La Marsigliese storia di una musica rivoluzionaria

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La Marsigliese storia di una musica rivoluzionaria
La Marsigliese: storia di una musica rivoluzionaria
di Jacopo Leone Bolis
Lo spirito iconoclasta delle avanguardie artistiche del Novecento non si è sempre concretizzato in
un aperto disprezzo nei confronti dell’arte del passato. Talvolta, seppur piuttosto raramente, lo
spirito innovatore degli artisti del secolo scorso non disdegnò riletture e ammodernamenti di
prodotti artistici provenienti dai secoli precedenti. Ad esempio, nel brano Spirits Rejoice del
sassofonista statunitense Albert Ayler (1946-1970) vi sono evidenti richiami alla celebre melodia
dell’inno francese: La Marsigliese (La Marseillaise). Non di rado il presente ripropone gli stessi
problemi e le stesse sfide che hanno animato il passato. Quando ciò accade, l’artista
contemporaneo non può che guardarsi indietro e cercare lì qualche risposta ai quesiti che lo
attanagliano. La distanza cronologica e espressiva che intercorre tra l’inno nazionale francese e la
musica dell’afroamericano Albert Ayler può sembrare a prima vista siderale, tuttavia la storia, con il
suo procedere non scevro di eterni ritorni, ha annullato questa distanza e ha fatto sì che un
musicista jazz statunitense vissuto nella seconda metà del Novecento facesse sua, almeno per
qualche istante, una musica nata nell’Europa rivoluzionaria di fine XVIII secolo. Il perché di questa
strana relazione è presto spiegato.
La Marsigliese (il cui titolo originale era Chant de guerre de l'armeé du Rhin) venne
composta nell’aprile del 1792 dal poeta, musicista e compositore francese Claude-Joseph Rouget
de Lisle (1760-1836)1. Questo inno tanto musicalmente semplice quanto ricco di pathos, venne
realizzato da Rouget de Lisle quando questi si trovava presso l’Armata del Reno intenta a
Sembra che in realtà la melodia de La Marsigliese non venne composta ex-novo da Claude-Joseph Rouget
de Lisle ma che questi l’avesse creata rimaneggiando una composizione precedente a firma del musicista
piemontese Giovanni Battista Viotti (1755-1824). Questo vero e proprio “plagio” è stato recentemente
scoperto dall’italiano Guido Rimonda, violinista e direttore d’orchestra. Rimonda, dopo accurate ricerche di
carattere musicologico, ritrovò un Tema e variazioni in Do maggiore risalente al 1781 a firma di Giovanni
Battista Viotti che, anche al più superficiale ascolto, mostra evidenti somiglianze con il celebre inno francese
(scritto da Rouget de Lisle dieci anni più tardi). Inoltre, vi sono dei forti parallelismi tra la melodia de La
Marsigliese e alcuni passaggi melodici del primo movimento (Allegro maestoso) del Concerto n. 25 per
pianoforte e orchestra in Do maggiore K.503 (1786) di Wolfgang Amadeus Mozart. Alla luce di ciò, sembra
assolutamente plausibile che Claude-Joseph Rouget de Lisle abbia attinto, senza particolari scrupoli, a
fatiche compositive di altri artisti per ‘scrivere’ il suo celebre inno.
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Le battute 51-58 del Concerto n. 25 per pianoforte e orchestra in Do maggiore K503 di Wolfgang Amadeus Mozart. Da
notarsi l’apparire al primo violino del tema musicale che, probabilmente, Claude-Joseph Rouget de Lisle rimaneggiò per
scrivere La Marsigliese.
