S. CAMPANA, E. PRANZINI, Il telerilevamento in Archeologia

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S. CAMPANA, E. PRANZINI, Il telerilevamento in Archeologia
IL TELERILEVAMENTO
IN
ARCHEOLOGIA
Premessa
Il Telerilevamento, inteso come l’insieme delle metodologie di acquisi­
zione, elaborazione ed interpretazione di immagini digitali rilevate da aereo,
satellite o altra piattaforma più prossima all’oggetto da studiare, può avere
notevoli applicazioni in campo archeologico, ma la sua attuale utilizzazione
in questo ambito disciplinare è assai limitata. I motivi sono molteplici e po­
trebbero essere in gran parte attribuiti alla separazione ancora forte fra le
discipline di tipo umanistico e quelle tecnico-scientifiche. In realtà, l’Archeologia ha da tempo adottato metodi di indagine e strumenti di analisi tipici dei
settori scientifici, pur fondando le sue basi sulla più schietta matrice umani­
stica. I motivi reali del ritardo con il quale il Telerilevamento è entrato nel
mondo archeologico sono piuttosto da ricercare nelle limitate possibilità che
esso ha offerto fino ad oggi, se non in specifici settori di questa disciplina.
Nonostante ciò, alcune procedure di elaborazione delle immagini, sviluppate
per il Telerilevamento o per altri settori scientifici, vengono correntemente
utilizzate dagli archeologi per estrarre informazioni da dati in origine analo­
gici, quali fotografie, dipinti e reperti di vario tipo.
La più forte limitazione nell’utilizzazione dei dati telerilevati in Archeo­
logia è stata certamente la scarsa risoluzione spaziale delle immagini rilevate
da satellite, che solo raramente ha consentito la localizzazione di siti e mai
una loro analisi spaziale. Il più delle volte il contributo del Telerilevamento si
è limitato alla ricostruzione della paleogeografia di regioni entro le quali
effettuare ricerche di antichi insediamenti o per giustificare localizzazioni e
funzioni di siti già noti. Questi aspetti rientrano nel tradizionale campo di
indagine dei geomorfologi, che hanno sviluppato questi temi di ricerca for­
nendo agli archeologi i risultati degli studi. È verosimile ritenere che il diret­
to coinvolgimento degli archeologi nell’analisi dei dati telerilevati avrebbe
consentito di identificare altre potenzialità di queste metodologie e stimolare
la richiesta di sensori e piattaforme specifiche, come hanno avuto modo di
fare meteorologi, oceanografi, geologi ed agronomi.
La messa sul mercato di immagini a più alta risoluzione, la possibilità di
acquisizione di dati multispettrali e iperspettrali da aereo, la disponibilità di
sensori utilizzabili a terra e, non ultimo, il crollo dei prezzi dei software di
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elaborazione delle immagini digitali, sono tutti elementi che fanno pensare
ad una imminente crescita del Telerilevamento ed espansione a settori disci­
plinari un tempo marginali, quali quello archeologico.
L’ultimo ostacolo ad una sua massiccia diffusione in questo ambiente è
costituito dai problemi legati alla formazione. Non che ci si attenda che il
settore archeologico possa contribuire allo sviluppo di sensori o all’implementazione di algoritmi specifici per il trattamento dei dati digitali, ma cer­
tamente è necessario il raggiungimento di un livello di specializzazione ido­
neo ad utilizzare al meglio i dati disponibili, stimolare la produzione di stru­
menti in grado di produrre immagini di più diretta utilità per l’indagine ar­
cheologica e, in definitiva, capire quanto è possibile oggi, ed in un prossimo
futuro, attenderci dal Telerilevamento.
Quanto segue non intende essere un “Bignami” di Telerilevamento, ma
una semplice (e per questo talvolta imprecisa) spiegazione dei concetti gene­
rali relativi all’acquisizione, elaborazione ed interpretazione di immagini te­
lerilevate, in stretta relazione con le necessità dell’indagine archeologica.
Modalità operative
Il Telerilevamento si basa sulla possibilità di acquisire informazioni su
oggetti senza un contatto fisico con essi. Molti sono i metodi potenzialmente
utilizzabili, sfruttando il campo magnetico e gravitazionale, analizzando le
caratteristiche elettriche dei corpi, utilizzando onde acustiche o onde elettro­
magnetiche. Vi è un consenso quasi unanime nel limitare l’uso del termine
Telerilevamento a quei casi in cui si utilizzano esclusivamente onde elettro­
magnetiche, che mediano le informazioni fra l’oggetto studiato e lo strumen­
to di analisi. Vi sono due modalità operative: sistemi attivi e sistemi passivi. I
primi forniscono l’energia “illuminando” la scena da studiare, i secondi si
limitano a rilevare l’energia emessa dagli oggetti o quella parte dell’energia
solare che gli stessi oggetti riflettono.
Si possono quindi evidenziare già tre campi principali del Telerileva­
mento, che si differenziano per metodi operativi e per possibili applicazioni.
I metodi attivi si basano quasi esclusivamente su sistemi radar ed utiliz­
zano onde elettromagnetiche di lunghezza centimetrica (microonde, in real­
tà assai più lunghe rispetto a quelle utilizzate con altri metodi di Telerileva­
mento, ma corte rispetto alle onde radio a cui si fa riferimento per molti
aspetti tecnici e applicativi).
I metodi passivi possono rilevare l’energia che i corpi emettono in fun­
zione della loro temperatura, o quella che essi riflettono quando vengono
illuminati dal Sole.
Si può quindi operare nelle lunghezze d’onda del visibile e del vicino e
medio infrarosso, sfruttando l’energia solare che i corpi riflettono, oppure
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nelle lunghezze d’onda dell’infrarosso termico espandendosi fino alle micro­
onde, in quanto la Terra emette energia in questa parte dello spettro elettro­
magnetico. I sistemi passivi a microonde non ci risulta abbiano trovato anco­
ra una applicazione in Archeologia.
Basi fisiche
Due sono le principali leggi della Fisica che costituiscono le basi del
Telerilevamento.
La prima ci dice che tutti i corpi con temperatura superiore allo zero
assoluto (e lo sono tutti quelli che conosciamo!) emettono energia sotto for­
ma di onde elettromagnetiche e che la quantità di energia emessa è propor­
zionale alla quarta potenza della loro temperatura assoluta (Legge di StefanBoltzmann).
W = σT4 [W · cm-2]
Questa in realtà è l’energia massima che emetterebbe un corpo teorico
(definito corpo nero perché dovrebbe anche assorbire completamente su tut­
te le lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico), mentre i corpi reali
emettono una quantità di energia minore e proporzionale ad un coefficiente
di emissività che può avere valori compresi fra 1 (corpo nero) e 0 (corpo
bianco). Anche se i valori di riflettività dei corpi che studiamo non hanno
una così forte variabilità, questo aspetto può portare alcuni problemi nella
caratterizzazione termica dei corpi analizzati, in quanto corpi alla stessa tem­
peratura possono avere una temperatura radiante significativamente diversa
ed apparire uno più freddo dell’altro.
La seconda legge (di Wien) mette in relazione la lunghezza d’onda alla
quale un corpo emette il massimo di energia con la temperatura del corpo
stesso. La relazione è inversa ed un corpo caldo emette il picco di energia ad
una lunghezza d’onda minore di quella a cui emette il picco un corpo più
freddo.
λmax =2890/ T [µm]
Se prendiamo in considerazione il Sole, con una temperatura alla foto­
sfera di circa 6.000°K, ne deriva che il picco di energia è emesso a circa 0.5
µm, ossia nel visibile (0.4 ÷ 0.7 µm); e non è un caso che il nostro occhio,
come molti altri sistemi biologici, si sia evoluto per catturare la luce in quella
parte dello spettro elettromagnetico dove vi è molta energia.
La Terra, con una temperatura superficiale di circa 300°K, emette il
massimo di energia intorno ai 10 µm, e a queste lunghezze d’onda dovrà
lavorare un sensore per avere la massima efficienza.
