La lettera settimanale di Don AMFanucci Cap. 8 UNA

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La lettera settimanale di Don AMFanucci Cap. 8 UNA
ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO - GUBBIO C/O SANTA MARIA AL CORSO
La lettera settimanale di Don A.M.Fanucci
“23 ottobre 2016”
www.ilgibbo.it
CHIESA E POVERI, UN AMORE LUNGO E PROBLEMATICO
(A. M. Fanucci, pro manuscripto. Lezioni alla LUMSA-GUBBIO, anno 1999 ss)
Cap. 8
UNA CHIESA FUORI TEMPO
GIÀ NELLA PRIMA PARTE DEL SECOLO LUNGO
(1800 – 1878)
Parte ventiduesima
IL BEATO PIO IX: TRA I DIVERSI BUCHI NERI,IL PIÙ NERO DI TUTTI
8.17.2 Un secondo buco nero: Il caso Lamennais
In proposito già nella prima metà del secolo si era aperto un dibattito estremamente interessante circa il
rapporto tra il Cristianesimo e le analisi che venivano avanzate dai socialisti; dibattito che ebbe i suoi
corifei in Saint Simon con Le nouveau christianisme e più ancora in Lamennais con Paroles d'un croyant e
soprattutto col giornale L'Avenir.
Non si trattava solo di discorsi demagogici, teologicamente abborracciati, tali da svuotare il
Cristianesimo se fossero stati portati fino in fondo, come quando si affermava che Cristo era morto per
portare al mondo la triade repubblicana Liberté, egalité, fraternitè. Evitando questo tipo di affermazioni,
L’Avenir avanzava tesi teologiche di grande dignità e analisi serie del testo biblico; sul piano sociale poi
s’individuava come massimo delitto del capitalismo (e non poteva essere diversamente) il fatto che nel
suo schema produttivo l'uomo conta solo come ingranaggio di una macchina, tesa solo alla
massimizzazione del profitto.
8.17.2.1 Prete riluttante e teologo serio
Hugues-Félicité Robert de Lamennais, si formò sui testi più seri della tradizione cristiana (fra l’altro
tradusse L'imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis), ma conobbe bene anche i filosofi materialisti e
illuministi (si appassionò a Rousseau) e, tra i classici, Platone, Tacito, Cicerone, Malebranche e Pascal.
Un'istruzione ampia, ma (come avviene agli autodidatti) un po' disordinata.
Sulla scia della scelta che aveva fatto un suo fratello maggiore si fece prete – sembra - perché vedeva in
quella scelta un'opportunità per conseguire notorietà nell'ambito della letteratura. E la conseguì, quella
notorietà, nel 1823, quando pubblicò il Saggio sulla indifferenza in materia di religione grazie al quale i
cattolici lo identificarono come il polemista capace di controbattere le tesi degli illuministi e dei
volterriani. Per Lamennais il Cristianesimo è il culmine di tutti i concetti morali e spirituali dell'umanità.
Dopo la rivoluzione del luglio 1830 fondò e diresse il quotidiano L'Avenir, nel quale sostenne la libertà
di coscienza, d'insegnamento, di stampa, di associazione, l'estensione del diritto elettorale e la
rivendicazione delle autonomie provinciali e comunali. Tra i suoi collaboratori spiccano Jean-Baptiste
Henri Lacordaire e Charles de Montalembert. Ma fu avversato dal governo e dai vescovi; per questo
nel 1831 Lamennais sospese la pubblicazione del quotidiano.
8.17.2.2 Fuori, lontano dalla Chiesa
La repressione da parte delle autorità russe della rivolta polacca del 1831, con l'appoggio esplicito di
papa Gregorio XVI, lo colpì dolorosamente. Con Lacordaire e de Montalembert, Lamennais si recò a
Roma nel 1832, per partecipare a Gregorio XVI questa sua sofferenza ed esprimergli le loro idee. Ma il
papa camaldolese era lontanissimo dalla libertà che dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II si sono
guadagnata i Camaldolesi di oggi: nemmeno li ricevette. E subito dopo, la sua enciclica, la Mirari vos, fu
durissima nel condannare senza appello quelle loro timide aperture ideali. La Chiesa - scriveva Papa
Cappellari - ha sempre fatto tutto il possibile per difendere i poveri, le cosiddette “nuove impostazioni” del problema che
come tali vengono contrabbandate sono solo una congerie di sciocchezze. Per salvarsi l’anima, e anche per realizzare
la giustizia sulla terra, basta l'elemosina.
