Caravaggio e il suo ambiente preview

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Caravaggio e il suo ambiente preview
Pubblicazioni della Bibliotheca Hertziana
Istituto Max Planck per la Storia dell’Arte
Roma
Sommario
a cura di
Sybille Ebert-Schifferer e Elisabeth Kieven
in copertina
Caravaggio, Chiamata di san Matteo, particolare.
Roma, San Luigi dei Francesi, Cappella Contarelli
7
Premessa
9
Wolfram Pichler
Il dubbio e il doppio: le evidenze in Caravaggio
35
Klaus Krüger
Un’immagine inconcepibile: la Medusa di Caravaggio
59
Valeska von Rosen
Ambiguità intenzionale: l’ignudo nella Pinacoteca Capitolina e altre raffigurazioni
del San Giovanni Battista di Caravaggio e dei “Caravaggisti”
87
Rudolf Preimesberger
Un doppio diletto nell’imitazione? Qualche riflessione sulla Cattura di Cristo di Caravaggio
99
Marco Pupillo
I San Francesco in meditazione del Caravaggio di Cremona e di Carpineto Romano:
appunti di iconografia
111
Lothar Sickel
Caravaggio e Andrea Ruffetti: la cornice storica di un ritratto sconosciuto
119
Costanza Caraffa
“Ex Purgatorij poenis ad aeternam salutem per Dei misericordiam”:
le Sette opere di misericordia di Caravaggio riconsiderate nel contesto napoletano
Direzione editoriale
Dario Cimorelli
133
Tavole
Art director
Giacomo Merli
161
Alexandra Ziane
“Affetti amorosi spirituali”: Caravaggio e la musica spirituale del suo tempo
181
Julian Kliemann
L’Amore al fonte di Cecco del Caravaggio e l’ultimo quadro del Merisi: omaggio al maestro o pittura ambigua?
217
Marieke von Bernstorff
La traduzione della Bibbia in pittura: il San Girolamo di Bartolomeo Cavarozzi
231
Gli autori del volume
Silvana Editoriale
Progetto e realizzazione
Arti Grafiche Amilcare Pizzi Spa
Redazione
Michela Crociani
Impaginazione
Claudia Brambilla
Ufficio iconografico
Deborah D’Ippolito
Ufficio stampa
[email protected]
Nessuna parte di questo libro
può essere riprodotta o trasmessa
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© 2007 Silvana Editoriale Spa
Cinisello Balsamo, Milano
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Wolfram Pichler
Il dubbio e il doppio: le evidenze in Caravaggio
Nonostante l’importanza del fatto che Caravaggio lavorasse direttamente sulla base di modelli, non si può assolutamente sostenere, come è già stato fatto, che egli fosse un pittore la cui arte rendeva le figure umane come nature morte. Piuttosto egli si confrontava, nei suoi dipinti, anche con problemi inerenti alla narrazione e alla rappresentazione del tempo
(Pichler, Preimesberger); più in generale, egli riservava un’attenzione maggiore di quel che finora si è spesso voluto
ammettere alla dimensione del tema e del contenuto delle sue opere, avvalendosi di una profonda conoscenza della tradizione iconografica, come dimostrato dai vari contributi che sono dedicati al problema dell’iconografia religiosa e che
trattano di tele aventi per soggetto San Giovanni Battista, San Francesco e le Sette Opere di Misericordia (von Rosen,
Pupillo, Caraffa, Kliemann).
L’effetto esercitato dalle opere di Caravaggio sui suoi contemporanei è ancor più riconoscibile se si guarda alla vasta produzione pittorica dei suoi seguaci e imitatori (Cecco del Caravaggio, Cavarozzi, Spadarino, Vermiglio, Caracciolo, Ribera ecc.), i quali riprendono alcune innovazioni dell’artista, in parte esagerandole, in parte riducendole. Le loro opere,
così, possono essere lette da un lato come specifici commenti all’opera di Caravaggio, dall’altro come prova di una ricezione spesso solo parziale e limitata degli impulsi caravaggeschi (von Rosen, Kliemann, von Bernstorff ).
Anche l’esame di un gruppo di dipinti di Caravaggio oggi quasi del tutto perduto, vale a dire i ritratti, porta a nuovi
risultati grazie alla lettura più precisa dei documenti e all’ampliamento delle nostre conoscenze relative al ceto sociale di
provenienza dei committenti e dei collezionisti delle opere di Caravaggio (Sickel).
