dossier - favolefilosofiche

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INDICE
Il metodo e il progetto – p. 3
Il materiale didattico – p. 3
Trama – p. 4
L’ OCCASIONE ATTESA - p. 5
Saper attendere
Racconti: IL PASTO PIÚ BUONO
I
I REQUISITI PER LE OCCASIONI - p. 6
Cosa sono i requisiti e cos’è il merito? Siamo tutti uguali?
Dizionario
L’OCCASIONE NELLA DIFFERENZA - p. 7
Cosa vuol dire diversamente abili? Abilità e differenza
Dizionario
Racconti: IL PASSEROTTO
RESPONSABILITA’ DAVANTI ALLE OCCASIONI - p. 9
Occasioni e scelte: gli altri scelgono per me?
Racconti: IL COLOMBRE
OCCASIONI DI GENERE – p. 12
Cosa è maschile e cosa è femminile?
Racconti: IL MITO DELLE DUE META'
OCCASIONI DI LIBERTÀ – p. 15
Occasioni date e occasioni create: le regole del gioco e la libertà di scegliere
Dizionario
Bibliografia – p. 16
Appunti dal laboratorio su attese e occasioni – p. 18
Viaggio tra alcune scuole delle province del Piemonte
1
-
Ti dirò. Noi chiamiamo giustizia sia quella di un singolo
uomo che anche quella di un’intera città? O forse no?
Sì, è così.
E non è più grande una città di un singolo uomo?
Certo, è più grande.
Forse dunque in ciò che è più grande potrebbe esserci
una giustizia più grande e più facile da esaminare. Se
volete perciò cercheremo innanzitutto nella città che cosa
mai sia la giustizia; e poi in questo modo la osserveremo
anche in ciascuno preso singolarmente, considerando la
somiglianza di ciò che è più grande nell’idea di ciò che è
più piccolo.
[Platone, Repubblica II, 368e-369a]
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Il Metodo e il Progetto
L’Attesa e le Occasioni: sono il nuovo tema affrontato dal “PROGETTO
FAVOLE FILOSOFICHE” di Pasquale Buonarota e Alessandro Pisci,
una formula dove il teatro è uno strumento per ragionare con i ragazzi,
e la filosofia un metodo perché la riflessione resti aperta al contributo di
tutti.
“La favola delle Occasioni” è quindi una storia fatta di altre storie,
cronache, favole, racconti interpretati dagli attori per ancorare sempre il
ragionamento a nuove ipotesi ed esperienze.
Storie che aiuteranno ad aprire un confronto con i ragazzi sul valore
della diversità, della scelta e quindi della responsabilità.
Favolosofia numero due vuole essere un’occasione per pensare
insieme a teatro, senza rinunciare a sorridere.
Il materiale didattico
Il materiale qui riprodotto ripercorre la scìa di domande, definizioni,
favole e notizie su cui abbiamo costruito il canovaccio del nostro
intervento nelle scuole e nelle biblioteche.
La bibliografia cerca di ovviare alla parzialità di questa selezione fatta
per facilitare il riconoscimento delle citazioni e degli argomenti. Molto
di quello che non è stato qui riportato si può trovare sul sito:
www.favolefilosofiche.com
3
La trama
Due estranei si presentano in una sala d’attesa. Sembra ci sia una
occasione buona per entrambi, ma bisogna aspettare il proprio turno. A
chi toccherà coglierla? Al primo della fila? Al più meritevole? Al più
alto? Bisogna attendere, questo è certo, e le regole obbligano i due
protagonisti a confrontarsi, competere, allearsi, conoscersi. Alla fine
anche questa attesa si trasformerà per loro in una buona occasione.
Favolosofia Numero Due - La Favola delle Occasioni è il secondo
spettacolo del PROGETTO FAVOLE FILOSOFICHE. Una favola del
quotidiano per ragionare insieme sul senso dell’attesa che si cela dietro
ogni occasione. Una nuova opportunità di teatro e filosofia con i più
piccoli.
Domande prevalenti:
Cos’è una occasione?
Cosa aspettiamo?
Siamo tutti uguali? Ci vogliono dei requisiti per le occasioni?
Le differenze possono essere occasioni?
Chi decide e di chi è la responsabilità di una scelta?
Le opportunità possiamo crearle o dobbiamo attenderle?
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L’ OCCASIONE ATTESA
SAPER ATTENDERE
Racconti
IL PASTO PIÚ BUONO
Da “Piccoli e grandi racconti di Sophios ” di Michel Piquemal
C’era una volta un re buongustaio. Amava talmente pranzi e banchetti, che sembrava quasi vivere solo per
la buona tavola.
Gli piaceva così tanto fare bisboccia, che un giorno promise di dare cento monete d’oro a chi avesse
preparato il pranzo più buono. Immediatamente i più grandi cuochi del reame si misero in lista.
Per quasi due mesi, tutte le domeniche il re andava a un banchetto diverso: gozzovigliava fino al tramonto
e alla sera scriveva il voto su un taccuino.
Il concorso volgeva al termine, quando si presentò al castello un vecchio venuto dalla montagna.
“Grande re”, disse, “se vuoi seguirmi ti porterò in una locanda dove mangerai il pasto più buono di tutta la
tua vita.
Allettato, il re fece subito suonare il tamburo e partì con la scorta sul suo più bel cavallo bianco.
Galopparono a spron battuto per tutta la mattina.
Ogni tanto, il re chiedeva al vecchio: “Dimmi, siamo ancora lontani?”.
Ma il vecchio gli faceva segno di non spazientirsi. Un buon pasto bisognava meritarselo!”.
Il re non si era mai allontanato tanto dal suo regno.
Durante il cammino, i sudditi gli facevano festa ed egli scendeva da cavallo per dar loro la mano, poi
risaliva in sella. Galopparono in mezzo alle pianure, attraversarono le colline, guardarono il fiume, poi
iniziarono ad arrampicarsi.
“Non manca molto!” - lo rassicurò il vecchio - “la locanda è sulla cima di questa montagna. Vedrai, grande
re, non te ne pentirai!”.
Dopo ore di fatica, iniziarono finalmente a intravedere la casupola in cima a un colle; ma bisognava
scendere da cavallo e tirarlo per le redini per il resto della strada.
Quando il re spinse la porta della casupola, era in un bagno di sudore e letteralmente morto di fame, così
non badò né alla polvere né alla modestia della locanda.
“Ancora qualche minuto di pazienza”, - gli disse il vecchio. “Vado a mettermi ai fornelli”.
“Come!”, esclamò il re. “Sei dunque tu il cuoco? Dove sono i tuoi assistenti? I tuoi lavapiatti? Ti prendi
gioco di me?”.
“Aspettate e vedrete!” - rispose il vecchio. “Durante la strada ho raccolto qualche fungo, poi voi mi direte!”.
Il re era sbalordito. Non aveva mai udito una tale insolenza! Ma, vista l’ora, non gli importava altro che di
mangiare.
Sentì dalla cucina sfrigolare i funghi e un delizioso profumino riempì la stanza. Il vecchio gli stava
preparando una frittata di funghi!
Quando il re la vide nel piatto, non ebbe bisogno del taccuino per dare il voto.
Era veramente il pasto più buono che avesse mai consumato in vita sua…perché per la prima volta aveva
avuto veramente fame!
Altri suggerimenti bibliografici
“TRENTASETTE” di G. Manganelli
5
REQUISITI
COSA SONO I REQUISITI E COS’È IL MERITO?
SIAMO TUTTI UGUALI?
Dizionario
PARI
(lat. păre(m): di origine etrusca?)
–
Uguale, che corrisponde esattamente.
–
Privo di sporgenze, rientranze, pendenza, dislivelli.
–
Di giochi o scommesse che terminano con uno stesso punteggio; di giocatori che non vincono e non
perdono.
–
Adeguato, sufficiente.
–
Detto di numero divisibile per due.
–
Detto della parità di una funzione d’onda quando, cambiando di segno alle coordinate spaziali, la
funzione d’onda non cambia di segno.
–
Detto di formazione, quale la retina, o di un organo, quale l’occhio, che è presente in una metà
laterale del corpo e ha l’omologo simmetrico nell’altra metà.