Lo stesso anno un suo nuovo libro, Parole di un credente (1834) contestò il Papa, ritenendolo un
rinnegato: era la sua rottura con la Chiesa, ma i suoi numerosi seguaci non abbandonarono la Chiesa
per seguire un apostata.
Nel 1835 entrò nel salotto di George Sand, autentico cenacolo repubblicano, e sposò le tesi del
nascente socialismo. George Sand arriverà a dirgli: L'annoveriamo tra i nostri santi [...] lei è il padre della
nostra nuova Chiesa.
Lamennais, con Il libro del Popolo, un autentico libro di battaglia, pubblicato nel 1837, si isolò sempre più
dalla Chiesa, in un atteggiamento di contestazione totale, acido, arido. Tra il 1841 e il 1846 scrisse
Abbozzo di una filosofia, nel quale sviluppava il suo concetto di Cristianesimo senza Chiesa, capace di
riunire le masse per condurle al progresso attraverso la carità.
Morì nel 1854, solo, dopo aver tenacemente rifiutato non solo i sacramenti di quella Chiesa che aveva
amato con tutto se stesso, ma anche i funerali religiosi. Venne sepolto, dietro sua richiesta, in una fossa
comune. Nessuno gli ha mai chiesto scusa.
8.17.3 Il più nero dei buchi neri, il Sillabo: come una pietra tombale
Ma quello che più di ogni altra cosa interessa la nostra ricerca sono i due documenti del 1864:
 in novembre l'enciclica Quanta cura sui mali della modernità,
 in dicembre il Sillabo, una lista di errori elencati in calce alla Quanta cura:
Syllabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores (“Elenco contenente i principali errori del nostro
tempo”), di Papa Mastai pubblicato l’8 dicembre 1864, decimo anniversario della proclamazione del
dogma dell'Immacolata Concezione, in calce all'enciclica Quanta cura: liquidazione in blocco di tutto il
mondo moderno.
Vincolante per la coscienza cattolica? No, per la sua natura di elenco che esemplifica.
Infallibile? Tanto meno, visto che l’ infallibilità del Magistero Pontificio suppone, praticamente
unanime, il consenso dell'episcopato.
8.17.3.1 Pio IX condanna mezzo mondo
Cinque gruppi di condanne, in 89 proposizioni, ognuna preceduta dalla citazione d’un precedente
documento pontificio che quella condanna l’ aveva già emessa.
Pio IX condanna mezzo mondo. Condanna il panteismo, il naturalismo, il razionalismo assoluto, in
totale assenza di quella coscienza che oggi induce noi cattolici a salvare quanto meno quella parte di
verità che esiste in qualsiasi errore. Condanna il razionalismo moderato, soprattutto perché crea
confusione tra natura e ragione. Condanna l’indifferentismo, senza nemmeno sospettare che proprio la
Chiesa sia una delle cause che lo determinano. Condanna l’uguaglianza fra tutte le religioni e la
presunzione che l'uomo possa scegliersi la religione che, col lume della ragione, reputi vera.
Condanna 20 errori concernenti l'autorità e i diritti del Papa e della Chiesa. Condanna 21 errori relativi
alla società civile. Condanna il liberalismo, in 10 proposizioni. Dulcis in fundo: condanna chi osa
affermare che il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la
moderna civiltà.
8.17.3.2 Non senza effetti notevolmente positivi
L’enorme delusione di coloro che avevano applaudito l'elezione di Pio IX "Papa liberale" produsse un
grande beneficio sia al corpo militante della chiesa, sia al patrimonio dello stato.