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L’effetto dell’atmosfera
L’energia in arrivo dal Sole deve comunque attraversare l’atmosfera,
così come lo deve fare l’energia riflessa o emessa dalla Terra se il sensore è
posto su di una piattaforma orbitante, e l’atmosfera non è trasparente a tutte
le lunghezza d’onda così come lo è per la luce visibile. Ad alcune lunghezza
d’onda potenzialmente utili per lo studio di determinati fenomeni non è pos­
sibile operare, così come ad esempio a 3 µm, lunghezza d’onda alla quale
emettono il massimo dell’energia i corpi a circa 1000°K, come le lave fuse, e
dove l’atmosfera è completamente opaca tanto che non è possibile effettuare
il monitoraggio delle effusioni vulcaniche da satellite. Una più forte limita­
zione per applicazioni di Telerilevamento in Archeologia è data dall’impossibilità di operare a 1.4 µm e 1.9 µm, poiché il vapore acqueo presente nell’atmosfera assorbe buona parte della radiazione solare, e comunque quella even­
tualmente riflessa dalla Terra. Ovviamente anche l’acqua presente nel suolo
assorbe alle stesse lunghezza d’onda e in questa parte dello spettro elettro­
magnetico sarebbero facilmente identificabili strutture sepolte che interferi­
scono con le capacità di infiltrazione o di circolazione dell’acqua nel suolo.
Tutti i sistemi di Telerilevamento operano quindi su lunghezze d’onda
in grado di attraversare l’atmosfera attraverso ben determinate “finestre”.
Anche in quei casi in cui la luce può attraversare l’atmosfera, se ciò non
avviene in modo diretto, ma con significative diffusioni, i sistemi di Telerile­
vamento incontrano difficoltà, come accade con la luce blu che viene diffusa
dalle particelle presenti nell’atmosfera.
Se ciò può costituire anche un vantaggio, in quanto si possono studiare
anche i versanti montuosi “geometricamente” in ombra, di fatto al sensore
posto sul satellite arriva energia non solo dal punto direttamente osservato, ma
indirettamente anche da punti vicini e dal cielo stesso; l’immagine risultante è
così priva di contrasto e su di essa non si possono identificare oggetti di piccole
dimensioni. Per ovviare a ciò sono state sviluppate alcune procedure che con­
sentono di effettuare le così dette “correzioni atmosferiche”. Le più complesse
richiedono il “profilo” dell’atmosfera sovrastante la zona ripresa al momento
dell’acquisizione dell’immagine, altre si accontentano di sapere il “tipo” di
atmosfera presente (es. marittima, rurale, urbana) e l’altezza del Sole sull’orizzonte, altre più semplici si basano sull’ipotesi che nella scena vi sia almeno un
punto “nero” costituito in genere da acqua profonda o da una foresta di coni­
fere, meglio se in ombra, e modificano tutta l’immagine in modo da fare appa­
rire neri questi punti. I problemi ovviamente si pongono in modo sempre meno
pressante via via che la lunghezza d’onda utilizzata è maggiore, dato che la
diffusione atmosferica è inversamente proporzionale proprio alla lunghezza
d’onda, e nel campo dell’infrarosso (λ > 0.7 µm) la correzione spesso non è
necessaria, a meno che non si intenda ottenere valori di radianza delle superfi­
ci, nel qual caso è necessario modificare i valori digitali dei punti che formano
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l’immagine tenendo conto anche dei “coefficienti di calibrazione” che correla­
no l’energia in arrivo al sensore con il numero digitale da esso prodotto.
La firma spettrale
Le elaborazioni sopra descritte sono necessarie in tutti quei casi in cui si
vogliono confrontare i dati telerilevati con le “firme spettrali” delle superfi­
ci, che descrivono come varia la riflettività (rapporto fra l’energia riflessa ed
energia incidente) di ciascuna superficie al variare della lunghezza d’onda. Il
riferimento alle firme spettrali è comunque utile anche per una analisi quali­
tativa delle immagini multispettrali, ossia rilevate contemporaneamente su
più lunghezze d’onda. Di fatto, il riconoscimento delle superfici, se non può
appoggiarsi sulla forma o sulla tessitura (struttura interna dell’immagine in
aree discrete) si basa sul colore, ossia sulla quantità di luce assorbita o riflessa
dagli oggetti alle diverse lunghezze d’onda.
Se noi vediamo un oggetto blu, significa che esso assorbe le componenti
verdi e rosse della luce solare e riflette solo quella blu. Un oggetto giallo, al
contrario, assorbirà solo la luce blu e rifletterà la luce verde e rossa. Ovviamente,
analizzando gli oggetti su di un tratto dello spettro elettromagnetico più ampio
di quello del visibile, la possibilità di formare “colori” diversi sarà più grande e
più alte saranno per noi le probabilità di poter riconoscere superfici diverse,
che magari appaiono dello stesso colore se viste solo nello spettro visibile. Da
qui derivano le grandi possibilità del Telerilevamento multispettrale.
Per l’interpretazione delle immagini telerilevate si fa spesso riferimento
ad alcune superfici tipo, quali la vegetazione, l’acqua e i suoli, che nelle di­
verse varietà ovviamente avranno firme spettrali specifiche.
In generale si può pensare che l’acqua rifletta un po’ nel blu e nel verde,
assorba moltissimo nel rosso e completamente nell’infrarosso. Vi saranno
comunque acque di tipo diverso, mari più blu o più verdi, acque ricche di
solidi sospesi che potranno riflettere abbastanza anche nel rosso.
I suoli nudi hanno una riflettività che cresce dal visibile verso l’infrarosso vicino, per calare poi verso l’infrarosso medio. In questo andamento sono
evidenti due picchi di assorbimento nell’infrarosso vicino dovuti all’acqua.
Nei suoli umidi questi picchi saranno più evidenti e tutta la curva che rappre­
senta la riflettività sarà più bassa.
La vegetazione riflette poco nel blu, un po’ di più nel verde, assorbe
molto nel rosso ed ha un picco di riflettività nell’infrarosso vicino; anche
nella sua firma spettrale sono evidenti i picchi di assorbimento dell’acqua, in
particolare se la vegetazione è in buona salute.
Come vi sono acque di tipo diverso con specifici comportamenti spet­
trali, così ogni suolo o ogni pianta ha una firma spettrale propria che può
essere determinata e confrontata con archivi costruiti appositamente in modo
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da procedere poi ad una classificazione automatica delle superfici. È una
procedura di grande efficacia in molti campi, come in agricoltura, ma non
trova applicazioni di rilievo in Archeologia.
Acquisizione delle immagini
In genere i sensori acquisiscono contemporaneamente più immagini,
esattamente sovrapponibili l’una con l’altra, ciascuna ottenuta filtrando la
luce in una stretta banda dello spettro elettromagnetico, nel visibile, nell’infrarosso vicino e nell’infrarosso termico. Nei sistemi a microonde tutto è più
complesso, ma concettualmente non vi sono differenze significative.
Ogni immagine è costituita da un insieme di numeri ordinati in righe e
colonne (matrici) il cui valore è funzione dell’energia riflessa o emessa dai
punti osservati in sequenza dal sensore.
Data la forte velocità di rotazione della Terra in confronto alla velocità
con la quale il satellite si sposta, in genere su orbite quasi polari, è necessario
disporre una batteria di sensori che scandagliano la superficie terrestre in stri­
sce parallele. Può accadere che uno o più di essi non siano tarati nel modo
giusto e ciò si trasforma in strisce più o meno luminose disposte nel senso della
scansione. Questo rumore può essere corretto per mezzo di specifiche elabora­
zioni, come l’applicazione di filtri numerici di cui parleremo fra breve.
Le immagini digitali possono essere elaborate per estrarne informa­
zioni, ma per visualizzarle è necessario trasformarle in immagini analogi­
che, che possono apparire a monitor o direttamente su copia cartacea (hard
copy).
