Rolling Stone magazine parte 3

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Le grandi guide turistiche di “Rolling Stone”:
Genova – parte 3
Ultima puntata della nostra ricognizione nei vicoli della Superba. Stavolta ce la vediamo con la
diaspora dei New Trolls, il folk vocale dei “trallallero” e il rapper Moreno erede dei cantautori
storici (eeh?)
14 febbraio 2014
museo-spazio-negozio “Via del Campo 29:Rosso”. Foto via internet
Le puntate precedenti: parte 1 – parte 2
Di Paolo Madeddu
Eravamo nel museo-spazio-negozio “Via del Campo 29Rosso”, ricordate? Bene. È lì che
incontriamo Vittorio De Scalzi. Sorride. Spesso. Difficile pensarlo ai ferri corti con gli ex
compagni di gruppo. Eppure, ecco l’affascinante elenco di band nate in seguito alla sentenza del
giudice che di fatto sancì l’inconciliabilità tra i membri dello storico gruppo e il divieto di usare il
nome per esibirsi – se non tutti insieme.
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I Grandi New Trolls (poi diventati: “Il Mito New Trolls”)
Il Mito New Trolls (Nico Di Palo, Gianni Belleno, Ricky Belloni)
La Storia dei New Trolls (De Scalzi)
Il Cuore New Trolls (Belleno)
La Leggenda dei New Trolls (De Scalzi, Di Palo, Belleno, Giorgio D’Adamo. Dal 2013, in
seguito all’abbandono di Belleno e D’Adamo, anche questo nome è dichiarato legalmente
inutilizzabile)
Uno Tempore New Trolls (Belleno)
…Avrete anche voi la sensazione che i New Trolls ci stiano trollando.
Comunque, di cosa ci meravigliamo se mugugnano l’uno con l’altro: sono genovesi.
I New Trolls (quelli veri) hanno avuto anche loro molte vite: quella beat, quella prog del Concerto
grosso, quella pop degli anni ’80. Quando De Scalzi in Via del Campo esegue Vorrei comprare una
strada, gli anni ’60 arrivano addosso come un camion persino a gente arida come chi scrive, con
una carica di malinconia quasi aliena, che poteva venire solo da chi viveva in una città che iniziava
già a sentirsi ai margini in un Paese a sua volta provincialissimo.
Quella canzone è firmata da De Scalzi, Di Palo, De André e il poeta Riccardo Mannerini. Nel
concept album Senza orario senza bandiera (1968), è arrangiata (con dei coretti femminili
tremendi, ma molto vintage) da Gian Piero Reverberi. Insomma, a quel pezzo ha messo mano la
meglio gioventù genovese.
Portati a casa gli applausi dei presenti, De Scalzi affronta una versione unplugged (o anche:
“versione falò in spiaggia”) di Quella carezza della sera (1978). Ovvero, la fase pop.
All’improvviso da fuori inizia ad arrivare gente, passanti richiamati dal canto delle sirene. “Non so
più il sapore che ha/quella speranza che sentivo nascere in me”.
Beh.
“Quella carezza della sera”: i New Trolls a “Discoring” nel 1979.
Spesso al testo di certi classiconi da hit-parade non si concede la dovuta attenzione. Ma forse in
questa città, con quelle parole ci si sono identificati spesso.
Ciononostante, De Scalzi sorride un casino. È curioso di musica nuova e tecnologie nuove, ma
quando inizia a snocciolare ricordi sugli artisti della sua generazione è impossibile non condividere
una specie di incanto: dev’esser stato bello essere parte di una stagione irripetibile della musica
italiana, e per di più vederlo succedere nella propria città, in questa città. Viene persino un po’ di
invidia. Chi fa musica oggi, chi ne farà domani, non avrà mai tutto questo. Avrà altre cose, ma
questo no.
De Scalzi avrà anche sognato Nuova York, e ancor oggi ogni tanto va a suonare in Russia o in
Giappone, però non se n’è mai andato ha radici così radicate che il momento in cui più che mai gli
brillano gli occhi è quando racconta che i tifosi del Genoa gli fanno i complimenti per Lettera da
Amsterdam, canzone adottata dalla curva della Sampdoria come inno non ufficiale e cantata in coro
prima delle partita. Ogni tanto si chiede se avrebbe dovuto fare il cantautore anche lui, che si sa che
stare in un gruppo è difficile (specie il suo, certo). Se il gruppo è di Genova, poi. Chiedere a chi ha
fatto parte dei Matia Bazar, per conferma. (Ma volendo anche ai Ricchi e Poveri, eh).
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Tuttavia, c’è un modo di cantare in gruppo vecchissimo, arcaico, che qui non accenna a tramontare,
anche tra i giovani. È probabile che non ne abbiate mai sentito parlare. È il tipo di cosa che questa
gente si tiene per sé.
“Lettera da Amsterdam” intonata dalla curva blucerchiata prima di una partita.
Si mettono in cerchio, vestiti di bianco e nero, cosa che contribuisce a far pensare ai canti a tenores
dei sardi, ma sono meno drammatici e più romantici. Lo chiamano Trallallero.
