1 I valori e lo sport 2.Dinamiche di gruppo e leadership

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1 I valori e lo sport 2.Dinamiche di gruppo e leadership
1 I valori e lo sport
Lo sport promuove e attua valori essenziali quali:
– La cooperazione nella competizione: cooperazione insieme all’allenatore e/o ai compagni-avversari
– Lo spirito di gruppo: collaborazione tra i compagni di squadra, uniti nel raggiungere un fine comune
– La disciplina personale: è necessario condurre una vita sana e regolare, per la costruzione del carattere, in
quanto educa al valore della fatica e della sofferenza in vista di uno scopo. Porta l’atleta a sapersi ascoltare e a
conoscere i propri ritmi, divenendo maggiormente consapevole dei limiti, per tentare di superarli, e delle
proprie capacità che vanno valorizzate. Centrale in questo processo di valorizzazione di sé è l’acquisizione
dell’auto-efficacia che nello sport trova una ottima palestra di formazione.
– La condivisione e il rispetto di regole precise: consapevolezza che nello sport vincere con l’inganno, significa in
realtà perdere.
– La tolleranza e il rispetto reciproco, fondamento della lealtà; «saper vincere e saper perdere».
– Il fair play è un modo di pensare, non solo un modo di comportarsi «gioco leale»
1.1 La squadra
Insieme di due o più persone che interagiscono dinamicamente, in modo interdipendente e adattivo per raggiungere
obiettivi condivisi e con valore, cui sono stati assegnati particolari ruoli o funzioni da ricoprire e che sono membri della
squadra per un tempo limitato.
1.2 Filogenesi dei sistemi sociali L’organizzazione del gruppo
Nei primati è possibile individuare 2 sistemi, uno che da luogo a una Struttura di gruppo in termini agonici e uno che
da al gruppo una configurazione in termini edonici. Questi 2 sistemi sono da ricondurre a propensioni a base innata a
dare risposte ad ambienti carichi di stimoli emozionali.
Il sistema agonico fa riferimento a una organizzazione del gruppo rigida e gerarchica. Le gerarchie sono determinate
dall’attenzione che i subordinati prestano agli individui dominanti, secondo un meccanismo che viene detto struttura
dell’attenzione. Questo meccanismo se da una parte assicura la coesione del gruppo, dall’altra implica una continua
tensione e attivazione emotiva: i dominanti devono di continuo monitorare i subordinati ed assicurarsi attraverso la
minaccia che questi non tentino di scalare la gerarchia.
Sistema edonico che è proprio dell’organizzazione sociale degli scimpanzè. In questi gruppi gli individui formano una
rete di relazioni sociali ispirate alla collaborazione e al sostegno reciproco. I leader sono per lo più anziani, non
necessariamente aggressivi. Nella specie umana sono presenti entrambi le modalità.
2.Dinamiche di gruppo e leadership
Sia che essi siano formali o informali, sono strutturati in maniera da permettere ai singoli di raggiungere scopi
individuali e collettivi attraverso una ripartizioni di compiti, adottando quindi ruoli diversi.
Secondo la teoria delle aspettative circa lo stato questa collocazione viene a seguito delle aspettative del gruppo sulle
competenze sulle abilità dei singoli necessarie per il raggiungimento degli scopi, questo non esclude l’utilizzo di
caratteristiche come avere una posture eretta, una voce ferma, forza decisione e domando.
2.1 Posture
I membri di status più elevato esibiscono comportamenti meno rigidi e una gamma di posture più ampia rispetto ai
membri di status inferiore, cioè per loro le regole erano meno ristrette, anzi flessibili. Esistono posture dominantisuperiori e inferiori-sottomesse: il portamento eretto, la testa reclinata all'indietro e le mani posate sui fianchi possono
segnalare il desiderio di dominare. Chi occupa uno status elevato, solitamente siede eretto in posizione centrale di
fronte agli altri.
La postura è influenzata notevolmente dallo stato emotivo del soggetto che la esibisce, soprattutto lungo la
dimensione rilassamento-tensione. La postura è meno controllabile coscientemente del volto o del tono della voce e
può svelare sentimenti nascosti.
La comunicazione di atteggiamenti (valutazione e gradimento) in rapporto allo status sociale (potenza e controllo
sociale) attraverso le esibizioni posturali. La prossimità fisica, accompagnata da un più intenso contatto visivo, da una
inclinazione in avanti di tutto il busto sono tutti segnali che hanno come scopo il veicolare la propria disponibilità in
senso positivo verso l'interlocutore.
Il "rilassamento posturale" implica invece una posizione asimmetrica degli arti, l'inclinazione obliqua e reclinata,
rilassamento delle mani e del collo. Questo rilassamento può essere messo in relazione con differenze di status sociale
fra segnalatore e destinatario: se il ricevente è di status inferiore, il segnalatore sarà più rilassato, al contrario
quest'ultimo sarà teso e ansioso se il ricevente è di status superiore.
Nel momento in cui nasce il gruppo si strutturano le norme sociali che regolano i comportamenti, le responsabilità gli
obblighi e i diritti, le norme quindi fanno si che ad ogni posizione corrisponda un ruolo sociale.
E' tuttavia possibile rintracciare ruoli fissi:
– il nuovo arrivato: da cui ci sia aspetta un comportamento passivo, conformista, ansioso per farsi accettare
– il capro espiatorio: membro su cui si proiettano le parti negative di sé
– il leader deve essere:
– Socioemozionale: deve creare un atmosfera armoniosa e coesa tenendo conto dei sentimenti individuali.
Centrati sulle relazioni sui bisogni emotivi dei membri allentando le tensioni i conflitti e chiedendo
opinioni e suggerimenti amicali
– Centrato sul compito: deve preoccuparsi del raggiungimento del gruppo degli obbiettivi prefissati.
