Educazione sentimentale

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Educazione sentimentale
Persinsala Teatro
Mailè Orsi
dicembre 24, 2016
Arriva a Fuori Luogo La Spezia Kronoteatro con Educazione
sentimentale, secondo capitolo del dittico La resa. La guerra dei sessi si
fa geometria.
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Resa a cosa? L’inganno è dietro l’angolo, ed è difficile capirsi.
Tre uomini, in vacanza in un posto di mare, in tre identiche villette a
schiera.
I rapporti sono superficiali, possibilmente evitati.
Un giovane che studia per un esame, un medio giovane con problemi di
relazione e ossessionato dal lavaggio dei denti, un vecchio che si fa
compagnia con un piccolo cane di plastica (cosa significativamente
curiosa: i personaggi in scena non sembrano troppo turbati o stupiti della
sua presenza).
E poi lei, bella, giovane, un corpo che (ingenuamente?) si muove alla
musica del reggaeton in modo sensuale. Inizia la conquista. I corpi si
mettono in movimento sul ritmo della musica.
Inizia una prima educazione sentimentale (o tre se si include anche quella
a opera dei Queen): per mezzo del reggaeton e dei suoi testi che, una
volta imparati e ripetuti dai tre uomini, riescono a infastidire come carezze
inopportune.
La presenza della giovane dovrebbe/potrebbe essere salvifica: nel senso di
salvare le anime spente attraverso il risveglio e il sentire l’energia vitale
del corpo. La sua azione si dimostra, al contrario, un involontario suicidio
(forse ci si trova di fronte al solito sacrificio di sé che dovrebbe salvare
l’umanità). Infatti, nonostante le intenzioni, il risveglio del corpo si rivela
piuttosto l’innesco di un’arma letale che, potendo scegliere, si sarebbe
preferito non innescare.
Agli occhi di chi guarda rimane principalmente la sensazione di una guerra
estrema fra i sessi, considerata in modo schematico e geometrico: alla
sensualità innata della lei, risponde un’altrettanto innata violenza
prevaricatrice del maschio di fronte alla quale lei si spegne, si ritira, si
arrende, con un: “Sia ciò che deve essere. Fate di me ciò che volete”.
Va in scena un incontro senza ascolto, privo del rispetto reciproco, in cui
(pur nella simmetrica assenza di ascolto e di rispetto da parte di entrambi i
sessi) è lei a soccombere, a rimanere sconvolta e travolta dall’evoluzione
degli eventi.
All’iniziale autismo e inimicizia tra i personaggi maschili, alla loro
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lontananza, si contrappone la forza e la realtà della loro vitalità sessuale:
identici nell’aspettativa, nella ricerca, nel divorare la carne. Nella loro
totale indifferenza.
A questa evoluzione degli eventi piuttosto amara, risponde il finale: la
metafisica manifestazione del cesso spaziale, che si mangia tutto e
rimette la merda al suo posto, facendo sparire i tre uomini, risucchiati per
sempre.
Un secondo obiettivo di questa educazione sentimentale potrebbe essere
allora un programma, un da farsi, la ricerca di un qualcosa che potrebbe
salvare le persone dal loro mondo di autistica solitudine, senza però
lasciarle alla mercé della violenza degli istinti più bassi (o fondamentali, a
seconda delle preferenze individuali).
Lo spettacolo, come accennato sopra, si potrebbe descrivere come
schematico, geometrico, molto pulito per quanto concerne la scena, l’uso
delle luci, la costruzione del tempo della storia (scelta che, a lungo andare,
risulta tuttavia un po’ monotona).
Nel testo e nell’uso della parola si riflette quell’atteggiamento
contemporaneo nei confronti della vita e della comunicazione
caratterizzato da semplicità, precisione e superficialità, mancanza di
raffinatezza nell’accostarsi alle cose, assenza di capacità di ascolto. Si
tratta, forse, di un “messaggio” dei media, strutturati (e quindi
strutturanti) in frasi semplici – fosse anche vere – semplicemente cucite
insieme. Uno stile che rispecchia, quindi, il particolare autismo
contemporaneo connesso all’autismo tecnologico, per cui non esistono
realmente gli altri né altri corpi, non si riesce a concepirne la realtà e
l’attuale presenza fisica, dotata di materialità.
Allo stesso modo della parola, il ragionamento e il dialogo si fanno piatti,
privati della capacità di ascolto, di raffinatezza e profondità – per quanto
precisi. E, forse proprio per la fedeltà con la quale restituiscono il
panorama contemporaneo, il testo complessivo lascia un po’ l’amaro in
bocca.
Molto belle le luci e la scena, interessante l’uso delle musiche. Anche la
costruzione così pulita e geometrica della messinscena, in generale
convince.
Restano molti interrogativi, al contrario, per quanto riguarda l’uso di alcuni
oggetti di scena, che passano dallo statuto di semplici oggetti a quello di
segni, senza riuscire a rendersi del tutto inquadrabili nella loro funzione,
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dato che i passaggi summenzionati sono troppi e non del tutto leggibili. Un
esempio: Crazy little thing called love, che risuona nel silenzio assoluto
dell’inizio, appena appare la ragazza, è significante, altamente suggestiva,
dall’effetto pulito e preciso. Nel corso dello spettacolo, però, i continui
rimandi alle canzoni dei Queen, costringono a rimettere tutto in
discussione. Che cosa significano? Fanno parte anch’esse di un’educazione
sentimentale – e, quindi, sono sempre un segno – o sono semplicemente
canzoni, espressione di una passione degli autori, che le hanno inserite per
piacere personale?
In uno spettacolo costruito in modo così pulito e schematico, le incertezze
nell’uso dei segni e delle scelte risaltano in modo ancora più evidente.
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Lo spettacolo è andato in scena nell’ambito di Fuori Luogo:
Centro giovanile Dialma Ruggiero
via Monteverdi, 117 – La Spezia (SP)
mercoledì 21 dicembre, ore 21.15
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di Fiammetta Carena
regia Maurizio Sguotti
con Tommaso Bianco, Viola Lo Gioco, Lorenzo Romano e Maurizio Sguotti
scene e costumi Francesca Marsella
disegno luci Amerigo Anfossi
responsabile tecnico Alex Nesti
si ringrazia Nicoletta Bernardini
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