). CAP.9: la rabbia dei figli e quella dei genitori; derive violente; la necessità che l’adulto accetti la conflittualità e ne aiuti l’elaborazione; gestione delle emozioni; separazione dei genitori e possibili ripercussioni e reazioni degli adolescenti (pp.82-91) CAP.10: si propone una partenza da sé, una rielaborazione della propria storia e del proprio passato per meglio comprendere i figli e come ci si pone nei loro confronti (pp.92-98). 16 Ascoltare Altrimenti Adolescenti stranieri a scuola Claudia Bruni – Franco Angeli, Milano, 2007 Da più di dieci anni molte scuole superiori dell’area milanese, in collaborazione con le aziende sanitarie locali, hanno attrezzato uno sportello di ascolto psicologico per i propri allievi. Negli ultimi anni vi giungono sempre più spesso ragazzi stranieri le cui ansie, derivanti dall’insediamento in un nuovo paese, hanno molto in comune con quelle che tutti i ragazzi incontrano nel passaggio dal paese dell’infanzia a quello dell’adolescenza. Ma i ragazzi stranieri lasciano due paesi contemporaneamente: quello reale e quello simbolico. Nella particolare fase adolescenziale l’appartenenza a due culture, che in genere fanno fatica a non entrare in opposizione, si intreccia con il processo di crescita e lo complica. Per loro dunque è ancora più importante avere un luogo per celebrare i riti della transizione, dove essere aiutati ad affrontare il “trauma migratorio”. Lo sportello di ascolto a scuola si pone come un luogo di prevenzione, preziosamente situato nella quotidianità, dove ragazzi e genitori possano riuscire a tenere insieme le due equazioni inseparabili per un immigrato: impregnarsi della cultura del paese che l’ha accolto e rispettare la propria cultura d’origine. È più che evidente che tutti gli adolescenti attraversano un momento importante e critico durante il processo di costruzione dell’identità, processo che avviene attraverso successive identificazioni in perpetua negoziazione tra il dover essere, legato alle attese del gruppo che, a seconda delle culture, lascerà più o meno spazio di manovra, e il voler essere, legato alle ispirazioni individuali. Alcuni autori hanno sottolineato i rischi e le difficoltà di questo processo di costruzione di un’identità, soprattutto se in situazione di migrazione, ma recentemente si è parlato di un pluralismo coerente e di un’identità plurale che può far interagire diverse identificazioni, talvolta anche contraddittorie, senza che per questo nascano conflitti insormontabili. Trattando il tema del porsi in ascolto del disagio, questo testo è utile per tutte le professioni cosiddette “di aiuto”. Esso si basa sulla convinzione che il lavoro con i ragazzi stranieri porti ad un ricchissimo bagaglio di conoscenze, che può aiutare ad ascoltare meglio tutti gli adolescenti. Sono infatti figure di punta della modernità, di un tempo in continua accelerazione e in cui l’identità è ormai in un processo dinamico e multiforme. In questo contesto diventa fondamentale avere nei confronti dei ragazzi stranieri un atteggiamento accogliente e curioso verso la differenza, che ne faciliti il racconto. È importante attrezzare uno spazio per celebrare con loro il rito della transizione e aiutarli ad elaborare l’eventuale trauma migratorio. Il libro ha però degli obiettivi pratici e operativi: ecco perché propone una rassegna di casi e di esempi significativi sui cui riflettere creativamente alla luce di teorie, concetti ed esperienze che provengono da diverse voci italiane ed europee. Il materiale del volume, che presenta i casi che la psicologa autrice del testo ha incontrato nel suo lavoro con gli adolescenti, viene strutturato in capitoli relativi alle seguenti coppie familiari: 1. Madri e figlie 2. Padri e figli 17 3. Fratelli e sorelle 4. Nonni e nipoti 5. Gruppo dei pari e famiglia 6. Psicologo e adolescente 18 Educare ad essere donne e uomini Intreccio tra teoria e pratica Eleonora Chiti (a cura di) - Rosenberg & Sellier, Torino, 1998 Il libro nasce da un Convegno tenutosi a Grosseto nel 1996, con docenti e ragazzi/e ed è frutto di un’iniziativa del Provveditorato e della Provincia di Grosseto. Riguarda l’educazione alle pari opportunità e si rivolge essenzialmente ai referenti delle scuole. ► Lo Stato, l’educazione, le donne. Modelli educativi dall’unità d’Italia ad oggi: in questo capitolo Claudia Mausolei ripercorre la storia della politica scolastica dello Stato italiano dalla nascita ad oggi (pp.25-36). ► Parlare e scrivere senza cancellare uno dei due sessi: Adriana Perrotta Rabissi affronta le questioni relative alla natura convenzionale della lingua, che svalorizza costantemente il femminile. Sottolinea l’importanza di un lavoro delle insegnanti volto ad aiutare allieve/i a riconoscere gli automatismi linguistici che si trasformano inevitabilmente in modelli mentali (pp.37-53). ► Dall’avere al dare, dall’autonomia alla dipendenza: le tappe fondamentali dello sviluppo femminile . Elvira Reale tratta in questo suo intervento il problema della dipendenza che riguarda molte donne e che nasce da un processo di inferiorizzazione delle funzioni, attività, capacità di una persona (pp.5571). ► Educare nella differenza. Imparare l’amore di sé e l’amore dell’altra . Elisabetta Zamarchi riflette sulla necessità di conoscere se stesse, il proprio mondo interiore, sia nelle sue manifestazioni negative che positive e sull’importanza di ascoltarsi, come condizioni necessarie ad amarsi e di conseguenza a rapportarsi agli altri (pp.73-81). ► Ostacoli interni ed esterni. Eleonora Chiti pone qui l’accento sulla necessità che le insegnanti escano dal ruolo neutro di trasmissione di un sapere maschile e che si riappropino di un linguaggio femminile, dando spazio allo studio delle donne che hanno fatto cultura (nello specifico parla di letteratura e suggerisce testi di scrittrici) (pp.83-95). ► Gli stereotipi sessisti tra vecchio e nuovo, nella scuola e nella famiglia di Gabriella Rustici: lo stereotipo primo nella comunicazione tra i sessi è la perdita del segno di genere femminile nella lingua che, interiorizzato, produce deprivazione, sottrazione di valore. Diventa quindi importante l’uso del “linguaggio inclusivo” dentro e fuori la scuola come primo segno di una diversità riconoscibile. Lo stereotipo tende a permanere e, una volta appreso, in modo automatico, intorno ai 6-8 anni, per radicarsi nell’adolescenza, diventa resistente al cambiamento; sfrutta le sue caratteristiche di automatismo anche prevalendo sulle convinzioni personali coscientemente maturate. Lo stereotipo rischia poi di tradursi in pregiudizio e in azioni discriminatorie. Critica all’universalità del termine uomo che comprende maschi e femmine, parzialità che assume valore di verità, decentramento per vedere la cultura come un prodotto storico e non naturale, per 19 potersi avvicinare all’altro, meccanismo cognitivo funzionale allo studio di tutti gli aspetti della realtà e quindi attivabile in ogni ambito disciplinare come acquisizione metodologica fondamentale per conoscere le diversità etnico-culturali e per praticare relazioni basate sul riconoscimento e sulla valorizzazione delle varie identità. Alla scuola si chiede anche di aiutare a superare una definizione stereotipata del materno come del paterno, per arrivare a una nuova definizione di genitorialità, non come categoria che assorbe i due termini ma che li mette in relazione. Pone anche la questione della necessità di avere spazi (che secondo lei dovrebbero essere separati tra maschi e femmine), dentro la scuola, che consentano l’espressione del corpo e delle emozioni (pp.97109). GRUPPO DI LAVORO SU NIDI E SCUOLE D’INFANZIA Sono state raccontate le esperienze fatte a Pistoia: insegnanti e genitori si sono raccontati, confrontando esperienze vissute e concentrandosi sulla differenza e sull’uguaglianza nella differenza. Questo metodo consente di prendere atto delle proprie competenze e di mettere in gioco emotività e conflitti a cui segue poi il discorso teorico e operativo (pp.125-126). GRUPPO DI LAVORO SULLE SCUOLE ELEMENTARI Il discorso si è concentrato sull’importanza di trovare un modo di fare scuola che parta dal corpo ma anche sulla necessità di ripensare il rapporto tra colleghe. Hanno concordato sul fatto che un’educazione nella differenza deve affrontare il problema degli stereotipi (pp.126-127). GRUPPO DI LAVORO SULLE SCUOLE MEDIE INFERIORI Sono state affrontate le differenza tra le scuole di città e quelle rurali. E’ emerso come nelle prime la sfera emotiva e relazionale sia diventata marginale, mentre il problema principale delle scuole dei centri rurali è il permanere di ruoli definiti e competenze maschili e femminili. Per entrambi i tipi di scuola i/le partecipanti si sono trovati/e d’accordo nel privilegiare il rapporto con le famiglie piuttosto che quello con enti esterni. Da recuperare infine sia la relazione di confronto tra insegnanti che la manualità come sapere (pp128-130). GRUPPO DI LAVORO SULLE SCUOLE MEDIE SUPERIORI E’ emerso che parlare di pari opportunità significa mettersi in discussione, capire prima di tutto la propria identità, che tipo di messaggio viene offerto alle alunne e agli alunni per affermare l’esistenza di due soggetti autonomi. 20 Educazione e mutamento Valori, pratiche e attori in un’epoca di trasformazioni Maddalena Colombo (a cura di) – Roma-Catania, 2005 Nell’ambito della scuola vi sono significativi cambiamenti in atto sia sul versante dell’architettura scolastica, sia sul versante della domanda sociale di istruzione (per esempio la presenza sempre maggiore di stranieri in tutti gli ordini di scuola e il “sorpasso femminile” nei tassi di scolarizzazione), sia per quanto riguarda le professionalità scolastiche. A livello istituzionale, dopo la tanto discussa legge Berlinguer (L. 30/2000) si è giunti alle modifiche attuate dall’ex Ministro dell’istruzione Moratti (L. 53/2003), e, dopo la riforma del 1998, anche l’ambito universitario si è modificato in maniera sostanziale, così come sono state introdotte varie novità nell’ambito della formazione professionale (apprendistato, tirocini formativi, ecc). Di conseguenza, per governare tali cambiamenti, l’unica via perseguibile è la sperimentazione di figure educative differenziate e di modelli formativi “locali”. Nei vari settori dell’educazione però, pur lavorando simultaneamente alla costruzione di un sistema educativo integrato, sono presenti numerosi fattori di resistenza e di inerzia, ma anche, al contempo, di innovazione spinta e di conquista rapida dell’eccellenza. Ciò comporta il mantenimento di disuguali livelli di qualità, disuguaglianze che sembrano neutralizzare gli scopi dell’universalizzazione dell’educazione. Quindi, da un lato vi è un cambiamento spinto, una labilità e una turbolenza dei processi di mutamento, dall’altro una serie di vincoli strutturali che frenano in sostanza il cambiamento in atto. Alla luce di questo quadro, le analisi sociologiche sviluppate negli ultimi anni mettono in luce che il cambiamento imposto ai luoghi dell’educazione, nonché il suo ritmo accelerato, stanno esercitando notevoli tensioni sui valori, sulle pratiche e sui protagonisti dell’educazione, producendo incertezze ed ambiguità riguardo ai punti di riferimento per l’azione educativa e ai limiti e alle potenzialità dei contesti di apprendimento. La Sezione di Sociologia dell’educazione dell’AIS - Associazione Italiana di sociologia, attiva da decenni nella riflessione sui contesti sociali dell’educazione, ha attuato nel 2004 una serie di incontri seminariali, durante i quali i partecipanti hanno affrontato questioni sia di carattere teorico, sia empirico che metodologico. Il volume raccoglie pertanto i contributi dei sociologi italiani impegnati attraverso indagini sul campo a “misurare” e “interpretare” il mutamento. Gli interventi sono suddivisi in tre sezioni, che corrispondono ai diversi campi di analisi proposti, cioè i valori, le pratiche e gli attori. 1. Nella sezione “Valori” si raccolgono due saggi che aprono prospettive nuove di fronte ai temi teorici del “fare educazione”, ma anche a questioni dibattute all’interno della teoria sociologica corrente. In questa sezione sono emerse alcune problematiche: tra queste la difficoltà a considerare i valori fondativi dell’educazione come modelli chiari e condivisi, a causa della pluralizzazione dei sistemi di senso e della contraddizione latente tra le filosofie ispiratrici e le prassi concrete, sia a livello strutturale sia a livello individuale. 2. La seconda sezione “Pratiche” raccoglie gli stimoli provenienti da numerose ricerche empiriche, che hanno inteso misurare dal punto di vista del sistema scolastico i mutamenti più significativi avvenuti nella scuola contemporanea. I temi trattati hanno in comune la 21 preoccupazione generale per la qualità dell’istruzione, una questione cardine per la sopravvivenza del sistema e la sua legittimazione sociale, sia in termini di consenso per le riforme, sia in termini di capacità di ottenere i risultati. I diversi contributi illustrano una serie di “pratiche valutative” per monitorare la qualità del sistema scolastico e, se possibile, migliorarla e ne discutono non solo i problemi di validità (in pratica l’aderenza al contesto mutevole di oggi) ma anche l’uso sociale, ai fini di un miglioramento del sistema complessivo. È certo infatti che nessuno strumento valutativo dei processi e dei risultati educativi possa essere impiegato senza un opportuno atteggiamento prudenziale e critico. Si può però constatare il lento diffondersi della cultura della valutazione come momento integrante dell’educazione e della sua legittimazione sociale, ancora una volta per la resistenza dei soggetti e la scarsità di indicatori affidabili, che lasciano sempre “in ombra” settori importanti dell’esperienza educativa. 3. Nella terza sezione “Attori” sono rappresentate sia soggettività tradizionalmente al centro della riflessione sociologica (gli insegnanti) sia soggettività emergenti (gli studenti, gli istituti). In quest’ultima sezione si evidenzia la crisi delle definizioni tradizionali dei ruoli scolastici e l’affannosa ricerca di nuove etichette, rappresentazioni e linguaggi per comunicare nel mondo dell’istruzione. Il testo vuol cercare in definitiva di dare un immagine recente sul mondo scolastico ed educativo e le sue capacità di rispondere ai bisogni emergenti nella società della globalizzazione. Se è vero che emergono molte problematiche, numerose sono altresì le esperienze che tentano di risolverle. Nel testo si è tentato infatti di tratteggiare anche il “volto buono” della scuola oggi: quello fatto di capacità di adattamento, di volontà innovativa, di attitudine a conservare sempre, di fronte al mutamento, una certa indispensabile “eredità” per funzionare e perseguire i propri obiettivi soprattutto in considerazione del fatto che l’educazione è un bene pubblico. 