La georeferenziazione
Nell’immagine analogica ogni numero della matrice va a costituire un
tassello (pixel = picture element) di una intensità di grigio proporzionale al
valore numerico da rappresentare e posizionato in modo da rispettare la ge­
ometria della zona ripresa. Per effettuare la georeferenziazione è necessario
elaborare l’immagine grezza in modo da fare assumere ad alcuni pixel facil­
mente identificabili le corrispondenti coordinate geografiche dei rispettivi
punti a terra. Tutta l’immagine verrà poi deformata in modo da ridistribuire
in modo ottimale i pixel presenti fra quelli di coordinate note. Per fare ciò si
costruisce una nuova matrice ricampionando la precedente e assegnando a
ciascun nuovo pixel il valore del pixel più vicino della matrice originaria
(nearest neighbour). Così facendo non si cambia il valore dei pixel, evitando
di creare dei valori nuovi che potrebbero rappresentare superfici diverse (Fig.
1). In alcuni casi può però essere necessario attribuire al nuovo pixel un
valore che risente di tutti i pixel che lo contornano nelle vecchia matrice
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(interpolazioni). Si possono in questo caso alterare i valori originari di ra­
dianza dei pixel creando appunto delle superfici nuove.
In Archeologia, la georeferenziazione di immagini telerilevate assume
un ruolo fondamentale in tutte le fasi della ricerca, della tutela e del monito­
raggio del sito archeologico. Costituisce il primo passo per la progettazione
del modulo di Telerilevamento nei sistemi GIS, di cui sono ben note le poten­
zialità per ottimizzare la gestione integrata di dati complessi.
Elaborazione delle immagini
Molto spesso i valori numerici utilizzati per produrre immagini digitali
sono compresi fra 0 e 255 (8 bit = 28 valori), cosa che consente di produrre
immagini con 256 livelli di grigio, partendo dal nero (= 0) fino a giungere al
bianco (= 255) 1.
STRETCHING
I sensori sono costruiti per rispondere in modo lineare alle variazioni di
intensità luminosa, almeno entro un’ampia gamma di valori. È però difficile
che in una scena siano presenti contemporaneamente tutti questi valori e
l’immagine risultante manca di molti livelli di grigio, come si vede dall’istogramma che mostra quante volte ciascun numero appare nella matrice (Fig.
2b). Se ciò rispetta le condizioni di luminosità dei vari punti, può rendere
l’immagine difficilmente leggibile. Dato che il nostro occhio è capace di ap­
prezzare solo poche decine di livelli di grigio, è evidente che non riesce a
separare tutti questi toni e due superfici con riflettività simile possono venire
confuse, mentre non possiamo sfruttare le nostre capacità di riconoscimento
di livelli di grigio non presenti nell’immagine.
Si procede quindi ad una serie di elaborazioni che consentono di tra­
sformare l’immagine in modo che tutto il range di livelli di grigio (valori
digitali da 0 a 255) sia rappresentato.
La più semplice elaborazione consiste nell’assegnare il valore 0 al mini­
mo valore presente nella matrice e il valore di 255 a quello massimo; i valori
intermedi vengono distribuiti in modo lineare fra questi estremi (stiramento
lineare dell’istogramma = linear stretching; Fig. 3).
In alcuni casi possiamo ipotizzare che le superfici a cui siamo interessati
siano rappresentate da un più stretto range di valori rispetto a quello che
corrisponde all’intera immagine e siano quindi compresse in una ben deter­
minata parte dell’istogramma. Per renderle più facilmente identificabili pos­
siamo stirare solo quella parte, assegnando i valori di 0 e 255 agli estremi del
range identificato (Fig. 4). I vari livelli di grigio, dal nero al bianco, verranno
utilizzati per rappresentare la superficie di nostro interesse, consentendoci di
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identificare particolari altrimenti confusi in grigi simili; tutto ciò che veniva
rappresentato dai pixel con valori digitali esterni al range selezionato appari­
rà nero (quelli inferiori) o bianco (quelli superiori).
Un’altra strategia è ipotizzare che la distribuzione dei valori sia gaussia­
na (con un istogramma a campana) e decidere di non “sprecare” livelli di
grigio per rappresentare parti dell’istogramma corrispondenti a percentuali
piuttosto basse di pixel. In questo caso possiamo tagliare le code dell’istogramma, escludendo percentuali ben definite di pixel. In questa operazione
si fa spesso ricorso al calcolo della deviazione standard e si tagliano le code
esterne a range definiti da: media ± 1, 2 o 3 deviazioni standard (Fig. 5).
In queste operazioni non tutti i 256 livelli di grigio verranno utilizzati,
ma si creeranno dei buchi nell’istogramma che solo gli stretch esasperati con­
sentiranno di apprezzare.
A volte può essere conveniente stirare l’istogramma in modo non line­
are, dedicando più livelli di grigio a quella parte dell’istogramma nella quale
si addensa la maggior parte dei pixel e un numero ridotto di livelli di grigio a
quelle parti (code o tratti centrali in distribuzioni con due o più picchi) in cui
si addensano pochi pixel. In genere si giunge ad una rappresentazione in cui
ogni livello di grigio viene ugualmente rappresentato, detta appunto equaliz­
zazione (Fig. 6). In questo caso si continueranno ad utilizzare tutti e 256 i
livelli disponibili.
Altro trattamento applicato frequentemente alle immagini porta all’equidensità (density slicing). In questo caso l’istogramma viene diviso in fette e lo
stesso valore digitale viene attribuito a tutti i pixel compresi in uno stesso
range di luminosità (Fig. 7). In genere le fette hanno dimensioni omogenee,
ma casi specifici possono suggerire divisioni diverse. La scelta degli intervalli
è condizionata dalla forma dell’istogramma o da altri elementi determinati
dall’operatore. Questa tecnica, utilizzata ampiamente per la suddivisione in
livelli delle immagini termiche, può risultare interessante anche se applicata
ad immagini pancromatiche o multispettrali, per raggruppare pixel con valo­
ri digitali simili.
FILTRI
In una immagine è possibile riconoscere variazioni di luminosità a bassa
e ad alta frequenza. Le prime sono associate al passaggio fra elementi di
grandi dimensioni (es.: da un bosco ad un terreno arato), mentre le seconde
derivano spesso da variazioni presenti all’interno di ciascun elemento (fra i
singoli alberi o fra i solchi dell’aratura). In una linea di scansione le variazio­
ni ad alta frequenza si sommano a quelle a bassa frequenza, e lo stesso avvie­
ne in ogni direzione della matrice. Può essere a volte utile separare l’informazione associata a ciascuna frequenza, per meglio evidenziare elementi pre­
senti nella scena.
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Ad esempio, la variazione ad alta frequenza può distogliere l’attenzione
dell’osservatore e non consentirgli di riconoscere grandi variazioni tonali pre­
senti nella scena, associabili ad elementi di suo interesse. Oppure, in aree con
livelli di grigio più o meno simili è difficile distinguere piccole variazioni di
luminosità, che potrebbero consentire l’identificazione di forme interessanti.
Vi sono delle elaborazioni (applicazione di filtri passa basso e passa
alto) che consentono di estrarre dall’immagine le componenti a bassa e ad
alta frequenza, producendo poi delle nuove immagini.
Nel primo caso si procede sostituendo a ciascun pixel dell’immagine un
nuovo valore dato dalla media calcolata su una finestra di dimensioni oppor­
tune (es. 3×3, 5×5 o 7×7 pixel) e centrata sul pixel in questione. Tutti i
nuovi valori formeranno l’immagine della componente a bassa frequenza che
di fatto sarà una immagine sfocata (tanto più quanto più grande sarà la fine­
stra), nella quale l’occhio percepirà meglio le forme di grandi dimensioni che
verranno ad avere livelli di grigio più uniformi (Fig. 9a).
Sottraendo all’immagine originale quella ottenuta applicando il filtro
passa basso si ottiene la componente ad alta frequenza. Altrimenti si può
attribuire a ciascun pixel un nuovo valore che deriverà dalla differenza fra il
pixel centrale moltiplicato per il numero dei pixel della finestra meno 1 e la
somma di tutti gli altri pixel (Figg. 8b, 8c, 8d).
