Tesi Paolo Troyli - Museo dinamico della tecnologia Adriano Olivetti

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Tesi Paolo Troyli - Museo dinamico della tecnologia Adriano Olivetti
UNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE
FACOLTÀ DI ECONOMIA “GIORGIO FUÀ”
Corso di Laurea triennale in
L'INNOVAZIONE NELLA GESTIONE
DELL'IMPRESA: IL CASO DELLA OLIVETTI
Relatore:
Rapporto Finale di:
Prof. Aldo Bellagamba
Anno Accademico 2013/2014
Indice
Paolo Troyli
Introduzione
1
1 La storia della famiglia Olivetti: dal padre Camillo al figlio Adriano
1.1: il contesto storico-sociale della prima meta' del 1900 .......................
2
1.2: la figura di Camillo Olivetti e del figlio Adriano:
aspetti salienti dell'influenza culturale-scientifica del fare impresa ….. 3
1.3: dal dopoguerra al periodo fascista ….........................................
12
1.4: Adriano Olivetti e la fabbrica ( dal dopoguerra all'impegno nel
movimento comunita') …............................................................
2
14
Il modello organizzativo della olivetti
2.1: il pensiero organizzativo e le influenze del modo
di pensare di Camillo Olivetti …..................................................
15
2.2: concetti fondamentali del pensiero organizzativo
di Adriano Olivetti …..............................................................
16
2.3: il pensiero di Olivetti confrontato ai giorni nostri ed
i periodi storici che lo hanno influenzato ….................................
19
2.4: Olivetti ed il rapporto all' interno della fabbrica ed
i successivi sviluppi dell' azienda
(confronto tra il sistema olivetti ed il sistema multinazionale) …....
24
3 Il concetto di innovazione e il caso della Olivetti
3.1: il concetto di innovazione teconologica, innovazione di processo e
di innovazione di prodotto e i loro relativi aspetti principali …........
27
3.2: il rapporto imprenditore
ed innovazione e i vari fattori che devono essere adottati
dall'impresa per progettare il nuovo prodotto:
coinvolgimento dei clienti e dei fornitori nel processo di sviluppo …. 34
3.3: il caso della olivetti: le innovazioni di adriano olivetti …...................
Conclusione
37
Introduzione
Questo studio tende ad approfondire l'esperienza della fabbrica Olivetti partendo dal
pensiero di Camillo Olivetti e successivamente dalle innovazioni di processo produttivo
e di prodotto introdotte dal figlio Adriano.
Nel leggere questo lavoro si deve tener conto sia dell'influenza, forte ed incisiva,
proveniente dall'America di cui gli Olivetti fanno tesoro, attraverso continui viaggi ed
una costante attenzione, sia dello specifico retroterra italiano caratterizzato, per motivi
storico-sociali, dalla formazione di forti comunità su base agricola con legami di
solidarietà e comunanza non riscontrabili nell'esperienza americana.
L'introduzione della fabbrica moderna attuata, con forte radicalismo, da Adriano Olivetti
fa emergere immediatamente nello stesso le contraddizioni che si creano internamente
con gli operai, costretti al lavoro ripetitivo ed alienante, ed esternamente con l'antico
tessuto agricolo, che tende a sfaldarsi facendo confluire la manodopera nella fabbrica e
con la natura circostante che rischia un degrado sia a causa di un urbanizzazione
incontrollata, sia a causa dell'inquinamento industriale.
Nel primo capitolo vengono trattati i temi riguardanti il contesto storico, a partire dalla
fine dell'Ottocento fino ad arrivare al dopoguerra, che hanno influenzato il pensiero di
Camillo Olivetti e successivamente del figlio Adriano.
Questo capitolo, si focalizza di più sulla figura di Camillo Olivetti e sui diversi fattori
che lo hanno influenzato come, ad esempio, i diversi viaggi ed esperienze da lui fatte in
America.
3
Nel secondo capitolo invece, l'attenzione si focalizza di più sul figlio Adriano e sul suo
concetto di organizzazione dell'impresa, con l'introduzione da parte sua del concetto di
circoscrizione e di scala gerarchia basata sulla meritocrazia all'interno dell'impresa.
Inoltre, nell'ultimo paragrafo del capitolo viene fatto il confronto tra il sistema Olivetti,
basato appunto sul concetto di meritocrazia e di sviluppo armonioso nel proprio
territorio, ed il sistema multinazionale che, invece, è basato esclusivamente sulla
massimizzazione dei profitti, senza tener conto dell'ambiente in cui opera.
Infine, nel terzo capitolo viene introdotto il concetto di innovazione con le diverse
sfaccettature che assume come, ad esempio, l'innovazione tecnologica,
l'innovazione di processo e l'innovazione di prodotto e il concetto finale, inteso come
definizione, di imprenditore ed il coinvolgimento dei clienti e dei fornitori nel processo
di sviluppo dell'impresa.
57Capitolo 1 : LA STORIA DELLA FAMIGLIA OLIVETTI: DAL PADRE CAMILLO
AL FIGLIO ADRIANO
1.1: IL CONTESTO STORICO-SOCIALE DELLA PRIMA META' DEL 1900
Il passaggio dall’ Ottocento al Novecento è uno dei periodi di transizione più rilevanti
dell’intera storia dell’umanità. Sostanzialmente la società in cui viviamo oggi affonda le
sue radici proprio in quegli anni, anni di cambiamenti del modo di fare politica, di un
vero e proprio stravolgimento della considerazione che le persone avevano dell’arte. Un
passaggio avvenuto in tutto il mondo occidentale e non solo. Cambia la mentalità di
concepire la nazione e si assiste a un forte risveglio dei nazionalismi in tutta Europa, si
affacciano nuove forme di suffragi universali e vi è una sempre maggiore instaurazione
della società capitalista fortemente legata agli assiomi della società di massa. Nuove
dinamiche politiche, economiche e sociali si sono fatte sentire soprattutto nel nostro ‘bel
paese’. I primi anni del nuovo secolo hanno visto protagonista della scena politica lo
statista Giovanni Giolitti, fino alla rottura di quasi-continuità governativa dovuta
all’avvento della Grande Guerra. Il moderatismo politico, la ricerca perenne di
compromessi politici di Giolitti sono gli elementi che gli hanno permesso di governare
per il periodo iniziale del Novecento che venne identificato come età giolittiana. Quest’
età è connotata in parole povere da un decollo industriale arrivato ‘in ritardo’ rispetto
alle grandi nazioni europee, da un primo affronto istituzionale della questione
meridionale, tentativi di scolarizzazione (sebbene con scarsi risultati), da un più facile
accesso ai trasporti ferroviari, ma anche da un susseguirsi di situazioni politiche di stallo
dovute proprio ai consensi moderati di Giolitti in Parlamento.
Sono anni in cui è la vita stessa a cambiare: il progresso tecnologico già dalla fine
dell’Ottocento ha stravolto le condizioni di vita, ed era allora che l’industrializzazione
mancata del Risorgimento faceva capolino in Italia per mostrare i suoi effetti durante
tutto il corso del secolo, concentrandosi in quelle che saranno le grandi città italiane
come la Roma dannunziana e creando quel distacco tra Nord e Sud. E’ proprio quest’
imponente affacciarsi dell’industria e delle scoperte scientifiche in Italia che, dettando le
nuove regole del mercato e quindi di una primordiale società dei consumi, stravolge la
concezione della cultura e che segna tutto il percorso artistico-intellettuale del nostro
paese nel XX secolo. L' uniformazione forzata dell’uomo ha fatto in modo che
l’individuo si estraniasse sempre di più e maturasse una condizione di disagio ed
emarginazione in particolare per gli uomini di cultura che si erano resi consapevoli dei
nuovi processi e delle nuove innovazioni, comuni a tutti i paesi europei. Il primo
Novecento letterario in Italia è perciò segnato dalla questione della ‘perdita
dell’aureola’, relativa alla perdita di una posizione di rilievo dell’artista, enunciata già
precedentemente da Baudelaire in Francia. Avviene un’incisiva trasformazione negli
artisti, tra i quali ci sono alcuni che si rassegnano alla nostalgia di un’epoca d’oro
dell’arte e convivono col nuovo ruolo marginale (ad esempio i poeti crepuscolari), e altri
che cambiano forma per integrarsi nel nuovo mondo tecnologico che si sta venendo a
creare (ad esempio i futuristi). Sono gli anni del nazionalismo italiano, dell’intervento in
Libia, delle imprese di D’annunzio, della Prima Guerra Mondiale, del fascismo. Anni
duri e particolari, che fanno da tramite tra il passato e il presente.
La cultura viene fortemente influenzata dalle nuove dinamiche: è una società che
cambia grazie ai nuovi mezzi di comunicazione, grazie alla nuova ramificazione della
stampa e la trasformazione cinematografica. Proprio in questi anni il cinema nasce come
industria in Italia, gettando i semi del grande cinema italiano e dei nuovi modi di far
presa sulla gente. Gli stessi progressi nella comunicazione si sono rivelati un’arma a
doppio taglio a causa della forte strumentalizzazione politica fascista, così
contraddittoria dal punto di vista della conoscenza storica.
Il Novecento è il secolo della riflessione, incentivata dalle teorie freudiane, un secolo
che volge lo sguardo a una nuova dimensione dell’uomo, mai descritta prima: il
subconscio. Il Primo Novecento è il periodo del crepuscolarismo, di Pascoli e
D’Annunzio. E’ il periodo del futurismo, dell’avanguardia, del nuovo rapporto tra arte e
tecnologia. E’ il periodo delle ideologie, dei totalitarismi, di una nuova dimensione di
rapporti tra i paesi di tutto il mondo. E’ il periodo del primo grande conflitto bellico. E’
il periodo iniziale della società di massa, del capitalismo sfrenato, dell’imperialismo
senza scrupoli.
Per meglio precisare come già tra la metà del 1800 e gli inizi del 1900 si fossero gettate
le basi per il successivo sviluppo della storia europea, per linee di tendenza, di seguito
riportiamo brevi brani del pensiero di Alfredo Oriani, intelletuale e storico ormai caduto
nell' oblio:
“I due grandi problemi esteri per l' Europa sono l' Africa e L'Asia, che essa deve attirare
l'una dalla preistoria nella storia, l'altra dalla storia antica alla storia moderna”.
Sappiamo come non avere risolto il primo problema comporti oggi un'autentica
invasione di massa che non sarà possibile frenare sino a quando l'Europa non avrà
assolto al compito di attirare l' Africa dalla preistoria nella storia.
“Tutti i suoi popoli ( europei ) si sono rinnovati al contatto della rivoluzione francese.
Teocrazie, monarchie, aristocrazie hanno dovuto soccombere ad una democrazia
multiforme: APPENA COSTITUITE LE NAZIONI SI PENSA A CONFEDERAZIONI
PER RAZZE. Nel Baltico un disegno di federazione presentato dal re di Svezia (1864)
congiunge Svezia, Norvegia e Danimarca; l'avanguardia della democrazia latina ne
propone un altro per stringere in un solo fascio Francia, Spagna e Italia”.
Quasi sembra di sentire parlare dell 'Europa a due velocità di cui si dibatte ai giorni
nostri.
“La Germania riunitasi intorno alla Prussia in un impero di 45 milioni di cittadini
aspetta l'occasione per assorbire altri 12 milioni di tedeschi, predominanti ancora
nell'impero austriaco”. Già alla fine del 1800 l' Oriani intravedeva le premesse per la
prima e la seconda guerra mondiale.
“L'avvenire della politica e della storia europea è dunque slavo. Un immenso popolo,
disseminato sulla metà del nostro continente, sta per aprirvi un periodo di civiltà pari al
latino e al germanico”.
Forse capire l'importanza e l'inevitabilità di tale osservazione ci potrebbe consentire di
affrontare gli attuali problemi con la Russia in un' ottica europea di fraternità ed
amicizia tra i diversi popoli che la compongono, evitando di innescare percolosissime
tensioni dagli imprevedibili sbocchi. (Oriani, 1892).
Chiudo facendo onore allo studio quando porta a tali risultati di profondità di pensiero.
1.2: LA FIGURA DI CAMILLO OLIVETTI E DEL FIGLIO ADRIANO: ASPETTI
SALIENTI DELL'INFLUENZA CULTURALE-SCIENTIFICA DEL FARE IMPRESA
“La nascita di un'impresa è sempre legata a un uomo, che con le sue idee, le sue
aspirazioni, i suoi progetti di vita agisce ed opera in un certo ambito produttivo e in un
contesto spazio-temporale”. (Lacaita, 2013, pag. 9)
All'origine della grande Olivetti, c'è l'ingegner Camillo, un uomo nuovo, di cultura
moderna e avanzata, di preparazione e capacità tecnico-scientifiche elevate, di doti
morali rare, di senso civico forte e saldamente legato ad una prospettiva di
“progrediente” sviluppo sociale.
Camillo Olivetti giunse nel 1908 alla fondazione della “prima fabbrica italiana di
macchine per scrivere”, all'età di quarant'anni, che portò il marchio Olivetti nel mondo e
gli assicurò un posto di assoluto rilievo nella storia dell'industria italiana del secolo
scorso.
Non era quindi all'inzio della sua carriera di imprenditore: nel decennio precedente
aveva già portato al successo la “prima fabbrica di strumenti di misura elettrici”
denominata inizialmente “Ing. C. Olivetti” e successivamente “C.G.S.”, acronimo delle
principali unità di misura, Centimetro-Grammo-Secondo, fissate in sede internazionale
nel 1881.
Nell'uno come nell'altro caso si trattò quindi di due aziende nuove per il nostro Paese.
Il che è di per sé significativo, e rinvia alle convinzioni di fondo, che sin dall'inizio
guidarono l'industriale di Ivrea nel suo percorso imprenditoriale:
“l'idea che l'Italia dovesse inoltrarsi con decisione nel processo d'industrializzazione se
voleva stare fra i Paesi più evoluti” e l'altra, strettamente connessa, che: “per essere tra i
Paesi più evoluti dovesse percorrere la strada dell'innovazione, della ricerca, della
produzione più avanzata”. (Lacaita, 2013, pag. 10)
Idee, entrambe, tutt'altro che diffuse nell'Italia del suo tempo, la cui cultura tradizionale,
ancora prevalente nei ceti istruiti, guardava con diffidenza e preoccupazione alla
modernità, e tanto meno si preparava a quel salto di qualità che la nuova fase del
processo di sviluppo comportava.