22 Riflessività e creatività nelle professioni educative Una prospettiva internazionale Maddalena Colombo (a cura di) – Vita e Pensiero, Milano, 2005 L’epoca odierna è caratterizzata dall’individualizzazione e dai processi di globalizzazione, che spingono gli individui verso il bisogno di distinzione, di identificazione e di appartenenza. La cultura ha così assunto una posizione centrale nell’agire sui fenomeni odierni per modificarli, migliorarli e distribuirli. Tale centralità della cultura ha indotto a sviluppare il tema della riflessività, che rappresenta la “capacità del pensiero umano di trarre conseguenze dall’oggetto del suo pensare”. Il tema della riflessività è oggi al centro di un ampio dibattito nelle scienze filosofiche e sociali, in quanto gli effetti di questa nuova consapevolezza interessano i cosiddetti “custodi della cultura”, che si possono distinguere tra: 1) professionisti; 2) ricercatori e scienziati; 3) insegnanti, educatori e formatori. Il volume analizzato è dedicato in particolare a quest’ultima categoria. Il nuovo “attore sociale della formazione”, infatti, è un professionista riflessivo, che adotta metodi, tecniche e approcci specifici per applicare la riflessività all’esperienza e al proprio pensare. Oltre alle caratteristiche di circolarità, unicità e dimensione temporale, la riflessività è caratterizzata anche dalla creatività. La riflessività è con ogni evidenza un atto creativo, che mette in discussione le norme sociali e le teorie implicite, e a ben vedere tutto il progresso scientifico, pur dominato dalla razionalità tecnica, è dipeso da processi creativi. Negli ultimi secoli, pertanto, la creatività è stata usata abbondantemente per garantire la modificabilità continua del presente. La creatività comporta un’innovazione rispetto a ciò che esisteva in precedenza, dunque richiede un’adeguata cornice istituzionale, che dia valore al rapporto tradizione-innovazione. Non si può infatti creare il “nuovo” se non ci si basa su ciò che è considerato “vecchio”. Sviluppare processi di creatività significa pertanto, dal punto di vista del mutamento culturale, creare interconnessioni, suscitare reti e rimandi di significati che modificano il bagaglio della tradizione. Sono gli insegnanti a rappresentare il caso emblematico nello scenario moderno, in quanto attori che operano necessariamente all’interno di una tradizione culturale e professionale ben consolidata. Questa comunità professionale, ampliamente toccata dalla sfida della riflessività, si trova a dover affrontare una diffusa insoddisfazione verso il proprio ruolo e una crisi dell’identità professionale. È proprio lo spostamento verso un approccio più creativo ai compiti professionali che implica un’acquisizione di conoscenza e autocoscienza, maggiore libertà professionale e assunzione di responsabilità verso i risultati del proprio lavoro. Questo volume, che analizza in una prospettiva sociologica e pedagogica la figura del professionista riflessivo nell’ambito educativo, è costituito da una serie di saggi, che rappresentano il risultato di un percorso di lavoro comune tra gli autori. Esso si propone di presentare una sorta di “repertorio” di base, sia concettuale che metodologico, sulla riflessività e le sue applicazioni, attraverso una chiara impronta multidisciplinare e internazionale. Il testo è suddiviso in tre parti. 23 La prima parte (Conoscenza e professionalità nel quadro della modernalizzazione riflessiva ) contiene tre riflessioni teoriche che danno conto di come si applica la nozione di riflessività nella lettura del quadro sociale e culturale contemporaneo, con un’attenzione particolare alle problematicità che questo comporta. La seconda parte (Professioni educative nel contesto italiano), dedicata alle professioni educative nel contesto italiano, racchiude quattro contributi che applicano in modo più contestualizzato il principio della riflessività, con particolare riguardo agli insegnanti e ai coordinatori di risorse umane. La terza parte (Professioni educative nel contesto europeo), dedicata all’aggiornamento professionale mediante l’approccio riflessivo in alcune realtà europee, comprende tre contributi. Gli autori sono docenti presso vari istituti universitari ad Alta Formazione in Inghilterra, Norvegia e Belgio, ed hanno avuto modo di applicare diverse metodologie riflessive con i propri studenti, generalmente professionisti della formazione e insegnanti. Questi tre saggi in lingua originale hanno l’intento di dimostrare la distanza tra il quadro italiano e quello di altri Paesi dove le pratiche riflessive sono state più a lungo sperimentate e dove la riflessione teorica ha potuto raggiungere un livello maggiore di elaborazione. 24 Il pendolo intergenerazionale La socializzazione al genere in famiglia Isabella Crespi – Unicopli, Milano, 2003 Il volume considera i dati emersi da una ricerca sociologica condotta su un campione di 1500 adolescenti e 20 genitori di ragazzi e ragazze. Il filo rosso della riflessione coglie la socializzazione come un processo relazionale che sviluppa una dimensione identitaria maschile o femminile trasmessa attraverso le generazioni. La dimensione del genere e quella familiare rappresentano al contempo una risorsa e una sfida per lo sviluppo dell’identità degli adolescenti e per la loro socializzazione. La ricerca mette in luce, da un lato, che i genitori si trovano a mediare tra il mantenimento del modello ricevuto e l’emergere di nuovi e differenziati stili di socializzazione. Dall’altro gli adolescenti, alla ricerca della propria identità, oscillano tra l’ancorarsi nel “rifugio sicuro” di una visione stereotipata (soprattutto i maschi) e la sperimentazione di nuove appartenenze (soprattutto le ragazze). La trasmissione intergenerazionale può essere espressa con un’immagine, quella del moto del pendolo: esso si muove tra le generazioni “spostando” esperienze di vita e aspettative per il futuro di uomini e donne , di ragazzi e ragazze. I genitori trasmettono il modello di genere ricevuto dalla propria famiglia, mediandolo però con le esigenze e le esperienze dei loro figli, in un modello continuo di rielaborazione dei contenuti della socializzazione al genere. Gli esiti sono diversi, a volte incerti, a volte positivi, a volte problematici. Il libro si articola in una prima parte teorica e in una seconda in cui sono esposte le ipotesi, le elaborazioni dei dati e i risultati della ricerca: 1. cap.1 (pp.19-66): vengono individuati i nodi cruciali della problematica in questione, analizzando le trasformazioni della società contemporanea, la questione del genere tra omogeneizzazione e nuove differenze, l’adolescenza e il rapporto con la famiglia, l’identità e le differenze di genere all’interno della famiglia, la socializzazione al genere. 2. cap.2 (pp. 67-102): si affronta la relazione che gli adolescenti hanno con i genitori (dialogo con madre e/o padre su diversi argomenti, percezione della comprensione di madre e padre, percezione della propria autonomia, stima e fiducia nei confronti del padre e della madre, aspettative dei figli e dei genitori sulla carriera scolastica dei figli per genere,…), le aspettative rispetto al proprio futuro (emerge il disinteresse per l’impegno nella sfera della politica e della religione e appare invece fondamentale la dimensione familiare e quella affettiva), gli stereotipi relativi alla vita familiare 3. cap.3 (pp.103-125): gli adolescenti maschi tra rischio e conformità e le adolescenti femmine tra tradizione e autonomia. Per entrambi i generi si individuano delle “classi” con caratteristiche specifiche in cui rientrano gli/le intervistati/e 4. cap.4 (pp.127-169): le interviste ai genitori. Si affronta il rapporto con i propri figli, le differenze che emergono tra madri e padri nel porsi rispetto a diverse questioni, la complicità e gli incroci di genere (i genitori si collocano 25 sostanzialmente su 3 posizioni differenti: quelli che adottano uno stile comportamentale indifferenziato, quelli che preferiscono fare delle parziali differenze e quelli ritengono opportuno usare diversi stili educativi con ragazzi e ragazze), i “ruoli di genere” in famiglia, la trasmissione dei modelli di genere in relazione al loro trascorso e alla luce delle trasformazioni sociali. 26 I confini mobili della giovinezza Nicola de Luigi - Franco Angeli, Milano, 2007 Il testo esplora e analizza in maniera capillare il contesto, tipico di una realtà postmoderna di globalizzazione in cui tuttavia risultano marcate le peculiarità territoriali (come quella del contesto italiano). Punto cruciale del testo è: esiste un dilazionamento della giovinezza che rende questo concetto sempre più indefinito e indeterminato. Il testo si basa su un’indagine che ha coinvolto un campione di 1000 giovani dai 15 ai 29 anni residenti in un’area della cosiddetta “Terza Italia” (Nord Est e Centro, caratterizzata da un’etica del lavoro basata sulla laboriosità, della disciplina e del risparmio [etica contadina] e da una forte dimensione associativa): l’area considerata è provincia di Forlì – Cesena. L’indagine è finalizzata a indagare il rapporto delle giovani generazioni con il mondo del lavoro, nei seguenti termini: i cambiamenti delle condizioni e delle aspettative delle giovani donne; le trasformazioni del rapporto delle giovani generazioni col lavoro; la presa di distanza delle nuove generazioni dai luoghi e dalle forme di aggregazione tipiche della subcultura dominante. Parole e concetti chiave: incertezza; maggior libertà corrispondente però a maggior individualismo e instabilità (anche in concomitanza col venir meno di reti sociali e welfare, specie nel nostro paese, che penalizzano in particolare donne e giovani); dinamismo e infinita gamma di vite possibili che riduce la prevedibilità e la possibilità di creare percorsi istituzionalizzati in grado di definire un percorso di vita “normale” (de-istituzionalizzazione della vita sociale che si traduce in vulnerabilità); maggior esposizione degli individui alle dinamiche di mercato; precarietà lavorativa che si traduce in instabilità anche in altri settori; accento maggiore sulla responsabilità individuale e minore sulla solidarietà tra classi. Retorica della flessibilità: adattamento. Di conseguenza, la giovinezza, con le caratteristiche di attesa e semidipendenza che assume in sé, diventa un concetto indeterminato (vengono considerati “giovani – adulti” anche i 3040enni) e i percorsi di transizione assumono un carattere reversibile e frammentario. Questo avviene perché non si verifica più il modello tradizionale, per cui il passaggio alla vita adulta corrispondeva all’uscita dal percorso di studio e all’entrata del mondo del lavoro da un lato, mentre d’altra parte lo status di adulto veniva sancito dall’uscita dalla casa dei genitori per vivere col coniuge (non c’è più sincronismo ma una molteplice gamma di scelte, che spesso hanno il carattere della reversibilità: oggi si può tornare indietro rispetto a scelte un tempo considerate definitive – metafora dello yoyo: modello yoyoisation). “Se si assumono come riferimento i tradizionali 5 criteri (fine degli studi, assunzione di un ruolo lavorativo stabile, uscita dell’abitazione dei genitori, costruzione di una nuova famiglia e assunzione di un ruolo genitoriale), il numero di ventenni e trentenni che oggi si possono qualificare come adulti è piuttosto ridotto, specie in Italia” (p.69). L’Italia è uno dei mercati del lavoro meno ospitali, e penalizza in particolare, paradossalmente, i laureati. Nel nostro paese inoltre, rispetto a quanto accade in altre realtà europee, è più frequente che all’uscita dalla casa dei genitori segua immediatamente l’entrata in casa dei 27 genitori. Naturalmente la situazione in Italia si differenzia a seconda delle aree geografiche, e non è possibile ricondurla a un modello nazionale unitario. Alcuni punti cruciali dell’indagine: Nell’area considerata negli ultimi 50 anni il tasso di scolarizzazione, anche femminile, è aumentato considerevolmente. Il titolo di studio è in diretta correlazione con quello conseguito dai genitori. Nella scelta delle facoltà universitarie, il dato vede una prevalenza di ragazze che scelgono percorsi di tipo umanistico e di ragazzi che prediligono percorsi tecnico – scientifici. Il tipo di opportunità occupazionali offerte dall’area favoriscono un contatto molto precoce con il mondo del lavoro. Emerge una certa segregazione verso la componente femminile (a parità di mansioni svolte e di qualifica professionale, il titolo di studio delle ragazze è più elevato di quello dei ragazzi). Le donne hanno inoltre più difficoltà a ottenere contratti di lavoro stabili. Anche l’atteggiamento verso il lavoro è generalmente differenziato rispetto al genere, se i ragazzi tendono a essere più “carrieristi” (danno importanza sia al lavoro sia alla carriera), le ragazze hanno un atteggiamento più “impegnato” (danno importanza al lavoro, ma non alla carriera). In generale, il lavoro non assume una dimensione di centralità ma è uno strumento utile ad acquisire le risorse necessarie per le alter sfere della vita. Per quanto riguarda la sfera politica l’orientamento generale propende verso il centro sinistra (i due terzi degli/delle intervistati/e si collocano in questo orientamento). Vi è comunque una generale sfiducia nella politica e nel sistema partitico e di rappresentanza, a fronte di una grossa partecipazione al mondo associativo e solidale. Tra ottobre 2005 e gennaio 2006 sono stati inoltre intervistati (analisi qualitativa) ragazze e ragazzi nati nel 1971, 1976 e 1981, ed è stato chiesto loro di raccontare la propria esperienza professionale. Sono stati quindi intervistati alcuni testimoni privilegiati del territorio, attori centrali delle dinamiche del mondo del lavoro. Per analizzarne le storie di vita, sono state esaminate tanto la dimensione soggettiva (stabilità o instabilità contrattuale) quanto la reale aderenza del percorso professionale alle aspettative del soggetto. 28 Verso un sistema educativo integrato Severino de Pieri (a cura di) – Franco Angeli, Milano, 2002 L’idea di integrazione si presenta come una modalità permanente del vivere oggi, un valore che è fondamento di scelte sia metodologiche che culturali. Nel momento in cui si è cercato di attuare la riforma scolastica si è scoperto che proprio nella scuola dell’autonomia era possibile salvaguardare la diversità e costruire un sistema educativo aperto e flessibile, che esalta la diversità. Il banco di prova di tale sistema educativo è l’educazione interculturale, che costituisce la risposta teorica alla presenza nella realtà sociale e scolastica italiana degli appartenenti a culture “altre”. Il testo sviluppa, sottoforma di un saggio conclusivo di un incontro internazionale di studio, la tematica dell’integrazione all’interno del sistema educativo costituito dalle scuole del territorio, in regime di autonomia e parità. Il fine ultimo di tale testo è trasferire, dentro i processi di cambiamento, i riferimenti ideali e storici ispirati al Vangelo e alla dottrina sociale della Chiesa. La realtà delle scuole libere cattoliche, infatti, fiorenti in particolare nel Nord Est italiano, invita a promuovere patti educativi e sinergie tra molteplici soggetti e istituzioni. Il testo avanza quindi la tesi per cui la scuola non statale paritaria, specialmente quella promossa dalle istituzioni religiose ed ecclesiali, non può restare ancorata al passato, ma deve rinnovarsi, divenire competitiva, innovativa e creativa. L’ispirazione cristiana, a parere del testo, lungi dal condizionare la libertà di coscienza, persuade ad operare nelle modalità della scuola come comunità educante contro qualsiasi prassi individualistica o gruppettaria. Grazie al patrimonio culturale della tradizione cristiana, infatti, le scuole cattoliche possono offrire ai giovani valori e criteri di interpretazione della vicenda umana dell’oggi. Le parti che articolano il volume sono tre e sono tra loro strettamente collegate: PRESUPPOSTI FONDAMENTALI PER COSTRUIRE UN SISTEMA EDUCATIVO INTEGRATO - Cultura e umanizzazione: le sfide per una scuola aperta all’integrazione La cultura viene vista come una via all’umanizzazione e come un’importante sfida per una scuola che sia veramente aperta all’integrazione. - L’apporto del progetto culturale della Chiesa italiana nel sistema educativo integrato Il progetto culturale della Chiesa italiana si fa portavoce dell’importanza di sviluppare le radici cristiane all’interno della cultura italiana ed europea. - Autonomia della scuola statale e non statale: il caso Nord Est L’integrazione perseguita viene sostanziata da un’autonomia complessa, esemplificata nel testo dal caso del Nord Est italiano, visto come fenomeno di localismi che caratterizzano i percorsi dell’autonomia scolastica in rapporto a contesti estremamente diversificati. - Scuola e giovani: l’identità difficile Viene affrontata la questione della difficoltà odierna di creare un proprio progetto di vita all’interno di un futuro così incerto, carico di insicurezza e di rischio sociale. In questo ambito si sviluppa il tema della difficile identità delle giovani generazioni in cui si gioca il processo di integrazione nell’autonomia. 