In positivo il fatto che i protagonisti della sospirata unificazione dell’Italia fossero tutti scomunicati

incoraggiò la doverosa soppressione di diversi ordini religiosi ormai cadaverici: con le sole
proprie forze la Chiesa non sarebbe mai riuscita a liberarsene;

rese agibile per possibili investimenti produttivi l’enorme patrimonio del clero, incamerato
dallo Stato; si estinse la famosa mano morta, che per secoli aveva rappresentato uno uno dei più
grandi ostacoli al progresso economico dell’Italia.
Ma l’arretratezza culturale degli uomini di Chiesa, che soprattutto nell’interpretazione della Bibbia si
manteneva a livelli di assoluta puerilità, non era in grado di difendere nemmeno la gracile fede del
povero popolo cristiano dall’attacco dei primi "demitizzatori" della figura di Gesù, in prima fila la Vita
di Gesù di Ernest Renan.
La Chiesa reagì nell’unico modo in cui poteva reagire: ricorrendo ancora una volta alla scomunica,
senza minimamente curarsi di tirare la rete a spiaggia e sedersi per selezionare quanto di positivo, o per
lo meno di salutarmente provocatorio, poteva esserci in quell’opera e quanto invece andava sic e t
simpliciter rifiutato: per farlo sarebbe occorso almeno un centro di studi che il Vangelo, prima che come
un libro di fede, l’ avesse letto secondo i canoni con cui vanno sempre letti i prodotti letterari di una
certa epoca in un certo ambiente culturale.
Gubbio,16 /10/ 2016
don Angelo M. Fanucci,
Canonico Penitenziere e Rettore di Santa Maria al Corso
COME, QUANDO, PERCHÉ E A CHE SCOPO NACQUE LA COMUNITA’ DI CAPODARCO
14
da ANGELO MARIA FANUCCI, La logica dell’utopia. Quando nacque la comunità di Capodarco
Assisi Cittadella Editrice 1998
Capitolo sesto
NEL CUORE DELLA POLITICA,
NEL CUORE DELLA CHIESA (6)
Una Chiesa aperta
Sulla domanda «Quale proposta di Chiesa?» nell'immediato post-Concilio erano entrati in crisi sia
l'Azione Cattolica che gli Scout.
All'Azione Cattolica veniva rimproverato soprattutto il collateralismo con la Democrazia cristiana; la
risposta dell'Azione Cattolica fu la scelta religiosa e la scelta della mediazione culturale e sociale,
sofferta, tenace, pagata di persona, come stella polare dell'impegno cristiano nel mondo. Quella scelta
(1969) la riqualificò, ma le costò anche un'impressionante emorragia di iscritti.
Agli Scout cattolici era rimproverato una specie di pseudoeducativo bamboleggiamento borghese,
ottocentesco, quasi una .fiction che non arrivava mai a stringere. Feroce la definizione che fece il giro del
mondo: «Un gruppo di bambini vestiti da deficienti, guidati da un deficiente vestito da bambino».
L'AGESCI reagì scoprendo l'impegno politico, al suo livello più alto, prepartitico, come essenziale
all'iter formativo del ragazzo.
Prendeva a galoppare Comunione e Liberazione, con la sua proposta di una «nuova presenza», forte e
distinta, per cerchi concentrici, sostanzialmente autoreferenziale, gratificante sul piano dell'identità,
capacissima di maneggiare anche gli scoli puteolenti del Potere senza doversi turare il naso.
Capodarco e le comunità d'accoglienza hanno sempre sentito vicini sia l'AGESCI che l'Azione
Cattolica, e lontani, lontanissimi, sia Comunione e Liberazione che, più tardi, i vari Movimenti.
Capodarco non era capace di elaborazione teologica, ma intuiva con forza di dover essere Chiesa alla
stessa maniera in cui voleva essere Casa-di-tutti: spazio fisico, culturale e spirituale nel quale tutti
dovevano trovarsi a proprio agio. E nessuno avrebbe potuto rivendicare primogeniture.
Questo comportava la rinuncia pregiudiziale ad incorporare organicamente la Comunità nella
struttura ecclesiale.
Ciononostante, credevamo d'essere nel cuore della Chiesa. Lo crediamo tuttora. Ci dicono di no.
