ʻʻUomini di Dioʼʼ di Xavier Beauvois

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ʻʻUomini di Dioʼʼ di Xavier Beauvois
ʻʻUomini di Dioʼʼ di Xavier Beauvois
Vergine Monte Carmelo «Siamo come uccelli sul ramo, non sappiamo se e dove
voleremo» dice uno dei monaci di Tibhirine nel film “Uomini di Dio” agli abitanti del
villaggio che chiedono loro di restare nonostante la minaccia islamista. «Eh, no ribatte una donna «voi siete il ramo, gli uccelli siamo noi!». Inconsapevolmente la
donna ha proclamato l’avvento del Regno di Dio, paragonando la comunità cristiana ai
rami dell’albero e gli abitanti del villaggio agli uccelli che hanno trovato riparo sui suoi
rami. (Cfr.: Lc 13, 18)
Salvatore Scaglia Ispirato a fatti reali, il film narra la vicenda di alcuni monaci, rapiti
ed uccisi a Tibhirine, sulle montagne dell’Atlante, in Algeria nel 1996. Mentre nello
Stato africano imperversa il fondamentalismo islamico, non contenuto da un governo
corrotto, un pugno di religiosi cattolici francesi sceglie di vivere accanto ad un villaggio
musulmano, tra preghiera ed impegno concreto a favore degli ultimi.
Alcuni dei monaci si occupano delle relazioni con le autorità civili, altri studiano persino il Corano - e coltivano l’orto, un altro cura, da medico, chiunque abbia bisogno
di assistenza:senza distinzioni di fede. Insieme all’atteggiamento pacifico dei religiosi,
ciò dà fastidio, espresso da un crescendo di visite notturne degli integralisti al
monastero; di tentativi di protezione dell’esercito, vera o di facciata; di consigli a
lasciare il posto; fino all’irruzione definitiva dei sequestratori ed assassini. La pellicola
di Beauvois si presenta terribilmente splendida.
Dopo i primi minuti di gioia e di festa, funzionali a descrivere il clima di cordialità tra i
monaci e gli abitanti del luogo, è tutto un alternarsi di silenzi (le laboriose meditazioni
dei religiosi) e di rumori (le urla degli estremisti, l’arrivo di automezzi militari, il
minaccioso sorvolo di un elicottero sul convento); di chiari (l’abito monacale, il sole
del giorno) e di scuri (le vesti dei combattenti islamici, le tenebre notturne), a
significare icasticamente i beni in gioco: la giustizia, la libertà, la pace, la vita umana
stessa.
Se le ripetute orazioni e Sante Messe contribuiscono a dare serenità, anche allo
spettatore, in contrapposizione a quanto accade all’esterno del monastero, non sono
tuttavia infrequenti i momenti di paura, di pianto, di ricerca della fuga verso la
salvezza fisica da parte dei religiosi. Anche le diverse deliberazioni della comunità
riunita esprimono tale stato di incertezza, che il regista indaga, con introspezione
psicologica, pure mediante l’inquadratura ravvicinata dei volti di questi uomini.
Nel turbamento, ben consapevoli, come insegnano non solo i vari Salmi da loro
cantati, che “chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria
vita per causa mia”, dice il Signore, “e del vangelo, la salverà” (Marco 8, 35). Così
risulta davvero efficace l’associazione cinematografica del martirio dei monaci al
sacrificio di Cristo: l’indugiare della camera sul pane e sul vino della Messa è, ad un
tempo, presagio e spiegazione degli ultimi istanti terreni dei religiosi.
Così, nell’ennesimo consolarsi vicendevole, un monaco chiede ad un confratello: «ce la
fai?». «Sì!», gli risponde l’altro. Proprio mentre il gruppo, dai colori cupi, dei monaci
sequestrati e dei boia integralisti si dissolve, lentamente, nel bianco candido della
nebbia e della neve. In faticosa ascesa, come nel Calvario di Cristo: che li trasforma
finalmente in veri “Uomini di Dio”.
Vergine Monte Carmelo Fedele e lucida descrizione storico-cromatico-psicologica del
tragico susseguirsi dei fatti culminanti nel martirio dei sette monaci sulle montagne
algerine. Interessante la sottolineatura del travaglio delle coscienze che manifesta la
potente azione della Parola e dell’Eucarestia nella debolezza umana, abilitata a seguire
Cristo lungo la via dolorosa.
Alcamo. Dalla fede all’affidamento completo a Dio
Il film “Uomini di Dio” al di là della storia vera che racconta, pone la domanda di fondo
della fede e cioè come credere veramente, ossia in verità.
Se l’uomo ha detto il suo sì a Dio, crede; se crede guarda alla propria vita terrena
come a un tratto, a un segmento della vita intera. La vita è Dio, nell’eternità; solo lì
l’uomo che crede è in Dio e nella vita.
Con l’incarnazione Egli ha portato l’uomo nell’eternità, al punto che la vita terrena del
credente non solo è una parte di un intero più ampio, ma è capace di condurre
nell’eternità ogni creatura.
Se crediamo veramente non temiamo la morte fisica più di quanto temiamo ogni
cambiamento; la separazione diventa trasformazione. Il cambiamento e la
separazione ci angosciano e ci fanno soffrire solo se rimaniamo legati e dipendiamo da
un segmento della grande retta; se siamo liberi dai beni terreni conoscendoli come
mezzi per fare la volontà di Dio e per manifestare la sua gloria, nulla ci appartiene, ma
tutto e tutti ritroviamo in Dio tramite la comunione.
Essere veramente docili alla volontà di Dio, scoprirne bellezza ed ampiezza, senza
essere fatalisti o rassegnati, implica un percorso di conversione. È questo tipo di
conversione che mostra il film, la conversione di uomini che credevano già (essendo
monaci) e avevano operato precisi tagli nella loro vita. Pii, generosi, altruisti e amati,
erano ancora rivolti a questo mondo, ma Dio dà loro la grazia di compiere un ulteriore
conversione, una virata, che li porterà dal mettere al centro l’operare ed agire per Dio
a favore dell’uomo all’assolutezza di Dio che rivela la gloria dell’uomo e del creato
nella libertà dell’amore gratuito: un affidarsi completamente a Lui.