Una conferma del cambiamento in atto e insieme una spinta ulteriore all'innovazione
tecnologica in particolare giunsero nello stesso 1881 dalla capitale francese, sede di due
altri eventi significativi destinati a ripercuotersi positivamente anche in Italia:
la prima rigurdava l'Esposizione dedicata all'elettricità, mentre la seconda si riferiva al
Congresso Internazionale di elettrotecnica.
A seguito di quanto visto a Parigi, infatti, il milanese Colombo si impegnava per la
sollecita utilizzazione del nuovo sistema Edison di illuminazione, e, ottenuto il
brevettodall'inventore americano e i capitali da una cerchia di finanzieri e imprenditori,
passava a realizzare nel 1883 la prima centrale termoelettrica del continente nei pressi
del Duomo di Milano.
Contemporaneamente, a Torino, il docente di fisica tecnica del Museo industriale,
Galileo Ferraris, intensificava le sue ricerche sulle correnti elettriche alternate,
avviandosi alla scoperta del campo magnetico rotante e all'invenzione del motore a
induzione.
Tanto l'una quanto l'altra vicenda sono un segno evidente, anche se ancora circoscritto,
della volontà italiana di muoversi in sintonia con i Paesi più avanzati, sia sul piano delle
applicazioni industriali che su quello della ricerca.
Una volontà che il giovane Camillo non tardò a conoscere ed ammirare sin dagli anni
dell'adolescenza e della sua formazione intellettuale.
Egli seguiva infatti i corsi ginnasiali presso un antico collegio milanese, il CalchiTaeggi, quando si svolse l'esposizione industriale del 1881, durante la quale, come si
legge in una sua lettera a Giacinto Motta, ebbe modo di vedere in funzione anche le
lampade ad arco.
Seguirono una serie di mostre e di esposizioni a cui partecipò Camillo, come quella a
Torino del 1884, dove l'evento più importante era quello della presentazione delle
macchine dinamo-elettriche provenienti da Ginevra, Parigi e Basilea; gli apparecchi
telegrafici della Eastern Telegraph Co. di Londra, i galvanometri Hartmann di
Wurzburg, oltre alla serie di lampade elettriche e di macchine per cucire fabbricate in
America.
Particolarmente rilevante sul piano innovativo fu la presenza dei generatori secondari di
Gaulard e Gibbs della National Company for the Distribution of Electricity di Londra,
che vennero infatti premiati con la medaglia d'oro per la soluzione data al problema
della distribuzione a grande distanza dell'energia elettrica con potenziale e intensità
diversi.
Fu in questo clima di cambiamenti tecnico-industriali che il giovane Camillo decise
quindi di dedicarsi all'ingegneria, di frequentare la Scuola di applicazione di Torino e di
specializzarsi nel settore che allora si presentava come il più aperto al futuro, che
avrebbe visto le industrie passare rapidamente dall'illuminazione alla telefonia e dalla
trazione elettrica all'elettrochimica.
A Torino Camillo fu vicino a Galileo Ferraris, che gli permise di compiere due
esperienze all'estero:
la prima presso la Patterson & Cooper-Electrical Engineers a Londra, nella quale potè
lavorare come un buon operaio più che come tecnico; mentre la seconda esperienza, ben
più importante e ricca di spuntiinnovativi, avvenì nel 1893-1894 negli Stati Uniti
d'America.
A provocare questo secondo viaggio fu il Congresso elettrotecnico di Chicago, che
mobilitò tutti i maggiori esperti del settore, compreso Ferraris, incaricato dal governo
nazionale di rappresentare l'Italia.
Non avendo pieno possesso dell'inglese, Ferraris chiese a Olivetti di accompagnarlo
insieme a Luigi Lombardi, altro suo allievo.
Si trattava di un'occasione importante per i due giovani, in quanto se fino ad allora erano
state l'Inghilterra, la Francia e la Germania ad essere le maggiori mete dei viaggi di
conoscenza, ora lo stava diventando l'altra sponda dell'Atlantico, per i molti progressi
tecnologici che vi si stavano realizzando grazie al dinamismo innovativo, all'intreccio
fra ricerca e attività produttiva, all'approccio aperto e pragmatico ai problemi, e agli altri
maggiori elementi della via americana allo sviluppo, dalla mobilità sociale allo spirito di
libertà, che non potevano affascinare una mente aperta ed anticonformista, come quella
di Camillo Olivetti.
Oltre oceano il giovane ingegnere di Ivrea fu a contatto con i grandi fisici del periodo e
potè visitare a Llewwllyn Park (New Yersey) il laboratorio di Thomas Alva Edison,
vero e proprio modello di laboratorio tecnologico moderno, fornitissimo di mezzi
strumentali e animato dalla febbrile attività di oltre cento ricercatori selezionati.
Muovendosi poi da uno Stato all'altro, potè osservare il funzionamento di fabbriche
molto avanzate ed efficienti, come la Weston, produttrice di strumenti di precisione, o la
Westinghouse, specializzata nella costruzione di macchine elettriche, o la Carnegie,
famosa per i suoi acciai e per le istituzioni culturali create dal suo fondatore.
Al tempo stesso visitò numerosi centri organizzati del sapere scientifico e tecnologico,
fra cui l'Università di Stanford (California), dove per qualche tempo si fermò in qualità
di assistente di eletrotecnica ed ebbe il modo di dedicarsi particolarmente agli strumenti
elettrici e alla loro costruzione.
Non mancò neppure di mettere alla prova e di esercitare il suo naturale talento
economico, cercando di vendere a società americane alcuni suoi brevetti che aveva
portato con sé dall'Italia, e acquisendo, insieme alla rappresentanza di prodotti
interessanti come le biciclette Victor e le macchine per scrivere Williams, numerosi
attrezzi, strumenti e macchine utensili in funzione della sua futura attività.
Quindi Camillo tornò dall'America con tanta volontà di fare, oltre che arricchito di
conoscenze e di esperienze significative.
Inizialmente la sua idea era quella di creare un grande laboratorio scientifico, più che
un'industria vera e propria.
Ma gli strumenti elettrici realizzati (galvanometri, cassette di resistenza, in particolare
quelle a ponte di Wheatstone considerate le migliori) non ebbero presso “tutti i gabinetti
di fisica del mondo” l'accoglienza che sperava, forse, “per mancanza di esperienza
commerciale”. (Lacaita, 2013, pag. 16)
Passò quindi alla costruzione di strumenti di misura, che avevano largo ed obbligato
impiego nelle industrie più moderne.
Tuttavia sorgeva il problema di competere sul piano industriale con le ditte estere che
allora fornivano gli strumenti in uso nella penisola.
Si trattava, infatti, di fabbricare nella maniera più economica ed efficiente possibile i tipi
di strumenti che si intendeva realizzare per un mercato particolarmente difficile.
Ciò voleva dire scegliere e progettare i modelli, programmare le diverse fasi di
lavorazione, organizzare l'azienda in ogni suo reparto perchè le operazioni fossero
eseguite con regolarità e precisione, utilizzando sia gli ingegneri, provenienti dalle
scuole politecniche, capaci di disegnare gli apparecchi da produrre e ogni loro
componente, sia i capi officina e gli operai semplici in grado di eseguire nei modi e nei
tempi migliori, i compiti produttivi assegnati.
Tutto questo non era affatto semplice in un ambiente, come il Canavese di quegli anni,
ancora dedito all'agricoltura e alle attività tradizionali.
Quindi, mentre avanzava la costruzione del suo primo stabilimento, nell'autunno del
1894, Camillo diede inizio, nella sua villa di Monte Navale, a un breve corso elementare
di elettricità per mettere i suoi primi operai in condizione di comprendere le
caratteristiche degli oggetti che dovevano costriuire, di comunicare correttamente tra di
loro e di interagire con la direzione tecnica.
Riandando con la memoria alle origini, affermerà che “gli studi giovano solamente se
chi li apprende ha intelligenza sufficiente per ben assimilare e che persone poco istruite,
ma che hanno l'intelligenza pronta e buona voglia di imparare, possono riuscire meglio
di gente molto più istruita, ma meno intelligente e volenterosa. (Lacaita, 2013, pag. 18)
Inoltre, dichiarò che “non vi è la tanto affermata divisione tra lavoro manuale e lavoro
intellettuale, perche' tutti i lavori, quando sono fatti bene, richiedono sempre l'uso
dell'intelligenza; e che per ben operare occore sempre ridurre la separazione fra la mano
e la testa, la pratica e la teoria, la tecnica e la scienza.” (Lacaita, 2013, pag. 18)
Un esempio lampante per Camillo fu quello dato da Domenico Burzio, l'operaio che
divenne il suo migliore collaboratore tanto nella produzione di strumenti elettrici,
quanto nella successiva delle macchine da scrivere.
Pur iniziando infatti con un'assai ridotta base scolastica e un'esperienza di lavoro che
non andava oltre quella del fabbro, Burzio continuò ad ampliare la comprensione dei
processi industriali e a migliorare la capacità, come capo officina, di guidare gli altri
nelle diverse fasi della lavorazione e, come tecnico, di studiare nuove macchine e nuove
lavorazioni.
Camillo non fu molto sopreso da questa evoluzione di Burzio in quanto, pensava che,
“un buon fabbro deve, oltre che di buona salute, essere dotato di preveggenza e di
immaginazione, perche' deve prima vedere e studiare il modo di ridurre l'informe massa
incandescente alla forma voluta: deve avere sviluppate le qualita' attentive perche' un
momento di disattenzione puo' rovinare completamente il suo lavoro, e infine avere una
rapida percezione delle cose, perche' la massa incandescente non dà tempo alla mente di
soffermarsi ed essere indecisa, ma chi maneggia deve passare rapidamente dal pensiero
all'azione. in altre parole, concludeva, il lavoro di fucina e' un lavoro di natura tale che
io non mi perito di chiamarlo intellettuale, perche' in chi lo esercita esso richiede alcune
delle qualita' superiori e tali qualita' tende a sviluppare maggiormente”. (Lacaita, 2013,
pag. 19)
Nel 1896 nello stabilimento di Ivrea era appena cominciato l'impianto delle macchine
acquistate in America e l'insieme di attrezzi che dovevano essere usati per la produzione
degli apparecchi.
Insieme ai suoi collaboratori, Olivetti organizzò i vari reparti della sua fabbrica (officina
meccanica, montaggio, laboratorio, magazzino) e provò il metodo più moderno ed
industriale di fabbricazione, che , partendo dal disegno del modello, passava alla
produzione esatta di tutte le sue parti mediante macchine di primo ordine, per giungere
al montaggio e quindi al controllo e alle verifiche di ogni singolo apparecchio realizzato.
Con l'inserimento dell'ingegnere Arcioni nella direzione tecnica dell'impresa, Olivetti
potè dedicarsi maggiormente alla conduzione generale degli affari e in modo particolare
all'organizzazione commerciale.
I primi strumenti cominciarono così ad essere conosciuti e richiesti sia in Italia che
all'estero.
La crescita fu notevole, tanto che Olivetti decise di spostare la fabbrica da Ivrea a
Milano, con gli stessi uomini, le stesse macchine e con gli stessi impianti della
precedente fabbrica.
Il salto di livello aziendale fu davvero notevole. I locali più ampi permisero un maggiore
sviluppo delle macchine di produzione e del laboratorio di misure e tarature; al tempo
stesso furono assunti altri ingegneri e tecnici per far fronte all'incremento di tutte le
attività, dagli studi alla produzione, dall'amministrazione all'espanzione commerciale.
Inoltre, Olivetti si applicò sempre con molto impegno al miglioramento delle condizioni
di vita e di lavoro degli operai, che dalla ventina del 1890 erano diventati a Milano 150
con una retribuzione totale di 145.000 lire.
Camillo sostenne a più riprese che “il lavoro non doveva essere retribuito a cottimo né
prolungato oltre le nove ore. Stante la poca varietà delle mansioni loro, gli operai non
possono essere obbligati a troppe ore di lavoro esauriente e noioso”. (Lacaita, 2013, pag.
24)
Si discuteva da tempo sui modelli scolastici in uso e sulle scelte da compiere per una
formazione più efficiente.
Olivetti si diceva convinto della necessità di considerare l'organizzazione tecnica
dell'industria moderna, il tipo di attività e il contesto ambientale; partendo dal grado di
istruzione più elevato osservava che i suoi ingegneri ben poco conoscevano di quanto si
facesse in pratica e, quello che è peggio, avevano vissuto per anni la vita artificiale dello
studente fuori dal mondo che vive e che lavora, vita deprimente che fiacca qualche volta
l'intelligenza, quasi sempre l'energia, che è tanto importante per chi, invece, deve
assumere la responsabilità di dirigere un'azienda.
Quanto alle altre caratteristiche di una leadership veramente efficace, Olivetti metteva
l'accento sulle seguenti qualità:
−
Una sicura conoscenza degli uomini e delle cose;
−
Una evidente superiorità intellettuale;
−
Una costante tenacia sul lavoro;
−
Una capacità di coinvolgere altri nel progetto perseguito, grazie all'elevato
“ascendente” personale, e di “ottenere” dai collaboratori “senza comandare”.
(Lacaita, 2013, pag. 26)
Anche la formazione degli operai era a suo giudizio largamente inadeguata rispetto ai
sistemi produttivi del nuovo secolo.
Olivetti conveniva su un apprendistato, da iniziare non prima dei quattordici anni,
articolato in una parte pratica da compiere in fabbrica, e in un'altra conoscitiva
finalizzata alla “comprensione” dei processi produttivi, da realizzare in scuolelaboratorio.
Nel 1908 Olivetti, dopo un secondo viaggio in America, decise di ampliare la propria
sfera d'azione, dando vita, alla prima fabbrica nazionale di macchine per scrivere.
Il suo concetto di impresa non era quello di perseguire un profitto immediato né quello
di volere rendimenti eccessivi o speculativi.
La stessa accumulazione del capitale come valore primario non era fra i suoi principi,
“considerando egli l'economia non come una realta' a se' stante, ma come parte di un
tutto, in cui il profitto deve armonizzarsi con le esigenze dell'etica, del diritto, della
solidarieta', della democrazia e degli altri aspetti e valori di una convivenzasociale
civilmente avanzata e progressiva”. (Lacaita, 2013, pag. 30)
Così, dopo aver lavorato per lo Stato durante la Grande Guerra con lo scrupolo morale
che lo distingueva, scrisse nel 1919:
“la mentalita' di un industriale che voglia meritare tale nome ed essere onorato ed
onorevole, dovrebbe essere quella di un produttore e di un organizzatore, non quella di
uno speculatore.” (Lacaita, 2013, pag. 26)
L'attività economica di Camillo e il suo paradigma aziendale vanno quindi considerati
anche in rapporto alla sua concezione dell'uomo e della società, che nel figlio Adriano
avrebbe poi trovato il primo e più convinto continuatore.
