l`Endoscopia nella Patologia Oncologica dell`Apparato

Transcript

l`Endoscopia nella Patologia Oncologica dell`Apparato
l’Endoscopia nella Patologia
Oncologica dell’Apparato
Gastroenterico
A cura della
COMMISSIONE ONCOLOGICA
Società Italiana di Endoscopia Digestiva
(Coordinatore V. Casale)
L’Endoscopia
nella Patologia Oncologica
dell’Apparato Gastroenterico
A cura della
COMMISSIONE ONCOLOGICA
SOCIETÀ ITALIANA DI ENDOSCOPIA DIGESTIVA
(Coordinatore V. Casale)
L’Editore ringrazia la Società Ravizza Farmaceutici
per la collaborazione prestata
Finito di stampare nel mese di settembre 2000
© 2000 E.M.Me. Edizioni - Milano
Tutti i diritti sono riservati
E D I Z I O N I
20124 Milano - Corso Buenos Aires, 59
3
Indice
Pag.
Prefazione ......................................................................................................................................................... 5
Presentazioni .................................................................................................................................................. 9
Introduzione ................................................................................................................................................. 13
La patologia esofagea ............................................................................................................................. 17
La patologa gastrica ................................................................................................................................. 23
La patologia del pancreas esocrino,
delle vie biliari e della papilla di Vater ................................................................................... 29
La patologia del colon retto:
lo screening ........................................................................................................................................... 37
La patologia del colon retto:
gli adenomi ............................................................................................................................................ 43
La patologia del colon retto:
la sorveglianza neoplastica nelle I.B.D. ................................................................................... 47
La patologia del colon retto:
i tumori ereditari ................................................................................................................................ 51
La patologia del colon retto: diagnosi,
follow-up e palliazione del carcinoma ................................................................................... 59
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Elenco Autori
D. Assisi
Istituto Regina Elena per lo Studio e la Cura dei Tumori - Roma
H. Aste
Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro - Genova
V. Casale
Istituto Regina Elena per lo Studio e la Cura dei Tumori - Roma
C. Crosta
Istituto Europeo di Oncologia – Milano
M. De Bellis
Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori
Fondazione “G. Pascale” - Napoli
M. Fornasarig
Centro Riferimento Oncologico - Aviano
P. Fracasso
Istituto Regina Elena per lo Studio e la Cura dei Tumori - Roma
A. Grassi
Istituto Regina Elena per lo Studio e la Cura dei Tumori- Roma
R. Lapenta
Istituto Regina Elena per lo Studio e la Cura dei Tumori- Roma
A. Pellecchia
Istituto Oncologico - Bari
V. Pugliese
Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro - Genova
G. B. Rossi
Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori
Fondazione “G. Pascale” - Napoli
S. Saccomanno
Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro – Genova
F. Scotto
Istituto Oncologico - Bari
M. Spandre
Ospedale S. Giovanni A. S. Dipartimento Oncologico - Torino
V. Stigliano
Istituto Regina Elena per lo Studio e la Cura dei Tumori - Roma
A. Tempesta
Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori
Fondazione “G. Pascale” - Napoli
G. Testino
Azienda Ospedaliera S. Martino - Genova
M. Valentini
Azienda Ospedaliera S. Martino - Genova
5
Prefazione
O
perando da circa trenta anni come gastroenterologo ed endoscopista in un Istituto
a Carattere Scientifico ad indirizzo Oncologico, ho potuto constatare come, con il
passare del tempo, l’endoscopia digestiva sia diventata sempre più importante nella gestione del paziente oncologico, a prescindere dalla localizzazione primitiva della neoplasia. Essa, d’altra parte, come è a tutti noto, riveste un ruolo determinante in tutte le varie fasi di studio dei pazienti con tumore dell’apparato gastroenterico.
Infatti nei programmi di prevenzione essa è utilizzata nello screening, dove indicato,
ma è insostituibile nella caratterizzazione delle lesioni o condizioni a rischio per cancro.
Il ricorso all’endoscopia è obbligatorio nella diagnosi per la definizione macroscopica endoluminale delle lesioni (sede, dimensione e numero), per quella morfologica (biopsie,
citologia, ecc.) e per la sua stadiazione (ecoendoscopia), tanto è che oggi il chirurgo e
l’oncologo clinico accorti non procedono alla terapia senza tali riscontri. Nei protocolli
di terapia è indispensabile per la rimozione di lesioni iniziali (polipectomia, laserterapia,
ecc.) e per la palliazione di quelle avanzate (dilatazioni, disostruzione, PEG, protesizzazione, laserterapia, ecc.). L’opera dell’endoscopista digestivo è rischiesta inoltre per il
monitoraggio delle terapie oncologiche: in caso di radioterapia (riduzione endoluminale della massa neoplastica, lesioni attiniche), chemioterapia (variazione delle caratteristiche della eventuale massa endoluminale), e dopo intervento chirurgico (funzionalità anastomotica, massa neoplastica residua, punti di sutura, fistole, deiscenza anastomotica), infine in caso di terapie combinate (tutte le condizioni sopra nominate) L’endoscopia e soprattutto l’ecoendoscopia contribuiscono alla restadiazione del paziente. L’utilizzo obbligatorio dell’endoscopia si impone nel caso del follow-up eseguito su “pazienti a rischio”
per la ricerca di nuove lesioni preneoplastiche (adenomi, ulcere gastriche, ecc.) e per il
monitoraggio di lesioni a rischio ad andamento cronico (gastrite cronica atrofica, esofago di Barrett, rettocolite ulcerosa, ecc.) e sui “pazienti trattati” per la ricerca di recidive,
di cancri metacroni, di lesioni precancerose e per il monitoraggio di lesioni non neoplastiche, quali la proctite attinica. Infine, specie nell’ultimo decennio, l’endoscopia è stata inserita nei programmi di ricerca oncologica per il campionamento morfobiologico della
neoplasia e della mucosa normale in vari gruppi di pazienti (proliferazione cellulare,
espressione di marcatori tumorali, ecc.), per validare l’efficacia delle terapie e per verificare la possibilità di individuare soggetti con diverso livello di rischio oncologico (anticipazione diagnostica su base biologica invece che clinica, ecc.). Alla luce di quanto sopra
è nata l’idea di istituire una Commissione Oncologica delle SIED che è stata accolta con
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entusiasmo dal Consiglio Direttivo SIED e nella quale sono stati coinvolti gli specialisti
delle malattie dell’Apparato Digerente degli Istituti Oncologici Italiani sotto riportati.
Coordinatore: Dr. Vincenzo Casale (Roma); Componenti: Dr. Piergiorgio Natali (Roma), Dr. Hugo Aste (Genova), Dr. Cristiano Crosta (Milano), Dr. Antonio
Pellecchia (Bari), Dr. Francesco P. Rossini (Torino), Prof. Pasquale Spinelli (Milano),
Dr. Alfonso Tempesta (Napoli), Dr. Maurizio Valentini (Aviano); Segretario di
Coordinamento: Dr. Rocco Lapenta (Roma).
Con questa pubblicazione, che ha richiesto un anno di lavoro, conclusasi nel novembre 1999, abbiamo portato a termine il nostro primo obiettivo nella speranza
che sia utile a tutti i cultori dell’Endoscopia Digestiva. Ringrazio gli autori tutti che
con il loro impegno e competenza hanno permesso la realizzazione del testo e l’Industria Farmaceutica “Ravizza” che ha consentito la pubblicazione del volume.
Il Coordinatore della
Commissione Oncologica
Novembre 1999
7
Presentazione
I
l cancro è una delle patologie più complesse e diffuse nel panorama epidemiologico clinico attuale.
La complessità della patologia oncologica dipende da alcune caratteristiche biologiche e cliniche, quali l’eziologia multifattoriale, l’eterogeneità biologica, la variabilità delle manifestazioni cliniche e della storia naturale della malattia, l’estrema diversificazione della risposta terapeutica ai diversi trattamenti, la gravità delle problematiche assistenziali, psicologiche e sociali sollevate dal riconoscimento della malattia e dall’evoluzione della stessa verso la cronicità o verso la fase terminale.
L’impatto complessivo del fenomeno cancro (270.000 nuovi casi/anno e circa
1.400.000 casi prevalenti/anno) rappresenta inoltre un dato quantitativo che, al pari
della complessità biologica e clinica, pone l’esigenza del controllo dei tumori fra le priorità assolute in tema di tutela della salute. Il razionale sul quale si basa la strategia globale del controllo del cancro deriva quindi dalla complessità del fenomeno e dall’esigenza, che ne consegue, di utilizzare in modo integrato tutti gli strumenti attualmente disponibili per fronteggiare i diversi aspetti della malattia.
Infatti, solo realizzando l’integrazione organizzativa delle risorse dedicate alla prevenzione e alla diagnosi e particolarmente quelle dedicate alle cure oncologiche è prevedibile il miglioramento, in termini di efficacia, dei servizi sanitari.
I miglioramenti terapeutici ed assistenziali ed il miglioramento della qualità di vita sono peraltro strettamente connessi alla definizione di specifici percorsi, che garantiscano:
❑ l’integrazione delle terapie chirurgiche, mediche, radioterapiche e riabilitative;
❑ la corretta, omogenea e diffusa applicazione di programmi terapeutici, coerenti con
i migliori standard nazionali ed internazionali, in grado di ottenere risultati significativi in termini di guarigione, sopravvivenza, remissione di malattia, miglioramento
della qualità di vita.
Pertanto, le condizioni per il raggiungimento di ottimali risultati clinico-diagnosticoterapeutico-assistenziali devo prevedere tra l’altro:
❑ la predisposizione di una rete di presidi diagnostico-terapeutici e riabilitativi;
❑ la promozione e diffusione di protocolli validati, per migliorare la tempestività diagnostica e terapeutica per le principali patologie;
❑ la creazione, all’interno delle strutture di diagnosi e cura, di percorsi obbligati che
garantiscono la sequenza corretta dell’iter stabilito per il soggetto o paziente;
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❑ il raggiungimento ed il mantenimento di condizioni di assistenza di elevato standard
qualitativo;
❑ l’attuazione di controlli di verifica della qualità delle prestazioni erogate;
❑ la riduzione dell’inappropriatezza degli interventi;
❑ l’integrazione multidisciplinare, che garantisca un approccio globale alle cure ai malati oncologici.
In tale ottica, l’assunzione di iniziative finalizzate alla individuazione di linee comuni di comportamento, atte a migliorare, anche in termini di appropriatezza, il comportamento degli operatori sanitari nella gestione dei pazienti, appare perfettamente coerente con quanto sottolineato in premessa.
Infatti, come già evidenziato, la promozione, l’individuazione e l’implementazione di
collaudati iter procedurali, basati sulle evidenze scientifiche, può fattivamente contribuire ad un miglior utilizzo delle risorse, anche attraverso la riduzione della variabilità dei
comportamenti individuali.
In tale contesto si inserisce il lavoro della Commissione oncologica SIED, coordinata da Vincenzo Casale che, a poco più di un anno dal suo insediamento, presenta il
frutto di un impegno, che ha coinvolto principalmente gli specialisti delle malattie dell’apparato digerenti di tutti gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico.
Gli IRCCS sono strutture complesse del S.S.N., di rilievo nazionale. Secondo i compiti istituzionali ad essi affidati, perseguono finalità di ricerca in campo biomedico e nella organizzazione dei servizi sanitari. Oltre a fornire prestazioni di ricovero e cura garantiscono pertanto le funzioni di ricerca epidemiologica, preclinica e clinica. È inoltre
compito degli IRCCS il trasferimento dei risultati ottenuti al S.S.N. per una migliore qualificazione dell’assistenza e per il perseguimento degli obiettivi indicati dal Piano sanitario nazionale.
Pertanto, la presente pubblicazione si inserisce e risponde pienamente ai compiti
specifici degli IRCCS ed è i linea con quanto sollecitato e promosso dal Ministero della
Sanità, che, attraverso le iniziative assunte nel corso degli ultimi anni dai Dipartimenti
e Servizi competenti in materia, i quali si sono avvalsi peraltro del contributo fornito da
apposite Commissioni di esperti nei vari domini dell’oncologia, quali la Commissione oncologica nazionale, ha fornito le linee di indirizzo generali per realizzare gli opportuni interventi di controllo del cancro e ottimizzare gli standard assistenziali e terapeutici in
oncologia.
Auguro quindi a quest’opera tutto il successo che merita, in attesa del sicuro riscontro che troverà in quanti sono quotidianamente impegnati in campo oncologico.
Dott. Giovanni Zotta
Direttore generale
Servizio Vigilanza Enti
Ministero Sanità
Novembre 1999
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C
aposaldo della gestione del paziente oncologico è la multidisciplinarietà diagnostico-terapeutica che scaturisce dal continuo apporto dei risultati della ricerca clinico-sperimentale. Nel campo delle neoplasie gastroenteriche gli specialisti delle malattie dell’apparato digerente svolgono un’attività di massima integrazione con le altre
componenti del mondo oncologico nella gestione multidisciplinare del paziente; ciò è testimoniato dalla presenza in tutti gli Istituti Oncologici del nostro paese di strutture autonome dedicate.
