apertura alle donne in arabia saudita? e nel resto del mondo

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apertura alle donne in arabia saudita? e nel resto del mondo
CURA DEL COORDINAMENTO DONNE DELLA FISAC CGIL BRESCIA
APERTURA ALLE DONNE IN ARABIA SAUDITA? ...
... E NEL RESTO DEL MONDO ?
E' tema di discussione di queste ultime ore la notizia che il re Abdullah bin Abd el Aziz al Saud ha
annunciato che le donne saudite potranno finalmente votare e candidarsi alle elezioni
amministrative (le uniche permesse In Arabia Saudita). Rappresentanti femminili avranno anche
accesso al Consiglio della Shura, una specie di Camera con potere esclusivamente consultivo,
composta da 150 (di cui il 50% eletto e l'altro 50% di nomina reale). L' annuncio di re Abdullah ha
fatto subito parlare di "svolta" nella ultra conservatrice monarchia saudita. Essa, tuttavia,
rappresenta soltanto un “granello di sabbia nel deserto” di ciò che rappresenterebbe, per le donne
saudite, una vera condizione di parità. L'annuncio del re Abdallah, considerato un sovrano con una
cauta propensione alle riforme, è avvenuto in forma solenne, in occasione dell'apertura della nuova
“legislatura” della Shura, inaugurata con un discorso la cui sintesi è la seguente. «Poiché ci
rifiutiamo di marginalizzare le donne nei ruoli sociali permessi dalla Sharia (la legge islamica),
abbiamo deciso che dal prossimo mandato le donne entreranno nell'assemblea consultiva. E che
avranno il diritto a votare e a candidarsi per le elezioni municipali. Fratelli e sorelle, è vostro diritto
che vi si garantiscano onore e dignità».
Ma solo a partire dalla tornata elettorale che dovrebbe aver luogo fra quattro anni, perché per le
prossime elezioni, in programma il 29 settembre, è troppo tardi per avanzare candidature, o
modificare le liste elettorali. In un sistema dove i partiti sono vietati, come tutte le manifestazioni
del libero pensiero e dove l' unica vera istituzione su cui si fonda lo stato è la famiglia reale, anche
le elezioni amministrative rappresentano un' operazione largamente di facciata. Infatti è necessario
ricordare che in Arabia Saudita le donne non possono esercitare alcun diritto se non assistite da un
maschio della propria famiglia (nemmeno essere curate). Non possono guidare, non possono
viaggiare, non possono studiare materie non consentite, non possono lavorare se non come
insegnanti (di classi femminili), o infermiere o medici (di reparti femminili). Non possono ereditare.
Non possono scegliersi il marito.
Restano così senza risposte molte delle richieste dei riformatori, che da anni bombardano il re con
petizioni, che spesso finiscono in carcere o vengono discriminati. Tra le tante: Costituzione, elezioni
politiche, vere istituzioni e divisione tra poteri, diritti e uguaglianza. Secondo Khaled Al Maeena,
direttore del quotidiano indipendente Arab News , questo “ comunque è un passo davvero storico
per un Paese come il nostro. All'estero non ci si rende conto che non solo i religiosi ma gran parte
della società è contraria a dare più diritti alle donne. I giovani stanno cambiando ma è solo l' inizio.
L' annuncio è una porta aperta da cui dovranno necessariamente passare altre riforme, uno spiraglio
che incoraggerà le donne a volere di più”. Anche molte attiviste condividono questa posizione. L'
impazienza e la delusione corrono invece su Internet e sui telefonini. Ma qualcosa, anche qui si
ammette, ha iniziato a muoversi.
L'elenco delle gravi discriminazioni nei confronti dell'universo femminile, purtroppo non si
limitano all'Arabia Saudita, ma trova innumerevoli interpretazioni ad ogni latitudine.
Prendiamo ad esempio il caso della Cina.
Questo è un paese a due facce: una ricca, industrializzata, sviluppata,ormai globalizzata, composta
da poche metropoli, Pechino, Shangai, Hong Kong e la sua regione Canton; l'altra povera,
contadina,arretrata,immensa, costituita dal resto della Cina.
