Omaggio a William Shakespeare,Omaggio a Pier Paolo Pasolini

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Omaggio a William Shakespeare,Omaggio a Pier Paolo Pasolini
Omaggio a William Shakespeare
L’INVENTORE DELL’UMANO
Così diceva di lui Harold Bloom:
“Falstaff, Shylock, Iago, Lear,
Macbeth, Cleopatra sono
l’invenzione dell’umano,
l’inaugurazione della
personalità come siamo
abituati a conoscerla. (…) La
personalità come la intendiamo
noi è un’invenzione
shakesperiana e non rappresenta solo la maggiore originalità
del drammaturgo, ma anche la vera causa della sua perenne
pervasività.”
E ancora: “Shakespeare è importante
perché nessun altro ci regala così
tanti io, più grandi e più
comprensibili del nostro migliore amico
o della persona amata. Non penso che
ciò faccia di Shakespeare un surrogato
della vita, ma è questa piuttosto a
essere un surrogato insufficiente di
Shakespeare.”
Dunque Shakespeare ha inventato tutte
le personalità più significative, prima
di lui non esistevano, dopo di lui sono state solo imitate.
Così invece di insistere sull’oziosa questione della paternità
delle sue opere (perché al nome di Shakespeare ormai non
corrisponde più un autore ma un canone) credo sia molto più
opportuno dar voce a quelle memorabili personalità che hanno
definito già 400 anni fa la vera natura dell’umano.
1.
AND BRUTUS IS AN HONOURABLE MAN
L’orazione funebre di Antonio è
un capolavoro di eloquenza
retorica. Allude al contrario di
quello che afferma, nega di
voler dire dicendo e ribalta i
sentimenti del popolo. Dopo il
discorso di Bruto che dichiara
sul suo onore di aver ucciso Cesare perché era ambizioso
Antonio ripete più volte che Bruto è un uomo d’onore ma porta
vari esempi in cui Cesare è stato tutt’altro che ambizioso,
testimoniando dunque il contrario. Poi tira fuori a sorpresa
il testamento di Cesare rifiutandosi di rivelare il contenuto
per non esaltare i romani, ma poi dice “meglio che non
sappiate che Cesare vi ha nominati suoi eredi, perché se lo
sapeste sarebbe il finimondo!” Infine si dichiara incapace di
parlare al popolo, mentre sta facendo un grandissimo discorso,
e aggiunge che ci vorrebbe uno bravo come Bruto per infiammare
gli animi, mentre lo sta facendo lui. E con la massima
reticenza spinge il popolo alla rivolta.
Mentre nel cinema il Marc’Antonio più statuario rimane forse
quello di Marlon Brando.
ANTONIO
Cari amici, dolci amici, non vorrei io mai spingervi
a un tale uragano di ribellione.
Quelli che questa azione commisero, son uomini d’onore;
da quali privati rancori siano stati mossi a compierla, ahimè,
non so,
ma so che sono saggi e uomini d’onore,
e, senza dubbio, avranno una risposta per voi, che li
giustifichi.
Io non sono venuto, cari amici, con la pretesa di rapirvi il
cuore.
Non sono un buon oratore come Bruto, io;
sono quale mi conoscete tutti, un tipo semplice e naturale
che adorava il suo amico: e lo sanno benissimo coloro
che mi hanno dato il beneplacito a parlare in pubblico di lui.
Io non ho né l’acume, ne la parola, né il talento,
né il gesto, né l’eloquio che scalda il sangue di chi
l’ascolta;
io parlo come viene, e dico cose che voi stessi sapete;
vi mostro le ferite del nostro amato Cesare –
povere, povere bocche mute! Lasciando che parlino per me;
ma se io fossi Bruto, e Bruto Antonio,
qui ci sarebbe ora un Antonio
capace di infiammarvi gli animi e dare una lingua
a ciascuna ferita di Cesare, da spingere anche le pietre
di questa Roma a ribellarsi e a insorgere.
ANTHONY
Good friends, sweet friends, let me not stir you up
To such a sudden flood of mutiny.
They that have done this deed are honourable:
What private griefs they have, alas, I know not,
That made them do it: they are wise and honourable,
And will, no doubt, with reasons answer you.
I come not, friends, to steal away your hearts:
I am no orator, as Brutus is;
But, as you know me all, a plain blunt man,
That love my friend; and that they know full well
That gave me public leave to speak of him:
For I have neither wit, nor words, nor worth,
Action, nor utterance, nor the power of speech,
To stir men’s blood: I only speak right on;
I tell you that which you yourselves do know;
Show you sweet Caesar’s wounds, poor poor dumb mouths,
And bid them speak for me: but were I Brutus,
And Brutus Antony, there were an Antony
Would ruffle up your spirits and put a tongue
In every wound of Caesar that should move
The stones of Rome to rise and mutiny.
2. LIFE’S BUT A WALKING SHADOW
La riflessione più vertiginosa, sconsolata, inappellabile
sull’esistenza umana. Quella che personalmente mi soddisfa di
più. Mentre le inverosimili profezie delle streghe si stanno
per avverare e la Lady soccombe ai suoi fantasmi in preda al
sonnambulismo Macbeth, poco prima della fine, pronuncia queste
parole con una levità assoluta e un nichilismo supremo, due
secoli e mezzo prima di Nietzsche.
E il Macbeth più austero, barbaro, primitivo lo porta sullo
schermo Orson Welles.
MACBETH
Domani, e domani, e ancora domani,
così, a piccoli passi, striscia giorno dopo giorno,
fino all’ultima sillaba scritta nel libro del tempo;
e tutti i nostri ieri hanno illuminato a dei pazzi
il cammino verso la polvere della morte.
Spengiti, spengiti, breve candela!
La vita è solo un’ombra che cammina,
un povero commediante che si pavoneggia e si agita
per un’ora sulla scena e poi non se ne sa più niente;
è una storia raccontata da un’idiota, piena di clamore e di
furia,
che non significa nulla.
MACBETH
To-morrow, and to-morrow, and to-morrow,
Creeps in this petty pace from day to day
To the last syllable of recorded time,
And all our yesterdays have lighted fools
The way to dusty death. Out, out, brief candle!
Life’s but a walking shadow, a poor player
That struts and frets his hour upon the stage
And then is heard no more: it is a tale
Told by an idiot, full of sound and fury,
Signifying nothing.
3. MY KINGDOM FOR A HORSE!
Come si può non amare Riccardo?
