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L'ASSISTENTE SOCIALE NEI MEDIA: UNA SINTESI
di Michele Marangi
In che misura la complessità del profilo professionale dell'Assistente sociale e la molteplicità delle
sue funzioni si traducono in un adeguato riconoscimento all'interno delle più diffuse
rappresentazioni sociali? In modo estremamente semplificato: quali sono le immagini più ricorrenti
dell'Assistente sociale nell'immaginario collettivo? Se è vero che la visibilità non è nella sua
mission, quali aspetti tendono comunque a essere più percepibili e quali invece sono omessi o non
considerati?
Questi interrogativi non vogliono certo ottenere riposte oggettive e univoche, ma piuttosto
intendono stimolare e approfondire la riflessione sulla dialettica tra la dimensione dell'agire e quella
dell'apparire.
Assumendo la prospettiva per cui il rapporto tra individuo, sistema sociale e sistema mediale è
strettamente interconnesso e interattivo (Livolsi 2000) – e rimandando allo specifico contributo su
Teorie e metodi ospitato nel primo percorso del cd Racconti e Rappresentazioni per
l'approfondimento sull'universo teorico di riferimento a cui ci si è ispirati e per la presentazione
delle metodologie di analisi che sono state utilizzate – in questa sede si propone una sintesi dei
principali nodi emersi dai quattro ambiti comunicativi considerati nel primo percorso: la stampa, la
televisione, il cinema e la letteratura.
Attraverso l'analisi di alcuni esempi ritenuti emblematici e significativi – a partire dalla visione e
dalla lettura di un ampio campione di riferimento, rintracciabile nella bibliografia – emergono alcuni
nodi chiave, caratterizzati ora da trasversalità ora da specificità, che talvolta confermano certe
previsioni, ma in altri casi fanno emergere aspetti non consueti o imprevisti.
Senza alcuna pretesa di esaustività, la serie di nodi affrontati di seguito è il risultato del tentativo
di considerare da un duplice punto di vista il rapporto tra la complessità della realtà operativa e la
stilizzazione dei racconti riferiti agli Assistenti sociali. Intrecciando l'approccio mediologico a quello
sociologico, emergono così una serie di aspetti che forse meriterebbero una riflessione ulteriore sia
in riferimento alle modalità di rappresentazione estetica e narrativa che ai processi di
consolidamento e diffusione di alcune percezioni dominanti della figura e dell'azione dell'Assistente
sociale.
Ai margini del quadro
L'Assistente sociale è raramente protagonista delle storie o delle cronache in cui appare. Spesso è
una comparsa, con una scarsa caratterizzazione che si limita ad alcuni elementi di facile
identificazione del ruolo. Nei casi in cui assume una funzione più importante si tende a far
prevalere l'aspetto personale rispetto a quello professionale: Se da un lato ciò è spiegabile con il
canone narrativo che accresce l'identificazione tra testo e fruitore a partire da elementi legati ai
sentimenti e all'interiorità di un personaggio, appare interessante notare che presumibilmente la
professione in sé non sembra particolarmente evocativa e stimolante per articolare storie o
cronache. Ulteriore specificazione: nei rari casi in cui è protagonista in quanto Assistente sociale, la
rappresentazione privilegia la dimensione di vittima (di solito di un utente violento) e se ne parla
comunque nell'ambito della cronaca e dell'inchiesta, con tonalità narrative che oscillano tra il giallo
e il nero.
