VITTORIO STORARO – BIOGRAFIA VITTORIO STORARO – LUCI D

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VITTORIO STORARO – BIOGRAFIA VITTORIO STORARO – LUCI D
VITTORIO STORARO – BIOGRAFIA
Vittorio Storaro nasce a Roma il 24 giugno 1940. Il padre, proiezionista al Lux Film Studio, gli
insegnò ad amare il cinema e lo spinse fin da piccolo a dedicarsi alla fotografia. A 16 anni il
giovane Vittorio sembrava destinato a divenire operatore alla macchina da presa. Dopo il
diploma, entra con un'ammissione speciale, data la sua giovane età, al Centro Sperimentale
di Cinematografia e si laurea nel 1960.
A 21 anni lavora al suo primo film come operatore. Nel 1969 fa la direzione della fotografia nel
film "Giovinezza, Giovinezza" di Franco Rossi. Già nel 1964 aveva lavorato con Bernardo
Bertolucci nel suo film d'esordio "Prima della rivoluzione" avviando una collaborazione
costante a tutti i progetti futuri del regista: "La strategia del ragno" (1970), "Il
conformista" (1970), "Ultimo tango a Parigi" (1972), "Novecento" (1976), e "L'ultimo
imperatore" (1987) col quale vince un Oscar.
Tra le collaborazioni eccellenti e fondamentali c'è quella con Francis Ford Coppola:
"Apocalypse Now" (1979) con cui vince un altro premio Oscar; "Un sogno lungo un
giorno" (1982), "Tucker: un uomo e il suo sogno" (1988).
Anche con "Reds" (1981) di Warren Beatty vince l'ennesimo premio Oscar per la migliore
fotografia. Tra gli altri premi vinti: un David di Donatello per "L'ultimo imperatore", tre Nastri
d' Argento e un premio per la tecnica a Cannes (1998).
Ha lavorato anche con Dario Argento ("L'uccello dalle piume di cristallo"), Giuseppe Patroni
Griffi (nella diretta TV per la RAI de "La traviata"), Giuliano Montaldo ("Giordano Bruno"),
Salvatore Samperi, Luca Ronconi.
VITTORIO STORARO – LUCI D’AUTORE
Lo studio sulla fisiologia dei colori con Francio Ford Coppola in "Un sogno lungo un giorno"
mi ha permesso di capire qual è la reazione fisica che noi abbiamo di fronte ad un colore.
Quando diciamo colore ci riferiamo ad una parte visibile della luce, una parte di energia che
vibra su una certa lunghezza d'onda; questa energia, come questa luce, mi tocca o non mi
tocca a secondo di come la posiziono, di come la filtro, di come lei si esprime. Noi non la
vediamo soltanto con gli occhi ma con tutto il nostro corpo: siamo come delle lastre sensibili
dove queste onde che arrivano hanno una reazione che modifica il nostro corpo, il nostro
metabolismo, la nostra pressione sanguigna. Di conseguenza di fronte ad un certo tipo di
immagine, di fronte ad un certo tipo di luce, di fronte ad un certo tipo di colore cambia il
nostro stato d'animo e questo è scientificamente provato.
Con "L'ultimo imperatore" abbiamo cercato di mostrare come nella psicologia di una
persona vi sia la possibilità di tornare a rivivere la propria esistenza attraverso un certo tipo di
simbiosi tra le età della vita e le età dei colori, ossia quale momento della nostra vita si poteva
rappresentare visivamente con un determinato colore. Quindi il rosso può rappresentare il
sangue vitale mentre l'arancio i nostri cinque anni e il calore della madre, della famiglia e
della casa; il giallo rappresenta i nostri dodici anni, ossia la pubertà, la scoperta della nostra
sessualità e quindi la consapevolezza di chi siamo; il verde si identifica con i nostri venti anni,
che sono gli anni della conoscenza e dell'apprendimento, come appunto quando il Piccolo
Imperatore riesce a conoscere ciò che esiste al di fuori della città proibita, quella che lui
chiama la città dei suoni perché la può soltanto sentire ma non vedere, in quanto è stato
sempre prigioniero in questo spazio; il blu rappresenta il periodo che va dai 30 ai 50 anni e
coincide con l'apice della nostra intelligenza, della nostra capacità di concentrazione e della
consapevolezza di libertà: conoscere ed essere liberi. Poi si arriva a quello status di maturità
che sono in genere i nostri 60 anni attraverso il colore indaco, che si identifica con un senso di
potere e di una certa materialità sulle cose e che precede il passaggio al violetto che interpreta
la necessaria sensazione di dover ritornare a rigenerarsi tramite le generazioni e quindi di
tramandare tutta la nostra conoscenza a giovani menti che la possano continuare. Questo era
in linea di massima l'essenza del racconto "L'ultimo imperatore".
