L`apicoltore fantasma

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L`apicoltore fantasma
Editoriale
L’apicoltore fantasma
11 settembre 2014, per l’apicoltura, rappresenta una data triste e storica al tempo stesso: l’evidenza ufficiale della presenza di Aethina tumida
in Italia, più precisamente in Calabria e in Sicilia.
Era e resta il primo caso di insediamento in Europa
di un coleottero, parassita esotico degli alveari, per
il quale le norme internazionali e quelle comunitarie
prevedono precisi obblighi legati alle procedure di prevenzione, diagnosi, eradicazione o controllo. Una data
da non dimenticare.
Inutile star qui a ripercorrere i momenti cruciali della
vicenda, intrisa di proclami che non hanno contribuito
minimamente a risolvere l’emergenza sanitaria e nemmeno a predisporre, nel frattempo, un piano strategico
capace di far fronte ad ogni ulteriore sviluppo.
Tant’è che il parassita, a distanza esatta di due anni,
da che era rimasto confinato dentro l’area di protezione sanitaria, vola di colpo a circa cento chilometri
di distanza varcando quella “zona rossa” nella quale le
autorità di Calabria, Italia e Unione europea hanno
finora raccontato di aver attuato le necessarie misure di
controllo. Tutto è stato ufficializzato il 25 luglio 2016
e anche questa è una data da non dimenticare. Ulteriori dettagli li trovate nella nota del Ministero della
Salute che qui accanto pubblichiamo e nel servizio di
apertura che segue.
Nel 2014, pur sapendo il nome dell’apicoltore fantasma
locale dal quale l’infestazione era partita, nessuno se la
sentì di far qualcosa per fermarlo o per scacciarlo. Né
tantomeno, cosa ben più grave, furono avviate indagini
per stabilire chi e come avesse introdotto in Italia questo
parassita.
Stavolta, siccome la gente del posto ne ha le tasche
piene e il nuovo fantasma non è propriamente locale, le cose sono andate diversamente: le segnalazioni
degli Apicoltori (stufi dei pur giusti e continui controlli sugli apiari locali, mentre quelli nomadi poco o
niente controllati incrementano una manifesta e sleale
concorrenza), che qualche sospetto fondato l’avevano,
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hanno messo in moto la Forestale. Questa, dopo due
anni di indifferenza ad Aethina tumida, nonostante i
ripetuti appelli e le reiterate richieste del mondo apistico e dei Prefetti, è finalmente intervenuta calcando
la mano. Meglio tardi che mai.
La cronaca di questi giorni, in sostanza, dice che per
la seconda volta le norme e i controlli sono stati elusi
e sempre alla stessa maniera. Un altro apicoltore fantasma, proprietario di alveari fantasma, si è spostato con
un camion fantasma, dalla Sicilia alla Calabria, superando su una nave fantasma lo stretto di Messina, transitando e soggiornando indisturbato dentro l’epicentro
dell’infestazione, facendo il suo buon miele di zagara,
per poi salire in Sila alla rincorsa di un nuovo raccolto
di castagno e spargendo qua e là diversi alveari gravemente infestati e ben distribuiti in più postazioni.
L’apicoltore fantasma di questa seconda puntata della
vicenda, e siamo arrivati nel 2016, ora ha un nome e
un cognome: gravano su di lui una denuncia alla Procura della Repubblica e un carico pesante di sanzioni
penali e amministrative cui far fronte per aver concorso alla diffusione di una malattia animale, contravvenendo all’articolo 500 del Codice penale. Per non
parlare della lunga serie di ulteriori omissioni: mancata iscrizione all’Anagrafe Apistica Nazionale, mancata
denuncia dell’attività svolta, mancata denuncia degli
alveari posseduti, mancata denuncia degli spostamenti
effettuati.
E fermiamoci qui perché rischieremmo, altrimenti, di
scaricare tutte le colpe solo su un povero ignorante:
delle norme, del modo civile di potersi fregiare della
qualifica di “Apicoltore”, del come far parte della comunità in cui vive rispettando le stesse regole che tanti
altri rispettano.
Tutto vero, tutto deplorevole, ma occorre evitare che
l’aver trovato un capro espiatorio serva a dimenticare
le omissioni del passato e finisca per bloccare o ritardare la messa in atto di urgenti decisioni. Ci sono infatti
anche altre responsabilità e altrettanto gravi: scarsi o
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nulli i controlli delle Autorità sanitarie e delle Forze
dell’ordine, ripetute le movimentazioni irregolari di
alveari dentro e fuori la “zona rossa”, totale l’assenza di
un piano strategico e di un’azione coordinata tra le Autorità sanitarie locali, nazionali e comunitarie, carente
l’aggiornamento periodico di dati sulle cose fatte, non
fatte o da fare.
Sarebbe dunque meglio prender coscienza del fatto che, se va avanti così, l’intera categoria produttiva
sconterà gli svantaggi di un’inutile esasperazione del
clima, in un quadro di accese conflittualità tra operatori, di visioni divergenti tra Agricoltura e Sanità, di
scarsa propensione a rispettare e far rispettare le norme, di apicoltori furbetti e Autorità dormienti, in un
insieme che può ben dirsi la vera causa del problema
Aethina tumida.
Peccato sia una posizione perdente, quella che va sempre più emergendo in Italia: perdente rispetto ai colleghi e ai mercati degli altri Paesi, alla facile previsione
dei costi insostenibili necessari per modificare l’assetto
produttivo e per certificare la qualità del prodotto ottenuto in presenza di questo parassita. Senza contare il
danno grave per l’immagine e l’economia del comparto apistico nazionale a livello di tutte le filiere: prodotti
apistici, attrezzature, sciami e api regine. Una catastrofe imminente, insomma.
Un terreno fertile, tuttavia, per i tanti apicoltori con
alveari fantasmi, quelli che non esistono ma in gran
numero ancora agiscono con sfrontatezza e a danno
degli altri, e che continueranno ad imperversare al pari
di Aethina tumida.
Ciò che resta, di quello che con orgoglio oggi
chiamiamo “Apicoltura italiana”, se non si decide di prendere il toro per le corna, domani insomma non sarà altro che un lontano e
nostalgico ricordo. Sentiremo dire, allora, che
non si era compresa la gravità del problema e
che si pensava di poter risolvere tutto come
avevamo già fatto con la varroa. Cioè omettendo decisioni e disattendendo norme per
arrivare a produrre un danno che pesa su tutti
da quarant’anni: salasso continuo di api e di
alveari, costi di produzione enormi, rischio di
inquinamento dei prodotti apistici, incertezza
e volatilità degli investimenti, impatto ambientale incalcolabile. Alla faccia dell’apicoltura come allevamento sostenibile.
Pensare che proprio in questi giorni, fatalità
della sorte, l’iscrizione all’Anagrafe Apistica è
diventata obbligatoria per legge perché finora
non lo era: non lo avevano chiesto né Stato,
né Regioni, né Veterinari. Per fortuna ci ha
pensato il Parlamento nazionale, su istanza
del mondo apistico.
Prima che l’apicoltura tutta, ape italiana inclusa, finisca anch’essa per trasfigurarsi in un
fantasma.
Raffaele Cirone
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