Studio Biblico - Chiesa Evangelica Metodista di Parma

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Chiesa Evangelica Metodista di Parma
Studio Biblico
GIONA
Autore: In 2 Re 14,25 si fa riferimento a Giona, ben (figlio di) Amittai, proveniente dal
villaggio di Gat-Hepher in Galilea, attivo quale profeta di salvezza all’epoca del re Geroboamo II
(787-747 a.C.). È quasi certo che non sia lui l’autore del libro sia perché tutta la storia è quasi
sempre narrata in terza persona, sia per il vocabolario pieno di aramaismi e quindi di epoca
sicuramente più tarda rispetto la citazione di 2 Re che vedrebbe il profeta collocato nell’VIII secolo.
L’autore è un ebreo credente che probabilmente non condivide una certa tendenza all’esclusivismo,
insita nell’ebraismo del suo tempo, e la critica proprio attraverso le vicende che vedono
protagonista il profeta Giona.
Datazione: Si potrebbe dare come terminus ante quem proprio la citazione di 2 Re, mentre
il terminus a quo sarebbe il 200 a.C. poiché nel libro di Siracide (49,10) si presuppone che la
collezione dei dodici profeti fosse già conclusa. Il vocabolario, come già detto, presenta elementi
tardivi di epoca persiana, inoltre vi è una certa vicinanza linguistica e di contenuto con il libro di
Gioele (Gl. 2,14=Gio. 3,9; Gl. 2,13=Gio. 4,2), che pare ormai assodato risalire al IV secolo, ossia
ad epoca postesilica (587-586 caduta di Gerusalemme e deportazione in Babilonia fino al 539).
Forma Letteraria e Composizione: Il libro differisce da altri libri profetici non essendo
una collazione di oracoli, piuttosto è una storia esemplare sul modello del ciclo del profeta Elia (I
Re 17-19), di Ruth o di Giuseppe (Gen. 37-50).
Non vi sono dati storici che possono suffragare la veridicità di quanto scritto a proposito del profeta
protagonista del libro: un gran numero di esegeti sono concordi nel ritenere il libro una sorta di
racconto didattico, di parabola o sermone.
È probabile che un profeta di nome Giona sia realmente esistito, ma qui l’autore del libro non
costruisce un resoconto storico, bensì una novella. Molti sono gli elementi narrativi che danno conto
del genere letterario novellistico: uno stile narrativo in cui predominano le proposizioni finali che
sottolinea il sostanziale interesse per lo sviluppo dell’azione; si assiste ad una de-storicizzazione e
contemporanea tipicizzazione di personaggi e luoghi, l’utilizzo di ripetizioni di vocaboli e in
particolare dell’aggettivo grande (gadol, 14 volte in un libretto così piccolo); la struttura scenica del
racconto.
È stato scoperto di recente che il libro ha vari precedenti letterari nella novellistica indiana e
presenta affinità con miti del bacino del mediterraneo:
Contesto e Scopo: L’esegeta tedesco Hans Wolff ritiene che gli interlocutori cui si rivolge
l’opera sono i circoli profetico-apocalittici operanti nel 3 secolo (cfr. libri di Aggeo, Zaccaria,
Malachia, Esdra, Nehemia e Nahum), ma visto il suo carattere didattico e la forma letteraria è
probabile che fosse destinato ad un pubblico più ampio e meno specialistico.
Tra gli ebrei rientrati dopo l’esilio stava divenendo preponderante una visione esclusivista
dell’elezione e salvezza divina, un atteggiamento di forte risentimento nei confronti delle potenze
straniere che si era certi Dio avrebbe annientate: il personaggio di Giona sembra quasi rappresentare
questa categoria di ebreo. L’autore è invece vicino alla visione universalistica del Deutero-Isaia (Is.
42,6; 49,6; 52,15; 56,1-8; 66,18-19).
Capitolo 1
L’espressione “La parola del Signore venne” su Giona è la normale formula introduttiva che indica
l’inizio di una rivelazione divina a cominciare da Abramo (in Gen.15,1.4) e poi ai re e ai profeti
(cfr. Osea, Michea ,Gioele, Aggeo, Zaccaria, Geremia).
