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REGATT 18-2009.qxd 15/10/2009 17.22 Pagina 609 Guatemala A M E R I C A L AT I N A p er avere futuro Intervista a mons. Alvaro Ramazzini, vescovo di San Marcos M ons. Ramazzini Imeri, vescovo di San Marcos, già presidente della Conferenza episcopale del Guatemala (20042008), di cui attualmente presiede le Commissioni pastorali della mobilità umana, penitenziaria e Caritas, è una delle figure dell’episcopato latinoamericano maggiormente impegnate sul piano sociale. È stato ripetutamente minacciato di morte per l’appoggio ai contadini senza terra e il suo sostegno alle proteste contro le miniere a cielo aperto. Com’è oggi la situazione del Guatemala? «Molto negativa: l’impoverimento cresce, coinvolgendo l’80% della popolazione, con un 60% che vive nella miseria; aumentano gli emigranti, nonostante migliaia siano deportati dagli Stati Uniti (e oggi si aggiungono le vergognose leggi europee in materia); secondo l’UNICEF la denutrizione infantile riguarda il 49% dei bambini sotto i 5 anni (59% tra gli indigeni), in un paese che può realizzare tre raccolti all’anno. Tutto ciò è frutto di una struttura sociale ingiusta ed escludente, in cui la ricchezza è detenuta da una ventina di famiglie, e al cui centro c’è il problema dell’iniqua distribuzione della terra, che nessuno ha voluto finora affrontare e sulla quale si fonda il modello agroesportatore prevalente nel paese. Basti pensare che oggi, come denuncia un recente Rapporto sulla situazione dell’alimentazione in Guatemala preparato da un organismo austriaco di cooperazione allo sviluppo, vasti terreni ed enormi quantità d’acqua sono destinati alla produzione di agro-combustibili, coltivando canna da zucchero e palma afri- cana, a scapito del mais. È pazzesco: non abbiamo cibo, ma avremo diesel! E così i contadini cominciano a coltivare papaveri da oppio. Sono molto preoccupato anche per gli annunciati Accordi di associazione tra Centro-America e Unione Europea. Il negoziato pare che adesso si sia bloccato per la crisi in Honduras, ma finora i nostri governi hanno condotto la trattativa senza aprire alcuna discussione con la società civile. Non vorrei si ripetesse quanto avvenuto col Trattato di libero commercio tra Stati Uniti e America centrale (CAFTA), che non ci ha aiutato per nulla perché la disuguaglianza tra i partner è enorme. Questo accordo dovrebbe invece essere prima di tutto un patto d’aiuto allo sviluppo dei nostri paesi, mettendo in secondo piano l’aspetto commerciale». La riforma agraria al centro – Quale potrebbe essere un primo passo per superare questa situazione? «In Guatemala la radice dei problemi sociali e ambientali è l’assenza di una riforma agraria. Nell’enciclica Caritas in veritate anche Benedetto XVI ne parla esplicitamente, dando un sostegno autorevole a noi vescovi che la chiediamo da anni. Oggi la soluzione passa per il varo di una legge per lo sviluppo rurale integrale che assegni alla terra non solo il compito di produrre per l’esportazione, e ciò implica toccare la proprietà fondiaria. Le organizzazioni contadine, con l’appoggio della Commissione pastorale della terra, hanno elaborato una proposta, peraltro non molto radicale, con- cordata con il governo, che però non è andata avanti, per cui in luglio i movimenti popolari hanno realizzato blocchi stradali in tutto il paese e ora pare che il presidente della Repubblica, Alvaro Colom, intenda appoggiarne l’approvazione. Non sarà facile perché il nostro progetto prevede aspetti come l’introduzione di un codice agrario, di tribunali agrari e di un ministero di sviluppo rurale a sostegno dell’economia contadina di sussistenza, che trovano l’opposizione dei grandi proprietari terrieri. I latifondisti hanno presentato, attraverso la Camera dell’agricoltura, una propria proposta, che si somma a quelle del precedente governo conservatore del presidente Oscar Berger e di Otilia Lux, già ministra della Cultura e dello sport nell’esecutivo del presidente Alvaro Portillo (2000-2004), oggi deputata indipendente legata al partito indigeno Winaq dopo essere stata eletta nella formazione di centrosinistra Incontro per il Guatemala. Ma senza un cambiamento a questo livello aumenterà la povertà e quindi la violenza, perché la grande maggioranza dei giovani non ha prospettive. Programmi governativi come Coesione sociale o l’erogazione di 150 quetzales (12 €) mensili alle famiglie povere delle campagne, purché