Devo dire che questo secondo spazio della mia vita mi ha dato la possibilità di scoprire queste
emozioni.
Ne "La luna" di Bernardo Bertolucci affrontavo la simbologia dei colori, cioè quella che è la
nostra visione individuale di un colore. Questo perchè qualsiasi evento nella nostra vita
passata, fin da quando eravamo nella pancia di nostra madre, sicuramente ha toccato la nostra
psicologia e sicuramente il colore che era associato a quell'evento ci ha segnato in modo
particolare. Come dice Platone, ognuno di noi vede in base al contatto che ha con una
determinata immagine e questo contatto avviene tramite la propria personalità, quindi tutti
quelli che sono stati gli eventi che ci hanno cresciuto li traduciamo in questo tipo di visione
vedendo in modo più armonico o in modo più conflittuale un certo tipo di tonalità cromatica.
Quando noi guardiamo un dipinto, un'opera teatrale, cinematografica o televisiva, osserviamo
un insieme di immagini con un determinato tono conflittuale o armonico di luce o di ombra che
ci danno una certa sensazione. Questo tipo di reazione fisica sicuramente è stata
approfonditamente studiata dai costruttori di Las Vegas che sono riusciti a stimolare la
pressione arteriosa dell'uomo utilizzando tantissime luci e con toni molto caldi per dare un
determinato e continuo bombardamento di energia tale che l'uomo non senta il bisogno del
normale relax e riposo che prova quando cessa l'irradiazione luminosa del sole. Si riesce quindi
a ricreare una luce solare artificiale che provoca una continua eccitazione e, di conseguenza,
stimoli che spingono a continuare nel gioco.
Quello è stato, diciamo, il motivo centrale figurativo che ho tentato di esprimere in "Un sogno
lungo un giorno". Prima di parlare dello scrivere con la luce devo purtroppo fare un piccolo
riassunto perché penso sia un passaggio necessario. Quello che io ho visto nei vari seminari
che ho fatto in tutto il mondo, sia negli anni da studente che negli anni da professore, è che
tutte le scuole mondiali educano le persone che affrontano la mia realtà professionale, cioè la
cinematografia, in modo prettamente tecnologico: non c'è un'educazione sulla conoscenza dei
significati delle cose, non viene analizzata quella relazione molto importante e forte che si ha
con l'operare con le altre arti. Quindi è stata un po' una mia necessità cercare di colmare
questa lacuna e, in trent'anni, ho fatto una serie di ricerche e di studi proprio per comprendere
e conoscere meglio la filosofia della visione, per conoscere meglio le origini della
cinematografia, che sono fondamentalmente la fotografia e la pittura, per capire meglio quello
che rappresenta la storia dell'arte e quindi il percorso che l'uomo ha fatto in tutte le arti visive:
insomma per acquisire più informazioni possibili sull'architettura, sulla scultura, sulla musica e
sulla psicanalisi.
Sono tutti campi con cui chi opera nel mondo del cinema o delle arti visive si trova ad
interagire, e questo in modo inconscio. Nel rinascimento ciò avveniva in modo molto più
cosciente, perché, per poter arrivare a conoscere il significato delle cose, si studiavano le
filosofie orientali o la filosofia greca ma, purtroppo, questa cultura si è persa un pò nel tempo.
Grazie a questa mia ricerca ho raccolto, negli anni, diversi scritti, opinioni, formule, poesie,
immagini, pitture ed ho iniziato pian piano ad analizzare l'uso che io ne facevo film per film.
E' stata una ricerca continua che mi ha direttamente aiutato ad esprimermi in ogni film e,
continuandola nel tempo, mi sono reso conto che questo raccogliere, questo riordinare gli
scritti, le immagini, le fotografie, i dipinti e altro seguiva una sua forma strutturale che era
parallela allo scorrere della mia vita e delle mie esperienze.
Così, iniziando ad esprimermi in scenografia nel 1968 con "Giovinezza, giovinezza" che è
stato il primo film in bianco e nero, nei primi dieci anni della mia evoluzione espressiva, mi
sono molto concentrato sulla comprensione del rapporto tra la luce e l'ombra e ho totalmente
impostato il mio lavoro sull'analisi di questo rapporto e questo fino alla realizzazione di
"Apocalypse now".