In una zona con lo stesso livello di grigio, indipendentemente dal suo
valore, il risultato dell’operazione sarà 0, mentre nelle zone di transizione, in
genere i bordi degli oggetti, avremo dei valori non nulli. Applicando poi un
stretch lineare metteremo in evidenza questi pixel di margine. Costruendo
dei filtri in cui vi sia una linea di zero, disposta in qualsiasi direzione, con da
un lato valori positivi e dall’altro valori negativi (spesso ma non necessaria­
mente + 1 e -1) si ottiene il risultato di esaltare solo le variazioni tonali
parallele alla linea degli zero (Figg. 9b, 9c, 9d).
L’applicazione di filtri passa alto, direzionali e non, consente di eviden­
ziare lineamenti associabili ad antiche canalizzazioni, strade ed edifici, deli­
mitando la pianta di quest’ultimi. In incisioni o manoscritti si può ridisegna­
re in modo più chiaro quanto appare sfumato sulla pietra o sul foglio.
Elaborazione di immagini multispettrali
Abbiamo finora trattato dell’elaborazione di singole immagini, ma una
delle maggiori potenzialità del Telerilevamento consiste nel fatto che di ogni
scena è possibile acquisire più immagini contemporaneamente, ciascuna per
ben determinati intervalli di lunghezza d’onda (bande). Ciascuna di esse può
essere elaborata con le procedure sopra citate, ma anche essere confrontata
con altre, sia riproducendo terne con i tre colori fondamentali (blu, verde,
rosso) che effettuando operazioni numeriche fra due o più immagini.
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Sapendo che la vegetazione ha una forte riflettività nell’infrarosso ed un
elevato assorbimento nel rosso, è possibile ottenere immagini della quantità di
vegetazione presente in una zona, dette anche indici di vegetazione o di bio­
massa. La trasformazione consiste nella differenza fra l’immagine rilevata nell’infrarosso e quella rilevata nel rosso. La differenza viene normalizzata divi­
dendo il risultato per la somma delle stesse due immagini (Fig. 10), quindi:
IR vicino – Rosso
IR vicino + Rosso
Questa operazione, che viene spesso indicata con l’acronimo NDVI
(Normalized Difference Vegetation Index), rende possibile l’identificazione di
strutture sepolte che favoriscono o inibiscono lo sviluppo delle piante. Lun­
go antichi solchi, dove l’acqua ristagna nel suolo, l’erba sarà più folta, men­
tre meno sviluppata sarà se le sue radici incontrano dei muri o dei pavimenti.
Un’altra operazione algebrica di grande utilità è costituita dal rapporto
fra coppie di bande, tramite il quale si genera una nuova immagine nella
quale ogni pixel deriva dal rapporto dei due pixel corrispondenti nelle due
bande scelte. L’immagine risultante è costituita da un insieme di valori che
teoricamente possono variare da 0 = 0/255 a 255 = 255/1 (la procedura
consente di evitare divisioni per 0). Di fatto, quasi tutti i valori sono frazio­
nari e si distribuiscono in prevalenza entro un intervallo assai limitato (tra 0
e 3), a causa dell’alta correlazione dei valori tra le bande. In seguito, per
visualizzare la nuova immagine in toni di grigio a 256 livelli sarà necessario
ridistribuire i pixel applicando uno stretching lineare. Il risultato porta ad
immagini nelle quali lo stesso livello di grigio rappresenta pixel con uguale
valore di rapporto di riflettività, indipendentemente dalle condizioni di illu­
minazione. Ciò, di fatto, comporta una riduzione dell’effetto rilievo che è
associato, per il nostro cervello, alla diversa illuminazione dei versanti. In
pratica due superfici uguali ma situate su versanti opposti vengono ad avere
lo stesso livello di grigio. Ai fini interpretativi, si ha una migliore leggibilità
delle parti di territorio poste in ombra (Fig. 11).
Ma i vantaggi offerti dalle immagini multispettrali emergono in modo
particolare quando si rappresentano più bande contemporaneamente me­
diante l’attribuzione dei colori blu, verde e rosso a tre di esse.
Se le tre bande da rappresentare sono state rilevate proprio nel blu,
verde e rosso, l’immagine che ne risulta appare degli stessi colori che appari­
rebbe in natura ai nostri occhi. Se l’occhio umano è capace di riconoscere
solo pochi livelli di grigio (circa 20), è invece assai più sensibile ai colori,
riconoscendone anche 8 milioni. Ecco che due oggetti con riflettività simile
in un colore, e quindi dello stesso livello di grigio sull’immagine risultante,
non possono essere distinti dall’occhio umano, mentre lo saranno più facil­
mente in una immagine a colori. Ciò ovviamente deriva anche dal fatto che
difficilmente essi avranno riflettività simile in tutte e tre le bande utilizzate.
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Molto spesso dobbiamo rappresentare dei colori che il nostro occhio
non vede, in genere tutti a lunghezza d’onda maggiore del rosso (infrarosso
vicino, medio e termico). È quindi necessario attribuirgli i colori che vedia­
mo (blu, verde e rosso) producendo così un’immagine a falsi colori. Frequen­
temente si cerca di scalare i colori mantenendoli nello stesso ordine: doven­
do così rappresentare tre bande rilevate rispettivamente nel verde, rosso e
infrarosso, si produrrà un’immagine a colori nella quale la componente blu
rappresenterà la prima banda, quella verde la seconda e quella rossa la terza
(Fig. 12). In queste immagini, estremamente frequenti anche nelle pubblica­
zioni non specialistiche, la vegetazione, che assorbe abbastanza nel verde e
molto nel rosso, mentre riflette moltissimo nell’infrarosso, appare rossa.
Ovviamente ogni banda, prima di essere inserita in questo colour com­
posite, potrà essere elaborata nel modo più opportuno, in funzione del suo
“range dinamico” o della posizione che occupa nell’istogramma la superficie
a cui siamo interessati.
Con i composite di tre bande, o di tre rapporti fra bande, si possono
produrre numerosissime immagini, entro le quali scegliere quelle da sotto­
porre a fotointerpretazione. Ad esempio i composite di rapporti fra bande
appaiono molto colorati, in quanto un elemento di correlazione fra le bande
è dato dell’effetto orografico (i versanti in luce appaiono più chiari in tutte le
bande e più scuri quelli in ombra) che viene appunto ridotto da questa opera­
zione algebrica.
L’esperienza dell’operatore e quanto riportato nella letteratura specifi­
ca consente di ridurre notevolmente il numero di immagini da produrre,
anche perché in genere ogni banda non porta un’informazione completa­
mente originale, ma, al contrario, presenta spesso un’elevata correlazione
con altre.
ANALISI
DELLE COMPONENTI PRINCIPALI
(PCA)
Quando si ha a che fare con immagini costituite da un numero elevato
di bande, può essere utile estrarre l’informazione originale da ciascuna di
esse, sintetizzandola in un numero limitato di bande fittizie.
Una procedura classica di questo tipo è costituita dall’Analisi delle Com­
ponenti Principali. Questa trasformazione porta alla creazione di immagini
completamente scorrelate fra di loro mediante una roto-traslazione del siste­
ma di coordinate nel quale ciascun punto è collocabile in base ai valori di
ciascuna banda. La prima componente principale (PC1), ad esempio, è for­
mata da una somma di tutte le bande nella quale ognuna di esse entra con un
peso proporzionale al grado di originalità dell’informazione in essa contenu­
ta (Figg. 13, 15).
La PC1 costituisce quindi un’immagine che rappresenta in qualche modo
la radianza complessiva e porta la gran parte dell’informazione inizialmente
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distribuita fra tutte le bande. La seconda componente principale (PC2) ci
dice di quanto ogni pixel si discosta dall’asse della prima, indipendentemente
dal fatto che lo faccia nei valori alti o in quelli bassi. Ecco che pixel chiari e
pixel scuri si possono trovare contemporaneamente in zone di uguale lumi­
nosità dell’immagine della prima componente principale (Figg. 13, 15).
Questa scorrelazione comporta che, formando un composite di tre com­
ponenti principali, si ottenga un’immagine estremamente colorata (Fig. 15).
La stessa cosa non avviene in genere con le bande originarie dato che i colori
blu, verde e rosso non possono combinarsi liberamente a causa dell’elevata
correlazione: dei sedici milioni di colori teoricamente ottenibili con tre ban­
de, ciascuna con 256 livelli, non tutti saranno presenti nell’immagine, ridu­
cendo le nostre capacità di discriminazione fra superfici simili (Fig. 16a).