–
Detto di persona che svolge un lavoro, spec. di istitutrice, governante e sim., presso una famiglia
senza ricevere una retribuzione, ma soltanto il vitto e l’alloggio.
EQUIVALENTE
–
Che ha eguale valore o area o volume o somma di valore eguale.
–
(chim.) Frazione del peso atomico di un elemento che sostituisce o si combina con un atomo di
idrogeno.
–
(mat.) EQUIVALENZA qualsiasi relazione che sia riflessiva, simmetrica e transitiva.
EQUO
–
Che ha il senso della misura e della moderazione, che è giusto e imparziale.
–
Proporzionato alle concrete esigenze.
UGUAGLIANZA
–
Stato, condizione o qualità di chi, di ciò che è uguale a qualcuno o a qualcosa. Identità.
–
Parità, equilibrio, corrispondenza.
–
Principio per cui tutti gli uomini sono considerati davanti alla legge senza distinzione e privilegi.
Principio per cui a tutti gli uomini deve essere assicurata la libertà dal bisogno, mettendoli così in
una condizione di uguaglianza reale e non solo formale.
–
Relazione, legame esprimibile scrivendo che due enti sono uguali. Isometria fra piani o fra spazi.
–
Qualità di ciò che è liscio, scorrevole, privo di asperità, irregolarità, scabrosità e simili.
UGUALE
(lat. aequāle(m), da āequus ‘equo’)
–
Detto di cosa, persona o animale che per natura, forma, dimensioni, qualità, quantità o valore, non
differiscono sostanzialmente l’uno dall’altro.
–
Che conserva la stessa natura, lo stesso valore, le medesime caratteristiche fondamentali, e quindi
non muta col variare delle condizioni o situazioni particolari e contingenti.
–
Piano liscio, privo di asperità, scabrosità, fenditure, dislivelli e simili.
–
Omogeneo, uniforme.
–
Equilibrato, coerente.
IDENTITA’
–
(vc. dotta, lat. tardo identitāte(m), da īdem ‘(proprio quello) stesso’)
–
Uguaglianza completa e assoluta
–
Principio logico in base al quale ogni concetto risulta essere identico a se stesso. Coincidenza.
–
Qualificazione di una persona, di un luogo, di una cosa per cui essa è tale e non altra.
–
(mat.) Uguaglianza contenente delle variabili, verificata per ogni valore attribuibile a queste.
6
L’OCCASIONE NELLA DIFFERENZA
COSA VUOL DIRE DIVERSAMENTE ABILI?
ABILITÀ E DIFFERENZA
Dizionario
DIFFERENZA
(vc. dotta, lat. differĕntia(m), da diffĕrre ‘portare (fĕrre) da una parte all’altra).
–
Qualità di chi, di ciò che è DIFFERENTE Che ha caratteristiche diverse da quelle di un’altra
persona o cosa, con le quali si è comunque stabilito un confronto.
–
Elemento o insieme di elementi che differenziano qualitativamente o quantitativamente due o più
persone o cose.
–
Risultato della sottrazione. Quantità che aggiunta al sottraendo dà il minuendo.
–
Controversia, discordia, lite.
DIVERSO
(vc. dotta, lat. divěrsu(m), part. pass. di divěrtere ‘volgere (věrtere) in opposta direzione )
–
Che è volto o procede in altra direzione, anche fig.: strade, aspirazioni diverse.
–
Differente, dissimile.
–
Strano, insolito, straordinario.
DIVERSITA’
–
Qualità o condizione di chi, di ciò che è diverso.
–
Varietà, molteplicità.
–
Ciò che rende diverse due persone o due cose. Discordanza.
–
Contrasto, controversia.
–
Perversità, crudeltà.
–
Calamità, sventura, avversità.
DISUGUALE
–
Che si diversifica per forma, estensione, colore, qualità…
–
Non uguale, diverso.
–
Privo di uniformità. Irregolare.
–
Incostante, incoerente.
PARZIALE
–
Di, relativo a, una o più parti, elementi o settori.
–
Che propende per una determinata parte, che tende a favorire, fra tante, una o più determinate
persone, mancando così di obiettività.
DISCRIMINARE
–
Distinguere una o più cose o persone da altre, far differenza.
Racconti
IL PASSEROTTO
Da “Diversi e uguali. 23 storie illustrate” di AA.VV.
Manoel Francisco Dos Santos venne alla luce in una buia e umida notte d’ottobre. I suoi vagiti spezzarono
crudeli i sonni degli abitanti delle capanne di Pau Grande, una terra montagnosa, sterile e selvaggia.
Era il 1933. In Brasile la vita era dura per ogni famiglia ma soprattutto per quel crogiuolo di disperati che,
senza lavoro e senza prospettive, assiepavano le baraccopoli delle città o le capanne delle foreste. Tutti
tiravano il fiato coi denti cercando di sopravvivere tristemente alla quotidianità un giorno alla volta.
Il parto era sempre una gioia che scemava velocemente appena i genitori si accorgevano di non poter
sfamare tutte le bocche innocenti che mettevano al mondo.
Manoel, detto Manè, inoltre era nato piccolo e malato. Era il settimo figlio di una dolce madre abbandonata
dal marito, che faticava ogni giorno nei campi per poter nutrire la numerosa famiglia. La poliomielite
paralizzò l’ultimo nato rendendo quella piccola anima ancor più dolente di quanto già non fosse. Manè
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sfuggì agilmente alla mortalità precoce che rubava migliaia di infanti ogni anno, curato amorevolmente dal
fratello maggiore Josè, detto “Zè Baleia” (la balena).
Josè era grasso e impacciato ma con un gran cuore. Ogni giorno accudiva il fratellino malato,
raccontandogli le favole e soprattutto il suo sogno: diventare un giocatore della nazionale brasiliana. Il
calcio rappresentava, nei cuori ingenui dei bambini poveri, l’unica felicità e il solo riscatto a quella vita
degradata. Davanti alla capanna Josè, con un palla di stracci, cercava di palleggiare come i suoi idoli.
Sempre solo e sconsolato. Gli altri ragazzini della baraccopoli lo deridevano e non lo volevano far giocare
con loro perché era troppo grasso. L’unico ad incoraggiarlo incessantemente era Manè, che guardandolo
capiva l’ardore che quell’ammasso di stracci procurava al fratello. Ogni volta, gli occhi scuri e profondi,
brillavano focosi come il sole che ogni giorno riscaldava l’arida terra di Pau Grande.
Passarono otto anni. Josè era sempre più grasso e afflitto, Manè migliorava lentamente. Riusciva a
camminare claudicando: la malattia gli aveva lasciato una gamba più corta dell’altra.
Zè Baleia un pomeriggio si stancò di sognare e prese la sua palla povera. La lanciò più lontano che riuscì.
Manè seguì la sfera di stracci con gli occhi, e temendo di perderla per sempre, si alzò in piedi e corse
veloce a riprenderla. Tutti i ragazzi della favelas si fermarono ad osservare il paralitico guarito, che
zoppicante rincorreva il sogno di milioni di meninos. Manè aveva spiccato il volo e da quel giorno lo
chiamarono tutti Garrincha, il passerotto. Con il pallone era in grado di strabiliare: palleggiava di destro, di
sinistro, appoggiava la palla sulla fronte senza farla cadere. Tutti i ragazzi della zona litigavano per averlo
in squadra e lui imponeva che con loro giocasse anche Josè, al quale ritornò il sorriso.
La notizia del piccolo fenomeno zoppo si divulgò in fretta, in quella zona in cui i giovani talenti erano una
buona fonte di guadagno per dirigenti attenti e senza scrupoli. Giunsero infatti dalla città due manager per
ammirare il funambolo. Dal campetto di terrabattuta Manè fu trascinato a far provini per grandi squadre di
prim’ordine: si esibì davanti ai selezionatori del Vasco da Gama, poi del Fluminense, dell’America di Rio.
Tutti lo scartarono, dopo essersi diverti nel vedere quel ragazzino malato esibirsi in giochi “più da circo che
da pallone”, dissero. Quelli del Botafogo invece ebbero il coraggio di rischiare e Manè non deluse le loro
aspettative. Cominciò così la sua fulgida e controversa carriera.
