i bambini per i bambini
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I BAMBINI PER I BAMBINI Raccolte di racconti, scritti e illustrati da bambini di 10-13 anni. A cura di I. e L. Kovarskij Indirizzo della redazione e dell’ufficio: Edition J. Povolozky et Cie. 13 Rue Bonaparte, Paris (VI). Traduzione dal russo Andrea Della Lena per Lexis Srl, Firenze DAL GRUPPO DEI BAMBINI Cari lettori! Ci auguriamo che non vi rifiuterete di prestare la vostra attenzione alla nostra raccolta e che questa vi piacerà, e che voi stessi ci manderete qualcosa da includervi. Noi pensiamo che nelle vostre testoline si potrà trovare qualcosa di interessante da mettere su carta; non fate i pigri e scrivete. La raccolta sarà pubblicata non più di una volta al mese, e proprio perché non frequente, è necessario che sia interessante e coinvolgente, e per questo occorre materiale. Molti di noi hanno viaggiato così tanto, hanno visto così tante cose, che troveranno di che scrivere. Scrivere sì, ma a una condizione: che a scrivere siano ragazzi e non abbiano più di tredici anni e... e senza l’aiuto dei più grandi; altrimenti la nostra raccolta non somiglierà affatto alla raccolta “I bambini per i bambini”. E sarà bene, se i cari lettori vorranno scrivere in fondo alle proprie opere, quanti anni hanno; gli autori dovranno allo stesso modo aggiungere con precisione il proprio indirizzo e il cognome. Dal profondo dell’anima, vi auguriamo successo e vi chiediamo di augurarci lo stesso. 3 LA NOSTRA PATRIA GRIGINA Spesso, adesso in particolare, quando sento canti e motivi tristi, il mio cuore è schiacciato dall’angoscia, dal dolore, e si riempie di sentimenti per me incomprensibili. E mi torna alla mente la nostra patria grigina e cara al cuore. Le sue immagini nel ricordo suscitano angoscia, una profonda angoscia. I suoi villaggi, i campi di segale e i paesaggi... incomparabile bellezza. Quali bellezze non ho visto durante il nostro viaggio da Odessa a Marsiglia, eppure non ne ho viste come quelle. Mi rendo conto che erano di bellezza straordinaria, senza eguali. Montagne splendide: l’Etna, il Vesuvio, Messina con vedute stupende e molto altro. Ma come quelle non ce n’erano. 4 Certo, i nostri paesaggi sono semplici e cari, ma accarezzano gli occhi più degli altri. La amo, la nostra patria, la amo. Posso dire: E anche se il turbine del destino mi portasse via in un esilio lontano, Io appassirei, non sopporterei l’angoscia del ricordo. E correrei a casa, io anche nelle avversità, anche nell’amarezza, mi stringerei alla terra patria, guarderei tutto ciò che è caro al cuore, e morirei, se fosse necessario. (*) Vera (*) (Versi di L. Medvedev) 5 UN RUSSO A COSTANTINOPOLI Colui che ha visto Costantinopoli d’estate, non sa qual è l’orrore di Costantinopoli d’inverno; negli alberghi dove ai poveri esiliati tocca rifugiarsi, regnano il freddo e lo sporco. Anche se ho sentito dire che il freddo facilita la morte di vari tipi di insetti, gli alberghi di Costantinopoli non sono certo la dimostrazione di questa teoria. Quello che accade nelle strade, poi, ecco non è possibile renderlo con la penna; bisogna vederlo con i propri 6 occhi e sentirlo di persona. Gli scolari turchi che, in generale, non si distinguono per la loro gentilezza, spintonano il profugo disgraziato da tutte le parti, e inoltre gli rovesciano addosso non solo la sporcizia, ma anche le parolacce. In generale al povero profugo tocca sopportare parecchie cose a Costantinopoli. I profughi russi spesso cercano di scappare da Costantinopoli, ma raramente i loro sforzi sono coronati da successo, dato che sulla porta di tutte le ambasciate sta appesa questa scritta minacciosa: “AI RUSSI NON SI RILASCIA IL VISTO” Betti 7 LA BARCHETTA LA RAPINA (una storia vera) Nel mare blu Nel mare blu Nuota la barchetta. Presto questa barchetta a riva sarà spinta. Ženja K. IL MARE Il mare blu, Il mare lontano Il mare incantevole, Il mare profondo. Quando sei placido sei magnifico, Quando sei in tempesta allora sei pauroso. 