Pdf Opera - Penne Matte

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Pdf Opera - Penne Matte
Le labbra di lei si posarono su quelle di lui.
Dormiva.
Finalmente la ferita aveva smesso di tormentarlo,segno che gli impacchi di erbe avevano
fatto effetto.
Trasse un sospiro di sollievo. A guardarlo non si sarebbe mai detto che solo otto giorni
prima sembrava un distillato di forza bruta e ferocia. Ringhiava accecato dal dolore,ma il
dolore fu l’unica cosa che le concesse di aiutarlo. Dopo qualche ora di furia cieca,si era
accasciato al suolo,davanti alla porta della capanna di Eidith.La sofferenza lo aveva
stremato. Non aveva detto una parola,ma lei poteva curarlo e questa consapevolezza le
aveva imposto di farlo. Forse si era solo infilata in un guaio. In fondo non conosceva
quell’uomo,non sapeva di cosa fosse capace e non aveva i mezzi per capire se,una volta
guarito,l’avrebbe ringraziata o se avrebbe deciso di farle del male. L’idea le aveva
fermato la mano per un istante,mentre stringeva la fasciatura di lino intorno alla spalla
destra lavata e medicata. Poi aveva scosso il capo,scacciando quel pensiero:non era da
lei preoccuparsene. Se fosse stata quel genere di persona,avrebbe dimenticato già da
tempo gli insegnamenti di sua madre sui medicamenti. Quella era roba da streghe e sua
madre aveva pagato quelle conoscenze con la vita. Nonostante ciò,Eidith non aveva mai
smesso di praticare la medicina. Sua madre le diceva spesso che la conoscenza porta a
degli obblighi verso il prossimo. Così come un fabbro non può negare un ferro nuovo al
cavallo di un povero viandante,lei non avrebbe potuto negare aiuto a quell’uomo. Il
fabbro avrebbe inchiodato il ferro al cavallo senza fare domande così lei si sarebbe presa
cura di lui. Ed era ciò che aveva fatto.
All’inizio era stata dura. Nel tentativo di non trascurare nulla era rimasta a vegliarlo per
tre notti. Ogni mattina correva al fiume per prendere acqua corrente con cui rinfrescarlo
e abbassargli la febbre. La sua pelle era bollente,scura come l’ebano,liscia come seta.
Desiderava essergli vicino quando si fosse risvegliato,ma la fortuna volle il contrario.
Il quarto giorno,quando la stanchezza la vinse facendola addormentare sulla sedia di
fianco al pagliericcio,lo sconosciuto si svegliò.
E lei dormiva.
Quando si era destata,trovando il letto vuoto,si era allarmata a tal punto
che,nell’alzarsi,era inciampata tra le gambe della sedia. Stava per cadere rovinosamente
a terra quando qualcuno la trattenne.
I suoi occhi erano oro fuso che ribolliva lanciando minuscole scintille luminose e
guizzanti. Era strabiliante il modo in cui l’aveva afferrata senza che nemmeno si
accorgesse della sua presenza.
Lei si era lisciata la gonna alla ricerca di un pretesto per tornare a guardarlo negli
occhi:«Grazie»aveva mormorato con un nota sin troppo timida nella voce. Era tornata a
guardarlo in faccia,in attesa di una parola,un qualunque suono che provenisse da quelle
labbra sottili…ma nulla. Lui l’aveva fissata con uno strano interesse ed Eidith si era
sentita arrossire e,incapace di rimanere lì a lasciarsi scrutare,si era voltata verso il
caminetto chinandosi a riattizzare le fiamme.
«Sei arrivato qui quattro giorni or sono. Avevi bisogno di cure.»aveva detto,senza
voltarsi.
Silenzio.
«Be’…ehm…immagino che tu sia affamato:potrei preparare qualcosa.»si era decisa a
proseguire,non comprendendo il significato di quel mutismo disorientante.
«Ah,ho del formaggio di pecora e del pane. L’ho fatto ieri…il pane…è fresco!»esclamò
affrettandosi verso il tavolo in legno al centro dell’unica stanza che componeva la sua
casa. Sollevò in fretta il telo che vi era posto sopra,rivelando una pagnotta di pane scuro
e un tagliere con tre forme di formaggio. Poi aveva preso il coltello deposto lì affianco
e,con malcelata agitazione,aveva cominciato ad affettare il pane. Si sentiva impacciata
come non avrebbe mai creduto di poter essere e quegli occhi muti fissi su di lei la
mettevano enormemente a disagio.