29 - Progettazione educativa e territorio La progettazione educativa viene vista come strumento principale del processo di integrazione, al fine di mettere l’autonomia dentro un percorso di intenzionalità puntuale ed efficace riferita al territorio. PROTAGONISTI NELL’ATTUAZIONE DI UN SISTEMA EDUCATIVO INTEGRATO 1) La partecipazione dei genitori alla scuola Si sostiene la tesi che i genitori siano parte integrante nella formazione di un sistema educativo integrato. Essi devono essere formati alla partecipazione, mentre gli insegnanti devono essere consapevoli della necessità che i genitori entrino a far parte dell’educazione a scuola. 2) Il parere degli studenti Anche gli studenti devono essere attori del sistema educativo integrato e il loro parere è essenziale, purché sia autentico e autonomo. 3) La formazione professionale Un sistema educativo integrato deve tener conto anche della formazione professionale come canale in cui assolvere all’obbligo scolastico. 4) Le istituzioni scolastiche Si sottolinea la necessità di ascoltare i docenti e farli divenire attori e protagonisti del sistema educativo integrato. 5) L’Università: studenti e docenti L’Università ha un ruolo essenziale nel sistema educativo integrato in quanto rappresenta il coronamento del processo formativo, di importanza fondamentale per lo sviluppo dello studio e della ricerca nel nostro paese. 6) Gli imprenditori Nel sistema educativo integrato gli imprenditori sono chiamati a divenire formatori, al fine di incentivare una formazione continua dei lavoratori. “LE BUONE PRATICHE” In questa parte del testo viene documentato come, nell’attuazione di un sistema educativo integrato, si stiano sperimentando alcune vie nuove di realizzazione. Tra queste “buone pratiche”, vengono menzionate: - Impianto valoriale, metodo e applicazione alle lingue straniere. Collegio Vescovile Barbarico – Padova - I Nuovi Saperi. Sperimentare l’integrazione disciplinare: il modulo integrato di raccordo tra biennio e triennio. “Mythos e logos: rappresentazioni della natura”. Liceo Ginnasio Statale G.B. Brocchi – Bassano del Grappa - Sperimentazione: una scelta di eccellenza. Istituto Don Bosco – Padova - Un centro orientamento di qualità. Istituto Astori – Mogliano Veneto - Esperienze di percorsi integrati nella formazione Professionale. Istituti professionali - Scuola/lavoro stage: storia di un progetto. 30 I.I.S. E.U. Ruzza – T. Pendola - Padova Infine si precisa l’esigenza della parità scolastica per costruire un sistema educativo integrato. Ci deve essere infatti un sostanziale rispetto dell’uguaglianza a tutti gli effetti dell’apporto di entrambe le scuole, statale e paritaria, per dare un’effettiva consistenza e significato a tutto il sistema educativo italiano. 31 MODELLI CULTURALI E DIFFERENZA DI GENERE Gioia di Cristofaro Longo, Luciana Mariotti (a cura di) - Armando, Roma, 1998 Il volume presenta alcuni saggi sulle tematiche teoriche che hanno portato alla ridefinizione dell’identità di genere femminile che, al giorno d’oggi investe anche quella maschile. IDENTITA’ DI GENERE MASCHILE E FEMMINILE di Gioia di Cristofaro Longo Il primo capitolo è centrato su una rilettura dei miti appartenenti sia alla mitologia che alla religione, ed offre quindi le basi di una ricostruzione storico-culturale che, individuando l’origine del sessismo nella cultura dei popoli, fonda contemporaneamente gli assi di una storia per la prima volta non segnata dal giudizio antifemminile. All’origine del maschilismo, secondo un’opinione diffusa tra molte/i studiose/i sta l’invidia per la capacità di procreare. RICERCHE SULLA PERCEZIONE DEL MUTAMENTO DI IDENTITA’ NEI GIOVANI: è stato chiesto a ragazze e ragazzi di definire sia la donna che l’uomo. Il risultato mette in luce l’esistenza di due codici culturali profondamente diversi. I modelli culturali emergenti per le donne sono: 1. modello della discriminazione: consapevolezza e individuazione nell’uomo culturale del responsabile; 2. modello della parità: valore; 3. modello dell’orgoglio dell’appartenenza di genere: novità culturale degli ultimi anni. Hanno inoltre riscoperto la maternità come esperienza distintiva ma non esclusiva del proprio genere, e hanno grandi aspettative rispetto al lavoro. I modelli culturali emergenti per gli uomini: 4. modello della discriminazione: riconoscimento della discriminazione delle donne accompagnata però dal timore di un rovesciamento che potrebbe portare a una discriminazione degli uomini; 5. modello della parità: se ne riconosce la validità ma emerge la preoccupazione di un mutamento considerato troppo radicale, che a volte si traduce in vero e proprio sentimento di invidia nei confronti della donna, che viene avvertita come forte e autosufficiente; 6. modello della crisi di ruolo: emerge chiaramente la percezione di una crisi di ruolo del modello maschile. I ragazzi si sentono prigionieri del vecchio modello ma spiazzati dall’avanzare degli elementi che scardinano il modello tradizionale. Gli uomini sono incamminati verso una nuova identità nella quale vecchio e nuovo si combinano in modo inedito, tra rotture, persistenze e resistenze. RAPPORTO DONNE E MASS-MEDIA: sottorappresentazione delle realtà femminili positive nella società e sovrarappresentazione della donna oggetto, simbolo sessuale. Vista l’influenza, soprattutto della televisione, nella costruzione del patrimonio culturale di riferimento; in particolare per i piccoli e per i giovani la situazione è sempre più drammatica. (pp. 9-52) PROCESSI EDUCATIVI E DIFFERENZE DI GENERE di Matilde Callari Galli Dai dati di alcune ricerche svolte in anni recenti si evince che nelle abitazioni e nelle istituzioni della prima infanzia viene riproposta la gerarchia dei sessi: si ascoltano di più i maschi, a loro viene dato 32 più spazio di intervento, gli è concesso un comportamento più apertamente aggressivo, la loro curiosità, a livello fisico e intellettuale è più favorita. Alle femmine viene trasmesso il modello della compagna piacevole, dell’accettazione delle iniziative dell’adulto o del compagno maschio, della sicurezza trovata nel silenzio e nella dolcezza. La storia che ci viene raccontata, e con essa tutto il sistema di valori che si crea, è l’interpretazione di una selezione, accurata e mirata, di un infinito numero di fatti. Si intreccia con i risultati provenienti da diverse discipline, ma viene presentata senza esitazioni, senza criticismo, seguendo un percorso lineare in cui aggressività, forza e violenza costituiscono le qualità vincenti. La strada da intraprendere è probabilmente quella di spezzare la costante contrapposizione che dal rapporto tra i sessi dilaga ad ogni altro rapporto con la diversità. Da qualche decennio si sta tentando di realizzare nella nostra società un processo educativo che, rispetto all’appartenenza di genere, si pone almeno a livello esplicito come egualitario e che ha prodotto mutamenti profondi nel costume, nel pensiero e nella vita individuale di molti uomini e di molte donne. Ma l’educazione differenziata e discriminante rimane largamente presente nella trasmissione culturale anche all’interno delle stesse istituzioni scolastiche: suddivisione di tempi e spazi, aspettative diverse che gli adulti riservano ai bambini e alle bambine, linguaggio dei libri di testo. Solo le abilità e le qualità conoscitive e intellettuali riferite al “modello maschile” sono valorizzate nel percorso educativo “egualitario”. Il modello educativo, che regola i comportamenti sociali dei due sessi, non consente all’individuo di poter esplicitare propensioni, capacità e abilità che sono distribuite fra i sessi in modo variegato. Diffondere una cultura che dia valore alle differenze, che sostituisca gli astratti valori di uguaglianza con un’ottica di pari opportunità, significa necessariamente partire dalla proposta di un nuovo rapporto tra i sessi. Ma spesso si insegna un rapporto tra i sessi che poi si nega con la propria prassi di vita davanti agli allievi. E se così non fosse ci pensa la vita “pubblica”, la rappresentazione “collettiva” e l’organizzazione sociale (si fa riferimento alle pubblicità televisive di giocattoli in cui i ruoli stereotipati di separazione delle attività e delle capacità vengono riproposti anche nelle attività ludiche e anticipano i successivi modelli di identificazione per adolescenti che si trovano nelle telenovelas, nei fumetti, nei “romanzi d’amore”). (pp. 53-84) ANCORA SUL PRAGMATISMO DELLE DONNE di Amalia Signorelli Punto di partenza dell’autrice è un testo di Ann Cornelisen Women of the Shadows, nel quale l’autrice, mantenendo costante il punto di vista femminile, riesce a rendere visibili le dinamiche di un complicato processo: come sia la realtà sociale dei paesi di montagna lucana a produrre queste donne; ma, al tempo stesso, come sia il vivere, l’agire, il pensare di queste donne a produrre la realtà sociale dei paesi della montagna lucana. Per sintetizzare l’insieme di caratteristiche che hanno in comune, Cornelisen ripete più volte « peasant women are pragmatic». Le donne cioè, e non solo quelle contadine, hanno senso pratico; e la pratica è il regno delle donne. Questo è un luogo comune assai diffuso e condiviso, che fa spesso concludere che le donne sono inette alla teoria, che abbiano la testa vuota. Esiste però il pragmatismo delle donne, che secondo l’autrice non è l’attitudine delle donne alla pratica, ma piuttosto una filosofia nel senso di una concezione del mondo e della vita. L’autrice vuole portare argomenti a favore dell’ipotesi che la produzione culturale delle donne, il loro pragmatismo, sia interno alla relazione di potere che si instaura nel campo culturale; e che esso giochi una parte nel produrre e riprodurre, ma anche nel modificare, condizioni di dominio e di sottomissione. 33 Attraverso l’analisi dei casi di alcune donne protagoniste dello studio di Cornelisen, l’autice vuol mostrare come l’agire femminile non sia la meccanica applicazione di formule di routine, di un conformismo al quale sarebbero state addestrate fin dall’infanzia e che ripeterebbero acriticamente; né è, il loro agire, un susseguirsi di fiotti di sentimento filiale, coniugale o materno, come vorrebbe un’interessata retorica, dura a morire. Si scopre così che l’agire delle donne è “sensato”. L’autrice inoltre si interroga sul perché le donne in genere sembrano inclinare verso il pragmatismo. Adottando una prospettiva funzionalista esso sembra corrispondere alle parti pressoché universalmente assegnate alle donne nei differenti sistemi sociali di divisione del lavoro: il lavoro della riproduzione e quello di sostituzione. Entrambi devono necessariamente radicarsi e orientarsi all’interno di una concezione pragmatista, poiché si legittimano in base ai risultati che producono. Si nota infine che dallo scontro contro il razionalismo e l’idealismo maschili, il pragmatismo delle donne sembra uscirne sconfitto. Ma è solo se se ne valuta la funzione sociale e se lo si mette in relazione al lavoro di riproduzione e di sostituzione che esso mostra la sua ragion d’essere e la sua logica interna. (pp. 85-105) IL CORPO ECCENTRICO. IMMAGINI DELLA DONNA NELLA GRECIA CLASSICA: TRA MEDICINA E LETTERATURA di Letizia Bindi L’autrice vuol ricostruire il quadro della corporeità femminile all’interno della Grecia classica osservando le specificità che l’approccio medico e letterario hanno prodotto in quel contesto. Per quanto riguarda la medicina sono stati analizzati in particolar modo i trattati ginecologici appartenenti al Corpus Ippocratico. Qui la tipologia di riferimento per l’immaginario del corpo femminile è quella di un corpo cavo, all’interno del quale si sviluppa il sistema degli umori. Studiando i movimenti di tali fluidi nel corpo i medici spiegavano le più diverse patologie femminili con una serie di nozioni meccaniche molto semplici, e senza distinzione tra piano fisiologico e psicologico. Il corpo cavo e umorale è un’immagine non confermata da una verifica empirica della struttura anatomica del corpo femminile, ma essa si rivela funzionale ad un’idea della donna comune sia alla cultura che all’ideologia della polis. Questo corpo cavo è imperfetto e solo con molte difficoltà riesce ad assolvere alla propria funzione principale, cioè il contenimento dello sperma maschile e quindi del feto, che costituiscono i soli principi vitali che possono darle la salute e l’equilibrio che le mancano naturalmente. Le parole che i medici scelgono per la descrizione di queste patologie femminili sono totalmente sottratte ai rinvii simbolici poiché per i medici il corpo della donna è un luogo elementare, semplice, passivo di riduzione. Nella contemporanea attività di poeti e filosofi la descrizione del corpo e della malattia della donna non è più un violento spostamento uterino, ma una follia d’amore. Nell’ Ippolito di Euripide, per esempio, si assiste alla costruzione progressiva di un senso per la malattia di Fedra, ad un’interpretazione sempre più articolata dei segni patologici, ad una sovrapposizione di cause, di spiegazioni, di analogie possibili della sua sofferenza, la cui origine viene ricercata nell’ambito del mito e delle antiche tradizioni rituali. Emerge dunque un vero e proprio spartiacque tra metafora poetica e parola scarnificata dei medici. La sofferenza per i medici deve trovare sempre una ragionevole causalità fisiologica, che sia lo spostamento uterino o la disfunzione dei flussi umorali: le donne impazziscono a causa del mancato equilibrio del loro corpo, perché mancano di una regola e della temperanza connesse da sempre al modello fisico maschile. Nella tragedia, al contrario, intorno alla malattia cresce un racconto, si 34 struttura un intreccio di discorsi, creando un vero e proprio campo letterario intorno al « mal d’être femme». (pp. 107-138) PERCORSI… di Mariella Pandolfi L’autrice pone la questione di come leggere alla luce del nuovo millennio i moderni percorsi femminili, visto anche che, soprattutto in Italia, il dibattito sul femminile è stato messo in ombra per vicende e fenomeni considerati più importanti. L’autrice evidenzia soprattutto come vivere in Nord America, a differenza dell’Europa, significhi costruire virtualmente la propria appartenenza, integrare nomadismo e radici, staccarsi dalla storia e raccontare le proprie storie; significa muoversi fra le culture piuttosto che avere una cultura e significa anche una necessaria elaborazione della propria storia personale, che le donne hanno fatto da tempo. In questo contributo le riflessioni epistemologiche e le espressioni personali dell’autrice sono fortemente correlate in un viaggio trasversale dentro l’antropologia, al fine di trovare uno spazio femminile. Questi percorsi al femminile vengono intrecciati alla storia personale dell’autrice, che spazia dalla sua esperienza nordamericana alle sue origini