Puzzle Istituzionali - Clinique de Concertation

Transcript

Puzzle Istituzionali - Clinique de Concertation
Puzzle Istituzionali
( a cura di: G. Scazzola, R. Ravarino, L. Ceriani)
1. Servizi pubblici e modello sistemico: possibili applicazioni, fra cui la Clinica della
Concertazione
La Clinica della Concertazione costituisce un dispositivo terapeutico dei disagi multipli, in quanto
ha lo scopo di utilizzare in modo terapeutico le negoziazioni fra i rappresentanti di diverse
Istituzioni coinvolte nella gestione di un unico caso. Questi sono convocati in uno spazio aperto,
pubblico, che generalmente è identificabile con una sala riunioni del Comune, luogo simbolo
dell’esercizio della democrazia municipale.
E’ stata inaugurata da J. M. Lemaire, direttore dell’Istituto di Terapia Familiare di Liegi, che è stato
sollecitato nell’assunzione di questa pratica dalle riflessioni condotte nel corso della propria
esperienza durante gli anni ottanta come operatore sociale a contatto di famiglie con disagi multipli.
Queste, pur indebolite da una moltitudine di bisogni insoddisfatti, esprimevano il potere di “mettere
in ballo”, di coinvolgere una gran quantità di operatori, chiamati a fornire consulenze e a
partecipare a decisioni circa il loro destino (es. affidamento dei minori in seno a queste famiglie).
Tale forza convocatrice è stata considerata una risorsa residuale di queste famiglie, annientate da
ripetute esclusioni multiple, cui allearsi per ricostruire la loro fiducia verso le Istituzioni e per
costruire la fiducia alla base della collaborazione fra professionisti.
Riflessioni complementari sono state maturate da Lemaire in domini diversi, ad esempio a contatto
con le vittime di epurazione etnica (ex Jugoslavia, Kosovo, Algeria). In questi casi spesso gli
interventi umanitari agivano con scarsa attenzione per le risorse residuali delle vittime, insistendo su
una loro descrizione in termini di deficit e di patologia e non considerando la forza riparatrice insita
nelle loro relazioni familiari e di prossimità, contrassegnate da legami di preoccupazione reciproca.
Questi interventi sono stati considerati “sconcertanti”1, frantumanti, in quanto rappresentanti una
seconda aggressione alle vittime, già mutilate fisicamente o psichicamente.
Anche gli interventi psico-sociali sono spesso caratterizzati da azioni sconcertanti, che pongono in
primo piano la diagnosi delle patologie, delle carenze, dei disagi, non prestando attenzione allo
sfondo, costituito dalle risorse residuali2.
Esperienze tese al superamento dello sconcerto, cioè alla concertazione (= dibattito mirante al
confronto fra punti di vista conflittuali) sono state realizzate nella regione parigina, ad Orleans, in
Belgio, nel Kosovo, in Algeria, a Torino, ad Alessandria, ad Asti e a Fossano. Esse sono state
organizzate su richiesta di esperti dipendenti dei Servizi Pubblici o di altre Istituzioni che operano
nel fornire servizi alla popolazione (es. centri di Orientamento Educativo, Servizio di aiuto ai
minori, ecc.).
Il fulcro comune di questi interventi consta nella creazione di una concreta rete comunicazionale,
cui dovrebbero e potrebbero partecipare professionisti direttamente e potenzialmente coinvolti nella
gestione di un caso contrassegnato da disagi multipli (psichiatri, psicologi, assistenti sociali,
insegnanti, medici, logopedisti, educatori, amministratori pubblici, ecc.), unitamente agli utenti
direttamente coinvolti, ai professionisti e agli utenti non direttamente coinvolti ed ai politici di
prossimità.
Si crea così un dispositivo in cui si incontrano le persone che vivono insieme e le persone che
lavorano insieme.
1
La clinique de la reconstruction, une expérience avecles réfugiés d’ex Yougoslavie di A. CHAUVENET, V.
DESPRET & J.M. LEMAIRE (1996) Ed. L’Harmattan, Paris.