Un ambito spesso trascurato dalla storia dell’arte, nella ricostruzione delle competenze culturali dei committenti, è rappresentato dalla prassi musicale al tempo di Caravaggio. I testi relativi alla musica vocale erano, infatti, probabilmente
più diffusi e noti che molte opere letterarie: ciò non è da sottovalutare nella comprensione dei soggetti caravaggeschi.
Infatti, la trattazione della tematica amorosa nei testi della cosiddetta “musica spirituale”, dove spesso non è facile distinguere se si parli di amore celeste o terreno e carnale (Ziane), trova la sua stretta analogia nelle opere di Caravaggio in cui
i confini tra tematica religiosa e profana vengono volutamente sfumati come, per esempio, dimostrano il San Giovanni
Battista della collezione Mattei (von Rosen) e, ancor di più, l’Amore al fonte di Cecco (Kliemann).
Questa breve premessa, che non fa giustizia in alcun modo alla ricchezza e alla densità dei singoli contributi, vuole indicare al lettore lo scopo del volume: il tentativo, cioè, di rendere manifesti la complessità del pensiero visivo di Caravaggio – il suo ragionare per immagini – e il contesto intellettuale e socio-culturale del pubblico colto e raffinato a cui era
destinata la sua arte.
Il ringraziamento dei curatori è rivolto a tutti i colleghi, amici e collezionisti di Caravaggio, che hanno reso possibile,
con i loro consigli e aiuti, l’organizzazione delle giornate di studio e la preparazione di questo volume.
Roma, agosto 2007
Sybille Ebert-Schifferer
Julian Kliemann
Valeska von Rosen
Lothar Sickel
Per Richard Heinrich
In un passo della Vita di Caravaggio di Bellori si legge che il
pittore avrebbe usato per anni una tela come tovaglia su cui
mangiare a pranzo e a cena.1 L’uso di una tela come tovaglia
sembra implicare una sorta di degradazione della pittura, e
indurrebbe a pensare che i problemi caratteriali e la condotta di vita moralmente disordinata di Caravaggio, messi in
evidenza da Bellori, siano rimasti non senza conseguenze
per la sua arte. Invece di essere dipinta, la tela veniva insudiciata e abbassata a oggetto di vita quotidiana. L’aneddoto
biografico sembra trasporre sul piano metaforico il senso
ultimo della critica mossa da Bellori all’estetica di Caravaggio: una pittura che vede il suo fine ultimo nella mera restituzione degli oggetti finisce per confondere l’arte con la vile
realtà.
Se il racconto delle abitudini prandiali del pittore suggerisce una lettura simbolica di questo tipo, non è però affatto
escluso che l’aneddoto vada preso alla lettera e che nella sua
vita Caravaggio non abbia esitato a cambiare di frequente
destinazione d’uso a pezzi di stoffa, usandoli ora da tovaglia
ora da supporto per dipingere.2 Intorno al 1600 si incontra
almeno un tipo di tessuto impiegato tanto per l’una quanto
per l’altra funzione: si tratta di una stoffa chiamata in Italia
per lo più “tela di Fiandra” e riconoscibile per un disegno a
rombi regolari, dovuto alla tecnica di lavorazione.3 Una sapida conferma della sua doppia possibilità d’uso è fornita dal-
Questo testo è una versione molto ampliata dell’intervento dal titolo
Caravaggios Oberflächen. Beobachtungen und Fragen tenuto nell’ambito del convegno “Caravaggio e il suo ambiente” (Roma, 30-31 gennaio 2004). Desidero esprimere il mio ringraziamento per i suggerimenti e i consigli a Friedrich Teja Bach, Mario Biagioli, Matteo Burioni, Heiko Damm, EMMEBICI, Thomas Gilbhard, Michael John Gorman, Richard Heinrich, Dorothea Klein, Wolfgang Prohaska, Ramin
Schor, Nicola Suthor, Andreas Thielemann, Matthias Winner e Barbara Wittmann. Ho tratto grande profitto dalle conversazioni con
Ralph Ubl e Gudrun Swoboda.