napoletane. (pp. 139-151) 35 La qualità della didattica nella scuola che cambia Il monitoraggio Irrsae del piano dell’offerta formativa Franco Frabboni, Massimo Baldacci - Franco Angeli, Milano, 2001 Il volume documenta due anni di monitoraggio (1998-2000) della sperimentazione dell’Autonomia scolastica condotto dagli Irrsae del nostro Paese (oggi, Irre: Istituti regionali di ricerca educativa). Il monitoraggio si è svolto su un campione di 1000 scuole e ha rivolto il proprio sguardo teorico e metodologico sul versante della didattica. PARTE I Dagli Irrsae agli Irre nel nome del monitoraggio2 (pp.13-40) Questa prima parte del volume vuole mettere in luce l’importante responsabilità pedagogica e didattica assunta dagli Irrsae in questi anni nel monitoraggio nazionale della sperimentazione dell’Autonomia scolastica e sul ruolo di “ponte” tra centro e periferie scolastiche e tra agenzie formative pubbliche e private che sono chiamati ad assumere nella scuola della Riforma. Gli Irre, in quanto soggetti di formazione, hanno 3 obiettivi prioritari: - l’obiettivo interistituzionale degli Accordi di programma - l’obiettivo della professionalità dei docenti - l’obiettivo della ricerca pedagogico-didattica La legge 440/1997 ha attribuito, a partire dall’anno scolastico 1998-1999, un congruo finanziamento alle scuole (di ogni ordine e grado) che hanno attivato Progetti di sperimentazione, suddivisi in progetti semplici (sperimentazione di “settori” didattici innovativi) e Progetti complessi (sperimentazione di “modelli” didattici innovativi). Il monitoraggio ha preso in esame sia i Progetti complessi (1998-1999) che i Pof (1999-2000). La ricerca ha avuto il pregio di mettere in rete 1000 scuole (a partire dalle 20 reti regionali). La rete costituisce il luogo “virtuale” della scuola della Riforma, è la sede di incontro “interistituzionale” che consente di mettersi assieme per condurre in porto sia le finalità formative che gli obiettivi curricolari, mettendo quindi in comune e usando congiuntamente servizi e attrezzature didattiche. La rete consente anche di far uscire dall’isolamento-solitudine in cui dichiarano di vivere gli insegnanti. Dal monitoraggio emerge chiaramente che la scuola chiede: 1) dialogo: rimprovera ai soggetti deputati a mettersi in relazione con lei di essere da questi sistematicamente abbandonata; 2) aiuto: rimprovera alle politiche scolastiche di non aver messo a disposizione risorse e opportunità di sostegno e supporto alla modernizzazione organizzativa e curricolare; 3) voto: vuole cioè essere valutata perché sia apprezzata e legittimata la qualità della modernizzazione istituzionale e organizzativa e della loro innovazione curricolare e didattica; 4) formazione: gli insegnanti chiedono una formazione continua nella forma non più di corsi di aggiornamento ma di laboratori territoriali dove poter essere attivi e partecipativi. PARTE II Riflettori sulla didattica. I Pof e le sette parole nuove dell’alfabeto scolastico (pp.43-74) 2 Per approfondimenti sulla metodologia utilizzata nel monitoraggio si veda pp.27-36 36 La Riforma pone nel mirino delle sue macrofinalità formative sia il diritto allo studio (inteso come successo scolastico), sia la qualità dell’istruzione. L’allievo diventa il protagonista, il soggetto che viene messo nelle condizioni pedagogiche di poter vivere integralmente la sua identità sociale ed esistenziale. La scuola diventa autonoma, conquista una libertà decisionale collegiale. Questa seconda parte fornisce un mini-dizionario del Pof, che la “nuova” professionalità degli insegnanti è chiamata a consultare e utilizzare: la continuità: ovvero una scuola che percorre il sentiero longitudinale (la continuità verticale tra grado e grado del sistema scolastico) e il sentiero trasversale (la continuità orizzontale come ponte tra scuola e ambiente, tra saperi ufficiali del dentro-scuola e saperi antropologici del fuori-scuola) (pp.49-51); l’ambiente: ovvero di una scuola capace di educare all’osservazione-conoscenza e all’uso didattico dell’ambiente sociale e dell’ambiente naturale, nella prospettiva di avviare un rapporto di “reciprocità” culturale e didattica con la cultura di ricambio di cui la scuola non può fare a meno se vuole avvicinarsi ai bisogni e agli interessi degli allievi (pp.51-56); l’individualizzazione: ovvero una scuola a misura di allievo. Individualizzare l’insegnamentoapprendimento significa predisporre i percorsi di insegnamento a misura cognitiva dell’allievo allestendo didatticamente e temporaneamente la classe per gruppi a livello mobili, per le unità didattiche più ostiche e selettive delle materie, assicurando flessibilità ai tempi-ritmi dell’apprendimento (gli autori criticano gli approcci pedagogici che che teorizzano l’insegnamento-apprendimento contestuale e simultaneo per tutti gli allievi di una classe) (pp.56-58); il credito didattico: si riferisce ad “ogni qualificata esperienza culturale, artistica e sportiva, di formazione professionale, di attività lavorativa e di volontariato, debitamente documentata, dalla quale derivino competenze coerenti con il tipo di corso cui si riferisce l’esame di Stato” (circolare ministeriale n.275/1998). Le potenzialità sono sia didattiche che pedagogiche (pp.59-61); il laboratorio: simboleggia lo spazio extraclasse (atelier, biblioteca, museo didattico, centri di interesse, palestra, sale comuni, auditorium,…) dotato di proprie identità pedagogiche – mette in atto dinamiche relazionali, socioaffettive e consente la sperimentazione di progetti didattici - e di proprie specificità didattiche – l’interdisciplinarità, le strategie non-individualizzate, il progetto didattico (pp.61-67); la ricerca: intesa come la strategia più idonea per alimentare il pensiero costruttivo (criticosimbolico) e creativo (euristico-intuitivo). Ricerca come strategia di apprendimento per scoperta (pp.67-72); la valutazione: prevede tre tappe: la valutazione diagnostica (accertamento della situazione di partenza), quella formativa (accertamento in itinere dei rendimenti cognitivi e relazionali) e quella sommativa (a carattere misurativo, ha il compito di accertare i “profitti” conclusivi degli allievi) (pp.72-74). PARTE III Le dimensioni empiriche del monitoraggio La terza parte del saggio rendiconta empiricamente i risultati emersi dal monitoraggio dell’autonomia scolastica per quanto attiene all’ambito dell’indagine tematizzato sulla questione del Modello didattico. L’esposizione è articolata su due versanti: 37 5) i Progetti complessi (1998-1999) e i Piani dell’offerta formativa (1999-2000): vegono illustrati, dal punto di vista operatvo ed empirico, gli scopi, gli “oggetti” di indagine, le metodologie di rilevazione e i risultati emersi (pp.77-119); 6) le parole della didattica: si riprendono le sette parole fondate dal punto di vista teorico nella seconda parte del volume e si analizza la fisionomia operativa che sembrano acquisire nelle pratiche scolastiche, sulla base della presentazione dei dati emersi dalla rilevazione sul campo (pp.121-138). 38 Una storia imprevista Femminismi nel Novecento ed educazione Barbara Mapelli e Gabriella Seveso (a cura di), Guerini Studio, Milano, 2003 Il testo è strutturato come una vera e propria antologia che riporta il contributo di intellettuali, studiose ed attiviste femministe sui temi dell’educazione e dell’istruzione nel corso del Novecento, i primi 25 anni e gli ultimi tre decenni. Il tema dell’educazione, sottolineano le curatrici, ha avuto stato centrale nel dibattito femminista anche se è stato trattato con una certa discontinuità. Il volume si divide in due parti: la prima curata da Gabriella Severo arriva fino al 1930 e tratta del processo di emancipazione in Italia, le relative conquiste giuridiche nel primo Novecento fino all’arretramento del periodo fascista. Questa prima parte riporta documenti di notevole interesse storico, potenzialmente molto utili anche a docenti che vogliano, soprattutto nelle discipline umanistiche, realizzare percorsi didattici sui cambiamenti nel ruolo delle donne nella società nei primi decenni del ‘900. Questa prima sezione si struttura in capitoli diversi che mettono al centro la vita quotidiana delle donne (Capitolo “Ritratti di donne”, scritti di Sibilla Aleramo, Giselda Brebbia, Silvia Bemporad e Giuseppe Fumagalli, Ilda Montesi Festa, Maria Rossi), la partecipazione politica femminile e femminista (capitolo “Movimenti femministi e partecipazione politica”, scritti di Sibilla Aleramo, Anna Kuliscioff; Giselda Brebbia, Teresa Labriola, Camilla Ravera, Laura Casartelli Cabrini, Fanny Dalmazzo, Anita Pagliari Bianchi, Ester Lombardo); il mondo del lavoro (capitolo terzo “Le donne e il mondo del lavoro”, scritti di Sibilla Aleramo, Ersilia Bronzini Majno, Margherita Sarfatti Grassi, Angelica Balabanoff, Anna Kuliscioff, Fanny Dalmazzo); il tema della tutela della donna e dell’infanzia e l’associazionismo femminile (capitolo “ Le associazioni femminili ed il dibattito sulla tutela della donna e dell’infanzia”); quello, infine delle donne nell’educazione sia come docenti che come alunne (capitolo “Donne, maestre, educatrici, allieve”, con scritti di Elvira Mancuso, Linda Malnati, Maria Perotti Bornaghi, Placida Stefanini, Elisa M., Teresa Labriola, Laura Casatella Cabrini). La seconda parte è curata da Barbara Mapelli. Il capitolo introduttivo è centrato sul femminismo negli anni ’70 (capitolo omonimo con scritti di Lea Melandri, Rosalba Spagnoletti, Biancamaria Frabotta, Elena Giannini Bellotti, Paola Melchiori) e riprende i temi più cari al movimento come quello della disciplina dei corpi e delle sessualità operata dalle istituzioni, in primis quelle scolastiche ma anche delle disparità di potere nelle relazioni tra maestre e allieve nei corsi delle 150 ore. I due capitoli successivi che ripercorrono gli anni tra gli ’80 ed i ’90 riprendono il dualismo che ha effettivamente caratterizzato le politiche di genere in Italia, polarizzate attorno al pensiero ed alla pratica della differenza sessuale da una parte ed alle pari opportunità dall’altra. Il capitolo intitolato appunto “La differenza sessuale” riprende soprattutto le riflessioni che la scuola di pensiero di Diotima, praticata da molte insegnanti, ha maturato sulle tematiche dell’educazione, in merito alla centralità della relazione maestra/allieva ed a concetti quali quello di “affidamento” o di “madre simbolica” (scritti di Anna Maria Pissi, Elvira Franco, Francesca Graziani, Marina Cancan, Vanna Iori). Il capitolo invece su “Le pari opportunità” ricostruisce, riportando anche brani dei documenti originari, i passaggi centrali della discontinua storia delle politiche istituzionali/statali sull’istruzione declinate in un’ottica di pari opportunità, quali la Risoluzione del Consiglio dei Ministri e dell’Istruzione del 3 39 giugno 1985, ma anche il Contributo alla Conferenza Nazionale sulla Scuola da parte del Comitato Pari Opportunità del Ministero Istruzione (1990) e il “Piano Nazionale per le Pari Opp. nel sistema scolastico italiano 1993/1995” promosso dal Comitato stesso. Integrano il capitolo i contributi di Fiorella Farinelli, Barbara Mapelli, Luisella Erlicher su scolarità e segregazione femminile nel mercato del lavoro, orientamento e identità di genere, il Progetto Polite ed un’intervista a Paola Ghiotti de Biase, già presidente del Comitato Pari Opportunità del Ministero Istruzione. Il capitolo conclusivo “L’eredità del femminismo” è invece dedicato alle tendenze emergenti a livello di riflessioni e pratiche sviluppate sia a livello di movimenti femministi che entro le politiche istituzionali di parità, caratterizzato da un’apertura della differenza di genere agli intrecci con una pluralità di differenze e dalla declinazione del genere anche al maschile, con una nuova inedita presa di parola degli uomini: attraverso i contributi di Barbara Mapelli, Stefano Ciccone, Giovanna Campani, Gruppo Sconvegno, Duccio Demetrio, Mariangela Giusti, Andrea Bagni, Chiara Bertone e Chiara Saraceno, si affrontano le tematiche delle relazioni intergenerazionali nel femminismo, dell’interculturalità nelle differenze di genere, delle differenze di orientamento sessuale, delle definizioni di virilità e formazione dell’identità maschile. 40 Orientamento e identità di genere Crescere donne e uomini Barbara Mapelli, Gisella Bozzi Tarizzo, Diana De Marchi - La nuova Italia, Milano, 2001 ► Realizzato soprattutto attraverso analisi e interpretazioni di interviste fatte agli/alle studenti/esse di un liceo scientifico e di uno socio-pedagogico a Milano e di stralci di colloqui tratti da precedenti ricerche. ► Si rivolge in particolare all’istituzione scuola, al corpo insegnante e a chi opera nel settore della formazione partendo dal presupposto che la scuola si pone come luogo privilegiato per dar vita a percorsi formativi in grado di facilitare, orientare e promuovere la crescita personale. ► Il volume è organizzato in diverse parti, a loro volta suddivise in capitoli, strutturate in moduli a sé stanti, che possono essere utilizzati in classe dall’insegnante e che prevedono una partecipazione diretta di studenti/esse ► Per ogni argomento sono disponibili percorsi didattici già sperimentati e riferimenti ai soggetti che possono offrire ulteriori informazioni su singole tematiche I e II PARTE Si prova a delineare un quadro generale di temi e problematiche che il mondo contemporaneo propone ai/alle giovani in crescita, analizzandolo in un’ottica di genere. III PARTE Si propone una riflessione pedagogica e didattica sulla scuola che orienta e che fa perno su tre temi chiave: 1. la centralità del soggetto che apprende e quindi la valorizzazione delle differenze e la flessibilità dei percorsi didattici; 2. la valutazione non selettiva quale momento formativo attento al processo di crescita di ognuno secondo le proprie potenzialità 3. l’apprendimento come apertura all’esperienza e al mutamento che presuppone una conoscenza non nozionistica e che si pone come strumento per rapportarsi criticamente alla realtà consentendo al contempo la scelta personale, la progettualità, la ricerca. I PARTE ORIENTAMENTO (pp.15-33) Si riportano descrizioni della scuola fatte da studenti e studentesse Emerge che la scuola, nella percezione che ne hanno studenti/esse, è strettamente legata alla vita e dovrebbe fornire modelli e opportunità che aiutino nella costruzione del proprio percorso. Scopo dell’educazione è riuscire a far si che la poliedricità di forme del poter essere di ciascuna persona abbia modo di emergere e realizzarsi, ponendosi come interprete del reale, fornendo strumenti per decodificare la realtà e per aiutare nello sviluppo del senso critico. 