Si rifà ad un leader autoritario mettendo in atto comportamenti finalizzati solo al raggiungimento dello
scopo prefissato impartendo comandi e rispetto delle regole.
Tuttavia i membri del gruppo manifesteranno tensione, antagonismo ed ostilità.
Perfino i bambini nella scuola materna, dopo pochi incontri decidono il leader, i posti e i ruoli di ognuno. La struttura
sociale di un gruppo si basa sul fatto che gli individui abbiano al suo interno uno status ovvero una posizione che viene
valutata dagli altri membri e dove il leader solitamente è il bambino che:
– aiuta, conforta e protegge
– prende iniziative nuove
– organizza giochi
– divide le sue cose con gli altri
– è più inventivo
In ogni caso hanno più probabilità di diventate leader coloro che sono più intelligenti, più forti che sanno gestire i
rapporti interpersonali e coloro che sono più motivati.
Sembrerebbe inoltre che le persone che riescono a riscuotere più fiducia attraverso un carisma personale diventino
leader in quanto un leader carismatico ha una visione più precisa degli obbiettivi, ha la capacità di renderli chiari
attraverso un linguaggio semplice.
Un leader efficace è il risultato dell’incrocio tra un leader sociemozionale e un leader centrato sul compito e sul
controllo.
Il controllo è dato dalla sicurezza del leader nel riuscire a svolgere il suo compito sulla base:
– delle qualità delle relazioni
– della strutturazione del compito in termini di chiarezza
– del livello di potere nel controllare gli altri.
Se il controllo molto basso o molto alto lo stile di leadership che porta al massimo è quello centrato sul compito.
Se il controllo è moderato si assiste ad un leader di tipo socioemozionale.
Se è vero che il leader influenza i membri del gruppo è altrettanto vero che i membri influenzano il leader con le loro
aspettative e le richieste.
La teoria della leadership viene definita transazionale per enfatizzare la bidirezionalità dell’influenza leader-membri
del gruppo. Il leader viene legittimato in 4 situazioni :
– se viene scelto dai membri e non imposto dall’esterno
– se sa conformarsi inizialmente con le norme del gruppo
– se mostra abilità e competenze specifiche
– se sa identificarsi con il gruppo.
Il leader trasformazionale riesce a influenzare i membri del gruppo nel trascendere gli interessi personali e motivarli
nel perseguire mete comuni. Esso si caratterizza per 4 dimensioni:
– l'influenza idealizzata: fa riferimento alla competenza e all’affidabilità del leader ( carisma)
– la motivazione all’ispirazione : capacità del leader di orientare le mete del gruppo in termini emozionali
– la stimolazione intellettuale: tendenza ad incoraggiare i membri per renderli indipendenti e creativi
– la considerazione individualizzate: capacità del leader di comprendere i bisogni personali
Il leader empowering si caratterizza per alcune modalità nella gestione delle relazioni con i membri del gruppo:
– porsi come esempio per i membri
– coinvolgere i membri nell’assunzione delle decisioni
– insegnare, informare
– mostrare interesse per le difficoltà dei membri nel gruppo
I membri di un gruppo indirizzano le loro richieste e si rivolgono più al leader che al resto del gruppo assegnando
quindi al leader un ruolo centrale in quanto si occupa di ricevere e trasmettere più comunicazioni a tutto il gruppo
questo deriva da una propensione a base innata che tende a rivolgere la propria attenzione verso il più dominante.
2.2 Reti di comunicazione e produttività
La struttura a ruota dove una persona posta al centro riceve i messaggi e li invia agli altri membri.
La struttura a cerchio dove ognuno è libero di comunicare con gli altri.
Piu la rete è centralizzata più efficiente è la prestazione anche se la soddisfazione del gruppo tende a diminuire.
Nei compiti difficili inizialmente aiuta al raggiungimento della soluzione l'utilizzo di una comunicazione a cerchio in
modo tale che lo scambio di informazioni tra tutti porti ad una soluzione più veloce e semplice, ma dopo un certo
periodo le reti centralizzate portano a prestazioni migliori anche nei compiti difficili.
Sembra quindi che la rete centralizzata dove esiste una leadership centrata al compito sia più efficace il rischio tuttavia
è che si passi da un leader centrato al compito ad un leader autoritario provando quindi malcontento e insoddisfazioni
nel gruppo.
Per parlare di leadership bisogna sottolineare che affinché funzioni, è necessario che le persone obbediscono, gli
essere umani sono abituati ad obbedire a chi detiene l’autorità, solo rispettando le leggi, i divieti e gli ordini una
società può funzionare.
3.Il Cervello dell ’Atleta
L’autodeterminazione è strettamente legata alla percezione che una persona ha dell’origine del proprio
comportamento:
– locus of control interno: percezione che i risultati dipendano dal proprio comportamento
– locus of causality interno: la messa in atto di un comportamento è da ricercare nelle proprie scelte autonome
– locus of causality esterno: le cause del proprio comportamento attribuite a cause esterne a se stessi
L’autodeterminazione è vista come un’esigenza innata collegata ad alcuni bisogni psicologici di base:
– Il bisogno di autonomia: i propri comportamenti sono originati da scelte personali
– Il bisogno di competenza: necessità umana d’interagire efficacemente con il proprio ambiente
– Il bisogno di sentirsi in rapporto con gli altri desiderio di essere legati ad altre persone significative
L’autoefficacia è la convinzione della propria capacità di eseguire determinate azioni e di raggiungere livelli stabiliti di
prestazione, in specifici compiti e ambiti di vita. Promuove un’adeguata regolazione delle emozioni e delle reazioni
fisiologiche in situazioni di stress, sia contrastando eventuali pensieri intrusivi negativi, sia sollecitando comportamenti
in grado di modificare gli stati emotivi e di favorire la sperimentazione di emozioni positive.