pattugliare il confine nord-orientale dell’allora Francia rivoluzionaria (proprio nell’aprile 1792 la
Francia aveva ufficialmente dichiarato la propria ostilità nei confronti delle case regnanti di Austria
e Prussia)2. Il 10 agosto del 1792, dopo aver portato a termine con successo alcune operazioni
militari sui confini orientali francesi, l’Armata del Reno rientrava a Parigi, tra gli applausi e le grida
di gioia del popolo parigino, cantando La Marsigliese3. Dalla capitale, in brevissimo tempo, l’inno si
allargò a tutta la Francia ottenendo ampissimi consensi al punto che, il 14 luglio 1794, venne
proclamato inno nazionale. Con la fine del periodo rivoluzionario e dell’epopea napoleonica, a
seguito del Congresso di Vienna e della successiva restaurazione monarchica, La Marsigliese
venne bandita da Luigi XVIII di Borbone (che fu re di Francia dal 1814 al 1824). Tornata in auge
durante le ribellioni liberali del 1830 (Rivoluzione di luglio) e del 1848, La Marsigliese venne
nuovamente messa al bando da Napoleone III (Presidente della Repubblica Francese dal 1848 al
1852 e Imperatore di Francia dal 1852 al 1870) il quale ravvisava in essa un carattere
eccessivamente rivoluzionario capace d’incendiare gli animi del popolo rendendolo ingovernabile.
Solamente nel 1879, dopo la disfatta subita dalla Francia nella disastrosa Guerra franco-prussiana
(1870/71), l’esperimento rivoluzionario della Comune di Parigi (1871) e la nascita della Terza
Repubblica (1870-1940) La Marsigliese divenne definitivamente l’inno nazionale francese.
Da un punto di vista prettamente musicale La Marsigliese è una composizione
estremamente semplice: la linea melodica principale è priva di figurazioni ritmiche complesse o di
salti intervallari estremamente ampi o di difficile intonazione (al contrario è ricca di note ribattute e
di passaggi melodici costruiti per gradi congiunti o piccoli salti intervallari), il ritmo, su rigoroso
tempo di marcia, è estremamente regolare (e costruito sul canonico metro 4/4), l’armonia a
sostegno della linea melodica principale è estremamente elementare e ripetitiva e, infine, la
struttura formale della composizione si presenta simmetrica e regolare. Tale semplicità
compositiva risponde a un chiaro intento perseguito (e ottenuto) da Rouget de Lisle: far sì che
questa musica potesse essere facilmente fruita dai soldati e dal popolo francese affinché fosse da
questi rapidamente memorizzata e cantata. L’enorme successo che La Marsigliese raccolse in
tutta la Francia e nel resto d’Europa (divenendo, almeno fino alle ultime decadi del XIX secolo,
l’inno di tutti i rivoluzionari europei), trasformò questa semplice composizione musicale in una
bandiera, in un vero e proprio vessillo sonoro rappresentante i valori fondamentali propugnati dalla
Rivoluzione francese del 1789: Liberté, Égalité, Fraternité.
Con il passare degli anni la composizione di Rouget de Lisle non perse questa sua fortissima
connotazione politica. Nelle numerose pellicole cinematografiche in cui è presente (es. Casablanca
Il 1792 fu un anno estremamente importante per l’allora Francia rivoluzionaria. Dopo il fallimento della
tentata fuga di Luigi XVI e della famiglia reale nel giugno del 1791, gli animi dei rivoluzionari si erano
ulteriormente incendiati. Il 10 luglio 1792 una folla inferocita assaltò il Palazzo delle Tuileries a Parigi (sede
della famiglia reale dopo il loro trasferimento coatto nella capitale francese dalla Reggia di Versailles)
uccidendo gran parte della Guardia Reale (il corpo di polizia personale della famiglia reale) e minacciando la
vita stessa dei membri della corona. Inoltre, l’acuirsi dei contrasti internazionali tra la Francia e le altre
monarchie europee aveva portato la giovane nazione rivoluzionaria a intraprendere un complesso sforzo
bellico contro Austria e Prussia. La Francia rivoluzionaria sconfisse gli schieramenti militari austro-prussiani
nella battaglia di Valmy combattutasi il 20 settembre 1792. Forti dell’appoggio popolare interno e della
significativa vittoria militare sugli eserciti monarchici europei, il 21 settembre 1792 i deputati della
Convenzione (assemblea esecutiva e legislativa in vigore dal settembre 1792 all’ottobre 1795) votarono
l’abolizione della monarchia e la nascita della Prima Repubblica Francese (che perdurò fino al maggio 1804
quando Napoleone Bonaparte proclamò la nascita del Primo Impero concludendo così la prima esperienza
repubblicana francese).