Fu allora,proprio quando Eidith stava cercando di decidersi a parlargli di nuovo,che lui
le aveva sorriso. Denti bianchissimi su quel viso d’ebano e lei si sentì arrossire
nuovamente.
«Sei stata buona e gentile. Non so cosa ne sarebbe di me,ora,se non avessi incontrato una
fanciulla tanto coraggiosa. Ti ringrazio.»
La sua voce era profonda e densa come pece,ma fluida come olio. Ascoltarlo le dava una
strana sensazione,come se potesse parlare alla sua mente senza passare per le orecchie.
Sentiva che c’era ancora molto altro da scoprire,da ammirare in quello sconosciuto e,se
non si fosse imposta di offrirgli del pane,sarebbe rimasta certamente lì a fissarlo proprio
come lui aveva fatto con lei.
«Grazie»le aveva detto tendendole una mano per prendere il pane.
A ripensarci in quel momento,si sentiva una grande stupida,ma avere il controllo sulle
sue emozioni non era mai stato il suo forte. Lui l’aveva aiutata molto. Era stato grato
delle sue cure e questo l’aveva fatta sentire appagata. Per la prima volta nella sua
vita,Eidith aveva avuto la chiara percezione che quella intrapresa era la strada giusta.
Non lo aveva mai capito,non in quel modo così lampante e,forse,era stata anche questa
sensazione a spingerla verso quell’uomo.
Come si può perdere la testa per un perfetto sconosciuto era rimasto un mistero,ma
dirimerlo non le importava granché. Ora quel che contava era che Galsifar fosse lì,che
stesse bene,che ricambiasse i suoi sentimenti anche se nel suo modo strano e cortese
che lei aveva iniziato ad amare come fosse caldo e passionale.
Si alzò dal giaciglio facendo attenzione a non svegliarlo. L’alba era arrivata silenziosa
quel giorno,come in un sogno. Infilandosi nella sua tunica di lino bianco,si avvicinò alla
finestra a est. Rabbrividì all’aria frizzante del mattino e sorrise godendosi la sensazione
del sole sul viso. Aveva sempre apprezzato quello spettacolo,ma quel momento le parve
il più bello di tutti,forse perché,dietro di lei,riposava l’uomo che amava.
Guardarlo adesso era ancora più bello di quanto non fosse stato il giorno prima quando
lo aveva ammirato cullata dal leggero fruscio dei rami degli alberi mossi dal vento e dal
vivace cinguettio degli uccellini di bosco,sottofondo immancabile delle sue mattine
primaverili. Fu allora che se ne accorse. Cos’era quel silenzio,si domandò incredula
tornando ad affacciarsi fuori.
Tutto sembrava normale. La quercia secolare si innalzava come sempre a qualche metro
dall’ingresso della sua dimora. In lontananza poteva udirsi,leggero,il rumore dell’acqua
del fiume. Ma non c’era nessun pettirosso che saltellava tra i rami del grande albero che
vegliava su quel luogo.
Decise di controllare meglio uscendo di casa. Soltanto sulla soglia riuscì a vederli.
Erano sette uomini. Camminavano circospetti tra la vegetazione rigogliosa sul declivio
che scendeva morbido a valle. Le loro vesti erano scure e avevano pesanti spade ai
fianchi,archi,fiocine e scudi rettangolari rivestiti di cuoio. Era difficile non riconoscere
uno squadrone di cacciatori di draghi. Ai loro occhi allenati non sfuggiva nemmeno il più
piccolo rametto spezzato ed erano abituati a guardare in alto,il che faceva di loro dei
cacciatori formidabili di quelle terribili creature alate. La loro attrezzatura era assai rara.
I fabbri e gli armaioli comuni non erano in grado di creare armi simili e,spesso,non ne
comprendevano il funzionamento. Per questo i cacciatori di draghi reclutavano dei
giovani dai villaggi che visitavano affinché imparassero l’arte dai loro fabbri.
Eidith si allarmò:non aveva sentito nulla a proposito di un drago nei paraggi,ma non
scendeva al villaggio molto spesso. Gli abitanti,specialmente i più anziani,non la
vedevano di buon occhio,quindi lei andava in paese solo quando le era proprio
necessario. Come sua madre,era abituata a rispettare il volere degli altri per quanto
incomprensibile o biasimevole potesse essere. Non era facile,ma sua madre le aveva
insegnato quel comportamento:«Sanno dove abitiamo e sanno che li aiuteremo
volentieri semmai avessero bisogno di noi. Non serve fare altro»era solita dire.