Infatti, in un intervento a Torino a sostegno di un sussidio comunale alla Camera del
Lavoro, Camillo affermava sin dal 1899 che: “l'operaio sindacalizzato non vede nel
padrone un nemico, ma un contraente; e rispetta il contratto, quasi con devozione,
perche' sente che e' un accordo fatto da uomini con uomini uguali”. (Lacaita, 2013, pag.
31)
Quando avviò la sua attività economica, l'Italia stava vivendo la prima crisi dello Stato
liberale e lui non esitò a schierarsi con il neonato Partito Socialista Italiano e ad
accorrere nel Maggio del 1898 a Milano contro la linea repressiva dei governi del
tempo.
Affrontò i problemi dell'acqua potabile, dell'illuminazione elettrica, della costituzione di
nuovi edifici scolastici e dei sussidi agli alunni bisognosi, della diffusione dell'istruzione
tecnica e professionale, dell'ampiamento della viabilità urbana e dello sviluppo delle
comunicazioni.
Camillo Olivetti fu sempre a sostegno di una politica di riforme, infatti, chiamò
“L'azione Riformista” e “Tempi Nuovi” i settimanali da lui fondati nel 1919 e nel 1922,
con lo scopo di rinnovare la classe al potere, dalla cui qualità a suo giudizio dipendeva
la qualità dell'intera vita democratica del Paese.
Sempre in una prospettiva democratica si atteggiò di fronte alla grande crisi del primo
dopoguerra, destinata a sfociare nella dittatura fascista.
Come molti altri democratici, si pronunciò a favore di un ordinamento federale di tipo
americano ed elvetico, ossia in grado di realizzare il “massimo decentramento
funzionale” e di imprimere al tempo stesso la maggiore unità di direzione “a tutta la
compagine dello Stato”. (Lacaita, 2013, pag. 33)
Infine, all'indomani della marcia su Roma, disse: “una democrazia che non sia capace di
affidare ai migliori il governo della cosa pubblica non e' una democrazia, ma una
demagogia che finisce per degenerare nella tirannia di pochi più violenti e più furbi”.
(Lacaita, 2013 , pag. 33)
In queste poche pagine ho voluto introdurre il pensiero di Camillo Olivetti, che trasmise
al figlio sani valori che, quest'ultimo provò a portare avanti nella sua idea di impresa.
Adriano Olivetti nacque l'11 Aprile del 1901 sulla collina di Monte Navale, nei pressi di
Ivrea, dal padre Camillo, di origine ebraica, e dalla madre Luisa Revel, di religione
valdese, dalle quali credenze religiose sarà molto influenzato.
Adriano Olivetti fu molto influenzato dalla figura paterna, in quanto il padre Camillo
era una persona con un eccentrica e geniale personalità posta a servizio dell'impresa.
Questo viene testimoniato dal fatto che ad oltre cent'anni di distanza, il suo modo di
pensare e di fare impresa sia ancora attuale e attuabile.
Inoltre, la sua storia imprenditoriale, come notato precedentemente, si leghi
indissolubilmente a quella successiva di suo figlio Adriano.
Nel 1924 Adriano Olivetti conseguì la laurea in ingegneria chimica al Politecnico di
Torino e, dopo un soggiorno di studio negli Stati Uniti (insieme a Domenico Burzio,
allora Direttore Tecnico della Olivetti,) dove potè aggiornarsi sulle pratiche di
organizzazione aziendale, entrò nel 1926 nella fabbrica paterna dove, per volere del
padre, fece le sue prime esperienze come operaio.
Nel 1932 divenne Direttore della Società Olivetti e nello stesso anno lanciò la prima
macchina per scrivere portatile, chiamata MP1; nel 1938 assunse la carica di Presidente
della società.
Negli anni della dettatura si oppose al regime fascista con atti eclatanti come, ad
esempio, quando partecipò insieme a Carlo Rosselli, Ferruccio Parri, Sandro Pertini ed
altri alla liberazione di Filippo Turati.
In questi anni, quindi fu costretto a nascondersi in Svizzera, da dove restò in contatto
con la Resistenza, ma dal 1931 la questura di Aosta, dalla quale l'imprenditore attendeva
la certificazione di appartenenza alla razza ariana a causa delle origini del padre ebreo,
lo definì come un sovversivo.
Rientrato alla caduta del regime, Olivetti riprese le redini dell'azienda e unendo alle
innate capacità manageriali, quell'instancabile sete di ricerca e di sperimentazione, cercò
di coinciliare lo sviluppo industriale con l'affermazione dei diritti umani e con la
democrazia partecipativa, dentro e fuori la fabbrica.
Questa combinazione permise alla Olivetti di essere la prima azienda al mondo nel
settore dei prodotti per l'ufficio.
Grazie alle sue nuove idee, intorno al 1950 Ivrea accolse una quantità straordinaria di
intellettuali che operavano sia all'interno dell'azienda, sia all'interno del Movimento
Comunità, in diversi campi disciplinari, inseguendo però lo stesso progetto di una
sintesi creativa tra cultura tecnico-scientifica e cultura umanistica.
Alla fine del 1945 pubblicò il libro "L'ordine politico delle comunità", nel quale
esprimette quelle idee che supporteranno il Movimento Comunità, fondato a Torino nel
1948.
Nel corso dello stesso anno entrò a far parte del Consiglio direttivo dell'Istituto di
Urbanistica, cui aveva aderito nel 1937 con una serie di studi su un piano regolatore
della Valle d'Aosta.
Nel 1950 espose la sua visione del primato in campo politico dell'Urbanistica e della
Pianificazione;
l'Urbanistica fu solo una delle tante passioni di Olivetti, che si interessò anche di storia,
di filosofia, di letteratura e di arte; è al suo personale rifinanziamento che si deve la
rinascita della rivista “Urbanistica”.
Nel 1953 decise di aprire una fabbrica di macchine calcolatrici a Pozzuoli offrendo posti
di lavoro con salari al di sopra della media e assistenza alle famiglie degli operai la cui
produttività in questo stabilimento superò quella dei colleghi nella fabbrica di Ivrea.
Nel 1956 fu eletto sindaco di Ivrea e due anni dopo ottenne due seggi in Parlamento
candidandosi con il Movimento Comunità. Il suo voto fu rilevante per la fiducia al
governo Fanfani. Nel 1957 la National Management Association di New York premiò
l'attività di direzione d'azienda internazionale di Olivetti.
In occasione della ricerca di nuovi fondi di prestito presso alcune banche svizzere per
rilanciare l'Azienda, il 27 Febbraio 1960 Adriano Olivetti prese alla stazione di Arona il
treno Milano-Losanna che passava via Sempione; fu colto da una improvvisa emorragia
cerebrale sul treno, già dopo il confine, nei pressi di Aigle, in Svizzera. Inutili furono i
soccorsi. Non fu eseguita l'autopsia, e fu avanzata l'ipotesi di un complotto a favore
delle lobby americane.
Al momento del suo decesso, l' Azienda, fondata dal padre e da lui per lungo tempo
diretta, vantava una presenza su tutti i maggiori mercati internazionali, con circa 36.000
dipendenti, di cui oltre la metà all'estero.
Nel 1962 nacque la Fondazione Adriano Olivetti per volontà di familiari, amici e
collaboratori, con l’intento di raccogliere e sviluppare l’impegno civile, sociale e
politico che distinse l’operato di Adriano Olivetti nel corso della sua vita.
1.3: DAL DOPOGUERRA AL PERIODO FASCISTA
Adriano Olivetti ebbe un forte rapporto con il padre Camillo, benchè visse la tipica
ribellione dei figli "intelligenti" nei confronti dei padri altrettanto "intelligenti".
Comunque sia si può affermare che tra Adriano e Camillo Olivetti ci fu sempre identità
di vedute nelle linee generali della politica e dell'idealità anche se, spesso e volentieri,
Adriano ebbe modo di affermare anche in quel campo la propria autonomia e la propria
statura intellettuale.
Camillo Olivetti fu un cauto interventista con un sopravvissuto spirito risorgimentale,
aspetti che si notano anche in Adriano il quale, infatti, dopo Caporetto si arruolò
volontario pur non combattendo a causa della fine della guerra. Un primo scontro con il
padre si ebbe quando Adriano si laureò in ingegneria chimica presso il Politecnico di
Torino, mentre il padre lo avrebbe preferito ingegnere meccanico.
Nel 1919 collaborò con il padre alla redazione de “L'Azione Riformista” scrivendo
numerosi articoli pur se anonimi o firmati con uno pseudonimo. Quando nel 1920
Camillo decise di sospendere la pubblicazione del settimanale ritenuto provinciale e
quindi privo di un'influenza reale nella politica, Adriano convinse il padre a cedere a lui
e ad alcuni suoi giovani amici la pubblicazione, che tuttavia non andò oltre al 1920.
Collaborò inoltre con il settimanale torinese “Tempi Nuovi”, che il padre promuoverà
insieme a Donato Bachi e altri progressisti.
Con la svolta, prima critica, poi più marcatamente antifascista di quel giornale, ci fu
anche la svolta politica di Adriano Olivetti, anche influenzato dall'ambiente culturale del
Politecnico e dall'amicizia con la famiglia Levi, in particolare con Gino Levi suo
compagno di corso.
«Fra questi amici ce n'era uno che si chiamava Olivetti, e io ricordo la prima volta che
entrò in casa nostra, vestito da soldato perché faceva in quel tempo il servizio militare.
Adriano aveva allora la barba, una barba incolta e ricciuta, di un colore fulvo; aveva
lunghi capelli biondo fulvi, che si arricciolavano sulla nuca ed era grasso e pallido. La
divisa militare gli cadeva male sulle spalle, che erano grasse e tonde; e non ho mai visto
una persona, in panni grigio verdi e con pistola alla cintola, più goffa e meno marziale di
lui. Aveva un'aria molto malinconica, forse perché non gli piaceva niente fare il soldato;
era timido e silenzioso, ma quando parlava, parlava allora a lungo e a voce bassissima, e
diceva cose confuse ed oscure, fissando il vuoto con i piccoli occhi celesti, che erano
insieme freddi e sognanti.» (Natalia Levi Ginzburg, Lessico famigliare, 1963)
Con la famiglia Levi, Adriano fu tra i protagonisti della rocambolesca fuga di Filippo
Turati.
Quest'ultimo fu ospitato prima dai Levi nella loro casa di Torino dove raggiunse poi
Ivrea. Fece tappa nella notte in casa di Giuseppe Pero, dirigente della Olivetti, per
ripartire al mattino seguente in una macchina guidata da Adriano che raggiungerà
Savona, dove li aspettava Sandro Pertini con cui l'esule si imbarcò per la Corsica con
destinazione Parigi.
L'antifascismo di Adriano si era già espresso immediatamente dopo il ritrovamento del
cadavere di Giacomo Matteotti nella manifestazione che promosse, insieme al padre, al
teatro Giacosa di Ivrea.
Adriano Olivetti venne nominato Direttore generale e nello stesso periodo si sposò con
Paola Levi, sorella di Gino.
Paola, insofferente al provincialismo di Ivrea, lo convinse a trasferirsi a Milano; questa
fu una delle svolte culturali per Adriano, perché nel capoluogo lombardo si potè
avvicinare all'architettura, all'arte, all'urbanistica, alla psicologia e alla sociologia.
Ebbe nuovi problemi con il Regime, quando l'altro fratello di Paola e Gino Levi, Mario
Levi, che lavorava alla Olivetti, venne fermato alla frontiera Svizzera, in quanto aveva
la macchina carica di manifestini di Giustizia e Libertà.
Riuscì a fuggire, ma la conseguenza fu che Gino Levi e il padre furono arrestati,
rimanendo per circa due mesi nelle patrie galere.
Adriano in quel frangente si mobilitò per difendere il suocero e l'amico cognato, e di
conseguenza gli fu momentaneamente ritirato il passaporto.
Tuttavia i rapporti con il fascismo migliorarono negli anni trenta, quando Adriano
conobbe e frequentò gli architetti Luigi Figini e Gino Pollini, i quali erano la punta più
avanzata di quel razionalismo in architettura che in un primo periodo venne sostenuto
anche da Mussolini.
L'influenza dei due professionisti fu notevole tanto che divennero gli architetti della
nuova Olivetti e con i quali Adriano progettò il “Piano per la provincia di Aosta”, di cui
Ivrea faceva parte in quegli anni.
Successivamente chiese ed ottenne la tessera al PNF ed in seguito fu ricevuto anche da
Mussolini a Palazzo Venezia, dove l'industriale presentò il suo piano al Duce.
Le sue affinità politiche del periodo furono con Giuseppe Bottai, che nel fascismo
rappresentò sempre una voce fuori dal coro. Prudente tanto da non farsi radiare come
avvenne a Massimo Rocca, Bottai fu pur sempre uno spirito libero che rappresentò
l'altra faccia del fascismo, quella meno totalitaria e folcloristica e più critica.
Queste qualità comunque non impedirono poi a Bottai di essere un convinto
promulgatore del “Manifesto della Razza” e uno tra i più fanatici sostenitori delle leggi
raziali fasciste.
Quello con il Regime fu un feeling di breve durata, in quanto i gusti in architettura di
Mussolini cambiarono passando dal razionalismo all'architettura di regime, che
intendeva riecheggiare i fasti della Roma Imperiale.
In ogni caso, il piano della Valle d'Aosta ottenne un riconoscimento tanto da essere
esposto in una mostra a Roma, i giornali ne parlarono, come dimostra una lettera che
Camillo scrisse ad Adriano:
«Sig Adriano Olivetti Roma
Ho visto i tuoi articoli sulla Stampa e sulla Gazzetta del popolo per il piano per la
Provincia di Aosta, e spero che questo tuo lavoro ti possa dare molta gloria, ma pochi
fastidi.
Sulla Gazzetta del Popolo ho osservato che il tuo nome è stato omesso. Non so se
l'articolo è stato scritto da te (nel qual caso ti avverto che non bisogna essere troppo
modesti) oppure da altri che non ha voluto menzionare il tuo nome, nel qual caso vorrei
sapere la causa (…)» (lettera presente nell'archivio storico Olivetti)
Poi fu il silenzio, con la Guerra d'Africa prima, la Guerra di Spagna e poi, la Seconda
Guerra Mondiale. Il consenso di Olivetti si affievolì fino a trasformarsi in opposizione
al regime.
