il sassarese - Sardegna Turismo

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il sassarese - Sardegna Turismo
Andrea Campagna
IL SASSARESE
Terra calcarea dalle tenere forme rotonde come una bella donna,
il Sassarese offre una cucina varia come il suo territorio. Dalle falesie
di Capo Caccia alle colline punteggiate di chiesette romaniche,
le mitiche lumache del capoluogo e l’aragosta di Alghero ben si accoppiano
con la pecora, i piedini d’agnello e le altre prelibatezze
della gastronomia rurale. Il tutto accompagnato dallo splendido
pane di Ozieri e da numerosi vini di eccellenza.
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PANORAMA - SASSARESE
PANORAMA - SASSARESE
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Gianmario Marras
Castelsardo, sovrastata dall’affascinante borgo fortificato,
si affaccia al centro del golfo dell’Asinara. Il castello
abbarbicato sulla rocca racconta da novecento anni la storia
dei conquistatori che vi si alternarono: dai Doria di Genova,
che nel 1102 fondarono il paese chiamandolo Castelgenovese,
ai catalano-aragonesi, giunti nel 1448, che lo ribattezzarono
Castell’Aragonese. Il nome attuale risale ai Savoia.
Nevio Doz
Gianmario Marras
PANORAMA - SASSARESE
Sopra: il suggestivo chiostro romanico trecentesco della chiesa di San Francesco di Alghero; qui si organizzano
convegni e concerti per gli appassionati di arte, musica e letteratura. Sotto: uno scorcio
della spiaggia delle Saline di Stintino, nel golfo dell’Asinara. Il mare turchese e trasparente e la macchia
mediterranea che lambisce la costa attirano ogni anno migliaia di turisti.
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Gianmario Marras
Nevio Doz
Sopra: il borgo di Stintino, fondato alla fine dell’Ottocento da pastori sardi e pescatori genovesi costretti a lasciare
l’Asinara dopo la costruzione del carcere. Il suo nome in sassarese (Istinthiu) significa “fiordo” per via delle due insenature
della baia. Sotto: la Santissima Trinità di Saccargia, testimonianza del romanico-pisano in Sardegna.
La basilica deriverebbe il proprio nome da s’acca argia, la vacca dal pelo maculato scolpita in un capitello.
PANORAMA - SASSARESE
PANORAMA - SASSARESE
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Gianmario Marras
Gianmario Marras
In questa foto: Sa pattadesa, il tipico coltello a
serramanico dei pastori fabbricato a Pattada, dove alcuni
maestri artigiani mantengono viva la tradizione dei
coltellinai. A destra: “Alzo gli occhi ed un enorme naviglio
mi viene addosso”. Con queste parole lo scrittore
Elio Vittorini descrisse la fastosa facciata tardo-barocca
del duomo di Sassari. Costruita tra il 1250 e il 1280 da
maestranze ispano-arabe, la cattedrale dedicata a San
Nicola subì rimaneggiamenti fino al Settecento.
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SASSARESE
SASSARESE
Sassarese
GENUINITÀ E
TRADIZIONE
Queste le parole chiave di una cucina ricca
e diversificata come il suo paesaggio, ora bagnato dal mare,
ora dolce e verdissimo, ora aspro e selvaggio
DI ORNELLA D’ALESSIO - FOTOGRAFIE DI DARIO SEQUI
I
n Sardegna esistono tante, tantissime culture
diverse del mangiare. E nel Sassarese, più
che altrove, questa ricchezza è molto evidente. Non solo perché è la provincia più vasta, che occupa tutta la parte settentrionale dell’isola, ma anche per la varietà del territorio e del paesaggio che
passa dalle spiagge alle distese di vigne e cereali,
dalle colline alle montagne.
