Marilyn, o l`amore negato
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Marilyn, o l`amore negato
14 Domenica 16 Gennaio 2011 Gazzetta del Sud . Cultura La sfortunata vita sentimentale di una donna-icona, una donna-mito che con la sua bellezza segnò un’epoca Marilyn, o l’amore negato Il drammatico bisogno d’affetto e la costante spinta dell’ambizione Maria Gabriella Scuderi La bellezza, costantemente cercata, perseguita, desiderata, talvolta recuperata attraverso dolorosi interventi estetici, può talvolta rappresentare un ingombro scomodo, un pesante fardello che offusca qualità altrettanto importanti per il benessere del soggetto e la sua sicurezza nel mondo. Tutto ciò che è “troppo” può costituire un problema. Chi un tale bene possiede, non del tutto consapevole dell’enorme valore che porta, chiede di essere amato per le sue “qualità invisibili”, quelle che appartengono alla sua interiorità e che possono essere scoperte e apprezzate solo da chi guarda oltre l’aspetto fisico, spinto da un interesse che è soprattutto affettivo, e che ingloba stima, ammirazione, considerazione. Perché è vero che il bello è perseguito a qualsiasi prezzo, ma è altrettanto vero che senza l’amore qualsiasi bellezza rimane incompleta. È probabilmente una tale sensazione di incompiutezza che ha reso mitiche icone di perfezione tristi o depresse, nonostante il bene prezioso accordato loro dalla natura. Il giornalista Alfonso Signorini ha narrato la vita di una di queste icone, una donna-mito dalla sconvolgente bellezza e universalmente ammirata, nonostante il suo costante, inappagato bisogno d’affetto. “Marilyn. Vivere e morire d’amore” (Mondadori, pp. 249, euro 18,50) rappresenta infatti, nell’intenzione dell’autore, il contributo dovuto ad una creatura-simbolo passata alla storia per la peculiarità della sua umana vicenda, centrata non tanto su ciò che tutti sapevano di lei, quanto su quel tratto “invisibile” e funesto che ha segnato la sua vita e l’ha resa vittima delle conseguenze dell’amore cercato e negato, scoperto e perduto, concesso e abusato. In stridente contraddizione con l’aura di perfezione della sua figura. Marilyn Monroe, al secolo Norma Jeane Baker, viene al mondo e trascorre già i primi anni di vita all’insegna dell’abbandono e della violenza psicologica. Sia la nonna che la madre, malate di follia, scorgevano nella bellezza della piccola Norma e nei suoi puerili entusiasmi quel tratto d’amore per la vita che tanto inquieta chi la stessa vita decide di odiare per non aver ricevuto ciò di cui si ritiene meritevole. La bimba cresce così alimentando in sé la volontà di recupero tipica di chi dell’affettività assapora soltanto le briciole, mentre il suo cuore è affamato di baci, carezze e abbracci. Che non tardano a venire, ma da parte delle persone sbagliate, di uomini che violano la sua innocenza e frenano i suoi slanci vitali, imprimendole nella psiche una fondamentale incapacità d’amare che Marilyn Monroe ritratta da Cecil Beaton nel 1956 a New York: era la foto che la star amava di più per tutta la vita rappresenterà per lei un problema ed una risorsa ad un tempo. Norma, infatti, divenuta presto consapevole dell’enorme fascino che esercita sugli uomini, impara a servirsene, per affrancarsi dalla povertà, raggiungere traguardi ambiziosi, e realizzare i suoi sogni. L’amore ed il sesso, in una tale ottica, divengono “mezzi di scambio”, ed i suoi diversi matrimoni una sorta di stampella tra una tappa e l’altra della sua scalata al successo. Sia il primo matrimonio con Jim Dougherty che la successiva relazione con Johnny Hyde, il più famoso agente di Hollywood, rappresentano infatti esperienze che con il vero amore hanno poco a che fare, sebbene contengano sentimenti di affetto autentico e disinteressato. Ma soprattutto nutrono un cuore infantile che ha bisogno costantemente di qualcuno cui aggrapparsi, per riuscire a dare il meglio di sé. Nonostante ciò, l’incontro ed il secondo matrimonio col campione di baseball Joe DiMaggio sembrano assumere nella vita della giovane attrice un significato diverso, rappresentando una sorta di amore adulto, frutto di autentica passione. Ma un amore che si consuma nel giro di pochi anni, avvelenato dai sempre più frequenti litigi causati dalla gelosia di lui. Marilyn rappresentava il sogno erotico di tutti gli americani, e questo DiMaggio non riusciva a tollerarlo. Si narra, a tale proposito, che le avesse imposto di indossare due paia di mutandine per girare la famigerata scena della gonna al vento durante le riprese del film “Quando la moglie è in vacanza” di Billy Wilder. Neanche Joe quindi riesce a dare all’inquieta Marilyn la felicità tanto desiderata: i loro mondi sono troppo distanti e le loro