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L’inno di Rouget de Lisle, intitolato Chant de guerre de l'armeé du Rhin e inizialmente dedicato al
maresciallo franco-tedesco Nicolas Luckner (all’epoca comandante in capo dell’Armata del Reno, incarico
che ricoprì dal dicembre 1791 al maggio 1792), prese ben presto il celebre nomignolo di Marsigliese poiché
un numero assai significativo di soldati facenti parte dell’Armata del Reno erano volontari provenienti dalla
città di Marsiglia e dalle campagne della Francia meridionale. Ironia della sorte, il generalissimo Nicolas
Luckner morì ghigliottinato nel gennaio 1794 dopo essere stato accusato di alto tradimento.
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di Michael Curtiz e Mrs Henderson Presents di Stephen Frears) La Marsigliese è un vero e proprio
simbolo musicale. Le note dell’inno di Rouget de Lisle, infatti, sono il sottofondo sonoro su cui
impavidi personaggi lottano, spesso rischiando la propria vita, per difendere valori imprescindibili
quali la democrazia e la libertà. Inoltre, nel 1967 alcune note de La Marsigliese vennero utilizzate
dai Beatles nella canzone All you need is love (inno di amore e fratellanza tra gli individui e tra i
popoli).
Le prime nove battute dell’Hymne des Marseillais (Chant de guerre de l'armeé du Rhin) di Claude-Joseph
Rouget de Lisle, così come pubblicato nella raccolta Cinquante chants francais edita dalla
Chez Ignace Pleyel et fils aîné nel 1825.
Non è certo un caso che nel 1965 il sassofonista Albert Ayler4, come già ricordato in apertura di
questo breve scritto, decise di utilizzare La Marsigliese, manipolandola, per dare vita a una
Albert Ayler nacque a Cleveland (Ohio, USA) nel 1936. Fu uno dei più importanti esponenti del jazz
informale degli anni ‘60 del secolo scorso. Durante la sua carriera musicale collaborò con molti artisti
affermati quali Cecil Taylor (1929) e Don Cherry (1936-1995). Nel 1965 formò un quintetto con il quale
affrontò la musica free jazz. Il suo animo libertario e indomito lo portò non solo a creare una musica
aggressiva, ricolma di dissonanze e capace di creare inediti tessuti sonori ma, al contempo, lo spinse a
impegnarsi personalmente nelle battaglie connesse all’emancipazione della comunità afroamericana
all’interno dell’ancora razzista società statunitense della metà del secolo scorso. Nel 1970, in circostanze
ancora non chiarite, Albert Ayler venne ritrovato morto, causa annegamento, nelle acque dell’East River
davanti al molo di Congress Street a Brooklyn (New York). Tra le sue incisioni più importanti si devono
ricordare gli album Bell’s (1965) e Love Cry (1967), quest’ultimo dedicato alla memoria dell’allora
recentemente scomparso John Coltrane. La critica ha sempre apprezzato il suo stile musicale aggressivo,
l’ottima padronanza tecnica del proprio strumento (sassofono tenore) e la sua straripante vena creativa e
compositiva.
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composizione che fosse in grado di propugnare ideali rivoluzionari5. Ayler fu uno dei massimi
esponenti della musica free jazz6 (avanguardia musicale che si poneva il non facile obbiettivo di
liberare la musica e la società statunitense tanto dai canoni estetici del passato quanto dalle
profonde ingiustizie sociali e razziali che imperversavano negli Stati Uniti dell’epoca).