Il nostro viaggio gastronomico comincia da Sassari,
seconda città sarda per numero di abitanti e importanza
storica, dopo Cagliari. La cultura gastronomica cittadina
è da sempre in grado di elevare e valorizzare le cose più
povere. Non a caso è la patria di grandi mangiatori di lumache e contende alla Francia il primato di chi ha cominciato ad apprezzare questo cibo, partendo dal fatto
che negli insediamenti umani protosardi, fra Sassari e
Porto Torres, sono state ritrovate enormi quantità di gusci. Questo “amore” continua tutt’oggi e i sassaresi sono
golosi di lumache di ogni genere. Raccontano i vecchi
che anche nei momenti più duri è sempre stato facile
riempirsi la pancia: per fare mangiare tutta la famiglia
bastava trovare due chili di lumache, un po’ di pomodori, qualche uovo e una spruzzata di peperoncino.
Altra abitudine alimentare nata in città, diffusasi
poi in tutta l’isola, è quella dei piedini d’agnello. La
spiegazione è semplice. Tutt’intorno a Sassari c’erano
moltissime concerie, che dell’agnello usavano tutto
eccetto appunto i piedini. E così c’era chi andava a
raccoglierli per venderli. Poi le donne li pulivano, li
bollivano e li preparavano, spesso, nel sugo piccante
dell’agliata. Legato invece alla storia e ai commerci
con i genovesi è il successo della fainè, che dai caruggi della Superba, dove è chiamata farinata, è arrivata
fino qui ed è a tutt’oggi molto apprezzata. Della cucina tradizionale fa parte anche la carne d’asino.
Come un’isola nell’isola, Alghero fa storia a sé, in
tutto. Il suo passato parla catalano, lingua usata ancora
oggi tra la gente, nei nomi delle strade e nelle tradizioni. Nelle abitudini alimentari troneggiano i piatti di
mare, spesso legati ai crostacei. Le aragoste di Alghero, rinomate fin dall’antichità, regnavano sovrane anche sulle tavole dei romani condite con il garum, una
salsa a base di pesce fermentato, sale e vino. Lungo la
costa della Riviera del Corallo, nella parte nord-occidentale della Sardegna, si trovano ancora oggi relitti di
navi romane cariche di anfore per il trasporto di questo condimento. Le imbarcazioni partivano da Cadice,
in Spagna, dove erano specialisti nella preparazione
del garum, e veleggiando verso Roma imperiale facevano tappa ad Alghero per caricare le aragoste. Poi
per alcuni secoli la storia non lasciò spazio alle ricercatezze gastronomiche, fino alla fine dell’Ottocento,
quando i crostacei algheresi tornarono così in voga che
i velieri aragostai della zona dovettero solcare tutti i
mari per rifornire le tavole più raffinate d’Europa. La
regina Elisabetta d’Inghilterra le volle inserire nel meQui a sinistra: aragoste e carciofi, i prelibati “spinosi
sardi”, sono due tipici prodotti della cucina sassarese,
richiestissimi anche all’estero. Pagina accanto, in alto:
la fainè, versione locale della farinata di ceci genovese.
nu del suo pranzo di nozze e ancora
oggi spesso gli chef di Chez Maxime, a Parigi, le propongono tra i loro
piatti. Non a caso una delle ricette
più conosciute, l’aragosta alla catalana, è nata qui nel 1949 dalla fantasia
di Lepanto Cecchini. Suo figlio Moreno ha continuato l’eredità del padre e al ristorante
“La Lepanto” si possono gustare piatti vincitori di premi internazionali: per esempio la coloratissima aragosta all’algherese dal singolare gusto dolce e amarognolo (il crostaceo bollito viene tagliato a tocchetti, e poi
condito con arance, limoni, pomodori, olio, sale, pepe,
alloro, prezzemolo e origano).
Immancabile la visita alle cantine Sella e Mosca,
azienda storicamente impegnata nella valorizzazione delle uve locali (Torbato e Cagnulari) e nello sviluppo di vitigni d’importazione (Chardonnay, Sauvignon, Cabernet e Sangiovese). Interessante il museo contiguo all’enoteca e la necropoli di Anghelu
Ruiu, ai margini della proprietà.
