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SENTENZE IN SANITÀ – CORTE D’APPELLO DI NAPOLI
CORTE D’APPELLO DI NAPOLI – sezione VI – sentenza del 7 gennaio 2003
la Corte di Appello di Napoli sezione VI composta dai Signori
Enrico Merlino
Fernardo Giannelli
Francesco Paolo Caiati
Presidente
Consigliere Estensore
Consigliere
Con l’intervento del pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonio Iervolino, con l’assistenza del Cancelliere Sig.ra Rita Massa
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa penale a carico di Domenico Ronga, nato il 19 luglio 1946 a Casoria
APPELLANTE
avverso la sentenza resa il 22/11/2000 dal Tribunale di Napoli con la quale
Ronga Domenico venne condannato per il delitto di cui agli artt.17 L.4/5/1990, nol07 e 3 D.M.
15.1.1991, con le attenuanti generiche, alla pena di mesi otto di reclusione, interdizione dallo
esercizio della professione sanitaria ex art.17 L.I07/90 per anni due pene sospese e non menzione della condanna.
Fatto accaduto in Napoli 14/05/1998
Avverso la decisone di cui in epigrafe interpose appello il difensore dello imputato, chiedendo
la rinnovazione parziale del dibattimento, l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non sussiste
quanto meno ex art.530, 2° co.,c.p.p.; in subordine, il minimo della pena previa concessione delle attenuanti generiche nella massima estensione, con doppi benefici e revoca della pena accessoria applicata.
Fatto e diritto
La sentenza del primo giudice deve essere riformata, con l' assoluzione dell’ appellante dal reato
a lui ascritto perché il fatto non sussiste.
Non vi è bisogno alcuno e, tanto meno, l'indispensabilità ex art.603 c.p.p., che impone l' ordinanza di rinnovazione del dibattimento, neanche pro parte.
Ed invece, tutta la vicenda processuale che vede imputato il Ronga deve essere sintetizzata, e
ridotta, a questioni puramente giuridiche, non essendo un punto controverso della causa se sia
avvenuta la trasfusone di sangue che si assume vietata dalla legge: bisogna solo vedere se, per
legge, il Ronga potesse disporre quella trasfusone.
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Poiché il Procuratore Generale come rappresentato all'odierna udienza, ha chiesto l'assoluzione
dell'appellante "perché il fatto non è previsto dalla legge come reato", in quanto, trattandosi di
norma penale in bianco, e recitando, il primo comma dell’ art.17 415/1990, n.107, "in violazione dì legge", il decreto ministeriale non potrebbe fungere da atto di recepimento, o più tecnicamente, di integrazione del precetto, va detto che questo Collegio non condivide l’impostazione
della Pubblica Accusa al riguardo.
La disputa se l'art.25,2° co., della Corte fondamentale ponga iure poenale, una riserva assoluta,
o, invece, relativa, di legge" deve essere risolta nel secondo senso, per la semplice ragione che
la Corte Costituzionale, essendosi pronunciata nel senso della legittimità costituzionale delle
norme incriminatrici il cui precetto sia, solo, integrato, e non invece, del tutto demandati ad atti
non aventi forza di legge" ammette implicitamente la possibilità giuridica dell'integrazione del
precetto penale, secondo il metodo della norma penale in bianco, a mezzo di " atti di riempimento “ solo che essi abbiano sostanza normativa.
Addirittura, un diffusissimo indirizzo sia dottrinario, sia giurisprudenziale, ammette la possibilità delle suddette integrazioni da parte del provvedimento amministrativo, con riferimento alla
contravvenzione di cui all'art. 650 c.p., giungendo a discutere di disapplicazione dell’atto ai sensi degli articoli 4 e 5 e della legge 28/3/l865 no 2248 All. E qualora il provvedimento non sia
stato legalmente emesso. Ma si deve osservare che certamente la riserva di legge di cui alI'art.