41 Rispetto alla percezione del futuro, dalle interviste emerge una differenza tra ragazzi e ragazze: mentre tra i primi c’è una diffusa preoccupazione, tra le ragazze, seppure appaiano immagini vaghe del futuro, sono però meno dense di ansie; si concedono squarci di indeterminatezza, prefigurandosi destini e vocazioni anche molto diversi e prevedendo quindi competenze e comportamenti fluidi e flessibili, adatti a cogliere diverse opportunità. ORIENTAMENTO E IDENTITA’ DI GENERE (p.34-58) Dai colloqui di gruppo emerge una mescolanza di cultura tradizionale e modelli in mutamento sia rispetto alla percezione del genere che in relazione ai progetti futuri. Per le ragazze il lavoro si delinea come una prospettiva certa ma non viene esclusa una dimensione affettiva e familiare. Il tutto lasciando spazio a ciò che può accadere durante il percorso di crescita, trasformandolo e facendolo rientrare nel proprio progetto personale. Qui emerge una differenza rispetto ai ragazzi: le giovani donne possono ancora permettersi una maggiore libertà, almeno progettuale, rispetto al loro futuro professionale perché la domanda sociale le opprime con minore insistenza in confronto ai giovani maschi, che la sentono invece vincolante rispetto al lavoro (e a una cultura che ancora li vuole come i responsabili del mantenimento della famiglia) e quindi opprimente per quanto riguarda desideri e disegni di futuro. Ma se da una parte c’è la scuola che può consentire di sperimentare e approfondire la parità, di riconoscerla come valore, di fatto non la produce nel lavoro, nella società, nella rappresentanza civile o politica, nel privato. Inoltre spesso “dentro la scuola vi è la cultura e la pratica del neutro” che non è sinonimo di parità. “Parità dovrebbe significare consapevolezza di essere donne, di essere uomini e di poterlo essere alla pari”3. Riconoscere la propria identità di genere appare quindi come un passaggio educativo necessario poiché radica la soggettività di studenti e studentesse in una storia sociale e culturale che nel tempo ha reso i due generi quelli che sono. Si assiste a un disagio maschile che pone la necessità ai ragazzi di ripensare il loro ruolo, dando spazio a una ricerca che mette in gioco componenti, soprattutto a livello di sentimenti, che erano prima negate e che vogliono ora una legittimazione. Emerge anche come il bisogno di costruire una famiglia e di essere padri sia particolarmente diffuso tra i ragazzi. E’ quindi necessario che la scuola apra una riflessione su queste nuove ricerche maschili di famiglia e paternità, poiché si pone la necessità di costruire, nelle innovate immagini maschili, anche l’immagine di genitorialità, di condivisione del lavoro di cura e domestico, di conciliazione. ORIENTAMENTO E INDIVIDUAZIONE (pp.59-105) Si pone la necessità di riconoscere le differenze, quindi anche quelle di genere, non come opposte e in conflitto, ma come capacità di individuazione, di costruzione e crescita personali e capacità di scelta. Libertà, responsabilità, coraggio, unicità sono le parole dell’individuazione e i concetti intorno a cui si muove la crescita, il senso più alto dell’educare e dell’orientare. II PARTE LAVORO (pp.109-123) 3 Le parole sono della sociologa Marina Piazza 42 Si pone l’accento su come la precarietà lavorativa della nostra società influisca sulle ansie e sulla difficoltà di comprensione del futuro dei/delle giovani. Non c’è corrispondenza tra il successo scolastico e formativo e il successo professionale. La scuola è chiamata a formare non tanto, o non solo, al lavoro quanto anche al futuro, al fuori, all’altrove. NUOVE FAMIGLIE (p.124-141) In Italia ci si sposa meno, tardi e si fanno pochi figli. Se il matrimonio, o comunque la coppia e i figli, fanno parte degli scenari futuri dei ragazzi e delle ragazze, sono comunque subordinati a un’indipendenza economica e questo porta a posticipare l’esperienza della famiglia. Ma si è anche notato che l’uscita dalla famiglia risulta ritardata nel centro-nord e coinvolge maggiormente i figli unici, maschi e con una madre con titolo di studio superiore. Le famiglie in cui ci si trattiene di più sono quindi quelle in migliori condizioni economiche, che assistono in tempi più lunghi e con maggiori strumenti culturali al processo di crescita dei figli. Dai dati di una ricerca condotta dal CISF di Milano4 emerge che giovani e adulti indicano la famiglia tra i primi valori e la ritengono importante nel suo compito di mediazione, interpretazione e adattamento alla realtà sociale, e che la percepiscono come una risorsa soprattutto per la crescita personale e la capacità di instaurare rapporti umani significativi (percentuale di risposte superiore all’80%). Quasi l’80% pensa al matrimonio o alla convivenza e più del 70% dichiara di volere dei figli. NUOVI PADRI (p.136) Si sta assistendo, seppur lentamente, a un mutamento di ruoli all’interno della famiglia e le nuove generazioni ne saranno protagoniste. Ma permane un problema di genere: la preminenza della sfera pubblica del lavoro, l’inadeguatezza dei padri come modelli, una incapacità o difficoltà di comprendere le conseguenze della condizione di genere maschile, un senso di isolamento. Nonostante si viva in una società ancora discriminatoria nei confronti del genere femminile, appare più difficile il compito del mutamento maschile. UN PROBLEMA DI GENERE: DONNE, SCIENZA E TECNICA. LE NUOVE TECNOLOGIE (p.142-165) I percorsi delle ragazze continuano a essere lontani dalla formazione tecnica. Nelle interviste e nei giudizi delle ragazze la critica, il rifiuto e la presunta incapacità spesso si legano. Ma da un’altra ricerca emerge che il 94% delle studentesse universitarie ritengono che le donne, come gli uomini, siano egualmente portate per le discipline scientifiche. A livello universitario è la facoltà di ingegneria quella con la presenza più bassa di donne. Rispetto alle nuove tecnologie dati e ricerche fanno pensare che ci sia una differenza di uso e di approccio tra i generi EDUCARE ALLA CURA, alla cittadinanza, all’etica sociale (p.166-207) Cultura ed etica della cura devono porsi come progetto educativo rivolto alle nuove generazioni. Partire dalla cura di sé come condizione perché si possa apprendere la cura degli altri, dell’ambiente, delle cose, il rispetto e la valorizzazione delle differenze. (Viene proposto come lavoro che i/le docenti per primi/e devono fare su se stessi). 4 Nella ricerca sono stati intervistati genitori e figli di Milano , Bologna e Campobasso; i risultati sono pubblicati nel volume, Paola di Nicola (a cura di), Onde del tempo, Milano, Franco Angeli, 1998 43 La scuola viene percepita dai ragazzi come un potenziale laboratorio in cui tutto ciò possa costruirsi e prendere forma. Una pedagogia pratica dei valori non può che confrontarsi con ciò che che determinerà sempre più nel futuro l’accesso ai diritti dell’essere sociale e della cittadinanza. III PARTE GLI ASPETTI PEDAGOGICI E DIDATTICI DELLA SCUOLA CHE ORIENTA (p.211-257) Il tu cosa farai da grande non ha mai significato chi e come sarai. C’è la necessità di dar vita a una politica scolastica che fornisca ai giovani e alle giovani nuove e più ampie competenze per rappresentarsi la realtà e che sia in grado di agire sulle motivazioni dei soggetti nel rapporto con il processo di apprendimento, in funzione non solo di una acquisizione di competenze per le scelte professionali e culturali, ma anche e soprattutto rispetto alla presa di coscienza della propria identità. I ragazzi hanno la necessità del riconoscimento della soggettività di ognuno, della dimensione interiore che viene portata in aula. C’è una persistenza degli stereotipi sessuali nella scuola, luoghi comuni su comportamenti, rendimento scolastico e riuscita in determinate materie, che gli insegnanti per primi contribuiscono a mantenere. La neutralità del messaggio educativo si traduce in realtà in quello di parità al maschile sia nei contenuti che nelle forme di trasmissione. Non viene trasmessa la consapevolezza di trovarsi di fronte a una cultura vista al maschile: autori, scienziati, protagonisti della storia sono sempre personalità maschili. Mancano modelli appartenenti ad entrambi i sessi. E questo non permette di elaborare autonomamente nuove concezioni del maschile e del femminile, nuovi valori e ruoli, nuove relazioni tra i sessi . La scuola dovrebbe invece porsi come uno dei principali agenti del cambiamento sociale di cui ogni soggetto può essere protagonista. GLI INSEGNANTI devono essere capaci di mettere in discussione i modelli di comportamento, i parametri interpretativi, di adesione passiva alla cultura dominante. Devono tener conto delle componenti della cultura giovanile che vengono acquisite al di fuori del luogo scuola. Nella prospettiva dell’orientamento complessivo della persona attraverso la conoscenza intesa come costruzione di significati, l’asse centrale del progetto formativo si sposta dall’oggetto dell’insegnamento al soggetto dell’apprendimento. Gli insegnanti, se disposti a mettersi in gioco, a creare occasioni e percorsi, a utilizzare le proprie competenze professionali e umane in un ruolo che ne fa i facilitatori di un’esperienza di crescita, sono la vera forza motrice. Si riporta l’esempio di un progetto danese – “Parità in classe”(1996)- che ha alternato periodi trascorsi in classi miste a periodi in classi separate: i risultati dimostrano che questo metodo ha favorito l’autostima e lo sviluppo della propria identità di genere. Il presupposto su cui si basa il progetto è quello in base al quale la parità può essere realizzata veramente solo se vengono riconosciute le differenze di potenzialità tra uomini e donne, se si favoriscono azioni positive e si sviluppano strategie diverse per i due gruppi nelle situazioni specifiche. ► Vengono infine riportati alcuni progetti realizzati in Europa e in Italia alla fine degli anni ’90 (pp.258-287) 44 ► In appendice (p.295) il Documento accompagnatorio al Codice di autoregolamentazione prodotto nell’ambito del Progetto Polite (Pari Opportunità nei libri di testo), che sottolinea sinteticamente le attenzioni principali cui occorre si attenga un testo o un altro materiale o strumento didattico che intenda mostrarsi rispettoso della cultura di genere e delle differenze che essa esprime. ► Nel testo si propongono schede che suggeriscono possibili lavori in classe sui diversi argomenti 45 Foucault: per una genealogia dell’educazione Modello teorico e dispositivi di governo Alessandro Mariani – Liguori Editore, Napoli, 2000 Attraverso un’operazione di ricerca l’Autore vuol dimostrare come, sebbene la pedagogia sia un ambito rimasto spesso in sordina nel progetto foucaultiano rispetto alle riflessioni filosoficoeducative contemporanee, sussista la legittimità di un congegno pedagogico operante all’interno della sua opera. Il libro di Alessandro Mariani è proprio rivolto a far rimettere al centro dell’analisi di Foucault il dispositivo della pedagogia e dell’educazione, che l’Autore mette a fuoco in particolare attraverso i testi, i lessici e le “figure” di un discorso. Nella realtà infatti il filosofo francese ha guardato con estrema attenzione anche ai problemi scolastici e formativi, con una viva sensibilità che non gli è affatto estranea, sia come uomo che come intellettuale. Egli è così in grado di mostrare anche al giorno d’oggi la strada per una seria resistenza a certi atteggiamenti predicatori, moralistici e conformizzanti della pedagogia stessa. Nell’opera di Foucault ci si trova spesso di fronte a questioni strutturalmente pedagogiche: la diade maestro/discepolo nell’età greca; la funzione pedagogica del carcere; le somiglianze organizzative e architettoniche tra collegio e prigione; le problematiche legate al controllo della sessualità infantile e alle pratiche di confessione; la cura di sé come paradigma pedagogico, etc. Seguendo il procedere cronologico e quello tematico dell’opera di Michel Foucault l’Autore ha cercato di far emergere gli elementi fondamentali del suo “congegno” pedagogico. Con queste intenzioni il discorso si è articolato intorno ad alcune tappe teorico-politiche del pensiero foucaultiano. Il testo così affronta, dall’età greco-romana a quella moderna, alcuni paradigmi pedagogici come: le pratiche di governo e di disciplinamento dei corpi, le forme della “governamentalità” pedagogica, i dispositivi di sapere-potere realizzati dalla “microfisica dell’educazione” (pp. 21-51), le tecnologie d’esame e di confessione (pp. 53-82), l’esperienza della sessualità tra libertà e controllo (pp. 83-116), la cura di sé come manifestazione di verità e di autodominio (pp. 117-168). In particolar modo l’Autore, attraverso questo studio, vuole consegnarci un’attenta ricostruzione sia del “modello teorico” sia dei “dispositivi di governo” che illuminano la pedagogia foucaultiana. Egli sottolinea come il senso del lavoro di Foucault passi più per le istituzioni che per le teorie e le correnti di pensiero, al fine di ritrovare la funzione pedagogica dell’ordine sociale e del controllo disciplinare. L’intento del testo, infatti, è anche quello di utilizzare Foucault come uno strumento analitico-critico in grado di orientare il lettore attorno alle modalità con cui gli uomini si governano e vengono governati in certe fasi storiche. Una ricerca dalla quale si può concludere che la produzione di un sapere pedagogico può collocarsi (attraverso le strategie di formazione dei soggetti, le meccaniche dei poteri educativi, i dispositivi di governo, le procedure di controllo, etc.) nel punto di sutura esistente tra i poteri e i saperi. La pedagogia infatti, ponendo in evidenza l’intreccio coi poteri e il nesso con le istituzioni, si fa uno dei saperi-chiave della Società e dello Stato. In questo modo alla pedagogia viene dunque assegnato 46 un volto sia di scienza sia di governo, mostrandola nell’inquietante ambiguità che l’attraversa come sapere. 47 Insegnare con i concetti Educazione alla cittadinanza Martino Mattei - Franco Angeli, Milano, 2007 La pubblicazione è il frutto di una ricognizione tra gli studi recenti svolti nel campo dell’Educazione alla cittadinanza in riferimento alle scuole primarie e secondarie di primo grado. L’Educazione alla cittadinanza (che comprende quelle che fino a qualche anno fa si chiamavano Educazione civica - per la scuola media – e Studi sociali – per la scuola elementare) gode oggi di uno specifico interesse che la pone al centro di studi e ricerche nonché di interventi legislativi tesi a rivitalizzarla. I COMPITI DELL’EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA: Compito della scuola si ritiene sia quello di sistematizzare il processo di alfabetizzazione, a cui concorrono diversi soggetti anche al di fuori della scuola stessa, offrendo strumenti concettuali necessari per l’apprendimento di un linguaggio utile per comprendere le realtà più vicine al mondo degli alunni. L’Educazione alla cittadinanza deve prevedere lo studio sistematico del testo costituzionale, indispensabile per educare ai diritti umani e al senso di cittadinanza; deve di fissare i criteri in base ai quali organizzare la vita scolastica e garantire la partecipazione democratica alle varie componenti della scuola: alunni, insegnanti, genitori. Si pone anche l’accento sulla relazione tra motivazione allo studio e ambiente di apprendimento, quindi sulla qualità delle relazioni vissute a scuola, viste come obiettivo di carattere formativo e sociale. La scuola d’oggi dovrebbe sentirsi chiamata ad orientare e a dotare di strumenti concettuali le giovani generazioni in diversi campi: l’ecologia, la riscoperta dei valori della partecipazione politica, l’equa distribuzione delle risorse, i processi e i mezzi di comunicazione di massa, l’incontro fra diverse culture, educando al rispetto dell’altro, alla solidarietà, al confronto per prevenire il timore della diversità che può sfociare in conflitto. L’Educazione alla cittadinanza si presta a sostenere il processo di formazione di principi e valori etici. Di fonte a queste dichiarazioni d’intenti si colloca la pratica didattica che denuncia però alcuni ostacoli nel valorizzare l’Educazione alla cittadinanza: - ostacoli di natura pratica: la difficoltà risiede nel trovare il tempo adeguato da dedicare all’insegnamento di specifici contenuti disciplinari anche se l’entrata in vigore della legge sull’autonomia dovrebbe consentire il superamento del problema. - ostacoli relativi ai fondamenti: i libri di testo sono considerati inadeguati per contenuti, lontani dai campi di esperienza e dagli interessi di alunni/e, e linguaggio. - Ostacoli di natura