In particolare l’Endoscopia Digestiva gioca un ruolo di notevole importanza che la
vede protagonista imprescindibile già nella fase di prevenzione fino a quella terapeutica
per i tumori dell’apparato digerente. Inoltre essa è un ottimale supporto nella ricerca di
base e nella gestione di altre patologie neoplastiche (stadiazione dei tumori ginecologici,
vescicali e polmonari o palliazione dei tumori mediastinici, polmonari e testa collo).
È quindi con vero piacere, anche in qualità di componente della Commissione Oncologica Nazionale, che ho aderito a partecipare alla Commissione Oncologica della
SIED e va al Consiglio Direttivo di questa così viva e vivificante Società Scientifica il plauso del mondo oncologico italiano.
Il presente volume costituisce senza dubbio una valida guida per gli specialisti delle malattie gastoenteriche di pertinenza oncologica, ad una precisa applicazione delle più avanzate tecniche nel rispetto del paziente e nell’ottica dell’efficacia ed efficienza.
La sua lettura è consigliabile, comunque, agli oncologi in generale permettendo un
arricchimento culturale importante nell’espletamento della loro attività. In questa ottica
l’elaborato verrà portato all’attenzione dei Direttori degli Istituti Oncologici e della
Commissione Oncologica Nazionale.
Infine un grazie riconoscente al Dr. V. Casale, Coordinatore della Commissione Oncologica SIED, ed a tutti gli Autori per il loro lavoro ed un augurio per i loro futuri impegni.
Prof. Pier Giorgio Natali
Direttore scientifico “Istituto Regina Elena”
per lo Studio e la Cura dei Tumori - Roma
Novembre 1999
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E
rano in pochi a credere all’atto della sua costituzione che la Commissione Oncologica presieduta da Vincenzo Casale potesse portare a termine in così breve tempo l’ambizioso progetto presentato nel settembre del ‘98 al Direttivo della SIED. A poco più di un anno dal suo insediamento la Commissione Oncologica presenta questo
importante e completo elaborato che riguarda la prevenzione e le possibilità diagnostiche e terapeutiche della Endoscopia Digestiva in campo oncologico. L’oncologia è purtroppo la branca della Medicina che è andata incontro al maggiore sviluppo, l’età media della popolazione nei paesi occidentali cresce in modo esponenziale e le malattie
neoplastiche stanno raggiungendo le malattie cardiovascolari come primaria causa di
morte. L’incidenza della patologia oncologica di pertinenza gastronterologica non è da
meno, basti ricordare che il tumore del colon è al terzo posto in questa triste classifica
dopo le neoplasie del polmone e della mammella, ma nei confronti di quelle è in costante progressione, sia relativa che assoluta. Per non parlare poi dei tumori del pancreas e delle vie biliari, dell’esofago e dello stesso stomaco, fino a pochi anni fa alla pari con quello del colon e oggi, fortunatamente, in regressione. Bastano questi accenni
per sottolineare l’importanza dell’Endoscopia Digestiva nella gestione delle malattie
neoplastiche, in molte delle quali rappresenta da anni il gold standard diagnostico e terapeutico. Da qualche tempo infine si parla sempre di più della prevenzione e della
diagnosi precoce perché solo attraverso queste vie si può arrivare ad arginare, fin quando il cancro non verrà sconfitto, l’enorme impatto sociale delle malattie neoplastiche.
Ed anche in questo settore l’Endoscopia sta assumendo un ruolo insostituibile.
Giunge quindi a proposito questa opera in cui, per la prima volta, vengono trattate
in modo sistematico e organico le tematiche riguardanti la prevenzione, la diagnosi e le
possibilità terapeutiche dell’endoscopia nei confronti di alcune importanti neoplasie.
Non mi rimane che ringraziare, come Presidente SIED, Vincenzo Casale e tutti coloro che con lui hanno collaborato con entusiasmo e competenza a questa opera cui auguro, e sono sicuro che riceverà, ampi universali consensi. Personalmente sono molto orgoglioso che essa sia giunta, “last but not the least” tra le realizzazioni che hanno contrassegnato la mia presidenza, a coronare degnamente la conclusione del mio mandato.
Prof. Lorenzo Bonardi
Presidente Nazionale Società Italiana Endoscopia Digestiva
Novembre 1999
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Introduzione
Essendo l’endoscopia supporto indispensabile in ogni fase dell’iter diagnostico-terapeutico del paziente portatore di patologia neoplastica dell’apparato GE, è stato ritenuto obiettivo prioritario della Commissione Oncologica Nazionale della SIED, mettere a punto delle linee di comportamento di semplice attuazione che possono essere seguite routinariamente da tutti gli endoscopisti. Ciò per garantire all’utenza il massimo dell’affidabilità nella diagnosi, nella terapia perendoscopica e nel follow-up ed agli
operatori la possibilità di poter confrontare le casistiche personali con criteri di maggiore uniformità. Per ogni organo in maniera schematica sono stati:
❑ individuati i campi di intervento di competenza endoscopica: prevenzione, diagnosi, terapia, stadiazione e follow-up.
❑ specificati per le diverse patologie: gli obiettivi, le indicazioni e le modalità di intervento.
PREVENZIONE
A) OBIETTIVO:
❑ Interrompere la storia naturale del cancro intervenendo sui soggetti a rischio al fine di evitare l’insorgenza della malattia.
B) INDICAZIONE:
❑ Individuare gli organi su cui si può applicare la prevenzione e le lesioni
precancerose.
C) MODALITÀ DI INTERVENTO:
❑ Individuare le fasce di popolazione su cui si può intervenire a seconda del
rischio (età, familiarità, occupazione, residenza ecc.).
❑ Delineare l’algoritmo degli interventi a seconda della lesione presa in considerazione.
❑ Definire in maniera esauriente la lesione (localizzazione, dimensione,
estensione, forma, ecc.).
❑ Delineare le decisioni terapeutiche.
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DIAGNOSI
A) OBIETTIVO:
❑ Prioritario, interrompere la storia naturale del cancro in una fase terapeuticamente utile ai fini della durata e della qualità di vita (diagnosi precoce).
❑ Secondario, in caso di cancro avanzato definire la sede, l’estensione, la natura morfologica della lesione ed il coinvolgimento intraluminale dell’organo.
B) INDICAZIONE:
❑ Individuare i sintomi e/o i segni che portano alla diagnosi endoscopica suddivisi a seconda degli obiettivi sopra esposti.
C) MODALITÀ DI INTERVENTO:
❑ Condurre l’esame nella maniera più completa possibile, non fermandosi alla prima lesione evidenziata.
❑ Indicare il tipo di esame più idoneo , il numero delle biopsie, i suggerimenti
all’istologo ed al terapeuta (chirurgo, medico, radiologo).
❑ Definire in maniera esauriente la lesione (localizzazione, dimensione, estensione, forma, ecc.).
STADIAZIONE
A) OBIETTIVO:
❑ Contribuire a determinare l’estensione extraluminale della lesione.
B) INDICAZIONE:
❑ Organi sui quali è possibile intervenire.
C) MODALITÀ DI INTERVENTO:
❑ Metodiche utilizzabili e loro corretta applicazione.
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TERAPIA
A) OBIETTIVO:
❑ Intervento mirato a salvaguardare la qualità e/o la durata di vita.
B) INDICAZIONE:
❑ Specificare le finalità dell’intervento ed il ruolo che riveste nel protocollo
terapeutico generale.
C) MODALITÀ DI INTERVENTO:
❑ Attrezzature utilizzabili.
❑ Loro corretto uso.
❑ Algoritmo degli interventi.
❑ Prevenzione delle complicanze.
FOLLOW-UP
A) OBIETTIVO:
❑ Controllo nel tempo dei pazienti trattati per neoplasie al fine di assicurare
una adeguata durata e qualità di vita.
B) INDICAZIONE:
❑ Definire lo stadio del tumore per organo che giustifichi il follow-up.
C) MODALITÀ DI INTERVENTO:
❑ Definire l’algoritmo degli esami e le modalità di esecuzione, a seconda della neoplasia considerata.
I Componenti la Commissione
LA PATOLOGIA ESOFAGEA
H. Aste, C. Crosta, R. Lapenta
Il cancro dell’esofago rappresenta l’1% di tutte le patologie maligne con un’incidenza di 5 volte maggiore nella popolazione maschile rispetto a quella femminile.
Ogni anno vengono diagnosticati nel mondo circa 12.000 nuovi casi.
L’incidenza in Italia è di 5.28/100.000 aditanti nei maschi e 1.43/100.000 nelle
femmine.
La mortalità si aggira su un tasso crudo di 4.8/100.000.
Le neoplasie esofagee sono a tutt’oggi fra quelle a prognosi più infausta.
La sopravvivenza media a 5 anni in occidente è infatti inferiore al 10%.
Nella fase iniziale di malattia, che può durare anche molti anni, la sintomatologia è aspecifica, quando si manifesta con la disfagia, la diagnosi è quasi sempre posta tardivamente, quando coié la crescita endoluminale del tumore è imponente.
Si raccomanda, quindi, sempre uno studio accurato della mucosa esofagea anche in caso di esami endoscopici eseguiti per altre finalità al fine di sorprendere la
lesione precancerosa o un cancro in fase iniziale.
PREVENZIONE
Nel 70-75% dei casi le neoplasie dell’esofago sono rappresentate da carcinomi spinocellulari e il rimanenete 25-30% da adenocarcinomi soprattutto del tratto
distale che insorgono su esofago di Barrett.
I fattori di rischio principali sono: alimentari, ambientali.
❑
❑
❑
❑
❑
❑
Alcolismo.
Tabagismo.
Alimenti bollenti.
Esposizione a radiazioni.
Eccessivo apporto con la dieta di nitrosamina e nitriti.
Scarso apporto con la dieta di vitamina A, C, riboflavina e alcuni minerali
(rame, zinco, molildeno, manganese)
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H. Aste et al.
CONDIZIONI FAVORENTI
❑ Esofagite da caustici.
❑ Acalasia.
❑ Papillomatosi.
❑ Reflusso gastroesofageo.
❑ Tumori del distretto cervico-facciale.
CONDIZIONI PRECANCEROSE
❑ Esofago di Barrett.
❑ Tilosi.
Non è previsto comunque, se non per l’esofago di Barrett, un programma di
sorveglianza della categoria a rischio.
L’Esofago di Barrett è rappresentato dalla presenza di epitelio di tipo colonnare a livello dell’esofago distale.
Tale trasformazione è dovuta ad un danno cronico provocato alla mucosa esofagea verosimilmente dal succo gastrico e dai sali biliari che vengono a contatto con
la mucosa.
ESOFAGO DI BARRET
(biopsie nei 4 quadranti ad intervalli di 2 cm. per tutta la lunghezza della metaplasia)
CON METAPLASIA INTESTINALE
SENZA METAPLASIA INTESTINALE
DISPLASIA
Controllo EGDS ogni 2 anni (prudenziale)
NO
Endoscopia
ogni anno
SI
Basso grado
Alto grado
ENDOSCOPIA IMMEDIATA
(conferma istologica)
Terapia con antisecretori per 2 mesi
Pz anziano
cattive condizioni
generali
ENDOSCOPIA
DISPLASIA DI BASSO GRADO
ENDOSCOPIA OGNI ANNO
RESEZIONE
CHIRURGICA
ENDOSCOPIA OGNI 3 MESI
– Argon Plasma Coagulation
– Mucosectomia endoscopica
– Elettrocoagulazione
– Nd-Yag Laser
– Terapia fotodinamica
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La patologia esofagea
L’importanza clinica dell’Esofago di Barrett è data dalla alta percentuale di trasformazione in senso neoplastico (da 30 a 60 volte) rispetto alla popolazione generale che tuttavia insorge solo in presenza di epitelio colonnare specializzato (metaplasia intestinale) tanto che recentemente si propone di considerare l’esofago di
Barrett solo questo tipo di metaplasia.
Si raccomanda pertanto il seguente ritmo di follow-up.
DIAGNOSI
È importante anche per una sintomatologia di scarsa entità eseguire, soprattutto nelle categorie a rischio, un esame endoscopico che permetta nella quasi totalità dei casi di fare diagnosi.
È utile in alcuni casi selezionati lo studio endoscopico con le colorazioni vitali
lugol, blu di toluidina, blu di metilene che permettono di definire anche piccole
aree di dubbia interpretazione alla sola visione diretta.
Lo studio endoscopico permette la valutazione della neoformazione, estensione, grado di stenosi, presenza di ulcerazione, ecc.
Infine la biopsia, soprattutto nelle lesioni piane “la biopsia per affondamento”,
in alcuni casi anche il brushing per l’esame citologico permettono nel 95% dei casi
la tipizzazione della lesione.
STADIAZIONE
NEI TUMORI DELL’ESOFAGO LA STADIAZIONE PREOPERATORIA (TNM)
SI AVVALE DI:
❑ Endoscopia:
estensione
margini
grado di stenosi
❑ Ecoendoscopia:
infiltrazione parietale (parametro T)
valutazione dei linfonodi locoregionali (parametro N)
eventuale interessamento strutture anatomiche adiacenti
❑ Rx esofagogramma:
eventuale presenza di fistole
rapporti con strutture anatomiche adiacenti
❑ TC-RM-Ecotomografia: valutazione situazione locoregionale della malattia,
eventuale presenza di metastasi
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H. Aste et al.
