La metafora dell`allevamento

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La metafora dell`allevamento
MZ Il giornale del ribelle - Movimento Zero
La metafora dell'allevamento
Ad un uomo moderno, trovarsi di fronte a un allevamento industriale di animali suscita spesso un sentimento di
avversione e di fastidio. Nella sua sensibilità, capisce in fondo di essere di fronte a un'ingiustizia, a una barbarie: se anche
l'animale costretto a vivere in allevamento, in genere si trova al riparo dai pericoli e dalle brutture della vita selvaggia,
esso ne è privo parimenti delle gioie ma soprattutto del significato più autentico, che definisce il suo essere quell'animale
fino in fondo. Istintivamente, intuitivamente, percepisce che l'allevamento è una crudeltà.
E poichè l'uomo moderno ha sviluppato una sensibilità elevata, acuta, nei confronti delle condizioni degli animali, egli
spesso se ne indigna. Ma, cieco nella sua sensibilità "evoluta", altruista e civile, evita sempre di guardare a se stesso, che
dovrebbe essere invece la cosa più importante. Se lo facesse, scoprirebbe su di sè una realtà assai più drammatica:
scoprirebbe con orrore che la condizione di allevamento riguarda lui stesso, prima che gli animali.
Ma il dramma non si limita a questo. Per inciso, il sentimento di "simpatia" che caratterizza l'uomo moderno verso gli
animali a mio parere è preoccupante. L'amore, l'amicizia, la simpatia sono tipici dei simili, di chi sa guardarsi negli occhi
e sa capirsi: l'uomo moderno si dimostra quindi uomo degradato, considerando oltretutto che la sua comprensione verso
il mondo animale non lo avvicina di certo agli animali liberi della savana o della foresta, fieri e dignitosi, ma quasi sempre
verso gli animali domestici, cani e gatti, insensati ed egoistici passatempi d'appartamento, verso i quali egli nutre un
attaccamento morboso e quasi patologico. Si potrebbe partire da qui, ma il paragone con l'allevamento risulterà più chiaro
e semplice.
La condizione dell'allevamento intensivo somiglia spaventosamente a quella della modernità. Già basterebbe guardare i
moderni condomìni delle grandi città, razionali e funzionali, per rendersi conto di avere a che fare con dei pollai, o qualcosa
di simile. Ma le somiglianze più agghiaccianti purtroppo non sono così evidenti.
Tanto per cominciare, l'animale in allevamento ha la sopravvivenza (quasi) assicurata: trattandosi di un patrimonio da
tutelare, èquipes di veterinari e specialisti provvedono alla sua salute e salvaguardia. Esso non ha di che preoccuparsi.
Inoltre non solo evita la morte prematura, ma pure ha la garanzia di vivere più a lungo: negli allevamenti infatti la durata
della vita media dell'animale si alza in modo consistente rispetto alla condizione di natura (e già qui la somiglianza con noi
fa venire i brividi...).
In questo modo si infrange miseramente il presunto miglioramento che l'uomo moderno si attribuisce tanto
generosamente, cioè quello di avere sconfitto molte malattie mortali e di avere allungato la vita dell'uomo: questo è vero,
ma sotto la condizione di una vita di sottile e inesorabile sottomissione e cattività. La sopravvivenza per tutti e
l'allungamento della vita dell'uomo moderno somigliano più alla condizione in cui l'aguzzino tiene in vita e in salute la sua
vittima per poter compiere meglio il suo mestiere. La sopravvivenza per tutti ad ogni costo non è affatto cosa si cui
l'uomo moderno si dovrebbe vantare, sia perchè la natura ha delle ragioni ultime ben superiori alla misera ragione
umana, sia perchè all'apparato che compie questo miracolo tecnico della sopravvivenza a buon mercato, deve a buon
diritto essere attribuita la potenza di un mostro o di un dèmone, e questo può fare sorgere il dubbio che le finalità siano
tutt'altro che benevole.
Ma torniamo ai nostri allevamenti. La condizione di allevamento, rispetto a quella naturale, comporta un maggiore
movimento dell'animale. Innanzitutto mangia di più, dal che ne consegue che i soggetti sono in genere più grassi. E,
paradossalmente, sono più in "attività", come le galline a cui non viene mai spenta la luce nemmeno di notte affinchè
producano più uova. L'allevamento è una condizione innanzitutto di produzione: il soggetto di allevamento deve
continuare a produrre, sempre di più, non fermarsi mai. E' quella la sua unica ragione di vita (e infatti anche la nostra...).
La produzione è anche ciò che distingue veramente un animale da un altro: infatti nell'allevamento gli animali sono
veramente tutti uguali, tutti in fila nei loro posti tutti identici, senza la speranza di distinguersi in nient'altro che non sia la
produzione stessa. L'identità è scomparsa: l'abilità nel procurarsi il cibo, nell'esplorare e nel conquistarsi il territorio, nel
farsi alleanze, nel corteggiare e nel procacciarsi la femmina, nell'accudire i piccoli e nel proteggerli dai pericoli...tutto
svanito, scomparso. L'uguaglianza è fondamentale per porre la produzione a unica ragione di esistenza.
Sembrerebbe tuttavia che la libertà dell'uomo moderno contraddica la suddetta condizione di "allevamento".
Obiettivamente infatti, la libertà non ci è preclusa, essa è tangibile. In realtà è così solo in apparenza. La libertà moderna
infatti somiglia tanto alla condizione del criceto che corre sulla sua ruota restando sempre fermo. Essa è indotta
dall'esterno: somiglia più ad una agitazione che ad una libertà vera, perchè è puramente materiale, incosciente, passiva.
Essa è eterodiretta, è puro movimento: in questo senso, non essendo vera libertà, perchè assolutamente prevedibile e
prevista, la pseudo-libertà moderna non fa altro che confermare la cattività del moderno uomo d'allevamento.
Del resto la condizione di cattività fisica non è neppure necessaria per tenere prigioniero un essere tanto sofisticato: la
prigione che l'uomo moderno si è costruita è una prigione culturale, non fisica.
E' la ragione tecnica figlia dell'Illuminismo, che riduce la natura ad aspetti astratti, gli unici che essa concepisce, e poi
crea un mondo tutto suo, a cui ogni uomo deve adattarsi e su cui deve riposizionare la propria vita: la libertà viene ridotta
a movimento, la giustizia a uguaglianza, i rapporti umani a solidarietà sociale, il sapere a istruzione...E' la prigione senza
pareti dentro la quale siamo intrappolati, le gabbie immateriali della nostra mente che hanno ridotto la condizione umana
a un allevamento invisibile e il mondo intero a un macello a cielo aperto.
Massimiliano Viviani
http://www.giornaledelribelle.com
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Generata: 16 March, 2017, 13:57