professionale: spesso i docenti non sono preparati ad affrontare queste tematiche specifiche, anche se è importante ricordare il ruolo svolto in questo settore da altre agenzie formative. Nel corso degli anni, tenendo conto degli ostacoli, sono state ideate, sperimentate e documentate alcune ipotesi di carattere metodologico, tenendo presente la duplice natura dell’Educazione alla cittadinanza: insegnamento specifico e oggetto culturale trasversale a tutte le materie: 48 4. l’indagine d’ambiente: è una proposta didattica5 che prefigura il superamento di una visione “descrittiva” della realtà sociale e sostiene un’impostazione basata sulle ipotesi da verificare, i problemi da risolvere, le modalità per raccogliere e interpretare i dati, unendo le diverse discipline impegnate nella ricerca sociale (Storia, Geografia, Studi sociali). Si riporta l’esemplificazione di un’Unità Didattica (p.22) 5. l’interazione sociale: i principi ispiratori di questa proposta6 sono la funzione promozionale dell’istruzione in relazione allo sviluppo cognitivo e l’interazione sociale, privilegiando quindi le procedure che consentono agli allievi di operare in prima persona confrontandosi con i/le compagni/e. Si riporta l’esemplificazione di un’Unità Didattica (p.24) 6. l’alfabetizzazione civica: la finalità di questa proposta è la familiarizzazione dell’alunno con il linguaggio giuridico-politico, percepito talvolta come arido e distante dal vissuto esperenziale. L’intervento è rivolto alla formazione di strumenti concettuali necessari per orientarsi efficacemente e liberamente nella comprensione dei fenomeni sociali, istituzionali e politici. Si riporta l’esemplificazione di un’Unità Didattica (p.26) 7. l’educazione affettiva e relazionale: si collocano qui le proposte che sottolineano lo stretto legame esistente tra le motivazioni allo studio e l’ambiente di apprendimento. Si pone l’accento sulle relazioni vissute all’interno della scuola, viste come obiettivo di carattere formativo e sociale. Tra le varie proposte, quella particolarmente significativa perché frutto di consolidata sperimentazione è l’”educazione all’altruismo” (pp.27-28). L’obiettivo finale a cui tendono questi progetti è quello di guidare ad assumere atteggiamenti e comportamenti responsabili come forma solidale di civiltà e di partecipazione civica e democratica, fondati sul rispetto della dignità della persona. Nella seconda parte del volume vengono presentate Unità Didattiche, ispirate alla Didattica per concetti, quali esempi di impostazione, svolgimento e valutazione di percorsi inerenti il tema dell’Educazione alla cittadinanza. Aspetti caratteristici sono quelli della sistematicità nella rilevazione delle conoscenza pregresse degli/delle alunni/e e della flessibilità nella scelta dei contenuti. La Didattica per concetti prevede la realizzazione di un percorso (la Rete concettuale) capace di incidere sulla matrice cognitiva dell’alunno allo scopo di guidarlo nell’avvicinamento del “sapere”, rappresentato a sua volta dalla Mappa concettuale che evidenzia i caratteri del concetto da apprendere e le connessioni con altri concetti. La Didattica per concetti garantisce la centralità dell’alunno/a nel processo di apprendimento. Le unità Didattiche fungono da modelli rimanendo aperte alla possibilità di essere modificate in base ad esigenze specifiche. Alcune trattano contenuti e approfondimenti di carattere sociale, altre di tipo politico-istituzionale, altre sono di taglio economico: - Unità Didattiche di carattere sociale: mettono a fuoco i fattori che stanno alla base della vita di relazione nelle società. Analizzano anche problemi di attualità e di rilevanza sociale per i quali, oltre a fare appello alla sensibilità civica, si vogliono offrire gli strumenti concettuali per orientarsi. - Unità didattiche di tipo politico-istituzionale: si soffermano sugli elementi identificativi dell’organizzazione dello Stato, vista come modalità per regolare le relazioni fra i cittadini e 5 Si ispira al modello esplicitamente indicato dai Programmi ministeriali della scuola elementare del 1985 6 nata da una sperimentazione curata dall’IRRSAE Lombardia. La proposta è ampiamente documentata nel volume edito dall’IRRSAE Lombardia Per un curricolo continuo di formazione geo-storico-sociale nella scuola di base. 49 tra i cittadini e le istituzioni e sulla modalità di gestione e controllod el potere e sulla partecipazione democratica. - Unità didattiche di taglio economico: mirano a far emergere il significato assunto dalle leggi che regolano i rapporti economici e sanciscono i diritti-doveri ad esse sottesi. La suddivisione in base alle sopraindicate categorie è indicativa poiché alcuni argomenti hanno più valenze. SINTESI DELLE UNITÀ DIDATTICHE: ► Anche oggi c’è chi vive in tribù – classe seconda o terza (pp.53-70) Concetto trattato: gruppo Concetti correlati: tribù, clan, famiglia, gruppo organizzato, lavoro collettivo Collegamenti pluridisciplinari: storia-geografia, musica, attività motorie, tecnologia ► Pagabili al portatore – classe terza (pp.71-84) Concetto trattato: denaro Concetti correlati: baratto, valore, risparmio, moneta, carta-moneta Collegamenti pluridisciplinari: aritmetica, storia, geografia ► Il mercato – classe terza (pp.85-98) Concetto trattato: mercato Concetti correlati: leggi del mercato, prezzo, concorrenza, monopolio Collegamenti pluridisciplinari: aritmetica, geografia, storia ► Diritti e doveri al lavoro – classe quarta (pp.99-120) Concetto trattato: sindacato Concetti correlati: contratto, sciopero, serrata, disoccupazione, diritti dei minori Collegamenti pluridisciplinari: storia, geografia, tecnologia ► Le emigrazioni – classe quarta o quinta (121-135) Concetto trattato: emigrazione Concetti correlati: migrazioni, diritto internazionale, straniero, extracomunitario, clandestino, razzismo, solidarietà Collegamenti pluridisciplinari: storia-geografia, IRC ► Il potere di tutti – classe quinta (137-154) Concetto trattato: democrazia Concetti correlati: potere, cittadini, partecipazione, elezioni, referendum, volontariato, Governo, Parlamento, Magistratura Collegamenti pluridisciplinari: storia, geografia 50 Progettare e governare la scuola Democrazia e partecipazione: dalla progettazione educativa all’organizzazione scolastica Maria-Chiara Michelini - Franco Angeli, Milano, 2006 La scuola viene oggi sempre più spesso descritta come un’impresa o un’azienda; tale definizione tende ad essere però fuorviante, in quanto punta l’attenzione sull’efficienza delle decisioni e favorisce il “verticismo”. Affinché l’ambiente educativo possa davvero favorire una crescita intellettuale, etico-sociale ed affettiva degli alunni esso deve essere invece caratterizzato in senso democratico. Per poter educare alla democrazia è necessaria però una gestione democratica della stessa scuola, che non significa semplicemente indipendenza, ma autodeterminazione. A differenza della metafora della scuola come impresa, il testo sviluppa un’idea di scuola come comunità. Tale comunità deve essere democratica e partecipata e deve tendere ad una valorizzazione e ad una crescita degli individui. Deve essere inoltre capace di autoriflessione e interpretare la propria identità come costruzione dialettica, continua e problematica delle antinomie che la caratterizzano (comunità/impresa, utilità/dono, efficienza/idealità), che non sono risolvibili se non in termini di mediazione e di integrazione riflessiva e critica tra le posizioni espresse dai due poli. (pp. 9-21) La comunità scolastica è costituita dall’intreccio tra la comunità di insegnamento/apprendimento, la comunità professionale e la comunità partecipata. Ognuna di queste parti deve acquisire una propria consapevolezza e affinché ciò si realizzi occorrono delle specifiche condizioni, le quali sono anche condizioni di sviluppo delle comunità democratiche: le condizioni economiche, le strutture intermedie, la leadership. (pp. 37-50) Il principio dell’autonomia scolastica, costituzionalizzato dalla legge 3/2001, ha enfatizzato il ruolo formativo della comunità territoriale che fa perno sulla scuola. La singola istituzione scolastica, fortemente ancorata ad un territorio di cui si fa interprete, ha la responsabilità di fronteggiare le sfide poste dalla modernità, come la globalizzazione. La scuola come comunità deve essere al giorno d’oggi in grado di coniugare il globale e il locale: non può dunque prescindere dal paradigma dell’incertezza, ma deve essere capace di affrontare congiuntamente universalismo e contestualismo, superando da un lato i rischi del localismo e delle chiusure, e dall’altro quelli della dispersione. (pp. 50-59) Sul piano politico la scuola dell’autonomia è una scuola fondata su due paradigmi fondamentali, che si potenziano reciprocamente: quello della democrazia (esercizio del potere che parte dal basso) e quello del pluralismo (potere distribuito). L’autonomia di una istituzione scolastica si realizza come interpretazione concreta del potere che proviene dall’alto coniugato con quello che proviene dal basso; al tempo stesso il potere decisionale viene esercitato non da uno solo ma da molti, nella direzione di una decisionalità diffusa. Si realizza così l’ empowerment, nel senso di una valorizzazione delle persone a tutti i livelli dell’organizzazione e come incoraggiamento all’emergere di comportamenti di leadership da parte di ciascuno nel contesto di lavoro. (pp. 72-78) La decisione nella progettazione educativa si configura come decisione non individuale, ma collettiva. La progettazione educativa richiama decisioni collettive in tre sensi: di gruppo, collettive e collettivizzate. Di importanza cruciale è il rapporto interno e 51 funzionale tra questi diversi e necessari livelli di decisione collettiva in cui risiedono in gran parte la democraticità, la vitalità e la produttività di un istituto. (pp. 78-84) Un’organizzazione diviene tale quando la collettività elabora una propria cultura come insieme di significati collettivi. Dal punto di vista del governo e della progettazione della scuola le problematiche si dispongono su due assi: quello dell’emergere e del far emergere la cultura della scuola e quello dell’incidere positivamente sulla stessa. La scelta dell’autonomia delle istituzioni scolastiche ha fatto emergere un modello culturale che comporta un assetto organizzativo della scuola di cui è perno il Dirigente scolastico, figura che, a differenza del vecchio preside, è molto più incentrata sulla dimensione pedagogico-culturale anziché su quella organizzativa, gestionale, manageriale. Bisogna inoltre individuare possibili strategie con cui da un lato far emergere la cultura della scuola in termini di consapevolezza, e dall’altro fare in modo che le teorie possano incidere sulla prassi. La ricercaazione, applicata sia alle questioni didattiche che a quelle organizzative ed istituzionali, può costruire un modello di elaborazione culturale perfettamente democratico e duttile in riferimento agli snodi fondamentali del governo della scuola e della progettualità collegiale effettiva. (pp. 94-113) Il governo della scuola è il modo in cui il processo decisionale si realizza ed esso, nell’ottica di una scuola autonoma, si colloca all’interno di ogni singola istituzione scolastica. Quest’ultima è quindi protagonista della progettazione e della gestione del proprio agire e della propria proposta. L’autrice sostiene la necessità di creare un modello operativo di governo della scuola il cui baricentro teleologico risieda nella democraticità e che si sostanzi di una progettualità collegiale effettiva. Esso dovrà caratterizzarsi per tre attributi fondamentali. Deve essere perciò: - antidogmantico, cioè intrinsecamente lontano da ogni forma di rigidità precostituita; - riflessivo, in quanto deve attuare una modalità costante in cui si attivi una circolarità tra la visione e l’organizzazione, tra i fini e i mezzi, tra gli obiettivi e i risultati, tra le ipotesi teoriche e le realizzazioni pratiche; - partecipativo, poiché il confronto deve essere condotto da più voci e devono essere coinvolti tutti i soggetti portatori di interesse. (pp. 114-123) Nella scuola odierna l’elemento cardine per il governo e la progettazione che traduce l’intenzionalità della scuola è rappresentato dal Piano dell’offerta formativa (POF), previsto dall’art.1 del regolamento dell’Autonomia. Esso deve essere elaborato dal Collegio dei docenti e adottato dal consiglio di circolo o di Istituto; viene reso pubblico e consegnato agli alunni e alle famiglie all’atto dell’iscrizione. Il momento progettuale e di indirizzo si traduce quindi, secondo la normativa attuale, in un documento programmatico chiamato POF, il quale definisce l’identità culturale della scuola e comporta l’adozione successiva di strumenti giuridici di attuazione come per esempio, sul versante interno, il Piano annuale delle attività la cui elaborazione trova un suo nucleo centrale nella definizione dell’organigramma d’istituto. Tale strumento ha una valenza di esplicitazione, chiarezza, comunicazione, distribuzione di ruoli e competenze, e quindi di empowerment e di gestione condivisa del lavoro, anche se non è garanzia di una reale democraticità di un istituto. Infine snodo fondamentale della progettualità e del governo della scuola è rappresentato dalla valutazione della qualità. (pp.123-152) 52 Educazione tra pari Manuale teorico-pratico di empowered peer education Alberto Pellai, Valentina Rinaldin e Barbara Tamburini – Erickson, Trento, 2002 Dall’osservazione per cui sono i preadolescenti e i giovani adolescenti ad essere caratteristicamente a rischio per problemi di natura comportamentale ed emotiva, si è giunti alla conclusione che è in questa fase della vita che, di conseguenza, diviene particolarmente importante intervenire con proposte educative e preventive. Ecco perché, anche a livello legislativo, il mondo della scuola diviene il luogo privilegiato per la realizzazione degli obiettivi di salute in età evolutiva. Ma come hanno dimostrato le campagne preventive degli ultimi anni indirizzate agli adolescenti, perché la prevenzione abbia successo non si tratta soltanto di mettere a disposizione dei giovani una certa quantità di informazioni. Si nota infatti una certa crisi del modello informativo, la cui svalutazione ha comportato la nascita di un nuovo filone di azioni preventive, che hanno coinvolto le scuole superiori di tutto il territorio nazionale. Questo testo nasce proprio dal presupposto per cui i giovani hanno bisogno di vivere esperienze in cui sperimentare empowerment, e l’educazione tra pari è un modo per creare un modello di lavoro capace di valorizzare al massimo il protagonismo degli adolescenti, attraverso lo sviluppo di processi di empowerment individuali, gruppali e microambientali. In questi ultimi anni si è giunti alla definizione di un nuovo modello di educazione tra pari: l’ empowered peer education, alla cui base sta proprio l’idea che gli adolescenti possano a tutti gli effetti essere protagonisti primari dell’ideazione, progettazione, realizzazione e valutazione di iniziative per la promozione del proprio benessere psicofisico, relazionale e ambientale. Obiettivo del testo è fornire strumenti per cimentarsi nella progettazione e realizzazione di interventi di empowered peer education. (pp. 9-38) L’EDUCAZIONE TRA PARI È ormai comprovata l’innata propensione degli individui a esercitare un’influenza sociale reciproca nel corso dell’infanzia, della preadolescenza e dell’adolescenza e, nel tempo, tale tendenza è stata oggetto di un utilizzo sistematico in ambito didattico ed educativo. Da decenni la ricerca