1
GIOVANNI PIETRO BELLORI, Le vite de’ pittori, scultori et architetti
moderni, a cura di EVELINA BOREA, Torino 1976, pp. 211-236, in part.
p. 232. Come mi ha segnalato Matteo Burioni, qualcosa di simile si
legge anche nella Vita di Jacone scritta da Vasari; cfr. GIORGIO VASARI,
Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori, Firenze 1568, a
cura di GIOVANNI MILANESI, vol. VI, Firenze 1906, p. 451. Su questo
cfr. inoltre ANTONIO PINELLI, “Vivere ‘alla filosofica’ o vestire di velluto? Storia di Jacone fiorentino e della sua ‘masnada’ antivasariana”,
Ricerche di storia dell’arte, 34 (1988), pp. 5-34.
l’esame di un dipinto di Biliverti, la cui tela presenta ancora
cuciti quei pesi di piombo che dovevano originariamente
servire ad appesantire la stoffa ai bordi per renderla meglio
adatta a fungere da tovaglia.4 Anche Caravaggio ha dipinto
alcuni suoi quadri su tela di Fiandra, per esempio il Bacco
degli Uffizi (figg. 1 e 2; tav. 4) o la Crocifissione di sant’Andrea (fig. 3; tav. 13), conservato oggi a Cleveland.5 Nella
Cena di Emmaus di Londra (fig. 4; tav. 8a) si riscontra una
tela dello stesso tipo, ma in un punto strutturalmente diverso: il caratteristico disegno a rombi non è qui visibile ai raggi, ma è ravvisabile sulla superficie stessa del dipinto, se si
osserva con attenzione la tela bianca che ricopre la tavola a
cui siedono Gesù e gli apostoli (fig. 5; tav. 8b). I cesti di
frutta di Bacco e della Cena di Emmaus (figg. 1 e 4; tavv. 4 e
8a) sono per così dire collocati sullo stesso supporto, che è
lì nascosto sotto lo strato di pittura, qui trasformato in
oggetto di mimesi pittorica. E non è escluso che Caravaggio
abbia in seguito utilizzato come tela da dipingere quella
ritratta nella Cena di Emmaus, a portata di mano nella propria bottega. Questa idea di una tela che passa dal cavalletto
alla tavola e dalla tavola al cavalletto sembra confermare in
qualche misura il racconto di Bellori, ma non senza ribaltarne il contenuto in senso positivo. In quanto oggetto capace di superare il confine tra realtà e finzione, presentandosi
ora sul dipinto ora sotto di esso, la tela su cui Caravaggio ha
collocato nel quadro londinese la sua natura morta forse più
bella potrebbe rappresentare un paradigma tutt’altro che
Sul rapporto tra aneddoto biografico e topica critico-artistica nelle
biografie di Caravaggio del XVII secolo cfr. l’importante saggio di
PHILIP SOHM, “Caravaggio’s Deaths”, Art Bulletin, 84 (2002), pp. 449468.
3
JOAN MARIE REIFSNYDER, Artist’s Canvas – Or Just an Old Tablecloth?,
poster per il convegno Painting Techniques. History, Materials and Studio Practice, Dublino, 7-11 settembre 1998 (non pubblicato negli atti
relativi). Specie su Caravaggio: ROBERTA LAPUCCI, “La tecnica del
Caravaggio: materiali e metodi”, in Michelangelo Merisi da Caravaggio. Come nascono i capolavori (catalogo della mostra, Firenze/Roma,
1991-1992), a cura di MINA GREGORI, Milano 1991, pp. 31-51. Sull’uso della tela in genere nella pittura italiana del tardo medioevo e
della prima età moderna cfr. HERMANN KÜHN, HEINZ ROOSEN-RUNGE, ROLF E. STRAUB e MANDRED KOLLER, Farbmittel. Buchmalerei.
Tafel- und Leinwandmalerei (=Reclams Handbuch der künstlerischen
Techniken, 1), Stoccarda 1984, pp. 150-154, 289-293, 338-341.
4
REIFSNYDER 1998 (nota 3).
5
LAPUCCI 1991 (nota 3), fig. a p. 3.
2
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Wolfram Pichler
Il dubbio e il doppio: le evidenze in Caravaggio
1. Caravaggio, Bacco. Firenze, Galleria degli Uffizi
2. Radiografia di Caravaggio, Bacco, particolare
inadatto a un tipo di pittura che aspira a far apparire le cose
come se fossero direttamente presenti nella loro fisicità.6 Tra
finzione e realtà sembra qui esserci solo uno lievissimo scarto, basta un minimo slittamento perché la “tela di un ritratto” si trasformi nel “ritratto di una tela” e viceversa.