In poco tempo divenne l’idolo di tutte le platee del Brasile, così bisognose di trovare un mito in cui
riscattarsi. E quella piccola e buffa ala destra era il sogno possibile di tutti i meninos che brulicavano nelle
favelas più desolate, era l’immagine riflessa dell’intera nazione: bella da vedere ma triste da scoprire.
Infatti, appena Garrincha guadagnò i primi quattrini iniziò la sua ascesa di calciatore e nello stesso tempo
la sua discesa di uomo. Dilapidava gli stipendi bevendo e offrendo whisky, aiutando chi bussava alla sua
porta, frequentando innumerevoli donne.
Ebbe quindici figli con cinque donne differenti. Li riconobbe tutti e finché riuscì li mantenne anche.
Se in campo non si risparmiava affatto, nemmeno fuori lo faceva. Triturava tanto le difese avversarie a
suon di finte quanto sfracellava se stesso con innumerevoli bicchieri.
Ai mondiali del ’58, in Svezia, il ct Feola lo convocò, sicuro di quel che faceva. Manè pagò il viaggio al
fratello, sempre amato, Josè e davanti ai suoi occhi lucidi vinse la Coppa Rimet. Dimostrò davanti al
mondo intiero che lui, passero fragile, vilipeso e reietto da molti, era il migliore. (…)
Altri suggerimenti bibliografici
“DIPPOLD, L’OTTICO” Edgar Lee Masters
“NARCISO E BOCCADORO” di H. Hesse
“IL NASO O CUORE DEL SILENZIO” da M.Piquemal
“LA RAGNETTA” di B.Tanaka
“UNA PARTITA A CARTE” da M. Piquemal
“IL FABBRO IMMORTALE. EFESTO e AFRODITE” di G. McCaughrean
“SE L’ELEFANTE AVESSE LE ALI…” di Marcus Pfister
“QUALCOS’ ALTRO” di K. Cave e C.Riddel
“IL DONO DELLA FARFALLA” di N. Cinguetti
“L’ELEFANTINO VERDE” di F. Hűbner e E. Sopko
“IL COLORE DEL CAMALEONTE” di A.Benevelli e L. Seriofilli
“LA SVENTURA DI ESSERE GRASSI” da ‘Le voci dell’altro’
“TALPA LUMACA PESCIOLINO” di G. Quarzo
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RESPONSABILITA’ DAVANTI ALLE OCCASIONI
OCCASIONI E SCELTE: GLI ALTRI SCELGONO PER ME?
Racconti
IL COLOMBRE
Da “La Boutique del mistero” di Dino Buzzati
Quando Stefano Roi compì i dodici anni, chiese in regalo a suo padre, capitano di mare e padrone di un
bel veliero, che lo portasse con sé a bordo:
“Quando sarò grande” disse “voglio andare per mare come te: e comanderò delle navi ancor più grandi e
più belle della tua”.
“Che Dio ti benedica, figliolo” rispose il padre. E siccome proprio quel giorno il suo bastimento doveva
partire, portò il ragazzo con sé.
Era una giornata splendida di sole; e il mare era tranquillo. Stefano, che non era mai stato sulla nave,
girava felice in coperta, ammirando le complicate manovre delle vele.
E chiedeva di questo e di quello ai marinai che, sorridendo, gli davano tutte le spiegazioni.
Come fu giunto a poppa, il ragazzo si fermò, incuriosito, a osservare una cosa che spuntava a
intermittenza, in superficie, a distanza di due - trecento metri, in corrispondenza della scia della nave.
Benché il bastimento già volasse, portato da un magnifico vento al giardinetto, quella cosa manteneva
sempre la distanza. E, sebbene egli non ne comprendesse la natura, aveva qualcosa di indefinibile, che lo
attraeva intensamente.
Il padre, non vedendo Stefano più in giro, dopo averlo chiamato a gran voce invano, scese sulla plancia e
andò a cercarlo.
“Stefano, che cosa fai lì impalato?” gli chiese scorgendolo infine a poppa, in piedi, che fissava le onde.
“Papà, vieni qui a vedere”.
Il padre venne e guardò anche lui, nella direzione indicata dal ragazzo, ma non riuscì a vedere niente.
“C’è una cosa scura che spunta ogni tanto dalla scia” disse “e che ci viene dietro”.
“Nonostante i miei quarant’ anni” disse il padre “credo di avere ancora una vista buona. Ma non vedo
assolutamente niente”.
Poiché il figlio insisteva, andò a prendere il cannocchiale scrutò la superficie del mare, in corrispondenza
della scia: Stefano lo vide impallidire.
“Cos’è? Perché fai quella faccia?”.
“Oh, non ti avessi ascoltato” esclamò il capitano: “Io adesso temo per te. Quella cosa che tu vedi spuntare
dalle acque e che ci segue, non è una cosa. Quello è un colombre.
E’ il pesce che i marinai sopra tutti temono, in ogni parte del mondo. E’ uno squalo tremendo e misterioso,
più astuto dell’uomo. Per motivi che forse nessuno saprà mai, sceglie la sua vittima, e quando l’ ha scelta
la insegue per anni e anni, per una intera vita, finché è riuscito a divorarla. E lo strano è questo: che
nessuno riesce a scorgerlo se non la vittima stessa e le persone del suo stesso sangue”.
“Non è una favola?”.
“No, io non l’avevo mai visto. Ma dalle descrizioni che ho sentito fare tante volte l’ ho subito riconosciuto.
Quel muso de bisonte, quella bocca che continuamente si apre e si chiude, quei denti terribili. Stefano, non
c’è dubbio, purtroppo il colombre ha scelto te e fin che tu andrai per mare non ti darà pace. Ascolta: ora noi
torniamo subito a terra, tu sbarcherai e non ti staccherai mai più dalla riva, per nessuna ragione al mondo.
Me lo devi promettere. Il mestiere del mare non è per te, figliolo. Devi rassegnarti, del resto, anche a terra
potrai fare fortuna”.
Ciò detto, fece immediatamente invertire la rotta, rientrò in porto e, col pretesto di un improvviso
malessere, sbarcò il figliolo. Quindi ripartì senza di lui.
Profondamente turbato, il ragazzo restò sulla riva finché l’ultimo picco dell’alberatura sprofondò dietro
l’orizzonte. Di là dal molo che chiudeva il porto, il mare restò completamente deserto. Ma, aguzzando gli
sguardi, Stefano riuscì a scorgere un puntino nero che affiorava a intermittenza dalle acque: il “suo”
colombre, che incrociava lentamente su e giù, ostinato ad aspettarlo.
Da allora il ragazzo con ogni espediente fu distolto dal desiderio del mare. Il padre lo mandò a studiare in
una città dell’interno, lontana centinaia di chilometri. E per qualche tempo, distratto dal nuovo ambiente,
Stefano non pensò più al mostro marino.
Tuttavia, per le vacanze estive, tornò a casa, e per prima cosa, appena ebbe un minuto libero, si affrettò a
raggiungere l’estremità del molo, per una specie di controllo, benché in fondo lo ritenesse superfluo. Dopo
tanto tempo, il colombre, ammesso anche che tutta la storia raccontata dal padre fosse vera, aveva certo
rinunciato all’assedio.
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Ma Stefano rimase là, attonito, col cuore che gli batteva.
A distanza di due - trecento metri dal molo, nell’aperto mare, il sinistro pesce andava su e giù, lentamente,
ogni tanto sollevando il muso dall’acqua e volgendolo a terra, quasi con ansia guardasse se Stefano Roi
finalmente veniva.
Così, l’idea di quella creatura nemica che lo aspettava giorno e notte divenne per Stefano una segreta
ossessione.
E anche nella lontana città gli capitava di svegliarsi in piena notte con inquietudine. Egli era al sicuro, sì,
centinaia di chilometri lo separavano dal colombre. Eppure egli sapeva che, di là dalle montagne, di là dai
boschi, di là dalle pianure, lo squalo era ad aspettarlo. E, si fosse egli trasferito pure nel più remoto
continente, ancora il colombre si sarebbe appostato nello spazio di mare più vicino, con l’inesorabile
ostinazione che hanno gli strumenti del fato.