8 Molto stimati lettori, i russi che vivono all’estero, probabilmente non sanno cosa sia una rapina. Rapina è una parola che si incontra spesso nei giornali di Odessa e di Kiev, nelle pagine di cronaca. In pratica si tratta di un’incursione in un appartamento di dieci-quindici persone con i revolver e le bombe; costoro vengono in pieno giorno, forzano la porta o semplicemente suonano il campanello e quando viene loro aperto, si fiondano nell’appartamento e tappano la bocca a quello che ha aperto la porta. Era il 1918. Una mattina venni svegliato da un rumore di stivali. Aprii gli occhi, ma li chiusi subito: mi sovrastava Irina V. 9 un mostro con la maschera e con il revolver, che era puntato sulla mia tempia; si capisce che quel mostro non fosse più grande di un essere umano. Per lo spavento cominciai a gridare; al mio grido accorsero altri sei uomini, anch’essi in maschera e con le pistole. Ma vedendo che non smettevo di urlare, e temendo che i vicini accorressero alle mie grida, uscirono di fretta dalla mia camera, lasciando un rapinatore senza maschera: pensavano, infatti, che mi fossi impaurito a causa della maschera, ed era vero. Il rapinatore, che era rimasto da me, aveva un’uniforme da soldato e una pistola, nella quale, secondo le sue parole, c’erano ottanta cartucce, quando la massima quantità è diciassette: sedici nel manico e uno in canna. Ben presto io mi abituai all’aspetto del rapinatore e presi a porgergli ingenue domande: “cosa cercate?”. Il rapinatore mi rispose che stava cercando armi. Dopo cinque minuti, per la noia del far nulla, di nuovo gli chiesi: “chi state cercando?”, 10 11 “Un provocatore” rispose quello, sorridendo e poi, dopo una breve pausa, aggiunse: “siamo stati mandati dal Comitato rivoluzionario di guerra, siamo in venti persone”. In realtà erano in sei. Di tanto in tanto si sporgeva dalla porta, come per chiedere: “Allora? Come andiamo?” Il rapinatore si era stufato di stare lì senza far niente e decise di discutere con me. Cominciò lui con la domanda: “Il tuo papà ha molti soldi?” – “No... non lo so” – risposi io. *** La cameriera racconta che voleva buttare la spazzatura dall’uscita di servizio... sei persone irruppero dalla porta, facendo cadere la povera cameriera. Subito le legarono mani e piedi. Dopo di ciò uscirono dalla cucina, lasciando la poveretta sul pavimento. La governante racconta, invece, che era andata a preparare il cacao e per questo aveva in una mano le tazze con il latte e nell’altra una scatola col cacao. 12 Improvvisamente, nel corridoio buio, qualcuno la prese per la mano; all’inizio non si spaventò tanto, ma poi, vedendo la maschera, prese a strillare. Le fasciarono le mani con un fazzoletto, legarono stretto mani e piedi con un asciugamano, la buttarono su un baule e, dopo aver bevuto il latte, toltole dalle mani, si voltarono per andare oltre... quando all’improvviso udirono un fracasso dietro di sé; si girarono: la governante, scivolata dal baule, stava seduta sul pavimento e li pregava in nome di Dio. Quelli non stettero tanto a sentire, le legarono di nuovo mani e piedi e la rimisero sul baule. Dopo aver udito una seconda volta un forte frastuono venne il capobanda e ordinò di slegarle i piedi. Dopo questo, i banditi andarono dal babbo nella sua stanza. Il babbo, proprio come me, si svegliò minacciato da una pistola. Volevano da lui le chiavi della cassa. Il babbo, non temendo affatto le loro minacce, cominciò a vestirsi lentamente. I rapinatori si gettarono avidamente 13 sulle chiavi e presero a rovistare nella cassa. Dopo averla vuotata di tutto quello che c’era di valore, cominciarono a spaccare i cassetti della credenza e degli armadi, togliendo tutto quello che capitava loro sotto mano: coltelli, forchette, cucchiai e tutti gli altri accessori della tavola. Per precauzione, i ladri avevano raccolto tutti nella camera del nonno e avevano legato tutti a coppie, schiena contro schiena. Il babbo, invece, era sdraiato sul letto con le mani immobilizzate e legate dietro la schiena. All’improvviso il campanello; i ladri sbiancarono e si nascosero dietro la porta; uno di loro aprì l’uscio e saltò da una parte. Era la portiera, giunta alle 9 al suo lavoro abituale. All’improvviso, un cappio le strinse le mani ed ella rimase di sasso: tutti e sei i banditi, a eccezione di uno che stava in camera da me, erano vicino a lei e la minacciavano con le pistole. La legarono e la sistemarono nella camera con gli altri. All’improvviso squilla il telefono. Il rapinatore, che stava da me, chiese: 14 “Ehi, bambino, non è che c’è qualcosa per, come dire, tagliare, tipo forbici”. “Ci sono, ma con le punte smussate”, risposi io. “Fa