IN CASI SELEZIONATI:
❑ Broncoscopia (utile prima di una palliazione con endoprotesi per evidenziare
compressione sulle vie respiratorie)
❑ Laparoscopia
TERAPIA
L’intervento chirurgico (esofagectomia) rappresenta la strategia terapeutica d’elezione. Purtroppo, per la quasi sempre tardiva diagnosi di tale patologia gli interventi palliativi pur non intervenendo in modo significativo sulla storia naturale della
malattia assumono un ruolo importante per il miglioramento della qualità di vita.
GLI INTERVENTI PALLIATIVI CONSISTONO IN:
❑ esecuzione di by-pass chirurgico.
❑ CT - RT e/o brachiterapia.
❑ procedure endoscopiche - dilatazioni pneumatiche meccaniche.
• disostruzione di tessuto – Fotocoagulazione Nd-yag laser
– Argon Plasma Coagulation (APC)
– elettrocoagulazione a contatto mono
o bipolare
– Terapia fotodinamica
• protesizzazione
–
–
protesi di plastica
protesi metalliche
• sonde nutrizionali
–
–
sondino naso gastrico
gastrostomia perendoscopica
Il trattamento endoscopico della disfagia ha lo scopo di migliorare la qualità di
vita di un paziente che ha una aspettativa di vita residua breve e può anche integrare chemio o radioterapie che abbiano l’intento di indurre una remissione della
neoplasia. In questo senso la scelta del trattamento endoscopico deve tener conto
del tipo di paziente, della sede e dell’aspetto del tumore nonchè delle scelte terapeutiche ulteriori mirando ad ottenere una alimentazione il più possibile fisiologica,
con la migliore tollerabilità e il minor rischio di complicanze immediate e tardive.
La patologia esofagea
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Non consigliabile, se non per un iperalimentazione temporanea in previsione
di un intervento di resezione, è ricorrere a sondini naso gastrici.
La gastrostomia, spesso praticabile dopo dilatazione della stenosi, ha un ruolo
esclusivo nelle neoplasie dell’esofago cervicale prossimale a meno di 2 cm dallo
sfintere esofageo superiore in associazione con la radioterapia o a seguito di una
recidiva post-radioterapia.
La scelta tra laser e endoprotesi si basa sulle caratteristiche e la sede della neoplasia tenendo anche conto delle complicanze specifiche delle metodiche. La laserterapia è più indicata in neoplasie con prevalenza di componente vegetante. In
alcuni casi di lesioni con componente polipoide può essere conveniente una iniziale demolizione della massa mediante elettroresezione con ansa.
Un prolungamento dei benefici della ricanalizzazione mediante laserterapia si
può ottenere con l’associazione di una o più sedute di brachiterapia (radioterapia
intraluminale).
Tra le protesi attualmente si preferiscono le metalliche espandibili poiché hanno dimostrato un tasso di complicanze immediate molto più contenuto delle tradizionali di plastica. Indicazione assoluta a posizionare in prima istanza una protesi
ricoperta è la presenza di fistola con le vie aeree. Negli altri casi l’indicazione è da
valutarsi, nei pazienti sicuramente inoperabili (quindi esclusi i candidati a terapia
neoadiuvante), considerando anche altre soluzioni palliative.
FOLLOW-UP
Il follow-up in caso di tumori dell’esofago è poco programmabile in quanto sia
in caso di esofagectomia totale che di intervento palliativo non ha significato.
Il paziente va chiamato rispetto alle sintomatologie che presenta.
22
H. Aste et al.
Bibliografia
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LA PATOLOGIA GASTRICA
A. Grassi, G. Testino, D. Assisi, M. Valentini
L’epidemiologia del cancro grastrico è in continua evoluzione mostrando una
tendenza alla diminuzione dei tassi di incidenza e mortalità. Nel mondo è comunque ancora il secondo tipo di cancro per frequenza e la seconda causa di morte
per patologia neoplastica preceduto solo dal cancro del polmone.
In Italia l’incidenza è stimata intorno a 52/100.000 casi annui.
PREVENZIONE
Non esistono nel nostro paese indicazioni per effettuare programmi di prevenzione mediante screening su popolazione generale. L’incidenza del tumore è
bassa e il costo / beneficio di tali iniziative non ne giustifica la realizzazione. Di maggiore interesse è la ricerca “di individui portatori di lesioni a rischio” da sottoporre a sorveglianza per effettuare opera di prevenzione.
Nell’ambito delle modificazioni precancerose dello stomaco, è stata operata
una distinzione in due categorie: le condizioni e le lesioni precancerose.
❑ Per condizioni precancerose si intendono quelle condizioni cliniche associate
ad un aumentato rischio di insorgenza di neoplasia.
❑ Le lesioni precancerose, che si identificano fondamentalmente nella displasia
epiteliale sono, invece, lesioni isto-patologiche associate ad un aumentato rischio di
cancro. Le lesioni gastriche a rischio su cui si è posta la attenzione e di cui tratteremo sono riportate di seguito; è da tenere presente che i dati di letteratura non
sono sempre univoci sul reale vantaggio della sorveglianza di tali lesioni per produrre una riduzione della mortalità:
❑
❑
❑
❑
polipo gastrico adenomatoso o adenoma
ulcera gastrica?
resezione gastrica per condizione benigna
gastrite cronica atrofica
24
A. Grassi et al.
POLIPI GASTRICI
Non tutti i polipi gastrici hanno interesse oncologico, solamente i polipi con
struttura istologica di tipo adenomatoso, detti anche semplicemente adenomi, presentano un rischio di trasformazione maligna. La maggioranza dei polipi gastrici (7090%) sono iperplastici o polipi delle ghiandole fundiche. Tali lesioni sono raramente sintomatiche e il loro riscontro è frequentemente accidentale in corso di gastroscopia o di Rx Digerente.
Il rischio di trasformazione maligna degli adenomi aumenta con l’aumentare
delle loro dimensioni.
Una volta evidenziato il polipo è necessario valutarlo istologicamente nella sua
interezza: la sola biopsia endoscopica, essendo rappresentativa solo di aree parziali, potrebbe non essere dimostrativa di alterazioni maligne eventualmente presenti
nel polipo.
Alcuni polipi possono presentare microscopicamente la combinazione di tessuto iperplastico e adenomatoso.
Alcuni studi hanno dimostrato un aumentato rischio di neoplasia gastrica legata alla presenza nello stomaco di un adenoma: è quindi raccomandabile in presenza di tali adenomi, esaminare attentamente tutto lo stomaco.
La ricomparsa di adenomi dopo trattamento può arrivare fino al 16%.
Nella Poliposi Familiare Adenomatosa (FAP) sono presenti polipi multipli gastrici nel 33-100% dei casi: tali polipi, per lo più iperplastici o infiammatori, sono generalmente delle ghiandole fundiche e quindi senza potenzialità di degenerazione: in
caso si riscontrassero polipi del fondo in corso di una EGD è da considerare in questi pazienti l’esecuzione della coloscopia per la possibilità che si tratti di una FAP.
Le lesioni polipoidi gastriche devono essere rimosse, se possibile mediante polipectomia endoscopica, generalmente realizzabile per quelle entro i 2 cm diametro. È da considerare la opportunità di un trattamento chirurgico per polipi di grosse dimensioni, sopra i 2 cm, adenomatosi.
In caso di polipi multipli è consigliabile eseguire biopsie sul maggior numero di
essi e polipectomia delle lesioni di maggiori dimensioni.
Sorveglianza: dopo la asportazione di adenomi eseguire un controllo ad un anno per valutare l’eventuale recidiva e/o la combinazione nello stomaco con un tumore. Successivamente controllo a 3-5 anni.
Tutti gli altri polipi gastrici, non adenomatosi, non richiedono sorveglianza.
ULCERA GASTRICA
Attualmente non si riconosce una potenzialità di degenerazione maligna della
ulcera peptica gastrica.
La patologia gastrica
25
L’endoscopia abbinata a biopsia e/o citologia ha consentito di dimostrare tale
affermazione. La convinzione della sua possibile trasformazione maligna era infatti
legata alla impossibilità, in tempi pre-endoscopia, di discriminare cancri ulcerati iniziali delle lesioni peptiche.
La raccomandazione è quindi quella di definire con precisa istologia qualsiasi lesione ulcerativa eseguendo campionamento bioptico multiplo, superiore a 4-6 biopsie, su varie aree dell’ulcera. In caso di negatività oncologica eseguire terapia antiulcera compresa la eradicazione dell’Helicobacter pylori se presente. In caso dubbio o di displasia di basso grado ripetere l’esame con campionamento bioptico. In
caso di displasia di alto grado procedere a stadiazione e intervento chirurgico.
Sorveglianza: dopo 4-6 settimane di terapia antiulcera eseguire endoscopia di
controllo con biopsie multiple anche in caso di guarigione della ulcera (è stata infatti
dimostrata la possibile temporanea riepitelizzazione di carcinomi ulcerati in corso di
terapia antiulcera). Successivamente controllo endoscopico a 6 e 12 mesi.
RESEZIONE GASTRICA PER PATOLOGIA BENIGNA
Lo stomaco resecato per ulcera peptica gastrica o duodenale è stato considerato una condizione a rischio per tumore gastrico nelle passate decadi in base a
studi retrospettivi e autoptici.
La frequenza del tumore riportata era dal 2 al 8,7%. Altri dati di letteratura non
hanno confermato tale aumento di rischio.
Raccomandazioni: non esistono dati sufficienti per giustificare una sorveglianza
endoscopica di tali pazienti.
È raccomandabile dopo 15 anni dalla resezione un controllo endoscopico e
bioptico per accertare la presenza di gastrite cronica atrofica (CAG) e quindi procedere secondo lo specifico protocollo della CAG.
GASTRITE CRONICA ATROFICA (CAG)
La gastrite cronica atrofica con metaplasia intestinale è considerata una condizione a rischio per tumore: la presenza di displasia, in accordo con la sequenza gastrite superficiale, CAG con metaplasia intestinale, displasia e tumore, è considerata una alterazione di estrema rilevanza.
Purtroppo, dal punto di vista anatomo-patologico la classificazione e l’identificazione della displasia attualmente non è univoca essendovi variazioni anche sostanziali interobserver e intraobserver. Tale punto crea alla base di qualsiasi iniziativa una variabile che può condizionare notevolmente i risultati e quindi eventuali
indirizzi generali di diagnosi, trattamento e sorveglianza.
Un altro punto di estremo interesse e attualità è il peso che l’Helicobacter pylori
26
A. Grassi et al.
HP ha nella cancerogenesi gastrica: i pareri, generalmente orientati ad attribuire un certo peso a tale germe, non sono però definitivi, universalmente accertati e accettati.
Se l’Hp viene considerato di importanza nella cancerogenesi gastrica è opportuno che venga identificato e trattato in tutti i pazienti sottoposti a gastroscopia: esistono però linee guida che non suggeriscono la ricerca e il trattamento nei dispeptici e quindi in una quota notevole di pazienti affetti da CAG.
La identificazione della CAG si effettua tramite endoscopia associata a biopsia,
possibilmente multiple e differenziate fra corpo e antro. La diagnosi può essere solo microscopica: l’istologo deve dare indicazioni sulla presenza di metaplasia intestinale (m.i.) e differenziarla in grado I, II e III, a questa ultima, detta anche di tipo
colico, si attribuisce un maggiore rischio di degenerazione. Deve essere segnalata
la presenza di Hp.
La CAG può presentare con il progredire del tempo una metaplasia intestinale e una displasia per cui si raccomanda in caso di displasia di basso o alto grado
controlli ravvicinati e eventuale trattamento.
La valutazione di altri parametri nel paziente affetto da gastrite atrofica quali il
pepsinogeno I e II, anticorpo anti cellule parietali, fattore intrinseco nel siero e gastrinemia, non sono attualmente suggeriti nella pratica quotidiana ad esclusione di
un inquadramento specifico di pazienti con anemia perniciosa.
SORVEGLIANZA
❑ CAG con m.i. tipo III e senza displasia controllo ogni 5 anni
❑ CAG con m.i. tipo III e con displasia di basso grado controllo a 6 mesi (pareri
non concordi)
❑ CAG con m.i. tipo III e con sicura displasia di alto grado controllo immediato
e trattamento chirurgico se confermata displasia severa.
DIAGNOSI
Come precedentemente precisato per le condizioni a rischio l’endoscopia ha
un ruolo fondamentale anche nella diagnosi precoce delle neoplasie dello stomaco e per la loro tipizzazione.
Per tale motivo i soggetti con sintomatologia di tipo dispeptico anche di modesta entità ma persistente, con età superiore ai 45 anni dovrebbero essere sottoposti a tale indagine.
27
La patologia gastrica
STADIAZIONE
NEI TUMORI DELL’ESOFAGO LA STADIAZIONE PREOPERATORIA (TNM)
SI AVVALE DI:
❑ Endoscopia:
estensione
margini
localizzazione
caratterizzazione morfologica
❑ Ecoendoscopia:
infiltrazione parietale (parametro T)
valutazione dei linfonodi locoregionali (parametro N)
eventuale interessamento strutture anatomiche adiacenti
❑ CT-RM-Ecotomografia: valutazione situazione locoregionale della malattia,
eventuale presenza di metastasi
TERAPIA
Fino ad un passato recente la gastrectomia totale è stata considerata il trattamento di scelta delle neoformazioni gastriche.