Ci sembrava che l'impegno profetico di Papa Giovanni alle soglie del Concilio («Da oggi la Chiesa
sarà la Chiesa di tutti») significasse una maggiore elasticità della struttura ecclesiale, una prevalenza
organica delle ragioni dell'apertura verso l'esterno sulle ragioni del compattamento interno. Non ogni
tanto, ma ad ogni passo che fa la Chiesa si ricorda di essere nel e per il mondo, senza essere del mondo,
e scegliere di conseguenza. Era così? Ci dicono di no.
Non era questo uno dei sogni del primo Paolo VI? Ci dicono di no.
Poi prevalse la paura, e il bisogno di contarsi. Il nuovo codice di Diritto canonico tornò a segnare i
confini, la «Nota» della Santa Sede sulle condizioni minime per riconoscere ad una certa realtà la
qualifica di ecclesiale ci tagliò fuori. Forse era necessario. Ma nessuno può dire che questo sia
l'approdo ultimo della vexata quaestio su chi appartenga veramente alla Chiesa. Chi vivrà vedrà.
Una Chiesa al servizio del Regno
Nel taglio che la vita condivisa con chi fa fatica conferisce alla fede, la Chiesa è indispensabile
strumento di quel Regno che è il sugo di tutta la Storia; custode della Pasqua, la Chiesa ha tutto
quanto occorre perché la risurrezione mistica diventi risurrezione storica della Persona negata.
Scrive don Franco, in un articolo inedito (La nostra proposta di vita alla società) conservato nell’archivio di
Capodarco di Fermo (“Materiale di edizione”, 1981: Noi apparteniamo alla Chiesa dall'angolazione del
Regno, non da quella della Chiesa: e, se oggi questo stile di appartenenza è tagliato fuori dalla politica ecclesiale
trionfante sulle piazze del mondo, domani le cose cambieranno. Apparteniamo anche alla Chiesa, se la Chiesa (pur
nella sua specifica tensione) è luogo d’incontro degli uomini nella loro verità di farsi uomo l’uno all’altro. La Chiesa è e
deve essere il noi dell’umanità. Certo, la Chiesa è la coscienza esplicita di ciò, sostenuta e realizzata com’è dall’azione di
Cristo che su di sé ha fondato il Regno. Un’azione vera, che solo Lui rende tale nell’attualità del Regno instaurato al di
là della Chiesa, perché purtroppo noi nelle nostre realizzazioni mettiamo sempre il nostro io, per cui la comunione è
sempre buona, ma la comunità che nasce dalla comunione può essere anche molto cattiva. Ma quello che importa è
credere nella comunione, con la consapevolezza che ci deve essere anche la comunità. Per questo la Chiesa, che è lo sforzo
di comunione, per rendere attuale il Regno attraverso i tempi, deve imparare tanto dal mondo, dai semi del Regno lì
presenti. Soprattutto da chi opera nel mondo, con la sue idee, le sue azioni uno sforzo di comunione, e da quei processi di
liberazione che nascono nella storia, soprattutto dagli emarginati. Lo spirito di Cristo fa viva ogni carne, e dove vuole
spira. Per questo la Chiesa-comunità deve farsi struttura aperta alla comunione che può venire da qualsiasi parte, deve
farsi luogo aperto dove gli uomini di buona volontà si ritrovino per servire l’uomo, soprattutto l’uomo dei dolori, il non
uomo, quello che dispera nel benessere.
Chi stima la Chiesa la sente non come una piccola associazione che ci irreggimenta, ma come lo
strumento principe di un formidabile piano di giustizia e di misericordia (il Regno al di là della Chiesa)
che la Parola ha pensato per tutti, a ciascuno per il tramite della sua coscienza individuale.
Quella stessa nostra mania (così la definiscono), quel nostro pervicace voler attribuire
all'emarginazione la funzione della cartina di tornasole non solo nei confronti della società, ma anche
nei confronti della comunità cristiana, è la traduzione di uno stile precipuamente cristiano. Il Messia si
presentò come profeta parziale fin dal primo annuncio, quando di lui vennero dati i tratti fisionomici
atti a riconoscerlo: non avrebbe spezzato le canne fesse, non avrebbe spento i lucignoli fumiganti. E
quella della pecora smarrita non è un ghirigoro in più, ma la parabola centrale del messaggio
evangelico.