lo stesso, vanno bene!” Dopo questa breve conversazione il rapinatore, cercando le forbici, prese a rompere e rovinare le mie cose; io col dolore nel cuore, assistevo a questa distruzione. Le forbici non le trovarono, e così toccò loro di tagliare il cavo del telefono con un temperino. Il capobanda entrò nella mia camera. Si distingueva dagli altri per i suoi movimenti lesti; la maschera gli arrivava quasi alla cintura. Prese un asciugamano e voleva legarmi, ma l’uomo, che stava con me, disse: “No, a lui non serve; è un bravo bambino, e anche suo fratello non ne vale la pena”. Il capobanda, dondolando la testa, uscì dalla stanza per dare ordini. Dopo essere stati da noi un’intera ora, i rapinatori, dopo aver controllato se fossimo tutti ben legati, se ne andarono dicendo di aver lasciato accanto alla porta uno dei loro. La portiera, che era legata male, allargò le corde e slegò gli altri. 15 Naturalmente, presso la porta non c’era nessuno. Subito venne l’elettrotecnico e si mise a riparare il telefono. Disse che quello che aveva tagliato il cavo doveva essere un elettrotecnico, per quanto abilmente aveva tagliato il cavo. Subito chiamammo la polizia e le raccontammo l’accaduto. Ci vennero a trovare tutti i parenti; sapevano già tutto. Il giorno seguente nel giornale “Notizie di Odessa” leggemmo tutto quello che era successo nel nostro appartamento. Nolli IL PICCHIO Tuk – Tuk – Tuk… Si udì bussare dalla betulla. Tutti i bambini si spaventarono, presto a casa se la filarono. Solo io non mi spaventai E presso l’albero restai. Tranquillamente seduta, fisso la betulla. Vedo che qualcosa via è volata E sulla quercia del vicino si è posata. E io urlai forte: “Mamma, babbo, venite E il picchio guardate”. Il picchio del mio strillo si impaurì, e per babbo e mamma non rimase lì. 16 Vera K. 17 COME GRIŠA È STATO AMMESSO AL LICEO FRANCESE Appena Griša capitò in Francia, cominciò a pensare a come entrare al liceo. “Sono già grande – pensava Griša – ho 16 anni, surement1 entrerò nella prima classe!”2 Ma per questo occorreva trovare un insegnante, dato che Griša non era sufficientemente preparato per la prima classe. La cosa si rivelò piuttosto facile. L’insegnante era molto buono e molto allegro, durante le lezioni parlava tutto il tempo di politica e di altre cose molto interessanti. Questo a Griša piaceva molto, e pensava a quanto fosse facile studiare in Francia: a lezione non si fa altro che chiacchierare! 1 In francese nel testo 2 Il conteggio delle classi di scuola media e liceo, in Francia, va a ritroso, per cui la première, il secondo anno di liceo (16-17 anni) viene dopo la seconde (15-16 anni) che è, a sua volta, successiva a la troisième (14-15 anni) che è l’ultimo anno delle scuole medie. 18 Venne l’estate, Griša partì per la montagna e il caro insegnante per il mare. Si scrivevano delle lettere. Il maestro gli consigliava di passeggiare di più e di studiare meno e Griša, dal profondo della sua anima focosa, per questo motivo amava ancora di più il suo insegnante. Griša, quell’estate, adempì accuratamente, da studente scrupoloso, a tutti i consigli del suo maestro: passava il tempo in modo piacevole, saliva sui monti e non faceva niente. Ma ecco che bisognava tornare in città e Griša si rese conto che per tutta l’estate non aveva studiato nemmeno una volta e passeggiando per la strada con vergogna e amarezza cantava: Griša non ha fatto in tempo a guardarsi indietro, che l’inverno già gli appare dinanzi agli occhi!3 Tornarono in città e così anche l’insegnante che alla prima lezione comunicò a Griša che non era abbastanza preparato 3 Dalla traduzione in versi di Krylov de La cicala e la formica di La Fontaine, che i bambini russi sono soliti sapere a memoria: Попрыгунья Стрекоза / Лето красное пропела; / Оглянуться не успела, / Как зима катит в глаза. (La cicala che imprudente / tutto estate al sol cantò, / provveduta di niente / nell’inverno si trovò, / senza più un granello e senza / una mosca in la credenza. Traduzione da La Fontaine di Emilio de Marchi) 19 per entrare in prima classe, e che quindi bisognava andare in seconda. “Ma perché ho studiato con Voi per sei mesi?!”, sbottò con amarezza Griša. “In compenso avete ottenuto importanti nozioni di politica e avete trascorso piacevolmente il tempo delle lezioni! È forse poco?”, rispose tranquillo il maestro. Con fatica Griša si decise a comunicare la triste notizia a tutti i familiari, che gli chiedevano: “Ma cosa hai fatto per sei mesi?”