1.4:
ADRIANO
OLIVETTI
E
LA
FABBRICA
(DAL
DOPOGUERRA
ALL'IMPEGNO NEL MOVIMENTO COMUNITA')
Nel 1945 Olivetti pubblicò “L'ordine politico delle Comunità”, considerato come la
base teorica per un'idea federalista dello Stato che, nella sua visione, si fondava appunto
sulle comunità, vale a dire unità territoriali culturalmente omogenee ed economicamente
autonome. Divenne un sostenitore del federalismo europeo dopo aver conosciuto Altiero
Spinelli durante l'esilio in Svizzera, iniziato da Olivetti nel 1944 a causa della sua
attività antifascista.
Nel 1948 fondò a Torino il “Movimento Comunità” e si impegnò affinché si realizzasse
il suo ideale di comunità in terra di Canavese.
Il Movimento, che tentava di unire sotto un'unica bandiera l'ala socialista con quella
liberale, assunse nell'Italia degli anni cinquanta una notevole importanza nel campo
della cultura economica, sociale e politica, con il fine di creare un movimento socio-
tecnocratico di una trentina di deputati in grado di costituire l'ago della bilancia fra il
centro, egemonizzato dalla Democrazia Cristiana, e la sinistra, egemonizzata dal PCI.
Nel 1955 durante la seconda edizione del premio Compasso d'Oro gli venne attribuito il
primo "Gran Premio Nazionale", prestigioso riconoscimento conferito per la sua
influenza nell' industria e nel design italiano.
Nel 1958 fu eletto deputato come rappresentante di "Comunità"; la sua morte prematura
nel 1960 però sancì la fine del movimento.
Adriano Olivetti riuscì a creare nel dopoguerra italiano un'esperienza di fabbrica nuova
ed unica al mondo in un periodo storico in cui si fronteggiavano due grandi potenze:
capitalismo e comunismo.
Olivetti credeva che fosse possibile creare un equilibrio tra solidarietà sociale e profitto,
tanto che l'organizzazione del lavoro comprendeva un'idea di felicità collettiva che
generava efficienza. Gli operai vivevano in condizioni migliori rispetto alle altre grandi
fabbriche italiane, in quanto ricevevano salari più alti, vi erano asili e abitazioni vicino
alla fabbrica, che rispettavano per di più la bellezza dell'ambiente, e i dipendenti
godevano di convenzioni.
Anche all'interno della fabbrica l'ambiente era diverso; durante le pause i dipendenti
potevano servirsi delle biblioteche, ascoltare concerti, seguire dibattiti, e non c'era una
divisione netta tra ingegneri e operai, in modo che conoscenze e competenze fossero alla
portata di tutti. Inoltre, l'azienda accoglieva anche artisti, scrittori, disegnatori e poeti,
poiché l'imprenditore riteneva che la fabbrica non avesse bisogno solo di tecnici ma
anche di persone in grado di arricchire il lavoro con creatività e sensibilità.
Adriano Olivetti credeva nell'idea di comunità, unica via da seguire per superare la
divisione tra industria e agricoltura, ma soprattutto tra fabbrica, società, arte e natura.
Unificando le forze politiche, sociali e culturali intorno alla realizzazione di obiettivi di
comune progresso, preventivamente programmati.
Per la fabbrica Olivetti l'idea, infatti, era quella di creare una fondazione, composta dalle
più importanti forze della comunità, come gli azionisti, gli enti pubblici, le università e
le rappresentanze dei lavoratori, in modo da attenuare le differenze economiche,
ideologiche e politiche, all'interno – però – di una precisa gerarchia di merito, da tutti
condivisa. Il suo sogno era di riuscire ad ampliare il progetto a livello nazionale, in
modo che quello della comunità fosse il fine ultimo.
CAPITOLO 2: IL MODELLO ORGANIZZATIVO DELLA OLIVETTI
2.1: IL PENSIERO ORGANIZZATIVO E LE INFLUENZE DEL MODO DI PENSARE DI CAMILLO
OLIVETTI
La storia di Camillo Olivetti ingegnere-imprenditore a cavallo del secolo ci può insegnare molte cose oggi
sulla necessità di creare nel nostro Paese stretti rapporti tra l'innovazione produttiva e la cultura scientifica
e universitaria.
Come disse Giuseppe Colombo del Politecnico di Milano: “se lo spirito scientifico non presiede alla
produzione, dalla mente che dirige una fabbrica, all'operaio che ne compie le più semplici operazioni, non
si può sperare che l'industria progredisca in modo rapido e sicuro.”
Un altro aspetto fondamentale per l'evoluzione di Camillo Olivetti fu quello riguardante al “non limitarsi a
quanto esiste in patria in termini di innovazioni scientifiche e imprenditoriali, ma avere curiosita'
incessante e raccogliere per poi mettere in pratica il meglio dalle esperienze straniere”. (Lacaita, 2013,
pag. 34)
Infatti, Olivetti visito molti Stati esteri, dove potè osservare il funzionamento di fabbriche molto avanzate
ed efficienti e allo stesso tempo visitò diversi centri organizzativi del sapere scientifico e tecnologico, fra
cui l'Università di Stanford in California.
I viaggi in America di Camillo e poi del figlio Adriano, proseguiranno e si intensificheranno dopo aver
fondato la Olivetti.
Un altro aspetto di rilievo che Olivetti introdusse nel suo fare impresa, era quello di valorizzare e di
acquisire l'apporto di collaboratori e di persone di elevata preparazione, che entrarono successivamente a
far parte della schiera dei “fedeli e tenaci” tecnici che lavorarono con lui e che cercò di formare
continuamente e di tenere sempre aggiornati.
Inoltre, di grande rilievo è l'impegno di Olivetti a fare della C.G.S. un'industria capace di competere anche
sul terreno delle innovazioni.
Molto significativi al riguardo sono gli oltre cento brevetti della Società, il grande laboratorio per tarature
ed esperienze, che era il più completo ed in funzione presso le industrie italiane del settore, e la capacità
di ampliare la gamma dei suoi prodotti tecnici, che erano arrivati a circa 300 tipi di modelli tecnici
diversi.
Un ultimno aspetto da tenere in considerazione per quanto riguarda le idee di Olivetti è quello relativo al
concetto di leadership.
Camillo Olivetti sosteneva che un leader dovesse avere alcune qualità come la sicura conoscenza degli
uomini e delle cose, la superiorità intellettuale, la costante tenacia nel lavoro, la capacità di coinvolgere
altri nel progetto perseguito, ma soprattutto la capacità di “ottenere senza comandare”.
Il segreto della leadership di Camillo è proprio in queste parole “ottenere senza comandare” ed è la strada
per qualunque imprenditore che voglia raggiungere dei risultati importanti in un clima di partecipazione
convinta.
2.2: CONCETTI FONDAMENTALI DEL PENSIERO ORGANIZZATIVO DI ADRIANO OLIVETTI
Nelle esperienze tecniche dei primi tempi, quando Adriano Olivetti studiava problemi di organizzazione
scientifica e di cronometraggio, sapeva che “l'uomo e la macchina erano due domini ostili l'uno all'altro,
che occorreva conciliare”. (Olivetti, 2001)
“Conosceva la monotonia terribile e il peso dei gesti ripetuti all'infinito davanti ad un trapano o ad una
pressa e sapeva che era necessario togliere l'uomo da questa degradante schiavitù.
Ma il cammino era tremendamente lungo e difficile”.(Olivetti, 2001)
Infatti, per Adriano Olivetti la gioia nel lavoro potrà finalmente tornare a scaturire allorquando il
lavoratore comprenderà che il suo sforzo, la sua fatica, il suo sacrificio (che pur sempre sarà sacrificio) è
materialmente e spiritualmente legato ad una entità nobile ed umana che egli è in grado di percepire,
misurare, controllare, poiché il suo lavoro servirà a potenziare quella comunità viva, reale, tangibile,
laddove egli ed i suoi figli hanno vita, legami ed interessi.
L'idea fondamentale che guidò la trasformazione tecnica fu l'introduzione nella attività industriale, in tutti
i suoi rami, di uomini di elevato livello di preparazione scientifica.
I vecchi capi (operai), provenienti dalla gavetta, si dovettero mettere in disparte; entrarono in officina i
100 e lode della scuola politecnica.
Olivetti dovette giudicare le cose e gli uomini sotto un profilo razionale: se servivano o non servivano alla
trasformazione che riteneva indispensabile.
Oggi dopo aver provveduto ad organizzare nuovi uffici tecnici e di ricerca, uffici-tempi, ufficiproduzione, servizi di controllo e via dicendo, raddoppiato il personale mancava a tutta l'organizzazione
una componente, quella sociale.
“Se si fosse potuto dimostrare che la fabbrica era un bene comune e non un interesse privato, sarebbero
stati giustificati piani regolatori, esperimenti sociali audaci di decentramento del lavoro.
Non c'era che una soluzione: rendere la fabbrica e l'ambiente circostante economicamente solidali.
Nasceva allora l'idea di una comunità. Una comunità, né troppo grande né troppo piccola, concreta,
territorialmente definita, dotata di vasti poteri, che desse a tutte le attività quell'indispensabile
coordinamento, quell'efficienza, quel rispetto della personalità umana, della cultura e dell'arte che il
destino aveva realizzato in una parte del territorio stesso, in una singola industria”. (Olivetti, 1952)
Olivetti si accorse ben presto che la situazione più confusa derivava dai limiti errati in cui si applicava
l'autorità: in una parola la provincia era sempre troppo grande ed il comune era troppo piccolo.
Perché non si unificava??? Si avrebbe avuto un unica circostrizione, un unico potere, degli uffici ben
organizzati, un'amministrazione vigile, facilmente controllabile, dove tutte quelle entità e quelle forze che
agiscono separatamente, provincia, comune, partiti, sindacati e/o fabbriche avrebbero trovato una sola
espressione, un solo ordinamento, una nuova ed organica unità.
Nasceva così empiricamente espressa, la prima idea, l'introduzione all'idea di una comunità concreta.
Questo concetto così semplice e così elementare che è alla base della nostra ideologia, ossia quello di far
coincidere su di un solo territorio l'unità amministrativa, l'unità politica e l'unità economica.
Le comunità tendono a far cadere la distinzione tra città e campagna, assegnando ad un' unica
amministrazione centri urbani e vasti territori agricoli, in modo da rendere possibile:
1)
una simbiosi (convivenza) tra economia agricola ed economia industriale;
2)
nelle zone agricole un processo graduale di organizzazione di vita moderna a contatto con la
natura;
3)
la trasformazione delle grandi città alveolari in organismi urbani in cui la natura riprenda il suo
grande posto e l'uomo abbia fuori dal lavoro e nel lavoro il sentimento di una vita più armonica e
più completa (la formazione di grandi oasi educative, ricreative, culturali in tutti i quartieri della
città);
4)
l'estensione ai villaggi isolati delle provvidenze igieniche, culturali e ricreative, privilegio dei
centri più importanti.
Questo è il grande compito dell'urbanistica moderna che si può attuare solamente all'interno dell'idea di
comunità, culturalmente omogenea, territorialmente definita e dotata di vasti poteri di coordinamento, di
programmazione e di pianificazione, comunità che si materializza nella circoscrizione (superamento della
vecchia provincia burocratica e del vecchio comune inadatto ad affrontare i grandi temi ambientali, di
programmazione e di convivenza tra mondo agricolo ed industriale, tra capitale e lavoro, tipici della
modernità).
La circoscrizione, composta da comuni culturalmente omogenei, è chiamata, nel pensiero di Adriano
Olivetti, ad unificare in un unico potere politico tutte quelle entità e quelle forze che agiscono
separatamente, comuni, partiti, sindacati, industriali, agricoltori, tutte queste forze avrebbero così trovato
una nuova ed organica unità da tutti condivisa, una sorta di grande fabbrica organizzata scientificamente
in cui confluiscono e vengono preventivamente previsti e risolti tutti i problemi sociali che si creano tra
individui e classi sociali, così come vengono preventivamente previsti e risolti i problemi che si creano tra
l'uomo e la natura, vista come patrimonio di bellezza da conservare per il benessere, non solo materiale
ma anche e soprattutto spirituale dell'uomo.
Anche in tale nuova organizzazione sociale comunitaria e di tipo federale (si parte dal basso, dalle
circoscrizioni/comunità per poi passare alle regioni ed allo stato con limitate e precise competenze
legislative); sembra inevitabile come il ruolo fondamentale dell'organizzazione, della previsione e della
programmazione, economica ed urbanistica, debba di necessità essere affidato ai cento e lode della scuola
politecnica (uomini di elevato livello di preparazione tecnico-scientifica) entro tale cerchia la politica
dovrà scegliere, con i consueti criteri democratici, il personale chiamato a dirigere la cosa pubblica.
Rieccheggiano le parole ammonitrici del padre Camillo: “ una democrazia che non sia capace di affidare
ai migliori il governo della cosa pubblica non e' una democrazia, ma una demagogia che finisce per
degenerare nella tirannia di pochi più violenti e più furbi”. (Lacaita, 2013, pag.33)
Tutto ciò al pari della meno complessa fabbrica industriale moderna dove: il potere di dirigere il lavoro
altrui deve essere conseguenza di meriti o legato ad evidenti capacità superiori.
“L'operaio direttore di fabbrica è un romantico ma anacronistico ricordo dei primi tempi della rivoluzione
sovietica, mentre l'operaio membro di un consiglio di amministrazione è una tragica finzione retorica della
repubblica sociale fascista”. (Olivetti, 1959)
2.3: IL PENSIERO DI OLIVETTI CONFRONTATO AI GIORNI NOSTRI ED I PERIODI STORICI
CHE LO HANNO INFLUENZATO
In questo breve e sommario riassunto del pensiero politico ed organizzativo di Adriano Olivetti è
possibile sottolineare i sotto elencati punti di cui sentiamo ancora oggi discutere con passione:
1)
necessità di un modello di stato federale che parta dal basso con la costituzione di circoscrizioni
costituite da comuni di un territorio culturalmente omogeneo (la comunanza e condivisione
culturale è un elemento indispensabile affinché le nuove circoscrizione possano svolgere bene il
proprio compito politico che è
essenzialmente di sintesi unitaria intorno ai problemi
economico/sociali/ambientali che si pongono);
2)
necessità di una precisa gerarchia decisionale fondata sul merito e sul sapere, da tutti gli attori
sociali consapevolmente condivisa ed accettata;
3)
concertazione istituzionalizzata tra le forze produttive (lavoratori ed imprenditori) e le forze
politiche della nuova circoscrizione di cui i lavoratori e gli imprenditori si devono sentire parte
integrante, al fine di pervenire ad una pianificazione economica ed urbanistica da tutti condivisa.
