Il nuovo Protocollo di pesca tra Unione europea e Marocco e i diritti

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Il nuovo Protocollo di pesca tra Unione europea e Marocco e i diritti
Unione europea
Il nuovo Protocollo di pesca tra Unione europea e Marocco e i diritti del popolo
sahrawi sulle risorse naturali
Sommario: 1. Il nuovo Protocollo di pesca tra Unione europea e Marocco. – 2. La controversia relativa all’ambito di applicazione territoriale dell’Accordo di partenariato sulla pesca del 2007. – 3. La
compatibilità del Protocollo con i diritti del popolo sahrawi sulle risorse naturali. –
4. L’interpretazione ‘autentica’ del parere dell’Ufficio legale delle Nazioni Unite. – 5. Obblighi di
non riconoscimento in capo all’Unione europea. – 6. Conclusioni.
1. Il 10 dicembre 2013 il Parlamento europeo
con 310 voti a favore, 204 contrari e 49 astensioni ha approvato il Protocollo tra l’Unione
Parlamento europeo, Accordo di
europea (UE) e il Regno del Marocco che fissa
partenariato UE-Marocco nel settore
della pesca: protocollo che fissa le posle possibilità di pesca e la contropartita finansibilità di pesca e la contropartita finanziaria (“Protocollo”, in GU L 328 del 12 luglio
ziaria, in GU L 328 del 12 luglio 2013
2013) previste dall’Accordo di partenariato nel
(www.eur-lex.europa.eu)
settore della pesca fra l’Unione europea e il
Regno del Marocco (in GU L 144 del 29 maggio 2006). Il Protocollo è entrato in vigore nel
febbraio scorso con la notifica dell’avvenuta ratifica da parte del parlamento di Rabat. Esso prevede una estensione di quattro anni dell’accordo quadriennale di partenariato nel
settore della pesca tra UE e Marocco entrato in vigore nel febbraio del 2007, provvisoriamente applicato da febbraio 2011 a dicembre 2011 attraverso un protocollo, poi rigettato dal Parlamento europeo. L’attuale Protocollo, al fine di ottenere l’accesso dei pescherecci europei alle zone di pesca marocchine e al fine di contribuire allo sviluppo del
settore ittico in Marocco, prevede un contributo netto dell’Unione europea di 30 milioni
di euro annui, appunto per un periodo di quattro anni; e 10 milioni annui per il rilascio
delle licenze di pesca da parte delle autorità marocchine.
Come già accennato, il protocollo di estensione dell’Accordo di partenariato era stato
rigettato dal Parlamento europeo nel dicembre 2011, in quanto ritenuto troppo oneroso,
poco rispettoso dell’esigenza di assicurare una pesca sostenibile nelle acque marocchine e,
soprattutto, non garante dell’esigenza di rispetto dei diritti della popolazione del Sahara occidentale. Per quanto concerne quest’ultimo profilo, rilevante ai fini della presente analisi, il
Parlamento, nella sua risoluzione di rigetto del precedente protocollo, aveva chiesto alla
Commissione «di garantire che il futuro protocollo rispett[asse] appieno il diritto internazionale e [fosse] vantaggioso per tutte le fasce della popolazione locale interessate» (Parlamento europeo, Risoluzione sul futuro protocollo che fissa le possibilità di pesca e la contropartita finanziaria previste dall’accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea e il Regno del Marocco, 2011/2949(RSP) del 14 dicembre 2011, par. 9).
2. La ‘bocciatura’ del suddetto protocollo originava dalla controversia relativa all’ambito
di applicazione territoriale dell’Accordo di partenariato del 2007, in particolare se esso si
estendesse alla acque prospicienti la costa del Sahara occidentale (come noto, ex colonia
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spagnola da decenni amministrata e annessa dal Marocco, la cui popolazione non ha mai
potuto esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione), e alla compatibilità di
quest’ultimo con il diritto internazionale: già nel maggio del 2006, al momento del voto in
Consiglio, la Svezia aveva votato in senso contrario all’approvazione, ritenendo che esso
non tenesse «into full consideration that Western Sahara is not a part of the territory of
Morocco under international law […]» ; e che «all concerned [were] not ensured to
benefit from the implementation of this agreement in accordance with the will of the
people of Western Sahara, as provided by international law». Simili preoccupazioni, in
particolare rivolte all’attuazione dell’accordo stesso, erano state manifestate nella propria
dichiarazione di voto di astensione da Finlandia e Paesi Bassi (per il testo completo delle
suddette dichiarazioni ci si permette di rimandare al nostro scritto E. Milano, “The New
Fisheries Partnership Agreement between the European Community and Morocco”, in
Anuario español de derecho internacional 2006, p. 413 ss., a p. 428, nota 61). Fattori decisivi nella scelta del Consiglio di approvare l’accordo e del Parlamento europeo di esprimere parere favorevole nel 2006 furono i pareri dei rispettivi uffici del Servizio giuridico:
secondo il parere del Servizio giuridico del Parlamento, l’accordo non escludeva, né includeva le acque del Sahara occidentale, sarebbe spettato al Marocco dare attuazione
all’accordo stesso in conformità ai propri obblighi internazionali nei confronti della popolazione del Sahara occidentale e, in ogni caso, la Comunità europea avrebbe potuto, attraverso un processo di consultazione, richiedere la sospensione dell’accordo stesso, se il
Marocco non avesse tenuto in dovuto riguardo gli interessi del popolo sahrawi (Parlamento europeo, Legal Opinion of the Legal Service of the European Parliament, SJ0085/06 del 20 Febbraio 2006, par. 45).