Giona in ebraico vuol dire “colomba”: riferimento forse alla colomba della Genesi e quindi Giona
in tal senso è qualificato come messaggero di Dio; forse il riferimento è anche alle caratteristiche
dell’animale per indicare il suo incedere non lineare e ondivago un po’ come l’atteggiamento del
nostro protagonista.
La sessione 1,1-3 inizia con “la Parola del Signore fu a Giona” e si conclude la ver. 3 con la duplice
affermazione “lontano dalla presenza del Signore”; l’intento di Giona è chiaro, ma ancora non si
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comprendono le ragioni della sua fuga da Dio e l’autore lascia intatto questo mistero fino all’ultimo
capitolo del libro.
Nel libro si assiste a una de-storicizzazione dei luoghi (Giaffa all’epoca, nel 701 era possedimento
della città-stato filistea Askalon, non israelita e non vicina ai luoghi d’origine e di lavoro di Giona;
Ninive divenne sede regale solo nel 704-681 con Sennacherib e quindi dopo il Giona storico) e una
contemporanea tipicizzazione di personaggi e luoghi (Giona=ebreo, Marinai-Niniviti=pagani;
Giaffa=porto, Tarsis=luogo lontano da Dio, Ninive=simbolo di malvagità e grandezza)
Ninive era la capitale dell’Assiria ed era situata vicino al fiume Tigri, venne presa dai babilonesi nel
612 a.C.
Parole contro Ninive ricordano da vicino quelle rivolte a Sodoma e Gomorra (Gen. 18,20s) quindi
la città rappresenta non solo il mondo pagano, ma anche una città-stato ricca, malvagia e grande.
Tarsis non si sa dove fosse ubicata, forse in Spagna, quindi ad occidente, ma nella Bibbia ella
rappresenta un luogo in cui Dio non si conosce (Is. 66,19), lontanissimo da lui.
Il versetto tre è costruito con cura e in modo simmetrico per far risaltare il fatto che Giona compia
esattamente il contrario di ciò che Dio gli chiede.
Levati, và……………….a Ninive……..è salito…………..alla mia presenza
Si levò per fuggire………a Tarsi………discese…………..dalla mia presenza
Movimento in salita con Dio, ma Giona prende la via che porta alla discesa.
Profeta che fugge: Elia (I Re 19), Amos (9,1-4), Uria profeta contemporaneo di Geremia (Ger.
26,20s) e Salmo 139. Amos capisce che è impossibile fuggire da Dio e Giona lo comprende?
Sembra di no e l’autore mostra l’insensatezza di questa fuga.
Iniziativa di Dio che scaglia il grande vento (ruah=spirito) e quindi la grande tempesta e anticipa il
gettare in mare il carico e Giona dei marinai.
Nella nave tutto ferve, mentre Giona è nella piena passività; vi è una progressione
nell’intorpedimento del profeta che sembra precedere la morte: scese nelle parti basse della nave, si
sdraiò e dormì.
Il capitano della nave sveglia Giona (cfr. Mt. 8,24 e parr.)e ripete il comando di Dio: il pagano sta
prolungando e ribadendo il mandato divino.
Tirare la sorte era metodo usato normalmente all’epoca per comprendere la volontà divina: Gs. 7 e
1 Sam. 14 (Acan e Gionata).
I marinai hanno capito la trascendenza dell’evento naturale e temono Dio.
Timore: termine usato dai marinai e poi ancora da Giona per la sua confessione di fede, ma poi di
nuovo dai marinai convertiti. Si passa dal timore per eventi che non si comprendono al timore di
Dio intesa come fede nel Dio unico. “Timore” di Dio nel mondo ebraico non indicava “paura”, ma
il giusto rapporto con Adonai, il comprendere che lui è il creatore e noi siamo sue creature.
Ebreo: Giona si confessa prima di tutto come ebreo, egli rappresenta Israele e un certo approccio
alla fede in Dio: infatti, sa bene il suo catechismo, ma non lo mette in pratica.
Il suo atteggiamento c’interroga: noi e la chiesa tutta ci comportiamo diversamente?