La tradizione dei piatti di mare sulla costa settentrionale continua da Stintino, con le zuppe di pesce,
i crostacei e i polpi e con le papate, antico piatto marinaresco della zona, fino a Castelsardo, nota soprattutto per i pesci di scoglio. Bastano però pochi
chilometri verso l’interno e tutto cambia. Immense
distese dedite all’allevamento, terre lavorate, colline arse e battute dal vento. E splendide chiese. Dalla basilica romanico-pisana di Saccargia a quella in
pietra nera di Nostra Signora del Regno di Ardara,
dalla reggia nuragica di Santu Antine alla chiesa di
San Pietro di Sorres sulla collina di Borutta. Da citare anche Banari, dove vive Giuseppe Carta, definito
dai critici uno dei principali pittori
italiani viventi, che spesso nelle
sue tele iperrealiste “ritrae” la cipolla di Banari, particolare non solo
per la grandezza e il colore rosso lucente, ma soprattutto per il profumo persistente e il gusto delicato
dovuto al terreno argilloso in cui è coltivata.
È proprio in queste zone che appare l’animo vero
dell’isola che, pur essendo circondata dal mare, con
il mare non ha mai avuto buoni rapporti. E anche a
tavola il pesce scompare totalmente. Trionfano l’agnello, la capra, la pecora (soprattutto bollita) e il
maiale, di cui vengono recuperate e cucinate a puntino tutte le parti commestibili. Spesso le bestie
vengono allevate allo stato brado e la carne assume
un sapore speciale, di mirto, di ghiande, di corbezzolo e di tutte quelle erbe aromatiche di cui è ricca
la flora sarda. Tra le ghiottonerie: sa cordula, un rotolo di interiora legate con gli intestini e cotte in vari modi; lo zimino di carne, frattaglie di vitella arrosto un tempo cotte sulla griglia di fronte all’uscio di
casa; su tattaliu, frattaglie di agnello. Questo piatto,
un tempo considerato “da poveri”, oggi viene preparato in occasioni conviviali di ogni genere e per
ogni ceto sociale.
Un discorso a parte va fatto per il pane, da sempre
così importante nell’alimentazione che in Logudoro,
per San Silvestro, il capofamiglia faceva gli auguri a
tutti con su càbule (pane a forma di ferro di cavallo) e
poi lo spezzava sulla testa dell’ultimogenito. Anche i
dolci hanno sempre avuto un ruolo fondamentale nel
quotidiano. Gli ingredienti cambiano a seconda delle
stagioni e le forme secondo le ricorrenze.
UN TRIPUDIO DI SAPORI NELLE STRADINE DI OZIERI
Una delle mete più golose del
cuore settentrionale della Sardegna è Ozieri, il cui centro è un intrico di viuzze e case ottocentesche con le altane, logge coperte
in stile neoclassico, importate ai
tempi degli scambi commerciali
con la Francia. Questo antico borgo a forma di anfiteatro, capoluogo del Logudoro, è conosciuto
per le spianate (su pane fine), un
tipo di pane molto pregiato (nella
foto), sia per i lunghi tempi di lavorazione che quelli di conservazione. Ma i più forse non sanno
che proprio in questo spicchio di
Sardegna fino a qualche decennio
fa si produceva sa gruviera, e, come in Svizzera, si allevavano bovini di razza bruno-alpina. Con la
valorizzazione dei vecchi sapori,
in atto ormai da tempo, anche
questo formaggio sta vivendo un
rilancio come prodotto di nicchia.
Stessa sorte tocca a due vitigni
autoctoni: l’Alvarega e il Radagliadu. Storicamente Ozieri aveva una radicata tradizione nella
viticoltura, con consistenti produzioni di vino, quasi scomparsa a
causa dell’abbandono
dell’agricoltura. Adesso
è in via di realizzazione un
importante progetto
per promuovere la cultura del vino anche attraverso l’impianto di
vigneti sperimentali. Ma non è
tutto. A Ozieri ci sono anche i
dolci, tra cui i golosissimi sospiri,
fatti di pasta di mandorle, miele,
limone e zucchero e le coppulettas, raffinate e gustose.