Da qui ho sentito il bisogno di capire meglio com'era formata questa essenza, questo elemento,
questa materia, questa energia visibile che io usavo, che è la luce. Sono stato un anno in una casa a
studiare, a tornare su i miei studi antichi e a affrontarne degli altri e ho scoperto il mondo dei colori.
Da lì ho ripreso, seguendo questo nuovo stimolo di conoscenza, la via espressiva.
Quello che ho voluto mettere nel secondo volume della trilogia "Scrivere con la luce" è un po'
un'analisi delle conoscenze acquisite, al fine di creare un vocabolario visivo di tutto quello che
è contenuto nella prima parte del libro per ogni singolo colore; un vocabolario che passa tra
pittura e filosofia per raccontare un certo tipo di storia che oggi abbiamo un po' perduto, come
ad esempio la conoscenza di quella che è la simbologia del nero attraverso i diversi studi fatti
sino ad oggi, attraverso gli scritti di vari filosofi e attraverso gli esempi che io traggo dai tanti
film realizzati su questo argomento. E così è con il rosso, così è con l'arancio, così è con il
giallo, sempre cercando anche di utilizzare quanto i pittori hanno creato. Ci sono nella trilogia
"Scrivere con la luce" circa 400 dipinti che segnano una specie di percorso stabilito non da un
critico d'arte, ma da un visionario come me a secondo delle emozioni che in varie età, in vari
momenti, mi hanno regalato certi dipinti, dipinti che hanno rappresentato una fonte di
ispirazione per un certo tipo di rappresentazione filmica. Questo perché io penso che noi siamo
stati e siamo influenzati da tutti quelli che ci hanno preceduto: tutti i disegni, i graffiti, i dipinti,
le fotografie, i film realizzati prima di noi sono dentro di noi, questo è indubbio, che ne siamo
coscienti o no.
La seconda parte, che chiude questo rapporto, è proprio il tentativo di raccontare l'ideazione
figurativa, cromatica, luministica di ogni film; di raccontare il dipinto, e questo è il caso de "La
Luna" di Bertolucci del quale parlavamo prima, a cui mi sono ispirato e le immagini
fotografiche
realizzate
direttamente
da
me,
spesso
in
doppia
esposizione.
Io credo che il nero rappresenti in parte la gestazione, cioè la parte della nostra vita quando
ancora siamo nel ventre di nostra madre. Ho sempre tentato di idealizzarlo come il principio
delle cose, quasi come materia. Il nero contiene tutti i colori perchè in realtà non li riflette e
quindi rappresenta le nostre potenzialità iniziali che poi possono svilupparsi nello scorrere degli
anni, attraverso i nostri colori, le nostre sensazioni e il formarsi della nostra personalità.
Nero è anche una rappresentazione dell'inconscio, un qualcosa che contiene, oltre ai colori,
anche informazioni e sensazioni molto personali, un qualcosa in cui non vediamo dentro e di
cui non conosciamo il contenuto.
Il nero, nel rapporto di un percorso tra ieri-oggi-domani può rappresentare lo ieri mentre nel
rapporto tra incoscio-cosciente-sovracosciente, può rappresentare l'inconscio; se prendiamo il
percorso che probabilmente noi stiamo facendo dal momento in cui è nato l'essere umano dove
la materia pian piano si evolve in energia, il nero può rappresentare la materia e quindi il
simbolo di un inizio, di un contenitore in cui vi era, come teorizza la filosofia greca, contenuto
l'uno e non vi era ancora la distinzione tra quelle diverse coppie di grandi elementi che hanno
poi diviso il mondo e che erano il bene e il male, ieri e domani, il cosciente e l'inconscio, il sole
e la luna, il giorno e la notte, l'uomo e la donna e così via: possiamo definire quell'Uno come
principio della vita se si può pensare che la vita abbia avuto un principio in qualche data, in
qualche epoca, in qualche mondo.
In questa analisi dello "Scrivere con la luce" il grigio lo inserisco dopo il giallo. Perché lo
inserisco dopo il giallo, perché il rosso, l'arancio e il giallo rappresentano un po' gli inizi della
nostra vita: la nostra nascita, la nostra crescita da bambini, la nostra presa di coscienza. Penso
che nella realtà rappresentino i colori del maschile, i colori del cosciente, i colori dell'attività
fisica e di tutto ciò che ha una certa visione collegata alla materia, al sole, al maschilismo ecc.