Decisa s’incamminò verso i cacciatori. Ricordava ancora l’ultima volta che un drago era
passato in quella zona. Era molto piccola,ma non avrebbe mai dimenticato gli incendi
inestinguibili che avevano raso al suolo capanne e alberi e distrutto la maggior parte dei
raccolti. Non avrebbe mai dimenticato l’odore di carne bruciata,il pianto disperato di
madri inginocchiate su ossa irriconoscibili,le urla strazianti di padri incapaci di ritrovare
i propri cari in mezzo a quella carneficina.
Ricacciò le lacrime indietro e fece cenno al giovane nerboruto dai capelli dello stesso
marrone scuro degli abiti che avanzava in testa al gruppo. Doveva essere alto almeno
otto piedi,spalle larghe e braccia lunghe e possenti. La sua voce era gentile e rispose
cortesemente alle sue domande.
«Inseguiamo un grosso drago. È furbo e feroce. Si è lasciato dietro una scia di morti e
distruzione che non ho mai visto prima.»le disse gesticolando freneticamente con le
braccia,appesantite da placche d’acciaio nero lucidato.
«Ed è passato da queste parti?»domandò Eidith cercando di non lasciar trapelare il suo
timore.
L’uomo le diede le spalle per un istante,poi alzò un braccio indicando verso est:«Vedi
quel fumo laggiù?»le chiese rassegnato.
Lei si alzò in punta di piedi. Strinse gli occhi mettendosi una mano sulla fronte. Era molto
esile ma con attenzione di poteva vedere un filo di fumo grigio che saliva verso il cielo,di
fianco al sole. Annuì.
«Veniamo da lì. Il drago è passato in quel punto circa otto o nove giorni fa,ma le fiamme
sono state estinte solo ieri.
Eravamo quasi riusciti a prenderlo quel dannato,ma l’arpione si è rotto!Stupidi
apprendisti!Non dovremmo usare le armi che costruiscono,nemmeno se gli esperti
dicono che è roba buona. Finisce sempre male!»esclamò con stizza. Subito dopo sembrò
rendersi conto del suo comportamento. Arrossì imbarazzato:«Perdonami!Che
maleducato!Non avrei dovuto…».
«Non importa»lo interruppe lei sorridendogli. Era giovane e aveva dentro un vulcano di
emozioni difficile controllare. Eidith sapeva che i cacciatori di draghi non mostravano
mai apertamente i loro turbamenti,ma riteneva che fossero addestrati a comportarsi in
modo equilibrato affinché rimanessero sempre il saldo baluardo che difende gli uomini
dalla furia dei draghi.
«Non so cosa sarebbe di questo mondo se non esistessero uomini coraggiosi e altruisti
come voi. Spero che non ti accada nulla… ti prego di stare attento quando lo
rincontrerete.»
Il ragazzo annuì. La salutò con un gesto della mano e corse a riunirsi al suo gruppo,che
nel frattempo era andato oltre.
Eidith rientrò. Avrebbe dovuto sentirsi preoccupata,ma,stranamente,non riusciva a
pensare ad altro che a Galsifar.
«Cosa succede?»sentì l’inconfondibile voce scura e profonda dietro di lei mentre
accostava la porta d’ingresso. Il suo cuore accelerò i battiti mentre si voltava verso
l’uomo semi-sdraiato che la guardava con un’espressione curiosa. Aveva l’aria
assonnata,segno che si era appena svegliato,e sbatteva continuamente le palpebre,come
faceva sempre al risveglio,una caratteristica che Eidith aveva scoperto da poco e che lo
rendeva ancora più attraente.
«Nulla,»rispose con un sorriso,«soltanto uno squadrone di cacciatori di draghi di
passaggio».
Galsifar la guardò:«Uno squadrone?»chiese come se non avesse la più pallida idea di
cosa fosse.
Eidith prese posto accanto a lui e accarezzò i suoi folti capelli neri che ricadevano
arruffati sulla fronte e sulle spalle:«Sì,»rispose,«è un gruppo di uomini addestrati a
cacciare i draghi. Solitamente si muovono almeno due squadre,specialmente negli ultimi
tempi,poiché i draghi sono diventati molto più feroci. Mia madre diceva sempre che il
colore di un drago indica la sua ferocia,quindi più sono scuri più sono pericolosi. Non so
bene quale ne sia la ragione,ma la maggior parte della conoscenza sui draghi deriva da
“Le memorie di Armand”,l’uomo che mille anni fa cavalcava l’unico esemplare mai
esistito di drago bianco,buono e mansueto. Mi raccontava mia madre che i draghi sono
animali incredibili,vivono per centinaia di anni perché il loro flusso vitale deriva dal
fuoco e tutti,a eccezione di quel leggendario drago bianco,non hanno cuore. Da piccola li
trovavo affascinanti e desideravo poterne vedere almeno uno,ma poi,quando
accadde,scoprii che non si trattava degli animali di cui narrano i libri. Sono esseri
terribili, crudeli, spietati. Quando uno di loro compare,l’unica cosa a cui riesci a pensare
è a come fuggire via.»concluse la giovane,con voce incerta.