25 2° co." della Costituzione è violato dall'inframmettenza - nell' ambito dei precetti penali -di
atti amministrativi, sforniti di sostanza normativa; che inoltre nel caso dell'art.650 c.p.. se un
provvedimento è illegalmente emanato, esso" in pectore è, addirittura, inesistente, più che nullo,
o annullabile" non potendosi concepire un provvedimento amministrativo non rispondente al
principio di legalità , e, sotto il profilo strettamente penalistico, viene meno la stessa esistenza
del fatto di cui all'art, 650 c.p., che ha come presupposto la legalità dell'atto, sotto il profilo, ben
vero, formale con esclusione del sindacato sull' eccesso di potere e, ancor più, sull' opportunità
dell'atto. Neanche sono ammessi ad integrare il precetto penale, altrimenti violandosi il disposto
dell'art.25, 2° co., della Costituzione, i provvedimenti amministrativi plurimi, che, seppure rivolti a più soggetti, non hanno carattere di astrattezza e generalità (sostanza normativa).
Lo stesso dicasi per le ordinanze di necessità e urgenza, le quali, se hanno, il carattere della generalità, non hanno quello, concorrente e necessario, dell' astrattezza, essendo dettati in occasione di avvenimenti particolari, in limitali contesti spaziali e/o temporali.
Hanno, invece, pieno ingresso nel precetto della norma penale in bianco, i regolamenti e -per
quel che interessa in questa causa -i decreti ministeriali, atti amministrativi generali e astratti e,
pertanto, dotate di sostanza normativa; deve inoltre, in concreto, notarsi che il "tipo criminoso"
del1'art. 17 L. 4/5/1990, no107 ,per la peculiare e dettagliata descrittività, è sufficientemente delineato, per cui il decreto ministeriale non fa che, secundum Costitutionem, completare il precetto penale, lungi dal porlo in assoluto.
Si ha da vedere, allora se sussiste il fatto contestato al Ronga: questa Corte territoriale è per la
negativa.
Già la contestazione della Pubblica Accusa tradisce lo scotoma interpretativo nella esegesi della
"norma globale" sottoposta alla indagine di questo Collegio: si addebita al Ronga di aver esegui-
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to la donazione di sangue di donatore a rischio, e si scrive, in parentesi, "omosessuale", Quindi
l’equazione operata dalla Pubblica Amministrazione e dal giudice di primo grado è: omosessuale = donatore a rischio. E tanto è "expressis verbis” contestato a Ronga.
Ora, qui non si vuole contestare che l' evento, inteso come lesione del bene giuridico protetto,
del delitto di cui all’ art. 17 L. 107/90 sia nella " messa in pericolo " dell'incolumità pubblica,
che non si richiede affatto la verificazione di un contagio a seguito della trasfusione operata in
seguito al divieto normativo non si vuole negare che l'art. 3 D.M 15/1/1991 faccia carico al donatore di sangue dell'obbligo di riferire se intrattenga "rapporti omosessuali'-. Ma senza dubbio
tale espressione deve essere studiata nel contesto sociale e scientifico in relazione al quale la
norma è posta, e, prima di tutto, deve essere studiata con riferimento alla molta esplorata, ma
ancora spinosa, tematica dei reati di pericolo.
E' senz'altro frutto di miopia sociale "costruire" la persona omosessuale come soggetta a rischio
in quanto tale: l' omosessualità è una mera "scelta ormonale " della natura, condizionata o meno
che sia da fattori socio-ambientali (processo di priamizzazione, lunga permanenza in trincea.,
difficoltà estreme di rapporti eterosessuali) o endopsicologici ( prevalenza della figura formativa
di sesso opposto, 'ricerca di ingiustizia.") (Edmund Bergler, Psicoanalisi del!' omosessualità, Ed.