2
Articolo “Gli Interventi Sconcertanti” di J.M. LEMAIRE (allegato)
1
Utenti
Concertazione
Clinica
o
Clinica della
Staffetta
Clinica della Concertazione
L’incontro fra servizi pubblici e modello sistemico è stato supportato dalla concezione sottostante
l’approccio relazionale, che sottolinea la matrice sociale dei disturbi mentali.
Vi sono però delle dissonanze fra il contesto consueto di applicazione della terapia sistemica
(eminentemente privato) e il contesto che caratterizza la presa in carico nei servizi pubblici, in cui
opera un’èquipe pluri-professionale gerarchicamente organizzata, che è inserita in una rete di
Servizi.
Ciò può essere considerato sia un limite per la fluidità e la trasparenza dell’intervento, sia un punto
di forza nella disponibilità a realizzare un intervento “di rete”, che implichi una valutazione globale
della situazione problematica.
L’unità di analisi della terapia sistemica, l’insieme di relazioni familiari significative, può essere
allargata al contesto ambientale sociale in cui la famiglia nucleare è inserita. Il sistema si allarga
perciò concentricamente e la posizione del terapeuta come unico depositario della funzione di
controllo del contesto deve essere riveduta.
La Clinica della Concertazione, dispositivo terapeutico collettivo favorente relazioni umane più
affidabili (familiari, professionali), la ricostruzione di identità e la creazione di spazi di
confidenzialità legittimati, mettendo in contatto persone che vivono insieme disagi multipli e vitali
ed esperti dell’aiuto e della cura, realizza uno degli obiettivi del modello sistemico, in quanto il
conduttore collabora con gli altri operatori alla co-costruzione in itinere del contesto, anche se non
con funzione esclusiva di responsabile. Infatti in questo caso la famiglia ha un ruolo prioritario, in
quanto ha il potere di convocazione dei vari operatori.
Il contesto, inteso come luogo fisico e sociale, nei servizi pubblici implica condizioni socioistituzionali che non possono essere eluse e che si combinano insieme alla matrice di significati e ai
sistemi di rappresentazione creati dai vari soggetti coinvolti nel corso dei processi interattivi.
Perciò l’introduzione nei Servizi Pubblici della pratica psicoterapeutica derivata dal modello
sistemico ha reso necessario un adeguamento istituzionale della tecnica originariamente elaborata
per essere applicata in un ambito diverso (contesto privato di psicoterapia o consulenza familiare).
In questo caso sono infatti ineludibili le funzioni esercitate dai colleghi e dal servizio in toto: le
2
capacità di accoglienza e le modalità di risposta previste da quest’ultimo influenzano le aspettative e
le richieste degli utenti, ponendo dei vincoli alla libertà d’azione del terapeuta.
• A tale scopo si è inizialmente verificato un adeguamento sterile al contesto del Servizio, ritenuto
immodificabile, con una conseguente parcellizzazione degli interventi: da un lato interventi di
terapia familiare, condotti da medici e psicologi; dall’altro interventi di routine assistenziale,
separati dalla psicoterapia e delegati a infermieri e assistenti sociali.
Si è realizzata perciò una terapia nel contesto.
• Una alternativa è stata quella di compiere un passo verso l’integrazione degli interventi,
attribuendo un significato a ciascuna mossa (ricoveri, farmaci, interventi assistenziali) nella
relazione col paziente, riducendo la scotomizzazione, anche se si è continuato a ritenere l’intervento
psicoterapeutico come l’unico potenzialmente evolutivo.
Questa posizione, di stampo strategico, implica il mantenimento di una funzione di controllo da
parte del terapeuta nell’ambito della relazione con la famiglia e con gli altri operatori. La terapia
della famiglia è divenuta quindi il contesto da cui tutti gli altri interventi dovrebbero essere
orientati; si è tentato perciò di realizzare il “controllo del contesto”.
La compresenza di più istanze terapeutiche rivolte ad un unico caso è stata in questo caso valutata
negativamente, diversamente dall’approccio realizzato dalla Clinica della Concertazione, secondo
cui è proprio il dialogo contingente fra i diversi operatori a promuovere l’apertura di nuovi punti di
vista e possibilità.