Stefano, ch’era un ragazzo serio e volenteroso, continuò con profitto gli studi, e, appena fu uomo, trovò un
impiego dignitoso e remunerativo in un emporio di quella città.
Intanto il padre venne a morire per malattia, il suo magnifico veliero fu dalla vedova venduto e il figlio si
trovò ad essere erede di una discreta fortuna. Il lavoro, le amicizie, gli svaghi, i primi amori: Stefano si era
ormai fatto la sua vita, ciononostante il pensiero del colombre lo assillava come un funesto e insieme
affascinante miraggio; e, passando i giorni, anziché svanire, sembrava farsi più insistente.
Grandi sono le soddisfazioni di una vita laboriosa, agiata e tranquilla, ma ancora più grande è l’attrazione
dell’abisso.
Aveva appena ventidue anni Stefano, quando, salutati gli amici della città e licenziatosi dall’impiego, tornò
alla città natale e comunicò alla mamma la ferma intenzione di seguire il mestiere paterno. La donna, a cui
Stefano non aveva mai fatto parola del misterioso squalo, accolse con gioia la sua decisione. L’avere il
figlio abbandonato il mare per la città le era sempre sembrato, in cui suo, un tradimento alla tradizioni di
famiglia.
E Stefano cominciò a navigare, dando prova di qualità marinare, di resistenza alle fatiche, di animo
intrepido.
Navigava, navigava, e sulla scia del suo bastimento, di giorno e di notte, con la bonaccia, e con la
tempesta, arrancava il colombre. Egli sapeva che quella era la sua maledizione e la sua condanna, ma
proprio per questo, forse, non trovava la forza di staccarsene.
E nessuno a bordo scorgeva il mostro, tranne lui.
“Non vedete niente da quella parte?” chiedeva di quando in quando ai compagni, indicando la scia.
“No, no! Non vediamo proprio niente. Perché?”.
“Non so. Mi pareva…”.
“Non avrai mica vista per caso un colombre” facevano quelli, ridendo e toccando ferro,.
“Perché ridete? Perché toccato ferro?”.
“Perché il colombre è una bestia che non perdona. E se si mettesse a seguire questa nave, vorrebbe dire
che uno di noi è perduto”.
Ma, Stefano, non mollava. La ininterrotta minaccia che lo incalzava pareva anzi moltiplicare la sua volontà,
la sua passione per il mare, il mare, il suo ardimento nelle ore di lotta e di pericolo.
Con la piccola sostanza lasciatagli dal padre, come egli si sentì padrone del mestiere, acquistò con un
socio un piccolo piroscafo da carico, quindi ne divenne il solo proprietario e, grazie a una serie di fortunate
spedizioni, poté in seguito acquistare un mercantile sul serio, avvicinandosi a traguardi sempre più
ambiziosi. Ma i successi, e i milioni, non servivano a togliergli dall’animo quel continuo assillo; né mai,
d’altra parte, egli fu tentato di vendere la nave e da ritirarsi a terra per intraprendere diverse imprese.
Navigare, navigare, era il suo unico pensiero. Non appena, dopo lunghi tragitti, metteva piede a terra in
qualche porto, subito lo pungeva l’impazienza di ripartire. Sapeva che fuori c’era il colombre ad aspettarlo,
e che il colombre era sinonimo di rovina. Niente…Finché, all’improvviso, un giorno. Stefano si accorse di
essere diventato vecchio, lasciasse finalmente la dannata vita di mare. Vecchio, e amaramente infelice,
perché l’intera esistenza sua era stata spesa in quella specie di pazzesca fuga attraverso i mari per
sfuggire al nemico. Ma più grande che le gioie di una vita agiata e tranquilla era stata per lui sempre la
tentazione dell’abisso.
E una sera, mentre la sua magnifica nave era ancorata al largo del porto ove era nato, si sentì prossimo a
morire. Allora chiamò il secondo ufficiale, di cui aveva grande fiducia, e gli ingiunse di non opporsi a ciò
che egli stava per fare. L’altro, sull’onore, promise.
. Avuta questa assicurazione, Stefano, al secondo ufficiale che lo ascoltava sgomento, rivelò la storia del
colombre, che aveva continuato a inseguirlo per oltre cinquant’anni, inutilmente.
“Mi ha scortato da un capo all’altro del mondo” disse “con una fedeltà che neppure il più nobile amico
avrebbe potuto dimostrare. Adesso io sto per morire. Anche lui, ormai, sarà terribilmente vecchio e stanco.
Non posso tradirlo”.
Ciò detto, prese commiato, fece calare in mare un barchino e vi salì, dopo essersi fatto dare un arpione.
“Ora gli vado incontro” annunciò. “E’ giusto che non lo deluda. Ma lotterò con le mie ultime forze”.
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A stanchi colpi di remi lo videro scomparire laggiù, sul placido mare, avvolto dalle ombre della notte. C’era
in cielo una falce di luna.
Non dovette faticare molto. All’improvviso il muso orribile del colombre emerse di fianco alla barca.
“Eccomi a te, finalmente” disse Stefano. “Adesso a noi due!”.
E, raccogliendo le superstiti energie, alzò l’arpione per colpire.
“Uh”, mugolò con voce supplichevole il colombre “che lunga strada per trovarti. Anch’io sono distrutto dalla
fatica. Quanto mi hai fatto nuotare. E tu fuggivi, fuggivi. E non hai mai capito niente”.
“Perché?” fece Stefano, punto sul vivo.
“Perché non ti ho inseguito attraverso il mondo per divorarti, come pensavi. Dal Re del mare avevo avuto
soltanto l’incarico di consegnarti questo”.
E lo squalo trasse fuori la lingua, porgendo al vecchio capitano una sfera fosforescente.
Stefano la prese fra le dita e guardò. Era una perla di grandezza spropositata. E lui riconobbe la famosa
perla del mare che dà, a chi la possiede, fortuna, potenza, amore, e pace dell’animo. Ma era ormai troppo
tardi.
“Ahimé!” disse scotendo tristemente il capo. “Come è tutto sbagliato. Io sono riuscito a dannare tutta la mia
esistenza; e ho rovinato la tua”.
“Addio pover’ uomo” rispose il colombre. E sprofondò nelle acque nere per sempre.
Due mesi dopo, spinto dalla risacca, un barchino approdò a una dirupata scogliera. Fu avvistato da alcuni
pescatori che, incuriositi, si avvicinarono. Sul barchino, ancora seduto, stava un bianco scheletro: e fra le
ossicine delle dita stringeva un piccolo sasso rotondo.
Il colombre è un pesce di grandi dimensioni, spaventoso a vedersi, estremamente raro.
A seconda dei mari, e delle genti che abitano le rive, viene anche chiamato Holomber, kahloubrha,
kalonga, kalu - balu, chalung - gra. I naturalisti stranamente lo ignorano.
Qualcuno perfino sostiene che non esiste.
Altri suggerimenti bibliografici
“LA PRINCIPESSA CHE SI SENTIVA SEMPRE STUPIDA” di Alba Marcoli
“LA SIGNORA NELLO SPECCHIO” da ‘Io e l’altro. Racconti fantastici sul doppio’
“MILLENOVECENTONOVANTANOVE” da ‘Anime in viaggio’
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OCCASIONI DI GENERE
COSA È MASCHILE E COSA È FEMMINILE?
Racconti
PLATONE, ARISTOFANE NARRA IL MITO DELLE DUE META'
Dal “Simposio” di Platone
Durante il simposio, prende la parola anche il commediografo Aristofane e dà la sua opinione
sull'amore narrando un mito. Un tempo - egli dice - gli uomini erano esseri perfetti, non
mancavano di nulla e non v'era la distinzione tra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale
perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà,
trovando la quale torna all'antica perfezione.