Galsifar la strinse tra le braccia. Eidith poteva sentire il calore che emanava la sua pelle e
si lasciò cullare per qualche secondo.
«Che tipo di drago sta inseguendo quello squadrone?»la sua voce profonda ruppe il
silenzio in un modo delicato e gentile e lei sollevò lo sguardo sul suo viso:«Non lo so di
preciso. Il cacciatore con cui ho parlato mi ha detto che l’avevano quasi catturato,circa
una decina di giorni fa,ma qualcosa è andato storto. Mi domando che fine abbia fatto
quel drago. Se è vero che le sue fiamme sono state estinte solo ora,doveva essere
davvero oscuro.»mormorò la fanciulla alzandosi in piedi.
Non voleva parlare di questo con lui,ma,inspiegabilmente, continuava a raccontare tutto
ciò che sapeva e Galsifar che,dal canto suo,poneva domande mostrandole una curiosità
pacifica,priva di preoccupazioni,ma vivace,attiva.
La cognizione del tempo diventava qualcosa di sfuggente quando era con lui. Non si era
accorta che il sole avesse superato lo zenit,se non quando la sua attenzione venne
attirata da dei latrati lontani. Eidith si alzò di scatto e corse alla finestra. Da lontano notò
subito la camminata impacciata del cacciatore incontrato quella mattina. Avanzava in
fretta,dando l’impressione di venire trascinato dal grosso segugio marrone che gli
correva avanti. Dietro di lui c’era una muta di cani,tutti grossi dai denti aguzzi che
abbaiavano insistentemente tirando con forza i loro possenti padroni. Eidith li vide
ringhiare,correndo e annaspando,finché non la raggiunsero. Era uscita in fretta dalla
capanna,allarmata. Si sforzò di non indietreggiare quando il primo segugio,con la bava
copiosa che gli colava dalle fauci,la raggiunse. Il giovane cacciatore dovette trattenere
l’animale con forza per evitare che le si avventasse addosso.
«Che succede?»domandò incerta.
Il ragazzo la guardò interrogativo,poi si voltò indietro,verso i suoi compagni che lo
stavano raggiungendo di corsa,al seguito dei cani.
Fu un uomo dall’aspetto severo,la barba incolta e i capelli brizzolati a parlare:«Siamo a
caccia di un drago!»le disse autoritario. I segugi si zittirono non appena udirono la sua
voce forte. L’uomo,sulla quarantina,sembrava essere il capitano dell’intera spedizione.
Eidith lo fissò senza capire. Sapeva qual era il motivo del passaggio di quello
squadrone,ma non capiva per quale ragione fossero tornati indietro con un numero
maggiore di uomini.
«Hai visto qualcosa di strano,ultimamente,signorina?»insisté l’uomo.
«I…io non capisco. Non ho visto niente,perché siete tornati?»domandò preoccupata.
L’uomo sbuffò. Tornò indietro e ricomparve qualche istante dopo con una balestra in
mano:«Setacciate tutta la zona con i cani. Hanno sentito la presenza del drago!So che è
qui!!!Dobbiamo trovare quella dannata bestiaccia!!!»ordinò.
D’improvviso più di una dozzina di cacciatori si mosse intorno alla capanna della
giovane. I grossi segugi ripresero a latrare rumorosamente,tirando con forza i loro
padroni verso la porta aperta dietro la giovane spaventata.
D’un tratto il rumore divenne assordante. Eidith dovette portarsi le mani alle orecchie.
Vide gli occhi famelici dei cani rivolti verso di lei,la bava che schizzava mentre le
mostravano le zanne minacciosi.
Non capiva.
Per quale motivo avrebbero dovuto avercela con lei?Indietreggiò tremante,fino a che
non sbatté. Si voltò di scatto,trattenendo il respiro,quando lo vide. La sua pelle nera
sembrava quasi assorbire la luce del sole mentre i suoi occhi,oro liquido,brillavano con
sfaccettature simili a fiammelle guizzanti. Eidith sentì il rumore d’acciaio di spade che
venivano sguainate e le urla dei cacciatori si sovrapposero ai latrati dei cani in un
frastuono assordante.