• Una terza prospettiva considera il contesto non una variabile cui adattarsi acriticamente o da
controllare, ma una risultante dell’interazione e della combinazione dei significati condivisi da
operatori ed utenti (impostazione socio-costruzionistica). La condivisione del contesto da parte
delle varie istanze diviene una risorsa; si sottolinea perciò l’aspetto processuale dell’intervento, in
cui la risposta psicoterapeutica si pone come un’azione legata a tutte le altre realizzabili all’interno
del servizio.
La Clinica della Concertazione, nel suo significato di formare un progetto comune attraverso la
discussione, recupera quest’aspetto relativo alla processualità degli interventi. Inoltre è importante
conoscere e co-costruire insieme la posizione dei membri della famiglia “paziente”, rispetto ai quali
il terapeuta non si pone come esperto, che richiede l’accettazione di un programma non condiviso e
comunque già deciso, né come giudice, ma come facilitatore di un dialogo che coinvolga in prima
persona i familiari. Spesso infatti le famiglie convocate dai Servizi reagiscono difensivamente
riguardo a quella che credono una proclamazione esplicita della loro responsabilità nella genesi
della patologia. L’accoglimento di questo atteggiamento familiare da parte dei Servizi implica al
contempo l’accettazione di una delega di competenza da parte della famiglia, che produce in essa
ulteriore passività.
Invece concetto cardine della Clinica della Concertazione è la valorizzazione delle risorse residuali,
l’enfasi posta sul ruolo di protagonista del proprio intervento assunto dalla famiglia nella cornice
cooperativa fra Servizi .
La famiglia è una risorsa essenziale in tutte le patologie psicosociali; il lavoro nella Clinica della
Concertazione consiste nel trovare elementi per valorizzare il talento degli individui, come per
esempio le persone si sostengono in una famiglia. Non è importante riportare “la verità storica”
della storia familiare, ma piuttosto prendere un’altra posizione e permettere l’inversione delle cose,
consentire di elaborarle in un altro modo e ricostruirle. Si ravvisa una somiglianza rispetto al
modello sistemico tradizionale, che ha lo scopo di mobilitare le energie nella relazione tra i membri
della famiglia. In questo caso però vengono attivate queste energie trasformative anche nella
relazione tra Servizi, creando una vera e propria rete, che rappresenta, unitamente alla famiglia,
l’altra risorsa fondamentale per affrontare le problematiche dell’intervento.
Il considerare la rete una risorsa implica la disponibilità ad usufruire degli inevitabili conflitti che
nell’ambito dei rapporti fra i Servizi si vengono a creare e ad assumere rispetto ad essa un ruolo
complementare.
3
La conflittualità intra-familiare può essere ridotta proprio dal confrontarsi con una rete sociale non
scissa. Il conflitto della famiglia si ritrova anche nelle relazioni interistituzionali. L’uno o l’altro dei
professionisti prende le parti di uno o dell’altro membro della famiglia.
Il fatto che il conflitto possa esistere, giocarsi davanti alla famiglia, esprimersi, mostrare che non è
pericoloso e che le cose arrivano a negoziarsi fra i professionisti, deriva che esse possano anche
negoziarsi all’interno della famiglia.
La ricostruzione dei legami tra i professionisti tramite la concertazione partecipa alla ricostruzione
dei legami intra-familiari.
La partecipazione di professionisti non coinvolti direttamente nel caso ed invitati alle sedute di
concertazione aiuta a sostenere e a detendere nello stesso tempo i conflitti.
Nella Clinica della Concertazione non si ha l’intenzione di annullare i conflitti ma piuttosto di
esplicitarli. Quando un gruppo di lavoro si allarga prova la sua capacità di essere “ perturbato”, così
come l’introduzione di un pensiero nuovo, l’allargamento dei punti di vista favoriti dall’intervento
sistemico classico crea una perturbazione all’interno della famiglia, base per una sua possibile
evoluzione. Ciò è molto più importante della ricerca dell’intesa. Questo ha un effetto sulle famiglie,
che possono rendersi conto che il conflitto esiste anche tra i professionisti.
Ciò che la Clinica della Concertazione è riuscita a trasporre dalle indicazioni sistemiche è l’utilizzo
di un conduttore delle sedute che non “disgiunga e non si sostituisca, ma che tracci le
connessioni(vedi disegno di Alessandria allegato) fra eventi in un contesto relazionale con altri che
hanno luogo in altri contesti relazionali, che non applichi protocolli, ma che si osservi nella
costruzione della propria relazione con gli altri, che non abbia lo scopo di riparare carenze, ma di
utilizzare risorse e semmai di farle emergere”.