3.1 Atteggiamenti
Un atteggiamento è “uno stato di prontezza mentale e neurologica, organizzato dall’esperienza che influenza le
risposte dell’individuo”.
Le persone si sforzano di avere cognizioni coerenti tra loro e mantenere in equilibrio quelle tre parti che costituiscono
gli atteggiamenti in modo da evitare tensioni e contraddizioni, pongono in discussione il neocomportamentismo
secondo cui sono le nostre credenze a guidare i nostri comportamenti. Sono i nostri comportamenti a influenzare i
nostri atteggiamenti, quello che pensiamo, quello che proviamo.
Sia il comportamento sia gli atteggiamenti sono caratterizzati da 4 elementi:
1. L’azione
2. L’oggetto
3. Il contesto
4. Il tempo
Le persone si comportano in maniera razionale sulla base delle loro intenzioni consce che a loro volta si fondano su un
calcolo degli effetti del loro comportamento. Si attribuisce agli atteggiamenti un ruolo determinante nella messa in
atto del comportamento.
Gli atteggiamenti hanno varie funzioni, in particolare hanno:
1. adattamento sociale: aiutando a definire i gruppi sociali, contribuendo all’adattamento degli individui all’interno del
loro gruppo di appartenenza.
2. definizione del Self: possibilità di rafforzare la propria identità, di definire il proprio Sé rispetto a gli altri individui.
3. espressione dei valori: dato che con i nostri atteggiamenti difendiamo i nostri valori etici.
4. ego-difensiva: utilizzati x controllare l’ansia derivata dai conflitti interni. Gli atteggiamenti di difesa nei confronti di
chi è diverso da noi, hanno la funzione di coprire la paura che suscita chi non è simile a noi.
5. conoscitiva: come gli schemi, le categorie si pongono come strutture che regolano l’elaborazione delle informazioni.
Secondo la Teoria della risposta cognitiva la formazione e il cambiamento degli atteggiamenti è riconducibile a
elaborazioni cognitive, relative a cosa è positivo e cosa è negativo in un atteggiamento. Queste reazioni determinano
dei cambiamenti di atteggiamento e adottare un punto di vista vantaggioso.
La teoria dell’aspettativa-valore afferma che nell’adottare un atteggiamento gli individui ottimizzano l’utilità dei vari
esiti previsti tra cui anche il valore e l’aspettativa.
L’umore è fondamentale infatti influenza sia le motivazioni che le capacità cognitive.
3.2 Meccanismi percettivi ed attenzionali alla base della prestazione agonistica
Nella disciplina sportiva della canoa discesa, l’obiettivo dell’atleta è quello di sfruttare al massimo le correnti che
conducono al traguardo e di evitare intralci e pericoli da correnti contrarie o laterali. Ciò che succede al canoista
imbarcato in acque particolarmente mosse si verifica nel nostro cervello quando effettuiamo una qualsiasi prestazione,
sia essa sportiva o una qualsiasi attività quotidiana.
I meccanismi senso-motori del cervello si sono evoluti per adattarsi flessibilmente all’ambiente circostante e per
generare le migliori prestazioni possibili dato l’ambiente e le caratteristiche del compito.
Ma attenzione! In un lungo tragitto un buon canoista può voler intraprendere percorsi diversi e passare da un flusso di
corrente ad un altro. Ciò implica la conoscenza implicita di tutto ciò che avviene nell’acqua e nelle correnti principali,
incluse quelle che fino ad un istante prima erano deleterie.
Lo stesso deve fare il cervello quando la prestazione finale è il risultato di una catena di azioni diverse tra loro: opera
sull’informazione, la seleziona e la classifica in tempo reale come utile o inutile al compito, ma deve essere in grado di
resettare, o spostare il focus quando le richieste mutano.
Lo scopo è quindi quello di inquadrare i meccanismi che permettono di modulare l’efficacia della selezione e
dell’utilizzo dell’informazione in input (sensoriale) al fine di massimizzare l’efficacia della prestazione. Cosa ci permette
di seguire il flusso buono, e di passare da un flusso ad un altro, al fine giungere prima possibile all’arrivo. Un problema
fondamentale dello sport agonistico.
3.3 La memoria per i gesti motori: struttura e sviluppo
La memoria composta da il magazzino a breve termine e dalla Memoria di Lavoro ML, un sistema supervisore di
controllo con capacità attentive e decisionali (l’esecutivo centrale) che opera su due sistemi subordinati che elaborano
rispettivamente materiale di tipo verbale:
– Il loop articolatorio è a sua volta suddiviso in due componenti: un magazzino fonologico di tipo passivo che
mantiene in memoria l’informazione linguistica per pochi secondi, e un processo attivo di reiterazione basato
sul linguaggio subvocale che permette di mantenere viva la traccia mestica e di convertire gli stimoli visivi in
un codice fonologico.
– Il taccuino visuo-spaziale è la componente che permette il mantenimento temporaneo di informazioni visive e
spaziali e la visualizzazione ed elaborazione di immagini mentali.
Un compito di memoria dei gesti richiede due processi fondamentali: sapere cosa fare e sapere come farlo.
A questo proposito sono state proposte due sottocomponenti della memoria dei gesti motori:
– la memoria di movimento è una memoria dichiarativa, semantica ed episodica, una rappresentazione mentale
che contiene le caratteristiche funzionali del gesto e permette la selezione dell’azione appropriata ad una
situazione specifica;
– la memoria motoria è una memoria procedurale responsabile della correttezza esecutiva di un’azione in base
agli obiettivi, ossia controlla e modula parametri e procedure di esecuzione del gesto.