. “Parlavo di politica e trascorrevo piacevolmente il tempo”, rispondeva Griša. Finalmente giunse l’inizio delle lezioni nei licei. Griša si iscrisse e andò nella seconda classe. Ora Griša pensava: “Come è difficile studiare in Francia: a lezione studiano e non chiacchierano!”. 20 Ma, orrore! Griša non capiva niente nemmeno nella seconda classe, e l’insegnante disse che se Griša non avesse superato un esame, lo avrebbero trasferito nella terza classe. Griša studiava giorno e notte! Ciò nonostante, riuscì a imparare bene solo la storia, mentre delle altre materie non sapeva niente. Una settimana più tardi, Griša fu convocato per l’esame. Gli diedero tre ore e, per la felicità di Griša, cominciarono con l’esame di storia, che Griša conosceva bene. Gli diedero da scrivere un tema sulla storia; lui prese a scrivere e pensò: “Che succederà se poi mi chiedono di scrivere un testo sulla geografia?” Ma Griša trovò la soluzione: avrebbe usato tutte e tre le ore per scrivere di storia. Passarono tre ore e Griša, puntuale, terminò il suo tema. L’insegnante incaricato di correggere, una volta letto, disse: 21 “Bene! Dato che non c’è più tempo, sulla base del tema di storia, valuterò anche le altre materie”. In questo modo Griša venne ammesso alla seconda classe. LA NOSTRA DIRETTRICE (racconto di un’allieva) La nostra direttrice è già una donna anziana. Il volto della nostra direttrice è severo e freddo, difficile che sia capace di sorridere. Tutti la temono. Una volta (era alla seconda ora) prima dell’arrivo dell’insegnante in classe accadde qualcosa di terribile. Susanna Mignard, studentessa modello, addirittura stava mangiando. All’improvviso piombò il silenzio…. Le bocche masticanti smisero di masticare. Io mi guardai intorno…. e, quale orrore, sulla porta stava la direttrice che ci guardava con occhio d’aquila. 22 23 Talvolta ella è presente alle lezioni. È incredibile che in quei casi nessuno riesca a rispondere in modo chiaro anche alle domande più semplici. Per fortuna, non sono mai stata interrogata in sua presenza. In tanti mesi di lezioni io sono stata segnata solo una volta nel Conduite et Ordre4 e, ovviamente, proprio alla lezione in cui era presente la direttrice. Ecco come è la nostra direttrice! Io la chiamo (fra me e me, naturalmente) Severina (dalla parola “severa”). Difficile che qualcuno le voglia bene! In ogni caso non io! Vera K. LE VIOLETTE Nel verde campo Le violette crescono Le violette crescono. Occhietti blu Non a lungo fioriscono Non a lungo fioriscono. Ženja K. 4 In francese nel testo. Registro per note disciplinari relative alla condotta degli studenti. 24 25 UN OTTIMO PIANO Per tutta la notte precedente il primo maggio non ho dormito, pensavo alla festa e a chi verrà scelta come reginetta. Ho deciso di vestirmi meglio che potevo, arricciare i capelli, truccarmi un po’ e tingere di nero le sopracciglia. Ovviamente alla mamma non dovevo dire nulla e andare direttamente là dove era fissata la festa del primo maggio. Alla mattina, alle 8, ero già a tavola, anche se prima non mi ero mai alzata così presto. La mamma e il babbo erano molto sorpresi nel vedermi entrare dalla porta della sala da pranzo. *** Ecco, ero già tutta truccata e mi rimaneva solo da arricciare i capelli. Cominciai a riscaldare i bigodini su una candela e quasi non mi incendiai i capelli. Finito di farmi i ricci, uscii dalla porta e aprendola velocemente, mi fiondai giù per le scale. 26 27 Arrivai allo spiazzo; intorno a me un sacco di invitati. Tutti ridevano e giocavano a chi arriva prima. Ed ecco che a un certo punto si udì un suono e tutti i bambini si misero in fila, me compresa. Cominciavano la scelta della regina. A turno passarono in rassegna tutte. 28 Vedendomi, la mamma rise e disse: “Questa sì che una bellezza!” Tutti gli invitati mi guardarono e risero, mentre i monelli mi facevano le boccacce. Io ero così amareggiata che quasi mi mettevo a piangere; uscii dalla folla dei bambini e, tutta imbronciata, me ne andai a casa. Ovviamente, poi tornai indietro al ballo, ma già struccata e decisi che un’altra volta non avrei scurito le sopracciglia e non mi sarei arricciata i capelli. E così terminò il mio piano. Ženja 29