L’intervento attraverso l’attivazione della rete può attribuire un significato nuovo alle varie strategie
(es. intervento sociale, assistenza domiciliare, cura farmacologia, colloqui, presa in carico
psicoterapeutica), nel momento in cui queste vengano attuate nel contesto relazionale creatosi fra
famiglia e operatori.
L’utente “famiglia” infatti si rapporta ai diversi operatori (psichiatra, psicologo, assistente sociale,
infermiere) non come a persone separate, ma come a figure riconducibili ad un’unità, il Servizio
inteso come entità globale. Gli operatori d’altronde spesso affermano le proprie prospettive
particolari, agendo talvolta a discapito degli interessi dei pazienti; inoltre i Servizi a cui tali
operatori fanno riferimento generalmente non integrano in un’unica prospettiva le relazioni che
ciascuna figura professionale intesse con gli utenti.
La Clinica della Concertazione si proporrebbe invece l’obbiettivo di giungere ad un accordounificazione nelle visioni unilaterali e parcellizzate degli operatori dipendenti dai vari Servizi,
compiendo un’operazione di stampo socio-costruzionista. La Clinica della Concertazione costruisce
cioè una cornice di riferimento fra i differenti Servizi coinvolti, accogliendo tutte le possibili
contrastanti richieste dei pazienti e creando una connessione che ridefinisce tali richieste come
complementari, anziché alternative.
Essa costruisce perciò un meta-contesto. Il sistema di scambio di informazioni si allarga e si fa più
intrecciato; le retroazioni degli interventi di un servizio possono giungere attraverso le osservazioni
e le indicazioni degli altri servizi coinvolti.
Quello che poteva essere considerato come insieme di interventi proposti dai vari Servizi e tesi alla
stabilizzazione, può in quest’ottica essere visto come progetto unitario orientato all’evoluzione.
Attualmente l’attenzione per la connessione tra le diverse istanze operative e per una visione non
frammentata-totale del paziente si è affievolita all’interno del Servizio socio-sanitario pubblico, in
cui prioritari sono divenuti gli interessi a ridurre i costi, a razionalizzare e ad individualizzare le
risorse dei Servizi, a rispondere ad esigenze burocratiche più che ad esigenze umane.
La Clinica della Concertazione può essere ritenuto un approccio che si oppone alla visione
segmentata dei bisogni e che favorisce una sorta di puzzle istituzionale.
4
2. La Clinica della Concertazione: un laboratorio di “etica comunicazionale applicata” che
promuove l’intersezione fra le diverse istituzioni
Gli operatori si incontrano periodicamente nella Clinica della Concertazione con il duplice scopo di
studiare e far progredire le pratiche psico-sociali, da un lato, e di proporre un dispositivo terapeutico
nuovo, specificatamente adattato alle situazioni di disagio multiplo, dall’altro.
Si stabiliscono riunioni mensili di cui vengono redatti verbali, nei quali i problemi emersi dal
dibattito sul caso vengono formulati, sistematizzati ed elaborati. Tali riunioni possono essere
convocate in vari luoghi (scuola, servizi sociali, domicilio della famiglia, ecc.).
L’accento sulle risorse residuali è in primo piano, come in primo piano è il ruolo attivo delle
famiglie. Raramente la famiglia si oppone a questa pratica, in quanto di rado viene considerata la
principale forza convocatrice della rete interpellata, cioè un possibile aiuto per l’attività dei
professionisti, in vista di una maggiore comprensione del loro modo di lavorare insieme e quindi un
serbatoio di competenze che possono essere trasferite ai Servizi.
La Clinica della Concertazione si propone di realizzare un rispecchiamento fra conflitti intrafamiliari e conflitti inter-istituzionali, di individuare come si articolano i conflitti di interessi intrafamiliari e quelli di competenza fra esperti, di lavorare alla ricomposizione dei primi appoggiandosi
agli altri.