Di norma, una squadra di Trallallero è composta da cinque voci: tenore, contralto o bagascetta (no,
veramente: perché canta in falsetto), chitarra (non perché suoni la chitarra, ma perché ha una
vocalità più ritmica che fa da accompagnamento), baritono e basso. Qualcuno di questi gruppi
arrecheuggeiti (“raccogliticci”) fa ricerca musicale e – come si suol dire – “contaminazione”: come
la Compagnia di Canto Trallallero, che insieme all’Orchestra Bailam ha costruito un ponte
sonoro con Istanbul, secolare approdo di tante navi genovesi, e ci ha fatto un disco e concerti “veri”.
Qualcuno di loro lo fa e basta. Perché gli viene naturale. Tanto da farlo ogni sabato pomeriggio in
piena via Luccoli. Oppure nelle vecchie osterie, dove è nato il Trallallero.
Negli anni ’50 Alan Lomax venne qui e fu oltremodo colpito da questa forma di canto polivocale.
Alan Lomax, per intenderci, è lo storico per eccellenza della canzone folk mondiale. Amico e
collaboratore di Woody Guthrie e Pete Seeger, potrebbe esservi familiare anche se non avete una
expertise in folk: il suo nome è agli atti dei generi non tradizionali grazie al patrimonio di
registrazioni da lui effettuate, dalle quali hanno attinto, e anche con una certa fortuna, Miles Davis e
Gil Evans (per Sketches of Spain) e Moby (per Play). Lomax disse che il Trallallero era il più
perfetto canto corale dell’Europa occidentale. Lo trovate anche su Wikipedia.
Un momento di “Trallalero” all’Antica Osteria Cabella di Sant’Olcese (Genova).
Una coralità perfetta. Un’armonia impeccabile. Ma allora è il più classico dei percorsi: dall’armonia
dell’età dell’oro, al mugugno moderno.
Però, un momento: mugugnano, le voci nuove di Genova?
No, anzi!
Un momento (un altro): esistono, voci nuove di Genova?
Non pretendete troppo da me, gente, non sono uno di quelli attenti ai fermenti. Attingendo ai ricordi
personali oltre che professionali, posso buttare sul piatto Sensasciou, Blindosbarra, Meganoidi. E
un pochino più recenti, i port-royal, ma è un po’ che non ne so più nulla (…è anche vero che non
sono uno di quelli attenti).
Poi, vabbé, c’è Moreno, il rapper amico di Maria. Ma qui dicono che non è genovesissimo.
C’è bisogno di risposte. E quindi, come già nella seconda parte di questo reportage, torno a stressare
il primo genovese. Il sindaco.
“Sindaco, un’ultima domanda. Chi sono le voci nuove di Genova? La famosa scuola genovese, chi
la frequenta oggi?”. Marco Doria spalanca un po’ gli occhi. Che è già una risposta. Anche lui, non
è di quelli attenti. “Io non sono precisamente un’autorità in campo musicale, però direi che oggi la
nostra voce principale è Max Manfredi”.
Max Manfredi! “Senza nulla togliere, sindaco, a me sa che Manfredi è della stessa generazione di
Baccini”. Il sindaco mi guarda con espressione di benevola contrizione, che maschera abilmente
l’esasperazione per questo foresto che gli fa le domande-trabocchetto sulla musica – non bastassero
quelli che lo tormentano per i problemi della città. A quel punto argomenta: “Per perpetuare la
tradizione di Genova come scuola musicale è nata la manifestazione Genova per voi. Scuola aperta
a tutti, perché è aperta ad autori di tutta Italia”. Se la cava così. Tocca documentarsi.
Genova per voi è nata l’anno scorso, ed è un talent per autori – ma un talent cittadino, non
televisivo. L’anno scorso, su 500 iscritti provenienti da tutta Italia si è arrivati a una selezione di 22
suddivisi nelle categorie “canzone” e “hip hop”. In una settimana di settembre, tra Palazzo Ducale e
Teatro della Tosse, dopo laboratori e confronti con ospiti (un po’ di nomi: Oscar Prudente,
Vittorio De Scalzi, Franco Fasano, Fabrizio Casalino, Carlo Marrale, Rancore, Max
Manfredi, Francesco Baccini), si è arrivati a due vincitori, i quali hanno ottenuto un contratto con
la casa discografica Universal, che è partner della cosa come il Comune di Genova. Nel 2013 i
vincitori sono stati il rapper marchigiano Claver Gold e la cantautrice milanese Federica Abbate.
Spiace dirlo, ma non c’erano genovesi tra i finalisti.
Il che naturalmente, va a merito degli organizzatori – non hanno fatto favoritismi. Ma
ammettiamolo: non va bene. Genova ha delle responsabilità. La canzone italiana boccheggia. C’è
bisogno di questo strano posto e questa strana gente. Su, sveglia.
No, non dopo. Adesso.
(PS: …Ehi! Anche SANDRO GIACOBBE è di Genova!). [Fine – la precedenti puntate sono
state pubblicate venerdì 20 dicembre e venerdì 31 gennaio]