La memoria di movimento seleziona un’azione appropriata ad una situazione specifica (cosa fare), le informazioni così
recuperate interagiscono con le informazioni depositate in memoria motoria, procedurale, da cui si seleziona il
programma motorio con i parametri esecutivi adeguati (come fare).
Numerosi studi dimostrano che la memoria dei gesti coinvolge in qualche modo il magazzino fonologico.
La prestazione di richiamo motorio migliora quando il gesto da richiamare è presentato con un’etichetta verbale
congruente e peggiora quando l’etichetta verbale è incongruente.
Partiamo dall’assunto che ogni stimolazione che passa attraverso i sensi corrisponde ad una «rappresentazione»
interna, consapevole, dell’intensità della stimolazione stessa. Tale rappresentazione ha un’intensità proporzionale
all’intensità fisica della stimolazione.
3.4 Attivazione e disattivazione nello sport
Energia psichica: condizione di vigore, energia, vitalità alla base del processo motivazionale.
Arousal: stato di attivazione fisiologica e psichica dell’organismo che varia lungo un continuum dal sonno profondo
all’intensa eccitazione.(stato energetico momentaneo dell’organismo)
Attivazione: il sentirsi pronti e preparati ad affrontare un compito (cambiamento del livello dell’arousal nel tempo, in
conseguenza di un compito – variazione frequenza cardiaca, frequenza respiratoria)
Non sono invece sovrapponibili i termini «attivazione» e «ansia»: l’ansia può manifestarsi con un aumento del livello di
attivazione, ma il soggetto in questo caso vive sentimenti e pensieri connotati in maniera negativa.
La scelta del programma più adatto per la modulazione dell’attivazione deve tenere in considerazione l’ansia (cognitiva,
somatica e comportamentale), ma anche il ruolo di emozioni facilitanti o inibenti, e il ruolo dell’interpretazione della
situazione e dei sintomi d’ansia.
3.5 La dislocazione dell’eccitazione e lo studio dell’aggressività
L’aggressività sarebbe da ricondurre ad un istinto presente alla nascita in tutte le specie animali.
Si formerebbe nell’individuo un accumulo spontaneo di energia, pronta a scaricarsi appena possibile.
Un individuo in condizioni di arousal (eccitazione) si imbatte in qualcuno che lo provoca e probabile che trasferisce
l’eccitazione dovuta all’attivazione alla nuova condizione reagendo con aggressività. Qualunque sentimento negativo
può indurre aggressività quest’ultima non può essere ricondotta solo alla rabbia, ma anche al dolore o alla paura.
Il comportamento aggressivo è più frequente se gli individui non hanno informazioni sul loro stato di attivazione
mentre quando l'individuo è consapevole della causa dell’attivazione non assiste ad un aumento dell’aggressività non
si ha un trasferimento dell’emozione.
3.6 Lo stato di stress
Si verifica quando gli atleti intuiscono che c’è uno squilibrio tra quello che è chiesto loro di fare (sfida) e quello che
invece essi sentono di essere capaci di fare (livello di abilità).
Lo stress può essere identificato in uno stato di lotta dell’organismo tutto teso a difendere le proprie costanti
omeostatiche, quando intervengano stimoli esterni (stressor) a perturbarle (sindrome generale di adattamento) o, a
partire dalla condizione di stress strisciante e non coscientemente rilevabile, nello sviluppo di un vero e proprio stato
patologico (sindrome di esaurimento).
La prima parte, infatti, è stata presa a supporto teorico della nozione di allenamento, infatti uno stimolo, per essere
percepito come tale, deve essere di entità almeno leggermente superiore rispetto allo stato richiesto dalle normali
attività dell’organismo.
Adattandosi al nuovo, l’organismo si mette in grado di rispondere ad uno stimolo ulteriore, ma ad un livello più alto.
Da un adattamento al successivo, che si verifica se gli stimoli (allenanti) sono gradualmente più elevati, in successione
continua e progressiva, si arriverà a poter esprimere il massimo delle capacità consentite dal patrimonio genetico e
dallo sviluppo personale.
Naturalmente vanno rispettate le pause di recupero tra uno stimolo e l’altro e dovranno essere di lunghezza tale da
consentire all’organismo di mettere in atto i processi di adattamento (compensazione), non troppo lunghe, altrimenti
l’organismo ritorna alla fase precedente e lo stimolo, che sarebbe stato allenante.
Il nuovo stimolo non dovrà, comunque, essere troppo intenso, né somministrato durante la fase di compensazione,
altrimenti l’organismo che ha già mobilizzato tutte le proprie risorse ed è, quindi, in stato di lotta (stress) per
fronteggiare il precedente, non è in grado di sostenere un carico ulteriore e, con molta probabilità, scivola nella fase di
esaurimento ossia nel superallenamento.
3.7 Superallenamento
Quando gli stimoli stressanti (stressor) vengono percepiti come minacciosi (superiori alle proprie capacità di
fronteggiarli) o quando provocano un innalzamento dell’arousal al di sopra dei livelli normali, effetto probabilmente
provocato da una eccessiva preparazione alla gara (superallenamento) e facilmente viene suscitato uno stato di ansia.
In altri termini, se lo stimolo supera, per quantità e per intensità o frequenza, la capacità di adattamento dell’atleta,
questi entra nella cosiddetta fase di esaurimento (distress), che nell’atleta si manifesta come stato di superallenamento
(overtraining).
Ciò accade perché viene compromessa la capacità dell’organismo di rispondere in modo positivo, vale a dire
adattandosi, che significa mettersi in grado di reagire ad un nuovo stimolo gradualmente più intenso.