Il conduttore delle sedute di concertazione facilita la costruzione di una visione pluridimensionale
ed integrata attraverso la rappresentazione delle relazioni per mezzo di un disegno, che costituisce
la fotografia di un tempo T delle relazioni e che è in divenire nel corso della seduta. I professionisti
presenti possono ciascuno fare una croce all’interno del disegno, in corrispondenza del punto in cui
scelgono di intervenire e la famiglia può richiedere ad un operatore di sua scelta un incontro in cui
discutere nuovi inviti degli operatori coinvolti.
Il disegno (vedi disegno di Alessandria del 5 maggio 2001 allegato) permette: di fissare la realtà
delle relazioni a partire da ciò che esiste in un preciso momento di tempo; di visualizzare la
simultaneità fra le domande delle famiglie e il lavoro dei professionisti. I vari elementi del disegno
sono collegati da frecce di diverso colore, che indicano differenti tipi di rapporti fra le varie figure
attrici del campo:
frecce blu: connettono le persone che vivono insieme;
frecce rosse: connettono Servizi ed utenti;
frecce verdi: connettono i Servizi.
Il quadro creato dall’intersezione delle frecce e dal flusso delle comunicazioni rappresentato dalla
loro direzione è una fedele rappresentazione della “rete”, la cui analisi consente di dispiegare le sue
potenzialità.
I riferimenti teorici che aprono la via alla Clinica della Concertazione sono riscontrabili nei lavori
sui gruppi di Bion (1961) e nell’approccio contestuale di Boszormenyi-Nagy (1984-1984), che
considera l’etica relazionale come dimensione inevitabile della relazione.
3. Il lavoro sui gruppi di W. R. Bion
Nel corso della seconda guerra mondiale Bion ebbe modo di dirigere il reparto di riabilitazione di
un ospedale psichiatrico militare; egli affrontò il suo lavoro a partire da concezioni di gruppo,
considerando cioè il reparto nella sua globalità e non i singoli pazienti come i destinatari
dell’intervento terapeutico. Dopo il congedo venne inviato a condurre dei gruppi terapeutici presso
la Clinica Tavistock di Londra. L’elaborazione di tali esperienze, rivista alla luce delle teorie di
Melanie Klein sulle relazioni oggettuali, condusse Bion alla formulazione di ipotesi sulla
psicodinamica dei gruppi, che ancora oggi costituiscono il principale riferimento all’interno
dell’analisi di gruppo.
5
Una delle definizioni di gruppo che Bion propone è la seguente : “un insieme di persone che si
trovano tutte allo stesso grado di regressione”, per effetto delle rinunce che derivano dal contatto di
ciascuno con la vita affettiva del gruppo. A differenza dell’aggregato che consente di mantenere
integra la propria individualità, il gruppo necessita della regressione che ciascuno può esperire
mediante il contatto con le restrizioni che il gruppo impone; l’adulto che si trova ad entrare in
rapporto con la vita emotiva del gruppo in cui vive deve affrontare un compito problematico quasi
quanto il rapporto che il bambino ha con il seno.
Ciò che consente all’individuo di entrare immediatamente in relazione con uno schema prestabilito
di comportamento viene chiamato da Bion valenza, da lui definita come capacità del singolo di
combinarsi istantaneamente ed involontariamente con un altro per condividere un assunto di base ed
agire in base ad esso.
Gli assunti di base, che costituiscono la manifestazione delle
regressioni derivanti
dall’appartenenza ad un gruppo e dalle complicanze che esso impone, rappresentano uno dei
concetti cardine della teoria bioniana. Sugli assunti di base si modulano gli stati emotivi del gruppo,
descrivibili con i termini di ansia, paura, odio, amore.
Gli assunti di base individuati da Bion e ritenuti fenomeni tipici del gruppo sono: la dipendenza,
l’accoppiamento e l’attacco-fuga. Questi, unitamente alle emozioni ad essi legate, costituiscono
modalità comportamentali molto primordiali e regressive che hanno origine dalla situazione di
gruppo e non risiedono negli individui; sono perciò manifestazioni di gruppo.
Una seconda fase del pensiero di Bion è quella che considera l’importanza del gruppo di lavoro in
rapporto dialettico e non di opposizione con il gruppo in assunto di base; infatti, secondo lo
studioso, qualsiasi gruppo oscilla tra la posizione in assunto di base e quella di gruppo di lavoro.
