La città dei sogni è un luna park
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La città dei sogni è un luna park
La Stampa lunedì 17 maggio 2010 pagina 32 FRANCESCO POLI PARIGI M ostrare come i modelli spettacolari delle grandi esposizioni e delle fiere internazionali, e i mondi fittizi dei luna park e dei grandi parchi tematici d’attrazione hanno influenzato per molti versi gli sviluppi della concezione postmoderna (e «antifunzionalista») delle città. E documentare come una tale dimensione dell’immaginario ludico di massa sia ormai un aspetto che è diventato realtà caratterizzando sempre di più le scene urbane di tutto il mondo. Questo è l’argomento non da poco affrontato in «Dreamlands»: un’esposizione molto bella allestita come un complesso e labirintico percorso multimediale. Attraverso oltre trecento opere Da Depero a Rem Koolhaas la visionarietà di architetti e artisti (film, foto documentarie, progetti architettonici, oggetti di design, lavori fotografici, quadri e installazioni d'artisti) passa in rassegna in modo intelligente e divertente l’intero ’900 e arriva fino ad oggi. Il titolo della mostra rimanda direttamente al nome del parco inaugurato nel 1904 a Coney Island, a New York (e bruciato nel 1911) che tra le sue attrazioni aveva dei «canali» di Venezia da navigare in gondola e delle «montagne» svizzere da scalare. Il riferimento a questo parco non è casuale perché si collega a quanto ha scritto Rem Koolhaas in Delirious New York (1978). In quel saggio cult l’architetto olandese affermava in modo provocatorio e geniale che quel parco era stato il crogiuolo di una spettacolarizzazione del fantastico urbano su cui si è fondato il mito di New York La città dei sogni è un luna park Parigi Al Centre Pompidou “Dreamlands” passa in rassegna le metropoli immaginate dall’inizio del Novecento ad oggi capitale mondiale. Il libro di Koolhaas e quello altrettanto famoso di Robert Venturi e Denise Scott Brown, Learning from Las Vegas (1972), che analizza il modello più esagerato e rutilante di architettura ludica commerciale (e il suo ambiguo fascino pop), e le concezioni radicali di situazionisti come Constant e del gruppo Archigram, rappresentano l’asse teorico portante di tutta la mostra. La «narrazione» inizia con foto e diorami dell'Esposizione Universale di Parigi del 1889, quella che vide nascere la Tour Eiffel, e con Allan de Souza The Goncourt Brothers stand between Caesar and the Thief of Bagdad, 2003 particolare del plastico di Allan DeSouza in alto immagini sbiadite del parco di Coney Island. Segue la documentazione del surreale padiglione Le rêve de Venus che Salvador Dalì aveva realizzato, con profusione di nudi femminili (a partire da una gigantografia della Venere di Botticelli), per la Fiera Internazionale di New York del 1939. La sezione successiva presenta i progetti degli Archigram, quello del Fun Palace (1960) un «laboratorio del piacere ludico» ideato da Cedric Price, e l'utopica visione urbana di Constant. A fare da libero contrappunto troviamo lì G accanto lavori di artisti contemporanei come il fantasioso plastico di Kinshasa di Kingelez, realizzato con materiali di recupero, o la città inventata in 3D nel video di Jia Zangkhe. Si passa poi al video che ci spiega il punto di vista di Bob Venturi su Las Vegas, anche con affermazioni tipo: «no al verde e agli alberi», «sì alle stazioni di servizio», «sì alla bellezza delle insegne luminose». E qui ci sono bellissime foto di Martin Parr con i turisti che circolano in mezzo a finti scenari parigini, veneziani, o dell' antica Roma; e una metafisica Notre-dame «Pink man in paradise Notre dame» è il titolo dell’opera di Manit Sriwanichpoorn esposta al Pompidou foto di Thomas Struth che fa esplodere il contrasto fra un angolo di finta Macao e le decine di piani del megahotel retrostante. La parte dedicata alla New York delirante di Koolhaas mette in scena, oltre agli ironici disegni per il libro di Vriesendorp, dei dipinti Guston, l’ironico divano Tramonto a New York di Gaetano Pesce, e giustamente anche due scene ispirate ai grattacieli della Grande Mela dipinte nel 1930 da Fortunato Depero, autore insieme a Balla del ludico manifesto «La ricostruzione futu- rista dell'universo». Molto divertenti sono le scene fotografiche di vari parchi di mondi in miniatura, in particolare quelli cinesi, e alcune installazioni come il plastico fatto con ossa finte per cani del cinese Liu Wei o quello, con dispositivi sonori, assemblato con scatoloni di cartone dell’irlandese Malachi Farrel. Il lavoro video più affascinante e inquietante è sicuramente quello di Pierre Huyghe, Streamstyle (2003), ambientato in un fantasmatico villaggio stile «new urbanism». Nel finale una sala è dedicata al progetto Epcot (Experi- mental Prototipe Community of Tomorrow) concepito da Walt Disney nel 1950 ma realizzato solo nel 1982 come un più banale parco tematico sulle innovazioni tecnologiche. A concludere il percorso non poteva non esserci Dubai, con i suoi lussuosi e spaventosi complessi residenziali nel mare a forma di palma, o articolati in isolette che disegnano il planisfero. Il Dreamland al bordo del deserto dei diritti sociali. DREAMLANDS PARIGI CENTRE POMPIDOU FINO AL 9 AGOSTO