Il superallenamento si manifesta con una serie di sintomi: stanchezza irritabilità, diminuzione dell’efficienza del sistema
immunitario, nausea, eccessiva e repentina perdita di peso, dolori articolari e muscolari, ripetuti infortuni da
sovraccarico (come spaccature della pelle, infrazioni ossee e tendinee), riduzione della densità ossea, maggiore
incidenza di crampi muscolari (sia per la perdita di sali minerali, che per ricupero e metabolizzazione mancati o
incompleti delle scorie della fatica) e un tempo più lungo per il raggiungimento dello stato di forma.
Il superallenamento si verifica in genere quando l’atleta vuole accorciare i tempi (e quindi aumenta le quantità e le
frequenze degli stimoli allenanti) e anche quando, raggiunto il top delle proprie possibilità, sperimentando una
combinazione di entusiasmo e voglia di migliorare, non si arrende e ritiene di poter superare il proprio limite
incrementando, ulteriormente e nell’immediato, le dosi di allenamento (a quel punto dovrebbe, invece, mantenere lo
stato di forma più a lungo possibile con allenamenti mirati).
Gli atleti avveduti, al contrario, sanno che il superamento dei limiti personali (record o capacità tecnico tattiche) può
essere frutto soltanto di un’organizzazione dell’allenamento a lunga scadenza, tenendo conto delle proprie possibilità
evolutive.
Qualcosa del genere è stato osservato in gare di maratona. In genere, dopo aver superato la fase più critica della gara,
quando mancano pochi chilometri al traguardo, alcuni di essi sperimentano una sorta di euforia definita endorphin
high o runner’s high (euforia del fondista), che li spinge a impegnarsi oltre le loro effettive possibilità, con esiti a volte
favorevoli, ma, solitamente, negativi; in altri termini, scoppiano prima della fine della gara.
L’interesse è stato sollecitato in seguito alla scoperta di un gruppo di sostanze chimiche endogene chiamate endorfine.
L'esercizio fisico provoca un significativo incremento nella quantità di endorfine rilasciate dalla ghiandola pituitaria ed
immesse nel torrente sanguigno.
La conseguenza di uno stato di superallenamento è dunque una stasi (staleness) nella performance o, peggio un suo
drammatico decremento (slump), che conduce, inevitabilmente, ad un declino della motivazione e della confidence
(fiducia nei propri mezzi).
Accanto agli interventi classici messi in atto dagli allenatori avveduti (sospensione dell’allenamento per i tempi
necessari al pieno ricupero) può essere previsto un intervento teso a distogliere l’atleta dalle preoccupazioni e
dall’ansia della gara imminente, tramite tecniche di rilassamento, di ristrutturazione cognitiva dell’evento e di ricupero
della confidence.
3.8 Ansia
Può essere un effetto dello stress (talvolta ne è causa). È stata operata una distinzione tra la sua componente mentale
(ansia cognitiva o preoccupazione) e quella corporea (ansia somatica o fisiologica), anche se queste due componenti
sono state considerate come correlate in un unico costrutto.
L’ipotesi fondamentale su cui si basa la Teoria multidimensionale è che gli atleti ottengono la loro migliore prestazione
quando fanno registrare:
1. un basso livello di ansia cognitiva,
2. un alto livello di self-confidence,
3. un moderato livello di ansia somatica (o fisiologica).
Le ricerche, però, anche nel caso di questa teoria, non hanno fornito i riscontri attesi.
In altri termini, la teoria afferma che l’atleta di alto livello:
1. può utilizzare alti livelli di ansia cognitiva per migliorare la prestazione ammesso che sia in grado di controllare
l’arousal che l’accompagna;
2. la self-confidence è relativamente indipendente dall’ansia cognitiva, ma può preservare l’atleta dai suoi effetti
deleteri sulla prestazione;
3. la percezione del controllo (su di sé) può essere una variabile cruciale per capire quando un atleta
“smobiliterà” e quando accuserà scadimenti nella sua prestazione. A questo punto deve essere operata una
riduzione consistente del livello di arousal molto indietro rispetto al punto in cui si era verificato il decremento
(e quindi ad un livello di prestazione basso) per poter gradualmente riprendere il processo di incremento della
prestazione stessa.
3.9 Adrenalina
Innalzando il livello di attivazione, l’atleta innescherebbe dunque un meccanismo che lo predispone all’azione, in uno
stato di allerta, di predisposizione e prontezza a rispondere, favorito dalle secrezioni ormonali (adrenaline rush) di cui
le emozioni rappresentano l’interpretazione soggettiva.
L’adrenalina è un ormone secreto dalla midollare del surrene, da cui il nome (dal latino: ad renal), che influisce su ogni
distretto del corpo, disponendolo alle reazioni di “attacco o fuga”:
1. stimola il rilascio, da parte del fegato, nel torrente sanguigno, del glicogeno (carburante per muscoli e cervello),
2. aumenta il flusso del sangue al cuore, al cervello e agli arti e provocando vasocostrizione negli organi addominali e
nella cute (affinché il sangue sia dirottato nei distretti dove serve nell’immediato, per l’attacco o per la fuga),
3. facendo diminuire la fatica,
4. favorendo la fluidificazione del sangue (e quindi il più rapido scorrimento),
5.facilitando il rilascio di sangue
6. la pupilla si dilata
7. aumenta la ventilazione polmonare, facilitando la dispersione del calore interno prodotto dall’incremento di attività,
soprattutto di quella muscolare.
Si tratta, in pratica, degli effetti della stimolazione della parte simpatica del sistema nervoso autonomo detta anche
adrenergica.