Ironia: la confessione di fede del profeta suona strana in tale contesto: dice che Dio è il creatore del
cielo e della terra e poi cerca di sfuggire per mare sapendo benissimo che ciò è impossibile.
Dio-Elohim-Yhwh: passaggio dal nome di divinità, a quello di Dio sconosciuto (cfr. Paolo e
Ateniesi At. 17,23) all’appellativo usato dai credenti.
Costruzione simmetrica capitolo 1 e 3:
Giona…………….marinai……………..capitano………..nave
Giona…………….popolo………………re………………Ninive
Compito missionario di Giona iniziato con la fuga del profeta ha avuto epilogo positivo inaspettato:
i marinai pagani si sono convertiti a Dio, al creatore del cielo e della terra, a colui che governa il
cosmo. Ma il Dio di Giona è solo questo? Il gruppo di marinai esaurisce il mandato divino? Ninive
aspetta Giona poiché le parole del Signore non cadono a terra, ma si adempiono (Gios. 23,14; 1 Re
8,56 e Is. 55,10-11).
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Cosa significa andare a proclamare la caduta a Ninive? La missione di credenti non vissuta nel
privato o solo in ambito ecclesiale e in modo caritativo, ma con impegno su scala sociale e
mondiale. Dinanzi ad una missione pericolosa, a scelte che metterebbero in gioco la nostra
tranquillità sociale e le nostre sicurezze, il profeta e noi scegliamo di non ascoltare la chiamata
divina. Il discendere nella nave e rimanervi mentre fuori tutto si scatena e sembra volgere al peggio
è assimilabile all’atteggiamento di chi cerca la libertà da Dio nella tranquillità, non vedendo quel
che succede intorno ,atteggiamento piccolo borghese e Giona paga il prezzo per la sua tranquillità,
paga il prezzo del viaggio per fuggire lontano da Dio.
Giona consapevole che lui è la causa della tempesta e del pericolo che incombe sui marinai chiede
loro di gettarlo in mare: dal primo gettare di Dio (la Parola ) seguono gli altri come conseguenza;
Dio ha operato il primo miracolo in Giona senza che questi se ne renda conto, egli infatti dal suo
tornaconto personale passa al sacrificio per salvare i marinai. Passaggio dalla libertà egoistica
all’impegno libero.
I marinai alla fine si convertono ad Adonai e gli offrono sacrifici. La conversione avviene non
grazie alle qualità retoriche del profeta, eppure Dio ha deciso di servirsi di uno strumento così
imperfetto e fragile come Giona perché costoro si convertano e si salvino. Missione della chiesa
nella sua imperfezione (II Co. 4,7-15).
Capitolo 2
Molti esegeti hanno discusso se considerare questo salmo parte integrante del testo biblico o
un’inserzione successiva.
Wolff sembrerebbe optare per la seconda ipotesi poiché vi è stacco linguistico, manca l’aggettivo
“grande” caratteristico del libro e la situazione non corrisponde esattamente a quella di Giona,
comunque ritiene, seguendo l’analisi di Jan Alberto Soggin espressa nel lavoro “Il ‘segno del
Giona’ nel libro del profeta Giona” (Lateranum 48, 1982, 70-74), che proprio questo salmo è
centrale nel racconto e dà conto della conversione del profeta, anche se permangono le
incongruenze tra il capitolo precedente e la situazione attuale.
Golka evidenzia che pur non essendovi prove della diversa penna del salmo, questo va considerato
parte integrante del libro e funzionale alla storia; l’esegeta sottolinea anche che, pur essendo l’inizio
del salmo di Giona simile al salmo 120, mentre quello è centrato sulla figura di Adonai questo è
auto-referenziale, infatti inizia con “Io chiamo al Signore”.
Il linguaggio è simile a quello di diversi salmi (5, 9, 18, 31, 42, 102, 103, 122, 142, 143 ecc.).
Alcuni esegeti hanno trovato elementi di vicinanza con quelli di “lamento individuale” come il 5 e il
69, mentre per Wolff e J. Limburg è un salmo “salmo individuale di lode”. J. Limburg lo paragona
per struttura al Salmo 30: sommario introduttivo (3); descrizione situazione penosa (4-7ab);
resoconto liberazione (7c); voto di celebrare lodi Signore (10ab); parola rivolta congregazione (3a,
8a, 9, 10c).
