Il mito di ULTRA

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Il mito di ULTRA
revisionismo
ULTRA, fine di una leggenda
la guerra
dei miti
Personale
femminile
al lavoro a
Park, sede
Bletchey
de
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gia britan
Seconda g
nici
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diale
revisionismo
ULTRA, fine di una leggenda
La guerra nel Mediterraneo fra 1940 e 1943 è stata raccontata più
come una collezione di miti propagandistici che con dati e documenti.
Fra i miti più tenaci c’è la leggenda di ULTRA, il servizio di intercettazione
britannico che avrebbe consentito a Londra di conoscere in anticipo le
mosse dell’Asse. Un mito che, almeno per quanto riguarda gli italiani,
non ha fondamento. Oggi un nuovo libro analizza – e riscrive – anche
questo capitolo del secondo conflitto mondiale, ribadendo che in
guerra non esistono trucchi in grado di cambiare le regole di un gioco
fatto di rapporti di forza, posizioni conquistate e capacità di manovra…
di Emanuele Mastrangelo
L
a storia della Seconda guerra mondiale
è spesso raccontata
per luoghi comuni.
In generale il cliché
che va per la maggiore dalle nostre parti (in quanto sconfitti e, fra gli sconfitti,
quelli che l’hanno presa peggio)
è quello della «versione inglese»
dei fatti: italiani cialtroni e sciacalleschi che si sono accodati ai
tedeschi (una sorta di dr. Jekill
e signor Hyde dove convivono
brutalità nazista e genio militare prussiano), contro eleganti,
sportivi ed eroici inglesi aiutati
da rudi ma generosi americani (i
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russi? Non pervenuti). A questo
cliché il vizio nazionale di pianger miseria ha aggiunto la giaculatoria sui presunti «tradimenti»
consumati da ufficiali infidi della
Regia Marina, pronti a vendere le
nostre corazzate ai britannici e ad
avvertirli delle partenze dei convogli per l’Africa affinché fossero
intercettati dai nemici. L’immaginario collettivo italiano si è così
formato su questa schizofrenica
visione: da un lato il riconoscimento dello stereotipo inventato
dalla propaganda nemica, dall’altro il tentativo di far ricadere le
cause della sconfitta solo sulle
spalle di pochi «traditori» (anche
per non dover ammettere l’impreparazione materiale e morale alla
nuova guerra europea).
Uno dei modelli interpretativi
per la nostra sconfitta nella Seconda guerra mondiale, dunque,
poggia sul doppio binario di una
presunta – strutturale, congenita
- inferiorità italiana nei confronti dei britannici, alla quale avrebbe fatto fronte solo l’eroismo dei
militari italiani pugnalati poi
alle spalle dai «traditori». Due
corni del problema che stentano
a stare insieme. Fra le storie che
si basano su questo stereotipo c’è
quella di ULTRA, il nome gene-
Luglio-Agosto 2014
rico dato ai risultati degli sforzi
di intercettazione, decrittazione e
decifrazione delle comunicazioni
dell’Asse. Attorno a ULTRA si è
costruito velocemente un mito, a
partire dagli anni Settanta, complice forse l’aura di invincibilità
che i servizi segreti britannici si
erano costruiti anche grazie ai romanzi e ai film di «007». Un mito
che – almeno per la sua parte che
riguarda l’Italia – viene passato
ai raggi X da Enrico Cernuschi
in un approfondito saggio che ha
per titolo proprio «ULTRA. La
fine di un mito» (Mursia, pp. 263,
€ 16,00) e che va alle radici di un
luogo comune, smantellandolo
Luglio-Agosto 2014
pezzo per pezzo a suon di documenti e dati statistici.
Cernuschi – che potremmo definire «storico di scuola bandiniana»,
perché di Franco Bandini è stato
amico e collaboratore – si occupa
di storia militare navale e collabora
da tempo con la «Rivista Marittima», «Storia militare» e «Wargames». Con Mursia ha già pubblicato «Gran pavese» (2011) mentre
con In Edibus ha pubblicato «Navi
e quattrini» (2014). Lo studio parte
dalle due contrapposte eppure appaiate tesi della superiorità britannica (grazie a ULTRA) e del «tradimento» di alti ufficiali italiani.
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pag. 32
Il saggio di Enrico Cernuschi «ULTRA. La fine
di un mito» (Mursia, pp. 263, € 16,00)
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