Attualmente questo atteggiamento è in fase di revisione critica a favore di resezioni gastriche meno allargate che assicurano comunque la stessa radicalità.
Quando non è possibile porre in essere una radicalità chirurgica i principali trattamenti palliativi sono rappresentati dalla laser-terapia perendoscopica, gastroenteroanastomosi e dal by-pass con esclusione antrale per assicurare una continuità del
tratto digerente.
In ultimo un certo ruolo può svolgere per la riduzione della massa tumorale la
chemioterapia.
FOLLOW-UP
L’opportunità di controlli periodici è riconosciuta solo per i pazienti operati di
gastroresezione per adenocarcinoma dello stomaco, mentre è chiaramente inutile
per quelli sottoposti a gastrectomia totale. I pazienti sottoposti a gastroresezione,
in assenza di metastasi epatiche, necessitano dopo l’intervento, di un controllo endoscopico ogni 6 mesi per i primi due anni ed in seguito ogni 2 anni. In presenza
di metastasi epatiche i pazienti non rientrano in un protocollo di follow-up.
28
A. Grassi et al.
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LA PATOLOGIA DEL PANCREAS
ESOCRINO, DELLE VIE BILIARI
E DELLA PAPILLA DI VATER
V. Pugliese (Centro di Endoscopia Digestiva, Dipartimento di Oncologia Clinica, Genetica e Biologia,
Università di Genova);
S. Saccomanno (Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro, Genova);
C. Crosta (Istituto Europeo di Oncologia, Milano).
INTRODUZIONE
Globalmente, l’incidenza in Italia del cancro pancreatico, istologicamente adenocarcinoma duttale nel 90% dei casi, può essere stimata intorno a 15 nuovi casi/anno/100.000 abitanti. Peraltro, secondo i registri tumori di 11 province italiane
(Ferrara, Firenze, Genova, Latina, Macerata, Modena, Parma, Ragusa, Torino, Trieste
e Varese) il dato varia dal minimo di 7 (Latina), all’ intermedio di 17 (Genova) fino
a quello massimo di 28 (Trieste) (1). Tale variabilità dipende da differenze metodologiche o differenze nell’età media delle popolazioni locali. In assoluto, circa 7500
nuovi casi vengono diagnosticati ogni anno in Italia (2).
Il dato di mortalità è sovrapponibile a quello di incidenza (circa 6700 decessi/anno). Pertanto, le neoplasie del pancreas esocrino si collocano tra quelle a prognosi
peggiore (3) e rappresentano la quarta causa di morte per neoplasia. La prognosi è
lievemente migliore per le neoplasie primitive delle vie biliari e decisamente più favorevole per le neoplasie dell’ampolla di Vater (4). I sintomi compaiono quasi sempre tardivamente nell’arco della storia naturale e non sono specifici (dolore, calo
ponderale, ittero, colangite acuta, anemia). Nei casi in cui la neoplasia pancreatica
prenda origine nel carrefour bilio-pancreatico e coinvolga precocemente la via biliare principale, l’ittero può manifestrasi meno tardivamente di quanto si verifichi nella grande maggioranza dei casi (5).
PREVENZIONE
La prevenzione primaria di queste neoplasie è impraticabile.
Sono stati identificati FATTORI DI RISCHIO e CONDIZIONI predisponenti,
non tutti definitivamente validati.
30
V. Pugliese et al.
A) FATTORI DI RISCHIO PER LE NEOPLASIE DEL PANCREAS ESOCRINO
❑
❑
❑
❑
tabagismo: rappresenta un fattore certo (rischio relativo = 3 x) (6);
dieta: alto consumo di grassi e proteine animali (7,8);
caffè: è discusso il ruolo del consumo di caffè con/senza caffeina (9);
alcolismo: sicuramente implicato nella eziopatogenesi della pancreatite cronica,
ma non sicuramente associato al cancro (10).
B-1) CONDIZIONI PREDISPONENTI ALLA NEOPLASIA DEL PANCREAS
ESOCRINO
❑ pancreatite cronica: ne è tutt’ora discusso il ruolo (11,12). Tale affezione è
spesso secondaria alla neoplasia (pancreatite ostruttiva);
❑ diabete mellito: di esordio recente (2 anni), senza familiarità diabetica né obesità ma con rapida progressione verso il trattamento insulinico. Esso è verosimilmente conseguenza e non causa della neoplasia (13,14);
❑ gastroresezione: ne è discusso il ruolo di fattore predisponente (iperincrezione di colecistochinina o effetto trofico conseguente all’ ipergastrinemia);
❑ anemia perniciosa: il suo ruolo è in discussione (ipergastrinemia);
❑ familiarità: sono state descritte aggregazioni familiari di neoplasie pancreatiche
(15,16).
B-2) CONDIZIONI PREDISPONENTI ALLE NEOPLASIE DELLE VIE BILIARI
❑ litiasi biliare: è associata al 30% delle neoplasie. È discutibile il suo ruolo predisponente;
❑ interventi chirurgici precedenti:
a) colecistectomia: è associata al 40% dei casi di neoplasia biliare;
b) altri interventi sulle vie biliari sono associati al 25% dei casi;
c) anastomosi coledoco-enterica;
❑ malattia di Caroli, cisti biliari, coledococele (17,18);
❑ giunzione bilio-pancreatica anomala (19);
❑ colangite sclerosante primitiva (20);
❑ colite ulcerativa: è ormai ampiamente accettato che la gran parte dei casi di
colangiocarcinoma in corso di colite ulcerativa insorge in pazienti con preesistente
colangite sclerosante primitiva (21);
❑ fibrosi epatica congenita;
❑ parassitosi (clonorchis sinensis);
❑ tossinfezione: aflatossina.
La patologia del pancreas esocrino, delle vie biliari e della papilla di Vater
31
C) LESIONI PRECANCEROSE DEL PANCREAS, DELLE VIE BILIARI
E DELL’AMPOLLA DI VATER.
La displasia dell’epitelio duttale è la lesione precancerosa comune ai seguenti
quadri:
❑ ductectasia mucinosa del pancreas (22);
❑ cistoadenoma pancreatico mucinoso e sieroso (23);
❑ papilloma biliare (24);
❑ adenoma delle vie biliari e della papilla di Vater.
DIAGNOSI
L’endoscopia non ha più, come nel recente passato, un ruolo diagnostico preminente. Altre tecniche, meno invasive, sono oggi proponibili in prima istanza:
❑ ecotomografia dell’addome superiore: eseguita con attrezzatura moderna, dimostra maggiore sensibilità che in passato e offre la possibilità di eseguire prelievi isto/citologici mediante aspirazione di masse pancreatiche con ago sottile (25);
❑ tomografia assiale computerizzata (TAC): con analoga possibilità di campionamento tissutale (26);
❑ colangio-pancreatografia a risonanza magnetica (MRCP) (27).
Va peraltro segnalato che alcuni Autori dubitano circa l’opportunità di eseguire l’agoaspirato per la potenziale disseminazione neoplastica, specie se la neoplasia
risultasse resecabile (28).
La colangiopancreatografia retrograda endoscopica (ERCP) ha oggi un ruolo
diagnostico di seconda linea, limitato ai casi in cui le tecniche sopracitate non siano conclusive. Ha invece un ruolo primario nei casi di ittero nei quali si intenda ottenere la diagnosi e attuare la terapia palliativa non chirurgica nella stessa seduta.
Anche l’ERCP consente di effettuare prelievi isto/citologici intraduttali o ampollari
per la diagnosi definitiva, senza rischio di disseminazione neoplastica (29, 30).
32
V. Pugliese et al.
STADIAZIONE
❑ eco-endoscopia: tecnica sofisticata che consente sia di ipotizzare la diagnosi, sia
di confermarla mediante esame isto-citologico di agoaspirati (31), sia di stadiare loco-regionalmente la lesione (32) riconoscendo i casi di non resecabilità
per infiltrazione neoplastica dell’asse mesenterico-portale;
❑ angio-tac: assume un ruolo primario soprattutto ai fini del giudizio di resecabilità (33);
❑ laparoscopia: ha un ruolo nella stadiazione peritoneale (34,35).
TERAPIA
La tecnica terapeutica d’elezione è la chirurgia radicale. Essa è possibile nel 2530% dei casi di neoplasia pancreatica (36) risultando palliativa nei restanti casi (bypass bilio-digestivo con by-pass gastro-enterico se vi è ostruzione duodenale da infiltrazione neoplastica). Al contrario, fino al 75% dei pazienti con neoplasia Vateriana primitiva possono essere trattati con intervento radicale (37).
L’ERCP e la colangiografia transepatica percutanea (PTC) hanno un ruolo
palliativo, temporaneo o definitivo, nei pazienti itterici non operabili o con colangite acuta (decompressione della via biliare mediante posizionamento di sondino naso-biliare o endoprotesi).
La decompressione definitiva mediante endoprotesi è il trattamento palliativo
di prima scelta. Tale approccio migliora la qualità di vita (38) e dimostra, rispetto
al by-pass chirurgico, minore mortalità e incidenza di complicanze maggiori insieme
con una più breve durata del ricovero ospedaliero (39).
La prevenzione delle sequele dell’ostruzione delle protesi di plastica (deposizione di fango biliare e conseguenti colangite acuta e recidiva dell’ittero) può
essere perseguita sostituendo l’endoprotesi a tre mesi. Se si suppone una sopravvivenza superiore ai sei mesi, più probabile nei casi di tumore primitivo delle vie biliari, e/o si preveda la brachiterapia, è giustificabile l’impiego di endoprotesi espansibili a maglie metalliche le quali, a fronte del costo elevato (40), si
mantengono pervie per sei mesi nell’ 85% dei casi e consentono di ottenere una
più lunga sopravvivenza libera da sintomi (41). In generale, il ricorso alla via percutanea è da riservarsi ai fallimenti del cateterismo biliare endoscopico (42) anche allo scopo di inserire, se necessario, una guida che agevoli il cateterismo endoscopico (tecnica combinata) (43). Il drenaggio percutaneo ha però una sua indicazione di prima scelta nei tumori della biforcazione con stenosi multiple intra-
La patologia del pancreas esocrino, delle vie biliari e della papilla di Vater
33
epatiche e può averla nella stenosi della biforcazione con interessamento di ambedue i dotti epatici.
Il drenaggio biliare temporaneo, endoscopico o in seconda scelta percutaneo,
è da riservarsi ai rari casi di pazienti operabili complicati da ittero di lunga durata o
da colangite acuta. È da preferirsi, al solo drenaggio esterno naso-biliare, il posizionamento di un’endoprotesi di plastica del calibro di almeno 10 F ed eventualmente, nei casi di colangite, anche di un drenaggio naso-biliare in parallelo per il lavaggio e la terapia antibiotica topica. La chemioterapia (5 FU + ac. folinico) e la radioterapia (intraoperatoria o esterna) hanno scopo palliativo, non sussistendo
chiare evidenze di prolungamento della sopravvivenza.
Sono in corso studi sulla valutazione dell’efficacia dell’associazione di chemioterapia e radioterapia adiuvante.
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LA PATOLOGIA DEL COLON RETTO:
LO SCREENING
A. Tempesta, M. De Bellis
Il carcinoma del colon-retto (CCR) è la terza causa di morte per cancro nel
mondo e la sua incidenza è inferiore solo a quella del cancro del polmone e della
mammella.
Negli Stati Uniti (CCR) rappresenta la seconda causa di morte per cancro, determinando circa il 14% delle morti per neoplasia in questo paese. In Italia ogni anno sono diagnosticati circa 20.000 nuovi casi di CCR, e nel contempo si registrano all’incirca 11.000 decessi a causa di questo tumore. Fattori di rischio per il CCR
sono una dieta ricca in grassi saturi e povera di fibre, un eccessiva assunzione di alcool, una vita sedentaria, l’età avanzata, una familiarità per CCR e alcune condizioni ereditarie.
Mentre una prevenzione primaria può essere perseguita cercando di modificare abitudini alimentari e di vita della popolazione, altri fattori di rischio non possono essere modificati e inducono pertanto una prevenzione secondaria basata su
programmi di screening sia della popolazione generale che dei cosiddetti gruppi a
maggiore rischio di sviluppare CCR. Nella maggior parte dei casi il CCR insorge da
un polipo adenomatoso la cui presenza nel grosso intestino può essere diagnosticata nel 25% delle persone con età 50 anni. La rimozione endoscopica dell’adenoma può pertanto prevenire l’insorgenza di CCR, come dimostrato dal National
Polyp Study, e rappresenta un efficace strumento di prevenzione secondaria di
questo tumore.
Il rischio cumulativo di ammalarsi di CCR nel corso della vita è all’incirca del
6% nella popolazione generale, costituita da soggetti a rischio generico. Tra questi ultimi insorge circa il 75% dei casi di CCR, con un’incidenza che progressivamente aumenta con l’aumentare dell’età a partire dai 40-45 anni. Il 15-20% dei
casi di CCR è invece diagnosticato in soggetti a rischio moderato tra i quali rientrano tutti i familiari di I grado di pazienti con CCR, per i quali è stato dimostrato che il rischio di ammalarsi è raddoppiato rispetto alla popolazione generale e
che l’età di insorgenza del cancro è più precoce. Infatti il rischio di un soggetto
di 40 anni con storia familiare di CCR è simile a quello di un individuo di 50 anni senza fattori di rischio. La presenza di due casi nella stessa famiglia o l’insor-
38
A. Tempesta, M. De Bellis
genza in un familiare di I grado di un adenoma o di un cancro prima dei 60 anni fa aumentare il rischio relativo di ammalare di CCR di quasi tre volte rispetto
alla popolazione generale.