mandino i figli a scuola, non sono risolutivi». – Chi sono i responsabili della violenza diffusa nel paese? «È difficile capirlo. C’è la criminalità organizzata; è aumentato il numero dei sicari che uccidono per soldi; ci sono i narcotrafficanti, che a loro volta si ap- IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2009 609 REGATT 18-2009.qxd 15/10/2009 17.22 Pagina poggiano alle maras, bande giovanili disposte a uccidere o minacciare, come è successo un paio d’anni fa col missionario italiano p. Pietro Nota, che ha dovuto lasciare il paese; e si parla pure di un gruppo di militari che vorrebbe conservare il potere fomentando il disordine. L’azione di contrasto da parte dello stato è scarsa, perché nella polizia c’è ancora molta corruzione nonostante numerosi agenti siano stati cacciati; le indagini non vengono realizzate, tanto che è stata la Commissione internazionale contro l’impunità in Guatemala dell’ONU a scoprire 9 persone coinvolte nell’omicidio, avvenuto in maggio, dell’avvocato Rodrigo Rosemberg, e la legislazione sulla protezione dei testimoni andrebbe rafforzata. Inoltre le carceri sono controllate dai detenuti». – Da anni lei è in prima fila nelle proteste contro la presenza nella sua diocesi dell’impresa mineraria Montana exploradora de Guatemala, una sussidiaria della canadese Goldcorp inc. Quali sono gli ultimi aggiornamenti? «Due mesi fa abbiamo reso pubblici i risultati delle nostre analisi sull’inquinamento dei corsi d’acqua della zona: esso aumenta per quanto riguarda i metalli pesanti, mentre non è stato trovato cianuro. L’impresa ha replicato che rispetta gli standard stabiliti dalla Banca mondiale, ma noi vogliamo conoscere la condizione dell’acqua della laguna creatasi in seguito alla costruzione di una diga. Abbiamo chiesto al loro avvocato di mettere a confronto i risultati delle nostre analisi e delle loro, ma soprattutto abbiamo proposto di affidarle a un organismo indipendente specializzato. A San Miguel Ixtahuacan, dove c’è la miniera e la comunità è spaccata a metà tra favorevoli e contrari, l’azienda ha inoltre organizzato una manifestazione pubblica di sostegno al progetto estrattivo, cui hanno partecipato 1.200 persone, in maggioranza lavoratori dell’impianto, durante la quale hanno gridato al parroco belga, p. Erik Gruloos, che è straniero e se ne deve andare. Intanto la Commissione per la trasparenza del Parlamento guatemalteco è venuta a San Marcos per verificare la situazione del sito minerario perché c’è una deputata, Rosa Maria De Frade, eletta con la Grande alleanza nazionale (di destra, al governo nel 2004-2008 e 610 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2009 610 oggi all’opposizione) e attualmente appartenente al Gruppo parlamentare “Guatemala”, che è impegnata per la riforma della legge sulle miniere. Abbiamo chiesto a Colom di sollecitare il Congresso ad approvare la proposta di legge concordata nel 2006 con la società civile, a cominciare dai movimenti ambientalisti e dalla Conferenza episcopale. La posizione ecologista radicale rifiuta qualsiasi attività mineraria, mentre la Costituzione la consente: per questo occorre cambiare la legge fondamentale, così come hanno fatto Bolivia ed Ecuador. Da noi è molto difficile, per cui puntiamo a modifiche della normativa ordinaria che mettano vincoli rigorosi a questa industria. D’altro canto le royalty che il Guatemala riceve sono minime: fino a marzo la ditta canadese ha ottenuto profitti per 245 milioni di dollari e ne ha dati al paese solo 7. Adesso sta cercando di comprare altra terra per allargarsi e a volte qualche contadino vende perché ha bisogno di denaro, ma in generale la resistenza della popolazione a questi progetti, compresa la costruzione di centrali idroelettriche, come quella sul fiume Salá, cresce e la situazione è molto tesa». Ve r so d e s t ra – Come giudica l’operato del governo del presidente Colom? «È un governo molto debole, che non ha il coraggio d’affrontare i problemi fondamentali del paese, anche perché Colom deve molti favori agli imprenditori che gli hanno finanziato la campagna elettorale. In settembre ho incontrato il relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto all’alimentazione, Olivier de Schutter, che si era appena incontrato col presidente. Mi ha detto che Colom teme si ripeta in Guatemala quello che sta succedendo in Honduras, per cui non intende realizzare cambiamenti profondi per paura di un colpo di