Pongo in mezzo il grigio perché credo che sia il giusto punto fermo, la giusta stasi, la giusta
pausa di riflessione; cioè quel qualcosa che è un equilibrio temporaneo tra il nero e il bianco e
che nello stesso tempo non vedo mai come uno stagno, un'acqua ferma, un non
coinvolgimento, una non passione o una non partecipazione: lo vedo appunto come una
riflessione, come un momento di pausa per capire meglio donde veniamo, chi siamo, dove
andremo. Credo che sia una delle cose fondamentali, particolarmente quando riusciamo a farlo
personalmente. Io ho visto che quei momenti di grigio che ho avuto nella mia vita, alcuni non
sono stati volontari, ho cercato di utilizzarli per prepararmi alla mia ripartenza; altri invece
sono stati volontari come ad esempio dopo "Apocalypse now" quando ho cercato una pausa
in me stesso per capire, per provare a ricercare: una pausa necessaria e quindi un atto di
volontaria autoanalisi, uno scavare nelle proprie radici, un nuovo seminare per un
rigeneramento della terra come nelle stagioni, come nella natura. Credo che probabilmente
senza questi attimi di pausa, di riflessione, di meditazione, di grigio se così vogliamo
chiamarlo, la vita sarebbe una corsa senza soste, senza riflessioni: probabilmente arriveremmo
prima ma meno pronti, con meno conoscenza.
Per la mia ricerca sui colori ho usato come punto d'inizio un antecedente illustre: la ricerca che
ha fatto Isaac Newton nel 1700. Ha fatto una cosa molto semplice, ha posto un prisma di vetro
davanti alla luce bianca, siccome la luce devia il suo percorso quando passa da un elemento
poco denso ad uno più denso, facendo questa deviazione due volte, un prisma essendo solido
la luce passa prima da un elemento meno denso ad una più denso e poi ripassa da uno meno
denso ad uno più denso, la luce si è scomposta e da un unico raggio si sono diramate sette
differenti lunghezze d'onda. E lui ad occhio nudo a quell'epoca, si era ancora agli inizi per
invenzione
di
strumenti
ottici
nel
700,
ha
distinto
sette
colori.
Anch'io nei miei studi mi sono fermato ai sette colori principali, perché in quello che è il famoso
cerchio (albero dei colori), che parte proprio dal rosso, arancio, giallo, grigio, verde, azzurro,
l'indaco, il violetto e di nuovo il rosso, in mezzo ci sono miliardi di colori, perché ogni singolo
piccolo micron è un colore diverso in realtà, ma poteva essere infinito parlare delle tante
sfumature
dei
colori.
Per
questo
mi
sono
attenuto
ai
sette
colori.
Il bianco credo che sia un pochino il senso della nostra coscienza o esattamente il
complementare del nero, è il colore che non solo contiene tutti i colori, ma quello che li invia
tutti. Come il nero li trattiene in sé, il bianco è quello che li riflette tutti; quindi è il colore
dell'equilibrio. Il bianco rappresenta probabilmente la nostra finalità ultima nella vita,
rappresenta l'Io che arriva forse al di sopra della coscienza verso il sovracosciente, spero
quello che noi saremo un giorno.
Stiamo preparando con mia figlia una mostra di fotografie e di pittura che legherà un pochino
tutta l'idea contenuta nei libri della trilogia della luce, ("La luce" primo volume, "I colori"
secondo volume, "Gli elementi" terzo volume), e che avverrà nell'aprile del 2004 a Verona. Mi
piace l'idea di poter esporre un certo numero di immagini, un insieme di fotografie o dipinti che
mi hanno ispirato. Messa su una specie di percorso che ripercorre l'evoluzione del mio lavoro: il
mio periodo con la luce, il mio periodo di studio con i colori, il mio tentativo di equilibrio tra
quegli elementi che è la terza fase della mia vita.
Ecco perché le immagini in mostra le voglio mettere non attaccate al muro come si fa in
genere per una mostra fotografica, ma su un cavalletto, in modo che possano essere viste una
per una, con uno sfondo, nel contesto di un film, di un periodo storico, di tutta una vita.