Ai vantaggi di poter più facilmente discriminare superfici diverse si oppone
lo svantaggio di non poter associare un colore ad un oggetto specifico, perché i
risultati di questa elaborazione dipendono dalle caratteristiche di ciascuna scena
e non è quindi possibile creare una chiave interpretativa per queste immagini.
Questo limite può essere superato e i vantaggi derivanti dalla PCA con­
servati ritrasformando le componenti nel dominio originale. L’operazione,
assimilabile alle tecniche di enfatizzazione del colore, è detta decorrelation
stretch (DS). Concettualmente l’operazione consiste nel calcolo delle tre com­
ponenti principali delle tre bande che si intende visualizzare (Fig. 16a), nello
stiramento indipendente lungo i rispettivi assi di ogni PC (generalmente con
distribuzione dei valori di tipo gaussiano) ed infine nella ritrasformazione di
ogni singola componente strecciata nel sistema di riferimento originale RGB.
L’accentuazione del contrasto sul colour composite originale si sarebbe limitata
ad aumentare il range di luminosità. Il decorrelation stretch invece individua i
dati meno correlati enfatizzando le variazioni cromatiche dei colori rappre­
sentati, mantenendo sostanzialmente inalterati luminosità e tinta (Fig. 16b).
Altre trasformazioni di immagini multispettrali possono basarsi, non
sulla statistica dell’immagine stessa, come fa l’Analisi delle Componenti Prin­
cipali, ma sull’attribuzione di pesi a ciascuna banda sulla base di test effettua­
ti in aree note.
TASSELED CAP TRANSFORMATION (TCT)
La Tasseled Cap Transformation per dati Landsat TM, ad esempio, pro­
duce 6 nuove bande fittizie mediante la somma delle 6 bande riflesse molti­
plicate per coefficienti specifici, positivi o negativi (Fig. 17). La prima tra­
sformazione, che prende il nome di Brightness, ricorda la PC1 ed ha tutti i
coefficienti positivi, con valori elevati per le bande 5 e 7, che in genere sono
le più scorrelate (Fig. 17a). La seconda trasformazione, Greeness, è di fatto
un indice di vegetazione, con un coefficiente molto alto per la Banda 4 e
coefficienti negativi per le altre bande, eccetto la Banda 5 che ha comunque
un peso ridotto (Fig. 17b).
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La terza, Wetness, da un peso particolare alle bande dell’infrarosso
vicino, nelle quali i suoli umidi hanno un forte assorbimento (Fig. 17c).
Una sua applicazione alla ricostruzione paleogeografica delle aree di pianu­
ra consente la delimitazione di antiche aree umide, di paleoalvei e di cana­
lizzazioni.
Riprese nell’infrarosso termico
Le immagini riprese nell’infrarosso termico, in genere a lunghezze d’onda
comprese fra 9 ed 11 micron, portano informazioni relative alla temperatura
superficiale degli oggetti. La temperatura dei corpi non è facilmente misura­
bile a causa della diversa emissività e delle interferenze generate dall’assorbimento e dall’emissione da parte dell’atmosfera.
La temperatura raggiunta dagli oggetti illuminati dal Sole è correlabile
con alcune proprietà fisiche che ne consentono il riconoscimento. La resi­
stenza che un corpo oppone all’innalzamento della propria temperatura prende
il nome di inerzia termica. Fra le caratteristiche di un corpo che la influenza­
no vi è la densità. Una stessa quantità di energia, in linea generale, innalzerà
di meno la temperatura di un corpo molto denso di quanto non lo farà di uno
poco denso. Anche il grado di coerenza o di fratturazione è determinante
poiché le discontinuità non facilitano il trasferimento del calore all’interno
del corpo favorendo un forte riscaldamento superficiale, come avviene per la
sabbia delle spiagge nei giorni estivi.
L’acqua ha un’inerzia termica molto bassa e di conseguenza varia poco
la propria temperatura nel corso della giornata. Gli oggetti umidi hanno una
scarsa inerzia termica anche perché l’acqua evaporando tende a sottrarre
calore e a mantenere bassa la temperatura.
La stima dell’inerzia termica dei corpi si fa confrontando la loro tempe­
ratura in momenti diversi della giornata, in genere dopo il raffreddamento
notturno e dopo il riscaldamento diurno. Purtroppo non vi sono sensori in
orbita che possano fornire, alla risoluzione richiesta in Archeologia, riprese
con questa cadenza temporale.
Importanti sono invece le possibilità offerte da riprese effettuata con
camere termiche da terra o da piattaforma aerea a bassa quota (tralicci,
elicotteri, aerei, palloni). Oltre ad un’analisi dei suoli, per valutarne il gra­
do di compattazione o la presenza di corpi compatti sepolti, le riprese nell’infrarosso termico consentono di evidenziare discontinuità nei manufatti
e differenze nei materiali da costruzione, anche se coperti dall’intonaco. È
quindi possibile scoprire se in un edificio sono state apportate modifiche
successivamente alla costruzione, aggiunte di parti, chiusura di porte o fi­
nestre, o se sono stati utilizzati materiali diversi durante le varie fasi della
costruzione.
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Il Telerilevamento a microonde
Un sistema che opera nel campo delle microonde (radar = Radio
Detection And Ranging = Rilevamento e misura delle distanze per mezzo di
radioelettricità) è costituito da un generatore di energia che viene collegato
ad un’antenna in modo da inviare onde elettromagnetiche in una determina­
ta direzione. L’antenna è in grado anche di ricevere l’eco riflessa dalle varie
superfici, che viene elaborata in modo da costituire un’immagine digitale
analoga a quella prodotta dai sensori passivi.
La risoluzione del sistema è direttamente proporzionale alla lunghezza
dell’antenna utilizzata. Data l’impossibilità di ospitare su aereo o su satellite
antenne di lunghezza opportuna, si elabora il segnale riflesso dagli oggetti
per tutto il tempo che sono illuminati dall’antenna durante il suo movimen­
to. Sfruttando l’effetto Doppler, per il quale la lunghezza dell’onda riflessa è
maggiore se l’oggetto è in allontanamento e minore se è in avvicinamento, si
riesce ad avere una risoluzione “sintetica” analoga a quella di un’antenna che
ha le estremità nei punti di inizio e di fine osservazione degli oggetti (SAR =
Synthetic Aperture Radar).
I vantaggi dei sistemi radar consistono nel fatto che le microonde, at­
traversando indisturbate l’atmosfera, consentono di operare anche in pre­
senza di nebbia o nuvole. Inoltre, onde di lunghezza centimetrica e decime­
trica riescono a superare ostacoli di dimensioni analoghe, quali la vegetazio­
ne erbacea ed arbustiva e le foglie degli alberi. È così possibile penetrare
attraverso la vegetazione per osservare il suolo sottostante. Una discreta pe­
netrazione è possibile anche attraverso il ghiaccio e la sabbia. Recenti succes­
si di queste metodologie hanno consentito l’identificazione, ad esempio, di
reticoli idrografici al di sotto delle sabbie sahariane. La figura 22 mostra
un’immagine acquisita dal sensore SIR-A sovrapposta ad un’immagine Landsat
della coltre sabbiosa di Selma, nel deserto del Sahara (Sudan nord occidenta­
le). Poiché le sabbie asciutte hanno una costante dielettrica bassa, le onde
radar le penetrano anche per diversi metri, tanto da raggiungere il sottostan­
te substrato roccioso. Viene così evidenziata una topografia sub-superficiale
fatta di valli e rilievi incisi dal reticolo idrografico e da riferire ad una prece­
dente fase pluviale (MCCAULEY et al. 1982). Altro esempio celebre è relativo
alla città di Angkor (Cambogia). Il sito ospitava nel IX secolo d.C. più di
sessanta templi e rappresentava il centro spirituale del popolo Khmer. L’immagine SIR-C/X-SAR (Fig. 22) ha permesso agli archeologi di individuare
nuove strutture templari, viabilità e canali di irrigazione.