Dal punto di vista tecnico un gruppo bioniano – o gruppo esperienziale - ha caratteristiche che lo
rendono particolare: l’analista considera il gruppo nella sua totalità e non presta attenzione ai
singoli; si tratta di un gruppo di apprendimento per esperienza e non di un gruppo terapeutico; è un
gruppo che fa riferimento all’utilizzazione e alla trasformazione dei vissuti emotivi, cui si
accompagna il cambiamento da gruppo di assunto di base, primitivo, a gruppo di lavoro.
4. La Terapia Contestuale
Il modello di terapia contestuale, elaborato da Ivan Boszorgenyi-Nagy nel corso degli anni 70, è un
approccio di terapia familiare che può riguardare sia le relazioni intra-familiari che gli individui; il
termine contestuale si riferisce ad una terapia che concepisce la famiglia come un insieme di
persone unite da legami di sangue e da responsabilità reciproche ed occuparsi di loro significa
prendere in considerazione l’equità che regola le loro relazioni.
Una dimensione significativa della terapia contestuale è l’aspetto etico delle relazioni e
responsabilità intra-familiari; il termine etico è privo di qualsiasi riferimento a questioni morali e si
riferisce al processo con il quale si arriva a raggiungere il giusto equilibrio nelle relazioni familiari:
l’equilibrio tra i membri della famiglia e nelle loro relazioni si realizza nella misura in cui ogni
membro prende in considerazione gli interessi importanti e basilari della vita di ciascun altro
membro, in una dimensione di reciprocità, condivisione e riconoscimento degli interessi medesimi.
Tale equilibrio è oscillante e dinamico e si conserva nel lungo periodo; quando il giusto
bilanciamento tra gli interessi dei membri della famiglia è raggiunto, si è creato un processo
multilaterale, che ha una ricaduta positiva sulle relazioni familiari e sulla salute del nucleo, anche
nell’ottica futura.
Questo, secondo Boszormenyi-Nagy, è criterio del funzionamento sano della famiglia e delle
relazioni al suo interno. Il concetto di salute, fondamentale nell’approccio contestuale, è legato alla
interdipendenza e alla differenziazione tra i membri della famiglia, fondate sulla considerazione dei
bisogni e dei diritti di ogni persona; se il criterio per ottenere la salute e l’equità delle relazioni tra i
6
membri è quello etico, allora, la persona più debole e vulnerabile merita riguardo, quella che ha più
riguardo, merita riconoscimento.
Il compito della terapia contestuale è di riportare i membri della famiglia all’adempiere al contratto
multilaterale, che si attua mediante il riconoscimento e la piena considerazione reciproca dei diritti e
delle responsabilità.
Assume importanza la prospettiva transgenerazionale della famiglia, dove la generazione attuale è
responsabile del benessere dei figli come generazione futura; quest’ultima riceve dai genitori
un’eredità più o meno gravosa e vincolante, che i figli per lealtà potranno portare avanti. L’idea di
eredità si riferisce al compito lasciato ai figli dai genitori di riparare le ingiustizie del passato a
beneficio della generazione successiva, in una sorta di catena che lega molte generazioni.
5. Punti di accordo e disaccordo fra Terapia Sistemica e Clinica della Concertazione
• Un elemento di somiglianza viene offerto dalla necessità che i legami siano basati sulla fiducia e
sul dialogo fra le parti; comunque la fiducia si costruisce per la Clinica della Concertazione in spazi
aperti, ove diviene possibile la comunicazione fra le diverse Istituzioni rappresentate, diversamente
dal modello sistemico, originariamente nato negli spazi chiusi degli studi privati.
• Altro elemento comune è rappresentato dall’arricchimento dei punti di vista (dall’aprire orizzonti
con maggiore facilità), sebbene la logica della Clinica della Concertazione, differentemente dalla
terapia sistemica, non si fondi sul tentativo “prioritario” di trovare una soluzione alle situazioni o di
modificarle, determinando una condizione di maggiore serenità o diminuendone il disagio.