L’aspirazione a raffigurare le cose come se fossero fisicamente presenti è un’aspirazione all’evidenza. Nella tradizione retorica e letteraria, da cui scaturisce il concetto di evidenza, essa è strettamente collegata all’idea del “porre davanti agli occhi”,7 un’idea per Caravaggio doppiamente rilevante, sotto l’aspetto sia ricettivo che estetico-produttivo. Il por-
re davanti agli occhi significa in lui produrre un preciso
effetto sull’osservatore, ma al tempo stesso indica uno specifico requisito dell’attività creativa del pittore, di cui si percepisce l’eco nell’aneddoto ben presto tramandato, secondo
cui Caravaggio si sarebbe guardato dal mettere mano al pennello senza avere sempre l’oggetto davanti agli occhi.8 L’evidenza della pittura di Caravaggio, intesa come l’aspirazione
attuata con mezzi artistici a porre direttamente davanti agli
occhi dell’osservatore l’oggetto ritratto, non può dunque
che scaturire a sua volta dall’evidenza stessa, e per l’esattezza
da un tipo di evidenza per così dire piattamente letterale:
Su questo aspetto della pittura di Caravaggio cfr. da ultimo lo studio
di THOMAS PUTTFARKEN, The Discovery of Pictorial Composition. Theories of Visual Order in Painting 1400-1800, New Haven/London 2000,
pp. 148-153.
7
Sull’evidenza come categoria estetica attiva, specie nella poesia e nella teoria artistica del XVI secolo, cfr. il recente studio di VALESKA VON
ROSEN, “Die Energeia des Gemäldes: zu einem vergessenen Inhalt des
Ut-pictura-poesis und seiner Relevanz für das cinquecenteske Bildkonzept”, Marburger Jahrbuch für Kunstwissenschaft, 27 (2000), pp.
171-208. Cfr. anche ANSGAR KEMMAN, Evidentia, Evidenz, in Historisches Wörterbuch der Rhetorik, vol. III, Tubinga 1996, coll. 33-47.
Kemman mette in risalto la differenza tra il procedimento di ravvivamento e ricreazione (energeia) da un lato e quello di minuziosa descrizione pittorica dall’altro (col. 39), una differenza che viene a smarrirsi
nella teoria artistica. È tuttavia chiaro che per l’estetica di Caravaggio
è soprattutto rilevante il primo aspetto, quello dinamico dell’evidenza
come ricreazione. Per un documentato studio sulla storia concettuale
e culturale dell’evidenza nel XVII secolo cfr. GIACOMO JORI, Per evidenza. Conoscenza e segni nell’età barocca, Venezia 1998. Importanti
considerazioni di taglio critico-letterario sul problema del “porre
davanti agli occhi” si trovano in RÜDIGER CAMPE, “Vor Augen Stellen. Über den Rahmen der rhetorischen Bildgebung”, Poststrukturalismus. Herausforderung an die Literaturwissenschaft, a cura di GERHARD
NEUMANN, Stoccarda/Weimar 1997, pp. 208-225.
8
Cfr. il noto aneddoto in CAREL VAN MANDER, Het Schilder-Boeck,
Haarlem 1604, fol. 191r. Il testo è edito in originale e in traduzione
inglese in HOWARD HIBBARD, Caravaggio, Boulder (Colorado)/Oxford
1983, pp. 344sg., in part. p. 344. Per un inquadramento generale:
WALTER S. MELION, Shaping the Netherlandish Canon. Carel van Mander’s Schilder-Boeck, Chicago/London 1991, p. 115. Cfr. anche BELLORI 1976 (nota 1), p. 229f.; JOACHIM VON SANDRART, Academie der
Bau-, Bild-, und Mahlerey-Künste [Norimberga 16751], a cura di
ALFRED PELTZER, Monaco 1925, p. 275.