A dire il vero sembra che Adriano Olivetti fotografi i nostri giorni e ci indichi , con la superiore
intelligenza e la sensibilità d'animo che gli sono proprie, i nodi ancora da sciogliere per giungere a quel
lavoro finalmente gioioso e consapevole (non alienato), basato su una comunità, gerarchicamente
delineata, in cui tutti i cittadini possano riconoscersi come parte attiva, poiché il proprio lavoro servirà a
potenziare quella comunità viva, reale, tangibile, permeata di legami, interessi, arte, cultura e storia
comune.
Abbiamo potuto constatare dalle parole di Adriano Olivetti come l'organizzazione della fabbrica sia
passata da un modello industriale arcaico, contraddistinto da un accento di tipo paternalistico ad un
modello tipicamente funzionale della fabbrica che spingeva ai massimi livelli possibili la produzione e
dove, anche i salari della fabbrica Olivetti erano superiori alla media dei salari dell'industria nazionale.
Queste migliorie furono possibili anche grazie ai periodi storici, che influenzarono moltissimo il pensiero
politico ed organizzativo di Olivetti.
Per comprenderlo pienamente è necessario conoscere il periodo storico di formazione culturale di Adriano
Olivetti, periodo contraddistinto sino allo scoppio della prima guerra mondiale, da grandi movimenti
politico/culturali tra cui di grande rilevanza in campo politico ed artistico il movimento futurista che
teorizzava il ruolo preminente dell'arte futurista nella società, arte futurista a cui era demandato il
compito di creare una nuova estetica (idea storicizzata di bellezza) corrispondente ai nuovi bisogni
materiali e spirituali rivenienti dalla modernità (nuova etica in continuo, rapido, cambiamento).
Da ciò nasceva la lotta senza quartiere contro il passatismo in tutti i campi artistici e politici (il movimento
futurista era tendenzialmente repubblicano e auspicava l'allontanamento del papato dall'Italia) e la volontà
di calare il nuovo linguaggio della modernità – macchinista e dinamico – in tutti i campi della vita sociale
compresa la produzione industriale (un' attività di design ante litteram), nota e celebre in tale campo la
produzione di Fortunato Depero per il marchio Campari con l'inarrivabile bottiglietta del bitter Campari.
Nel medesimo periodo si sviluppava un fortissimo movimento operaio prevalentemente
legato al
socialismo ed apparentemente pronto ad assumere la guida politica della nuova società industriale in
formazione a cui erano rivolte le simpatie del giovane Olivetti .
Questa situazione politico culturale in perenne ebollizione vedrà, alla fine della prima guerra mondiale, il
fallimento della democrazia parlamentare (degenerata in partitocrazia) e la spinta verso una soluzione di
tipo autoritario in Italia e quasi in tutti i paesi europei .
Tale esperienza rimarrà indelebile nella vita e nel pensiero di Adriano Olivetti che cercherà di trovare una
soluzione al vecchio parlamentarismo, quasi sempre destinato a degenerare nella partitocrazia cioè
nell'appropriazione dello stato da parte dei partiti, causando un abnorme crescita della burocrazia,
occupata dai partiti, senza più funzioni effettive di guida e stimolo all'apparato economico-industriale e di
mediazione al conflitto sociale tra le classi, che nei momenti di più forte crisi economico – sociale tende
a sfociare in soluzioni politiche di tipo autoritario (male assoluto da evitare secondo l'esperienza vissuta
da Adriano Olivetti).
Ora forse apparirà più chiara la differenza di fondo tra il vecchio modello organizzativo della fabbrica (di
tipo fordista) dove netta era la distanza tra l'industriale ed il lavoratore, ma anche la distanza all'interno
dei singoli lavoratori sospinti dai buoni salari ad ogni rinuncia di organizzazione sindacale
e
rivendicazione politica di classe ed il modello Olivettiano dove la fabbrica vuole diventare
un'organizzazione politico – industriale organica alla comunità di appartenenza.
Comunque sia le differenze di classe continuavano ad esistere e la gerarchia era ancora indispensabile ma
non finalizzata al solo mantenimento di un'organizzazione scientifica del lavoro sotto il dominio esclusivo
dell'imprenditore capitalista; la gerarchia nel modello Olivetti doveva essere percepita dai lavoratori,
sindacalmente e liberamente organizzati, come indispensabile al rafforzamento della comunità ed al
raggiungimento delle mete di natura politico – sociale programmate (case per i lavoratori – asili nido –
scuole professionali – borse di studio per i figli meritevoli dei lavoratori ecc. ecc.).
Tale modello implicava una società fondata su una gerarchia del merito dove anche i figli degli operai
della Olivetti, se meritevoli accompagnati da apposite borse di studio, potevano accedere ai livelli più alti
della gerarchia di fabbrica (nel modello Olivetti trova così applicazione concreta il così detto ascensore
sociale).
Anche questo concetto di eguaglianza nell'impresa e nella societa' fu introdotto prima da Camillo e poi
ripreso da Adriano Olivetti.
Infatti, il padre Camillo sosteneva che l'impresa deve essere vista come quello spazio sociale capace di
riconoscere le “legittime aspirazioni di ciascuno”.
Il rapporto di lavoro, sosteneva Camillo, doveva essere un “contratto fatto da uomini con uomini uguali”.
(Lacaita , 2013, pag. 41)
C'è in queste parole la concezione piena dell'imprenditore responsabile verso la sua azienda e verso la
società.
Come c'è il riconoscimento dell'eguaglianza come cardine stesso della democrazia.
A ben vedere in tale modello la stessa figura dell'imprenditore cessa di avere una propria funzione
ed un ruolo privilegiato e duraturo per sé ed i propri figli, poiché tutto sembra essere condizionato dalle
singole capacità imprenditoriali e da un effettivo ruolo di leadership svolto ed accettato dalla comunità di
appartenenza.
Il radicalismo di tale modello politico-industriale è tale che forse ora risulta comprensibile l'ostilità del
mondo industriale dell'epoca e l' attuale oblio confindustriale al pensiero di Adriano Olivetti.
Molto meglio l'adesione da parte del mondo industriale dell'epoca al modello corporativista del fascismo
che non metteva - nei fatti - in discussione il ruolo del capitalista, proprietario dei mezzi di produzione
della società, e che in tale ruolo rimaneva a prescindere dalle proprie capacità manageriali e tale ruolo
ereditavano i figli anche se inadatti a svolgerlo (a garantire la prosecuzione temporale del capitalismo
familiare italiano, a prescindere dalle capacità imprenditoriali dei singoli eredi, erano e sono i così detti
salotti buoni della finanza di cui il più importante quello rappresentato da Mediobanca sotto la guida di
Enrico Cuccia - dominus indiscusso - a cui era delegata la risoluzione di eventuali problemi societari e/o
familiari in capo alle maggiori famiglie industriali italiane. Famosa la frase di Cuccia, gravemente
ingiusta ed irrispettosa nei confronti degli azionisti altri, secondo cui “ le azioni si pesano e non si
contano”; frase e spirito di anciene regime destinati a limitare grandemente la formazione di un mercato
azionario ampio e popolare in Italia e la nascita di public company che sono state e sono ancora
grandemete osteggiate nel nostro Paese. A riguardo mi piace sottolineare come senza un mercato
azionario ampio e popolare, severamente regolamentato per quanto riguarda il falso in bilancio - negli
ultimi anni addirittura depenalizzato - e gli altri reati di borsa, sia impossibile pensare ad una seria e
duratura ripresa produttiva mancando il settore industriale italiano del capitale di rischio indispensabile
ad effettuare i necessari investimenti).
Altro movimento culturale succedutosi al futurismo e sviluppatosi negli anni '30 in Italia è quello del
razionalismo che raccoglie l'eredità del primo futurismo, ormai morto insieme alle migliori menti
(Antonio Sant'Elia – Umberto Boccioni) scomparse
nella guerra del 1915-1918, nel campo
dell'urbanistica e dell'architettura.
Nelle poche righe che seguono cercheremo di rendere l'idea della rivoluzione culturale posta in essere dai
primi futuristi a partire dal 1909, scriverà Antonio Sant'Elia nel manifesto dell'architettura futurista “
sentiamo di non essere più gli uomini delle cattedrali, dei palazzi e degli arengari; ma dei grandi alberghi
e delle stazioni ferroviarie, delle strade immense, dei porti colossali, dei mercati coperti, delle gallerie
luminose, dei rettifili, degli sventramenti salutari ” e Filippo Tommaso Marinetti farà da eco “ …. gli
ingegneri, gli elettricisti e gli aviatori, il diritto di sciopero, l'eguaglianza di fronte alla legge, l'autorità
della maggioranza, il potere usurpatore delle masse, la velocità delle comunicazioni internazionali e le
abitudini di igiene e comodità, richiedono grandi case di appartamenti ben areati, ferrovie di assoluta
affidabilità, gallerie, ponti di ferro, grandi e veloci navi di linea, ville sui fianchi delle colline, aperte alle
brezze ed ai panorami, immense sale di riunione e stanze da bagno destinate alla rapida, quotidiana, cura
del corpo ”.
L'immagine della nuova città futurista solo pensata nei primi anni del '900 inizia ad emergere: una
macchina efficiente, rapida, scientificamente programmata e urbanisticamente pianificata. La nuova
architettura doveva essere l'architettura del calcolo ingegneristico, dell'audacia temeraria e della
semplicità (il modello è sempre derivato dalla rivoluzione industriale americana – essenzialmente
funzionalista - dove già alla fine del '800 i grattacieli hanno risolto il problema dello spazio disponibile
nelle grandi città edificando verticalmente).
La casa e la città come una macchina efficiente e rapida a suo modo organica, come un animale
meccanico progettato a tavolino per rispondere ai nuovi bisogni materiali e spirituali rivenienti dalla
modernità. “Une machine à vivre” come pochi anni dopo teorizzerà il massimo esponente razionalista Le
Corbusier (estensore, insieme ad altri architetti italiani ed europei, della carta di Atene con cui si tentava
di enunciare, per la prima volta, in forma organica e razionale l'urbanistica della nuova città moderna. A
riguardo ricordiamo come il movimento razionalista si ricollegasse per la creazione dei nuovi, moderni,
canoni estetici in architettura alla sezione aurea della scuola pitagorica, poi ripresa e sviluppata in età
tardo medioevale dal matematico pisano Leonardo Fibonacci, il cui lavoro matematico è stato in passato
ed è oggi universalmente apprezzato ed applicato anche nell'ambito dello studio e dell' analisi tecnica dei
cicli dei mercati borsistici).
Anche tale movimento culturale razionalista che lega profondamente l'attività artistica alla modernità
(come teorizzato dal primo futurismo) influenzerà profondamente il pensiero di Adriano Olivetti che
calerà l'arte nella produzione industriale della propria fabbrica (a riguardo ricordiamo come diversi
prodotti Olivetti siano attualmente esposti al Museo di arte moderna di New York) e trasferirà
nell'architettura comunitaria il concetto di macchina pensata per vivere gioiosamente, dove l'aspetto
estetico deve rappresentare e trasmettere visivamente la nuova etica della fabbrica/comunità (nuovi
bisogni materiali e spirituali) che pone al centro la persona, con i servizi a questa dedicati (fabbrica,
mense, asili nido, case, scuole professionali, biblioteche, luoghi di ritrovo comunitari) e il rispetto della
natura circostante di cui l'uomo è parte integrante.
Ad Ivrea saranno chiamati ad edificare tale nuova città ideale comunitaria due tra i maggiori giovani
architetti razionalisti italiani, Luigi Figini e Gino Pollini, a cui riuscirà di sposare la tipica funzione
produttiva degli stabilimenti industriali, o abitativa delle case per gli operai, o educativa per gli asili o le
scuole dei figlio dei dipendenti Olivetti, con una superiore idea di bellezza totalmente rispettosa della
natura e del paesaggio circostanti (anche questo un esempio di estetica moderna – derivato dal modello
greco e poi rinascimentale della sezione aurea – forse da analizzare e studiare più approfonditamente).
I prodotti Olivetti non sono quindi solo tecnologicamente avanzati e funzionali – requisito indispensabile
per il settore d'appartenenza – ma sono anche artisticamente, stilisticamente significativi, circostanza
questa su cui si mette – a mio giudizio – poco l'accento, concentrandosi sul settore ricerca e sviluppo, o
sull'aspetto dell'organizzazione commerciale - pure indispensabili e significativi nell'esperienza Olivetti
-sottovalutando – a mio parere – la peculiarità tutta italiana (almeno per il primo Novecento) di vedere
nell'arte (intesa come capacità di produrre nuovi modelli di bellezza storicamente determinati), calata
nella vita quotidiana (quindi anche nella produzione industriale di massa), il vero motore di crescita e
continuo cambiamento culturale della società.
Tale aspetto “artistico”- mi sembra - resti ancora nelle corde della nostra produzione manifatturiera che è
alla costante ricerca di un prodotto artistico standardizzato, in cui cioè l'aspetto prettamente funzionale
(sia auto - nave - calzature – mobili – abiti ecc. ecc.) entri in simbiosi con l' aspetto estetico (idea di
bellezza storicamente determinata), cosa più facile a dirsi che a farsi.
Forse includendo nel processo produttivo artisti, intellettuali ed architetti ( come fece Adriano Olivetti
includendo nella fabbrica intellettuali dello spessore di Paolo Volponi, Ottiero Ottieri, Franco Fortini,
Leonardo Sinisgalli, Giorgio Soavi, Ettore Sottsass - architetto che disegno il primo computer italiano
Olivetti Elea 9003 -, Giorgio Fuà - economista e fondatore della ns. facoltà di economia e dell' ISTAO –
inseriti nei settori creativi e di supporto all'industria) si riuscirebbe nella non facile impresa di produrre
oggetti di uso quotidiano funzionali ma al tempo stesso stilisticamente diversi e significativi per la persona
che li acquista; naturalmente tutto ciò implica una grande capacità dell'imprenditore di conoscere e sapersi
rapportare con la storia, l'arte, la cultura ed i valori sociali dei potenziali acquirenti.