Un genio assoluto. Del male, ma
pur sempre un genio. E con le
sue buone ragioni. Deforme,
storpio, imperfetto, non potendo
intrattenersi con i piaceri del
suo tempo decide di essere
malvagio e di ordire intrighi e
calunnie per scatenare un odio mortale tra il re e i suoi
eredi. Con astuzia diabolica manda a morte il fratello
maggiore, poi uccide il principe di Galles e ne sposa la
vedova, fa fuori tutti i nobili pari che si frappongono tra
lui e il trono, morto il re fa uccidere il giovanissimo erede
con il suo fratellino, infine incoronato ripudia la moglie e
progetta di sposare la nipote di Elisabetta, non risparmiando
di uccidere anche il suo più fedele alleato. Soccombe solo al
suo inconscio, quando la notte prima dell’ultima battaglia
tutti gli spettri delle sue vittime gli appaiono in sogno
rinfacciandogli le sue scelleratezze. Solo allora vacilla e si
confonde. E un memorabile Ian Mc Kellen lo interpreta nei
panni di un gerarca nazista nell’Inghilterra degli anni
trenta.
RICCARDO III
Datemi un altro cavallo! Fasciatemi le ferite!
Gesù, abbi pietà! Calma, Riccardo, è stato solo un sogno…
Ah, vil coscienza, come mi tormenti!…
Le luci sono azzurre: è l’ora morta della mezzanotte…
Sento un sudor gelido per tutto il corpo e tremo di paura…
Di che cosa ho paura? Di me stesso? Non c’è nessuno qui oltre
me.
Perciò di chi ho paura? Riccardo ama Riccardo, io son io.
C’è forse un assassino qui? No… Sì, sono io!
Fuggire, allora? Ma da chi? Da me stesso? Perché dovrei
fuggire?
Per non fare vendetta su me stesso? Ne avrei grande ragione…
Io su me stesso? Ahimè, amo me stesso! Perché?
Forse per qualche buona azione fatta da me a me stesso…
Oh, no, ahimè, io lo odio, semmai, questo me stesso
per i crimini odiosi che ho commesso.
Sono uno scellerato… eppure no, io mento a me stesso, non lo
sono…
Stolto, non parlar male di te stesso!
Stolto, non incensar troppo te stesso!
La mia coscienza in bocca ha mille lingue
e ciascuna ha una storia da narrare,
e ogni storia mi bolla da furfante. E spergiuro.
Spergiuro oltre ogni limite. Assassino; crudele oltre ogni
limite.
Tutti i peccati miei, perpetrati da me oltre ogni limite
s’affollano alla sbarra e gridano: “Colpevole, colpevole!”
Mi resta solo la disperazione. Non c’è chi m’ami al mondo,
e se muoio, nessuna anima viva avrà pietà di me.
Perché, del resto, ne dovrebbe avere, se sono io stesso
a non trovare mai in fondo all’anima alcuna pietà verso me
stesso?
M’è parso nel sogno come se tutte le anime di coloro che ho
assassinato
fossero convenute alla mia tenda e ognuno minacciasse per
domani
vendetta sulla testa di Riccardo.
RICHARD III
Give me another horse: bind up my wounds.
Have mercy, Jesu!–Soft! I did but dream.
O coward conscience, how dost thou afflict me!
The lights burn blue. It is now dead midnight.
Cold fearful drops stand on my trembling flesh.
What do I fear? myself? there’s none else by:
Richard loves Richard; that is, I am I.
Is there a murderer here? No. Yes, I am:
Then fly. What, from myself? Great reason why:
Lest I revenge. What, myself upon myself?
Alack. I love myself. Wherefore? for any good
That I myself have done unto myself?
O, no! alas, I rather hate myself
For hateful deeds committed by myself!
I am a villain: yet I lie. I am not.
Fool, of thyself speak well: fool, do not flatter.
My conscience hath a thousand several tongues,
And every tongue brings in a several tale,
And every tale condemns me for a villain.
Perjury, perjury, in the high’st degree
Murder, stem murder, in the direst degree;
All several sins, all used in each degree,
Throng to the bar, crying all, Guilty! guilty!
I shall despair. There is no creature loves me;
And if I die, no soul shall pity me:
Nay, wherefore should they, since that I myself
Find in myself no pity to myself?
Methought the souls of all that I had murder’d
Came to my tent; and every one did threat
To-morrow’s vengeance on the head of Richard.
4. I’LL DROWN MY BOOK
Vorrei qui ricordare l’opera del
Bardo che in assoluto amo di
più, perché è ambientata su
un’isola, è originata da una
tempesta e un naufragio consente
di risolvere tutti i nodi del
dramma. E poi perché ci sono
spiriti, mostri, incantesimi,
magie cui Prospero solo alla fine rinuncia, quando ha
ristabilito la giustizia e riconquistato ciò che gli era stato
usurpato. Quello che segue è il suo lirico addio alle arti
magiche di cui si era servito per sopravvivere all’insulto
dell’esilio.
Ed è una regista donna, Julie Taymor, a dirigere per il cinema
“La tempesta” più visionaria, ed è sempre un’attrice donna,
Helen Mirren, a interpretare un’originalissima Prospera.
PROSPERO
Elfi delle colline, dei ruscelli,
dei tersi e placidi laghi, dei boschi;
e voi che lungo le sabbiose rive
su cui non lascia orma il vostro piede
vi divertite ad inseguire il flutto
che si ritrae, e quando rifluisce
a scansarlo, fuggendo via da esso;
voi, gnomi, che al chiarore della luna
tracciate verdi cerchi d’erba amara,
che i greggi si rifiutan di brucare;
e voi, cui solo piace divertirsi
a far spuntare i funghi a mezza notte,
e che gioite quando dalle torri
udite batter l’ora della sera,
io fino ad oggi con il vostro aiuto
(per deboli artigiani che voi siate),
ho potuto abbuiare il gran meriggio,
stanar dagli antri i riottosi venti,
e scatenarli ovunque, in mare e in terra,
destar di colpo strepitosa guerra
tra il verde mare e il ceruleo cielo,
accendere del fragoroso tuono
le paurose fulminee saette,
e con esse spaccar di Giove stesso
la salda quercia, scrollar dalla base
il monte che nel mare si protende,
strappar dalle radici il cedro e il pino.
Le tombe hanno svegliato, al mio comando,
i lor dormienti, aperti i lor coperchi,
e li han lasciati uscire,
sì potente si dimostrò finora
la mia magica arte.