Il versetto 6b segna il punto di svolta del salmo: Giona ringrazia Dio di averlo salvato dalla morte,
ma ci si domanda il profeta si è già salvato da se stesso e dal suo egoismo.
Versetto 8 ironico che contraddice quel che è avvenuto poco prima: Giona dichiara se stesso diverso
dai pagani che si allontanano dalla grazia; in realtà i marinai si sono convertiti e sono stati salvati,
mentre Giona si deve ancora convertire; il v.9 sembra andare nella stessa direzione e Giona
giudicando gli altri in realtà ha giudicato se stesso, un po’ come Davide (2 Sam. 12,7).
Ripensamento di Giona: avviene per intervento duro e radicale di Dio. Il profeta passa da una
situazione di quasi morte alla vita dopo tre giorni e tre notti nel ventre del pesce (cfr. Mt. 12,38-42;
Lc. 11,29-32).
Dio ordina al pesce di sputare Giona che viene vomitato dal pesce, a conferma che Dio è veramente
il Signore della terra e dei mari.
Quella a cui assistiamo nel secondo capitolo è una nuova nascita di Giona dal ventre del pesce come
dal ventre della madre, nell’acqua come nel liquido amniotico.
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Attraverso il passaggio tortuoso nel pesce, attraverso la sofferenza e la messa in discussione di se
stesso, si arriva alla frase finale del Salmo che evidenzia come ciò che prima il profeta aveva
confessato come ripetizione quasi pedissequa di un catechismo, ora è invece esperienza di vita e di
fede vissuta. C’è un passaggio dal “Dio creatore” al “Dio di salvezza e liberazione”.
E noi? Qual è il nostro atteggiamento dinanzi “i marinai” del mondo non cristiano? E il nostro credo
è veramente vissuto o solo recitato?
Il libro di Giona è stato artisticamente rappresentato nella iconografia antica, ma anche in quella più
recente con un valore altamente simbolico. In Slesia e in Boemia vi sono dei pulpiti a forma di
pesce ed in alcuni di questi il predicatore deve passare attraverso il ventre del pesce e parlare dalla
sua bocca spalancata. Ecco come Wolff interpreta il senso di tali opere d’arte: «E’ un’efficace
ammonizione ai predicatori, oltre che a ciascun cristiano, per ricordare che alla comunità e al
mondo ha diritto di parlare solo colui che, attraverso difficoltà ed angosce, ha compreso la propria
conversione e ha fatto l’esperienza della liberazione da parte del suo Dio.» (Wolff, p.135)
Questo capitolo è importante per la prospettiva di speranza che dà a noi singolarmente e come
comunità: anche se noi siamo messaggeri incapaci ed ostinati, anche se la chiesa si è addormentata
o è in fuga o è stata gettata in mare, Dio e la Sua grazia prevalgono anche quando i suoi messaggeri
falliscono o tentennano e può scegliere mezzi di trasporto completamente diversi per condurci a
riva, nel luogo in cui intende farci operare.
Capitolo 3: La seconda chiamata
Abbiamo qui una sorta di nuovo inizio del libro con ripetizione dello stesso comando dato a Giona
al capitolo 1: la missione attende ancora di essere compiuta, Ninive attende ancora la parola di
giudizio e di salvezza e Dio segna qui un nuovo inizio con il suo prescelto simbolicamente dato
dalla costruzione simmetrica del capitolo 1 e 3:
Giona…………….marinai……………..capitano………..nave
Giona…………….popolo………………re………………Ninive
Questo capitolo, sebbene segni un nuovo inizio per il profeta, è pure la continuazione dell’opera di
Dio attraverso uno strumento così risibile quale Giona. Ogni volta il Signore ci dà una nuova
possibilità!
Giona stavolta obbedisce e va a Ninive. Giona ha capito per sua esperienza quel che gli veniva dalla
sua tradizione religiosa, pertanto non ha senso scappare per sfuggire al suo comandamento.
Ninive, “la grande città” percorribile in tre giorni di cammino, grande anche per gli standard divini.