A rischio elevato sono infine i membri di famiglie con Hereditary Nonpolyposis Colorectal Cancer (HNPCC), i soggetti con Poliposi Familiare (FAP) e quelli affetti da malattie infiammatorie del colon. In quest’ultimo gruppo sono diagnosticati i rimanenti casi di CCR (5-10%).
Un programma di screening è indicato per la prevenzione del cancro del CCR
perché:
1. questo tipo di cancro è una patologia comune, che colpisce maschi e femmine più o meno in egual misura e con una elevata incidenza di mortalità e morbilità
2. i diversi tests di screening utilizzati si sono dimostrati accurati nella selezione
dei pazienti e nella diagnosi precoce del CCR e sono relativamente semplici da
eseguire
3. la rimozione endoscopica dei polipi adenomatosi riduce l’incidenza del CCR e
la diagnosi precoce di questo tumore ne riduce la mortalità
4. il rapporto costo/beneficio e l’incidenza minima di effetti collaterali dei tests di
screening per il CCR ne giustificano ampiamente l’utilizzazione di massa.
Pertanto un programma di screening deve essere indirizzato alla individuazione e rimozione endoscopica dei polipi adenomatosi per ridurre l’incidenza del
CCR e alla diagnosi precoce di quest’ultimo al fine di ridurne mortalità e morbilità.
In base ai dati di incidenza e prevalenza del CCR è stato stabilito che lo screening
degli individui a rischio generico deve cominciare all’età di 50 anni, mentre non è
possibile oggettivamente decidere quando lo screening dev’essere interrotto.
Alcuni autori hanno proposto di eseguire lo screening del CCR dai 50 ai 75 anni, tenuto conto che l’intervallo di tempo neccessario perché da un adenoma insorga un CCR è di circa 10 anni.
In realtà lo screening del CCR è indicato sino a quando è presumibile che ci
sia un reale vantaggio per tutti coloro che si sottopongo ad esso, sulla base delle
condizioni generali e dell’aspettativa di vita dei singoli individui. Nel 1997 sono state delineate le linee guida per lo screening dei tumori del colon retto dalla
Agency for Health Care Policy and Research (AHCR) e dall’American Cancer
Society (ACS), di cui si riportano le indicazioni per la popolazione generale e per
i soggetti a rischio intermedio, insieme ad un’analisi delle diverse metodiche di
screening proposte:
La patologia del colon retto: lo screening
39
POPOLAZIONE GENERALE (SOGGETTI ≥ 50 ANNI, ASINTOMATICI
SENZA ALTRI FATTORI DI RISCHIO PER CANCRO DEL COLON-RETTO)
Sono state proposte per lo screening nella popolazione generale le seguenti
metodiche:
1. Ricerca del sangue occulto nelle feci da eseguire ogni anno e sigmoidoscopia
ogni 5 anni
2. Colonscopia e/o clisma opaco d.c. ogni 10 anni
SOGGETTI A RISCHIO INTERMEDIO
1. storia familiare di cancro colorettale in un congiunto di primo grado
• Programma di screening identico a quello della popolazione generale a partire dall’età di 40 anni
2. storia familiare di cancro colorettale o adenoma in un congiunto di primo grado diagnosticato ad un’età < 60 anni oppure due congiunti di primo grado con
CCR o adenomi, indipendentemente dall’età
• Colonscopia o clisma opaco a doppio contrasto ogni 5 anni, a partire da 40
anni o da un età di 10 anni inferiore rispetto a quella del più giovane congiunto di primo grado con patologia colorettale.
Il test per la ricerca del sangue occulto nelle feci si è dimostrato efficace nel
ridurre la mortalità per CCR del 15-33% in studi clinici controllati e randomizzati.
La positività al sangue occulto di due campioni di feci su tre è indicazione all’esecuzione di una colonscopia. Il test per la ricerca del sangue occulto è la sua bassa
sensibilità per il cancro e per i polipi adenomatosi. La reidratazione dei tests comporta un’aumento della sensibilità a spese della specificità e non è al momento raccomandata perché accrescerebbe il numero dei soggetti falsamente positivi che si
sottopongono a colonscopia. Il test per la ricerca del sangue occulto nelle feci può
essere eseguito ogni anno dal momento che non è costoso, non arreca particolari disturbi al paziente e soprattutto perché la frequenza annuale consente di individuare, mediante il test, lesioni ancora precoci non diagnosticate in precedenza.
La sigmoidoscopia ha il vantaggio di essere rapida, relativamente economica,
con una minima incidenza di complicanze (0.0015%). Inoltre non richiede una completa e accurata preparazione intestinale e consente di individuare rispettivamente
circa il 50% dei polipi e dei carcinomi presenti nel colon. La presenza di un polipo
adenomatoso nel colon sinistro è indicazione per l’esecuzione di una colonscopia,
assoluta se il polipo è ≥ 1 cm, relativa se il polipo è ≤ 1 cm, poiché questi ultimi
40
A. Tempesta, M. De Bellis
sono raramente associati a lesioni prossimali maggiori e il rischio di CCR per i pazienti affetti da tali polipi è assimilabile a quello della popolazione generale. Si consiglia di eseguire la sigmoidoscopia ogni 5 anni in quanto è stata rilevata assenza
di cancro e sigmoidoscopie successive eseguite a una distanza media di 3-4 anni,
con un effetto protettivo di almeno 6 anni. Tuttavia poiché con la sigmoidoscopia si può esplorare il colon sinistro sino alla flessura splenica, tutti quei pazienti
con cancro prossimale alla flessura splenica e senza polipi nel colon sinistro risulteranno essere falsi negativi alla sigmoidoscopia di screening (circa il 30% dei pazienti affetti da CCR).
La associazione del test per la ricerca del sangue occulto eseguito annualmente e della sigmosidoscopia eseguita ogni 5 anni si prefigge di migliorare l’efficacia dei singoli tests di screening, come rilevato da uno studio clinico non randomizzato che ha evidenziato come la combinazione dei due metodiche consenta
una diagnosi precoce e una migliore sopravvivenza dei pazienti. Tuttavia questa associazione espone i pazienti ai costi e ai disagi di entrambi i tests di screening senza sicuro miglioramento dell’accuratezza globale.
Il clisma opaco consente di esaminare tutto il colon individuando cancri e grossi polipi, con minima incidenza di complicazioni (perforazioni 1/25.000). Tuttavia
questo esame non è soddisfacente nel 5-10% dei casi e deve essere ripetuto o seguito da colonscopia. Il clisma opaco ha una sensibilità del 50-80% per polipi ≤ 1
cm, del 70-90% per polipi ≥ 1 cm e del 55-85% per cancri Dukes A e B, mentre i
falsi positivi, dovuti alla presenza di feci adese alle pareti o irregolarità della mucosa non di natura neoplastica, oscillano dall’ 1% circa nel caso di cancro, al 5 - 10%
per polipi ≥ 1 cm, sino al 50% circa per polipi ≤ 1 cm. Nella maggior parte dei casi, la ridotta sensibilità di questo esame è attribuibile alla inadeguata visualizzazione
di alcune parti del colon e a errori di interpretazione.
Si consiglia di eseguire il clisma opaco ogni 5-10 anni sulla base della storia naturale della malattia, anche se è forse preferibile ridurre l’intervallo a 5 anni in base alla sua ridotta sensibilità. Pertanto il clisma opaco è fondamentalmente indicato per l’individuazione di grosse lesioni del colon e non è consigliabile quale metodica di screening.
La colonscopia virtuale con TC spirale del colon è una metodica sperimentale
che sembra essere più accurata del clisma opaco, rispetto al quale ha il vantaggio di
essere eseguita in minore tempo, senza l’uso di bario, con minori fastidi per il paziente, fornendo informazioni anche sulla densità della lesione, sulle pareti del colon
e sulle strutture pericoliche. In uno studio sperimentale l’accuratezza della colonscopia virtuale è stata paragonata a quella della colonscopia, considerata il gold standard, dimostrando una sensibilità del 75% (vs 100%) e una specificità del 90% per
La patologia del colon retto: lo screening
41
polipi ≥ 1 cm, una sensibilità del 66% e una specificità del 63% per polipi ≥ 0,5 cm,
e una sensibilità del 45% e una specificità dell’ 80% per polipi ≤ 0,5 cm. Infine è opportuno rilevare che nella maggior parte dei casi gli adenomi piatti non sono individuati dalla colonscopia virtuale. Quest’ultima al momento è ancora metodica sperimentale e non può essere pertanto valutata come eventuale test di screening.
Il test ideale di screening è la colonscopia, anche se più costosa e con un rischio di complicazioni maggiore rispetto alle altre metodiche (1/3000-5000). La colonscopia consente l’esplorazione dell’intero colon, l’individuazione e la tipizzazione istologica mediante biopsie delle lesioni maligne, nonché l’individuazione e l’asportazione di polipi adenomatosi. La sensibilità della colonscopia è di circa il 95%,
mentre molto rari sono i casi di falso positivo. Tuttavia in corso di colonscopia possono non essere individuati il 25% circa dei polipi ≤ 0,5 cm e il 10% circa dei polipi ≥ 1 cm. Ciò è dovuto principalmente ad una inefficace toilette intestinale. Si consiglia di eseguire la colonscopia come test di screening ogni 10 anni in base alla sua
elevata accuratezza e in considerazione dell’intervallo di tempo necessario (stimato in 10 anni ) affinchè da un adenoma possa insorgere un CCR.
Uno dei fattori limitanti oltre a quelli sopra elecanti è la copliance dei pazienti.
Le linee guida tracciate dall’ Agency for Health Care Policy and Research e dall’American Cancer Society risentono dell’influenza dell’organizzazione del sistema
sanitario americano che prevede il rimborso delle prestazioni da parte delle assicurazioni sanitarie private e statali.
Per questo motivo la colonscopia, sia pure ritenuta il gold standard per la diagnosi di adenomi e CCR, non è utilizzata negli Stati Uniti come test di screening di
massa, ma è piuttosto riservata a quei casi in cui il test per la per la ricerca del sangue occulto nelle feci è positivo. Negli Stati Uniti si consiglia pertanto, di effettuare
lo screening della popolazione generale per il CCR mediante l’associazione del test
per la ricerca del sangue occulto nelle feci, eseguito ogni anno, e della sigmoidoscopia, eseguito ogni 5 anni.
Sulla base della specificità pressochè assoluta e della elevata sensibilità (95%)
della colonscopia, associato al minimo rischio di complicanze, riteniamo che questo
esame rappresenti il test ideale di screening per la ricerca del CCR e per la sua prevenzione secondaria, mediante asportazione endoscopica di eventuali polipi adenomatosi individuati. Per altro il costo di una colonscopia in Italia non è così elevato
come negli Stati Uniti e non è molto dissimile da quello di una sigmodoscopia dal
momento che entrambi gli esami endoscopici sono eseguiti da medici specialisti,
contrariamente a quanto accade negli Stati Uniti dove quest’ultima è eseguita da
tecnici. È infatti la retribuzione del personale che sostanzialmente determina il costo
di un esame endoscopico.
42
A. Tempesta, M. De Bellis
LINEE DI COMPORTAMENTO CONSIGLIATE
PER LO SCREENING DEI TUMORI DEL COLON-RETTO
Popolazione generale (soggetti ≥ 50 anni, asintomatici senza altri fattori di
rischio per cancro del colon-retto). Le opzioni possono essere:
❑ ricerca del sangue occulto nelle feci ogni anno seguito da colonscopia se positivo
❑ colonscopia ogni 10 anni
SOGGETTI A RISCHIO INTERMEDIO
Storia familiare di cancro colorettare
in un congiunto di I° grado
❑ coloscopia ogni 10 anni a partire dall’età di 40 anni
STORIA FAMILIARE DI CANCRO COLORETTALE O ADENOMA
IN UN CONGIUNTO DI I° GRADO DIAGNOSTICATO AD UN’ETÀ
< 60 ANNI OPPURE DUE CONGIUNTI DI I° GRADO CON CANCRO
COLORETTALE O ADENOMI, INDIPENDENTEMENTE DALL’ETÀ
❑ coloscopia ogni 5 anni, a partire da 40 anni o da un’ età di 10 anni inferiore rispetto a quella del più giovane congiunto di I grado con patologia colorettale.
SOGGETTI A RISCHIO ELEVATO
vedere i capitoli relativi
Bibliografia
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LA PATOLOGIA DEL COLON RETTO:
GLI ADENOMI
M. Spandre
È stato dimostrato che la quasi totalità dei carcinomi colo- rettali insorge in
adenomi, che la condizione pre-neoplastica è la presenza di adenoma e che la lesione pre-neoplastica è la displasia adenomatosa. Il modello di questa teoria può
essere individuato nell’adenoma con cancerizzazione invasiva, in cui la presenza di
tessuto adenomatoso, displasia di basso grado, displasia di alto grado e adenocarcinoma con tendenza invasiva (superamento della muscularis-mucosae) sono presenti nella stessa lesione e dimostrano chiaramente l’esistenza della sequenza adenoma-displasia-carcinoma.