2.4: OLIVETTI ED IL RAPPORTO ALL' INTERNO DELLA FABBRICA ED I SUCCESSIVI
SVILUPPI DELL' AZIENDA (CONFRONTO TRA IL SISTEMA OLIVETTI ED IL SISTEMA
MULTINAZIONALE)
Altro punto di forza della fabbrica Olivetti è il legame costruito negli anni con i lavoratori e ben riassunto
da Adriano Olivetti in questo passo tratto dai discorsi ai lavoratori in occasione del conferimento delle
spille d'oro ai lavoratori che avevano compiuto 25 anni di attività:
“ La spilla d' Oro sa che il cemento che ci lega è l'amore per l'opera che abbiamo insieme compiuta e alla
quale ciascuno di noi ha dato nella misura della sua possibilità e in proporzione delle sue forze, tutto il
suo contributo, con umiltà, pazienza e tenacia. La Spilla d' Oro sa che questi valori, talora oscuri, non
sempre appariscenti stanno nel cuore di ognuno e nel cuore della fabbrica”.
Tale alto senso d' appartenenza sarà indispensabile per superare i momenti di crisi, anche fortissima, che
si presenteranno, a riprova di ciò riportiamo un altro brano tratto dai discorsi ai lavoratori di Ivrea,
fabbrica fondata appena sei anni prima: “ Verso l'estate del 1952 la fabbrica attraversò una crisi di
crescenza e di organizzazione che fu appena visibile a tutti, ma che fu non di meno di una notevole
gravità. Fu quando riducemmo gli orari; le macchine si accumulavano nei magazzini di Ivrea e delle
Filiali, a decine di migliaia. L'equilibrio tra spese e incassi inclinava pericolosamente: mancavano ogni
mese centinaia di milioni.
A quel punto c'erano solo due soluzioni: diventare più piccoli, diminuire ancora gli orari e non assumere
più nessuno, avendo 500 lavoratori di troppo, taluno incominciava a parlare di licenziamenti. L'altra
soluzione era difficile e pericolosa: instaurare immediatamente una politica di espansione più dinamica,
più audace. Fu scelta senza esitazione la seconda via”.
In Italia, in un solo anno furono assunti 700 nuovi venditori, fu ribassato il prezzo delle macchine, furono
create filiale nuove a Messina, Verona, Brescia, alle quali si aggiunsero più tardi quelle di Vicenza e di
Cagliari. La lotta continuò su tutto il fronte dell' esportazione: in Germania, in Belgio, in Inghilterra, negli
Stati Uniti; furono create nuove filiali a San Francisco, Chicago, Francoforte, Colonia, Hannover,
Dusseldorf e lo sforzo fu ovunque intenso. In questi ultimi anni le nostre consociate sparse in tutto il
mondo si andarono riorganizzando, ampliando, rafforzando e il nome Olivetti è diventato una bandiera
che onora il lavoro italiano nel mondo. Esse sono ora una forza che ha aumentato la nostra espansione.
Sulle 6000 e più persone che lavorano oggi ad Ivrea più della metà vi lavorano esclusivamente perchè
quelle società esistono. Esse hanno tuttavia rappresentato un'esperienza difficile, seria e rischiosa. La loro
storia è seminata di croci, di sconfitte, di disastri, di gravissime perdite, alle quali abbiamo faticosamente
portato rimedio. E questa macchina organizzativa è ora quasi a punto, ormai quasi finita. E' fatta per uno
scopo solo: “assicurare a questa fabbrica e a chi vi lavora, più sicurezza, più libertà, più benessere. In tre
anni decine di funzionari e di dirigenti sono passati da quadri italiani ai quadri delle consociate e inoltre
va ricordato il trasferimento all'estero di molti altri tecnici ed operai diretti compagni di lavoro. Ma non è
difficile comprendere come questi movimenti siano simili a quelli di una partita a scacchi nella quale si
gioca l'avvenire della nosta fabbrica, dove è in gioco il vostro lavoro e il futuro dei vostri figli”. (Olivetti,
2001)
Tale speciale rapporto tra maestranze e proprietà venne trasmesso ad Adriano dal padre Camillo che, in
merito al lavoro sosteneva che “esso non doveva essere retribuito a cottimo né prolungato oltre le nove
ore e che stante la poca varietà delle mansioni gli operai non potevano essere obbligati a troppe ore di
lavoro esaurienti e noiose”. (Lacaita , 2013, pag. 36)
Meglio, quindi, per Camillo puntare, per una piena efficienza produttiva, a una buona cordinazione dei
lavori, alla graduazione delle paghe ed al miglioramento della preparazione.
Infatti, sviluppare una varietà di mansioni ed evitare lavori ripetitivi e noiosi permette di aumentare la
creatività, la partecipazione e la produttività dei dipendenti.
Un altro aspetto, di non poco rilievo, che sosteneva Camillo Olivetti era quello riguardante la costituzione
di una struttura societaria di persone interessate moralmente e finanziariamente e non di persone
interessate ad ottenere risultati a breve periodo, invece di costruire una solida realta' produttiva.
Riguardo a questo argomento Camillo scriveva, rivolto agli aspiranti imprenditori: “Se voi volete fondare
aziende industriali che abbiano un prospero avvenire, che diano a voi ed ai vostri collaboratori quelle
soddisfazioni morali e materiali a cui avete diritto di aspirare, non date ad esse la forma di Società
Anonima, e se per le vostre speciali condizioni dovete accettare tale forma di Società, formate un
Consiglio di Amministrazione di pochissime persone (due o tre al massimo) fortemente interessate
moralmente e finanziariamente all'avvenire dell'azienda e se vi sarà possibile non chaimate a far parte di
tali Consigli dei grandi uomini”. (Lacaita , 2013, pag. 40)
In sostanza, è come se Camillo Olivetti conoscesse già il futuro e ciò che si potrebbe verificare formando
Consigli di Amministrazione composti da “grandi uomini” interessati solo ad ottenere risultati nel breve
periodo.
Dicendo ciò immediatamente il pensiero corre sugli ardui compiti che il mondo globalizzato pone di
fronte alle imprese che vogliono espandersi fuori dall'Europa, le quali si chiedono se saranno in grado di
creare stabili organizzazioni commerciali, superando le inevitabili difficoltà iniziali, disponendo di
adeguati ed indispensabili mezzi finanziari, affrontando i sacrifici personali legati al trasferimento all'
estero non solo dei propri quadri dirigenti, ma anche dei propri lavoratori, per affrontare tale sforzo???
E poi ancora fino a che punto un prodotto pensato per il mercato italiano ed europeo può essere adatto al
mercato cinese o asiatico, in generale così culturalmente diversi ???
Tali sfide competitive sembrano difficilmente superabili al di fuori di un'organizzazione industriale che
non attinga al patrimonio partecipativo, comunitario, e al tempo stesso intellettualmente ricchissimo,
creato da Adriano Olivetti ed ad un corpo di leggi che possa realmente tutelare e favorire l'accesso del
risparmio popolare al diretto ed indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese
(vedi art. 47 Costituzione Italiana).
Inoltre la fabbrica “socializzata” del modello Olivetti ci offre lo spunto per sottolineare la differenza tra
tale modello e il modello di industria multinazionale (Fiat – Nestle'/Perugina- Bayer, Lactalis, recente
esempio questa di come agisce una multinazionale che dopo aver acquistato l' italiana Parmalat fa da
questa riacquistare la Lactalis America al fine di drenarne la liquidità, ad evidente danno della capacità di
investimento della stessa Parmalat, ma anche a danno indiretto del sistema paese Italia) quest'ultima
reagisce alla crisi di consumi e quindi di vendite in un determinato mercato riducendo gli investimenti,
anche occupazionali, nel mercato in crisi concentrandoli nei mercati in espansione, con conseguenze
negative sul settore occupazionale, aggravando così gli effetti della crisi recessiva.
Nella fabbrica olivettiana, viceversa, si affronta la crisi recessiva con l'obiettivo di salvaguardare il
futuro della comunità di appartenenza.
I sacrifici ai lavoratori vengono richiesti per salvaguardare tale futuro comune ed ai lavoratori viene
richiesto di affiancare l'impresa nella conquista di mercati esteri che possano offrire sbocchi alternativi al
mercato nazionale in crisi.
E' in questa partita, nella quale si gioca l'avvenire della nostra fabbrica, dove è in gioco il vostro lavoro e
il futuro dei vostri figli, per la vita o per la morte non solo del tessuto industriale ma anche del modello
sociale, civile, partecipativo che si è costruito, che sta la differenza di fondo.
All'industria multinazionale non interessa il modello sociale, civile, partecipativo della comunità ove
risiede lo stabilimento industriale, essa è per l'appunto un' industria multinazionale (priva cioè di un
modello culturale di riferimento, non solo di tipo localistico ristretto, ma anche di tipo nazionale).
In essa confluiscono capitali e culture così variegate e distanti che di necessità l'industria multinazionale
non deve sposare, per esistere, nessun modello culturale di tipo localistico o nazionale, perseguendo
obbligatoriamente l'unico obiettivo di massimizzare il profitto da distribuire poi agli azionisti (grandi
fondi di investimento internazionali o fondi sovrani di ricchi paesi arabi ecc.), per tale caratteristica
originaria “sovranazionale” ogni tutela in materia di lavoro o di salvaguardia in materia ambientale è
vista come ostacolo allo sviluppo, come impedimento oggettivo alla presenza dell' industria
multinazionale nel paese “ troppo regolamentato”.
Pur non volendo dare un giudizio di merito sulla validità dei due modelli è evidente che non saranno
indiferrenti le conseguenze economico-sociali -ambientali - culturali per il Paese che deciderà di
appoggiare uno o l'altro dei modelli sopra descritti che per propria natura, come si è visto , affronteranno
eventuali crisi recessive in maniera diametralmente opposta.
CAPITOLO 3: IL CONCETTO DI INNOVAZIONE E IL CASO DELLA
OLIVETTI
3.1: IL CONCETTO DI INNOVAZIONE TECONOLOGICA, INNOVAZIONE DI
PROCESSO E DI INNOVAZIONE DI PRODOTTO E I LORO RELATIVI ASPETTI
PRINCIPALI
In diversi settori, l' innovazione tecnologica è diventata il fattore fondamentale per
determinare il successo competitivo.
Infatti, per la maggior parte delle imprese, innovare è ormai un imperativo strategico,
fondamentale per mantenere ed acquisire posizioni di leadership nel mercato così come
per recuperare condizioni di svantaggio competitivo.
Inoltre, la crescente importanza dell'innovazione è in parte dovuta alla globalizzazione
dei mercati; in quanto, è la pressione della concorrenza internazionale ad imporre alle
imprese di innovare in modo continuo allo scopo di produrre servizi e prodotti ad alto
grado di differenziazione.
L'introduzione di nuovi prodotti consente alle imprese di proteggere i propri margini,
mentre gli investimenti nelle innovazioni di processo si rilevano quasi sempre
indispensabili per ridurre i costi.
Inoltre, anche i progressi dell'information technology hanno contribuito ad accellerare i
ritmi dell'innovazione, come l'introduzione dei software per progettare e produrre con
l'assistenza del computer (per esempio, le metodologie CAD, Computer-Aided Design,
e CAM, Computer-Aided Manufactoring), che hanno permesso un rapido sviluppo di
nuovi prodotti, oppure l'introduzione di sistemi flessibili di produzione (FMS, FlexibleManufacturing System), con il controllo diretto al computer del processo, ha consentito
la sostenibilità economica di cicli di produzione sempre più brevi e la gestione di
economie di scala nella produzione.
Queste tecnologie aiutano l'azienda a sviluppare e produrre più varianti dello stesso
prodotto, garantendo una maggiore aderenza alle esigenze di gruppi di clienti definiti
con un sempre maggiore grado di dettaglio così da riuscire a differenziarsi rispetto alla
concorrenza.
Quindi il progresso tecnologico ha consentito, a consumatori di tutto il mondo, l'accesso
a un'ampia gamma di prodotti e servizi, ha accresciuto l'efficienza della produzione, ha
favorito la diffusione di nuove cure mediche in grado di migliorare le condizioni di
salute ed ha offerto la possibilità di viaggiare e comunicare con quasi ogni parte del
mondo.
Un indicatore che permette di visualizzare l'impatto complessivo dell'innovazione
tecnologica è il PRODOTTO INTERNO LORDO (PIL).
Il PIL di un'economia è il valore complessivo dei beni e servizi prodotti sul territorio
nazionale nell'arco di un anno, misurato al prezzo d'acquisto per il consumatore finale.
La figura di sotto riportata, mostra l'andamento del PIL pro capite medio, ossia il PIL
totale diviso il numero degli abitanti del Paese, nel mondo e nelle economie dei Paesi
industrializzati, in fase di transizione e in via di sviluppo, dal 1971 al 2008.
I dati sono stati convertiti in dollari USA e corretti per tener conto dell'inflazione.
Come dimostra il grafico, a partire dal 1971, il PIL medio pro capite nel mondo ha
registrato un aumento costante, soprattutto nelle economie dei Paesi industrializzati.
Ebbene, in una serie di studi è stato dimostrato che il tasso storico di PIL non poteva
essere spiegato esclusivamente con la crescita nell'impiego dei fattori in termini di
lavoro e di capitale.
Infatti, nel 1957, l'economista Robert Merton Solow, in una sua ricerca costruita in base
all'analisi del PIL pro capite negli Stati Uniti fra il 1909 e il 1949, ha ipotizzato che il
“residuo” statistico, ovvero la componente della crescita non spiegata, era da imputare al
progresso tecnologico; in quanto, era l'innovazione tecnologica ad aumentare la
produzione ottenibile da una determinata quantità di lavoro e di capitale.
Inizialmente, la tesi di Solow non venne accettata dagli altri economisti, che
attribuivano questo “residuo” ad un errore di misurazione, a una deflazione dei prezzi
mal calcolata o a una crescita nella produttività del lavoro.
A poco a poco, gli esperti dovettero ricredersi ed ammettere che il fattore residuo si
spiegasse proprio con il cambiamento tecnologico.
Nel 1981, Solow ottenne il premio Nobel per l'economia, e il fattore residuo prese la
denominazione di “residuo di Solow”.
Comunque sia, a volte, l'innovazione tecnologica può produrre delle esternalita'
negative.