(O. D’A.)
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SASSARESE
Ristoranti
IL MEGLIO IN TAVOLA
Sassari, Alghero, Stintino, Castelsardo...: preziosi consigli “da amico”
su dove scoprire e gustare i piatti
della tradizione nella Sardegna nord-occidentale
DI ORNELLA D’ALESSIO - FOTOGRAFIE DI DARIO SEQUI
I
n Sardegna si è un po’ persa quella ricchezza
di sapori e gusti della cucina povera che rendevano ogni piccolo paese diverso dall’altro,
a favore di un diffusissimo e non ben identificato
mangiare “alla sarda”, assai poco originale e differenziato. Ciò nonostante esistono ancora ristoranti,
trattorie e alcuni agriturismo fedeli a quella tradizione gastronomica che tende a valorizzare i piatti
del territorio. Quei posti, spesso anche economici,
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che consiglieresti a un amico. Con questa logica abbiamo selezionato alcuni indirizzi preziosi, sparsi
un po’ in tutto il nord-ovest dell’isola.
A Sassari le antiche ricette popolari sono riviste
con estro da Piero Careddu all’Antica Hostaria (tel.
079/200066). Tra i suoi piatti forti: pasta con polpette
di carne di cavallo, pane zichi con pomodoro fresco,
zucchine, ricotta salata e menta fresca, stufato d’asino in crosta e come dolce la torta di datteri e frutta
secca al Villacidro, liquore
sardo a base di zafferano.
Mentre la fainè doc, sia
semplice sia con cipolle e
salsiccia, cotta nel forno a
legna si mangia da Sassu
(via Usai, tel. 079/236402),
apprezzata anche da Togliatti e da Cossiga.
Grandi scorpacciate di
pesce e crostacei ad Alghero, dove oltre ai ristoranti
arcinoti quali La Lepanto, Il
Pavone e Al Tuguri, ci sono altri indirizzi. Ottima l’aragosta del circolo AICS Mabrouk (nel centro storico,
tel. 079/970000). In cucina c’è Antonietta, ex giocatrice di softball, che prepara solo quello che le porta il
fratello pescatore e quindi il menu cambia in continuazione. Abbondanti e sfiziosi gli antipasti della
Trattoria Maristella (via Kennedy 9, tel. 079/978172).
Da non perdere la pescatrice con peperoni, gamberetti, pomodori e rucola, il polpo in agliata e i filetti di
rombo soffritti, con pinoli e uva passa. Servono anche
gli spaghetti all’algherese, una loro creazione, con pomodori secchi, vongole, capperi e bottarga di muggine a scaglie. Una delizia.
Enorme successo sta riscuotendo la paella algheresa
del ristorante Daps (via Fratelli Cervi 16, tel.
079/950050), nome che ricorda la marca di una birra,
ma che in latino significa banchetto sontuoso. L’ha
ideata lo chef Roberto Daga, insieme con i ragazzi
dell’Istituto alberghiero di Alghero, per celebrare i
900 anni della città, armonizzando insieme i sapori
della catalanità e della sardità. E così al posto del riso
Pagina accanto: ottima
tavola e scorpacciate
di pesce all’aperto nel centro
storico di Alghero.
Qui a sinistra: Vittorina,
dell’agriturismo “Coronas”
di Bonorva, mentre prepara
uno dei suoi impareggiabili
piatti “poveri”. In basso:
gli spaghetti all’algherese,
una creazione della “Trattoria
Maristella” di Alghero; sono
conditi con pomodori secchi,
vongole, capperi e bottarga.
c’è la fregula (palline irregolari di grano duro) e molti
prodotti del territorio: rana pescatrice, scampi, gamberi, cozze, arselle, agnello, coniglio, favette, asparagi, finocchietto selvatico e zafferano.