Astrolabio, Roma, 1970); ciò che rileva in concreto è l’uso dell'omosessualità, la sua ,gestione
: è certamente a rischio l' omosessuale che si prostituisce, che ha rapporti "indiscriminati" e plurimi a partner indefinito, ma, con pari certezze, è maggiormente a rischio la persona normale"
infedele, la ninfomane, l'affetto da satiriasi, pur non avendo il marchio dell' omosessualità, che
nazioni civili li hanno ormai cancellati definitivamente, ammettendo il matrimonio tra persone
dello stesso sesso, rivisitando l'istituto familiare, non come una "fabbrica di figli" ma come una
forma di tutela dell'affetto nella più ampia e libera " privacy" .
Questo l'aspetto socio-culturale, ma l'aspetto tecnico-giuridico, mai da scindere dall’altro, or affrontato, ancor di più fa obbligo a questa Corte di assolvere il Ronga.
In una visione che ormai sempre vieppiù viene e va criticata, il reato di pericolo " presunto " o ,
astratto" viene contrapposto al pericolo concreto, quello che, cioè, compare nella stessa previsione incriminatrice (ess. artt. 423, 2° co; 511, lo co. , c.p.) : il primo "modulo" di reato di pericolo vede lo stesso come "reato di tutela", il secondo come elemento del fatto di reato. Tale distinzione non tiene conto della visione realistica dell'illecito penale, risalente a dottrine illuminate, ancor più perché risalenti nel tempo; dal principio di affermatività dell' illecito penale; della
necessità che, a prescindere da una epifania naturale (es: morte nell'omicidio) la condotta cagiona un evento (artt.40 e 41 c.p.) , inteso come lesione del bene giuridico, secondo la costruzione
cui aderiscono anche gli autori che vedono nell'art.49 c-p. la consacrazione dell'esigenza che,
oltre alla conformità al tipo, un fatto può essere penalmente rilevante , debba essere in concreto
lesivo dell’ interesse che sia costituzionalmente garantito (nella specie, quello di cui agli artt.2 e
32 della nostra Costituzione).
Anche se si voglia mantenere, per agro didattico, la distinzione tra pericolo astratto e pericolo
concreto, non si potrà mai dire che vi e il delitto di incendio quando si appicchi il fuoco in una
zona completamente disabitata; lo stesso Supremo Collegio, con giurisprudenza ormai consolidata insegna che anche se vero che l'art. 367 c.p. (simulazione di reato) è delitto in cui si fa
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menzione espressa della possibilità di inizio di un procedimento penale, non di meno non si
configura il delitto di calunnia, o di autocalunnia ove tale menzione non compare -se non si
ravvisi il pericolo in esame: se, paucis verbis, non sia leso l'interesse dell'Amministrazione della
Giustizia. E l'assoluzione deve suonare "perché il fatto non sussiste per mancanza di un elemento costitutivo, che è l'evento. Nel caso per cui è processo, Ascione Massimo aveva specificato di
essere omosessuale "a coppia fissa"' , con ciò adempiendo ai doveri di "autocertificazione" posti
come presidio di salute pubblica per chi si affaccia alla donazione di sangue, atto in se oltremodo umanitario; non vi è la benché minima prova di una vita "dissoluta" dell'Ascione, che già aveva donato sangue senza alcuna conseguenza dannosa.
Pertanto, il Ronga non ha infranto il divieto normativo posto dalla legge 4/5/1990 (art. 17) e dal
D.M. 15/1/1991 (art. 3) poiché sotto nessun profilo l' "appestato" Ascione Massimo", con il suo
atto d'amore agabico, creò pericolo per la saluta di chicchessia
P.Q.M
Visto l'art. 605 cpp, in riforma della sentenza del Tribunale di Napoli del 22/11/2000, appellata
da Ronga Domenico, assolve lo stesso dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste
Napoli, 7/1/2003
II Presidente
Il consigliere estensore
Il cancelliere
E. Merlino
Fernando Giannelli
Annamaria Sarzana
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