Ma ora all’esercizio di tale arte
io faccio abiura, null’altro chiedendo,
come ultimo servizio, che produrmi
qualche istante di musica celeste
perch’io possa raggiungere il mio scopo
d’agire sovra i sensi di coloro
cui questo aereo incanto è destinato;
poi spezzerò questa mia verga magica,
e la seppellirò ben sottoterra
e in mare scaglierò tutti i miei libri,
che vadano a sommergersi più in fondo
di quanto mai sia sceso uno scandaglio.
PROSPERO
Ye elves of hills, brooks, standing lakes and groves,
And ye that on the sands with printless foot
Do chase the ebbing Neptune and do fly him
When he comes back; you demi-puppets that
By moonshine do the green sour ringlets make,
Whereof the ewe not bites, and you whose pastime
Is to make midnight mushrooms, that rejoice
To hear the solemn curfew; by whose aid,
Weak masters though ye be, I have bedimm’d
The noontide sun, call’d forth the mutinous winds,
And ‘twixt the green sea and the azured vault
Set roaring war: to the dread rattling thunder
Have I given fire and rifted Jove’s stout oak
With his own bolt; the strong-based promontory
Have I made shake and by the spurs pluck’d up
The pine and cedar: graves at my command
Have waked their sleepers, oped, and let ‘em forth
By my so potent art. But this rough magic
I here abjure, and, when I have required
Some heavenly music, which even now I do,
To work mine end upon their senses that
This airy charm is for, I’ll break my staff,
Bury it certain fathoms in the earth,
And deeper than did ever plummet sound
I’ll drown my book.
5. I AM THE SEA… I THE EARTH
Questa la storia: Tito, generale
romano,
sacrifica
Alarbo,
primogenito di Tamora regina dei
Goti. Questa fa violentare e
mutilare Lavinia, figlia di
Tito, dagli altri suoi due
figli. Aaron, il suo amante,
rapisce i figli di Tito e chiede
in cambio una mano del generale. Avutala la restituisce con le
teste mozzate dei due ragazzi. Tito a sua volta rapisce i
figli di Tamora, li sgozza come vitelli, ne fa un impasto e lo
offre a un banchetto alla stessa madre. Poi uccide la figlia
Lavinia, per non farla sopravvivere al suo orribile scempio, e
accoltella Tamora dopo averle rivelato la natura del suo
pasto. L’imperatore Saturnino, sposo di questa, a sua volta lo
trafigge e poi soccombe per mano di Lucio, primogenito di
Tito.
Questo popo’ di tragedia Shakespeare l’ha scritta a soli
venticinque anni. Roba che alla sua età al massimo io scrivevo
poesiole amorose e raccontini bizzarri… Quello che segue è lo
struggente lamento di Tito di fronte alle teste mozzate dei
figli e al corpo violato di Lavinia.
Ed è sempre Julie Taymor a portare sullo schermo un
potentissimo Titus, ambientato all’Eur in una versione moderna
con uno spietato Anthony Hopkins.
TITO ANDRONICO
Se ci fosse ragione a tanti orrori,
potrei allora contener l’angoscia
ed il lamento. Quando piange il cielo,
non straripa la terra?
Quando infuriano i venti,
non impazzisce il mare,
fino a insultare la volta del cielo
con la faccia rigonfia? E tu, fratello,
vorresti che ci fosse una ragione
a un tale pandemonio di passioni?
Io sono il mare: ascolta
come soffiano forti i suoi sospiri.
Ella è del cielo la piangente volta,
io la terra; il mio mare
deve perciò sconvolgersi per forza
con il vento dei suoi sospiri: ed io,
farmi diluvio, inondato e sommerso
delle incessanti lacrime di lei.
Le mie viscere non riescon più
a contenere questo suo dolore,
e perciò son costretto a vomitarlo
come ubriaco. Fammelo sfogare.
A chi è sconfitto dev’esser concesso
di sgravarsi lo stomaco
rigettando l’amaro dalla bocca.
TITUS ANDRONICUS
If there were reason for these miseries,
Then into limits could I bind my woes:
When heaven doth weep, doth not the earth o’erflow?
If the winds rage, doth not the sea wax mad,
Threatening the welkin with his big-swoln face?
And wilt thou have a reason for this coil?
I am the sea; hark, how her sighs do blow!
She is the weeping welkin, I the earth:
Then must my sea be moved with her sighs;
Then must my earth with her continual tears
Become a deluge, overflow’d and drown’d;
For why my bowels cannot hide her woes,
But like a drunkard must I vomit them.
Then give me leave, for losers will have leave
To ease their stomachs with their bitter tongues.
6. ALAS, POOR YORICK!
Diamo a Cesare quel che è di
Cesare e a Amleto quel che è di
Amleto. E mettiamo una volta per
tutte
nelle
sue
mani
il
teschio di Yorick non quando
pronuncia
il
monologo
dell’essere o non essere (semmai
ha
uno
stiletto
con
cui
vagheggia di uccidersi), ma quando pronuncia presso la fossa
di Ofelia, ancora ignaro a chi sia destinata, un altro
stupendo monologo sulla caducità della vita e la vacuità
dell’apparenza.
E Kenneth Branagh, nella sua versione integrale di quattr’ore,
realizza un bellissimo flashback su Amleto bambino che gioca a
cavalcioni del suo amato buffone.
AMLETO
Ahimè, povero Yorick!…
Quest’uomo io l’ho conosciuto, Orazio,
un giovanotto d’arguzia infinita
e d’una fantasia impareggiabile.
Mi portò molte volte a cavalluccio…
E ora come lo aborre la mia immaginazione!
Lo stomaco mi si rovescia…
Ecco, vedi, da qui pendevano le labbra
che gli ho baciato non so quante volte…
E dove sono adesso i tuoi sberleffi,
le burle, le capriole, le canzoni,
i folgoranti sprazzi d’allegria
cui faceva eco l’intera tavolata?…
Chi si fa più beffa ora del tuo sogghigno,
con questa tua smorfia? È umiliante.
Va, va’ ora così, nella camera della mia dama
e dille che ha un bel mettersi sul viso
un dito di belletto: a questo aspetto
deve ridursi anch’ella, fatalmente.
Che se la prenda a ridere,
dunque, se ci riesce…
HAMLET
Alas, poor Yorick! I knew him, Horatio:
a fellow of infinite jest, of most excellent fancy:
he hath borne me on his back a thousand times;
and now, how abhorred in my imagination it is!
my gorge rims at it. Here hung those lips
that I have kissed I know not how oft.