I sistemi Radar hanno un’antenna che illumina lateralmente alla traccia
di volo in modo da poter separare, in base al tempo di ritorno, gli oggetti
presenti a diverse distanze. Ciò determina anche il fatto che gli ostacoli, come
le montagne, producono un’ombra nera che copre parte delle scene. È quin©2003 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale –
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di necessario effettuare riprese separate su entrambi i versanti dei rilievi. Vi
sono anche deformazioni dovute alla geometria della ripresa che non sono
facilmente correggibili. Inoltre tutte le immagini radar sono affette da un
disturbo (speckle), dovuto all’interferenza del segnale riflesso da più diffuso­
ri, che produce un effetto “sale e pepe”, rendendo difficile identificazione
dei particolari più minuti. Per ridurre questo effetto si applicano specifici
filtri comunque classificabili come “passa basso” ed analoghi a quelli sopra
descritti (Fig. 9a).
Le immagini da satellite rilevate nelle microonde hanno una risoluzio­
ne che raggiunge i 10 metri. I sistemi montati su aereo consentono di rag­
giungere risoluzioni assai più elevate.
Caratteristiche dei sistemi piattaforma-sensore utilizzabili in
Archeologia
Intendiamo offrire una breve ma completa panoramica dei satelliti
attualmente operativi e di quelli in fase di realizzazione che trovano signifi­
cative applicazioni in ambito archeologico. Tradizionalmente vengono ri­
conosciute tre fasi di sviluppo per le applicazioni di Telerilevamento da
satellite all’Archeologia (MARCOLONGO 2000). Il passaggio di fase è sempre
segnato dall’avvento di una nuova generazione tecnologica in cui l’aumento della risoluzione spaziale svolge un ruolo determinate. Abbiamo suddivi­
so la rassegna dei satelliti in due sezioni, la prima (riconducibile sostanzial­
mente alle prime due fasi di sviluppo della disciplina) è relativa alle piatta­
forme con sensori a media risoluzione (Landsat MSS e TM, SPOT). La
seconda sezione è strettamente legata all’ultima fase, avviata nel corso de­
gli anni Novanta con la declassificazione delle immagini russe e americane
(foto della serie Sojuz e Corona) e seguita dall’apertura del settore alle
compagnie commerciali. Prerogative di questi sensori sono l’alta risoluzio­
ne geometrica e radiometrica (Ikonos, EROS-A1, Orbview-3, Orbview-4,
Quickbird-2). Il campo delle microonde, sensori Radar, è stato trattato se­
paratamente.
SENSORI
A MEDIA RISOLUZIONE
(80-10 m)
Landsat
È il primo satellite dedicato in modo specifico al Telerilevamento delle risorse
terrestri. I satelliti della serie Landsat, prima con il sensore MSS (MultiSpectral Scan­
ner; risoluzione 80 m) e poi con il sensore TM (Thematic Mapper; risoluzione: 30 m
in luce riflessa, 120 m nell’infrarosso termico) hanno consentito applicazioni in mol­
tissimi settori, avvicinando un gran numero di ricercatori ed utenti al Telerilevamento.
Il Landsat 5 (TM), attualmente operativo, percorre un’orbita quasi polare a
705 km di quota, con passaggio all’equatore alle 10.45 ora solare (10.30 sull’Italia)
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ritornando sullo stesso punto ogni 16 giorni. Riprende immagini di 185×185 km al
suolo in sette bande.
Dal mese di aprile del 1999 si sono resi disponibili i dati del Landsat 7. Da
un punto di vista tecnico, rispetto al suo predecessore, che comunque resterà atti­
vo, il Landsat 7 dispone di una nuova banda pancromatica con risoluzione di 15
m. Questo sensore pancromatico include non soltanto il campo del visibile, ma si
allarga fino a coprire l’infrarosso vicino consentendo da un lato una migliore leg­
gibilità dell’immagine, dall’altro superiore qualità dei prodotti ottenibili tramite
tecniche di fusione con i dati multispettrali. Altre caratteristiche salienti sono, la
migliore risoluzione geometrica della banda termica, 60 m rispetto ai precedenti
120 e la migliore calibrazione assoluta, con accuratezza nell’ordine del 95%. Quest’ultima caratteristica rende molto più semplice effettuare, ad esempio, delle ana­
lisi multitemporali. Il nuovo Landsat 7 introduce dei significativi vantaggi per gli
utenti finali di dati telerilevati. Innanzitutto, è allineato con il resto della missione
Landsat, preservandone le caratteristiche spettrali di base (stesse bande, stessa ri­
soluzione geometrica) ma aumentando la qualità del dato e le sue possibili applica­
zioni attraverso l’introduzione della banda pancromatica. Da notare che questa
banda è totalmente coregistrata al dato multispettrale. Questo permette l’eliminazione dei tempi di processamento per la registrazione dei dati e una migliore qua­
lità dell’informazione globale, in quanto i due dati sono acquisiti nello stesso mo­
mento. Oltre all’elevato contenuto spettrale, che non è fornito da altre missioni,
va considerato che la larghezza elevata del campo di osservazione (swath) consen­
te di coprire aree estese con poche scene, e quindi costi inferiori per quanto ri­
guarda dati e processamento.
In Archeologia le immagini Landsat sono risultate utili per l’individuazione di
sistemi viari, canalizzazioni, partizioni dell’agro, paleoalvei, paleoconoidi, meandri
relitti, direttrici di deflusso idrico sotterraneo e aree di accumulo idrico sotterraneo
e grandi centri urbani in aree desertiche.
SPOT (Satellite Probatoire pou l’Observation de la Terre)
I satelliti SPOT, dell’Agenzia Spaziale francese (CNES), costituiscono un pas­
so avanti rispetto ai Landsat per risoluzione geometrica (10 metri in pancromatico e
20 metri in multispettrale) e per modalità operative (consentono anche l’acquisizione di immagini stereoscopiche), ma operano solo in tre bande senza consistenti espan­
sioni nell’infrarosso.
Sono posti in orbita eliosincrona (passano su ogni zona sempre alla stessa ora)
a 832 km ed hanno un tempo di rivisitazione di 26 giorni. La scena ripresa ha
dimensioni al suolo di 60×60 km in visione nadirale e di 80×80 in visione obliqua.
Sfruttando le diverse modalità di acquisizione è possibile avere riprese ogni 1 o 4
giorni in funzione della latitudine del punto osservato.
Nonostante l’incremento della risoluzione spaziale, l’utilità in ambito archeo­
logico rimane strettamente legata a studi geomorfologici e paleoambientali come
nel caso delle immagini Landsat TM.
In questa direzione SPOT non prevede miglioramenti, se non l’aggiunta di un
nuovo sensore la cui risoluzione di circa un chilometro è assolutamente incompati­
bile per applicazioni in Archeologia.
Una interessante applicazione dei prodotti stereoscopici SPOT sta nella possi­
bilità di creare modelli digitali del terreno che costituiscono basi fondamentali nello
studio di paesaggi antichi e per progetti di analisi spaziale delle reti insediative (Fig.
23).
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SENSORI
AD ALTA RISOLUZIONE
(10-0.61 m)
Corona
Corona, insieme ad Argon e Lanyard, è la prima famiglia di otto satelliti spia
del Dipartimento Americano della Difesa (KH-1-4, KH-4A, KH-4B e KH-6). Le im­
magini (860.000), fotografie pancromatiche acquisite tra il 1960 e 1972, sono state
declassificate nel 1995 e commercializzate dal Geological Survey (USGS) dal 1996.
L’interesse in ambito archeologico per queste immagini è legato in particolare al
valore storico dei dati e all’alta risoluzione spaziale (8, 3 e 1 m).
La copertura è mondiale e risulta maggiormente concentrata sui paesi dell’Europa dell’Est e sull’Asia. Anche il territorio italiano è interessato, con più di
4000 riprese ad alta e media risoluzione. Di grande interesse il prezzo, 18 dollari per
una scena di 200×15 km (Fig. 24); quando disponibili un problema ricorrente è
costituito dalla copertura nuvolosa spesso eccessiva.