Una Chiesa laica
Sembra una contraddizione in termini: una Chiesa laica. Ma don Franco non ha dubbi: «Questo è il
senso preciso anche del nostro laicato nella Chiesa, del nostro essere gruppo sociale aperto alle
dimensioni di servizio all'uomo con spirito cristiano... Questo è il senso dei nostri legami con la
Chiesa, anche se ci dovrà essere un ulteriore approfondimento su tale piano».
Spendere la propria volontà di seguire Cristo, o addirittura il proprio sacerdozio, condividendo il
quotidiano con chi fa fatica, ma senza rete di protezione, in un ambiente laico, senza preconcetti
vantaggi. A noi sembra una scelta cristiana ovvia e fondamentale. Ma non tutti la pensano così.
Un prete la cui comunità mette in pratica punto per punto quello che dice il Vangelo, porge l'altra
guancia, non fa un pensiero cattivo da quando aveva 15 anni, regala il mantello a chi gli ha rubato la
tunica, celebra tutti i Sacramenti, non omette i Sacramentali, lucra le Indulgenze, e magari risuscita i
morti tre volte la settimana...: state sicuri!, prima o poi il suo vescovo gli chiederà: “ma, la tua, è
un'opera cattolica?” Appartieni alla nostra Chiesa locale, sì o no? Il breviario lo dici sempre? E
soprattutto come la mettiamo col codice di Diritto canonico?
Se alle labbra ti sale la risposta ad hominem («Chiedetemi piuttosto come la mettiamo col Vangelo»)
frenati, perché hai torto. La coscienza che oggi la Chiesa ha di se stessa ha lasciato cadere nel vuoto
quella sana laicità di cui parlò Paolo VI. E un certo tipo di teologia conciliare, che magari aveva anche i
suoi scompensi, dopo la morte di Paolo VI è stata relegata in qualche sotterraneo del Vaticano, con le
tele dei pittori manieristi meno accreditati. Era la teologia che tra noi ha avuto sempre buona accoglienza; la teologia che sosteneva che: «Non si dà autentica esperienza di fede senza laicità», e che
«La secolarizzazione, se è stata un disastro per la religione, per la fede è stata una mano santa».
L'integralismo ha atrofizzato i polmoni della fede. Quei polmoni Gesù l'ha progettati per far vivere il
mondo, in abbondanza, l'integralismo li riduce a pompette d'alimentazione della vetusta barca di
Pietro. Fotocopiato nel settore dell'assistenza ai deboli, o meglio del farsi prossimo a chi fa fatica,
quell'integralismo afferma: «Solo chi ha Fede può assistere il prossimo bisognoso come si deve!».
Alzi la mano chi in vita sua non ha inteso pronunciare almeno una volta, come una verità dogmatica,
un'affermazione di questo tipo. Che non è certo assurda, ma equivoca, per lo meno fino a quando non
viene abbinata al suo esatto contrario: solo chi si fa carico del prossimo sarà riconosciuto come titolare
della Fede che salva. A norma del cap. 25 di Matteo.
Per questo a Capodarco la Chiesa era laica. E anche perché di presenze laiche era gremita la vita della
Comunità.
Laico era Santanera, imprenditore torinese attivamente interessato ai problemi dell'emarginazione,
cultore di Capodarco fin dall'inizio; laico era Gianni Selleri, giovane e preparatissimo invalido
bolognese che, firmandosi con le sole iniziali, su di una rivista di area non cattolica, individuava
l'istanza di base di Capodarco nel motto Facciamo una comunità per servirci e per servire; pur appartenendo
ad un'area ideologica diversa, Selleri riconosceva che il nome che a Capodarco volevano dare alla
propria associazione, quello di Comunità Gesù Risorto era deciso e chiaro; augurava a don Franco, prete non
di stampo antico, che nel costruire i muri delle sue case e le strutture giuridiche della sua comunità non abbia mai, come
può accadere, a perdere l'idea che la giustizia e l'amore attingono forza dalla fiducia nell'uomo e non da proiezioni
ideologiche o giuridiche (così nel numero 4/5 di Orizzonti aperti, 4-5, Bologna 1967, sotto il titolo La Coiriunita di Capodarco).