Where be your gibes now? Your gambols?
your songs? your flashes of merriment,
that were wont to set the table on a roar?
Not one now, to mock your own grinning?
Quite chap-fallen? Now get you to my lady’s chamber,
and tell her, let her paint an inch thick,
to this favour she must come;
make her laugh at that.
7. I AM NOT WHAT I AM
Iago
è
forse
il
villain
shakesperiano più malvagio. Non
è un pluriomicida come Macbeth o
Riccardo III, ma è più cattivo.
Non è ossessionato dalla brama
di potere, ma da passioni molto
più comuni come l’invidia e la
gelosia. Non è ambizioso,
piuttosto si direbbe oggi con un termine attuale che è un
“rosicone”. È invidioso di Cassio, perché è stato eletto
luogotenente al posto suo. È geloso di Otello, perché crede
gli abbia sedotto la moglie. È un meschino, un mediocre, non
ha alcuna velleità, ma la sua grandezza è nel piano di
vendetta. Perfetto, assoluto, impeccabile. Va avanti come un
treno, senza tradire mai alcuna fragilità (come accade agli
altri cattivi), e non sbaglia un colpo, centrando appieno il
suo obiettivo e facendosi credere ciò che non è. Ma quello che
lo rende incommensurabile è che sopravvive alla tragedia,
l’unico personaggio tragico ad assistere allo sfacelo
provocato dalla sua malvagità e a subire una pena diversa
dalla propria morte.
Oliver Parker dà la parte di Otello a un vero negro (Lawrence
Fishburne) e quella di Iago a un superbo Kenneth Branagh, la
cui interpretazione mefistofelica vale la pellicola.
IAGO
Che Cassio sia di lei innamorato, ne son convinto.
Ch’ella lo ricambi, è consonante, assai verosimile.
Il Moro, pur s’io non so sopportarlo,
è di natura nobile, costante, affettuosa,
e so già che per Desdemona
si scoprirà un carissimo marito.
Ma debbo confessare che anch’io l’amo,
e non per pura e semplice lussuria,
benché mi debba riconoscer reo d’un non minor peccato,
ma a ciò spinto in parte per saziar la mia vendetta;
perché sospetto che l’ingordo Moro
sia montato a inforcare la mia sella:
un pensiero che mi corrode dentro come un veleno,
e a placare il quale altro non so che dargli il contraccambio
a pareggiar con lui moglie per moglie;
o, se ciò non dovesse riuscirmi, iniettargli nell’animo
una dose talmente virulenta di gelosia,
che la ragione sua non basti più a curare.
E a tal fine se questo straccio d’uomo
che mi porto al guinzaglio da Venezia per frenarlo
nell’affannosa caccia, mi regge la battuta,
questo Cassio l’avrò completamente in mio potere
e lo diffamerò davanti al Moro
nel modo più garbato e suadente
(tra l’altro, ho il sospetto che anche Cassio
abbia indossato la mia papalina),
fino a ottener che il Moro, a conclusione, mi ringrazi,
mi prenda in simpatia e mi compensi
per averlo fatto un alto e rispettabile somaro,
e per avergli tolto pace e quiete fino a ridurlo pazzo.
Ecco, se pur ancora un po’ confusa, la mia trama.
Ma la ribalderia mai non discopre la sua vera faccia
avanti ch’essa sia messa ad effetto.
IAGO
That Cassio loves her, I do well believe it;
That she loves him, ‘tis apt and of great credit:
The Moor, howbeit that I endure him not,
Is of a constant, loving, noble nature,
And I dare think he’ll prove to Desdemona
A most dear husband. Now, I do love her too;
Not out of absolute lust, though peradventure
I stand accountant for as great a sin,
But partly led to diet my revenge,
For that I do suspect the lusty Moor
Hath leap’d into my seat; the thought whereof
Doth, like a poisonous mineral, gnaw my inwards;
And nothing can or shall content my soul
Till I am even’d with him, wife for wife,
Or failing so, yet that I put the Moor
At least into a jealousy so strong
That judgment cannot cure. Which thing to do,
If this poor trash of Venice, whom I trash
For his quick hunting, stand the putting on,
I’ll have our Michael Cassio on the hip,
Abuse him to the Moor in the rank garb–
For I fear Cassio with my night-cap too–
Make the Moor thank me, love me and reward me.
For making him egregiously an ass
And practising upon his peace and quiet
Even to madness. ‘Tis here, but yet confused:
Knavery’s plain face is never seen tin used.
8. I AM FIRE AND AIR
Si
sa,
i
personaggi
femminili
di
Shakespeare non hanno la stessa statura
di quelli maschili. Anche perché fanno
tutti delle finacce. Desdemona viene
soffocata, Ofelia impazzisce e annega,
Lady Macbeth soccombe ai propri incubi,
Cordelia, figlia di Lear, viene
impiccata e le sue sorelle avvelenate,
Tamora è accoltellata, Giulietta si
trafigge. Non che gli uomini facciano
migliori fini, ma almeno muoiono in
battaglia, o a duello, o di mano propria. L’unica che può
tenere testa a questi è Cleopatra, non foss’altro perché
almeno decide lei quando farla finita. Eppure il suo strazio
più grande non si leva quando si lascia mordere dai suoi
aspidi, ma quando piange Antonio che le spira tra le braccia
dopo essersi trafitto a morte.
E tutta la sua raggelante maestosità non può che specchiarsi
negli occhi viola di Liz Taylor.
CLEOPATRA
Non più regina… una comune donna
guidata dai meschini sentimenti
della ragazza che munge la vacca
e attende alle più umili mansioni.
Mi verrebbe la voglia di scagliare
contro gli dèi maligni questo mio scettro,
e gridar loro alto che questo nostro mondo
poteva stare alla pari del loro,
prima che ne rapissero il gioiello.
Adesso tutto è nient’altro che nulla.
La pazienza è da sciocchi,
la rivolta ti fa cane rabbioso.
E allora chi può dire che è sacrilegio
Irrompere nell’oscura dimora della morte,
prima che sia la morte a visitarci?
Che dite, donne mie?… Su, su, coraggio!
Su, Carmiana, mia nobile fanciulla!
Ah, donne, donne, guardate: ecco,
la nostra lampada s’è spenta, non c’è più!
Fatevi cuore, creature mie,
andiamo a seppellirlo;
poi compiremo, all’uso dei Romani,
tutto quello che è nobile e degno,
per indurre la morte
a essere orgogliosa di ghermirci.
Su, la spoglia di questo grande spirito
è ormai irrigidita. Ah, donne, donne!