Nelle grandi città lo stile di vita ormai è quasi completamente occidentalizzato, mode, gusti e
mentalità si sono, in poco più di un decennio trasformati. Nel resto del paese, invece, l'ignoranza
incombe, e la mentalità resta chiusa, legata a tradizioni crudeli quanto assurde.
La discriminazione della donna fa parte della cultura e delle tradizioni. Ricordiamo l' antica pratica
del piede fasciato a causa della quale alle bambine venivano fasciati i piedi per bloccarne la crescita
solo perché il piede piccolo era considerato molto femminile e gli uomini trovavano sensuale la
camminata "traballante" delle donne dai piedi deformati. Ancora oggi, in alcune zone di campagna
ci sono bambine costrette a vivere con i piedi fasciati.
Nella parte povera del Paese è diffusa ancora la mentalità che le donne istruite siano inutili alla
società e che il loro unico compito sia quello di lavorare ai piedi dei mariti e spesso anche dei figli
maschi. Sulla base di questa scala gerarchica molte neonate muoiono subito dopo la nascita (se non
abortite prima ancora di nascere se se ne scopre in anticipo il sesso), spesso soppresse dai genitori o
abbandonate da famiglie ignoranti che considerano la nascita delle femmine come un problema.
Una situazione difficile per la popolazione femminile che però non è in grado di reagire, in quanto
le donne vengono educate sin da piccole a subire passivamente le angherie degli uomini, e spesso
sono proprio le madri a educare le figlie secondo gli stessi barbarici principi. Così, nella Cina del
Terzo Millennio, continuano ad essere negati alle donne anche i fondamentali diritti, quello alla vita
e alla dignità.
Ma non c'è solo la Cina,
Una certa eco ha avuto, in tempi recenti, uno studio della Fondazione Thomson Reuters
(un'importante società nel campo dell’informazione economico-finanziaria) che ha stilato una
classifica dei Paesi più “pericolosi” per la popolazione femminile, addirittura uccisa prima o dopo la
nascita, socialmente discriminata o marginalizzata fino al silenzio. Afghanistan, Congo, Pakistan,
India, Somalia, Cina… sono i paesi dove “nascere donna” è un problema serio; oltre a tanti altri
paesi in cui è difficile la vita delle donne (alcuni paesi arabi, paesi dell’ex area sovietica come
Armenia, Azerbaijan e Georgia, per citarne alcuni).
1. AFGHANISTAN. L’Afghanistan, si legge nel rapporto, non ha pari nel mondo per carenze
sanitarie e discriminazioni economiche. Qui 1 bimba su 10 muore nei primi anni di vita. Quasi 9
donne su 10 (l’87%) rimangono analfabete e 8 su 10 sono costrette ai matrimoni combinati.
2. CONGO. Il triste primato degli stupri spetta invece al Congo, che risente ancora della guerra del
’98-2003. Ogni giorno nel paese africano vengono violentate circa 1.150 donne (420 mila l’anno),
mentre il 57% delle donne gravide poi soffre di anemia.
3. PAKISTAN. Al terzo posto il Pakistan, che risente di pratiche religiose e tribale, come la
lapidazione, l’obbligo al matrimonio e le devastazioni con l’acido. Oltre mille donne l’anno sono
vittime dei cosiddetti «delitti d’onore», 9 su 10 subiscono quotidianamente violenze domestiche e
tutte guadagnano in media l’82 per cento in meno rispetto agli uomini.
4. INDIA. Nella più grande democrazia del mondo, sottolinea il rapporto, si verificano ogni giorno
uxoricidi e infanticidi. Circa 50 milioni di ragazze risultano disperse nell’ultimo secolo. Quasi la
metà delle sopravvissute è stata costretta a sposarsi prima di diventare maggiorenne. E 100 milioni
di persone, la maggior parte delle quali di sesso femminile, sono vittime del traffico di esseri umani.
5. SOMALIA. Infine la Somalia, una delle nazioni più povere e violente, che si caratterizza per
l’alta mortalità in gravidanza, per gli stupri e per le mutilazioni genitali, cui sono sottoposte quasi
tutte le donne (95%) tra i 4 e gli 11 anni.
“Crescere una figlia è come innaffiare l’orto del vicino»
proverbio Indù
COORDINAMENTO DONNE FISAC CGIL DI BRESCIA
Brescia, 27/09/2011