Altro discorso per l’agriturismo Sa Mandra (Strada
per Fertilia, tel. 079/999150), una sorta di enclave barbaricina a pochi chilometri da Alghero, dove si mangiano i piatti della tradizione pastorale sarda. Ottimi i
ravioli di ricotta fresca alle sette erbe appena colte
(segrete!), i maccarrones de pungiu e il cinghiale cotto
con olive biologiche e finocchietto selvatico. Un occhio di riguardo ai dolci: papassini (farina e frutta
secca, mandorle, noci, nocciole e uva passa), amaretti,
bianchini (albume e zucchero) e il mitico gattò, con
zucchero, miele e mandorle.
Nelle vicinanze c’è Anna Rita, un grazioso ed economico Bed and Breakfast immerso nel verde (prenotazioni: Sardegna B&B, tel. 070/7265007). Piatti di terra anche all’agriturismo Finagliosu (tel. 079/530474) di Palmadula, in posizione panoramica su una parete a strapiombo sul mare. Pranzo o cena solo su prenotazione.
SASSARESE
A sinistra: lo staff della “Trattoria
Maristella” di Alghero alla
prova dell’assaggio. In basso:
le lumache, secolare passione
culinaria dei sassaresi;
i “bocconi”, lumache di mare
soffritte in olio con aglio,
prezzemolo, cipolla e peperoncino
sono un ottimo antipasto.
Si torna a parlare di cucina di pesce dirigendosi
verso Stintino. Al ristorante Lina (tel. 079/523505)
si degustano la zuppa di pesce alla stintinese, le
conchigliette karalis, pasta, formaggio e vongole un
po’ piccanti, e il cappone (scorfano) del golfo dell’Asinara con le patate.
Piatti di mare anche a Castelsardo, dove oltre ai
pesci di scoglio, come la triglia, l’orata, la spigola, il
sarago e il pagello, vantano ottime aragoste. Antichi e
nuovi sapori si assaggiano, seduti in veranda, alla
trattoria Rocca Ya (tel. 079/470164). Le proposte variano dal pesce in agliata alla razza al pecorino.
Gusti misti di mare e di terra a Sennori, da Vito
(tel. 079/360245), dove lo chef prepara ottimi antipasti: cozze gratinate, polpo e patate, fritture di gamberetti e scampi, bocconi (lumache di mare), ostriche e tartufi e le fave ribisale, ossia bollite con il
guanciale di maiale e
cipolla, condite con
aglio e prezzemolo.
Mentre nella vicina
Sorso, al ristorante Josmarì (tel. 079/359000),
si assaggiano carne,
pesce e verdure, soprattutto, alla griglia.
La cantina sociale “Romangia” di Sorso e
Sennori, produce ottimi Cannonau, Vermentini (più robusti di
quelli galluresi) e, so-
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prattutto, il Moscato, che si
accompagna bene con i cozzuri di sappa, pasta sfoglia molto fine riempita di decotto di
mosto insaporito all’arancia e
alla mela cotogna.
A Siligo, nell’entroterra,
al ristorante Sa Figu Bianca
(cell. 348/4129677), si mangiano i ravioli casalinghi, le
animelle di agnello, il porcetto allo spiedo, l’agnello con
carciofi e finocchietti selvatici. Ottimi i dolci fatti in casa, come le formaggelle, il
timballo al caramello e un tiramisù che va a ruba.
A pochi chilometri, a Banari, accanto all’ateliermuseo del pittore Giuseppe Carta, in un antico palazzo in pietra si trova il S’Asilo (tel. 079/826232333/9489518), poche e panoramiche stanze che
guardano un’ampia vallata.