Logico, su questo sfondo, il riproporsi di un certo imbarazzo nel contattare ambienti clericali.
Il primo tentativo ufficiale di rapporto con la Chiesa è la Circolare indirizzata dalla Comunità al Clero
dell'Archidiocesi di Fermo e riferita da La Voce delle Marche dell’agosto 1967. Un documento
deludente, scivoloso, di basso profilo: siamo dei bravi cristiani, lavoriamo per darci dignità, abbiamo
sperimentato la ricchezza del rapporto tra il povero e Dio. I grandi temi ne La Voce degli Esclusi sono
confinati sullo sfondo, compressi, appena accennati, in sordina. «E se potete dateci una mano per
realizzare il laboratorio e la palestra».
La scarsa fluidità dei rapporti della Comunità col clero salta agli occhi. Ho riferito d'averne fatta
personale esperienza. Dietro c'era l'esperienza spersonalizzante degli istituti religiosi, ma non solo. In
Comunità, accanto a chi non fa mai mancare i fiori in cappella (quando una cappella esiste), c'è sempre
stato anche chi si chiude in camera a chiave quando «passa il prete» per la benedizione pasquale. Il
prete tradizionale mette tutti in imbarazzo. Basta che sia in talare. Ricordo un giorno, nella Capodarco
di Roma, a Via Lungro: venne a pranzo, annunciato all'ultimo momento, mons. Battisti, Vescovo di
Udine: l'innegabile apertura mentale e culturale del presule friulano non impedì il formarsi di
un'atmosfera di disagio che si tagliava a fette.
Perché? Al di là che ognuno di noi può soffrire di qualche ramo non potato, anche oggi chi fa
condivisione di vita avverte inevitabilmente un certo disagio di fronte ad una Chiesa che parla di
condivisione e di opzione per gli ultimi in modo assolutamente sproporzionato rispetto alla sua prassi
quotidiana; di fronte ad una Chiesa che delega quando non dovrebbe delegare e conserva quando
dovrebbe cedere, che soprannomina iniziative pastorali certi ospedali convenzionati che da un secolo
avrebbero dovuto essere ceduti allo Stato senza contropartita: la loro esemplare gestione economica
meriterebbe una quotazione in Borsa, ma di pastorale hanno solo il saltuario impiego a fin di bene dei
soldi guadagnati a palate.
Capodarco, esperienza ecclesiale laica perché innervata di pluralismo in positivo. Nella nostra cultura
occidentale domina il pluralismo in negativo. Tutti hanno diritto di cittadinanza, basta che nessuno pesti i
piedi al vicino. La sua parola d'ordine è rispetto, nel senso di non ingerenza.
In una Comunità di bisogno come quella di Capodarco, questo non basta; la gente arriva spesso
perché la vita l'ha ridotta al lumicino; la parola d'ordine è valorizzare e impiegare le residue energie di
tutti; l'enorme energia liberatrice che occorre può nascere solo dalla massima pluralità di voci e di
apporti. Occorre che ciascuna idealità, ciascuna coscienza metta a disposizione della crescita comune
quanto di buono e di vero crede di poter dire: è questo il pluralismo in positivo.
La Voce degli Esclusi già poneva l'esigenza di abbattere tutti gli steccati. Il 1° maggio 1967, gli
approfondimenti portati avanti con Santanera e Selleri sono altrettante conferme della disponibilità
mentale, disposta ad accogliere a 360 gradi il contributo di culture non coincidenti.
Più tardi la convenzione con lo Stato fa di Capodarco anche un servizio pubblico: e questo impone di
ricalibrare in chiave pluralista l'originaria ispirazione. 1 giovani del Servizio Civile Internazionale (SCI),
approdati a Capodarco nel Natale 1968 e il contenzioso aperto nel 1969 dal gruppo contestatore
Comunità La Pera spingono ancora più a fondo in questa direzione. Don Vinicio Albanesi, già nel
19833, affermava che, sul piano ideale, la Comunità di Capodarco era innervata delle tre parole
d'ordine dei tre grandi filoni ideali del nostro tempo: la rivoluzione dei marxisti, il progresso dei laici, la
conversione dei cristiani.