anime profondamente diverse, nonostante la grande passione. Consumato il rapporto con DiMaggio, un uomo diverso, dall’indole riflessiva e razionale, il drammaturgo Arthur Miller entra in scena nella vita di una sempre più famosa e contesa Marilyn, offrendole un’ulteriore speranza d’amore vero. Miller sembra l’unica persona capace di leggere nella sua anima, per scorgervi il misto di allegria e tragedia che traspare dai suoi occhi, e si concretizza negli umori cangevoli e nell’onnipresente tratto depressivo. Psicofarmaci e alcool diventano infatti, a mano a mano, assidui compagni delle notti insonni della diva, che tuttavia, anche nei momenti di peggior disorientamento, non accantona la sua ambizione di andare in alto, sempre più in alto, come per fare giustizia della miseria e l’infelicità sempre aleggianti nella sua famiglia d’origine. Il rapporto con Miller sembra portare nella vita di Marilyn una maturità a tutto tondo, personale e professionale. Miller la mette a contatto col mondo del teatro, incoraggiandola a prendere lezioni da Lee Strasberg, il fondatore dell’Actors Studio. Sono anni intensi di impegno e di progetti, cui il famoso scrittore partecipa in prima persona, e in cui prende vita il primo film interamente prodotto dalla casa di produzione di Marilyn, la MM Production, “Il principe e la ballerina”, diretto da Laurence Oliver. Il film, girato interamente in Inghilterra, fu per la psiche già fragile di Marilyn un duro colpo. Essere per la prima volta lontana da casa le procurò una tale ansia da prestazione da compromettere i rapporti con il regista e gli attori, stressati dai suoi continui ritardi e dalla sua insistenza nel mettere in atto le “regole recitative” apprese dalle lezioni con gli Strasberg. Al ritorno l’attendeva una nuova sofferenza: la perdita del figlio che aspettava da Miller, il suo tredicesimo aborto, ulteriore esperienza di perdita che segna un percorso in discesa. In questo clima di conflitto con se stessa e con gli altri, Marilyn accetta di girare “A qualcuno piace caldo”, il film che la mostra bella e sensuale, matura attrice dell’Actors Studio, ma troppo fragile nel suo equilibrio di persona: i suoi ritardi sul set si facevano sempre più imbarazzanti, le prestazioni sempre più discutibili, si percepiva anche dall’esterno una condizione di totale disorientamento. Gli unici momenti di relax nella vita di Marilyn erano ormai quelli vissuti durante gli incontri furtivi con colui che sarebbe diventato l’ultimo importante amore della sua vita: l’allora senatore John Fitzgerald Kennedy. Un amore ambizioso, illustre, in linea con quella scalata che per Marilyn non aveva mai cessato d’essere obiettivo primario della vita. Ma il prezzo di questo amore fu alto, quanto l’ambizione che lo aveva determinato. La storica performance canora di “Happy Birthday Mister President” al Madison Square Garden di New York, in occasione dei quarantacinque anni di John Kennedy, fu una vera e propria dichiarazione d’amore di fronte a quindicimila persone, ma rappresentò anche per la diva il canto del cigno, il più bello prima della tragica fine. Marilyn col drammaturgo Arthur Miller, suo terzo marito Il testo biblico “irriverente” firmato dal genio dei comics underground esce in Israele ed è già polemica Arriva la Genesi a fumetti di Robert Crumb Aldo Baquis Il testo sacro per eccellenza interpretato dalla matita più irriverente del fumetto di protesta americano degli anni Settanta: quella di Robert Crumb. La versione ebraica della sua “Genesi” a fumetti è uscita questa settimana in Israele, dove rischia di scatenare reazioni molto emotive. Il nome di Crumb è uno di quelli che mozzano il fiato: è il genio dei comics underground che spopolavano nel campus di Berkeley negli anni della rivolta studentesca, inesauribile autore di pagine esplicite e allegramente celebrative della triade liberatoria “Sesso-Droga-Rock and roll”. Trasferitosi da vent’anni in Francia, Crumb ha polarizzato in età matura la sua attenzione e l’indiscussa capacità illustrativa sui Patriarchi del popolo ebraico. L’approccio – è stato notato – è molto cauto, totalmente ossequioso del testo e delle sensibilità del lettore potenziale. Ma la miscela “Bibbia+Crumb” resta esplosiva. Non a caso la versione anglosassone della “Genesi” – che ha presto guidato le vendite negli Stati Uniti nella categorie dei “Graphic Novel” – è stata accompagnata dalla dicitura: «Si consiglia l’assistenza di adulti qualora il libro sia destinato a un minorenne». Già nella prime pagine ci si imbatte in una “Eva” molto procace, che non sfigurerebbe in un locale notturno di Las Vegas. La matita di Crumb (autore del celebre film-sexy di animazione “Fritz il gatto”) sembra talora animata di