«Allontanati subito da quell’essere, ragazzina!!!»tuonò il comandante con un tono che
non ammetteva repliche.
Eidith si voltò di nuovo. Le balestre erano puntate verso di lei. I segugi ringhiavano e
spingevano sulle zampe costringendo i cacciatori a sforzi incredibili per trattenerli.
Piccole gocce di sudore freddo presero a imperlarle la fronte,quando quel terribile
presentimento iniziò a farsi strada nella sua mente. Rimase lì,impietrita. Le urla non
avevano senso,finché non percepì il sole oscurarsi.
«Levati di lì,ragazzina!Vuoi morire?»berciò il comandate mentre continuava a puntarle
la balestra.
I ringhi dei cani si tramutarono in guaiti,mentre l’aria si faceva soffocante. C’era qualcosa
di oscuro e torrido dietro di lei,qualcosa di enorme che Eidith non capiva. Vide i segugi
indietreggiare con la coda tra le gambe,fino a liberarsi dalla presa dei loro padroni e
fuggire. Sentì l’impulso di scappare anche lei,ma qualcosa le inchiodava le gambe al
suolo nonostante le lacrime,il caldo e il respiro che sembrava farsi sempre più faticoso.
Non poteva spostarsi:alle sue spalle c’era lui,l’uomo che amava.
Ormai le grida le parevano soltanto un rumore in sottofondo. Eidith sentiva chiaramente
solo il battito del suo cuore,un martello che sembrava volerle sfondare il petto. Deglutì a
fatica,soffocando i singhiozzi,e abbassò gli occhi. Allora si accorse che sul terreno si era
disegnata una grande ombra. Poteva distinguere due enormi ali spiegate con al centro
un collo allungato sormontato da corna attorcigliate,lunghe e appuntite. Sentì le gambe
farsi molli mentre,ignorando le intimazioni dei cacciatori,si voltò indietro.
Il cuore le sussultò nel petto. Le parve di annegare in quello sguardo profondo d’oro
fuso,lo stesso che conosceva ma più intenso,più violento e magnetico. Il suo corpo era
nero come giaietto,ricoperto di squame che rilucevano. Ogni pensiero svanì nel mare
dorato che la fissava,mentre enormi fauci si aprivano mostrando denti aguzzi e
bianchissimi. Dalla sua gola iniziò a formarsi un involucro di fuoco nero,prima come
piccole lingue che si inseguivano in tondo,poi come una fiamma oscura e bruciante che
la invase. Le parve di essere investita da una tormenta rovente che le bruciava gli
occhi,asciugandole le lacrime e il sudore,infiammandole la tunica,bruciandole la
pelle,incenerendole i capelli.
Dunque era questo che provavano le persone quando bruciavano al fuoco di un drago?
In lontananza udì le voci dei cacciatori farsi più flebili. Vide la vecchia quercia
allontanarsi verso il basso,farsi così piccola e insignificante. Chiuse gli occhi,lasciandosi
cullare da quella strana sensazione che l’avvolgeva,come se stesse ricevendo qualcosa
più che perdendola.
Il giovane cacciatore non aveva mai visto nulla di simile. Guardò,impotente,l’enorme
drago nero librarsi in volo sopra le loro teste. Nessuno aveva scoccato una freccia,tutti
erano rimasti spettatori inermi e stupefatti di quello spettacolo. Tutto ciò che sapeva era
che quella macchia bianca,sul petto possente del drago,era comparsa solo dopo che la
fanciulla era svanita. Ricordava di aver sentito una vecchia storia di un drago bianco
come la neve fresca che portava sul dorso un cavaliere.
Si diceva che i loro cuori fossero legati;che il drago bianco fosse l’unico che,nato dal
fuoco,aveva ricevuto in dono un cuore palpitante capace di provare affetto e che fosse
una creatura votata a proteggere piuttosto che a distruggere,come i suoi simili. La storia
di quel drago bianco tornò alla mente di tutti i suoi compagni. Lo capì subito,guardandoli
negli occhi,e non poté fare a meno di domandarsi come,quel drago,avesse ricevuto quel
cuore.
Confuso abbassò la balestra. I misteri sui draghi erano molti,alcuni più oscuri di
altri,ma,forse,quel giorno sarebbe passato alla storia come il giorno in cui un
pugno di uomini vide il cuore di un drago.