Un mestiere con l'apostrofo
La professione viene rappresentata quasi sempre al femminile. Negli esempi utilizzati si ha una
percentuale di circa l'80 % di donne nel ruolo. Spesso, con l'eccezione della stampa, chi racconta o
descrive è però un maschio. Pur tenendo conto della parzialità del campione e senza voler
banalizzare approcci complessi basati sull'appartenenza di genere, appare significativo che questo
rapporto inversamente proporzionale tra chi rappresenta e chi è rappresentato produce una serie
di polarità e di tipizzazioni emblematiche, che forse non sono centrali nella professione ma lo
diventano nella rappresentazione: ad esempio la maggiore o minore desiderabilità del personaggio,
oppure le sue "qualità" estetiche, intese spesso come mediazione necessaria o come ostacolo
istintivo per attivare una buona relazione fin dal primo contatto. A questo, spesso si aggiungono
una serie di attribuzioni automaticamente legate all'universo femminile nell'immaginario collettivo,
associate a elementi che possono essere percepiti in modo positivo o negativo, a seconda che se
ne sottolinei la presenza o l'assenza: il senso materno, la delicatezza, la fragilità, la cura di sé, la
tenacia, la volubilità, il fascino.
Senza sfumature
Il processo di tipizzazione che agisce in relazione all'appartenenza di genere caratterizza anche altri
aspetti della rappresentazione mediatica degli Assistenti sociali. Unitamente allo scarso peso
narrativo, già considerato in precedenza, ciò si traduce in una marcata tendenza al didascalismo
della rappresentazione, che si incardina su alcune caratteristiche di base fin dal primo apparire del
personaggio e sembra dare per scontata nel lettore o nello spettatore la condivisione di alcuni
giudizi, siano essi estetici, socio-culturali o valoriali. Dagli esempi analizzati sembra delinearsi una
particolarità: il livello di stereotipia e di immediatezza didascalica appare più elevato nei casi in cui
le attribuzioni sono di segno negativo e tendono a distanziare l'Assistente sociale da chi legge o
guarda.
Idealtipi: un catalogo
La tipizzazione non è comunque sempre negativa. Tra le varie ricorrenze che si rivelano trasversali
ai vari media analizzati, emergono alcuni tipi di riferimento. Pur considerando le specificità di
ciascun esempio e l'impossibilità di accomunare sistemi testuali, oggetti tematici e modalità
narrative differenti, ecco alcune aree di omogeneità relative a ritratti che ricorrono o si richiamano
spesso. Appurata la schiacciante prevalenza di donne rappresentate, la declinazione è stata posta
al femminile:
¾ Ladra di bambini – Disumana – Malvagia
¾ Burocrate – Indifferente – Freddamente impersonale
¾ Frustrata – Stanca – Inacidita
¾ Salvatrice del mondo – Utopista – Battagliera
¾ Empatica – Amichevole – Consigliera
Punti di vista
A prescindere dalla maggiore o minore centralità all'interno delle storie raccontate o dei fatti
descritti, è raro che Assistenti sociali si esprimano in prima persona. Più sovente sono raccontati da
altri – intendendo qui non tanto l'autore che ovviamente organizza la narrazione, ma piuttosto gli
altri personaggi che ne parlano all'interno del testo – o devono reagire a sollecitazioni esterne o a
limitazioni poste dall'esterno, come le domande in un'intervista o il doversi esprimere in tempi
contingentati durante un talk show. Parziali eccezioni si hanno nella letteratura e nel cinema,
quando si dà spazio al pensiero interiore o al punto di vista dominante del personaggio, mentre la
televisione e la stampa sembrano meno disponibili a un racconto in prima persona che non sia
mediato da altri interlocutori.
Una vita da mediana?
Se professionalmente l'Assistente sociale fa della mediazione uno degli elementi che caratterizzano
la professione – inteso in una molteplicità di accezioni: rapporto tra i bisogni dell'utente e le risorse
della comunità sociale; dialettica tra funzionalità di controllo e attività di promozione della persona;
traduzione del dettato legislativo nella prassi operativa – anche nelle rappresentazioni ricorrenti ha
spesso un ruolo mediano, ma di tutt'altro tipo. Attraverso un processo di tipo metonimico
l'Assistente sociale è spesso identificato con il Servizio sociale tout court: ne rappresenta funzioni e
strategie, risorse e, soprattutto, difetti o lacune. Il dato è interessante. Da un lato sembra dare per
scontata la profonda coesione tra Servizio e singolo operatore, che così personifica nel suo agire
una complessità organizzativa, gestionale e strategica. D'altro lato, tuttavia, proprio la
trasposizione di tale complessità in pochi gesti o battute, spesso emblematici, di un personaggio o
di una persona ritratta in cronaca, implica un evidente riduttivismo, che rischia di schematizzare
eccessivamente o di omettere completamente alcuni aspetti chiave della professione più
difficilmente rappresentabili o che necessiterebbero di un tempo e di uno spazio spesso non
previsti dal timing televisivo, dalle battute di un pezzo giornalistico, dalla sceneggiatura di un film o
dalle pagine di un libro.