Da ciò si evince pertanto che la più efficace metodica per l’attuazione della prevenzione secondaria del cancro del retto- colon sia la polipectomia endoscopica
sistematica di tutte le formazioni polipose individuate endoscopicamente ed il successivo controllo periodico, secondo tempi e schemi che variano nelle diverse situazioni, atto a rilevare l’insorgenza di lesioni metacrone.
Infatti, il rischio di sviluppare nuovi adenomi dopo aver ottenuto la condizione
di “colon libero da polipi” varia dal 20 al 30%.
Il fatto di eliminare eventuali polipi metacroni insorti nel tempo, successivamente alla prima bonifica del grosso intestino, diminuisce in questa categoria di pazienti l’attesa di cancro colo-rettale, non solo rispetto ad ideali gruppi-controllo con
adenomi non asportati, ma anche rispetto alla popolazione generale non studiata
endoscopicamente.
I due problemi della prevenzione secondaria del cancro del colon-retto sono
in effetti, da una parte la scelta di una metodica di screening sulla popolazione che
individui i gruppi a rischio portatori di adenomi, dall’altra la modalità di controllo
(follow-up) dei portatori di adenoma già sottoposti a polipectomia endoscopica.
I controlli periodici tramite esecuzione di colonscopia totale annuale o biannuale in tutti i pazienti sottoposti a polipectomia endoscopica indiscriminatamente
sono inutili e difficilmente proponibili valutando il rapporto costo-beneficio.
Infatti la frequenza di cancerizazione invasiva in adenoma assomma a circa il 45%,secondo le diverse casistiche. Inoltre i dati epidemiologici indicano che il rischio
di insorgenza di CCR in un maschio di 50 anni senza pregressa diagnosi di adeno-
44
M. Spandre
ma colo-rettale è di circa il 5% nei successivi 30 anni, con un conseguente rischio
di morte per la malattia di circa il 2.5%, mentre il rischio di insorgenza di cancro
nella sede di adenoma non asportato è di circa il 25% (circa 6 volte quello della
popolazione generale).
La rimozione degli adenomi dovrebbe quindi riportare il rischio a quello della
popolazione generale non esaminata endoscopicamente.
Il rischio in pazienti già sottoposti a bonifica endoscopica del colon e non più ricontrollati nel tempo varia in proporzione alla dimensione degli adenomi stessi.
Il rischio, nel caso di asportazione di adenomi con dimensioni superiori a 1
cm. è di circa il 12% a 30 anni (circa 2 volte la popolazione generale), mentre
per gli adenomi inferiori al cm è sovrapponibile a quello della popolazione generale.
La dimensione di 1 cm può dunque essere considerata come discriminante per
diversa conduzione di un programma di follow-up nei pazienti sottoposti ad asportazione di adenomi. Dai dati riportati dal National Polyp Study Workgroup, anche
la verifica del colon libero da polipi effettuata dopo un anno dalle polipectomie iniziali potrebbe essere spostata a 3 anni senza diminuzione dell’efficacia della sorveglianza e con miglioramento del rapporto costo-beneficio.
È anche importante valutare che la velocità di duplicazione delle dimensioni,
negli adenomi di diametro di circa 1 cm., è stata stimata in un periodo superiore
ai 3 anni e che questo periodo sia all’incirca lo stesso durante il quale, in un colon libero da polipi, un adenoma possa rendersi visibile macroscopicamente all’indagine endoscopica. Inoltre, in una casistica di 120 pazienti selezionati sottoposti
ad asportazione endoscopica di adenoma con cancerizzazione invasiva a basso rischio di metastasi, considerata trattamento radicale della lesione, e seguiti annualmente con colonscopia totale per un periodo di 10 anni, il picco di riscontro di
adenomi metacroni (tutti di dimensioni inferiore al cm.) è stato ogni 4 anni. Nessun adenoma con diametro superiore al cm. è mai stato rilevato nel corso del follow-up e verosimilmente, parte degli adenomi riscontrati ai controlli sono da considerare polipi non visti (missing-polyps). In base ai dati riportati è da considerare
quindi ininfluente ai fini della diminuzione di insorgenza di cancro colo-rettale in
pazienti sottoposti ad asportazione di adenomi un follow-up condotto con cadenza inferiore ai 4 anni.
La patologia del colon retto: gli adenomi
45
SCHEMA DI FOLLOW-UP NELLA POLIPOSI ADENOMATOSA SPORADICA:
Punto “0”: Esecuzione di colonscopia totale con asportazione di tutti gli adenomi.
Condizione di “Colon libero da polipi”
❑ Se colonscopia eseguita in condizioni ottimali non necessari controlli prima
dei 3 anni.
❑ Se colonscopia eseguita in condizioni subottimali necessario controllo a 1 anno per ricerca “polipi non visti”.
Asportazione di 1 adenoma di diametro inferiore a 1 cm:
❑ Rischio di cancro uguale alla popolazione generale. Non necessario ulteriore
follow-up.
Asportazione di 1 adenoma di diametro superiore al cm. o asportazione di
adenomi multipli:
❑ Colonscopia totale ogni 5 anni.
❑ Questo schema è valido anche per gli adenomi con displasia di alto grado,
comprendendo in questa categoria l’ex dizione di carcinoma in situ o carcinoma non invasivo o carcinoma intramucoso (non oltrepassante la muscularismucosae).
Asportazione di adenoma con cancerizzazione invasiva a basso rischio di
metastasi (carcinoma bene o moderatamente differenziato, linea di resezione su
tessuto normale, assenza di emboli venosi o linfatici):
❑ Controllo della sede della polipectomia dopo 6 mesi.
❑ Controllo periodico uguale a quello per gli altri adenomi.
❑ Esecuzione annuale di marcatori oncologici, emocromo, transaminasi, ecotomografia addominale.
Asportazione di adenoma con cancerizzazione invasiva ad alto rischio di metastasi (33-38%) (carcinoma indifferenziato, presenza di emboli neoplastici venosi o linfatici, non sicura linea di sezione su tessuto indenne):
❑ Chirurgia e follow-up sovrapponibile a quello del colon operato per cancro.
46
M. Spandre
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LA PATOLOGIA DEL COLON RETTO:
LA SORVEGLIANZA NEOPLASTICA
NELLE IBD
F. Scotto, A. Pellecchia
Il problema dell’insorgenza di una neoplasia maligna colica in pazienti affetti da
malattie infiammatorie intestinali (IBD) è tuttora oggetto di discussione fra gli
esperti per i risvolti di ordine epidemiologico, clinico e terapeutico.
Il potenziale carcinogenetico risulta peraltro essere dissimile nelle due principali forme di malattie croniche intestinali; mentre per la rettocolite ulcerosa (RCU) appare accettato il carattere “precanceroso” in quanto l’insorgenza della displasia costituisce un reperto abbastanza frequente nella malattia di lunga durata, nel morbo
di Crohn (MC) ciò rappresenta una rara evenienza. Pertanto, le potenzialità evolutive in senso neoplastico sembrano essere superiori per la RCU rispetto al MC; ne
consegue una diversa condotta nella gestione del follow-up delle due patologie.
Dalla selezione delle principali casistiche pubblicate in letteratura si evince che
il rischio di degenerazione neoplastica, variabile per durata ed estensione della malattia, è quantificabile in 5-40% per la RCU e 6-20% per il MC (1), anche se quest’ultimo dato per alcuni AA. non supererebbe il 3,4% (2). La variabilità dipende
essenzialmente dalla durata e dalla estensione della malattia, mentre il grado di attività istologica rappresenta un fattore di rischio parziale (3). È stato evidenziato
che per il MC il rischio maggiore è rappresentato dalla localizzazione colica e dalla
sede chirurgica perianastomotica, mentre per la RCU l’interessamento del solo colon sinistro, ma di lunga durata, è passibile di evoluzione neoplastica (4).
I fattori di rischio classici che guidano pertanto i protocolli di sorveglianza neoplastica nelle IBD sono rappresentati da:
❑
❑
❑
❑
❑
Estensione della malattia;
Durata della malattia;
Età di esordio;
Displasia della mucosa colo-rettale;
Difetti citoproliferativi della mucosa.
48
F. Scotto, A. Pellecchia
Estensione della malattia: la maggior parte delle casistiche riporta che le coliti
estese a tutto il colon abbiano un rischio maggiore di sviluppare un cancro; la localizzazione al colon sinistro avrebbe rischio simile ma ritardato di qualche decennio rispetto alle pancoliti;
Durata della malattia: il rischio di degenerazione sembra direttamente proporzionale alla durata della malattia: molto basso o trascurabile nel primo decennio, cresce di 6-7 punti in percentuale per ogni decennio di malattia;
Età di esordio: l’esordio in giovane età, considerato in passato un maggior rischio per la degenerazione neoplastica, viene attualmente preso in considerazione
in relazione alla più lunga aspettativa di vita dei pazienti;
Displasia della mucosa colo-rettale: è sicuramente il parametro più predittivo
nella sorveglianza neoplastica delle IBD, rappresentando un affidabile “marker istopatologico” correlato alla possibile degenerazione neoplastica. Il riscontro di displasia di grado severo è già indice di degenerazione neoplastica.
Difetti citoproliferativi della mucosa: il reperto di aneuploidia nelle cellule
della mucosa colo-rettale, evidenziato mediante tecnica di citometria a flusso,
sembrerebbe essere un pattern dell’evoluzione maligna (5). L’endoscopia rappresenta pertanto la metodica di scelta nella sorveglianza neoplastica delle IBD, in
quanto permette l’esecuzione di prelievi bioptici multipli lungo tutti i tratti esplorati. Tale sorveglianza, mentre risulta essere di fondamentale importanza nella
RCU per il suo potenziale neoplastico, non trova pari indicazione nel MC dotato
di minimo rischio degenerativo, fatta eccezione per le localizzazioni coliche e perianastomotiche (6).
Il timing più accettato per la RCU è quello indicato nella tabella 1 (1, 7):
TAB. 1 - SORVEGLIANZA NEOPLASTICA PER RETTOCOLITE ULCEROSA
Durata della malattia
superiore a 8 anni
Pancolonscopia con biopsie multiple, eseguite
ogni 10 cm, ogni 1-2 anni
Reperto istologico di displasia
(in qualsiasi controllo):
❑ incerta per grado
Ripetizione dell’esame endoscopico dopo 6 mesi
con biopsie addizionali per definizione istologica certa
❑ di basso grado
Pancolonscopia con biopsie ogni 6 mesi
Colectomia nei pazienti giovani
dopo conferma istologica
❑ di alto grado
Colectomia dopo conferma istologica
❑ Displasia su lesione
polipoide o massa (DALM)
Colectomia per qualunque grado di displasia
La patologia del colon retto: la sorveglianza neoplastica nelle IBD
49
In conclusione il protocollo di sorveglianza neoplastica nelle IBD è precipuo appannaggio della RCU, non avendo il MC una significativa capacità oncogenetica; il
cardine del follow-up verte sull’identificazione del reperto displastico, indice di fondamentali strategie terapeutiche.
Bibliografia
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follow-up e diagnosi precoce. Riv It Colonproct 1995, 14:83-87.
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Napoli, 23-24 novembre 1996 a cura di De Masi E, Loriga P, Manneschi L. Il Pensiero
Scientifico Editore 1996, 307.
LA PATOLOGIA DEL COLON RETTO:
I TUMORI EREDITARI
P. Fracasso, M. Fornasarig, G.B. Rossi, V. Stigliano, A. Tempesta
La poliposi familiare adenomatosa (FAP) è la più nota condizione in cui la suscettibilità a sviluppare un tumore del colon viene trasmessa come carattere ereditario; per porre tale diagnosi è necessario che siano presenti almeno cento polipi
adenomatosi nel colon. Esiste tuttavia una condizione assai più frequente di tumori
ereditari del colon cosiddetta “non poliposi”, detta HNPCC dall’acronimo di “hereditary non polyposis colorectal cancer”, responsabile di almeno il cinque per cento
del totale dei tumori del colon, contro l’un per cento dei tumori su poliposi familiare e l’un per cento dei tumori su colite ulcerosa, che spesso viene misconosciuta.
HNPCC
Caratteristiche particolari di tali tumori sono: la frequente localizzazione prossimalmente alla flessura splenica (65.4% vs 22% in una casistica finlandese), istologicamente si tratta spesso di tumori mucinosi, tendono ad interessare soggetti giovani
(sotto i 50 anni) ed è frequente la comparsa di tumori metacroni e sincroni. È evidente tuttavia che nessuna di queste caratteristiche, anche qualora fosse presente
contemporaneamente a tutte le altre, può permettere di porre diagnosi di “tumore
ereditario”. Per fare chiarezza sulle modalità di diagnosi l’International Collaborative
Group on HNPCC ha fissato nel 1990 dei criteri minimi per la diagnosi di tumore
ereditario del colon non poliposi. Tali criteri, detti di Amsterdam dal luogo di riunione di questo gruppo sono i seguenti: esistenza di almeno tre parenti con cancro
colorettale istologicamente accertato, uno dei tre deve essere parente di primo grado degli altri due; il cancro colorettale deve interessare almeno due generazioni consecutive; almeno uno dei casi deve essere diagnosticato prima dei 50 anni di età.