Il 23 settembre del 1965, presso la Judson Hall di New York, Albert Ayler tenne un concerto
accompagnato da altri importanti musicisti: Donald Ayler (tromba), Call Cobbs (clavicembalo
elettrico), Henry Grimes (contrabbasso), Sunny Murray (batteria), Gary Peacock (contrabbasso) e
Charles Tyler (sax alto). Dalla registrazione di questo concerto nacque il disco Spirits Rejoice
(ESP-Disk, New York) comprendente le seguenti composizioni: (Lato A) Spirits Rejoice, Holy
Family, (Lato B) D.C., Angels, Prophet. Questo disco è stato intelligentemente descritto dal critico
musicale Paolo Vitolo con le seguenti parole:
Tutto si svolge in un concerto dal vivo alla Judson Hall. Spirits Rejoice è La Marseillaise, Holy
Family una sorta di inno infantile a tempo di rock and roll, D.C. un riff popolaresco ripetuto a
sempre maggiore velocità fino all’orgia dei suoni, Angels una ballad strappacuore intonata sugli
accordi di un clavicembalo, Prophet un ritmato grido collettivo. È l’Ayler dell’isteria e del
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cortocircuito: fascinosissimo ma sconsigliabile ai non ayleriani.
Come sinteticamente ricordato da Paolo Vitolo, la title track dell’album, Spirits Rejoice, è una
rivisitazione in chiave free jazz de La Marsigliese. Ayler decise di aprire con la celebre melodia
francese il proprio disco poiché desiderava ardentemente che la sua registrazione discografica
avesse un significato politico oltreché musicale. Per Albert Ayler il free jazz era una via musicale
all’emancipazione della comunità afroamericana statunitense la quale, ancora nel corso degli anni
‘60 del secolo scorso, si trovava a vivere in un evidente stato di subordinazione sociale nei
confronti dell’imperante comunità bianca anglosassone. È estremamente affascinante vedere
come il tema musicale de La Marsigliese, benché fortemente stravolto da Albert Ayler (il quale lo
inserì all’interno di un contesto sonoro volontariamente cacofonico), non perda per nulla la propria
carica rivoluzionaria. Sebbene esteriormente Ayler abbia trasfigurato e manomesso la celebre
composizione di Rouget de Lisle, al punto da renderla riconoscibile solamente a tratti, quest’ultima
non perse la propria fondamentale connotazione rivoluzionaria. Il venire meno di tale possibile
cortocircuito è ascrivibile, senza ombra di dubbio, all’enorme importanza storica che La Marsigliese
Nel 1965 la lotta contro la segregazione razziale dei neri negli Stati Uniti stava vivendo uno dei suoi
momenti più difficili e violenti. Nel 1964 e nel 1965 la comunità afroamericana, grazie in primis all’impegno di
Martin Luther King (1929-1968), aveva ottenuto importanti vittorie conseguendo l’approvazione del Civil
Rights Act e del Voting Rights Act, leggi che proibivano ogni forma di discriminazione razziale in ogni aspetto
della vita pubblica statunitense. Tuttavia, a queste importanti e significative vittorie andarono a affiancarsi
momenti di grande sconforto e sofferenza per la comunità nera statunitense. Il 21 febbraio 1965 veniva
assassinato a New York l’intellettuale e contestatore afroamericano Malcom X. Domenica 7 marzo 1965
(giornata passata alla storia con il nome di Bloody Sunday) le forze di polizia dello stato dell’Alabama
caricarono armi alla mano, nella città di Selma, una marcia di manifestanti per i diritti civili provocando un
morto e diversi feriti. Nell’agosto del 1965 il distretto residenziale di Watts (Los Angeles, California) divenne
l’epicentro di una gigantesca sommossa razziale che perdurò per sei giorni e si concluse con 34 morti, più di
mille feriti e quasi quattromila arresti.
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Il free jazz fu una delle più importanti correnti stilistiche in cui la cultura musicale afroamericana andò
diramandosi nel corso degli anni ‘60 del Novecento. Rispetto a stili jazzistici cronologicamente antecedenti
(quali, ad esempio, il bebop e il cool jazz) il free jazz si caratterizzava per l’enorme libertà espressiva
concessa ai musicisti i quali dovevano suonare assieme senza possedere, quale punto di riferimento, una
partitura o una qualsivoglia struttura formale all’interno della quale rinchiudere le proprie peregrinazioni
sonore (per questo il free jazz rappresenta lo stile informale per antonomasia nella complessa e multiforme
storia della musica afroamericana). Il disco capostipite di tale rivoluzionaria sensibilità estetica fu Free jazz:
A collective improvvisation (1960/61) di Ornette Coleman (un altro disco fondamentale all’interno della storia
della musica free jazz fu Ascension, del 1966, di John Coltrane).