6
3. Caravaggio, Crocifissione di sant’Andrea. Cleveland (Ohio), Cleveland Museum of Art, Leonhard C. Hanna Jr. Bequest
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Wolfram Pichler
Il dubbio e il doppio: le evidenze in Caravaggio
4. Caravaggio, Cena di Emmaus. Londra, National Gallery
l’oggetto da raffigurare deve sempre stare davanti agli occhi
del pittore nella sua fisica tangibilità. Va inquadrata esattamente in questo contesto la polemica di Bellori sulla
tela/tovaglia. Già il concetto del “ritrarre” (Bellori parla nel
passo citato di “tela di un ritratto”) indica una sorta di
mimesi che, dipendendo sostanzialmente da modelli, non
lascia spazio alle “megliori parti” dell’arte.9 La dipendenza
del pittore dalla tangibile presenza di modelli – elemento
notoriamente problematico per Bellori – viene a essere ancor
più accentuata dall’idea di un contatto fisico che si instaura
ogni volta di nuovo tra l’artista e la sua tela. La scena evocata del pittore che mangia sul supporto da dipingere intende
suggerire un angusto dissolvimento della pittura in pura presenza, dove il ritratto potenziale diventa oggetto quotidiano
e il pittore stesso in qualche modo immagine.
In un più noto aneddoto biografico, riferito ugualmente
da Bellori e ispirato allo stesso intento, Caravaggio, a chi gli
raccomanda di imitare le antiche statue (si fanno i nomi
degli scultori Fidia e Glicone), risponde indicando con un
muto gesto della mano ciò che sta direttamente davanti agli
occhi di tutti: la vita della strada.10 La pittura, circoscritta al
“ritrarre” e legata alla realtà fisica, nella cui riproduzione
trova la propria specificità, tende, stando a questo aneddoto, a smarrire in modo inquietante il linguaggio artistico,
9
Cfr. BELLORI 1976 (nota 1), p. 230. Sulla problematica del “ritrarre”
e sulla contrapposizione tra “ritrarre” e “mimesi” (intesa come una
forma più alta di imitazione, appresa attraverso il “disegno”) cfr. VINCENZO DANTI, Il primo libro del trattato delle perfette proporzioni di
tutte le cose che imitare e ritrarre si possano con l’arte del disegno, Firenze
1567, in Scritti d’arte del Cinquecento, a cura di PAOLA BAROCCHI,
vol. II, Milano/Napoli 1973, pp. 1570-1574. Su questa distinzione
formulata da Danti cfr. anche il commento di RUDOLPH PREIMESBERGER in Porträt (=Geschichte der klassischen Bildgattungen in Quellentexten und Kommentaren, II), a cura di RUDOLPH PREIMESBER-
GER, HANNAH BAADER e NICOLA SUTHOR, Berlino 1999, pp. 277287 (con ulteriore bibliografia).
10
BELLORI 1976 (nota 1), p. 214: “Datosi perciò egli à colorire, secondo il suo proprio genio, non riguardando punto, anzi spregiando gli
eccellentissimi marmi de gli Antichi, e le pitture tanto celebri di
Rafaelle, si propose la sola natura per oggetto del suo pennello. Laonde essendogli mostrate le statue più famose di Fidia, e di Glicone;
accioche vi accommodasse lo studio, non diede altra risposta, se non
che distese la mano verso una moltitudine di huomini, accennando
che la natura l’haueua à sufficienza proueduto di maestri”.
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13
esaurendosi in muti cenni dimostrativi.11 La propensione a
concentrarsi sul referente, così ci si potrebbe esprimere in
termini semiologici, porta alla disgregazione del linguaggio
della pittura.
Ma come lo scambio, giudicato negativamente da Bellori, tra arte e (vile) realtà può assumere una valenza positiva,
nel senso di ricorrere a un ampio repertorio di possibilità
per inscenare e celebrare retoricamente la forza illusoria del
dipinto,12 così la critica, insita nell’aneddoto, nei confronti
di una prassi estetica afasica, se non addirittura distruttiva
di ogni espressione linguistica, ritorna in altri testi in senso
favorevole o almeno neutrale. La dicotomia tra linguaggio
colto e mero cenno, implicita nell’immagine del pittore che,
staccandosi dagli insegnamenti dell’arte antica, si limita ad
additare, muto, il presente, assume nella storia dell’arte del
XX secolo una nuova veste come contrasto tra raccontare e
descrivere,13 tra rappresentazione come atto stabilizzato e
rappresentazione come atto performativo,14 tra sapere erudito ed evidenza oggettiva.15 Che Caravaggio (come la maggior parte dei pittori olandesi, ma anche come lo stesso
Velázquez) “descriva”, invece di “raccontare”, non significa
per Svetlana Alpers, come è noto, che la sua pittura abbia
limiti strutturali, ma piuttosto che vada ascritta a un modello rappresentativo – sviluppato soprattutto a nord delle Alpi
– strutturalmente diverso dalla concezione figurativa del
Rinascimento italiano, e con forti ricadute sui relativi
modelli di visione, conoscenza e soggettività.16 In modo
simile, il concetto espresso da Ferdinando Bologna di una
“evidenza oggettiva”, che, a suo avviso, si manifesterebbe
nella pittura di Caravaggio, divenendone il fondamento
quale prassi estetica e cognitiva, starebbe a indicare l’autonoma dignità epistemologica della sua opera. Quelli che per
gli autori orientati in senso classicista erano difetti, sono per
Bologna i momenti di una riformulazione critica dell’attività pittorica, storicamente coeva alla rivoluzione realizzatasi
nel campo delle scienze fisiche (Galileo).17
Questi rilevanti tentativi di una nuova concezione e contestualizzazione storica dell’estetica caravaggesca che Bellori
sintetizza con intenti polemici nell’immagine del pittore che
addita muto la realtà presente non riescono tuttavia a rendere giustizia, sotto diversi aspetti, al fenomeno della pittura caravaggesca. Il concetto di descrizione, formulato dalla
Alpers, parte dall’idea fondamentale – ispirata a sua volta al
modello della camera oscura – di una superficie del mondo
capace di imprimersi quasi da sé sulla superficie pittorica.