Tali criteri tuttavia sono stati proposti per la selezione di pazienti da inserire in
studi sperimentali; è evidente la loro limitatezza per applicazioni cliniche. Al momento attuale si ritengono interessati nella patogenesi del HNPCC almeno 5 diversi
geni; 4 di questi sono stati identificati e sequenziati. Localizzati su cromosomi differenti, codificano delle proteine coinvolte nel meccanismo di riparazione del DNA
(hMSH2, hMHL1, hPMS1, hPMS2). Dal punto di vista clinico nel HNPCC possono
52
P. Fracasso et al.
essere presenti tumori a carico di organi differenti; particolarmente interessati sono
endometrio, stomaco, mammella, apparato urinario, vie biliari e pancreas.
È opportuno valutare la frequenza e la localizzazione dei tumori extracolici nella gestione di queste famiglie, in quanto noxae ambientali possono inferire su una
predisposizione genetica. Se viene rilevata una aggregazione familiare suggestiva per
HNPCC, vanno poste in atto misure preventive aggressive, anche qualora non vengano soddisfatti tutti i criteri di Amsterdam. Inoltre sono da considerare esami diagnostici variabili a seconda della storia clinica della famiglia, a carico dell’apparato genitale femminile, dello stomaco, delle vie biliari, dell’apparato urinario, ecc.
SORVEGLIANZA DEL CANCRO COLORETTALE:
La sorveglianza appare essere il metodo migliore per la diagnosi precoce e, attraverso la polipectomia, per la prevenzione del cancro del colon. L’efficacia dello
screening attraverso la colonscopia in membri a rischio di famiglie con HNPCC è
stata valutata in uno studio finlandese. Gli autori hanno concluso che una colonscopia ogni tre anni riduce sensibilmente l’incidenza del cancro colorettale, e previene la morte per cancro colorettale. Lynch et al. raccomandano invece una colonscopia totale ogni 1-2 anni, ad iniziare dal 20-25 anno di età.
SORVEGLIANZA DEI CANCRI EXTRACOLICI
I membri di famiglie HNPCC possono sviluppare tumori a carico di altri organi: endometrio, stomaco, intestino tenue, mammella, vie urinarie, vie biliari ed
ovaio. Non sono state ancora stabilite le procedure e gli intervalli di screening per
LINEE DI COMPORTAMENTO PER LA GESTIONE DEI PAZIENTI HNPCC
(International Collaborative Group for HNPCC)
ORGANO
Colon
Endometrio e Ovaio
TECNICA
ETÀ MINIMA
INTERVALLO
Colonscopia
20-25 aa.
2 aa
visita ginecologica
30-35 aa.
1-2 aa.
ecografia transvaginale
endocyte, CA125
Stomaco*
Gastroscopia
30-35 aa.
1-2 aa.
Vie urinarie*
Ecografia
30-35 aa.
1-2 aa.
Analisi urine
* Solo se presenti nella famiglia di appartenenza
Colectomia profilattica
Polipi adeonomatosi ricorrenti o grossi polipi con displasia
severa o di tipo villoso
Isterectomia profilattica
Proposta in occasione di colectomia
Dopo intervento sul colon, tenere sotto stretta sorveglianza il grosso intestino residuo, con esame endoscopico annuale.
La patologia del colon retto: i tumori ereditari
53
tali tumori, cosi come mancano studi prospettici. La scelta dei test di screening dovrebbe variare sulla base dei tumori che sono presenti nella famiglia di appartenenza.
LINEE DI COMPORTAMENTO CLINICHE PER LA F.A.P.
Per definizione la FAP è caratterizzata dal rischio teorico del 100% di cancro
colorettale per gli individui affetti se non sottoposti a trattamento. Lo scopo dello screening familiare è di individuare i soggetti a rischio in un’età alla quale la probabilità di trasformazione maligna degli adenomi del retto-colon è assente o estremamente rara (1%) al momento o prima della pubertà. Pertanto è necessario
dapprima procedere ad adeguata ricostruzione del pedigree familiare, successivamente potrà essere avviato il programma di screening dei soggetti a rischio così
individuati, utilizzando anche varie metodiche di analisi molecolare. I tests molecolari disponibili sono stati introdotti solo recentemente e la loro sensibilità non
è ancora stata definita in assoluto e comunque non si ritiene essere superiore
all’80%; pertanto è possibile che in alcune famiglie la mutazione germinale responsabile non venga identificata. Quindi possiamo ipotizzare e schematizzare che
individui a rischio siano riconosciuti e definiti tali in seguito ai risultati di tests genetici (gene carriers) oppure dopo un attento esame del pedigree correttamente
ricostruito.
SCREENING E FOLLOW UP FAMILIARE
In considerazione di quanto accennato in precedenza e nei precedenti capitoli il programma di screening dei familiari a rischio può essere schematizzato secondo:
1. Individui appartenenti a famiglie con mutazione Apc individuata
2. individui appartenenti a famiglie in attesa di determinazione della mutazione
oppure mutazione non individuata con i tests molecolari.
1. INDIVIDUI APPARTENENTI A FAMIGLIE CON MUTAZIONE APC
INDIVIDUATA
1A) Individui portatori della mutazione APC: con mutazione germinale del gene
Apc diagnosticata con le varie metodiche di analisi molecolare
54
P. Fracasso et al.
Metodica:
❑ Esame clinico (anamnesi, visita)
❑ Colonscopia (o in subordine rettosigmoidoscopia flessibile) con tipizzazione
istologica di eventuali lesioni con caratteristiche sospette, per conferma della
natura adenomatosa.
Inizio: variabile tra i 10 e 14 anni di età (in età più precoce qualora la storia familiare o caratteristiche molecolari lo suggeriscano).
Frequenza: 1-2 anni sino alla comparsa degli adenomi colici o comunque sino
quando non è effettuato l’intervento chirurgico di colectomia.
1B) Individui non portatori della mutazione APC: negativi ai tests molecolari ed
appartenenti a famiglie con mutazione germinale APC determinata. Allo stato
attuale delle conoscenze in questi individui il rischio è pari a quello della popolazione generale. Tuttavia è consigliata una sorveglianza.
Metodica:
❑ Esame clinico (anamnesi, visita).
❑ Colonscopia (o in subordine rettosigmoidoscopia flessibile) in relazione all’età
dell’individuo e ad eventuali precedenti esami endoscopici effettuati.
In sintesi 1 esame endoscopico entro i 20 anni ed 1 tra 25 e 30 anni.
2. INDIVIDUI A RISCHIO DETERMIANTO DAL PEDIGREE:
Metodica: colonscopia (o in subordine rettosigmoidoscopia flessibile).
Inizio:
variabile tra i 10-15 anni di età
Frequenza: 1-2 anni sino all’età di 30 anni, quindi ogni 3-5 anni sino all’età di
40 anni. Oltre l’età di 40 anni la frequenza degli esami può essere allungata (3-5
anni) o rientrare nei programmi di screening della popolazione generale.
MARCATORI FENOTIPICI
La F.A.P. è caratterizzata non solo dalla presenza di adenomi colici ma anche
da alterazioni o manifestazioni extra coliche quali:
❑ Ipertrofia congenita dell’epitelio pigmentato della retina (CHRPE)
Certamente il più precoce e frequente (80%) marcatore della malattia è rilevabile
con l’esame del fondo dell’occhio. La CHRPE consiste in piccole aree oscure, rotondeggianti od ovalari, localizzate preferibilmente nella porzione periferica della retina.
La diagnosi è in genere semplice, ma a volte la morfologia può essere atipica e
condurre ad un’errata interpretazione.
La patologia del colon retto: i tumori ereditari
55
In genere un individuo è considerato CHRPE positivo in presenza di lesioni bilaterali oppure di un numero elevato di lesioni in un solo occhio (ad esempio quattro) oppure con una macchia singola però di dimensioni notevoli.
❑ Anomalie dentarie
Rappresentate da denti inclusi, sovrannumerari, malformati o malposizionati:
frequenza 11-38%.
❑ Osteomi od esostosi
Prevalentemente a livello cranico, in particolare a carico della mandibola: frequenza stimata non superiore al 50%.
❑ Cisti epidermoidali
Frequenti anche nella popolazione generale.
L’impiego dei marcatori fenotipici (in particolare osteomi mandibolari, macchie
retiniche) per l’identificazione dei soggetti a rischio può essere utile in quanto le
metodiche utilizzate sono estremamente economiche e poco invasive.
Tuttavia la loro efficienza, in termini di sensibilità e specificità, non appare molto elevata in quanto estremamente influenzabile da numerose variabili (es. numero macchie retinche predittivo) e dalle caratteristiche familiari (es. non omogenea
distribuzione del marcatore negli individui affetti della famiglia).
È comunque consigliabile che il probando di ogni famiglia alla diagnosi, sia esaminato alla ricerca di queste manifestazioni extracoliche. L’intento è di un loro utilizzo come metodo di screening dei familiari a rischio, soprattutto in mancanza di
disponibilità di analisi molecolari.
TRATTAMENTO
Attualmente per la FAP il trattamento ottimale è considerato l’intervento chirurgico diretto in prima istanza all’interruzione della sequenza adenoma-carcinoma.
Pertanto è necessario stabilire quando effettuare l’intervento chirurgico, quali le caratteristiche e quali modalità del follow-up.
1) Quando l’intervento chirurgico?
L’intervento chirurgico profillattico può essere proposto alla diagnosi di adenomi colici. Tuttavia se alla diagnosi, la malattia risultasse priva di alterazioni istologiche di malignità o di iniziale trasformazione (es. aree di displasia grave) o di adenomi ad alto rischio di rapida degenerazione (es. adenoma villoso) l’intervento chirurgico può essere rinviato sino all’età di 20 anni, ma non oltre i 25 anni perché al
di sopra di questo limite aumenta notevolmente il rischio di cancerizzazione.
Alcuni autori consigliano, soprattutto per pazienti di sesso femminile se possi-
56
P. Fracasso et al.
bile di rinviare l’intervento sino a questa età (25 anni) per ridurre il rischio di desmoidi intraddominali, soprattutto se altri membri della famiglia abbiano manifestato questa caratteristica.
Al contrario l’intervento in età precoce può essere proposto in caso di malattie o mutazioni associate a fenotipo particolarmente aggressivo.
I fattori da prendere in considerazione sono l’età del paziente, il numero e la
grandezza dei polipi, un numero contenuto e una grandezza inferiore a 5 mm., possono costituire un criterio di attesa. Tuttavia per programmare l’intervento chirurgico il numero degli adenomi non deve essere considerato fondamentale, soprattutto in pazienti con mutazione germinale determinata.
2) Quale intervento chirurgico?
L’intervento chirurgico standard consiste nella colectomia totale con o senza
asportazione del retto e può essere condotto secondo 3 modalità:
a) colectomia totale con ileo-rettoanastomosi. Questo intervento è considerato il
trattamento standard dei pazienti FAP, perché risulta essere ottimo compromesso:
infatti la conservazione del retto è in grado di fornire un risultato funzionale soddisfacente e di contenere i rischi di lesioni ai nervi pelvici con conseguenti danni urogenitali, soprattutto nei pazienti di sesso maschile, ma comporta il rischio di cancro
del moncone rettale (25% a 30 anni dall’intervento). Il moncone rettale pertanto
deve essere controllato con esami endoscopici periodici, la cui frequenza va programmata in base alla situazione presente all’intervento e mai superiore ai 12 mesi.
Questo intervento chirurgico è indicato quando sia stata esclusa la presenza di
carcinoma rettale, quando il numero dei polipi sia tale da poter essere bonificato
endoscopicamente e il paziente, consapevole del rischio, accetti di sottoporsi ad
un regolare follow-up prolungato nel tempo.
b) Proctocolectomia totale restaurativa. Questo intervento consiste nell’asportazione totale del colon e del retto conservando l’apparato sfinterico. La continuità
intestinale è ottenuta effettuando un’astomosi ileoanale con asportazione della mucosa rettale sino al canale anale. Per superare gli inconvenienti funzionali conseguenti ad un’astomosi diretta è preferibile confezionare una tasca utilizzando uno
o più segmenti di ileo terminale. La complessità e la molteplicità delle procedure
con le conseguenti complicanze hanno limitato la diffusione di questa metodica che
peraltro è considerata di scelta in centri con esperienza per questa tecnica. Infatti
è giudizio unanime che i risultati funzionali di questo intervento possono essere paragonati alla colectomia con conservazione del retto. Tuttavia le complicanze nettamente superiori suggeriscono che la sua attuazione debba essere ben valutata e
lasciata a chirurghi con particolare esperienza.
La patologia del colon retto: i tumori ereditari
57
c) Proctocolectomia totale con ileostomia definitiva. In grado di annullare il rischio
di cancro a carico di eventuale mucosa residua, ma con grave danno alla qualità di
vita conseguente alla necessità di allestire un’ileostomia permanente.
Questo intervento è indicato particolarmente nei pazienti con ca. avanzato
(Dukes B-C) del 1/3 inferiore del retto.