All’agriturismo Calarighe (tel. 079/925045), a Romana, in un ambiente accogliente e familiare si assaggiano i piatti tipici, ciciones de furriadoso, gnocchi
con formaggio fresco filante, la cordula con i piselli, i
nervetti di vitello e la pecora in diversi modi, accompagnati da vini del territorio. Da non perdere il
dolce della casa a base di formaggio e miele. Nei
dintorni, a Villanova Monteleone, c’è il B&B Su
Cantaru, poche camere circondate da un bosco (prenotazioni: Sardegna B&B, tel. 070/7265007).
Andando verso la
splendida abbazia di
Saccargia, ci si può fermare comodamente al
ristorante Saccargia
(tel. 079/434013), da cui
si vede bene la chiesa.
Il menu varia tra piatti
di terra e di mare. Imperdibili i ravioli ai carciofi e bottarga.
Con il proliferare
delle aziende agrituristiche è sempre difficile orientarsi su quali
SASSARESE
Menu tipico
SE SIETE A SASSARI CHIEDETE:
Primo
Pane cotto con pomodoro, zucchine,
basilico e ricotta mustia
Secondo
Zimino
(frattaglie di vitello arrosto)
Dolce
Casarinas, ossia formaggelle, e pabassinas.
veramente utilizzino in cucina ciò che producono,
ma non è impossibile. A Osilo, in località Donnigheddu sulla strada per Nulvi, s’incontra l’agriturismo Sechi (tel. 079/42051). Servono 12 antipasti, 2
primi, 3 secondi, l’arrosto di porcetto e per finire i
dolci tipici: papassini, tericcas e ricottelle.
Grande scelta di antipasti anche all’agriturismo
Su Recreu (tel. 079/442456) di Ittiri. La specialità
sono le verdure grigliate condite in diversi modi, i
salumi, i crostini e le campagnole, fagottini di pasta
ripieni di verdura o carne. Curioso il cacioricotta
che prepara Gavino, lo chef, un formaggio morbido
e saporito fatto con il latte di capra e a volte di pecora e il dolce Recreu, una originale sebada con miele
di eucalipto locale e una glassa di arancia di Muravera. Hanno anche 3 camere (prenotazioni: Terra
Nostra, tel. 070/280537).
A Campanedda, tra Porto Torres e Alghero, all’agriturismo Sechi e Tilocca (tel. 079/306119) si mangiano ravioli di ricotta di produzione propria, tagliatelle con zucchine, agnello in verde o arrosto.
Deliziosi i dolci: formaggelle, con formaggio o ricotta, papassini, tiricche di miele e i biscotti della nonna. Hanno anche 8 stanze (prenotazioni: Terra Nostra, tel. 070/280537). A Bonorva, all’agriturismo
Coronas (tel. 079/866842), Vittorina prepara: pane a
fittas, una spianata dura tagliata a pezzettini e cucinata con il sugo di pecora o di maiale, pane bollito,
con pecora, patate, cipolle, finocchietti selvatici e
cavolo verza, favata, con il lardo, le ossa, le costine e
la testa di maiale, fave secche e cavolo, maiale in
agrodolce. Una squisitezza il dolce tipico: cogones
d’elda, con i ciccioli di maiale, le noci e l’uva passa.
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SE SIETE AD ALGHERO CHIEDETE:
Primo
Spaghetti ai ricci di mare
Secondo
Aragosta alla catalana
Dolce
Torta di menjar blanc
(pasta sfoglia con crema di latte e scorze di limone)
SE SIETE ALL’INTERNO CHIEDETE:
Primo
Su succu, la fregula con sugo di pomodoro,
basilico e pecorino
Secondo
Stufato di agnello con olive
Dolce
Amaretti
Nevio Doz
Sopra: gli amaretti sardi sono i più grandi e con l’interno
più morbido; il loro gusto straordinariamente delicato
viene esaltato se accompagnato da un bicchiere
di Malvasia. In basso, nel riquadro: aragosta alla catalana
con cipolla, peperoni, pomodorini e zafferano.