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Paolo Vitolo e Daniel Soutif, Guida al jazz: gli autori e le musiche dal bebop alla creative music, Italia:
Pearson Italia S.p.a., 2002, pp. 6-7.
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ha svolto all’interno della complessa storia occidentale tra il XVIII e il XIX secolo. Sebbene
manomessa, mutata, inserita in un contesto storico e estetico completamente differente rispetto ai
propri territori d’origine, la composizione di Rouget de Lisle, per via della sua potentissima
peculiarità contenutistica (l’essere una composizione rivoluzionaria portatrice di un significato
sonoro intimamente connesso alla lotta per l’emancipazione dei popoli e delle classi più umili), è
riuscita a mantenere inalterato, a distanza di quasi due secoli, il proprio messaggio. A ciò si deve
aggiungere l’intelligente lavoro compositivo perpetrato da Ayler e compagni. Sebbene la melodia
originale de La Marsigliese sia stata da loro fortemente alterata, tale attività manipolatoria si
concentrò più sulla trasformazione degli aspetti secondari connessi alla celebre melodia
rivoluzionaria (es. timbro/colore, armonia/sfondo sonoro) piuttosto che focalizzarsi su di una
significativa variazione del ritmo o di quel ben determinato susseguirsi di rapporti intervallari tra
suoni di differenti altezze che rappresenta il vero scheletro portante di ogni linea melodica. Tale
ragionato lavorio compositivo permise alla celebre melodia di Rouget de Lisle di mantenere
inalterata la propria riconoscibilità (e, quindi, il proprio contenuto rivoluzionario) pur essendo
inserita in un contesto sonoro a essa completamente nuovo (e, perché no, estraneo) descrivibile,
almeno superficialmente, quale rumoroso, aspro e volutamente dissonante. Albert Ayler lavorò
sulla melodia di Rouget de Lisle con passione quanto con intelligenza e attenzione. Per Ayler, è
bene ricordarlo, il free jazz (incarnazione sonora di quell’allora nuovissima “Fire music”, musica
incendiaria, che animava le menti e i gusti artistici degli strati più progressisti della comunità nera
statunitense degli anni ‘60 del Novecento) fu tanto una modalità tramite la quale scrivere musica
quanto una via artistica all’emancipazione dei neri (non a caso nel 1966, grazie a questo
particolare clima culturale, nacque a Oakland, una delle principali città della California, il Black
Panther Party for Self-Defence, partito politico di ispirazione marxista-leninista che aspirava alla
completa emancipazione della comunità nera statunitense dal sistema politico e economico
ultracapitalista statunitense le cui redini erano saldamente in mano alla popolazione bianca).
La celebre melodia de La Marsigliese non ha perso neppure oggi il suo fascino. L’inno di
Rouget de Lisle continua a rappresentare non soltanto un’epoca passata (e ormai lontana)
segnata da profondi sconvolgimenti politici e sociali ma è ancora oggi, sebbene siano passati più
di due secoli dalla sua composizione, il vessillo sonoro di quell’inestinguibile desiderio di giustizia
sociale e fratellanza tra i popoli che, sebbene tra enormi fatiche e numerosi fallimenti, molti uomini
e molte donne continuano a sognare e a perseguire in tutto il mondo.
Bibliografia essenziale
. AA. VV., Il jazz in 101 incisioni storiche, Atlante della musica e del cinema, Italia: Giunti Editore,
1995.
. Alan Forrest, La Rivoluzione Francese, Milano: Il Mulino, 1999.
. Erica Joy Manucci, La Rivoluzione Francese, Italia: Carocci editore, 2002.
. Paolo Vitolo e Daniel Soutif, Guida al jazz: gli autori e le musiche dal bebop alla creative music,
Italia: Pearson Italia S.p.a., 2002.
. Rob Young, La guida alla musica moderna di Wire - Tutti i dischi intelligenti che dovresti
conoscere, Italia: Isbn Edizioni, 2010.