• Entrambi gli approcci permettono di mettere in cammino un processo terapeutico, di rivitalizzare
ciò che deve essere in movimento, legittimando la trasgressione (non vengono cioè veicolati o
comunicati giudizi). Però la Clinica della Concertazione apre un dibattito fra professionisti ed
utenti, comunque guidato dal conduttore delle sedute, mentre nel modello sistemico non si
suggerisce un vero e proprio dibattito, poiché è il terapeuta a definire le regole della conversazione.
Nella Clinica della Concertazione i professionisti mettono in preventivo la visione critica della
famiglia/ nel modello sistemico il terapeuta è lo stimolo, non c’è tradizionalmente spazio per la
critica della famiglia nei suoi confronti.
• La posizione della famiglia è diversa: nella Clinica della Concertazione è la famiglia a definire il
sistema nel quale ha desiderio di lavorare; nel modello sistemico vi è co-costruzione del contesto
relazionale: perciò in quest’ultimo caso la famiglia non ha lo stesso potere detenuto invece
nell’ambito della Clinica della Concertazione.
• Per quanto riguarda la dimensione relazionale fra professionisti e utenti si rilevano differenze fra i
due approcci: nel modello sistemico la famiglia ha l’opportunità di stabilire una relazione
continuativa e personale con il terapeuta, con il quale ingaggia un dialogo costante di cui è sempre
protagonista attiva; nella Clinica della Concertazione invece il dialogo della “rete”, pur consentendo
una dilatazione della visuale degli operatori circa la situazione familiare, può in alcuni momenti
rendere la famiglia esclusivamente osservatrice.
6. Esemplificazione di una seduta di Concertazione in assenza della famiglia: caso clinico
(presentato al Seminario condotto da J. M. Lemaire il 5/05/2001 ad Alessandria)
Si tratta di un caso che riguarda una famiglia multiproblematica, in cui i componenti sono entrati in
contatto e continuano a coinvolgere nella propria presa in carico differenti Istituzioni:
• il SerT di Casale Monferrato (AL), a cui è afferito nel 1995 il “capo-famiglia”, di 33 anni, per
problemi di tossicodipendenza, in seguito ad un invio da parte del Servizio socio-assistenziale di
Trino Vercellese, che il soggetto aveva contattato insieme alla moglie, di 35 anni, a causa di
problemi economici;
7
• la Comunità di Casale Monferrato, che ha accolto il marito nello stesso periodo e che lo ha
ospitato per circa tre anni, dopo che questo era stato coinvolto, a causa dell’uso di sostanze, in un
grave incidente stradale;
• l’Ospedale in cui è stato ricoverato in seguito all’incidente;
• il Servizio di Salute Mentale di Valenza (AL), che ha preso in carico a partire da 1995 fino al
momento attuale la moglie, ritenuta ansiosa dall’operatrice del SerT e perciò inviata alla psichiatra
del Servizio;
• il Servizio di NPI di Casale Monferrato, entrato in contatto con la famiglia tramite l’intervento
assistenziale praticato ad uno dei figli della coppia, affetto da ritardo mentale;
• il Servizio minori per l’affido e l’adozione di Casale, implicato nell’affidamento del gemello
con problemi (di 8 anni), escluso dal padre e picchiato dalla madre;
• il Servizio Sociale di Trino Vercellese, che intrattiene rapporti con la famiglia tramite l’educatrice
domiciliare che la affianca.
I Servizi citati rappresentano l’intelaiatura dell’intervento attuale, sebbene la rete possa essere
allargata fino a comprendere strutture e servizi incontrati dai membri della coppia precedentemente
alla loro vita insieme, che possono aver inciso in maniera rilevante sulla strutturazione di
personalità. Ad esempio il Collegio in cui la moglie ha trascorso un periodo della propria
adolescenza (fino ai 17 anni), in parte in compagnia della sorella, figlia naturale della coppia, nata
in seguito alla sua adozione.
Tali Servizi, che nel lavoro individuale tradizionalmente operano per compensare le mancanze ed i
bisogni del “proprio” utente, oscurando le richieste degli altri familiari e talvolta colpevolizzandoli,
durante una seduta di Concertazione si propongono di focalizzare l’attenzione sui bisogni di tutti e
soprattutto sui significati che i comportamenti di ciascuno assumono per ciascun altro.