Venite. Non ci restano altri amici
che la nostra decisa volontà
di finirla nel modo più sollecito.
CLEOPATRA
No more, but e’en a woman, and commanded
By such poor passion as the maid that milks
And does the meanest chares. It were for me
To throw my sceptre at the injurious gods;
To tell them that this world did equal theirs
Till they had stol’n our jewel. All’s but naught;
Patience is scottish, and impatience does
Become a dog that’s mad: then is it sin
To rush into the secret house of death,
Ere death dare come to us? How do you, women?
What, what! good cheer! Why, how now, Charmian!
My noble girls! Ah, women, women, look,
Our lamp is spent, it’s out! Good sirs, take heart:
We’ll bury him; and then, what’s brave,
what’s noble,
Let’s do it after the high Roman fashion,
And make death proud to take us. Come, away:
This case of that huge spirit now is cold:
Ah, women, women! come; we have no friend
But resolution, and the briefest end.
9. I AM A FOOL, THOU ART NOTHING
Di pazzi in Shakespeare ce ne
sono tanti. C’è chi impazzisce
sul serio come Lear e Ofelia,
chi si finge pazzo come Amleto e
Edgar, chi lo fa per mestiere
come
i
buffoni
Feste
e
Touchstone. Ma il più grande di
tutti rimane il Fool di re Lear.
Non è solo la voce della verità
e della coscienza che mette il
re di fronte a tutta la sua
insensatezza, ma è anche un
profeta che predice il destino attraverso apparenti
controsensi. Infatti prima di eclissarsi per lasciar spazio a
Lear impazzito e a Edgar finto pazzo il Fool profetizza che
quando un mondo corrotto e degenere si rovescerà in un mondo
giusto e sensato tutto cadrà in grande confusione, dove però
regnerà l’assoluta normalità, tanto che saranno i piedi a
servire a camminare.
E un magnifico Ian McKellen dà vita sullo schermo a un re Lear
così contrastato e paradossale da “tener testa” al suo Matto.
FOOL
Quando i preti faranno più parole che fatti;
quando i birrai guasteranno la birra con l’acqua;
quando i nobili insegneranno ai sarti,
e non gli eretici prenderanno fuoco,
ma i galanti che seguon le ragazze;
quando ogni sentenza della legge sarà giusta,
non vi saranno scudieri indebitati
né cavalieri poveri;
quando sulle lingue non spunteranno calunnie
né tra le folle s’infileranno i tagliaborse;
quando gli usurai conteranno l’oro all’aperto,
e ruffiane e puttane erigeranno chiese;
allora il regno d’Albione
cadrà in grande confusione;
allora verrà quel tempo,
chi vivrà per vederlo,
che i piedi serviranno a camminare.
Questa profezia farà il mago Merlino,
perché io vivo prima del suo tempo.
FOOL
When priests are more in word than matter,
When brewers mar their malt with water;
When nobles are their tailors’ tutors;
No heretics burn’d, but wenches’ suitors;
When every case in law is right;
No squire in debt, nor no poor knight;
When slanders do not live in tongues;
Nor cutpurses come not to throngs;
When usurers tell their gold i’ the field;
And bawds and whores do churches build;
Then shall the realm of Albion
Come to great confusion:
Then comes the time, who lives to see’t
That going shall be us’d with feet.
This prophecy Merlin shall make;
for I live before his time.
10. I AM AN HONEST PUCK
Ormai giunti fin qui per la
verità non mi resta che chieder
perdono a Shylock, a Fastaff, a
Enrico V, ma soprattutto a tanti
personaggi delle commedie, come
la bisbetica Caterina, la bella
Rosalinda, l’astuta Viola, per
non dire di Don Pedro e Don
Giovanni, cui avrei voluto
dedicare altrettanti pezzi e rimandi cinematografici. Ma il
Bardo ha pensato bene di morire oggi e dopo tante tragedie
voglio salutarlo con allegria, ricordando la sua commedia più
onirica e fantastica. Quel “Sogno” in cui la regina delle fate
si innamora di un somaro, gli spasimanti di una bella ragazza
perdono entrambi la testa per la sua amica bruttina, e un
gruppo di artigiani mette in scena una tragedia facendola
diventare una farsa. Lascio dunque a Puck, folletto del re
delle fate, chiudere il mio omaggio, quasi fosse stato tutto
un sogno…
E stavolta scelgo la versione cinematografica di Michael
Hoffman perché tutta ambientata in Italia, tra Caprarola,
Bomarzo, Montepulciano e Boboli, luoghi magici come il Sogno
del Bardo.
PUCK
Se noi ombre vi siamo dispiaciuti,
immaginate come se veduti
ci aveste in sogno, e come una visione
di fantasia la nostra apparizione.
Se vana e insulsa è stata la vicenda,
gentile pubblico, faremo ammenda;
con la vostra benevola clemenza,
rimedieremo alla nostra insipienza.
E, parola di Puck, spirito onesto,
se per fortuna a noi càpiti questo,
che possiamo sfuggir, indegnamente,
alla lingua forcuta del serpente,
ammenda vi farem senza ritardo
o tacciatemi pure da bugiardo.
A tutti buonanotte dico intanto,
finito è lo spettacolo e l’incanto.
Signori, addio, batteteci le mani,
e Robin v’assicura che domani
migliorerà della sua parte il canto.
PUCK
If we shadows have offended,
Think but this, and all is mended,
That you have but slumber’d here
While these visions did appear.
And this weak and idle theme,
No more yielding but a dream,
Gentles, do not reprehend:
if you pardon, we will mend:
And, as I am an honest Puck,
If we have unearned luck
Now to ‘scape the serpent’s tongue,
We will make amends ere long;
Else the Puck a liar call;
So, good night unto you all.
Give me your hands, if we be friends,
And Robin shall restore amends.
Omaggio a Pier Paolo Pasolini
Omaggio a Pier Paolo Pasolini composto nel
quarantennale della sua morte
Pasolini poeta, narratore, regista, drammaturgo, critico,
intellettuale. Tutte le sfaccettature dell’opera di Pasolini
nella sua pluralità di linguaggi e nella sua profondità di
contenuti. Dieci omaggi alla sua poesia, ai suoi romanzi, al
suo cinema, al suo teatro, ai suoi articoli, con una
riflessione sul pasolinismo e un uno “scherzo” in versi per
ricordare l’importanza della sua opera assai più che il
mistero della sua morte.