Numero simbolico per dire durata abbastanza lunga di tempo (cfr. Gesù e discepoli di Emmaus); è
una città fantastica (la Ninive storica esce di scena nel 612 a.C., mentre il libro si ritiene essere stato
scritto dopo il 587), simbolica, per indicare un luogo centro di potere, pieno di malvagità e molto
popoloso.
Il termine ebraico per dire “proclama” (qeria) è termine di epoca tarda in uso nell’ambito liturgico e
indica proprio “annuncio, predicazione”.
Nel messaggio di Giona ai niniviti si parla di “distruzione” della città anche se il participio passato
ebraico neppaket dal verbo “hapek” vuol dire “rivoltata” con un’accezione non necessariamente
negativa, ma legata allo stravolgimento che l’incontro con la Parola di Dio provoca negli esseri
umani e nella creazione tutta (cfr. in I Sam. 10,6.9 il cambiamento di Saul ad opera dello Spirito di
Dio che precede il suo profetare).
L’azione di conversione parte dal basso per poi giungere al re che fa questo movimento di alzarsi
dal trono. La Parola di Dio lo mette in movimento e lo toglie da una situazione statica di potere
assunto con la prevaricazione. A questo punto non solo si converte il re e i notabili del regno che
indicono un tempo di digiuno e penitenza, ma anche gli animali sono compresi in questo
movimento (visione cosmica)!
Il digiuno proclamato a Ninve è uguale a quello d’Israele in Ger. 36,9ss, ma la reazione dei due re è
diversa: il re d’Israele, Jehoiakim, rifiuta le parole di Yhwh, bruciando il rotolo e cercando di
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arrestare Geremia. Confronta Gen. 3,9 e Gl. 2,14a dove è Dio ad invitare Israele al digiuno e
ravvedimento.
Conversione/pentimento possono tradurre il termine ebraico teshubah, ossia il cambiare direzione
dalla sbagliata a quella giusta, quindi avvicinamento a Dio, simile al greco metanoien usato nel NT.
Il pentimento, la teshubah era il tema centrale dello Yom Kippur nel corso del quale il libro di
Giona, non a caso, veniva letto come lezione finale delle preghiere pomeridiane.
il proposito di Dio era quello di portare a conversione la popolazione di Ninive, se a molti fa
problema un Dio che cambia idea e recede dal suo proposito, qui viene sottolineata particolarmente
la misericordia, l’amore di Dio per le sue creature.
Del resto, Dio non ha mai detto chiaramente di voler distruggere Ninive (1,2): questa è
l’interpretazione del profeta vista come una logica conseguenza delle parole di Dio.
Capitolo 4: “Ti sembra giusto essere adirato?”
Tenere conto in questo capitolo del ripetersi significativo dei termini chiave di questo libro: “malemalvagità=raha” (8 volte) e “grande=gadol” (14).
La “conversione” di Dio è il punto più difficile da accettare per Giona: Dio non può cambiare idea,
perché così sarebbe incoerente ma soprattutto porterebbe a sconfessare il suo messaggero poiché
l’annuncio di distruzione non si è verificato e secondo Deut. 18,22 ciò indica che Giona è un falso
profeta. Altra giustificazione del profeta è che sapeva già che Dio è misericordioso e lento all’ira e
quindi immaginava come sarebbe finita: Dio non avrebbe distrutto Ninive e il profeta sarebbe stato
così sconfessato.
Il perdono per Ninive poneva anche il problema presente in epoca postesilica sottolineato nel libro
di Malachia: a cosa serve osservare i comandamenti divini se poi gli empi non sono distrutti, ma
continuano a prosperare? (Mal. 2,17; 3,14-15.18)
L’essere autoreferenziale lo porta a non guardare oltre il suo tornaconto e benessere e quindi preda
della malvagità e dell’ira, il suo atteggiamento è assimilabile a quello d’Israele in Geremia, ma qui
Dio non vuole la morte o la distruzione del servo infedele e cocciuto. Dio fa di tutto per liberare
Giona dalla sua malvagità, per convertirlo e salvarlo dal suo egoismo.
Versetto 3,2 Giona usa linguaggio liturgico con eco in vari Salmi (86,15; 103,8;145,8), e riportato
anche da Gioele 2,13.