Mi sembra che gli uomini non si rendano assolutamente conto della potenza dell'Eros. Se se ne
rendessero conto, certamente avrebbero elevato templi e altari a questo dio, e dei più magnifici,
e gli offrirebbero i più splendidi sacrifici. Non sarebbe affatto come è oggi, quando nessuno di
questi omaggi gli viene reso. E invece niente sarebbe più importante, perché è il dio più amico
degli uomini: viene in loro soccorso, porta rimedio ai mali la cui guarigione è forse per gli uomini
la più grande felicità. Dunque cercherò di mostrarvi la sua potenza, e voi fate altrettanto con gli
altri. Ma innanzitutto bisogna che conosciate la natura della specie umana e quali prove essa ha
dovuto attraversare. Nei tempi andati, infatti, la nostra natura non era quella che è oggi, ma
molto differente. Allora c'erano tra gli uomini tre generi, e non due come adesso, il maschio e la
femmina. Ne esisteva un terzo, che aveva entrambi i caratteri degli altri. Il nome si è conservato
sino a noi, ma il genere, quello è scomparso. Era l'ermafrodito, un essere che per la forma e il
nome aveva caratteristiche sia del maschio che della femmina. Oggi non ci sono più persone di
questo genere. Quanto al nome, ha tra noi un significato poco onorevole. Questi ermafroditi
erano molto compatti a vedersi, e il dorso e i fianchi formavano un insieme molto arrotondato.
Avevano quattro mani, quattro gambe, due volti su un collo perfettamente rotondo, ai due lati
dell'unica testa. Avevano quattro orecchie, due organi per la generazione, e il resto come potete
immaginare. Si muovevano camminando in posizione eretta, come noi, nel senso che volevano.
E quando si mettevano a correre, facevano un po' come gli acrobati che gettano in aria le gambe
e fan le capriole: avendo otto arti su cui far leva, avanzavano rapidamente facendo la ruota. La
ragione per cui c'erano tre generi è questa, che il maschio aveva la sua origine dal Sole, la
femmina dalla Terra e il genere che aveva i caratteri d'entrambi dalla Luna, visto che la Luna ha i
caratteri sia del Sole che della Terra. La loro forma e il loro modo di muoversi era circolare,
proprio perché somigliavano ai loro genitori. Per questo finivano con l'essere terribilmente forti e
vigorosi e il loro orgoglio era immenso. Così attaccarono gli dèi e quel che narra Omero di Efialte
e di Oto, riguarda gli uomini di quei tempi: tentarono di dar la scalata al cielo, per combattere gli
dèi. Allora Zeus e gli altri dèi si domandarono quale partito prendere. Erano infatti in grave
imbarazzo: non potevano certo ucciderli tutti e distruggerne la specie con i fulmini come avevano
fatto con i Giganti, perché questo avrebbe significato perdere completamente gli onori e le offerte
che venivano loro dagli uomini; ma neppure potevano tollerare oltre la loro arroganza. Dopo aver
laboriosamente riflettuto, Zeus ebbe un'idea. "lo credo - disse - che abbiamo un mezzo per far sì
che la specie umana sopravviva e allo stesso tempo che rinunci alla propria arroganza:
dobbiamo renderli più deboli. Adesso - disse - io taglierò ciascuno di essi in due, così ciascuna
delle due parti sarà più debole. Ne avremo anche un altro vantaggio, che il loro numero sarà più
grande. Essi si muoveranno dritti su due gambe, ma se si mostreranno ancora arroganti e non
vorranno stare tranquilli, ebbene io li taglierò ancora in due, in modo che andranno su una
gamba sola, come nel gioco degli otri." Detto questo, si mise a tagliare gli uomini in due, come si
tagliano le sorbe per conservarle, o come si taglia un uovo con un filo. Quando ne aveva tagliato
uno, chiedeva ad Apollo di voltargli il viso e la metà del collo dalla parte del taglio, in modo che
gli uomini, avendo sempre sotto gli occhi la ferita che avevano dovuto subire, fossero più
tranquilli, e gli chiedeva anche di guarire il resto. Apollo voltava allora il viso e, raccogliendo
d'ogni parte la pelle verso quello che oggi chiamiamo ventre, come si fa con i cordoni delle
borse, faceva un nodo al centro del ventre non lasciando che un'apertura - quella che adesso
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chiamiamo ombelico. Quanto alle pieghe che si formavano, il dio modellava con esattezza il
petto con uno strumento simile a quello che usano i sellai per spianare le grinze del cuoio.
Lasciava però qualche piega, soprattutto nella regione del ventre e dell'ombelico, come ricordo
della punizione subìta. Quando dunque gli uomini primitivi furono così tagliati in due, ciascuna
delle due parti desiderava ricongiungersi all'altra. Si abbracciavano, si stringevano l'un l'altra,
desiderando null'altro che di formare un solo essere. E così morivano di fame e d'inazione,
perché ciascuna parte non voleva far nulla senza l'altra. E quando una delle due metà moriva, e
l'altra sopravviveva, quest'ultima ne cercava un'altra e le si stringeva addosso - sia che
incontrasse l'altra metà di genere femminile, cioè quella che noi oggi chiamiamo una donna, sia
che ne incontrasse una di genere maschile. E così la specie si stava estinguendo. Ma Zeus,
mosso da pietà, ricorse a un nuovo espediente. Spostò sul davanti gli organi della generazione.
Fino ad allora infatti gli uomini li avevano sulla parte esterna, e generavano e si riproducevano
non unendosi tra loro, ma con la terra, come le cicale. Zeus trasportò dunque questi organi nel
posto in cui noi li vediamo, sul davanti, e fece in modo che gli uomini potessero generare
accoppiandosi tra loro, l'uomo con la donna. Il suo scopo era il seguente: nel formare la coppia,
se un uomo avesse incontrato una donna, essi avrebbero avuto un bambino e la specie si
sarebbe così riprodotta; ma se un maschio avesse incontrato un maschio, essi avrebbero
raggiunto presto la sazietà nel loro rapporto, si sarebbero calmati e sarebbero tornati alle loro
occupazioni, provvedendo così ai bisogni della loro esistenza. E così evidentemente sin da quei
tempi lontani in noi uomini è innato il desiderio d'amore gli uni per gli altri, per riformare l'unità
della nostra antica natura, facendo di due esseri uno solo: così potrà guarire la natura dell'uomo.