1. STORIE DELLA CITTÁ DI DIO
A me, sopra ogni cosa, manca Pasolini. Gli ho dedicato gli
anni del mio dottorato di ricerca e rimane l’autore che
conosco meglio dopo Shakespeare. A una decina di giorni
dall’anniversario del suo assassinio, in questo periodo di
commemorazione per il quarantennale, desidero tributargli un
mio personale omaggio, pubblicando ogni giorno un brano della
sua opera, magari un po’ distante da quelli più “canonici”. E
in tempi di processi per mafia capitale, carica di sindaco
vacante e imminenze giubilari vorrei iniziare proprio da come
percepiva la “città di Dio”.
Roma malandrina
(…) La sua bellezza è naturalmente un
mistero: possiamo pure ricorrere al
barocco, all’atmosfera, alla composizione
tutta depressione e alture del terreno, che
le dà continue inaspettate prospettive, al
Tevere che la solca aprendole in cuore
stupendi vuoti d’aria, e soprattutto alla
stratificazione degli stili che a ogni
angolo a cui si svolti offre la vista di
una sezione diversa, che è un vero trauma
per l’eccesso della bellezza.
Ma Roma sarebbe la città più del mondo se,
contemporaneamente, non fosse la città più brutta del mondo?
Naturalmente bellezza e bruttezza sono legate: la seconda
rende patetica e umana la prima, la prima fa dimenticare la
seconda.
I punti della città solo belli, e i punti della città solo
brutti sono rari. Quando la bellezza si isola ha qualcosa di
archeologico nel miglior caso: ma più spesso è espressione di
una storia non democratica, in cui il popolo è lì a far
colore, come in una stampa del Pinelli.
E così – al contrario – la bruttezza, quando si isola, e
giunge fin quasi all’atroce, non è mai completamente
depressiva e scostante: la fame, il dolore vi sono allegoria,
la storia è la storia nostra, quella del fascismo, della
guerra, del dopoguerra: tutta tragica, ma in atto, e per
questo piena di vita.
2. ATTI IMPURI – AMADO MIO
Prima che fosse accusato di «corruzione di minori e atti
osceni in luogo pubblico», allontanato dalla scuola media dove
insegnava in Friuli ed espulso dal PCI «per indegnità morale e
politica», tra il ’46 e il ’48 Pasolini scrisse due brevi
romanzi, Atti impuri e Amado mio, in cui intreccia ricordi di
guerra, turbamenti spirituali, paesaggi primitivi e pulsioni
sessuali, sempre combattuto tra desiderio, possesso e senso di
colpa per quello che era il suo vero scandalo: l’omosessualità
diretta perlopiù verso i fanciulli.
Prima di scoprire la borgata romana questi sono alcuni suoi
passaggi più carichi di lirismo, pudore e disincanto.
Atti impuri
Egli, quella sera, era di una bellezza da
potersi toccare come un oggetto: una luce
dorata e minerale che splendeva all’interno
del corpo, accendendo più la sua carne
molle e tiepida che i suoi occhi. Sotto la
lampada elettrica e contro il biancore
delle lenzuola, le sue pupille erano
divenute più cupe, trascolorando l’azzurro
in un indaco velato di rosa. E splendevano,
avide… Infatti io lo accarezzavo senza
posa, giocando
perfetto…
col
suo
piccolo
corpo
Sì, mi pareva che tutto tra me e Nisiuti dovesse restare
inespresso. C’erano giorni e giorni in cui io ero tutto in
lui, in cui ero null’altro che un suo sorriso, una sua
espressione. A me erano rimasti solo gli occhi per
contemplarlo, per andare al di là del suo bruno-rosa,
dell’onda nera dei suoi capelli, della sua pupilla affettuosa
e tiepida.
Eravamo ambedue in balia del nostro reciproco amore: il mio
furioso, conscio, impuro, il suo, benché purissimo, non meno
esclusivo. In lui certo prevaleva un affetto appassionato, che
lo avvicinava a me forse ancor più di quanto io fossi
avvicinato a lui dal mio desiderio. Così che per merito suo
anche la mia passione era purificata.
E invece di quelle sere mi restava solo il presente: quel
corpo che mi camminava accanto, quei campi invasi dalla luce,
quella luna violenta e remota. Il nostro amore così esplodeva
senza più ritegni, protetto da quel totale presente, da quella
dolcissima angoscia, e da quelle lacrime (di felicità?) che
restavano negli occhi dopo l’inutile vittoria sul peccato.
Amado mio
«Ma io, amici, non ho il senso del buco, dissi entrando nello
spavento generale, siete in errore. (…) Non ho il senso del
buco, a tre anni cominciò il famoso ciclo di sogni in cui mi
trovavo dentro un cunicolo scavato in un monte: era
spaventoso. A tredici anni cominciai a sognare di donne, ma il
buco non l’avevano: il loro ventre era di pietra. (…) Io ho
amato una volta sola, ma non si trattava di una donna: io non
ho il senso del buco, il buco è tabù, c’è davanti la mano di
Dio. Ho amato, ma non era una donna… (…) Era un puledro.»
3. BESTEMMIA
Sotto
quest’unica
parola
si
raccolgono i quattro volumi di
poesie composte da Pasolini e
suddivise
raccolte.
in più di venti
Alcune
davvero
grandissime tanto da persuadermi
che
Pasolini
sia
stato
soprattutto un sommo poeta (e
non solo civile come voleva Moravia). Impossibile selezionare
qualche poesia più significativa, anche perché sono perlopiù
poemi piuttosto complessi, mi limiterò a citare solo un paio
di epigrammi tratti da “La religione del mio tempo”, uno sul
nostro Paese, che sembra scritto ieri, e un altro sui
letterati, alla faccia dei tanto decantati cenacoli
dell’epoca. Perché il Pasolini più irresistibile rimane quello
che fustiga senza pietà!
Alla mia nazione
Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico,
ma nazione vivente, ma nazione europea:
e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,
governanti impiegati di agrari, prefetti codini,
avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,
funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,
una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!
Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci
pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,
tra case coloniali scrostate ormai come chiese.
Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,
proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.
E solo perché sei cattolica, non puoi pensare
che il tuo male è tutto il male: colpa di ogni male.
Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.
Ai letterati contemporanei
Vi vedo: esistete, continuiamo a essere amici,
felici di vederci e salutarci, in qualche caffè,
nelle case delle ironiche signore romane…
Ma i nostri saluti, i sorrisi, le comuni passioni,
sono atti di una terra di nessuno: una… waste land,
per voi: un margine, per me, tra una storia e l’altra.