Fin dalla prima apparizione sul mercato, questi dati hanno suscitato un note­
vole interesse nell’ambiente archeologico. Tra i numerosi siti identificati mostriamo
un’immagine del 1971 (da Internet – U.S. Geological Survey), con risoluzione di 2,5
m, nella quale sono ben visibili al centro le tracce riferibili a strutture antropiche che
occupano un’area di 4,6 ettari (Fig. 25).
Lo scavo ha messo in luce la presenza di una fortezza romana ascrivibile al IVVI secolo d.C. Altre tracce sono identificabili al di fuori della fortezza: sotto, a circa
100 m dall’angolo sudovest della fortezza, si trova un probabile edificio a pianta
quadrata e sopra, sempre a circa 100 m dall’angolo nord-est della fortezza, è visibile
una traccia di forma circolare.
SPIN-2 (SPace INformation 2-meter)
Il sensore fotografico KVR-1000 ad alta risoluzione è stato attivo dal 1981 al
1987 nella famiglia di satelliti Cosmos, la piattaforma spaziale sviluppata nell’ambito del programma militare sovietico. Successivamente la licenza per l’uso del senso­
re viene assegnata dall’Agenzia Spaziale Russa a Sovinformsputnik.
In vent’anni, questo sistema spaziale ha effettuato 20 missioni (l’ultima nel no­
vembre 2000), ognuna della durata massima di 45 giorni nel corso dei quali KVR­
1000 ha rilevato una estensione superficiale di 20 milioni di km².
Le scena pancromatica (0,49-0,59 µm) misura 40×40 km con risoluzione di
1,56 m e consente di lavorare a scale piuttosto dettagliate (nell’ordine di 1:10000).
L’utilità di questo prodotto in ambito archeologico è stata dimostrata in di­
verse occasioni (FOWLER 1996; HAUPT 1997; Fig. 26); tra i limiti più evidenti la
scarsa copertura del territorio italiano e la variabilità nella qualità delle riprese.
Le immagini declassificate sono esclusiva di Sovinformsputnik e disponibili in
Internet presso il sito Microsoft TerraServerTM a costi estremamente interessanti
(circa 2 dollari per km²) 2.
IRS (Indian Remote sensing Satellite)
L’Agenzia Nazionale di Telerilevamento Indiana (NRSA) ha messo in orbita
diversi satelliti fra cui l’IRS-1C e l’IRS-P3 potenzialmente utilizzabili in Archeolo­
gia. Sono caratterizzati da un sensore pancromatico (0.50-0.75 µm) con risoluzione
di 5.8 m che forma immagini di 70×70 km al suolo. Vi è poi un sensore multispet­
trale che opera negli intervalli 0.52-0.59 µm, 0.62-0.68 mm e 0.77-0.86 µm, con
risoluzione di 23 metri (immagini di 141×141 km) e nell’infrarosso medio da 1.55
a 1.70 µm con risoluzione 69 m (immagini di 148×148 km).
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Sul SIR-1C è operativo anche un sensore pancromatico con risoluzione di 2.5
metri, mentre altri sensori posti sul IRS-3P non forniscono immagini utili ai nostri scopi.
Ikonos (Space Imaging)
Il satellite Ikonos è stato lanciato il 12 ottobre 1999 e rappresenta l’entrata
ufficiale degli operatori privati nel Telerilevamento da piattaforma orbitale.
Il sensore pancromatico ha una risoluzione al suolo di 1m ad 11 bit (2048
livelli) e acquisisce nella banda spettrale dei 0.45-0.90 µm mentre il sensore multi­
spettrale ha una risoluzione di 4 m, sempre ad 11 bit (2048 livelli) e 4 bande.
Il formato ad 11 bit rende questi dati radiometricamente superiori a ogni
altro dato satellitare finora disponibile.
Le immagini possiedono un livello di dettaglio senza precedenti nel campo
dei dati di osservazione della Terra. A questa risoluzione è possibile riconoscere
automobili e autocarri, strade, oleodotti, alberi singoli, case, grandi apparecchiatu­
re, barche e navi, aerei, ecc.
Sebbene Ikonos non abbia bande che operano nell’infrarosso più spinto, è
certamente il satellite che più si avvicina alle richieste di chi opera nel campo dell’Archeologia.
EROS A1 (ImageSat International)
ImageSat International è una compagnia israeliana che dal 1996 ha avviato il
programma EROS (Earth Remote Observation System) che consiste nella realizza­
zione di una famiglia di otto satelliti ad alta risoluzione. EROS A1, lanciato con
successo nel mese di dicembre del 2000, rappresenta quindi il secondo satellite com­
merciale ad alta risoluzione attualmente operativo. Nei prossimi quattro anni ImageSat
ha pianificato il lancio di altri sette satelliti; se non subentreranno imprevisti entro
la fine del 2004 la costellazione di satelliti sarà completata con il lancio di EROS B6.
Orbview-3 e Orbview-4 (Orbimage)
Orbimage è una compagnia affiliata a Orbital Sciences Corporation, società
che progetta e costruisce satelliti per varie agenzie governative statunitensi.
Nel ’95 ha lanciato Orbview-1 prevalentemente orientato verso la ricerca me­
tereologica e nel ’97 Orbview-2, satellite con sensori a bassa e media risoluzione
utilizzato in particolare per ricerche su aree costiere.
Gli ultimi anni sono stati dedicati allo sviluppo di due piattaforme con sensori
ad alta risoluzione: Orbview-3 e Orbview-4. Il lancio di questi due satelliti è previ­
sto nel mese di giugno del 2001 per Orbview-4 e tre mesi dopo per Orbview-3.
Se Orbview-3 non si discosta per risoluzione geometrica, radiometrica e range
spettrale da Ikonos, EROS A1, e come vedremo da Quickbird-2, Orbview-4 con il
sensore iperspettrale costituisce una importante novità in particolare per l’identificazione di precise firme spettrali e quindi per il riconoscimento automatico delle
superfici.
Quickbird-2 (EarthWatch)
La società americana EarthWatch ha lanciato nel 1997 il satellite Earlybird-1
(b/n 3 m e multispettrale 3 bande 15 m, ad 8 bit) e nel mese di Dicembre del 2000 il
satellite ad alta risoluzione Quickbird-1 (b/n 1 m e multispettrale 4 bande 4 m, ad 11
bit); entrambi i lanci non hanno avuto successo. La compagnia ha annunciato il
lancio di Quickbird-2 per la seconda metà del 2001. Questo satellite è caratterizzato
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da un sensore pancromatico con 0,61 m di risoluzione ad 11 bit e da un sensore
multispettrale a 4 bande (blu, verde, rosso e vicino infrarosso) con risoluzione 2,5 m
sempre ad 11 bit.
SISTEMI RADAR
Abbiamo visto come i sistemi di Telerilevamento Radar da satellite costitui­
scono uno strumento potenzialmente molto interessante per la ricerca archeologica
(Figg. 21, 22). Al momento, e forse nell’immediato futuro, essi conservano tuttavia
dei limiti ed il loro utilizzo operativo sarà ancora per qualche anno circoscritto a
pochi casi esemplari. Il maggiore limite di questi sistemi, oltre alla risoluzione spa­
ziale e radiometrica, è rappresentato dalla indisponibilità di un numero adeguato di
canali spettrali. I radar a bordo dei satelliti ERS, JERS e Radarsat operano tutti ad
una sola frequenza, il che equivale a valutare i dati Landsat TM considerando un
solo canale. Un’applicazione estremamente interessante riguarda le tecniche interfe­
rometriche che permettono di misurare le quote del terreno con accuratezza dell’ordine del centimetro mediante acquisizioni multiple. Questa tecnica non ha niente a
che vedere con gli usuali sistemi stereoscopici in quanto si basa sulla valutazione
delle differenze nel parametro di fase dell’eco radar (Fig. 27). Oltre a fornire accu­
ratissimi modelli digitali di elevazione del terreno, permette di tenere sotto control­
lo i minimi movimenti tettonici della crosta ed altri movimenti determinati da feno­
meni di bradisismo o subsidenza.