Dunque ciascuno di noi è una frazione dell'essere umano completo originario. Per ciascuna
persona ne esiste dunque un'altra che le è complementare, perché quell'unico essere è stato
tagliato in due, come le sogliole. E' per questo che ciascuno è alla ricerca continua della sua
parte complementare. Stando così le cose, tutti quei maschi che derivano da quel composto dei
sessi che abbiamo chiamato ermafrodito si innamorano delle donne, e tra loro ci sono la maggior
parte degl adulteri; nello stesso modo, le donne che si innamorano dei maschi e le adultere
provengono da questa specie; ma le donne che derivano dall'essere completo di sesso
femminile, ebbene queste non si interessano affatto dei maschi: la loro inclinazione le porta
piuttosto verso le altre donne ed è da questa specie che derivano le lesbiche. I maschi, infine,
che provengono da un uomo di sesso soltanto maschile cercano i maschi. Sin da giovani, poiché
sono una frazione del maschio primitivo, si innamorano degli uomini e prendono piacere a stare
con loro, tra le loro braccia. Si tratta dei migliori tra i bambini e i ragazzi, perché per natura sono
più virili. Alcuni dicono, certo, che sono degli spudorati, ma è falso. Non si tratta infatti per niente
di mancanza di pudore: no, è i loro ardore, la loro virilità, il loro valore che li spinge a cercare i
loro simili. Ed eccone una prova: una volta cresciuti, i ragazzi di questo tipo sono i soli a
mostrarsi veri uomini e a occuparsi di politica. Da adulti, amano i ragazzi: il matrimonio e la
paternità non li interessano affatto - è la loro natura; solo che le consuetudini li costringono a
sposarsi ma, quanto a loro, sarebbero bel lieti di passare la loro vita fianco a fianco, da celibi. In
una parola, l'uomo cosiffatto desidera ragazzi e li ama teneramente, perché è attratto sempre
dalla specie di cui è parte. Queste persone - ma lo stesso, per la verità, possiamo dire di
chiunque - quando incontrano l'altra metà di se stesse da cui sono state separate, allora sono
prese da una straodinaria emozione, colpite dal sentimento di amicizia che provano, dall'affinità
con l'altra persona, se ne innamorano e non sanno più vivere senza di lei - per così dire nemmeno un istante. E queste persone che passano la loro vita gli uni accanto agli altri non
saprebbero nemmeno dirti cosa s'aspettano l'uno dall'altro. Non è possibile pensare che si tratti
solo delle gioie dell'amore: non possiamo immaginare che l'attrazione sessuale sia la sola
ragione della loro felicità e la sola forza che li spinge a vivere fianco a fianco. C'è qualcos'altro:
evidentemente la loro anima cerca nell'altro qualcosa che non sa esprimere, ma che intuisce con
immediatezza. Se, mentre sono insieme, Efesto si presentasse davanti a loro con i suoi
strumenti di lavoro e chiedesse: "Che cosa volete l'uno dalI'altro?", e se, vedendoli in imbarazzo,
domandasse ancora: "Il vostro desiderio non è forse di essere una sola persona, tanto quanto è
possibile, in modo da non essere costretti a separarvi né di giorno né di notte? Se questo è il
vostro desiderio, io posso ben unirvi e fondervi in un solo essere, in modo che da due non siate
che uno solo e viviate entrambi come una persona sola. Anche dopo la vostra morte, laggiù
nell'Ade, voi non sarete più due, ma uno, e la morte sarà comune. Ecco: è questo che
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desiderate? è questo che può rendervi felici?" A queste parole nessuno di loro - noi lo sappiamo
- dirà di no e nessuno mostrerà di volere qualcos'altro. Ciascuno pensa semplicemente che il dio
ha espresso ciò che da lungo tempo senza dubbio desiderava: riunirsi e fondersi con l'altra
anima. Non più due, ma un'anima sola. La ragione è questa, che la nostra natura originaria è
come l`ho descritta. Noi formiamo un tutto: il desiderio di questo tutto e la sua ricerca ha il nome
di amore. Allora, come ho detto, eravamo una persona sola; ma adesso, per la nostra colpa, il
dio ci ha separati in due persone, come gli Arcadi lo sono stati dagli Spartani. Dobbiamo dunque
temere, se non rispettiamo i nostri doveri verso gli dèi, di essere ancora una volta dimezzati, e
costretti poi a camminare come i personaggi che si vedono raffigurati nei bassorilievi delle steli,
tagliati in due lungo la linea del naso, ridotti come dadi a metà. Ecco perché dobbiamo sempre
esortare gli uomini al rispetto degli dèi: non solo per fuggire quest'ultimo male, ma anche per
ottenere le gioie dell'amore che ci promette Eros, nostra guida e nostro capo. A lui nessuno
resista - perché chi resiste all'amore è inviso agli dèi. Se diverremo amici di questo dio, se
saremo in pace con lui, allora riusciremo a incontrare e a scoprire l'anima nostra metà, cosa che
adesso capita a ben pochi. E che Erissimaco non insinui, giocando sulle mie parole, che intendo
riferirmi a Pausania e Agatone: loro due ci sono riusciti, probabilmente, ed entrambi sono di
natura virile. Io però parlo in generale degli uomini e delle donne, dichiaro che la nostra specie
può essere felice se segue Eros sino al suo fine, così che ciascuno incontri l'anima sua metà,
recuperando l'integrale natura di un tempo. Se questo stato è il più perfetto, allora per forza nella
situazione in cui ci troviamo oggi la cosa migliore è tentare di avvicinarci il più possibile alla
perfezione: incontrare l'anima a noi più affine, e innamorarcene. Se dunque vogliamo elogiare
con un inno il dio che ci può far felici, è ad Eros che dobbiamo elevare il nostro canto: ad Eros,
che nella nostra infelicità attuale ci viene in aiuto facendoci innamorare della persona che ci è più
affine; ad Eros, che per l'avvenire può aprirci alle più grandi speranze. Sarà lui che, se
seguiremo gli dèi, ci riporterà alla nostra natura d'un tempo: egli promette di guarire la nostra
ferita, di darci gioia e felicità.
Altri suggerimenti bibliografici
“L’AMORE MIO E’ BUONISSIMO” di V.Lamarque
“FUORI DAL RECINTO. IL VIAGGIO AL FEMMINILE” di A. Fucecchi
“ATALANTA”. Una fanciulla nella Grecia degli dei e degli eroi. da G. Rodari
“TU NON MI GUARDI MAI” da R. D. Laing
“BIANCA - DI – COTONE” da T. Chiarioni
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OCCASIONI DI LIBERTÀ
OPPORTUNITÀ CHE CI DANNO E CHE CI CREIAMO
Dizionario
OPPORTUNITA’
–
Carattere o qualità di chi, di ciò che è OPPORTUNO Adatto o conveniente a un certo momento,
situazione, tempo, desiderio, persona, necessità e simili.
–
L’essere comodo, vantaggioso.
–
Circostanza od occasione favorevole, luogo e tempo adatto. Propizio.
–
Necessità, anche fisiologica.
OCCASIONE
(vc. dotta, lat. occasiōne(m), da occāsum,supino di occĭdere ‘cadere’, comp. di ŏb- ‘davanti’ e cădere
‘cadere’).
–
Caso favorevole od opportuno, momento o situazione particolarmente adatta a qualche cosa.
–
Oggetto, articolo che si può acquistare ad un prezzo particolarmente vantaggioso.
–
Causa, motivo, pretesto.
–
Avvenimento, circostanza, situazione.
FAVOREVOLE
–
Che approva, consente, reca vantaggio
–
Benigno, benevolo
–
Propizio. Non avverso né ostile.
POSSIBILITA’
–
Condizione o qualità di chi, di ciò che è POSSIBILE
può realizzare.
–
Capacità, facoltà, opportunità.
–
Mezzi materiali o morali di cui si dispone.
che può essere, accadere o verificarsi; che si
DIRITTO
–
Complesso di norme legislative o consuetudinarie che disciplinano i rapporti sociali.
–
Scienza giuridica.
–
Interesse tutelato dalla legge mediante la garanzia di una diretta utilità sostanziale.
–
Tassa, onere fisso riscosso in corrispettivo di un atto, di un servizio, o in osservanza di certe norme.
–
Potere, facoltà che deriva da una consuetudine o da una norma morale.
–
Dirittura morale, rettitudine.
–
Ragione, giustizia.
GIUSTIZIA
–
Virtù per la quale si giudica rettamente e si riconosce e si dà a ciascuno ciò che gli è dovuto.
–
Nella teologia cattolica una delle quattro virtù cardinali e uno degli attributi di Dio.
–
Retto funzionamento dei rapporti sociali, nel quale le leggi, puntualmente osservate, regolano ogni
aspetto nella vita collettiva.
–
Autorità giudiziaria, magistratura.
–
Atto col quale la giustizia si realizza.
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BIBLIOGRAFIA
-
AA. VV, “Letteratura comparata” - Milano, Bruno Mondatori, 2002
AA. VV, “L’Enciclopedia della Filosofia e delle scienze umane” - Novara, De Agostini,1996:
AA.VV, “Anime in viaggio. La nuova mappa dei popoli” - Roma, Andkronos, 2001
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Culture della Provincia di Siena, Roma, Città Nuova Editrice, 2002
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ampliata da Giovanni Foriero, Torino, UTET,1998:
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un’educazione alla differenza” - Torino, Loescher, 1995
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Buzzati Dino, “La boutique del mistero” - Milano, Mondadori, 1968
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Chiarioni Tullia, “Ti racconto una fiaba…La narrazione come percorso interculturale” - Roma,
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Cinguetti Nicola, “Il dono della farfalla” - Roma, Edizioni Lapis, 2001
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Devos Xavière, Elschner Géraldine, “Aspettando Maria Marmotta” - Nord - Sud Edizioni, 2004
Eliot Thomas Stearns, East Coker , “Quattro quartetti in Opere” - ed Bompiani
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Fucecchi Antonella, “Fuori dal recinto. Il viaggio al femminile in Adultità” - Rivista semestrale sulla
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Milano, Edizioni Angelo Guerini e Associati, 2000
Gandhi, K. Mohandas, “Antiche come le montagne” - Milano, Edizioni di Comunità 1963, 1983
(orig. 1958)
Gibran, Kahil Gibran, “Il profeta” - Milano, Guanda, 1980
Ginzburg Natalia, “Lui e io in Le piccole virtù” - Torino, Einaudi, 1992
Grimal Pierre, “Enciclopedia della Mitologia” - Milano, Garzanti editore, 1990 - 2005 (orig. 1979 1988).