Non possiamo più realmente essere d’accordo: ne tremo,
ma è in noi che il mondo è nemico al mondo.
4. POESIA IN FORMA DI ROSA
Mi è impossibile non citare
Supplica a mia madre, in dittici
baciati, nella raccolta “Poesia
in forma di rosa”, in cui
Pasolini
esprime
la
sua
lacerazione
interiore
tra
l’amore assoluto per la madre,
che
lo
condanna
alla
“solitudine” e alla “schiavitù”,
e quello per i “corpi senz’anima”, che gli fa sentire tutto il
peso dell’esclusione e della diversità. Conflitto insanabile,
che ha portato il poeta a incontrare la sua morte e la madre a
sopravvivergli; destino atroce dopo averlo già fatto con
l’altro figlio.
Supplica a mia madre
È difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima di ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò che è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore dei corpi senz’anima.
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu,
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…
5. UNA FORZA DEL PASSATO
Profeta e insieme primitivo,
capace di intuire sviluppi quasi
“futuribili” e al contempo di
rifugiarsi in un mondo arcaico
fuori dalla Storia, infaticabile
sperimentatore
di
nuovi
linguaggi e al contempo accanito
ricercatore di una sacralità
primordiale,
sostenitore
illuminato di un progresso sociale e politico e al contempo
fustigatore impietoso di uno sviluppo consumistico, di questo
e di altro parlerò con Enzo De Camillis nel presentare il suo
film “Un intellettuale in borgata”, sabato 31 alle ore 19 in
via Selinunte 57, al Quadraro sulla Tuscolana, cui siete tutti
invitati, per omaggiare anche quella borgata troppo amata da
Pasolini come dicono le sue stesse parole:
Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle chiese,
dalle pale d’altare, dai borghi
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l’Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io assisto, per privilegio d’anagrafe,
dall’orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno di ogni moderno
a cercare fratelli che non sono più.
6. LA STRAGE DEGLI INNOCENTI
Io non so dire quale per me sia
il più bel film di Pasolini, ma
so dire con certezza quale per
me sia la sua più bella
sequenza: la strage degli
innocenti da Il Vangelo secondo
Matteo. Lì dentro c’è tutto il
suo cinema. I primi piani sui
volti arcaici tanto ricercati da Pasolini nel Terzo Mondo, i
campi lunghi sui sassi di Matera dove egli aveva ravvisato una
Palestina autentica, assai più che in Terra Santa, le zoomate
improvvise sul groviglio di mantelli, pugnali, fantocci nel
caos dello scempio, l’esplodere della musica “sacra” di Bach a
contrasto con la violenza del massacro, i versetti finali dal
Vangelo declamati con solennità sui corpicini esanimi degli
infanti. Pasolini era un autodidatta ma ha rifondato un
linguaggio anche nel cinema, tanto da considerarlo una vera e
propria lingua.
la strage degli innocenti pasolini – Cerca con Google
7. BESTIA DA STILE
Nel marzo del 1966 a Pasolini
venne una bella emorragia per
un’ulcera duodenale. Mi direte,
ora bisogna commemorare pure
l’ulcera? No, l’ulcera nella sua
essenza no. Ma nella sua
conseguenza assai. Costretto un
mese in ospedale buttò giù il
progetto di tutte e sei le
tragedie che compongono il suo
teatro, per poi svilupparle nei
mesi successivi. Opere estremamente allegoriche che
rappresentano le molteplici coercizioni del potere
sull’individuo, messe in scena nel tempo da grandi registi
sotto diverse forme. Bestia da stile è quella più
autobiografica, in cui si celebra il doppio fallimento, della
rivoluzione (nella figura dell’arso vivo Jan Palach) e della
poesia (nella figura del poeta incapace di incidere sul potere
anche con il suo stile).
JAN
Io sono nella mia conoscenza.
Sono nella congiuntura fortunata
in cui Ragione e Saggezza stanno insieme.
Sono nutrito dal mio colloquio col mio popolo.
Ho le spalle sicure, con dietro il suo sorriso.
Perciò non mi nego alle critiche
E alle scandalose contestazioni!
In tanta luce la loro ombra è rassicurante.
La mia lotta di poeta contro la Follia
dei poeti dell’Occidente, la loro oscura intimità,
la loro fuga dentro i propri figliali segreti,
è fatta, sì, in nome della Ragione:
ma, ripeto, questa Ragione sta insieme alla Saggezza.
Mi è perciò ben chiara
la differenza di natura
tra la mia Eresia e l’Ortodossia
che criticamente accetto.
Anzi, la coscienza di questo dramma è la mia poesia!
Ciò che avviene qui
in quest’anima, al centro di Praga,
è indice di ciò che avviene nel mondo.
Sicché posso essere, sia pur dolcemente, spietato
come è sempre chi agisce secondo Realtà.
8. SCRITTI CORSARI
Pasolini corsaro: gli articoli pubblicati su varie testate tra
il ’73 e il ’75 in merito al potere dello Stato sulla Chiesa,
alla crisi della religione, alla fine della culture
subalterne, alla massificazione dei consumi, alle stragi di
Stato, alla “miseria” della contestazione e naturalmente
all’assenza di memoria.
Un Paese senza memoria
Noi siamo un paese senza
memoria. Il che equivale a dire
senza storia. L’Italia rimuove
il suo passato prossimo, lo
perde nell’oblio dell’etere
televisivo, ne tiene solo
ricordi,
frammenti
che
potrebbero farle comodo per le sue contorsioni, per le sue
conversioni.
Ma l’Italia è un paese circolare, gattopardesco, in cui tutto
cambia per restare com’è. In cui tutto scorre per non passare
davvero. Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua
memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono dal nulla,
sono portatori di veleni antichi, di metastasi invincibili,
imparerebbe che questo è un Paese speciale nel vivere alla
grande, ma con le pezze al culo, che i suoi vizi sono ciclici,
si ripetono incarnati da uomini diversi con lo stesso cinismo,
la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica allergia
alla coerenza, a una tensione morale.
9. LETTERE LUTERANE
Pasolini luterano: gli ultimi articoli del ’75 ancora più
caustici e violenti in cui egli porta all’estremo il suo
rigetto per la Storia, radicalizza il suo rimpianto per il
Mito, sferza i suoi strali contro il vuoto della cultura
creato dal Potere e soprattutto accusa la Dc di aver creato
una spaccatura tra il «Paese» e il «Palazzo», invocando un
processo per condannare la corruzione, gli scandali e le
stragi di Stato.