sociale ha dimostrato che le persone sono in grado di cambiare il loro modo di pensare e di comportarsi per effetto dei processi di influenza sociale esercitati all’interno del gruppo dei pari o dei sistemi di vita ritenuti significativi. Il presupposto all’origine di tale orientamento riconosce gli adolescenti quali attori primari nella promozione del proprio benessere e nella realizzazione di azione di prevenzione di comportamenti a rischio. Accanto ai temi inerenti alla prevenzione dell’AIDS e delle malattie sessualmente trasmissibili, con il passare del tempo sono andati sviluppandosi programmi di educazione tra pari mirati alla prevenzione delle violenze nella sfera domestica e tra pari, del bullismo, della prevenzione dal consumo di tabacco, di alcol e sostanze ad azione psicotropa, e di specifiche tematiche relative alla promozione della salute ritenute significative per gruppi mirati di persone (ad esempio: gruppi di genere, gruppi di omosessuali e lesbiche, gruppi etnici particolari, ecc.). Il panorama italiano presenta notevoli ritardi rispetto all’orizzonte europeo e soprattutto americano, e solo nell’ultimo periodo si è registrato un significativo incremento dell’attenzione nei confronti dell’educazione tra pari come modello di lavoro con gli adolescenti. (pp. 39-66) 53 L’EMPOWERED PEER EDUCATION L’empowered peer education rappresenta un nuovo modello di educazione tra pari che si discosta sensibilmente da quelli precedenti di peer education. La sua peculiarità è l’effettivo protagonismo dei ragazzi in ogni fase di lavoro: dall’ideazione alla valutazione. Dal punto di vita operativo il modello si declina in processi di ricerca-azione circolare e continua. L’empowered peer education propone un ribaltamento significativo, perché a livello effettivo i ragazzi possono assumere il ruolo di protagonisti, smettendo di essere semplici comparse: da destinatari e consumatori a ideatori, realizzatori, valutatori delle proprie iniziative all’interno della scuola. Gli animatori adulti collaborano con i ragazzi assumendo principalmente la funzione di facilitatori di processi. Essi mettono a disposizione le proprie competenze, come ad esempio le competenze sociali, le dinamiche di gruppo, le metodologie di ricerca, la progettazione. Il modello dell’empowered peer education prevede un’articolazione variabile dai due ai tre anni di lavoro. La dimensione pluriennale risulta infatti funzionale alla sviluppo complessivo del percorso dal punto di vista sia evolutivo, che tecnico-operativo. Una volta stabilita la fascia target di riferimento la proposta di lavoro viene fatta a tutti, senza alcuna discriminazione o selezione aprioristica, e i ragazzi decidono autonomamente se desiderano partecipare. Si procede inoltre all’individuazione di ragazzi disposti ad assumersi intenzionalmente il ruolo di attori primari. (pp. 67-120) Il testo si sofferma anche nella descrizione delle varie fasi operative e degli strumenti che costituiscono l’empowered peer education, tra i quali: l’attuazione e la progettazione di un intervento di educazione tra pari; la selezione degli educatori tra pari; la costituzione del gruppo; la ricerca; la progettazione delle azioni; l’intervento degli educatori tra pari; la valutazione. (pp. 123- 332) LE SPERIMENTAZIONI Il percorso che ha condotto all’elaborazione e alla definizione dei progetti sperimentali di empowered peer education ha come origine i risultati di una ricerca multicentrica sui comportamenti a rischio degli adolescenti, che ha interessato i territori di Varese, Vercelli, Belluno, Como e della Comunità Montana della Lunigiana (Pellai, 2000). La ricerca, effettuata in 5 diversi territori del Nord Italia, ha coinvolto complessivamente 47 scuole, per un totale di 260 classi: 4.135 adolescenti, di cui 2.356 ragazze (57%) e 1.779 ragazzi (43%). Tale ricerca è stata sviluppata con l’intento di monitorare gli stili di vita degli adolescenti, al fine di promuovere una strategia di prevenzione primaria pluricomportamentale. Risulta infatti indispensabile per la promozione del benessere e della salute dei ragazzi il confronto con la complessità socioculturale, la poliedricità degli stili di vita e dei modelli comportamentali, fra loro sempre intrinsecamente correlati. Si sono così monitorate parallelamente 8 aree comportamentali: 4. sicurezza stradale 5. violenza e bullismo 6. consumo di tabacco 54 7. consumo di alcol 8. consumo di sostanze ad azione psicotropa 9. comportamenti sessuali 10. disturbi del comportamento alimentare 11. pratica di attività fisica e sportiva Quest’ultima parte del testo, dedicata all’analisi delle sperimentazione dell’empowered peer education ha come scopo anche quello di rianalizzare tutto l’impianto teorico e metodologico del modello stesso. (pp. 339-388) 55 Il gentil sesso debole Le immagini del corpo femminile tra cosmetica e salute Bruno Remaury – Meltemi, Roma, 2006 Questo testo nasce con l’intento di dare una prospettiva critica sull’immagine del corpo femminile proposta dalla cultura: il tema principale non è dunque il corpo in sé e neppure l’immagine che di esso ne ha la donna in quanto singolo individuo, ma sono le rappresentazioni del corpo proposte dalla cultura stessa. Il testo è suddiviso in tre parti: 7) una prima analizza Le immagini del corpo femminile, comprendendo lo studio sul fenomeno del dovere di bellezza e il dovere di salute, trasmesse dalle due nozioni di “gentil sesso” e “sesso debole”; 8) la seconda parte analizza Le tecniche del corpo femminile, cioè le principali tecniche di cui la donna dispone per portare a compimento i “doveri” di bellezza e salute; 9) la terza e ultima parte tratta de La “natura” del corpo femminile, cioè le sostanze e i fluidi legati alla bellezza e alle malattie delle donne. Per lo sviluppo della sua ricerca l’Autore parte da un’osservazione empirica sulle pubblicità, i manifesti e i cartelloni che tappezzano le nostre città, e ne desume che nel passaggio quotidiano delle immagini è proprio la donna l’oggetto più instancabilmente ripetuto. La nostra cultura vede la donna ovunque, essa continua ad occupare il primo posto nella rappresentazione, sia che il pubblico cui la sua immagine è destinata sia femminile (meccanismo dell’identificazione con il modello) sia che si tratti invece di un pubblico maschile (meccanismo dell’alterità desiderabile). Secondo l’Autore la sovrabbondanza di immagini di donne della nostra cultura non è affatto prova di una tendenza a “femminizzarsi”; al contrario, è l’ennesima testimonianza di una tradizione maschile volta alla messa in immagine del proprio oggetto di desiderio. La nostra cultura infatti è ancora ampliamente “mascolinizzata” e rappresenta a se stessa lo spettacolo di ciò che ha voglia di contemplare: nel caso in questione l’altro desiderabile, ovvero la donna. Essa rappresenta e incarna infatti, molto meglio di ogni altra immagine, quello che è l’altro della nostra cultura. Il postulato di base su cui si fonda il libro è che le rappresentazioni della bellezza femminile siano prevalentemente di tipo maschile. Sia le variazioni culturali sia le evoluzioni storiche hanno avuto scarsa incidenza sul modo in cui la donna viene vista: essa è sempre laggiù, sulla riva “altra” della cultura umana, poiché incarna essenzialmente l’alterità radicale dell’uomo. La cultura ha sempre creato una frattura, e ha voluto che fosse la più netta possibile: ne è emersa una differenza radicale fra organi e consistenza fisiologica dell’uno e dell’altro sesso. L’Autore individua pertanto tre dimensioni dell’immaginario fisiologico femminile. Esso viene descritto come corpo molle, corpo poroso e corpo che mangia. Tali dimensioni sono tenute insieme da un nesso concettuale creatosi a partire da tre principi: 7) il corpo femminile è un corpo attraversato; 8) il corpo femminile è un corpo impregnato (in quanto trattiene la sostanza che lo attraversa); 9) il corpo femminile è un corpo spremibile. 56 Da questi tre principi ne emerge una donna debole e facile da modellare, che afferra le sostanze con le quali entra in contatto grazie alla malleabilità naturale del suo corpo; una donna carnale da sfamare continuamente; una donna che diffonde sostanze ormai divenute parti di lei, divoratrice e nutrice che reca dinanzi a sé il male, o la vita. In conseguenza a ciò è possibile rendersi conto di come la cultura raffiguri costantemente il corpo femminile in base alla meccanica della spugna, pronta ad assorbire ciò da cui viene impregnata ma anche ad espellere e spremere ciò che contiene. Questa immagine di un corpo-spugna è all’origine delle idee di “bellezza che si mangia” e “salute che passa anche per la pelle”. La pesantezza spinta sino all’estremo delle immagini del corpo, come pure il loro ricorrere così frequente, sono particolarmente evidenti nel discorso popolare contemporaneo: slogan delle pubblicità di prodotti di bellezza e medicina volgarizzata delle riviste di salute. Esse fanno parte di un vero e proprio dispositivo repressivo, del quale la donna è oggetto attraverso il suo corpo. L’intento del testo è di evidenziare le forme repressive più o meno sottili che possono assumere i discorsi sul corpo femminile, mettendo in luce i meccanismi sui quali sono fondate, e di “smontare” un gran numero di discorsi pubblicitari e giornalistici estremamente insidiosi perché onnipresenti nella nostra quotidianità. Infatti, se le conquiste sociologiche del femminismo non sembrano in discussione, le conquiste culturali (relative all’immagine della donna proposta quotidianamente dalla stampa, dalla televisione, dalla cultura popolare) stanno attraversando una fase di parziale regresso: gli archetipi della donna oggetto e della donna sottomessa prendono nuovamente il sopravvento. È necessario dunque riuscire a dar prova di distacco critico e, al tempo stesso, di vigilare il fenomeno, soprattutto perché di recente alcune teorie sociologiche sulla realizzazione della donna ci hanno indotto a pensare che le mete del femminismo siano state ormai raggiunte. La donna invece, come ben emerge dalla ricerca svolta dall’Autore, a dispetto delle evoluzioni reali che la storia ha concesso alla sua immagine, continua ad essere messa ai margini, ridotta ad una sempre più radicale corporeità che la riduce alle due dimensioni simultanee di bellezza e debolezza. Quelle del “gentil sesso” e del “sesso debole”, perciò, saranno ancora per molto i due fondamentali specchi che la natura offre alla donna perché si rappresenti, e in ogni caso la donna sarà obbligata a fare riferimento, anche se implicitamente, all’una o all’altra di queste due dimensioni. La stretta associazione tra donna e corporeità dimostra che la personalità e l’esistenza stessa della donna sono costantemente confuse con il suo corpo, forse più di quanto lo siano mai state in passato. Se l’uomo ha sempre avuto coscienza di avere un corpo, è probabile che non ci siamo ancora resi conto di quanto la cultura abbia costretto la donna a essere un corpo: il suo corpo. 57 Percorsi dell’autobiografia tra memoria e formazione Daniela Sarsini (a cura di) - Unicopli, Milano, 2005 L’autobiografia come processo di formazione e di cura di sé e degli altri è una delle tematiche attualmente più ricercate e discusse del fronte pedagogico ed educativo contemporaneo. Lo scopo degli studi qui pubblicati è quello di proporre una serie di itinerari di riflessione e di approfondimento della pratica autobiografica per mettere in luce lo statuto narratologico e relazionale della società attuale e per interpretare in senso educativo l’identità dei soggetti e i suoi ruoli sociali. In particolare la dimensione pedagogica dell’autobiografia è qui affrontata nei suoi aspetti più radicali e fondativi, in riferimento cioè ai vissuti interiori, corporei, estetici e professionali dei soggetti in formazione, siano essi adulti, adolescenti o anziani. Daniela Sarsini affronta nel suo saggio (pp.13-38) la centralità del corpo nella narrazione autobiografica, partendo dal presupposto che è nella memoria del corpo che si trattengono le memorie del mondo, è nel corpo come memoria che si iscrivono i costrutti individuali e sociali come segni di riconoscimento di sé e degli altri. Franco Cambi pone la questione del “doppio legame” tra cura di sé e pratiche autobiografiche (pp.3951): l’autobiografia viene vista come processo formativo, esperienza di formazione, modellizzazione “rieducativa” di sé, in quanto viaggio nel sé, per sé, per darsi forma. L’autobiografia cambia il soggetto, lo rimette a fuoco in modo nuovo, ne sposta il baricentro, l’immagine, il senso. E in questo diventa via di cura, terapia ma anche prendersi cura di sé. Questo prendersi cura deve anche essere assunto all’interno delle istituzioni/agenzie educative per formare la coscienza professionale degli educatori e dei formatori. Duccio Demetrio (pp.53-69) spiega l’importanza del genere narrativo autobiografico, in quanto la memoria rivisitata dalla scrittura da luogo a qualcosa che la oltrepassa. Il ritrovamento dei propri ricordi, la loro ritrascrizione, talvolta è quasi un pretesto per suscitare emozioni, racconti, riflessioni e prefigurazioni di quello che si intende fare ed essere. Il testo prosegue poi analizzando l’esperienza autobiografica in una comparazione tra scrittura e pittura. Alessandro Mariani (pp.71-98) parla del racconto autobiografico che si presenta con le caratteristiche dell’invenzione letteraria, capace di disgiungere l’io che sta raccontando dall’io di cui si racconta. I ambito pedagogico l’autobiografia permette al soggetto di produrre una ricostruzione significativa degli eventi vissuti nell’ambito di un doppio processo in cui il narrarsi si unisce col formarsi e diventa cura di sé. Il tutto naturalmente legato al corpo catalizzatore dei vari livelli dell’essere. Si propongono due itinerari formativi: Il corpo “narrato” (pp.83-87) e Il “corpo dipinto” (pp.87-95) Caterina Benelli, partendo dal presupposto che l’approccio autobiografico è un metodo educativo in quanto promotore di cambiamento, di consapevolezza, di apprendimento e ristrutturazione del sé, propone alcune tecniche per raccontarsi (pp. 99-110) Maura Striano propone l’autobiografia nella formazione degli insegnanti (pp.113-123). 