Oltre alla mediazione dal singolo Assistente sociale all'idea del Servizio sociale in sé, il personaggio
è spesso utilizzato, soprattutto nel caso dei reportage televisivi come tramite per trattare di realtà
difficili o di temi sociali problematici.
Non rappresentabile?
Se esistono alcuni aspetti che trovano una sovra-rappresentazione o una semplificazione costante
che ne permette una riconoscibilità più immediata e quindi una diffusione più ampia, si verifica
anche l'effetto contrario, per cui certe dimensioni proprie della professione non trovano
praticamente alcuna visibilità.
E' il caso della progettazione delle politiche di intervento sul territorio, dell'organizzazione del
lavoro sociale e del lavoro d'équipe, che vengono raramente messe in scena o descritte e in quei
rari casi sono tendenzialmente associate a una visione molto tipizzata e, ancora una volta,
peggiorativa: la dimensione organizzativa del Servizio sociale diventa cosi sinonimo di burocrazia
auto-referenziale o avversa ai "veri" bisogni delle persone.
Un'altra dimensione raramente rappresentata è quella dell'apprendimento della professione, non
tanto a scuola – situazione praticamente invisibile – quanto nella concretezza delle prime
esperienze lavorative, nel tirocinio e nella gestione dei primi casi. Anche in questo caso, nelle rare
ricorrenze in cui se ne parla, si tende a identificare il giovane tirocinante o l'Assistente sociale
inesperta come un soggetto che prima o poi verrà cooptato dalle logiche del Servizio e, quindi,
"rovinato" da prassi burocratiche e metodologie spersonalizzanti.
Cosa fanno gli assistenti sociali?
Uno degli esiti delle omissioni e delle tipizzazioni selettive viste nel punto precedente è la notevole
ambiguità sulle effettive competenze e sul ruolo dell'Assistente sociale. In particolare nella fiction
ricorrono figure che non sono completamente riconducibili alla professione. Oltre alle naturali
difformità legate a nazioni, epoche e contesti socio-culturali differenti, resta la sensazione che gli
elementi chiave che fondano il profilo deontologico dell'Assistente sociale non siano sempre ben
chiari e che spesso tale professione venga confusa, o perlomeno in parte sovrapposta, con quella
dell'educatore, dell'operatore sanitario o, in casi rari ma comunque presenti, del benefattore
volontaristico.
Funzionari e controllori, prima ancora che assistenti
In riferimento alle ambiguità di cui sopra, le varie rappresentazioni fanno emergere una tipologia di
Assistente sociale in cui la funzione ricorrente non appare tanto quella dell'aiuto né quella di
prevenzione, come forse si potrebbe supporre. Piuttosto sono molti i casi in cui il professionista è
visto come controllore o esecutore, in cui la relativa autonomia del ruolo non è vista in senso
strategico o in un'ottica di reticolarità con le altre agenzie del territorio, ma piuttosto come mera
dipendenza da poteri più forti che decidono effettivamente le politiche sociali: organi legislativi,
centrali economiche, orientamenti politici e via dicendo. In questo senso, nella gamma delle
rappresentazioni ricorre sovente la tipizzazione dell'Assistente sociale che fa le veci di qualcun altro
e si pone in termini correttivi e prescrittivi nei confronti dell'utenza: nella migliore delle ipotesi è
una sorta di maestrina che fa il "predicozzo", nella peggiore è un funzionario anonimo che ruba i
bambini.