SASSARESE
UNA FAMIGLIA DI RISTORATORI: GLI ANDREINI
Cristiano e Gian Luca sono figli
d’arte. Il primo in famiglia a occuparsi di ristorazione è stato il padre: Sergio Andreini. Dopo anni
d’insegnamento all’Istituto alberghiero di Alghero è stato proprio
lui a inaugurare il rimpianto club
privato “S’Oberaju”: pochi tavoli,
qualche panca e una minuscola
cucina in un vecchio palazzotto
che occhieggia al mare, dove si
andava tra amici per mangiare i
piatti più tradizionali, come gli
spaghetti ai ricci e l’aragosta,
spendendo due soldi.
Qui, dopo varie esperienze in
Costa Smeralda, i due fratelli,
Cristiano e Gian Luca, hanno continuato a farsi le ossa, prima di
prendere il volo verso ristoranti –
stellati Michelin – della Ville Lumiére e della Svizzera, dove hanno lavorato con grandi cuochi, come Alain Ducasse. Infine sono
rientrati ad Alghero, per lavorare
da “Andreini” (via Arduini 45,
tel. 079/982098) aperto tre anni fa
dal padre Sergio, in un ex frantoio con soffitto a volte a botte in
un bel palazzo del centro storico.
L’arrivo di Cristiano, come chef, e
di Gian Luca, in sala, ha portato
una ventata di novità ad Alguer,
cittadina molto catalana e un po’
sarda, sempre sospesa tra passato
e futuro. “Ci sentiamo algheresi,
sardi e italiani e i nostri piatti rispecchiano questo spirito – dicono i due fratelli –. La nostra cucina vuole valorizzare il territorio,
partendo da una ricerca scrupolosa della materia prima. Un esempio è il menu che ritocchiamo
ogni giorno in base a cosa troviamo al mercato”.
Tra i piatti forti ci sono il tonno
isolano marinato alle spezie, caramello di aceto balsamico ed erbine di campo, il risotto allo zafferano di Turri con un ristretto di
scampi e carciofi snakati (croccanti) o le tagliatelle fatte in casa
al nero di seppia accompagnate
dalla coppazza (brodetto di pesce), il pesce spada e gli asparagi
selvatici. “Come secondi oltre al
pesce dei nostri pescatori e mai
di allevamento – spiega Cristiano – ci sono le carni. Quella sarda, come il bue rosso del Montiferru, ma anche la cacciagione, il
cinghiale o l’agnello è più dura e
difficile da lavorare di quella
‘continentale’, ed è proprio in
questo che si vede l’intervento
dello chef. Non faccio né intingoli né salse pesanti, ma solo una
cottura delicata, in modo da evidenziarne il sapore”.
Il carrello dei formaggi è un’opera d’arte: casizzolu del Montiferru, caprini freschi lavorati con
muffe nobili, pecorino erborinato di Thiesi e di altre provenienze con stagionature diverse. E
poi ci sono i dessert, tra cui lo
spumone al torrone di Tonara
con salsa di cioccolato caldo e i
sorbetti, soprattutto per l’estate,
fatti con le arance di Muravera, il
prezzemolo, il limone e il basilico, senza però dimenticare le mitiche sebadas con miele di acacia
e cumino. E non è tutto. A tavola
vengono serviti cinque tipi di
pane fatto in casa. C’è la carta
degli oli (di cui sette sardi, uno
ligure, uno siciliano e uno pugliese) per condire sia l’insalata,
rigorosamente di campo, che
qualsiasi altro piatto; e poi quella dei distillati, dei caffè, degli
infusi biologici, dei tè... La carta
dei vini, in continua evoluzione,
è fortissima soprattutto sui vini
isolani, rappresentati da oltre 80
etichette sulle 250 totali. Dulcis
in fundo il box per i sigari, e una
sala per i non fumatori. (O. D’A.)
Una sala del ristorante (aa sinistra )
e lo chef Cristiano Andreini (iin alto ),
che si è fatto le ossa lavorando
nei migliori ristoranti europei
insieme al fratello Gian Luca.
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