Hesse Hermann, “Leggende e fiabe” - Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1981 (orig. 1975)
Hesse Hermann, “Narciso e Boccadoro” - Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1993 (orig. 1957)
Hillman James, “Il codice dell’anima” - Milano, Adelphi, 1997 (orig. 1996)
Hűbner Franz, Sopko Eugen, “L’elefantino verde” - Milano, Edizioni Arka, 2000 (orig. 1982)
Krumm Ermanno e Rossi Tiziano (a cura di), “Poesia italiana del Novecento” - Milano, Skira
editore, 1995
Vincenzo Caretti, Laing R.D, “Intervista sul folle e la follia ” - Saggi Tascabili Laterza
Laing R.D., “Mi ami? Nuove situazioni intrapsichiche e interpersonali” - Torino, Einaudi, 1978 e
1992 (1976)
Manganelli Giorgio, “Centuria. Cento piccoli romanzi fiume” - Milano, Adelphi edizioni, 1995
Marcoli Alba, “Il bambino arrabbiato. Favole per capire le rabbie infantili” - Milano, Arnoldo
Mondadori Editore, 1966
Marcoli Alba, “Il bambino perduto e ritrovato. Favole per far pace col bambino che siamo stati” Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1999
Masters, Edgar Lee, “Antologia di Spoon River” - Roma, Newton Compton ed, 1974
16
-
Matheson Richard, “L’esame in Le meraviglie del possibile. Antologia della fantascienza” a cura di
S. Solmi e C. Fruttero, Torino, Einaudi, 1959
McCaughrean Geraldine, “Grandi amori sull’ Olimpo. Storie degli dei greci” - Edizioni EL, San
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Nardone, Giorgio, “Cavalcare la propria tigre” - Milano, Ponte alle Grazie, 2003
Nicola Ubaldo, “Atlante illustrato di filosofia” - Demetra, 1999
Pavese Cesare, “Il mestiere di vivere” - Torino, Einaudi, 1962
Pfister Marcus, “Se l’elefante avesse le ali…” - Nord - Sud Edizioni, 2002 (orig. 2002)
Piquemal Michel, “Piccoli e grandi racconti di Sophios” - Edizioni EL, San Dorligo della Valle
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Powell John, S.J., “Esercizi di felicità” - Cantalupa (To), Effatà Editrice, 1995 (1989)
Pozzi Emilio, Minoia Vito (a cura di), “Di alcuni teatri della diversità” - Cartoceto (Ps), ANC edizioni
(Associazione culturale nuove catarsi)
Quarzo Guido, “Talpa Lumaca Pesciolino” - Firenze, Fatatrac, 1997
Rodari Gianni, “Atalanta. Una fanciulla nella Grecia degli dei e degli eroi” - Roma, Editori Riuniti,
1982 e 1999 (Romanzo Atalanta pubblicato a puntate ne “L’album dei piccoli”, inserto nella rivista
Noi donne, nel 1963)
Sambugar Carmelo, Ermini Doretta, “Leggere Europa” - Scandicci (Firenze), La Nuova Italia
Editrice, 1990
Scheffler Alex, “L’erba del vicino…Proverbi da tutto il mondo” - San Dorligo della Valle (Trieste),
Edizioni EL, 2000 (orig. 1997)
Serravalle Ethel Porzio (a cura di), “Saperi e libertà. Maschile e femminile nella scuola nella vita Vademecum II” - Progetto Polite. Pari opportunità e libri di testo, Milano, Associazione Italiana
Editori, 2001
Shah, Idries, “I pensatori dell’Est. I maestri del Sufismo” - Milano, Arnoldo Mondatori Editore, 1991
(orig. 1981)
Siciliano Enzo (a cura di), “Racconti italiani del Novecento” - Milano, Arnoldo Mondatori Editore,
1983
Singer Isaac Bashevis, “Storie per bambini” - Milano, Mondadori, 1995 (orig. 1962)
Striano Enzo, “Le basi” - Napoli, Loffredo, 1984
Zingarelli Nicola, “Vocabolario della lingua italiana” - Bologna, Zanichelli, 1987
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Appunti dal laboratorio
su attese e occasioni
I DUE PERSONAGGI CHE COSA STANNO ASPETTANDO?
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Un colloquio di lavoro.
Il cinema.
Una festa.
Un lavoro.
Un’ occasione giusta.
La prima occasione.
Un’ opportunità.
Un prestito di soldi.
Una telefonata importante.
Un amico che dice che è possibile fare una festa o andare a giocare con lui.
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Una persona importante: il papà.
Di trovare un lavoro.
Una denuncia.
La moglie.
Di fare un viaggio.
Di andare dal dottore o dal dentista.
Di avere una casa.
La telefonata di un politico.
Di avere una macchina..
Che capiti una bella sorpresa.
CHE COS’É UNA OCCASIONE?
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Entrare a far parte di una certa squadra. E quindi fare un provino.
•
Frequentare la scuola, e disegnare il più possibile.
•
Provare a fare le cose che mi piace fare.
•
E’ un’ occasione…
•
C'era tra i due personaggi: uno andava a cercarla e a coglierla; l’ altro aspettava.
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Una possibilità. Quella giusta
•
Poter esprimere la propria opinione.
•
Una chance
•
Un’ occasione di lavoro
•
Una cosa che non si ha sempre
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E’ qualcosa che si prova, e poi va bene o male.
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E’ una cosa che può far migliorare le proprie scelte.
E’ una scelta che posso far migliorare.
È qualcosa che le persone ti danno e tu puoi accettare o non accettare.
E’ una cosa che si prova.
E’ qualcosa che garantisce il proprio futuro.
Solitamente è utile…può servire.
E’ una cosa positiva.
E’ una cosa che ci piace.
Ti può far fare carriera.
Viene data dalle persone, e può far migliorare, oppure peggiorare il tuo futuro.
Alle volte può far perdere tempo ed energia…ma ci posso provare.
Non sempre un’opportunità serve a far carriera.
Può far guadagnare più soldi.
Occorre sapere quello che si vuole…
Anche noi possiamo dare agli altri delle opportunità.
Se trovi un lavoro è perché il datore di lavoro ti ha dato la possibilità di lavorare.
QUALE OPPORTUNITÁ STATE ASPETTANDO?
•
La possibilità di scegliere l’indirizzo da seguire nelle Scuole Superiori, che è una cosa che in terza
media si fa.
•
Prendere il patentino della moto, per spostarsi e viaggiare.
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L’indipendenza. Ad esempio dai genitori: andando a vivere da soli.
•
La vittoria del campionato.
•
Di essere convocato per giocare a calcio.
•
Mi piace fare equitazione.
•
Vorrei comprarmi un’ auto Lamborghini.
•
Vorrei fare l’elettricista.
•
Vorrei diventare una dottoressa.
•
Mi piacerebbe fare la cuoca.
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Vorrei diventare una farmacista.
•
Voglio studiare per fare l’egittologa.
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Mi piacerebbe diventare una veterinaria.
•
Vorrei fare il fotografo.
•
Mi piace giocare a calcio. Spero di fare il calciatore.
•
Aspetto i risultati delle verifiche…che spero siano andate bene.
•
Io aspetto di prendere la patente per poi diventare un camionista e quindi viaggiare per lavoro.
•
Che finisca la scuola…
…Per restare a casa.
…Per disegnare.
…Per stare un po’ da soli a fare ciò che ci piace.
•
Vedere e fare più spettacoli teatrali.
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Vorrei che la scuola non esistesse proprio.
Leggere tutti i libri del mondo.
Recitare.
Ballare.
Realizzare uno spettacolo.
Vorrei diventare un poeta
Mi piacerebbe fare il pasticcere
Aspetto di diventare un pilota di aereo
Non lo so. Non mi piace niente di particolare e quindi non mi preparo in niente.
Spero, cioè, di vincere delle gare. Nell’ attesa mi impegno e mi alleno.