La perfetta sincronicità e la quieta fissità dell’immagine,
implicite in questa concezione, sono in contrasto tanto con
la struttura temporale dinamica e in sé scissa del linguaggio
pittorico di Caravaggio quanto con il suo esasperato plasticismo. Già solo per questo, il concetto di descrizione della
Alpers non riesce a cogliere la complessità delle strategie
messe in campo dall’artista per dar vita all’evidenza. Altrettanto poco convincente è mettere la sua ostensione pittorica
(se così si può dire) in rapporto con un sostrato stabile da
cui poter trarre irrefutabili certezze, come sembra suggerire
l’evidenza “oggettiva” di Bologna. Nella prassi artistica di
Caravaggio balza all’occhio la tendenza fondamentale a mettere in scena il carattere illusorio della mimesi pittorica, in
modo da schiudere margini di gioco nei confronti dell’oggetto descritto (il referente), che vengono a manifestarsi nell’atto stesso del vedere. Questa pittura è in sistematica antitesi con l’idea di una visione stabilizzante, tendente a fissare
Per l’interpretazione di questo aneddoto, ricalcato nelle sue linee
fondamentali, a eccezione dell’importante particolare del cenno
muto della mano, su un episodio relativo al poeta greco Eupompo,
tramandato in PLINIO (Nat. Hist. 34, 61), cfr. SOHM 2002 (nota 2),
p. 455.
12
Cfr. in merito l’importante saggio di ELIZABETH CROPPER, “The
Petrifying Art: Marino’s Poetry and Caravaggio”, Metropolitan Museum
Journal, 26 (1991), pp. 193-212.
13
Cfr. SVETLANA ALPERS, The Art of Describing: Dutch Art in the Seventeenth Century, Chicago 1983.
14
A questa coppia concettuale sono a ogni modo riferibili alcune argomentazioni centrali del libro su Caravaggio di LOUIS MARIN, Détruire
la peinture, Parigi 1977. Le citazioni successive rimandano all’edizione
inglese del testo, To Destroy Painting, Chicago/Londra 1995. Specie
sulla problematica del “mostrare” come tratto tipico di Caravaggio cfr.
le interessanti osservazioni alle pp. 163sg.
15
FERDINANDO BOLOGNA, L’incredulità del Caravaggio, Torino 1992,
p. 143.
16
Cfr. ALPERS 1983 (nota 13), p. XXI. Le tesi della Alpers sono dibattute – nel quadro di osservazioni molto generali sui diversi scopic regimes
(Metz) della prima età moderna – da MARTIN JAY, “Scopic Regimes of
Modernity”, in Vision and Visuality, a cura di HAL FOSTER, Seattle 1988,
pp. 3-23. Una critica fondamentale, che – fatto non scontato – è all’altezza del livello argomentativo del volume, si trova in GEORGES DIDIHUBERMAN, Devant l’image. Question posée aux fins d’une histoire de l’art,
Parigi 1990, pp. 285-318. La mia critica alle tesi della Alpers e di Bologna è in qualche misura debitrice di questo studio.
17
BOLOGNA 1992 (nota 15), specie il capitolo 4, pp. 138-190.
11
5. Caravaggio, Cena di Emmaus, particolare. Londra, National Gallery