stato. Secondo me, invece, il governo potrebbe realizzare alcune riforme senza correre questo rischio». – Quale scenario si prospetta per le presidenziali del 2010? «Temo che sarà una partita tutta giocata a destra, tra il generale a riposo Otto Perez Molina, già capo dello stato maggiore presidenziale dal 1993 al 1996, oggi leader del Partito patriota e alfiere della “mano dura” (del cui ruolo nell’omicidio del vescovo Juan Gerardi parla il libro F. GOLDMAN, L’arte dell’omicidio politico, Il Saggiatore, Milano 2008), e Harold Caballeros, un ex pastore evangelico della Chiesa “El Shaddai” (la stessa dell’ex presidente Jorge Serrano, eletto nel 1990 e fuggito dal paese nel 1993 dopo aver tentato un auto-golpe) che ha fondato il partito Visione con valori. Forse si candiderà anche la moglie di Colom, Sandra Torres». – E il movimento popolare? L’impressione è che le organizzazioni nazionali siano ancora quelle degli anni Ottanta e fatichino a raggiungere una massa critica che le renda efficaci. «Credo sia così; manca soprattutto un coordinamento tra le varie organizzazioni che apra la strada a un movimento popolare forte e incisivo. Non ci sono leader capaci di unire, perché prevalgono gli interessi di gruppo, le ambizioni personali e il protagonismo dei dirigenti. Dal movimento di resistenza contro le miniere è nato nel 2008 il Consiglio dei popoli dell’Occidente, che riunisce diverse organizzazioni sociali indigene e non; spero cresca e si estenda alla parte orientale del paese. Secondo alcuni potrebbe costituire la base di un partito politico, ma nelle elezioni del 2016». – La Conferenza episcopale interviene puntualmente su singoli problemi (emigrazione, miniere ecc.), ma rispetto a qualche anno fa sembra meno capace di indicare un’idea di paese. «In effetti come episcopato abbiamo purtroppo un po’ ridotto il nostro impegno di denuncia. Lavoriamo molto sul tema dei migranti, anche perché il segretario della Commissione episcopale di mobilità umana, p. Mauro Verzelletti, è molto attivo, e la Commissione pastorale della terra si sforza di essere incisiva. Come Conferenza episcopale ora manteniamo un profilo più basso perché i vescovi non hanno tutti la stessa opinione sulla situazione del paese, soprattutto su alcuni problemi sociali, a cominciare da quello della terra, anche per la diversa realtà concreta delle singole diocesi. Certo tutti consideriamo importante la lealtà nella Conferenza episcopale, per cui se si prende una decisione a maggioranza chi non è d’accordo tace e poi nella propria diocesi può muoversi ~ segue a p. 631 REGATT 18-2009.qxd 15/10/2009 17.22 Pagina anche in un’altra direzione. Tuttavia la mancanza di consenso ci ha fatto perdere un po’ della forza che avevamo durante la guerra civile. Mi auguro che possiamo recuperarla anche grazie al contributo dei nuovi vescovi, gli italiani Rosolino Bianchetti a Zacapa e Mario Fiandri nel Peten». – Oggi, secondo lei, a che cosa dovrebbe dare priorità la Chiesa guatemalteca? «Credo che dovremmo rafforzare la nostra pastorale sociale, coordinando gli sforzi dei diversi settori che la compongono (salute, terra, Caritas, carceri, diritti umani, mobilità umana) per avere più peso a livello nazionale e magari convincere anche gli imprenditori a sedersi a un tavolo per prendere atto che così il paese non può andare avanti e concertare un nuovo progetto di nazione». Maggior dialogo tra ve scovi – Che significato ha la particolare sensibilità sociale espressa dal Consiglio ecumenico cristiano del Guatemala, creato nel 2007? Quale eco ha nella società? «Quello di presentare una pratica cristiana, che coinvolge cattolici e non cattolici, in cui, come diceva Giovanni Paolo II, non c’è divorzio tra fede e vi- Santa Sede Ve scovo a rge n t i n o Dimettete mons. Melani L a nomina di un coadiutore. Questo potrebbe essere l’esito del «caso» apertosi in marzo, durante la visita ad limina dei vescovi argentini, quando il card. Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i vescovi e presidente della Pontificia commissione per l’America Latina, aveva «suggerito» a mons. Marcelo Melani, salesiano italiano ordinario di Neuquén e presidente della Commissione episcopale per la pastorale aborigena in Argentina, di presen- ~ segue da p. 610 631 ta, a differenza di certi gruppi neopentecostali e carismatici, che rimangono estranei ai problemi sociali. E dimostrare che l’ecumenismo è possibile. Inoltre il suo lavoro ha eco sui mass media soprattutto. Meno tra la gente, anche perché le Chiese protestanti storiche che lo compongono (luterani, episcopaliani, presbiteriani ecc.) sono piccole. Oggi in Guatemala la maggioranza dei non cattolici appartiene a Chiese evangeliche settarie, che fanno molti seguaci proponendo riti di guarigione, ma intervengono pubblicamente solo su questioni che riguardano la famiglia». – Alla vigilia della V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, lei aveva sottolineato l’importanza che fossero affrontate alcune questioni intraecclesiali, per esempio quella dei ministeri, che però non sono poi state toccate. Come pensa sia utile mantenere desta l’attenzione su questi temi? «Nelle presentazioni della situazione del proprio paese, fatte all’inizio della Conferenza di Aparecida dai presidenti dei diversi episcopati, emergeva una sorta di contraddizione tra l’insistenza sulla necessità di rafforzare nelle comunità cristiane la percezione dell’importanza della vita sacramentale, in particolare dell’eucaristia, e l’insufficienza di ministri ordinati per celebrarla. Questo tema resta pendente. In Guatemala, per esempio, ci rendiamo conto che le celebrazioni della Parola guidate dai delegati della Parola sono un’esperienza molto positiva e ricca, ma spesso i fedeli finiscono per identificarle con l’eucaristia, per il semplice fatto che raramente hanno la possibilità di partecipare a una messa. Dobbiamo trovare il modo per cui alle comunità non manchi la celebrazione dell’eucaristia e della riconciliazione. Secondo alcuni con una forte promozione delle vocazioni risolveremo il problema della scarsità dei preti, ma io non credo sia così. Penso che dovremmo almeno avviare una discussione ampia e approfondita su nuove alternative, ma questa possibilità mi pare ancora lontana. Sarà interessante vedere se il tema sarà affrontato al Sinodo per l’Africa. Temo però che anche a livello di conferenze episcopali i tempi non siano maturi. La maggioranza di noi vescovi non ritiene questi argomenti materia di dibattito, per cui quando vengono sollevati i più rispondono che non se ne deve parlare. Occorre maggiore libertà anche tra noi vescovi e forse così questi problemi potranno essere affrontati». a cura di Mauro Castagnaro tare la rinuncia alla guida della diocesi a motivo degli «abusi liturgici» e delle «imprecisioni teologiche» di cui era giunta notizia alla Santa Sede. Queste deviazioni, mai rese pubbliche, avrebbero riguardato il fatto che i preti «trascurino di indossare camice, stola e casula», deleghino ai laici la distribuzione dell’eucaristia, mettendosi in fila per riceverla, consacrino pani in presenza di particole, affermando quindi una «mancanza di differenziazione tra clero e fedeli». Le denunce sarebbero arrivate a Roma anonimamente, ma la stampa argentina ha fatto due «nomi eccellenti»: l’ex ministro degli Esteri italiano Susanna Agnelli, deceduta nel maggio scorso, madre del presidente di Fiat Argentina, Cristiano Rattazzi, e il domenicano p. Aníbal Fosbery, fondatore della Fraternità dei raggruppamenti San Tommaso d’Aquino (FASTA), un movimento cattolico conservatore che collaborò col regime militare (1976-1983). Secondo molti preti locali, in realtà le accuse contro il presule sarebbero dovute alle sue posizioni progressiste in campo sociale, in continuità con la linea dello scomparso mons. Jaime De Nevares, uno dei pochissimi membri dell’episcopato ostile alla dittatura e fondatore del Movimento ecumenico per i diritti umani, di cui fa parte anche mons. Melani. Questi aveva ricevuto la solidarietà del presbiterio diocesano, di molte organizzazioni sociali, di diversi confratelli, tra cui mons. Fernando Maletti, vescovo di Bariloche, e dei Preti nell’opzione per i poveri, che avevano criticato «l’ipocrisia di “filtrare il moscerino” di presunte irregolarità e “ingoiare il cammello” di ogni tipo di abusi e ingiustizie del presente e del passato», dalla «collaborazione con regimi dittatoriali» al «lusso provocatorio di alcuni palazzi episcopali», nei confronti dei quali «ci sono timide o inesistenti parole o assenza totale di gesti ecclesiali». Mons. Melani aveva rifiutato di dimettersi, sollecitando però l’invio di un visitatore apostolico, non avendo la diocesi «nulla da nascondere». E a fine settembre ha spiegato: «Se il Vaticano invia un coadiutore, sarà benvenuto, come un fratello». M. C. IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2009 631