Il Processo
Dunque: indegnità, disprezzo per
i cittadini, manipolazione di
denaro pubblico, intrallazzo con
i
petrolieri,
con
gli
industriali, con i banchieri,
connivenza con la mafia, alto
tradimento in favore di una
nazione
straniera,
collaborazione con la Cia, uso illecito di enti come il Sid,
responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna
(almeno in quanto colpevole incapacità di punirne gli
esecutori), distruzione paesaggistica e urbanistica
dell’Italia, responsabilità della degradazione antropologica
degli italiani (responsabilità, questa, aggravata dalla sua
totale inconsapevolezza), responsabilità della condizione,
come si usa dire, paurosa, delle scuole, degli ospedali e di
ogni opera pubblica primaria, responsabilità dell’abbandono
«selvaggio» delle campagne, responsabilità dell’esplosione
«selvaggia» della cultura di massa e dei mass-media,
responsabilità della stupidità delittuosa della televisione,
responsabilità del decadimento della Chiesa, e infine, oltre
tutto il resto, magari anche distribuzione borbonica di
cariche pubbliche di adulatori.
Ecco l’elenco «morale» dei reati commessi da coloro che hanno
governato l’Italia negli ultimi trent’anni, e specie negli
ultimi dieci: reati che dovrebbero trascinare almeno una
dozzina di democristiani sul banco degli imputati, in un
regolare processo penale, simile, per la precisione, a quello
celebrato contro Papadopulos e gli altri Colonnelli.10.
PETROLIO
L’ultima parola naturalmente a Pasolini, non ai pasolinisti, e
a quell’ultimo romanzo cui stava lavorando prima di morire, e
che a sua detta l’avrebbe impegnato per tutta la vita. Un
coacervo di progetti, misteri, appunti, visioni,
caratterizzato da una pluralità di generi e di modelli, da una
diversità di stili e di registri, che non finisce mai di
offrire nuove interpretazioni ogni volta che lo si rilegge.
Una
storia
incentrata
sul
tema
del
doppio,
dell’ossessionedell’identità, della frantumazione, della
metamorfosi, del senso di possedere e dell’essere posseduti.
Concludo dunque il mio omaggio con questa immagine sospesa e
incisiva in cui si fronteggiano Demoni e Dei su quello stesso
prato in cui si sono consumate dissolutezze e sparizioni.
Il pratone della Casilina
Ma insieme a questi Dei, quasi
in sacra combutta per quella
nottata, si sentiva anche la
presenza di Dei sotterranei, di
Demoni: era chiaro; quella notte
così profondamente penetrata
dall’odore dell’erba secca e del
finocchio, così radicata a una
luce lunare che sembrava inesauribile, caduta lì dal cielo per
fondarvi una notte estiva e eterna, era demoniaca: ma non si
trattava affatto di Demoni appartenenti a un Inferno dove si
scontano condanne, ma semplicemente appartenenti agli Inferi,
là dove si finisce tutti. Insomma, poveri Dei, che se ne
andavano in giro lasciando dietro a sé il loro odore di cani,
astuti e rozzi, sinistri e camerateschi, usciti dai loro
simulacri di tufo, oppure di legno divorato dal sole e dalla
pioggia, rendendo funebre l’intero mondo notturno, e il cosmo.
Senza però né lutto, né dolore: poiché nell’essere funebre
consisteva l’odorosa, silente, bianca, e perdutamente quieta e
felice, forma della città notturna, dei prati, del cielo.
11. I DANNI DEL PASOLINISMO!
Muccino scrive su facebook che
Pasolini era un “non” regista,
che usava la macchina da presa
in modo amatoriale, senza stile,
aprendo
le
porte
a
quell’illusione che il regista
fosse una figura accessibile a
chiunque, intercambiabile e
improvvisabile, promuovendo così un anti-cinema in senso
estetico e narrativo in anni in cui il cinema italiano era
cosa altissima e faceva da scuola di poetica e racconto in
tutto il mondo.
Aggiunge anche che da lì il cinema italiano morì in pochissimi
anni con una lunga serie di registi improvvisati che
scambiarono il cinema per qualcos’altro, si misero in
conflitto con i Maestri che il cinema lo avevano nutrito per
decenni, demolirono la necessità da parte del cinema di essere
un’arte popolare e lo privarono di un’eredità importante che
ci portò a essere da seconda industria cinematografica più
grande del mondo a una delle più invisibili.
(Però, pensa quanto casino ha combinato Pasolini quando si è
messo in testa di fare cinema, vai a sapere alle volte!)
In risposta a Muccino in poche ore si scatena su facebook un
vero e proprio linciaggio verbale a suon di attacchi,
critiche, insulti, calunnie di vario tipo con una rabbia e una
violenza inverosimili contro chi aveva osato profanare il
Vate,
il
Maestro,
il
Modello
inoppugnabile
e
incontrovertibile, al punto da costringere lo stesso Muccino a
chiudere il suo profilo facebook, non prima però, badate bene,
di aver ricambiato gli affondi ingiuriosi con non meno
apodittiche sentenze, tacciando i suoi aggressori di attacco
alla libertà d’espressione, di conformismo intellettuale e di
fascismo applicato.
Ora, domineddio, Pasolini è morto da quarant’anni e delle sue
spoglie sarà rimasta solo polvere per cui non può nemmeno
rivoltarsi nella tomba, ma soprattutto non può resuscitare per
sommergere sia adulatori che denigratori con quella stessa
veemenza, precisione e acuzie con cui elaborava le proprie
idee nel pieno rispetto di quelle altrui.
Perché lo scempio che si sta facendo oggi su Pasolini, per lui
o contro di lui, è l’esatta antitesi di quello che era la sua
natura, la sua eleganza, la sua posatezza. Se mi passate la
metafora ornitologica è come accanirsi sul raffinato canto di
una cinciallegra facendola a pezzi a colpi di mannaia.
12. IL POVERO PASOLO
Il povero Pasolo
sotto terra da anni
sta come un moccolo
a far conta dei danni.
Per tutti coloro
che urlano in coro:
– Oh che vate assoluto!
– Oh che inutil rifiuto!
Sia Evviva che Abbasso
ne fan solo un bottino
scatenando un fracasso
se poi arriva Muccino!
– Diventare un modello?
Mi tocca anche quello?
Sbandierar verità?
Ma che assurdità!
Così il Pasolo afflitto
non ce la fa proprio più
ma non si dà per sconfitto
e aspetta tutti laggiù!