Cerco attraverso la mostra, una risposta al mio ruolo: chi sono io in realtà? Che cosa faccio al
di fuori di esprimermi con la luce tentando di scrivere la storia di un film su uno schermo
cinematografico? In realtà sono un visionario, cioè qualcuno che ha delle visioni di cose che
non necessariamente sono di fronte a me, ma che io combinando le cose, riesco a vedere.
Cercavamo dei cavalletti per le immagini, giustamente Carlo Guglielmi ci ha detto: "ma perché
non provate a disegnare una luce già collegata con l'oggetto che la porta?" cioè con un
cavalletto; noi invece pensavamo a un cavalletto tradizionale. Poi ci siamo messi lì ed abbiamo
ideato un cavalletto a forma di V con una luce inserita.
Cosa in realtà tento di fare io, a volte riesco a volte meno, quando mi viene offerto un film?
Prima leggo il copione che mi viene dato, parlo con il regista che è un po' l'autore centrale di
un'opera comune come è quella cinematografica, lega come in un'orchestra una serie di
coautori, come sono io con la fotografia, come sono tanti altri: chi fa la scenografia, chi fa i
costumi, chi fa la musica. Il regista come un direttore d'orchestra ci dirige tutti verso un'unica
visione.
Leggo il copione e poi tento di capire il concetto centrale di contenuto di quella storia e tento di
visualizzarlo; ovviamente tentando di utilizzare quello che è il vocabolario che è a mia
disposizione: un vocabolario visivo. Fondamentalmente è proprio questo rapporto tra luce ed
ombra che ha una sua valenza. Sono molto sincero: io non credo che nella vita di ognuno di
noi ci sia la possibilità per tempo, energie, di conoscere tutto, e in genere si arriva, per poter
portare avanti il nostro percorso, a focalizzarsi su quello che è esattamente il nostro obbiettivo,
e in questo sono fin troppo selettivo, io.
Quindi sono molto ignorante in tanti altri campi e me ne scuso con tutti gli altri artisti, ma non
riesco a farne a meno. Poi non ho il tempo di leggere le tesi dei miei studenti all'accademia
dell' immagine, di leggere i copioni, di leggere i libri di visione che mi interessano in quel
momento.
Certamente Francesca, mia figlia, ha una maggiore informazione su tutte le cose che io non
riesco a curare, perché lei è specializzata proprio in lighting design, in architettura e luce e
quindi conosce tutti i vari tipi di proiettore, mezzi tecnici nuovi, ecc. Io collaboro con lei
nell'ideazione, cioè nel cercare un concetto visivo ai progetti, un significato, un tema filosofico
rispetto a quella che è la visione del luogo che dobbiamo costruire. So di non essere un buon
fotografo, nel senso che la mia applicazione ha avuto sempre bisogno di più immagini e di un
tempo. Per questo ho tentato di fare questo tipo di fotografia, cioè mettere in relazione due
mondi, cioè un certo tipo di immagine con un altro tipo di immagine, il tentativo di fare una
foto-cinematografia, quasi. E quindi, al completamento di questa trilogia dello "Scrivere con la
luce" l'idea di poter esporre proprio come un fotografo ma che ha delle conoscenze
cinematografiche, un certo numero di immagini, quindi solo esclusivamente le immagini fatte
direttamente nella macchina fotografica e in doppia esposizione, è qualcosa che mi ha sempre
attratto.
Molti mi hanno chiesto di fare esposizioni fotografiche sapendo che io faccio fotografia: non l'
ho mai voluto fare. C'è stata una mostra, si chiamava "Un percorso di luce", ma non erano mie
fotografie; era una mostra sul mio percorso di luce utilizzando i fotogrammi del film e
l'esposizione era fatta proprio su delle pellicole ad asciugare, proprio per dare l'idea
cinematografica. L'idea di presentarmi come fotografo mi piace però, ripercorre tutta quella
che è stata la mia conoscenza: la filosofia, la pittura, la fotografia e la cinematografia messa su
una specie di percorso che saranno 150 di questi cavalletti, queste immagini tra pittura e
fotografia, che ripercorrono questi tre blocchi dei miei tempi: il mio periodo con la luce, il mio
periodo di studio con i colori, il mio periodo di tentativo di equilibrio tra quegli elementi che è la
terza fase della mia vita. Un po' arrogantemente penso che questo tipo di immagini abbiano
una correlazione con la pittura molto forte. Ecco perché le foto della mostra le voglio mettere
su un cavalletto, in modo che possano essere viste una per una, ma nel contesto di un film, di
un periodo storico, di tutta una vita.
Tratto dal sito : www.depadova.it