L’autore del libro inserisce al cap. 1, al 2 e al 4 le “formule liturgiche” codificate che definivano
Dio nel mondo ebraico. Il contesto in cui le inserisce permette però di trarle fuori dalla loro
ritualizzazione e di metterle al servizio di una visione inclusivista della salvezza, evitando di fare di
Dio, la divinità di una nazione sola da contrapporre a quelle di altre nazioni.
In questo capitolo si nota il cambiamento di nome di Dio da “Adonai” (vv. 1-4, 6.8.10) a “Elohim”
(v.7). E’ lo stesso termine usato quando Dio è invocato dai pagani (1,6; 3,9) o quando egli agisce
nei confronti dei pagani (3,10); mentre al v.4,6 c’è l’abbinamento “Adonai-Dio” che si ritrova in 1,9
(anche in Gen. 2-3) per rendere esplicita l’identità del Dio d’Israele come colui dal quale tutti i
popoli possono attendersi la salvezza.
I pagani hanno trovato la via per giungere al Dio d’Israele, mentre Israele deve ancora fare la
particolare scuola di “Adonai” in quanto Dio anche dei pagani. L’autore, nella sua vesta di
testimone di Dio, e il lettore ebreo, raffigurato da Giona, sono esponenti di due modi differenti
d’interpretare la Torah e le attese profetiche d’Israele.
L’autore/narratore rappresenta l’interpretazione del Dio misericordioso e che apre la salvezza
all’umanità tutta di Esodo 34,6 e di Gioele 2,13 mentre il profeta vorrebbe escluderli.
Vi è qui anche una contrapposizione tra chi in Israele crede con le sole parole e chi lo fa realmente e
che in Paolo condurrà alla distinzione tra “Israele secondo la carne” e “Israele di Dio” e culmina nel
giudizio “non tutti coloro che sono da Israele sono Israele” (Gal. 6,16; I Co. 10,18; Rm. 9,6).
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Conclusioni
Libro che propone un’immagine diversa di Dio di quella che noi tendiamo a farci: Dio
misericordioso anche e soprattutto nei confronti dei malvagi poiché il suo scopo finale è la salvezza
dell’umanità (Mt. 28,19-20) e non solo quella dei “giusti”, degli eletti semmai costoro sono
chiamati a proclamare con parole e fatti questa certezza di salvezza che per noi cristiani è divenuta
reale e potente in Gesù Cristo. Diversa immagine di Dio e conclusione con domanda indirizzata ad
auditorio come per Gesù nella parabola dei lavoratori delle diverse ore (Mt. 20,1-15) e in quella del
figlio prodigo (Lc. 15,11-32), mentre per giudicare e far convertire i cosiddetti “giusti” Gesù espone
la parabola dei due figli (Mt. 21,28-31), del servo crudele (Mt. 18,23-35), del fariseo e dell’esattore
delle tasse(Lc. 18,9-14) e parla del Segno di Giona e della regina di Saba (Mt. 12,38-42.16,4;
Lc.11,29-32).
Nel libro assistiamo a diverse conversioni: quella dei marinai, quella dei Niniviti e persino quella di
Dio; ma il testo si chiude con una domanda che implica una risposta da parte di Giona, e da tutti gli
ascoltatori. Implica una risposta all’amore di Dio per tutto il creato e da essa noi potremo capire se
la conversione di Giona, quella che Dio ha rincorso fin dall’inizio del libro, c’è stata oppure no.
Piccola Bibliografia:
D. Garrone, “Progetti umani e progetto divino (Giona)”, in Per una ‘nuova’ pastorale ecumenica,
Atti della XXVII sessione del SAE, Edizione Devoniane, Roma 1989, 144-151.
L.Alonso Sköckel – J.L. Sicre Diaz, I profeti, Borla, 1223-1242.
J.A. Soggin, “Il ‘segno del Giona’ nel libro del profeta Giona”, Lateranum 48, 1982, 70-74.
H.W.Wolff, Studi sul libro di Giona, Studi Biblici 59, Paideia Editrice, Brescia 1982.
James Limburg, I dodici profeti, Claudiana 2005
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