Il gesto riassuntivo di questo stile di vita fu quello posto quando, nel 1969, l'Abbé Pierre visitò la
Comunità di Capodarco: alla grande Eucaristia parteciparono tutti i presenti, anche i non credenti; chi
non credeva passò il pane e il vino consacrati. Sintesi fra Presenza e Persona, dice don Franco.
All'orizzonte ci sono già le Assemblee generali del 1984, quando il Centro Comunitario Gesù Risorto
diverrà Comunità di Capodarco, e il suo scopo sociale non sarà più la formazione umana e cristiana dei giovani
handicappati, ma lo sviluppo integrale della persona, con particolare attenzione agli emarginati: si veda lo Statuto del
Centro Comunitario Gesù Risorto e della Comunità di Capodarco, nell’ Archivio della Comunità, anni
1969 e 1984.
Il riferimento al cristianesimo rimarrà fondamentale, ma il suo taglio muterà profondamente: per la
matrice cristiana di parte dei suoi membri e per l'esperienza di servizio all'uomo di tutti, la Comunità di
Capodarco sul piano ideologico e culturale, è luogo d'incontro e di confronto fra quanti ne
condividono lo spirito e l'impegno vitale: così, nel 1983, la relazione di base del Convegno giovanile del
Centro Lavoro Cultura - Comunità di S. Girolamo.
18.continua
****
CREDERE, OGGI
Giovani teologi si cimentano con il secolare pensiero della Chiesa.
Bocciolesi presenta la reazione di Roma a colui che,
prima del Concilio e nel Concilio,
mise a punto il concetto autentico di Tradizione:
IVES CONGAR
3.2 La reazione di Roma
Era fin troppo facile immaginare come ben presto questa “nouvelle thèologie” avrebbe scatenato i
fulmini di Roma.
3.2.1 Il leader del tomismo manualistico
Apre le ostilità P. Garrigou Lagrange, il “mostro sacro” del tomismo romano, e le apre proprio
definendo spregiativamente Nouvelle théologie quella di Le Saulchoir e di Fourvière.
Réginald Garrigou-Lagrange è un religioso domenicano francese, che viene considerato uno dei più
grandi teologi neotomisti cattolici del XX secolo.
Di famiglia illustre, a 20 anni, studente alla facoltà di medicina, dopo aver a lungo approfondito la
situazione dell’uomo di oggi e di sempre alla luce del suo bisogno di Dio, entra nell'ordine domenicano,
assumendo il nome religioso di fra’ Reginaldo: il più dòtto tra i primi discepoli di san Domenico di
Guzmán. Prete domenicano, si laurea alla Sorbona in lettere e filosofia. Nel 1906 insegna teologia
dommatica a … Le Saulchoir, che allora era in Belgio e rivela non comuni qualità intellettuali e
speculative.
Nel 1909 viene chiamato a Roma, dove insegna con grande successo, per 50 anni consecutivi, al
Collegio Internazionale Angelicum, fondato da poco, metafisica, teologia fondamentale e scrive diversi
trattati di teologia dommatica; dal 1917 insegna ascetica e mistica, una cattedra da lui fondata. Da buon
religioso, studia, prega, benefica molti poveri, si dà alla cura d'anime, è molto ricercato come direttore
spirituale.
Rimangono di lui ventitré grandi opere teologiche e seicento impegnativi articoli.
Nel 1964, muore nel convento di Santa Sabina, fondato da san Domenico sull'Aventino.
Con lui si era definitivamente confermato che la controversia era forte e dava origine a due diverse
scuole teologiche contrapposte e segnate da due diversi modi di approcciarsi al dato teologico.
3.2.2 Il perché dell’opposizione alla nuova teologia
Che cosa rimproveravano i Romani alla “nouvelle thèologie”?
Quanto meno le rimproveravano
 una tendenza al semimodernismo,
 una tendenza al relativismo filosofico e teologico,
 una tendenza al relativismo dogmatico e al soggettivismo.