58 L’uso di”storie professionali” costruite attraverso una metodologia di narrativa autobiografica nell’ambito della formazione degli insegnanti si inscrive all’interno di un più ampio dispositivo riflessivo in cui la “riflessione” è essenzialmente intesa come funzione di ricostruzione dell’esperienza professionale, alla quale viene a conferire nuovi significati, generativi di istanze di crescita e di sviluppo sia sul piano personale, sia sul piano professionale. La “riflessione” è dunque una procedura che genera una nuova comprensione di: - azioni/situazioni educative; - se stessi in quanto professionisti e in quanto soggetti implicati in un processo di formazione continua, in relazione ai contesti socio-culturali cui si appartiene; - di concezioni, credenze, teorie implicite o date per scontate sulla natura della pratica educativa e sui ruoli degli agenti in essa implicati. I dispositivi di riflessione utilizzati per la ricostruzione dell’esperienza professionale nella formazione degli insegnanti assumono particolare interesse laddove il lavoro formativo si indirizzi sia in funzione della ricostruzione di azioni in situazione, sia in funzione della ricostruzione di credenze, preconcetti, teorie implicite che condizionano, orientano e vincolano l’agire professionale. Su quese basi possono essere progettati e costruiti nuovi percorsi di azione. In questo ambito risultano essere molto utili modelli operativi costruiti sulla base di un approccio fenomenologico tra i quali sono particolarmente efficaci i modelli narrativi e autobiografici, in quanto portano a identificare e “ricostruire” le posizioni e gli orientamenti professionali, e a mettere a fuoco i percorsi e le tappe evolutive e trasformative che hanno condotto i professionisti a sviluppare una specifica fisionomia professionale e una rappresentazione del proprio ruolo e delle sue funzioni culturali e sociali. Vanna Boffo dimostra le potenzialità didattiche della narrazione autobiografica (pp.125-152). La comunicazione come narrazione e autobiografia può diventare la chiave di accesso alla costruzione del proprio sé, della propria soggettività e della propria persona. Insegnare la comunicazione a scuola e saper comunicare nella scuola fra studenti e docenti è movente tanto importante per ciascun insegnante quanto lo è la comprensione che solamente attraverso la comunicazione sarà possibile, per dar origine al processo della costruzione del sé. La narrazione si proietta nell’ambiente didattico come una forma di sapere trasversale e una possibilità metodologica transdisciplinare. Nella scuola i metodi narrativi possono rappresentare la congiunzione tra una modalità di apprendimento formulaica, sistematica e priva di vita e, al contrario, un modo di “fare scuola” attraverso il racconto, l’immaginario, la possibilità e la creatività. Inoltre, la riorganizzazione dell’esperienza in modo narrativo contribuisce all’acquisizione del linguaggio. La scuola potrebbe introdurre la narrazione e l’autobiografia come due modalità per eccellenza per sondare l’opera di formazione che le è pertinente. Imparare a fare autobiografia implica imparare la narrazione e la comunicazione di sé. La scuola è il luogo della formazione intesa come risultante del processo educativo che indirizza i soggetti alla costruzione di un progetto di vita. Narrazione e pratica autobiografica connettono la scuola al mondo della vita. Si propongono laboratori di scrittura autobiografica a partire da vari stimoli (pp.147-149). 59 Maschi e femmine a scuola: stili relazionali e di apprendimento Una ricerca su genere e percorsi formativi Chiara Tamanini (a cura di) - IPRASE Trentino - 2007 La ricerca, avviata dall’IPRASE in collaborazione con la Commissione provinciale e quella comunale per le pari opportunità di Trento, indaga il modo in cui il genere viene trasmesso nei processi formativi e dimostra come sia importante tenerne conto nel percorso educativo. L’indagine è circoscritta al ciclo primario in quanto si ritiene che l’età più importante nel processo di costruzione dell’identità sia quella dai 6 ai 14 anni. L’indagine si è avvalsa di metodologie quantitative e qualitative ed è stata articolata secondo quattro linee di attività: 1. definizione dello stato dell’arte del dibattito sulla tematica in oggetto mediante l’analisi della documentazione esistente e raccolta dati sulla femminilizzazione dei percorsi scolastici e professionali in Trentino, sulla dispersione scolastica e sulle valutazioni ottenute da maschi e femmine a scuola e nelle indagini sugli apprendimenti 2. scheda di rilevazione da far compilare alle scuole per capire se esistessero progetti, corsi di formazione, buone pratiche o se vi fosse attenzione verso le differenze/disuguaglianze di genere 3. organizzazione di focus group con docenti di varie aree disciplinari 4. interviste in profondità INTRODUZIONE: La scuola rappresenta il luogo dove i ragazzi e le ragazze si scoprono, si confrontano, si sperimentano, si pongono in relazione con gli altri sperimentando le proprie competenze emotive, relazionali, socio-affettive.I docenti sono artefici importanti di questo processo e influenzano sensibilmente la formazione dell’identità degli allievi sia con le modalità educative che realizzano sia in quanto portatori di sè. Da molte interviste emerge che i/le ragazzi/e sentono la scuola lontana dalla vita. Questo può trasformarsi in disagio e distacco. Che appare però meno diffuso tra le ragazze: questo pare sia dato ANCHE dalla capacità di comunicazione che hanno le ragazze, trasmessa da una tradizione di genere che ha costruito nel tempo nelle donne le competenze del dirsi e raccontarsi. Diversamente i ragazzi stanno assieme per fare cose o per accreditarsi come maschi attraverso atteggiamenti e comportamenti di supposta virilità, che soffocano fragilità e paure. Nella crescita dei/delle giovani si intrecciano modelli contraddittori di culture nuove dell’essere donna e uomo e la persistenza di tradizioni millenarie di genere. La scuola ha spesso la tendenza ad avere un approccio egualitario che porta però ad una neutralità, ad una non valorizzazione delle differenze (e quella di genere comprenderle), alla appare come la fondativa di tutte le altre, il varco anche culturale per costruzione di percorsi che parlano solo di rincorse al maschile e contemporaneamente negano attenzione alle difficoltà del maschile. L’assunzione della cultura e prospettiva di genere occorre sia un percorso che nasce innanzitutto da un processo di consapevolezza dell’insegnante, di sé come persona e professionista sessuata. La consapevolezza di genere deve diventare prima di tutto un patrimonio personale perché possa essere trasmessa nel lavoro educativo. Chi insegna è un modello, è il primo agente di orientamento alla crescita. Partire da sé diventa un sapere spendibile nel lavoro in classe, attraverso ad esempio la riproposta e la discussione di queste tematiche. Nonché un lavoro di destrutturazione degli stereotipi presenti e radicati anche negli insegnanti. 60 Si ritiene utile la creazione di un coordinamento tra le attività di formazione dei/delle docenti, un luogo e dei tempi di incontro e confronto, in cui chi opera nella scuola in queste prospettive possa confrontare le esperienze e condividere le criticità. SCUOLA E PROBLEMATICHE DI GENERE Alcune posizioni che emergono dalla ricerca (pp.47-103). Nella scuola c’è sensibilità diffusa verso la differenza di genere ma resta ad un livello superficiale, occasionale, non si traduce in attenzione costante e ragionata, oggetto di una riflessione didattica e educativa. la questione di genere viene affrontata esplicitamente quando si pone come problema. la differenza di genere è affrontata in modo secondario entro alcuni percorsi educativi (sessualità, affettività, salute,...) o disciplinari (scienza, storia, letteratura, ...) e solo saltuariamente è tema di riflessione primaria e diretta. Non rientra quasi mai tra i temi di attenzione nella progettazione curricolare. la diversità tra maschi e femmine viene talvolta percepita come un problema in più che la scuola deve affrontare oltre ai molti già presenti. le differenze di genere diventano più evidenti nella scuola secondaria di primo grado, mentre in quella primaria sono meno accentuate, anche se si nota un anticipo nelle manifestazioni di carattere sessuale. tutti/e gli/le intervistati/e sono favorevoli alle classi miste. Tuttavia alcuni propongono di separare maschi e femmine in alcuni momenti dell’attività didattica ed educativa. la femminilizzazione della scuola incide nei processi formativi e conoscitivi e sarebbe auspicabile una maggiore presenza di insegnanti maschi nel corpo docente per consentire il confronto con stili relazionali ed educativi differenti e proposte di modelli e comportamenti diversificati, utili sia per gli alunni che per le alunne (approfondimenti pp.107-119) fattori extrascolastici accentuano i problemi legati alla costruzione dell’identità di genere. si pone la necessità di una rinnovata riflessione e attenzione verso la questione di genere alla luce della consistente presenza di alunni di culture diverse: il tema dell’identità e della differenza di genere e degli stereotipi merita di essere approfondito con corsi di formazione orientati a dare indicazioni operative. E’ importante che si tenga conto delle differenze di genere per consentire che l’itinerario scolastico derivi dalla conoscenza delle proprie inclinazioni che non necessariamente devono corrispondere a quelle tradizionalmente riconosciute in base al genere di appartenenza. La cultura della differenza è essenziale al costruirsi dell’identità perché sollecita la persona a leggere la propria parzialità e specificità. La comprensione delle dinamiche di genere arricchisce le prospettive pedagogiche e dischiude nuove opportunità alla costruzione dell’identità. Dare valore, visibilità ai percorsi, alle culture e alle competenze di ambedue i generi può significare aiutare ragazzi e ragazze a sviluppare identità e differenza e a riconoscerle reciprocamente, ma anche a leggere criticamente la realtà. Al contrario offerte formative indifferenziate e uniformi, con approcci alla conoscenza di tipo astratto e teorico produce spesso demotivazione e dispersione scolastica (frequenti le critiche dei/delle giovani a queste metodologie). Il lavoro per progetti, che implica il lavoro d’equipe tra docenti e considera gli alunni attori e costruttori dei loro percorsi di formazione, mette assieme interpreti diversi, mobilita competenze, diffonde un’idea di sapere come patrimonio all’autoformazione e all’autorientamento. 61 da riscrivere, reinventare, innovare, educa E’ importante che l’orientamento non sia limitato alla fase di transizione dalla scuola media a quella superiore ma investa tutto il percorso formativo. Diversamente si accentuano i fattori negativi che incido sulle scelte e che risentono degli stereotipi culturali e delle connotazioni di genere assegnati ai campi del sapere e alle professioni. In una scuola che orami vede una presenza sempre maggiore di bambini/e provenienti da altre culture, c’è il rischio per quanto riguarda la questione dei rapporti di genere, che i nuovi cittadini sentano minacciate le loro radici culturali e i loro sistemi valoriali di riferimento. Per meglio affrontare ogni progetto di educazione socio-affettiva e sessuale nelle classi, sarebbe importante che insegnanti, operatori e famiglie partecipassero a laboratori di formazione antropologica e ricevessero un accompagnamento di mediazione culturale dei processi educativi ► ALUNNE E ALUNNI: LE DIFFERENZE IN AMBITO SCOLASTICO (pp.120-170) Si riportano alcune interpretazioni degli/delle insegnanti su differenze tra alunni e alunne, anche se alcuni sostengono che non si possa generalizzare: BAMBINE: CARATTERISTICHE POSITIVE: gentili e dolci, docili, riservate, obbedienti, grintose, determinate, hanno le idee chiare, rispettano le regole, espansive, capaci di autocontrollo, capacità di adattamento, attente alle relazioni, hanno capacità di mediazione. IN AMBITO SCOLASTICO: motivate, brava, riflessive, concentrate, mature, responsabili, attente, precise, costanti, ordinate, metodiche, approfondiscono di più, collaborative, efficaci, rigorose, diligenti, tranquille, ligie al dovere, rispettano le consegne. CARATTERISTICHE NEGATIVE: difficoltà a risolvere i conflitti, poco solidali tra loro, gelose e possessive negli affetti, ricorrono a sotterfugi e inganni, agiscono nell’ombra attente a non farsi scoprire, complesse, difficili da interpretare, stuzzicano, pettegole, sciocchine, poco pratiche, piangono. IN AMBITO SCOLASTICO: intelligenza mnemonica, preoccupate e ansiose per le proprie performaces, si fermano di fronte agli ostacoli. PREDISPOSIZIONI E INTERESSI SCOLASTICI eccellenti nella composizione, buone capacità espositive/hanno difficoltà ad esporre, ricchezza di linguaggio capacità di analisi, capaci di esprimere sentimenti ed emozioni nel testo scritto, elevate capacità nell’arte e nella musica, interessi nelle discipline umanistiche BAMBINI: CARATTERISTICHE POSITIVE : dinamici, concreti, pratici, disinibiti, diretti, espliciti, schietti, litigiosi ma fanno subito la pace. IN AMBITO SCOLASTICO: creativi, originali, intuitivi, acuti, curiosi intellettualmente, competitivi, non si scoraggiano per i propri insuccessi. CARATTERISTICHE NEGATIVE: irruenti, sguaiati, “rompiscatole”, aggressivi, usano un linguaggio brutale, “fisici”, trasgressivi, grezzi, prevaricatori, prepotenti, incapaci di autocontrollo, non hanno progettualità. IN AMBITO SCOLASTICO: irrequieti, difficoltà a mantenere l’attenzione, insofferenti, iperattivi, immaturi, infantili, giocherelloni, disordinati, imprecisi, svogliati, approssimativi, frettolosi, incapaci di essere propositivi. PREDISPOSIZIONI E INTERESSI SCOLASTICI:scarni rispetto alla lingua scritta, colgono meno le sfumature, hanno difficoltà ad esprimere idee personali e sentimenti , buona capacità di esposizione, capaci di sintesi, propendono per gli aspetti logico-matematici, interessati a meccanica, elettricità, fisica, tecnologia, buone capacità nel manipolare materiali, attivi e partecipativi nelle attività motorie. Le cause individuate per spiegare le differenze sono molteplici e non condivise da tutte/i. FORSE DA 62 ► PERCHE’ LE FEMMINE SONO PIU’ BRAVE? Si riportano alcune opinioni non omogenee e non condivise da tutti/e i/le partecipanti La maturazione più precoce sembra portare le bambine ad avere più autocontrollo e più capacità di attenzione; metodo, impegno e serietà e non intelligenza superiore; il giudizio sulla condotta ha spesso effetti sul rendimento e questo penalizza il maschio; la prevalenza di donne nel corpo docente e quindi un approccio che tende a valorizzare le caratteristiche degli alunni dello stesso sesso; le aspettative da parte della scuola nei confronti delle ragazze si traducono spesso in un incoraggiamento ad assecondare quegli stereotipi di genere che le portano ad essere studentesse migliori.; le aspettative da parte della famiglia che incoraggia le ragazze ad impegnarsi maggiormente (contribuisce la maggiore facilità che hanno gli uomini a trovare lavoro); la voglia di emergere e emanciparsi INSEGNANTI (Italia) Se il corpo docente è costituito in gran parte da donne, in alta percentuale impiegate in materie umanistiche e linguistiche, è però scarsamente rappresentato a livello gestionale soprattutto nella Scuola secondaria di II grado. STUDENTI E STUDENTESSE (Italia) Si osserva in generale una più ampia partecipazione femminile ai percorsi liceali e un orientamento maschile verso istituti tecnici e professionali. Compito della scuola è quello di intervenire offrendo maggiori possibilità, soprattutto alle ragazze, che, condizionate da fattori culturali, tendono ad indirizzarsi maggiormente verso percorsi umanistici. Si ritiene necessario stimolarle attraverso proposte didattiche specifiche che le avvicinino agli indirizzi scientifici e che consentano loro di allargare il raggio della scelta occupazionale. CONCLUSIONI: ► La pluralità delle opinioni espresse nelle interviste testimonia che sulla linea da tenere rispetto alle differenze di genere non c’è accordo: alcuni ritengono che compito della scuola sia quello di valorizzare le differenze ponendole al centro dell’iniziativa didattica altri pensano che andrebbero attenuate, e che possano costituire un ostacolo da eliminare attraverso il riferimento all’alunno in sé, senza connotazioni di genere. qualcuno, infine, pensa che vadano neutralizzate nel senso che non è l’istituzione scolastica – universale – a doversene occupare. ► Affiora inoltre la necessità, sentita da parte degli insegnanti, di specifici corsi di aggiornamento sulle problematiche legate alle diversità. ► Si suggerisce come possibile azione un monitoraggio, differenziato per genere, che rilevi, oltre agli esiti finali, anche aspetti di comportamento e atteggiamento al fine di offrire un panorama più articolato di come maschi e femmine stanno a scuola e di come apprendono.. 63