Ovviamente, c’è una continua interazione tra la parte più arcaica del nostro cervello (il cervello rettiliano), dove
risiedono le strutture responsabili delle elaborazioni delle informazioni che innescano le reazioni emotive, e la
corteccia cerebrale, la struttura più recente ed evoluta deputata alle operazioni logiche all’elaborazione delle
informazioni, alle decisioni e alla gestione del movimento.
Tuttavia le reazioni psicofisiologiche di allarme dell’organismo tipiche della paura scattano prima, e in maniera
autonoma, dell’attivazione delle zone più evolute del cervello. Ciò significa che la prima sensazione di paura è molto
più rapida di ogni nostro pensiero ed elaborazione mentale.
Ma è un meccanismo pericoloso, che può portare fuori del controllo della parte razionale della nostra mente, che, a
quel punto, ritiene di non poterlo più governare.
3.10 Paura e Coraggio
Sono quindi il rischio e la sua interpretazione (la paura), che innescherebbero il meccanismo di attivazione o arousal,
tramite l’innalzamento del livello di adrenalina circolante.
Sappiamo che, entro certi limiti e con ampie variazioni da sport a sport e da individuo ad individuo, l’innalzamento del
livello di adrenalina (reazione di paura) può favorire, tramite l’aumento del livello di attivazione, il sintonizzarsi con le
situazioni rischiose di gara.
Ma la paura non deve sopraffare l’atleta, altrimenti i pensieri negativi, che sono il correlato mentale di questa
emozione, creeranno un loop a feedback positivo (sempre più di prima) che provocheranno un esito paradossale:
accanto all’aumento di attivazione non si verifica un aumento della possibilità di prestazione, ma una progressiva
paralisi e impossibilità di qualsiasi iniziativa provocata dalla totale invasione della mente da parte dei pensieri negativi,
fino al blocco totale, al pánico più completo e invalidante.
La lezione più importante che l’uomo possa imparare in vita non è che al mondo esiste la paura, ma che dipende da
noi trarne profitto e che ci è consentito tramutarla in coraggio.
L’atleta deve allora sapere che:
1. la paura è un sentimento umano e fisiologico
2. può essere utile, entro certi limiti
3. va opportunamente gestita e, in qualche misura, stimolata
4. anche il suo avversario sta provando il medesimo sentimento
5. il suo vantaggio potrebbero consistere in questa consapevolezza (non è detto che il suo avversario sia stato
informato di questo fatto apparentemente banale),
6. non si deve aver paura di parlare della propria paura.
L’atleta può imparare a pensare positivo, a mettere in secondo piano i pensieri negativi, a rievocare le sensazioni di
flow, ma tutto questo è possibile a condizione che egli diventi parte attiva e si impegni nell’allenamento di queste
capacità, né più né meno di come si impegna a migliorare la tecnica, la forza, la resistenza, la velocità, etc.
In altri termini, può imparare l’ottimismo.
3.11 Lo stato di flow
E' il livello ottimale dell’energia psichica associato ad un adeguato livello di stress (il cosiddetto eustress o stress
positivo); il flow è caratterizzato da un arousal funzionale al raggiungimento dell’obiettivo sportivo.
Nello stato di flow l’attenzione è orientata sul compito, l’atleta non è disturbato dai propri pensieri poichè è
completamente assorbito dalla sua attività, ed infine l’atleta sente di controllare le proprie azioni.
Minimo livello di energia psichica
Massimo livello di energia psichica
IPER - ATTIVAZIONE
ATTIVAZIONE ADEGUATA
STATO DI FLOW
Benessere e concentrazione
Ansia e rabbia
Alto livello di stress
Minimo livello di energia psichica
IPO - ATTIVAZIONE
Noia e stanchezza
Alto livello di stress
Basso livello di stress
Minimo livello di energia psichica
IPO - ATTIVAZIONE
Rilassamento e sonnolenza
Basso livello di stress
Nel pugilato, nella scherma (e negli sport di opposizione individuali e di squadra, in genere) e nelle corse di velocità,
che sono sport basati prevalentemente su abilità aperte (open skill), è di solito necessario raggiungere un elevato
livello di attivazione.
Ricordo che anche l’allenatore può essere sottoposto a stress ed essere iper o ipo - attivato come i suoi atleti; si
renderà quindi necessario adottare delle strategie per abbassare o incrementare anche il livello di attivazione del
coach per permettergli una direzione accurata ed equilibrata durante la gara.
Un basso livello di arousal è necessario:
– prima di una tecnica di visualizzazione (il giorno prima della partita e in spogliatoio mezz’ora prima);
– quando risulta fondamentale un’ampia analisi percettiva per decidere e reagire in modo rapido (quando si
osservano gli spostamenti degli avversari, vale a dire nella maggior parte del tempo dei novanta minuti);
– quando si deve eseguire un movimento tecnico accurato (ad esempio prima di un calcio piazzato o durante la
messa a punto di una strategia di gara).
Un moderato livello di arousal è necessario:
– quando il calciatore si prepara ad un piazzato (compito di elevato impegno, alto dispendio energetico,
coordinazione fine dei movimenti e strategie complesse di percezione e decisione;
– uno stato di eccitazione eccessivo comprometterebbe la performance);
– nella durata del tempo della partita le migliori prestazioni si hanno con un moderato livello di ansia.
Un alto livello di arousal:
– può anche essere tollerato nelle attività più semplici e di minore precisione motoria (come nel passaggio da
una metà campo ad un’altra durante un’azione di contropiede avversario);
– può essere trasformato a proprio vantaggio da percezioni negative di ansia e rabbia ad eccitazione positiva e
piacevole.