In quanto, le tecnologie di produzione possono essere fonte di inquinamento dannoso
per le comunità di cittadini che vivono in prossimità delle fabbriche oppure, ad esempio,
le tecnologie adopoerate nell'agricoltura e nella pesca possono causare fenomeni di
erosione, la distruzione di habitat naturali o il depauperamento della fauna oceanica.
Un aspetto molto importante che riguarda l'innovazione di un prodotto è quello
riguradante la produzione di nuove idee, ossia la facoltà di generare idee nuove, che
prende il nome di creativita'.
La creatività possiamo definirla come “la capacità di produrre un “qualcosa” di utile e di
nuovo, che in quanto tale deve essere differente da quanto è stato realizzato in passato,
ma anche sorprendente, poiché non dovrebbe rappresentare soltanto un passo in avanti
che si aggiunge a una successione di soluzioni già note”. (Shilling, 2013, pag. 26)
Infatti, il grado di innovatività di un prodotto è funzione sia della sua differenza dai
prodotti che l'hanno preceduto, sia delle esperienze passate del mercato.
In quanto un prodotto potrebbe essere nuovo per chi lo ha realizzato, ma già noto agli
altri, questo è un caso di reinvenzione, oppure potrebbe essere nuovo per il mercato
locale, ma già conosciuto in altre parti del mondo.
I prodotti più innovativi e le soluzioni più creative risultano invece essere nuove sia per
chi le realizza, sia per il mercato o per il pubblico a cui si rivolgono, sia per la società
nel suo complesso.
Bisogna tener conto che ci sono due tipologie di creativita':
1.
La creativita' individuale, che riguarda le capacità creative di un individuo, le
conoscenze che possiede, la sua forma mentis, la sua personalità e le motivazioni
che lo ispirano, nonché l'ambiente che lo circonda.
Le capacità intellettuali più significative ai fini del pensiero creativo comprendono la
capacità di osservare i problemi da prospettive non convenzionali, di riconoscere e
selezionare le idee che meritano di essere sviluppate e di comunicare tali idee agli altri
convincendoli del loro valore.
L'influenza della conoscenza sulla creatività agisce su due versanti:
- Da un lato, la conoscenza troppo limitata di un campo non consente una comprensione
del problema tale da poter contribuire efficacemente alla sua risoluzione.
- Dall'altro, una conoscenza troppo approfondità della materia potrebbe restare
intrappolata negli schemi logici e nei paradigmi dominanti, frenando l'emergere di
soluzioni che richiedano una prospettiva alternativa.
Così capita a volte che qualcuno che possiede solo una discreta base di conoscenze
specifiche possa escogitare soluzioni più creative riguardo a un determinato problema di
quanto possa suggerire un esperto, che pure vanta una profonda competenza in un
particolare campo di ricerca.
Un esempio lampante di quanto appena scritto riguarda il caso della Ducati, l'impresa
bolognese produttrice di motociclette sportive, che venne fondata nel 1926 da un
giovane studente di fisica, Adriano Cavalieri Ducati, quando decise di commercializzare
i suoi brevetti nelle tecnologie delle trasmissioni radio.
Dai condensatori per le comunicazioni, Cavalieri Ducati passò alle macchine
calcolatrici, agli apparecchi radio, agli strumenti di precisione. Nel 1946, cominciò la
produzione di Cucciolo, una motocicletta in miniatura, costituita da un piccolo motore a
quattro tempi applicato a un telaio di bicicletta; una combinazione creativa di elementi
già esistenti che ha segnato il futuro dell'azienda.
Inoltre, i tratti della personalità ritenuti più importanti ai fini della creatività includono
la fiducia che un individuo ripone nelle proprie capacità, la tolleranza dell'ambiguità, la
volontà e l'impegno a superare ostacoli e difficoltà, nonché la disponibiltà a correre
rischi ragionevoli. Anche la motivazione interna si è rilevata una caratteristica molto
significativa per la creatività, in quanto si è più inclini alla creatività quando si lavora su
qualcosa che piace e interessa davvero.
Infine, per liberare completamente il potenziale creativo di un individuo, spesso è
indispensabile coltivarlo in un ambiente in cui le idee creative ottengano sostegno e
riconoscimento.
2.
La creativita' di un'organizzazione, è funzione della creatività degli individui che
la compongono e di una varietà di processi sociali e fattori di contesto che
plasmano e condizionano il modo in cui questi individui si comportano e
interagiscono tra loro. (Woodman et al., 1993)
Il metodo più comune adottato dalle imprese per mettere a frutto la creatività dei propri
dipendenti è la “cassetta dei suggerimenti”.
Infatti, Nerio Alessandri, fondatore di Technogym, leader nei prodotti e servizi per il
fitness, crede che il successo della sua impresa sia collegato al lavoro di squadra, agli
“angoli delle idee” per i dipendenti, ai wellness labs che coinvolgono clienti, fornitori e
collaboratori, ai sistemi di ascolto dei consumatori per intercettare i trend emergenti, ai
focus groups e al brainstorming per stimolare in maniera “scientifica” la creatività.
Alessandri racconta così il suo metodo:
“la risorsa più importante di cui disponiamo è il capitale umano. le novita' passano
anche attraverso le piccole cose di tutti i giorni. Il kaizen, il miglioramento continuo e a
piccoli passi, è una strada importante. Ma se si vuole percorrere questo sentiero serve
una risorsa fondamentale: il capitale intellettuale.
Il cambiamento, il primo fattore di crescita, passa attraverso una forte motivazione, il
gioco di squadra, le risorse umane. C'e' un indicatore che mantiene sotto monitoraggio il
clima organizzativo e il livello di soddisfazione dei dipendenti. per due anni technogym
è risultata tra le prime 30 aziende italiane dove si lavora meglio. in ogni stabilimento, e
in italia ne abbiamo 9, esiste un “angolo delle idee” dove i dipendenti possono annotare
consigli. l'innovazione deve essere un valore che permea il team dell'impresa. serve un
lavoro di squadra, a tutti i livellI”. (Shilling, 2013, pag. 28)
Con il passare del tempo, i sistemi per la raccolta delle idee si sono sviluppati ed
incrementati e rappresentano solo un primo passo nello stimolo della creatività
individuale. Ormai imprese come Intel, Motorola, 3M e Hewlett-Packard vanno ben
oltre e , per attingere al potenziale creativo di ciascun dipendente, investono in
programmi di training creativo, per esempio, incoraggiando il management a
promuovere strumenti di dialogo e segnali di comunicazione interna per dimostrare al
personale il rispetto e la considerazione per la loro autonomia di pensiero all'interno
dell'impresa.
Tali comportamenti risultano spesso più efficaci dei compensi in denaro ed a volte
accade, infatti, che le ricompense economiche compromettano la creatività individuale,
spingendo i dipendenti a concentrarsi su motivazioni esterne anziché interne.
Questi programmi implicano l'applicazione di esercizi che stimolino il personale ad
adottare meccanismi creativi quali lo sviluppo di scenari alternativi, confrontando un
problema con una situazione analoga per struttura o caratteristiche allo scopo di
riformulare il problema originario in una prospettiva nuova.
Per quanto rigurda le innovazioni di prodotto, esse sono incorporate nei beni e servizi
realizzati da un'impresa; come ad esempio, lo sviluppo di un nuovo veicolo ibrido a
motore elettrico da parte della Honda.
Mentre per quanto rigurda le innovazioni di processo, esse sono dei cambiamenti nelle
modalità in cui un'impresa svolge le sue attività, come ad esempio, le attività di
produzione o le attività di marketing dei propri beni o servizi.
Le innovazioni di processo sono spesso orientate al miglioramento dell'efficacia o
dell'efficienza dei sistemi di produzione e possono consistere nella riduzione dei difetti
di fabbrica o nell'aumento della produzione in una determinata unità di tempo.
Spesso le innovazioni di prodotto e di processo sono simultanee e fra loro collegate. In
primo luogo, un nuovo processo può consentire la realizzazione di nuovi prodotti.
In secondo luogo, nuovi prodotti possono determinare lo sviluppo di nuovi processi,
come ad esempio, lo sviluppo di stazioni informatiche di lavoro hanno consentito alle
aziende di adottare sistemi di produzione assistiti da computer ed in grado di
incrementare la velocità e l'efficienza del processo produttivo.
Da ultimo, un'innovazione di prodotto introdotta da un'impresa può rivelarsi al
contempo un'innovazione di processo per un'altra azienda.
Sebbene le innovazioni di prodotto spesso sono più visibili delle innovazioni di
processo, entrambe le tipologie rivestono un'importanza fondamentale nel sostenere la
competitività di un'impresa.
Infine, bisogna fare una classificazione delle diverse tipologie di innovazione:
•
Innovazione radicale, che riguarda la combinazione dei concetti di novità e di
differenziazione;
Le innovazioni radicali dovrebbero rappresentare un carattere di novità assoluta e
risultare differenti in modo significativo dai prodotti e dai processi produttivi già
esistenti.
•
Innovazioni incrementali, non presentano caratteristiche particolarmente nuove o
originali, possono essere già note all'interno dell'impresa o del settore e
consistono in cambiamenti marginali o in lievi adattamenti di soluzioni
preesistenti.
Esempi di innovazioni incrementali sono una nuova configurazione di un telefono
cellulare con o senza sportellino a protezione della tastiera, oppure l'introduzione di un
piano tariffario che prevede più minuti di conversazione gratuiti nei weekend.
•
Innovazioni competence enhancing, dal punto di vista dell'azienda, consiste in
un'evoluzione della base di conoscenze preesistenti.
Per esempio, ogni generazione di microprocessori Intel riprende la tecnologia del
modello precedente. Quindi, ciascuna generazione incorpora un'innovazione, ma fa leva
sul patrimonio di conoscenze dell'azienda, che acquiscisce così un valore sempre
crescente.
•
Innovazioni competence destroying, sempre dal punto di vista dell'azienda, se la
nuova tecnologia non scaturisce dalle competenze già possedute o se addirittura
le rende inadeguate.
Ad esempio, nell'Italia del 1960, la sostituzione dei transitor con i circuiti integrati mise
fuori gioco la divisione elettronica di Olivetti che, da pochi anni, aveva sviluppato il
primo calcolatore elettronico italiano, Elea 9003.
•
Innovazioni architetturali, consistono in un cambiamento della struttura generale
del sistema o del modo in cui i componenti interagiscono tra loro.
Un'innovazione architetturale potrebbe riconfigurare i meccanismi di interazione dei
componenti pur senza modificarlisingolarmente.
La maggior parte delle innovazioni architetturali comporta, però, dei cambiamenti del
sistema che si ripercuotono sul progetto nel suo complesso, implicando modifiche nei
componenti e non solo dei meccanismi di interazione. Spesso le innovazioni
architetturali esercitano profonde e complesse influenze sui concorrenti e sugli
utilizzatori di quella teconologia.
•
Innovazioni modulari, rigurda le innovazioni che prevedono cambiamenti di uno
o più componenti senza modifiche sostanziali alla configurazione generale del
sistema.
Per esempio, un'innovazione modulare è quella di applicare su una bicicletta una nuova
tecnologia a livello del sellino, per offrire maggiore comfort, che non richiede alcuna
modifica della struttura dell'intera bicicletta.
3.2: IL RAPPORTO IMPRENDITORE ED INNOVAZIONE E I VARI FATTORI CHE
DEVONO ESSERE ADOTTATI DALL'IMPRESA PER PROGETTARE IL NUOVO
PRODOTTO: COINVOLGIMENTO DEI CLIENTI E DEI FORNITORI NEL
PROCESSO DI SVILUPPO
Per una piccola e media impresa determinante per animare e guidare i processi di
innovazione è il ruolo dell'imprenditore: le sue attitudini, le sue esperienze, la sua
propensione al rischio e la sua volontà di cercare all'esterno le risorse e le competenze di
cui non dispone sono decisive per lo sviluppo di processi innovativi e, di conseguenza,
per la crescita dell'impresa.
Fondamentale è quindi, la relazione tra dimensione e innovazione osservata
dall'economista austriaco Schumpeter nella Teoria dello sviluppo economico, dove
quest'ultimo aveva concepito lo sviluppo tecnologico come la conseguenza naturale di
un ciclo, senza soluzioni di continuità, di ingresso nel mercato da parte di imprenditoriinnovatori che, introducendo e sfruttando nuovi prodotti, nuovi processi, nuovi modelli
organizzativi, si imponevano alle imprese incumbent. In tale modello ciclico, che
l'economista definì “distribuzione creativa”, l'imprenditore che innova è l'anima del
capitalismo e agisce come il primo motore dello sviluppo economico; l'attore-chiave
dell'innovazione è proprio la nuova impresa di piccole-medie dimensioni. (Shilling,
2013, pag. 558)
Schumpeter spiega il concetto di distribuzione creativa dicendo che “la storia del
capitalismo è segnata da esplosioni e catastrofi violente”. (Shilling, 2013, pag. 558)
Questi squilibri di cui parla Schumpeter sono provocati dall'azione dinamica degli
imprenditori-innovatori che realizzano nuove combinazioni economiche e trasformano
le invenzioni in innovazioni.
Solo nel 1942, dopo l'avvento del grande cambiamento causato dall'economia americana
e dal big business, Schumpeter rovesciò la sua posizione, sostenendo che il progresso
tecnologico fosse invece l'esito di un'attività incessante, intensa, di natura incrementale,
come quella svolta dal laboratorio di ricerca di una grande impresa che gode di rendite
di monopolio ed è in condizioni di sfruttare le economie di scala esistenti nella R&S,
potendo anche meglio sopportare i rischi della maggiore diversificazione produttiva. Il
secondo Schumpeter sostituiva quindi, come protagonista dello sviluppo tecnologico, il
capitalismo imprenditoriale fondato sulle piccole aziende con la grande impresa
manageriale.
Eppure, le teorie schumpeteriane mantengono ancora intatta una capacità interpretativa
per spiegare i processi innovativi nelle piccole imprese, soprattutto dove enfatizzano il
ruolo dell'impenditore come iniziatore di tali processi di sviluppo.
Solo una personalità “pro-attiva” coniugata con un orientamento strategico dinamico e
proiettato al futuro rende l'imprenditore reale motore del cambiamento, in grado di
cogliere opportunità di mercato, di guidare verso orizzonti lontani, di promuovere i
processi di innovazione nell'azienda. L'imprenditore è chiamato ad avere, nei suoi tratti
psicologici, un'attitudine spiccata e un'apertura mentale verso l'innovazione; infatti, solo
la sua volontà di accellerare la crescita e la sua ambizione di superare i concorrenti sono
le forze che trainano lo sviluppo innovativo dell'impresa.