Fu sulla base di queste critiche che iniziarono le opposizioni alimentate da Roma dove il potere
intellettuale era in mano all’Angelicum, università domenicana, in cui vigeva il predominio della teologia
manualistica.
Il “libricino” programmatico di Chenu, “Le Saulchoir: una scuola di teologia” pubblicato nel 1937 venne
messo all’indice dei libri proibiti il 6 febbraio 1942 e Chenu perdette la reggenza e la cattedra di Le
Saulchoir.
Si cercò con questo atto di colpire l’intera scuola di teologia. La controversia continuerà nel dopoguerra
e questa volta subirà la censura ecclesiastica della scuola dei gesuiti di Fourvière.
Nel 1946 P. Garrigou Lagrange pubblicò un articolo (La nuova teologia. Dove va?) dove afferma,
riferendosi esplicitamente alle due scuole teologiche francesi di Le Saulchoir e di Fourvìère, che la
Chiesa era minacciata da un ritorno di fiamma del modernismo.
3.2.2 Pio XII
L’enciclica Humani Generis, emanata da Pio XII nell’agosto 1950, sottoponeva a dura critica le nuove
tendenze presenti nelle scienze sacre e richiamava i principi della “sana” filosofia.
Al paragrafo primo Pio XII scriveva:
Per quanto riguarda la Teologia, certuni intendono ridurre al massimo il significato dei dogmi; liberare lo stesso
dogma dal modo di esprimersi, già da tempo usato nella Chiesa, e dai concetti filosofici in vigore presso i dottori
cattolici, per ritornare nell'esporre la dottrina cattolica, alle espressioni usate dalla Sacra Scrittura e dai Santi
Padri. Essi così sperano che il dogma, spogliato degli elementi estrinseci, come essi dicono, alla divina rivelazione,
possa venire con frutto paragonato alle opinioni dogmatiche di coloro che sono separati dalla Chiesa e in questo
modo si possa pian piano arrivare all'assimilazione del dogma con le opinioni dei dissidenti. Inoltre, ridotta in tali
condizioni la dottrina cattolica, pensano di aprire cosi la via attraverso la quale arrivare, dando soddisfazione alle
odierne necessità, a poter esprimere i dogmi con le categorie della filosofia odierna, sia dell'immanentismo, sia
dell'idealismo, sia dell'esistenzialismo o di qualsiasi altro sistema.
E perciò taluni, più audaci, sostengono che ciò possa, anzi debba farsi, perché i misteri della fede, essi affermano,
non possono mai esprimersi con concetti adeguatamente veri, ma solo con concetti approssimativi e sempre mutevoli,
con i quali la verità viene in un certo qual modo manifestata, ma necessariamente anche deformata. Perciò
ritengono non assurdo, ma del tutto necessario che la teologia, in conformità ai vari sistemi filosofici di cui essa nel
corso dei tempi si serve come strumenti, sostituisca nuovi concetti agli antichi; cosicché in modi diversi, e sotto certi
aspetti anche opposti, ma come essi dicono equivalenti, esponga al modo umano le medesime verità divine.
Aggiungono poi che la storia dei dogmi consiste nell'esporre le varie forme di cui si è rivestita successivamente la
verità rivelata, secondo le diverse dottrine e le diverse opinioni che sono sorte nel corso dei secoli.
I superiori generali sia dell’Ordine Domenicano che della Compagnia di Gesù, intimoriti da Roma,
dispersero il gruppo dei teologi che a Le Saulchoir e a Fourvière avevano tentato di adoperarsi per una
teologia del rinnovamento, inviandoli a pelare patate nelle case più disperse che possedevano qua e là
per l’Europa.
Caro lettore, la mia Comunità di Capodarco dell’Umbria è in drammatica difficoltà
economica, grazie alla mia collaudata insipienza gestionale, ma anche (anche) a
comportamenti di natura vessatoria da parte di settori dell’Ente Pubblico.
BONIFICO BANCARIOCCB Intestato a COMUNITÀ DI CAPODARCO DELL’UMBRIA,
C/O UNICREDIT BANCA, PIAZZA 40 MARTIRI
06024 GUBBIO PG
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