Il confronto con differenti prospettive esplicitate da altri professionisti può consentire di giungere
ad una visione globale della situazione, in cui la diversità delle visuali venga integrata
I componenti delle famiglie apprezzano tale coordinamento e, considerando i diversi operatori
portavoce delle rispettive esigenze, riescono a trasporre il coordinamento in ambito familiare.
Gli operatori, dal canto loro, solo imparando a considerare il potenziale comunicativo delle azioni di
tutti i componenti, possono decodificare le richieste esplicite ed implicite di ognuno, definire i
bisogni individuali, chiarificare le possibilità residue ed indurre possibili evoluzioni (es.
ricostruzione di un ruolo attivo del padre).
Si prescinde dunque da una esclusiva lettura delle azioni e dei comportamenti distruttivi (es.
indisponibilità del padre verso i figli, assenze ripetute, incomunicabilità, comportamenti
sessualmente sfrenati della madre), per mettere a fuoco le risorse residuali disponibili all’interno del
rapporto.
Nel caso specifico la capacità potenziale del padre di comprendere le richieste del figlio e di
rinnovare uno spazio di disponibilità affettiva dimostrato in passato (quando il bambino era molto
agitato ed il padre ritornava a casa, gli si avvicinava e gli poneva la testa sulle ginocchia); la
possibilità da parte del figlio di esprimere le proprie richieste al padre. E’ infatti essenziale
comprendere cosa il bambino desidera dal padre, presso il quale riferisce di non voler più andare
perché assente da un punto di vista fisico e relazionale (“io mi sento solo, nessuno mi vuole, quando
vado dal papà lui dorme”) e per quale motivo il papà non è più in grado di dare quello che attende il
figlio.
E’ necessario uno spazio collettivo per operare una ricomposizione dei significati in un tutto che
conservi la ricchezza della differenza.
E’ importante rilevare la parvenza di consapevolezza da parte del padre delle proprie inadempienze,
anche se propone per esse giustificazioni ed il bisogno di avere una guida (“in questo periodo vedo
così poco i miei figli ed è ancora più difficile essere genitore…per far davvero il genitore dovrei
dire dei no, ma non oso; mi servirebbe un insegnamento per fare il genitore”)= questa rappresenta
una risorsa residuale.
8
L’ascolto da parte dei diversi operatori dei propositi elaborati da ciascun servizio consente di
superare i pregiudizi insiti in una visione unilaterale del caso e di immaginare un intervento
collettivo, che impegni le risorse di tutti verso il raggiungimento di un obbiettivo concertato.
Nella seduta di concertazione relativa al caso in discussione molte sono state anche le
comunicazioni degli operatori circa la condizione di frustrazione nel non rilevare cambiamenti in
seguito ai propri interventi (“non abbiamo fatto investimenti troppo grandi?”), ma ciò che si pone
come irrinunciabile è focalizzarsi anche sulle risorse residuali personali.
Ad esempio proprio la consapevolezza di essere impotenti riguardo a qualche aspetto della
situazione familiare ed il far emergere l’impotenza facilita la messa a fuoco di nuove prospettive di
lavoro. L’impotenza, che prelude alla discussione e al confronto, può divenire quindi una risorsa
residuale dei Servizi coinvolti.
Il dialogo fra le frecce verdi, i professionisti, apre nuovi spazi-orizzonti di messa a fuoco, che
sviluppano qualcosa di diverso fra le frecce blu (le persone che vivono insieme); il percorso può
avvenire anche in direzione opposta: dalle frecce blu alle verdi.
In conclusione, l’aprire un orizzonte di significati nuovi, il cambiare la messa a fuoco della
situazione, l’abbandonare temporaneamente il piano delle carenze per spostarsi su quello dei
significati delle domande e delle possibili risposte, rappresenta il senso principale della
Concertazione.
Naturalmente quando sono presenti gli utenti il livello di scambio si alza molto.
Luisa Ceriani, Psicologa di Legnano, allieva del Centro Milanese di Terapia della Famiglia
Roberta Ravarino, Psicologa di Valenza Po, allieva del Centro Milanese di Terapia della Famiglia
Gabriella Scazzola, Psicologa di Alessandria, allieva del Centro Milanese di Terapia della famiglia
9
10