Io vorrei fare lo straccione o il pastore di pecore. Uno straccione che mi è piaciuto l’ ho visto nel
film : “L’alba del giorno dopo”. Era simpatico ed avverte qualcosa da fare per risolvere la
situazione. Vorrei essere libero come lui.
Io vorrei cantare e presentarmi al Festival di Sanremo
Che un dentino cada.
Il compleanno.
Di andare in vacanza.
CHE OPPORTUNITÀ VI HANNO DATO?
•
A me è sempre piaciuta la danza, e adesso la pratico.
•
Con l’aiuto di mia mamma mi sono costruito una casa sull’albero.
•
Desideravo una camera nuova e l' ho avuta
•
Io suono la chitarra. Ne avevo già una in casa.
•
Io, invece, suono la chitarra elettrica.
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Giocare a calcio. Mio papà è l’allenatore della squadra…
A me piace molto la musica. L’ ho scoperto guardando ed ascoltando i concerti. Non sono stato
accompagnato a dei concerti, ma mi è capitato di capirlo cambiando canale alla televisione.
A me, invece piace il calcio ed il motocross. Da piccolo mi piaceva fare le capriole… Mi è capitato
da solo di scoprirlo.
Io ho sentito la musica ad un concerto in Sicilia, ma non ne sono rimasta particolarmente colpita,
perché a me interessa soprattutto la danza.
A me piace il calcio perché in TV posso vedere le partite.
Io ho scoperto che mi piace disegnare da piccola.
Io ho provato ad andare a nuoto, e così ho scoperto che mi piace nuotare.
Io da grande vorrei fare la stilista. La passione mi è venuta disegnando.
A me piace ballare. Da piccola continuavo a ballare. La mamma mi ha vista e mi ha portato a
ballare. E così adesso posso fare una cosa che mi piace.
A me piacciono gli animali che posso tenere perché ho un giardino ed un orto.
A me piace il karatè, perché ho visto mio fratello farlo.
Mi piacciono le auto. Ho il quod.
Ho scoperto che mi piace la musica quando mia sorella ha portato a casa un flauto.
A me piace il calcio. Ed anche l’italiano: perché mi piace la maestra Renata.
Io sono appassionato del calcio. L’ ho scoperto giocando, con gli amici, in cortile. Ma anche
perché ho visto giocare a calcio in televisione.
A me piace l’atletica. L’ ho capito correndo. Dopo un po’. In TV non la si vede molto.
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A me interessa il tiro con l’arco perché ho un fratello a cui piace e che mi ha trasmesso questa
passione.
A me da grande piacerebbe prendermi cura dei bambini. L’ ho capito quando frequentavo la
scuola media.
Io voglio diventare una segretaria ed è per questo motivo che frequento l’ Istituto Commerciale. Ho
scoperto di avere questa passione da mia sorella.
Io sono figlia unica. Ho scelto questa scuola perché mi interessava l’indirizzo. Poi vedremo.
Io non so se ho una passione particolare, anche se mi piace vestirmi bene.
Io ho capito che mi piaceva la musica quando ho visto arrivare a casa mia sorella con una chitarra.
E così ho provato anche io…
Un giorno mi sono perso, ho trovato un campo per il calcio, ho iniziato a giocare e mi sono
appassionato.
A me piace il rugby. L’ho visto giocare da mia sorella e ho voluto provare anch'io
Io amo suonare la batteria. L’ ho capito perché ho un amico che la suona.
Io vorrei fare il calciatore. L’ ho capito guardando la televisione.
Vorrei diventare un paleontologo. Perché mi piacciono i dinosauri. L’ ho scoperto quando mia
mamma me ne ha comprato uno.
Mi piace l’arte. Vorrei diventare un artista. L’ ho capito guardando mio cugino che disegna bene.
Studiare per diventare un architetto. A scuola ho capito che mi piace il disegno tecnico.
Diventare un cuoco. Perché mio padre faceva il cuoco.
A me piacerebbe giocare a golf: si guadagna di più, anche se in TV se ne parla poco.
Cantare. Anche se la mia voce non è molto bella.
VI È CAPITATO DI DARE A QUALCUNO UNA OPPORTUNITÁ?
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Diventare amici.
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Far giocare gli altri con i propri giochi.
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Invitare i compagni a casa propria per fare tutti insieme una festa
COSA FATE PER CREARVI UNA OPPORTUNITÀ?
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Studiamo.
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Impariamo.
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Ci mettiamo impegno.
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Io ad esempio faccio dei modelli di carta delle cose che vorrei costruire.
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Studiamo.
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Ci si allena.
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Si cerca di imparare.
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Si prova.
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Mi piacerebbe però frequentare un corso di canto.
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Ci impegniamo.
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Facciamo allenamento.
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Ci mettiamo la grinta.
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Per suonare la batteria occorre avere il ritmo.
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Scegliere il percorso di studi adatto. Anche se può essere difficile.
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Ci impegnano.
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Andiamo a scuola.
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Ci alleniamo.
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Non si può solo aspettare
Frequentare un Liceo
Studiare e fare pratica
io vorrei diventare una dottoressa. Per fare questo devo comprare e leggere dei libri, prepararmi,
imparare, avere qualcuno che mi insegni…
Mi piace giocare a calcio e vorrei diventare un calciatore. Per diventarlo dovrei almeno fare un
provino, ma ho paura di farmi male.
Io voglio fare l’elettricista. E’ per questo motivo che ho scelto di frequentare l’Istituto Tecnico.
Voglio lavorare presto e fare questo mestiere.
SITUAZIONI CHE VI IMPEDISCONO DI CREARVI UNA OPPORTUNITA'?
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La stanchezza.
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Il male.
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Il dolore.
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Con le donne è più faticoso giocare a scacchi.
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Certe volte non mi fanno portare il cane a passeggio.
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I genitori in casa mi impediscono di collaudare la bici.
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Volevo frequentare la scuola per diventare parrucchiera, ma ero troppo piccola ed ho dovuto
aspettare un anno. Poi mi iscriverò.
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I miei genitori mi impediscono di avere uno scooter. Io lo vorrei per muovermi, per viaggiare…
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Viaggiare. Perché i ragazzi della nostra età non hanno i soldi per farlo, perché devono studiare e
non possono guadagnare.
QUANDO VI NEGANO UNA OPPORTUNITA'?
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A me i genitori non fanno vedere SKY.
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Io avrei voluto fare danza.
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Quando si è obbligati a frequentare la scuola.
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E’ ingiusto non poter scegliere di fare solo le cose che ci piacciono.
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Quando i più deboli vengono maltrattati.
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Quando a casa faccio una domanda e non mi rispondono.
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Quando si impedisce ai disabili di andare in certi posti, magari su una giostra. Magari dicendo che
è per il loro bene.
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Non sono potuto andare al cinema con gli amici…perché avevo altro da fare.
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Io avevo iniziato a fare ginnastica artistica. Poi ho dovuto smettere e non so il perché. E questo è
ingiusto.
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Non volevo andare a scuola e sono stato obbligato ad andarci….
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Io volevo fare equitazione ma i miei genitori avevano paura che cadessi da cavallo, e così non mi
ci hanno fatto andare. Volevo fare anche nuoto…
COSA FATE DI FRONTE AD UNA OPPORTUNITÁ NEGATA?
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Si può insistere.
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Si può provare a fare altre cose.
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Si cerca altro.
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Ipotesi: i vicini protestano perché disturbi suonando la chitarra elettrica
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Li supplico.
Caccio i vicini.
Cerco un posto più isolato dove posso suonare.
Mi ribello.
Sacrifico qualcosa: ad esempio impiego un po’ di tempo libero per aiutare la mamma, così
accumulo qualcosa e con quello che guadagno trovo un posto alternativo in cui andare a
suonare.
Posso cercare di essere più diplomatico.
Mi chiudo in camera. Blocco con i chiodi tutte le porte e le finestre e poi suono lo stesso.
Metto un isolante, così faccio meno “rumore”.
Faccio dei “ricatti”.
Vado a suonare da un’altra parte.
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MATERIALE DIDATTICO a cura di Monica Delmonte
Il Progetto Favole Filosofiche è un progetto di e con
Alessandro Pisci e Pasquale Buonarota
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