Segnali tipici di una iper - attivazione:
- Ansietà
- Tensione e rigidità muscolare
- Aumento della frequenza cardiaca, respiro irregolare
- Affaticamento precoce
- Scarso controllo delle reazioni emotive (scatti di rabbia)
- Difficoltà di concentrazione e di attenzione
- Attenzione spostata su fattori distraenti
Strategie per abbassare il proprio livello di attivazione:
- Effettuare esercizi per mantenere bassa la frequenza
respiratoria (respirazione profonda e regolare)
- Esercizi di rilassamento muscolare (mezz’ora prima della
partita o durante le fasi più impegnative e stressanti)
- Esercizi di focalizzazione dell’attenzione
- Esercizi di deconcentrazione dai fattori distraenti
- Sviluppare un atteggiamento mentale positivo
Segnali tipici di una ipo - attivazione:
- Sensazione di mancanza di energia (spento, fiacco)
- Poca concentrazione (distrazione, indecisione)
- Troppa riduzione della tensione (mancanza di stimoli)
- Disinteresse e demotivazione
- Noia e pigrizia
- Incapacità anticipazione (manca tempismo nell'azione)
- Sensazione psichica di impotenza (è inutile tentare,
tanto non ce la faccio)
Strategie per aumentare il proprio livello di attivazione:
- Effettuare esercizi per mantenere alta la frequenza
respiratoria (respirazione rapida e frequente)
- Esercizi di mobilizzazione (prima della partita)
- Revisione mentale dei propri obiettivi e visualizzazione
dello schieramento degli avversari (prima partita)
- Linguaggio interno positivo
- Con l’uso della visualizzazione recuperare stati emotivi
positivi di esperienze passate
4.L’allenamento mentale degli atleti
4.1 Un approccio scientifico allo studio dell’uomo-atleta
Progettare l’intervento con l’atleta, da un punto di vista della metodologia di allenamento, vuol dire permettere
all’atleta stesso, e a chi si occupa di lui, di raggiungere un maggior grado di conoscenze e di consapevolezza
sull’esistenza di alcuni processi che determinano la realizzazione o il fallimento di una determinata performance, il
raggiungimento o l’abbandono di un determinato obiettivo agonistico.
4.2 Le componenti della comunicazione
La comunicazione deve tener presenti:
– La fonte cioè colui che emette il messaggio deve essere il più credibile possibile, tanto viene ritenuto più
esperto dell’argomento e degno di fiducia. Invece una argomentazione da una fonte poco credibile è in grado
di produrre quello che viene detto “sleeper effect”: influenza meno l’ascoltatore al momento, ma a distanza di
tempo produce lo stesso effetto di una fonte considerata credibile ed è ugualmente persuasivo.
– Il messaggio rappresenta la comunicazione. Il messaggio deve essere comprensibile, articolato in
argomentazioni certe che utilizzano domande retoriche e ripetizioni. Inoltre le ripetizioni sono utili quando
l’ascoltatore è disposto a pensare alle ragioni di ciò che viene detto, inoltre può anche accadere che quando
un messaggio viene ripetuto troppo spesso può provocare noia e portare al rifiuto degli argomenti.
4.3 Tecniche di rilassamento e d’immaginazione mentale.
Anxiety Management Training (AMT) è un altro metodo per sviluppare il controllo sulle reazioni di stress. Con questo
metodo, gli atleti sono allenati a riconoscere al loro apparire i segnali fisico-muscolari della tensione, attraverso l’uso
dell’imagery. Successivamente sono allenati al rilassamento muscolare profondo. Infine, il programma aumenta la loro
abilità a usare il metodo del rilassamento per eliminare le tensioni ogni volta che si manifestano.
La ripetizione visivo-motoria del comportamento (VMBR) è una tecnica di ripetizione immaginativa, è stato un metodo
utile per identificare che cosa capita in gara e per allenarsi, un atleta usa il VMBR per ripetere una gara allo scopo di
determinare quale sia stato l’errore, può anche correggere l’errore.
Questo tipo di ripetizione mentale può essere utilizzato per allenare la tecnica, per allenare la strategia, per allenare
l’approccio generale (e.g., essere aggressivi), per prepararsi molto bene alle parti difficili della gara allo scopo di
eseguire bene i movimenti, per costruire la fiducia, o anche solo per acquisire un senso di familiarità con la gara
avendola ripetuta mentalmente molte volte.
La riproduzione ideomotoria è migliore se la disponibilità alla rappresentazione mentale viene incrementata in
precedenza con metodi di rilassamento. Questo tipo di attività svolge tre funzioni:
– la prima è una funzione programmante l’azione motoria che si manifesta attraverso le ripetizioni effettuate;
– la seconda è rappresentata dalla funzione allenante, poiché favorisce il processo di perfezionamento e
stabilizzazione della prestazione;
– la terza è la funzione regolante che favorisce il processo di controllo e correzione dell’azione motoria.
Dunque l’intervento per l’allenamento delle abilità psicologiche, come quello di tutte le altre:
1. deve essere ritagliato sul singolo atleta;
2. anche all’interno di una singola disciplina ci possono essere delle situazioni in cui va favorito il processo di
attivazione ed altre in cui, invece, deve essere raggiunto l’obiettivo opposto;
3. le cose si complicano quando si debbano considerare più soggetti coinvolti nella performance, come nel caso
degli sport di o in squadra
4.4 Un possibile protocollo di intervento
Dopo una fase di approccio alle modalità individuali dell’atleta di affrontare l’evento agonistico e l’allenamento, si
procederà ad insegnare una tecnica di rilassamento.
Contemporaneamente, nello script (canovaccio) che descrive la sequenza di visualizzazione, inserisce più volte, due
parole chiave (trigger words) o parole innesco capaci di rievocare sensazioni relative a recenti esperienze agonistiche
molto positive, in cui l’atleta ha sperimentato la sensazione di essere in zona e che esprime con due aggettivi, tratti
dalle colonne 1 e 3 della seguente tabella.