LESIONI EXTRA-COLICHE CHE RICHIEDONO TERAPIA
La FAP è caratterizzata nella sua espressione fenotipica dalla comparsa di malattie neoplastiche in sede extracolica in particolare:
❑ Adenomi e carcinomi dell’App. Digerente Superiore. (Più frequenti duodeno, papilla
di Vater, ma anche stomaco, digiuno-ileo, colecisti). La frequenza degli adenomi
aumenta con l’età e può variare tra il 20-90% con un rischio di ca. stimato intorno al 6% e comunque nettamente inferiore rispetto agli adenomi colici.
❑ Desmoidi intra-extraddominali. Le cause di questa neoplasia, definita a malignità
locale per l’elevato grado di infiltrazione e di recidività, non sono note anche
se nei pazienti FAP generalmente compare in sede di pregressi interventi chirurgici. Il rischio è stimato intorno al 10-25% con prevalenza per il sesso femminile, i desmoidi sono la prima o seconda causa di morte nei pazienti FAP sottoposti a colectomia profilattica.
La sede intraddominale (mesenterica, retroperitoneale) di tali neoplasie impedisce frequentemente un’asportazione chirurgica radicale, se non effettuando
interventi particolarmente estesi e quindi con elevato grado di complicanze per
il sacrificio dei tratti di intestino tenue.
Pertanto la strategia terapeutica suggerisce interventi solo alla comparsa di sintomi di particolare rilevanza quali l’occlusione intestinale. L’efficacia di vari trattamenti farmacologici è ancora oggetto di valutazione.
❑ Altre situazioni patologiche. Sono riportate altre neoplasie associate alla FAP che
possono comparire prima della poliposi colica: tumori papillari della tiroide,
adenomi e carcinomi delle vie biliari, neoplasie ovariche ed uterine, rabdomiosarcomi, osteosarcomi, tumori cerebrali, epatoblastomi.
FOLLOW-UP PAZIENTI FAP
Alla diagnosi di FAP è opportuno che i pazienti siano sottoposti a indagini strumentali con lo scopo di rilevare la presenza di manifestazioni o malattie extracoliche.
Gli esami devono essere programmati e taluni ripetuti anche dopo l’effettuazione della eventuale colectomia profilattica.
58
P. Fracasso et al.
❑
❑
❑
❑
Esame clinico ogni 6-12 mesi, includendo palpazione regione tiroidea.
Visita oculistica - fundus oculi (alla diagnosi).
Ortopantomografia della mandibola (alla diagnosi).
Gastroduodenoscopia (con strumento a visione frontale e laterale) ogni 2-3
anni in assenza di lesioni, con frequenza più ravvicinata invece in presenza di
adenomi in quanto l’approccio terapeutico non è ancora stato ben definito.
❑ Ecografia addominale-pelvica (eventuale TC o RMN) periodica (12 mesi)*
❑ Ecografia tiroidea periodica (12 mesi) nei pazienti di sesso femminile.
❑ Rettoscopia, in caso di conservazione del retto (massimo ogni 12 mesi).
* Se alla diagnosi di FAP vi è stata evidenza di adenocarcinoma colo-rettale, le
modalità di follow-up e di trattamento complementare rientrano negli schemi previsti per i pazienti affetti da ca. colorettale sporadico.
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LA PATOLOGIA DEL COLON RETTO:
DIAGNOSI, FOLLOW-UP
E PALLIAZIONE DEL CARCINOMA
A. Pellecchia, F. Scotto
DIAGNOSI
La diagnosi del cancro del colon-retto (CCR) trova nella pancolonscopia l’esame di scelta, per la sua specificità e l’elevata sensibilità (95%), a fronte di un minimo rischio di complicanze (1/3000-5000 nella fase diagnostica); in corso di esame
è inoltre possibile l’esecuzione di prelievi bioptici e/o la rimozione di polipi per la
definizione morfologica delle lesioni. La visualizzazione dell’intero colon si ottiene
in oltre il 95% dei casi, se la procedura è effettuata da endoscopisti esperti in pazienti adeguatamente preparati.
Una pancolonscopia, seguendo anche le linee guida ASGE, deve perciò essere
eseguita per una diagnostisi precoce di tale neoplasia:
❑
❑
❑
❑
in caso di sospetta patologia al clisma opaco
nei sanguinamenti intestinali da causa non conosciuta
nell’anemia sideropenica di origine non nota
nelle malattie infiammatorie intestinali da meglio definire per grado di attività
ed estensione
❑ nella diarrea rilevante dal punto di vista clinico, di origine da precisare
Una coloscopia è inoltre indispensabile:
❑ come conferma di lesioni individuate radiologicamente anche per la definizione morfologica
❑ in corso di intervento chirurgico, per definire lesioni non altrimenti evidenziabili
❑ prima del trattamento chirurgico per l’identificazione della sede della neoplasia,
per escludere la presenza di altre lesioni sincrone e per resecare i polipi intestinali non compresi nel tratto di intestino che verrà asportato.
Due fattori di fondamentale importanza nella prognosi del CCR sono rappresentati dall’interessamento linfonodale e dall’estensione in profondità della neopla-
60
A. Pellecchia, Francesco Scotto
sia nell’ambito della parete intestinale. Di grande ausilio nello staging del CCR è
pertanto l’utilizzo dell’ecoendoscopia (EUS), metodica dotata di un’accuratezza fino all’86% nell’evidenziare metastasi linfonodali e fino al 97% nello stabilire il grado d’infiltrazione della parete intestinale. Questa procedura consente pertanto un
miglior approccio, finalizzato al trattamento più appropriato, al paziente affetto da
CCR, evidenziando i soggetti a maggior rischio di recidiva.
FOLLOW-UP
Il follow-up endoscopico riveste particolare importanza nei pazienti sottoposti
a resezione intestinale per CCR nella diagnostica e nella terapia delle eventuali recidive e dei tumori metacroni. La recidiva anastomotica dopo resezione si presenta con un’incidenza di circa il 3% nei pazienti sottoposti a controllo endoscopico;
inoltre i soggetti operati per CCR risultano essere a maggior rischio per l’insorgenza di una nuova neoplasia rispetto alla popolazione generale oltre alla maggiore possibilità di sviluppare adenomi metacroni.
Secondo alcuni AA. la possibilità di successo del programma di follow-up nei
pazienti operati per CCR dipende fondamentalmente da 3 variabili:
1) la prevalenza della malattia nella popolazione sottoposta al follow-up;
2) la sensibilità e la specificità delle procedure di screening;
3) l’efficacia dei metodi di trattamento della malattia.
Quanto più lungo sarà l’intervallo tra la prima neoplasia e la recidiva, quanto più
precoce sarà la sua diagnosi e quanto maggiore sarà la possibilità di successo del suo
trattamento chirurgico, tanto più efficace sarà risultato il follow-up.
Questo dovrà inoltre prevedere, oltre ai controlli endoscopici, un monitoraggio
clinico, il dosaggio di markers tumorali (CEA, CA 19-9, CA 72-4) e l’esecuzione periodica di altre indagini (ecografia, TAC dell’addome e Rx torace); l’EUS risulta particolarmente indicata nei sospetti di recidiva anastomotica, avendo un’elevata sensibilità (99-100%) e specificità (87%). Pur non potendo sostituire le metodiche endoscopiche e radiologiche, i markers tumorali possono evidenziare precocemente le
eventuali recidive locali e lo sviluppo di metastasi. Il CEA, antigene carcino embrionario, è il marker dotato di maggior sensibilità (63.9%); il CA 72-4 ha sensibilità sovrapponibile a quelle del CEA e del CA 19-9 negli stadi A, B e C del CCR secondo
Dukes, simile a quelle del CEA e maggiore di quella del CA 19-9 nello stadio D.
La pancolonscopia rappresenta l’esame di scelta nel controllo a distanza dei pazienti resecati per CCR rispetto ad altre indagini, quali la ricerca del sangue occulto nelle feci ed il clisma opaco, non risultate di pari efficacia.
La patologia del colon retto: diagnosi, follow-up e palliazione del carcinoma
61
Il protocollo di sorveglianza dovrà inoltre tener conto della sede della neoplasia resecata e dello stadio della malattia, avendo come punto di partenza una pancolonscopia eseguita prima dell’intervento chirurgico o entro 6 mesi da questo, laddove non sia stata effettuata un’esplorazione endoscopica completa del colon prima della resezione; ciò tenendo presente che in letteratura la prevalenza dei tumori sincroni è del 2.2%.
Le recidive endoluminali rappresentano il 10-17% delle recidive locali e si manifestano nell’85% dei casi entro i primi 30 mesi dall’intervento; questo indica che
controlli più intensi devono essere effettuati entro i primi 3 anni dalla resezione. La
recidiva anastomotica è risultata essere significativamente più frequente nei pazienti
operati per carcinoma del retto rispetto a quelli sottoposti a resezione per carcinoma del colon, probabilmente in relazione alla difficoltà chirurgica d’isolamento
della neoplasia dagli organi pelvici adiacenti con possibilità di persistenza di microfocolai neoplastici.
Il programma di sorveglianza dovrà pertanto avere scadenze diverse a seconda della sede della neoplasia primitiva. Un altro fattore condizionante il follow-up
è rappresentato dallo stadio della neoplasia, essendo una malattia a stadio avanzato a maggior rischio di recidive. Le linee guida del programma di follow-up endoscopico post-intervento su cui c’è attualmente consenso si basano sui parametri su
esposti e sono le seguenti:
Una pancolonscopia da eseguire entro i 6 mesi dall’intervento, laddove non sia
stata effettuata prima della resezione chirurgica.
Per i pazienti sottoposti a resezione per adenocarcinoma del colon (escluso
il sigma):
❑ Stadio A, B e C di Dukes e in caso di metastasi epatica e polmonare unica resecata:
colonscopia
– a 3 anni dall’intervento
– ogni 5 anni dall’ultimo controllo (fino al 75° anno di età).
❑ Stadio D nessun controllo endoscopico.
62
A. Pellecchia, Francesco Scotto
Per i pazienti sottoposti a resezione per adenocarcinoma del rettosigma:
❑ Stadio A: colonscopia
– a 3 anni dall’intervento
– ogni 5 anni dall’ultimo controllo.
❑ Stadio B e C e in caso di metastasi epatica o polmonare unica resecata:
– Rettosigmoidoscopia ogni 6 mesi per i primi 2 anni
– Colonscopia al terzo anno
– Colonscopia ogni 5 anni dall’ultimo controllo
❑ Stadio D nessun controllo endoscopico.
Il follow-up verrà personalizzato con controlli più ravvicinati di quelli su esposti se il paziente risulterà a maggior rischio per l’insorgenza di tumori metacroni
(neoplasia insorta in giovane età, familiarità di I° grado positiva per CCR, presenza
di adenomi sincroni all’intervento o metacroni nel post-intervento).
In circa il 50% dei casi, pazienti resecati per CCR presentano nuovi adenomi in
corso di sorveglianza endoscopica. Il programma di follow-up endoscopico per evidenziare tali lesioni, una volta superato il periodo finalizzato al riscontro di eventuali recidive, dovrà essere uguale a quello utilizzato dopo polipectomia, con controlli colonscopici ad intervalli di 3 anni a partire dal “colon clean”.
PALLIAZIONE
In circa il 50% dei pazienti affetti da CCR non è possibile eseguire una resezione chirurgica radicale; si pone pertanto l’indicazione ad un trattamento palliativo allo scopo di alleviare la sintomatologia della neoplasia in fase avanzata (sindrome occlusiva, sanguinamenti, mucorrea e tenesmo), migliorando la qualità di vita.
La palliazione, oltre che chirurgica e chemioterapica, è appannaggio di metodiche endoscopiche che consistono nella distruzione del tessuto neoplastico, nella dilatazione delle stenosi neoplastiche e nell’inserzione di endoprotesi.
La laserterapia costituisce il trattamento palliativo ideale nella distruzione del
tessuto neoplastico vegetante. L’energia elettromagnetica erogata al contatto col
tessuto da trattare viene trasformata in energia termica. L’aumento progressivo
della temperatura determina la coagulazione delle proteine, la vaporizzazione della componente acquosa e quindi la necrosi della neoplasia irradiata. Le complicanze minori di questa procedura sono rappresentate dal dolore da distensione e dalla febbre, quelle maggiori (presenti in circa il 2% dei casi) dall’emorragia e dalla
perforazione; la mortalità correlata alla tecnica è dello 0.16%.
La patologia del colon retto: diagnosi, follow-up e palliazione del carcinoma
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La distruzione del tessuto neoplastico viene effettuata più raramente con iniezione di sostanze sclerosanti (polidocanolo al 3%), mediante elettrocoagulazione o
con elettroresezione, laddove sia possibile asportare aree cospicue di vegetazioni
neoplastiche. La dilatazione di una stenosi neoplastica ha soprattutto un significato
preparatorio ad altre tecniche endoscopiche; il tipo di dilatatore utilizzato (pneumatico, Savary, metallico) è correlato al tipo di stenosi da trattare.
Altra metodica di palliazione endoscopica è la protesizzazione, caratterizzata
dal posizionamento nel tratto stenotico di protesi autoespansibili, costituite da filamenti in acciaio inossidabile intrecciati a formare una maglia. Con questa procedura, rispetto alla laserterapia, si ottiene un effetto palliativo di maggior durata, anche
se la neoplasia può crescere attraverso le maglie della protesi. In questo caso un
trattamento laser potrà però ripristinare la pervietà dello stent.
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