volontà propria. Un lettore religioso, timorato, potrebbe dunque non apprezzare le illustrazioni che mostrano Lot, dopo la distruzione di Sodoma, mentre stordito dal vino si accoppia con le figlie. Crumb ha dedicato cinque anni a questo libro, ha compiuto anche un metodico lavoro di ricerca, sforzandosi di ricreare ambienti, costumi e abiti dei protagonisti della “Genesi”. Nella direzione di Xargol si attendono con grande curiosità le reazioni del ministero dell’Istruzione (nella speranza che la Bibbia a fumetti sia ammessa nelle aule) e dei frastagliati ambienti religiosi israeliani, dove non mancano zeloti ed integralisti. La possibilità che sia oggetto di anatemi non viene esclusa. Marilyn legge l’ “Ulisse” di Joyce nel 1955 sulla spiaggia di Long Island “Fragments”: appunti e lettere della diva Quando leggeva Joyce e scriveva poesie Marianna Argentina Marilyn mentre legge l’ “Ulisse” di Joyce sulla spiaggia di Long Island. Marilyn che contempla una scultura della Ballerina di Degas. Marilyn con Karen Blixen e Marilyn poetessa. La spumeggiante oca bionda, la diva più sexy di tutti i tempi, mostra oltre alla sua rara bellezza anche una grande passione per la letteratura e la scrittura in cui lei stessa esprime un incontenibile desiderio di scoprire la vita. Lo dimostrano gli inediti scritti tra il 1943 e il 1962: poesie, appunti, lettere, frammenti dei diari e foto raccolte in “Fragments”, uscito per Feltrinelli (pp. 269, euro 25) con la prefazione di Antonio Tabucchi, in contemporanea con altri paesi fra cui la Francia (Seuil), la Germania (Fischer Verlag), la Spagna (Seix Barral) e gli Stati Uniti (Farrar, Straus&Giroux). «Vita – Ho in me entrambe le tue direzioni» scrive l'attrice. E ancora: «Solo parti di noi potranno mai toccare parti di altri», «Mi sa che ho sempre avuto un profondo terrore di essere davvero la moglie di qualcuno dato che nella vita ho imparato che non si può amare un’altra persona, mai, veramente». Rimasti finora inediti questi testi erano conservati in due scatole lasciate a Lee Strasberg nel 1962, alla morte della Monroe. Ritrovate nel 2007 da Anna, la vedova di Strasberg, sono state ora pubblicate a cura del vecchio amico di famiglia Stanley Buchthal e di Bernard Comment, editor delle Editions du Seuil. Rivelano un aspetto inedito e per molti versi sorprendente di Marilyn che appare come «una giovane donna inappagata da superficiali questioni d’apparenza e tesa a cercare la verità, nelle cose come nelle persone» sottolineano i curatori, che spiegano anche come «tre o quattro di questi documenti possono essere stati pubblicati altrove, integralmente o in parte, senza autorizzazione. Qui acquistano un nuovo senso». La stessa Norma Jean, vero nome di Marilyn Monroe, si descriveva come «due persone in una», un po’ come vuole il suo segno zodiacale, i gemelli. «Penso di avere dentro di me un lato gioioso e uno triste» disse in un’intervista, ricordano i curatori. Nella bellissima prefazione Tabucchi spiega che «dentro quel corpo, che in certi momenti della sua vita Marilyn portò come si porta una valigia, viveva l’anima di un’intellettuale e di un poeta che nessuno sospettava» e vede nel desiderio di Marilyn di essere nella prossima vita una farfalla un commiato inconsapevole dell’attrice. La preziosità di questo libro, diverso dai tanti usciti finora sulla diva di tutti i tempi, è che a parlare è solo e soltanto lei con parole scritte a mano, cancellate, che sulla pagina in alcuni casi sembrano dei puzzle, che esprimono la sua depressione, il rapporto con la psicanalisi, la spinta ad amare, il bisogno di una disciplina, la paura della follia che aveva segnato la madre e la nonna, l’amore per il suo lavoro che voleva fare sempre meglio e uno sguardo alla fine sempre più disincantato. Il suo bisogno di ordine si vede anche negli “Appunti di cucina” in cui ogni cosa è prevista nei dettagli quando deve organizzare una cena di compleanno per Helen Schneider. Mentre , dopo un anno di analisi «Aiuto aiuto Aiuto Sento la vita farsi più vicina quando voglio solo morire» dice Marilyn, e riflettendo sulla vita: «Ci vuole solo decisione per non farsi travolgere». Nel dicembre del '61 in una lettera a Lee Strasberg scrive: «Come sai, da anni lotto per trovare una certa sicurezza emotiva ma senza grande successo, per numerosi motivi diversi». In appendice la sua foto preferita, quella con il fiore scattata da Cecil Beaton il 22 febbraio 1956, l’elogio funebre di Lee Strasberg e alcuni libri dalla sua biblioteca personale fra i quali figurano “Madame Bovary” di Flaubert e “Sulla Strada” di Kerouac. Restano fuori da “Fragments” gli appunti sul mestiere di attore che, spiegano i curatori, potrebbero comporre un’altra raccolta.