Infine, per una piccola-media impresa costretta a fronteggiare inevitabilmente un
vincolo di risorse, finanziarie e manageriali, le fonti dell'innovazione poche volte
possono limitarsi all'organizzazione interna; infatti, un'azienda che intende far leva
sull'innovazione per costruire la sua strategia competitiva è chiamata a ricercare
all'esterno l'accesso a risorse e competenze non possedute, a sviluppare relazioni di
collaborazione con clienti e fornitori, ad esplorare il mercato delle conoscenze e delle
tecnologie, a dialogare con università e istituzioni di ricerca.
(Shilling, 2013, pag. 558/559/564)
Il coinvolgimento di clienti e fornitori da parte dell'impresa è un fattore determinante in
quanto, molti prodotti non generano un ritorno economico perchè non soddisfano le
esigenze del cliente in termini di performance o di prezzo, oppure perchè i tempi di
sviluppo e di commercializzazione sono troppo lunghi, e quindi l'impresa decide di
coinvolgere nello sviluppo dei nuovi prodotti sia i clienti che i fornitori.
Spesso il management prende decisioni relative ai progetti di sviluppo basandosi su
considerazioni di ordine finanziario, e non sempre invece si lascia guidare da criteri di
marketing.
Ciò può determinare un'eccessiva enfasi posta sul miglioramento incrementale del
prodotto, con un deciso orientamento a soddisfare le esigenze delle attività che l'impresa
già svolge.
I processi di valutazione selettiva, invece, dovrebbero focalizzarsi sui vantaggi del
nuovo prodotto e sulla capacità di creare un valore superiore per il cliente, nonché sulla
crescita del mercato-obiettivo. In molti casi, nessuno meglio del cliente è in grado di
indicare le prestazioni massime desiderate e la qualità minima attesa da un nuovo
prodotto. Coinvolgere il cliente nel team di sviluppo è una scelta strategica che permette
all'impresa di concentrare i proprio sforzi di sviluppo su progetti in grado di soddisfare
in misura maggiore le esigenze della domanda di mercato.
Allo scopo di ottenere informazioni e suggerimenti da parte dei propri clienti fin dalle
prime fasi del processo di sviluppo dell'innovazione, molte imprese ricorrono al beta
testing. Con le versioni beta, l'impresa segnala al mercato le caratteristiche base del
nuovo prodotto prima di pervenire alla versione definitiva.
Talvolta, i lead user, ovvero gli utilizatori che sperimentano come pionieri i nuovi
prodotti, sono fondamentali per testare le nuove tecnologie, correggere gli errori di
progettazione e, quindi, perfezionare la soluzione definitiva.
I lead user, a volte definiti “clienti-pilota”, esprimono le stesse richieste ed esigenze del
mercato di massa, ma con un anticipo di mesi o anni, e si attendono significativi
benefici da quei nuovi prodotti in grado di soddisfare i propri bisogni.
Analogamente al coinvolgimento dei clienti da parte dell'impresa, anche i fornitori
vengono coinvolti nel processo di sviluppo di nuovi prodotti.
La base di conoscenza dei fornitori rappresenta un'importante fonte di informazioni a
cui l'impresa può attingere; pertanto, il management può decidere di includere i fornitori
nel team di prodotto o di consultarli in qualità di partner. In entrambi i casi, i fornitori
possono contribuire con nuove idee al miglioramento del prodotto o all'aumento
dell'efficienza del processo di sviluppo.
Negli ultimi anni, infatti, sono aumentate le imprese che cercano di alimentare il proprio
processo di innovazione attingendo all'esterno, collaborando con i fornitori di
competenze specialistiche in senso esteso, esplorando il mercato dei potenziali
innovatori senza fissare confini e senza stabilire relazioni stabili, alla ricerca di
soluzioni per questioni complesse o di nuove idee da lanciare.
Questo fenomeno prede il nome di crowdsourcing, ossia un modello di business nel
quale un'azienda affida la progettazione, la realizzazione o lo sviluppo di un nuovo
progetto, oggetto o idea ad un insieme di persone non organizzate precedentemente.
Questo processo viene favorito dagli strumenti che mette a disposizione il web.
Inizialmente il crowdsourcing si basava sul lavoro di volontari, che dedicavano il loro
tempo libero a creare contenuti e risolvere problemi. La community open source è stata
la prima a trarne beneficio. L'enciclopedia Wikipedia viene considerata da molti un
esempio di crowdsourcing volontario. Oggi il crowdsourcing è per le aziende un nuovo
modello di open enterprise, mentre per i freelance diventa la possibilità di offrire i
propri servizi su un mercato globale.
3.3: IL CASO DELLA OLIVETTI: LE INNOVAZIONI DI ADRIANO OLIVETTI
Alla base della Olivetti c'è la figura ed il pensiero dell'ingegner Camillo Olivetti, un
uomo con una spiccata preparazione tecnico-scientifica, con doti morali rare, con un
forte senso civico saldamente legato ad una prospettiva di sviluppo sociale della
comunità di appartenenza.
Sono anni in cui è la vita stessa a cambiare, in quanto il progresso tecnologico ha
stravolto le condizioni di vita, con l'avvento in Italia delle prime industrie e delle
scoperte scientifiche che, dettano le nuove regole del mercato dando vita ad una
primordiale società dei consumi.
La standardizzazione dell'uomo connessa al processo industriale ha fatto in modo che
l'individuo si estraniasse sempre di più e maturasse una condizione di disagio ed
emarginazione.
Inoltre i primi insediamenti industriali ponevano seri problemi per le condizioni di vita
riservate ai lavoratori, seri problemi per la natura circostante, seri problemi sociali e
culturali per il passaggio della manodopera dal settore agricolo al settore industriale ed
al terziario (a riguardo si consideri che gli occupati nel settore agricolo passeranno dal
49% del 1936, al 17% del 1971, al 7,5% del 1991).
Tale fortissima progressione di occupati
passati dall'agricoltura, all'industria ed al
terziario non causarono nel nostro Paese solamente enormi problemi di inurbamento
selvaggio, al di fuori di qualsiasi pianificazione urbanistica, ma la scomparsa, in pochi
decenni, di una cultura di matrice agricola millenaria sopra la quale si era edificata tutta
la cultura latina e poi nazionale, con mille specificità localistiche, sviluppatesi nel corso
dei secoli.
Tale situazione fu contrastata in Italia, dal punto di vista culturale, dal movimento delle
avanguardie (futurismo - razionalismo) e dal punto di vista della produzione industriale
dalla fabbrica Olivetti che dette vita ad un' industria che pur accogliendo pienamente i
principi tayloristici dell'organizazzione scientifica del lavoro, con i conseguenti sacrifici
a cui venivano costretti gli operai dalla catena di montaggio, si prefisse di dimostrare
come la fabbrica fosse in realtà un bene comune finalizzato alla crescita materiale e
culturale delle maestranze e dell' intera comunità circostante.
E' a questo punto che la fabbrica comincia a diventare progetto politico innovativo. Per
diventare bene comune, fondendosi nella comunità d'appartenenza,
l'industria non
poteva limitarsi a provvedere alla realizzazione di abitazione operaie, agli asili nido,
alle mense, alle biblioteche, agli ambulatori medici (che pure altri industriali illuminati
avevano realizzato), Adriano Olivetti comprese che vi era la necessità di passare all' idea
federalista di “circoscrizione”.
Nella circoscrizione, composta da comuni culturalmente omogenei, si sarebbe riunita in
un solo territorio l'unità amministrativa, l'unità politica e l'unità economica.
I compiti della circoscrizione, nel pensiero di Adriano Olivetti, sono finalizzati alla
creazione di un modello di società dove regni l'armonia sia tra gli uomini, al di là delle
differenze di classe, tra l'industria e l'agricoltura e la natura circostante intesa come
patrimonio spirituale da conservare per le future generazioni.
A tal fine la circoscrizione deve essere dotata di vasti poteri di pianificazione, di
programmazione e di coordinamento in modo tale che, la medesima libertà d'impresa
trova il proprio limite nelle decisioni politiche della circoscrizione, in cui opera e
partecipa attivamente, che indirizza tutte le forze sociali sugli obiettivi comuni.
Olivetti è come se avvertisse la complessità della modernità, i latenti conflitti sociali, le
ricorrenti crisi economiche, l'aggressione nei confronti della natura, il rapido declino del
settore agricolo e con questo la perdità delle singole identità culturali, l'avvento di un
pensiero unico, debole e mutevole, dopo secoli di profonde, varie e durature riflessione
intorno all'uomo, alla storia ed alla natura, destinate ad un rapido oblio.
La fabbrica Olivetti, come la circoscrizione immaginata, per vivere, per durare nel
tempo, per poter programmare e pianificare il futuro hanno bisogno di una gerarchia
fondata sul merito e da tutti condivisa.
Dentro tale rigida gerarchia meritocratica, dove lo stesso imprenditore/capitalista può
diventare superfluo, vi è un ulteriore elemento innovativo, questa non è composta da
soli quadri tecnico-scientifici di elevato valore, ma anche da intellettuali di estrazione
diversa il cui compito è quello di indurre e stimolare la capacità di riflessione e la
creativita' dell'organizzazione.
Vi è poi, come ulteriore elemento originale innovativo dell'esperienza Olivetti, valido
come di consueto sia in ambito industriale che in campo dell'organizzazione politica del
vivere sociale, l' importanza di rendere evidente il nesso esistente tra etica, intesa come
insieme dei bisogni materiali e spirituali dell'uomo in un dato momento storico, ed
estetica, intesa come idea storicizzata di bellezza.
Qualsiasi oggetto frutto dell'attività dell'uomo Olivettiano deve rendere esplicito tale
nesso, la fabbrica ICO di Ivrea al pari di quella di Pozzuoli, le case per gli operai ed
impiegati della Olivetti, devono trasmettere immediatamente all'osservatore l'etica che li
sottindente, ovvero la città gioiosa, la fabbrica di luce e l'amore verso la natura
circostante.
Per Adriano Olivetti anche una macchina da scrivere portatile ha da esprimere una
propria etica, non deve essere solamente leggera, semplice e funzionale, deve avere un
suo stile italiano, una sua propria gioia di vivere, è per questo che a concepirla viene
chiamato un bravo architetto e non ci si accontenta di un ingegnere pur se
preparatissimo.
A tale proposito a me sembra di vedere nella macchina da scrivere portatile “lettera 22”,
premio Compasso d'oro nel 1954, non solo i requisiti di leggerezza, semplicità e
funzionalità ma anche la gioia di poter comunicare in libertà, è già in nuce, nello spirito,
il progetto di un personal computer portatile creato per la gioia di poter comunicare in
qualsiasi momento.
Purtroppo la parte tecnico-scientifica che mancava per la completa realizzazione del
progetto, pur compreso - a mio avviso- nelle grandi linee di tendenza dalla struttura
gerarchica Olivetti, non si potè realizzare perchè con la morte di Adriano Olivetti
venne a mancare ciò che teneva unito l'ntellettuale allo scienziato e questi ai quadri
tecnici ed agli operai della fabbrica Olivetti.
Conclusione
L'ambizione del presente lavoro, sicuramente troppo riassuntivo, è quella di sollecitare
uno studio più approfondito in ambito universitario sull'opera ed il pensiero prima di
Camillo Olivetti, poi del figlio Adriano Olivetti.
Quest'ultimo ha fatto tesoro degli insegnamenti del padre cercando di intraprendere una
nuova e rivoluzionaria via per dirigere e sviluppare la propria impresa vista come bene
comune dell'intera società locale, grazie, inizialmente, soprattutto alle diverse
esperienze di studio e lavorative che potè compiere in America.
Nell'accingermi alla chiusura del presente, modesto, lavoro mi corre comunque l'onere
di avvisare il lettore che nell'avvicinarsi al pensiero di Adriano Olivetti, per
comprenderlo, si debba necessariamente onorarne la profondità, evitando di considerare
singoli aspetti parziali (ferrea gerarchia, meritocrazia, nesso fra etica ed estetica sempre
presente in tutta la vita della fabbrica Olivetti, ecc.)
sia pure importantissimi,
dimenticando che esso è unitario ed organico e che non può essere diviso senza lederne
il significato profondo.
La fabbrica moderna viene vista come bene comune da cui dipende la crescita materiale
e spirituale della comunità d'appartenenza, ma essa è vista anche come un potenziale
pericolo per l'evoluzione dei rapporti tra gli uomini, tra città e campagna, tra società
moderna e cultura, sradicata dalle sue secolari radici contadine e popolari, e tra società
moderna e natura, ormai totalmente in balia dell' attività umana.
Dalla coscienza delle opportunità e dei pericoli insiti nell' inevitabile modernità nasce
la proposta politica della circoscrizione a cui è assegnato il compito di riunire le forze
sociali e di pianificare il futuro della comunità, preservando nel contempo, le radici del
proprio passato e con questo e solo grazie a questo, vorrei aggiungere, preservare il
rapporto d'amore con la natura.
Senza capacità di pianificazione da parte della circoscrizione, e poi a seguire da parte
della regione e dello Stato Federale, tutto può andare perduto nell'arco di poco tempo,
Sicuramente è persa la speranza di Adriano Olivetti di vedere riconciliato l'uomo, al di
là della differenze di classe, in una vita armoniosa con la natura.
I temi affrontati mi sono sembrati così innovativi ed attuali che spero di aver raggiunto
almeno il risultato di incuriosire il lettore spingendolo a riflettere intorno a tematiche
non esclusivamente di organizzazione industriale, ma inevitabilmente, vista la
profondità di pensiero di Adriano Olivetti, anche politiche, sociali, ambientali ed
artistiche di cui si è trattato.
BIBLIOGRAFIA:
•
Lacaita, Carlo G., La misura di un sogno: l'avventura di Camillo Olivetti, casa
editrice gruppo Loccioni, Ancona, 2013;
•
Olivetti, A., Città dell'uomo, casa editrice Enauidi, Milano, 2001;
•
Olivetti, A., Società-Stato-Comunità, associazione archivio storico Olivetti,
edizione di comunità, 1952;
•
Shilling, Melissa A., Gestione dell'innovazione, Milano, 2013;
•
Oriani, A., Lotta politica in Italia volume terzo, Firenze,1892.