SIR (Shuttle Imaging Radar – NASA): A-B-C
I sensori SAR (Synthetic Aperture Radar) progettati da NASA/JPL sono stati
montati su tre diverse missioni Shuttle.
Nel 1981, SIR-A, produce scene di 50 km larghezza con risoluzione spaziale
di 40 m e angolo incidente di 47 gradi; l’utilità dei dati è rivolta prevalentemente al
riconoscimento geolitologico e all’analisi strutturale (Fig. 21). Nel 1984, SIR-B, os­
serva nel corso di un’altra missione varie zone della Terra. La differenza più rilevan­
te con il sensore precedente è la possibilità di variare l’angolo di vista tra 15 e 60
gradi consentendo di ottenere immagini stereoscopiche di grande interesse per inda­
gini strutturali e morfologiche. Nell’aprile e ottobre del 1994 fu infine messo in
orbita un sistema più versatile, il SIR-C, caratterizzato da un radar multibanda, L, C,
e X; le prime due hanno quattro diverse polarizzazioni. Combinando le bande con
le possibili polarizzazioni si possono creare svariati colour composite.
Le immagini radar SIR-C, riprese in due differenti date (o con due antenne),
possono essere processate utilizzando tecniche interferometriche. Associate con un
modello digitale del terreno (DEM) le immagini radar a singola banda o i colour
composites possono essere mostrate in vista prospettica e utilizzate anche nei simu­
lazione di volo.
ERS (European Remote Sensing radar)
I satelliti ERS dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) sono i primi satelliti com­
merciali che acquisiscono immagini radar. ERS-1 lanciato nel 1991 e ERS-2 nel
1995, equipaggiati con strumenti simili, sono posti in orbita a 250 km, hanno a
bordo sensori radar ad apertura sintetica (SAR) che operano in banda C (lunghezza
d’onda 6 cm) ed acquisiscono scene di 100×100 km con una risoluzione al suolo da
10 a 30 metri. ERS-1 ed ERS-2, hanno dato un importante contributo allo sviluppo
delle tecniche interferometriche (Fig. 27).
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JERS-1 (Japanese Earth Resources Satellite)
È un satellite posto in orbita dal NASDA (National Space Development Agency
of Japan) nel mese di Febbraio del 1992 con lo scopo di studiare le risorse terrestri
con due sensori ottici che operano nel visibile e infrarosso vicino (VNIR) e nell’infrarosso medio (SWIR) ed uno radar in banda L (21 cm), con dimensioni del pixel al
suolo di 18×24 m.
Il satellite non è più operativo dall’ottobre del 1998, quando si sono persi i
contatti.
Radarsat-1 e Radarsat-2 (Orbimage)
Radarsat-1 è stato lanciato nel 1995 da Orbimage ed è attualmente operativo.
Il sensore radar è un SAR (Synthetic Aperture Radar) che opera in banda C con
risoluzione spaziale da 100 a 8 m. La compagnia prevede entro il 2003 la messa in
orbita di Radarsat-2 (SAR-C) in grado di acquisire immagini con risoluzione fino a 3
m. Considerate le proprietà connaturate alle riprese radar e il livello di dettaglio a 3
m, Radarsat-2 rappresenta, potenzialmente, uno dei sistemi di Telerilevamento più
interessanti per le applicazioni archeologiche.
SENSORI
AEROTRASPORTATI
Teoricamente ogni sensore può essere installato su piattaforma aerea consen­
tendo quote di volo più basse e quindi risoluzioni più elevate.
Attualmente operano da aereo sensori simili al Tematic Mapper (ATM =
Airborne Tematic Mapper, con 12 bande, 6 delle quali operano negli stessi intervalli
delle bande TM riflesse), sistemi radar a visione laterale (SLAR = Side Looking
Ariborne Radar) e sistemi iperspettrali con un elevatissimo numero di bande.
Uno scanner iperspettrale, il MIVIS (Multispectral Infrared and Visible Imaging
Spectrometer), è gestito in Italia dal Progetto LARA (Laboratorio Aereo per Ricerche
Ambientali; cfr. CAVALLI PIGNATTI in questo volume) del CNR e viene montato su di un
aereo CASA C212. Il sensore opera in 102 bande fra 0.43 e 12.7 µm e fornisce immagi­
ni a 12 bit. Un sistema GPS consente il posizionamento continuo con notevole accura­
tezza.
L’elevata risoluzione spaziale ottenibile da bassa quota e quella spettrale in­
trinseca allo strumento rendono il MIVIS il sensore più idoneo all’indagine archeo­
logica. Purtroppo gli alti costi di volo su specifiche aree rendono questo sistema
difficilmente accessibile.
STEFANO CAMPANA, ENZO PRANZINI
Bibliografia
Questa breve rassegna bibliografica, limitata al Telerilevamento da satellite in
Archeologia, non ha certo la pretesa di coprire in modo esaustivo la materia. Inten­
diamo suggerire un possibile punto di partenza su manuali di riferimento, esperien­
ze di applicazioni archeologiche (distinte per grandi per aree geografiche) e testi di
elaborazione delle immagini.
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Abbreviazioni
AAnt = American Antiquities
AARGnews = Aerial Archaeological Research Group news
AJA = American Journal of Archaeology
ARA = Annual Review of Anthropology
JFA = Journal of Field Archaeology
IJRS = International Journal of Remote Sensing
SA = Southeastern Archaeology
WA = World Archaeology
Periodici
AARGnews – Notiziario di informazione dell’Aerial Archaeological Research Group
con frequenza semestrale. La rivista intende favorire lo scambio di idee, infor­
mazioni ed esperienze nel settore della fotografia archeologica obliqua; fin
dai primi numeri si possono trovare anche contributi relativi ad altri sistemi
di prospezione, software e strumenti vari. Rog Palmer, Cambridge: http://
RS6000.univie.ac.at/AARG/
Archaeological Prospection – Periodico scientifico internazionale a cadenza trime­
strale disponile su carta e in rete dal 1996. Pubblica contributi relativi a tutti
gli aspetti del Telerilevamento: satellite, aerofotointerpretazione, sviluppo di
sistemi integrati, nuove tecnologie; particolare attenzione è riservata a pro­
spezioni geofisiche e geochimiche. Edito da Wiley, Londra: http://
www.interscience.wiley.com/jpages/1075-2196/
Archeologia e Calcolatori – Rivista internazionale pubblicata dall’Istituto per l’Archeologia etrusco-italica del Consiglio Nazionale delle Ricerche e dal Diparti­
mento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Università degli Studi di Siena.
Punto di riferimento in Italia per le applicazioni informatiche in Archeologia,
riserva un’attenzione particolare a sistemi GIS e Telerilevamento. Edito da
Insegna del Giglio, Firenze. La consultazione degli indici è disponile in Inter­
net: http://192.167.112.135/NewPages/edAC.html
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Abstract
The main limit we found in using remote sensing data for archaeological pur­
pose was that of the weak space resolution of the satellite images. The putting on the
market of images with an higher resolution, the possibility of acquiring aerial multi­
spectral and hyperspectral data, the availability of sensors which can be used on
earth and, last but not least, the slump in prices of digital images processing soft­
ware, all constitute evidence of the probable growth in the use of remote sensing,
even by disciplines, like the archaeological one, which were once marginal.
The last obstacle to the diffusion of remote sensing in archaeology is that of
vocational training. It’s necessary to reach a qualified level which can enable us to
use available data to the utmost, to stimulate the production of instruments which
can produce images apt to archaeological research, and to evaluate the current and
future possibilities of effectiveness of the use of remote sensing.
What follows is not meant to be a an exhaustive guide about remote sensing
but a simple (thus sometimes inaccurate) explanation of some general concepts re­
garding the acquisition, processing and interpretation of those images given by re­
mote sensing in relation to the needs of archaeological research.
1
Alcune delle immagini qui utilizzate negli esempi di elaborazione sono state prodotte
dal satellite Ikonos il cui sensore acquisisce a 11 bit; il software di elaborazione comunque
visualizza queste immagini a 8 bit.
2
Presto saranno distribuiti anche da ImageSat International Online Catalogue: http:/
/www.imagesatintl.com/isi_catalog.htm
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