Uno relativo all’ambito fisico e l’altro a quello più propriamente psicologico (ad esempio. “mi sento sciolto e tranquillo
…..…. sciolto e tranquillo”).
Come si può controllare nelle colonne 2 e 4 ci sono, esplicitate con aggettivi, le categorie di sensazioni rispettivamente
opposte all’essere in zona, col termine choking ossia sentirsi come soffocato o strozzato.
Trigger Words
Le parole chiave (trigger words), potranno riuscire a innescare quelle sensazioni che esse indicano e potranno essere
usate per autoindurre quegli stati d’animo, nei momenti immediatamente precedenti la gara, nelle brevi pause della
stessa (a gioco fermo), prima di riprendere le ostilità.
Al termine dell’apprendimento, infatti, l’atleta sarà capace di rievocare le sensazioni connesse ripetendosi
semplicemente le due trigger words.
4.5 Visualizzazione
Si insegnano le procedure di visualizzazione delle situazioni che si verificano immediatamente prima dell’evento
agonistico, alternando situazioni di focalizzazione ristretta ad altre in cui essa risulta più allargata.
L’allenamento alla concentrazione è eseguito inserendo la visualizzazione di fasi dell’evento agonistico in modo da
attivare (caricare) maggiormente l’atleta.
Si noti bene: è una carica positiva; si tratta di un’attivazione, un arousal e un’attenzione più focalizzati sulle necessità
della gara e, anche, sulle eventuali emergenze, che consentono una lettura più tempestiva della situazione ambientale
e di ciò che avviene nel proprio fisico, è una reattività sincronizzata sulle necessità dell’evento agonistico e che
permette di scacciare gli eventuali pensieri negativi.
Visualizzazione significa che l’atleta impara a vedere con gli occhi della mente, in maniera sempre più vivida e precisa,
fino a sperimentare la sensazione esaltante (tipica dello stato di flow) di vedere la scena in cui egli stesso è impegnato,
come se egli fosse una cinepresa che lo riprende mentre compie l’azione sportiva. Si può raffigurare (avviene a volte
nei sogni) come se potesse uscire dal proprio corpo e vederlo impegnato nell’azione.
A questo punto viene compilato lo script ossia uno sorta di canovaccio in cui vengono descritte sommariamente le
azioni che entreranno a far parte della.
4.6 La Personalità Vincente.
La personalità vincente è la percezione del rischio commisurata alle proprie capacità.
Va rilevato che la costruzione dello script concernente la visualizzazione di scene o elementi di gara va elaborato
insieme all’atleta e all’allenatore.
Esso ha la sola finalità di pilotare la concentrazione dell’atleta sull’imminente evento agonistico, evitando così, vale la
pena di ripeterlo, di farsi catturare dai pensieri negativi. In questa prospettiva non viene prestata attenzione agli aspetti
tecnici e tattici delle azioni.
Il livello di arousal e la concentrazione portati ai livelli ottimali per quell’atleta, gli conferiscono la carica necessaria per
affrontare la gara al meglio delle sue possibilità.
Soprattutto negli sport di situazione, e di combattimento in particolare, l’azione da svolgere dipende anche
dall’avversario. Non sempre si riesce ad imporre le proprie modalità. Altre volte ci si trova nella necessità di anticipare
o rispondere in maniera che non è sempre programmabile in anticipo.
Potrebbe risultare, quindi, anche controproducente, soprattutto in prospettiva tattica, che l’atleta possa intendere lo
script e la conseguente azione di visualizzazione come una sorta di binario capace di guidarlo nella conduzione della
gara. Non è lo scopo dello script, di suggerire la modalità di esecuzione dei fondamentali e delle azioni tecniche, né,
tanto meno, di tattiche di gioco o di opposizione.
Con l’applicazione della tecnica di visualizzazione, prima della gara, l’atleta raggiungerà dunque il solo scopo di attivarsi
al suo giusto livello, per la migliore riuscita della sua performance.
4.7 Automatizzazione vs Automatismo
I gesti sportivi vengono eseguiti “in automatico”: se l’atleta si sofferma a pensare a ciò che sta facendo facilmente si
perde il tempo, il ritmo, la tempestività e quindi l’efficacia dell’azione.
I gesti sportivi vengono eseguiti in automatico (ma non sono automatici) quando diventano un’abitudine motoria
perfezionata (automatizzazione e non automatismo). I riflessi, invece, sono automatici, innati e perciò non modificabili.
Il gesto sportivo automatizzato consente di rispondere in meno di 200 millesimi di secondo, ma, a differenza degli atti
automatici (riflessi), in esso la volontà è sempre vigile e può intervenire a modificare o interrompere l’azione.
Per realizzare la migliore performance è però necessario programmare attentamente un allenamento che tiene conto,
oltre che delle ripetizioni delle routine per consolidare le abitudini motorie e per incrementare le capacità fisiche,
anche delle possibilità attuali dell’atleta e delle sue prospettive di sviluppo fisico, tecnico e mentale.
Si deve inoltre considerare che l’apprendimento e il perfezionamento di una singola abilità non possono essere
interrotti, né considerarsi terminati, in una fase breve, sia che si tratti di abilità tecniche, tattiche, di quelle cosiddette
fisiche che di quelle mentali (che sono anche fisiche).
Non è, altresì, opportuno trascurarne alcune o rimandarne l’apprendimento e il perfezionamento al momento in cui
l’atleta si trova al vertice della sua carriera agonistica.
Il successo nell’ambito dello sport, infatti, è, sempre di più, il risultato dell’ottimizzazione di tutte le procedure di
insegnamento, apprendimento e allenamento.