Nel 2009, in seguito a numerose interrogazioni parlamentari, la Commissione ‘svelava’ i primi dati che mostravano come le licenze di pesca concesse dalle autorità marocchine ai pescherecci comunitari, tramite la delegazione della Commissione a Rabat, riguardassero anche le zone di pesca al largo della costa del Sahara occidentale. A questa rivelazione, su sollecitazione della Commissione per lo sviluppo del Parlamento europeo, seguiva un nuovo parere del Servizio giuridico del Parlamento: nel documento prodotto il
13 luglio 2009, il Servizio giuridico prendeva atto dell’estensione dell’ambito di applicazione dell’Accordo di partenariato alle acque del Sahara occidentale; negava che la dichiarazione della Repubblica democratica araba sahrawi (SADR), con cui veniva stabilità
una zona economica esclusiva, potesse produrre effetti giuridici in assenza di effettività di
quest’ultima e stante lo status del territorio come territorio non-autonomo ai sensi
dell’Art. 73 della Carta ONU; inoltre, determinava che non vi fosse evidenza del fatto che
il contributo finanziario della Comunità fosse utilizzato a beneficio della popolazione sahrawi e che, essendo il principio di sovranità permanente sulle risorse naturali vincolante
anche la Comunità europea, questa avrebbe dovuto utilizzare i meccanismi applicativi
previsti dal comitato congiunto CE-Marocco per fare in modo che effettivamente del
proprio contributo beneficiassero le popolazioni locali; in caso di riscontro negativo della
controparte, la Comunità europea avrebbe dovuto cessare le richieste di licenza di pesca
nella zona di mare del Sahara occidentale ovvero richiedere la sospensione dell’accordo
(Parlamento europeo, Legal Opinion of the Legal Service of the European Parliament, SJ
0269/09 del 13 luglio 2009). Il parere del 2009 fu certamente decisivo nell’indurre il Parlamento europeo a rigettare il nuovo protocollo nel dicembre 2011; all’interno dello stesso Consiglio, Svezia, Danimarca e Paesi Bassi votarono contro il protocollo, mentre Regno Unito, Cipro, Austria e Finlandia si astennero, proprio in considerazione dei potenziali profili di violazione del diritto internazionale.
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Con riferimento al Protocollo del 2013, le richieste del Parlamento alla Commissione
di un nuovo protocollo che assicurasse la piena compatibilità con il diritto internazionale
sono state prese in considerazione attraverso il rafforzamento dei meccanismi di controllo
sui benefici che l’utilizzo del contributo finanziario europeo dovrebbe produrre sullo sviluppo del settore della pesca e delle popolazioni costiere e l’inserimento di una clausola
all’Art. 1 del Protocollo stesso, che prevede che esso sarà attuato in conformità alla clausola sulla condizionalità democratica e sul rispetto dei diritti umani di cui all’Art. 2
dell’Accordo di associazione UE-Marocco (Parere della commissione per lo sviluppo destinato alla commissione per la pesca sulla proposta di decisione del Consiglio relativa alla
conclusione del protocollo tra l’Unione europea e il Regno del Marocco che fissa le possibilità di pesca e la contropartita finanziaria previste dall’accordo di partenariato nel settore della pesca in vigore tra le due Parti, COM (2013)0648-C7-2013/0315(NLE)). Tali
modifiche, ancora una volta, non sono state trovate convincenti da alcuni Stati in Consiglio: Svezia e Danimarca hanno votato contro; Finlandia, Regno Unito e Paesi Bassi si sono astenuti. Particolarmente illustrativa è la dichiarazione di questi ultimi secondo cui
«[i]l protocollo non fa esplicito riferimento al Sahara occidentale, ma consente la sua applicazione alle zone marittime adiacenti al Sahara occidentale che non sono soggette alla
sovranità o alla giurisdizione del Marocco. Il Marocco, quale potenza amministratrice del
Sahara occidentale, non può ignorare gli interessi e i desideri della popolazione del Sahara occidentale nell’applicare il protocollo a tali zone marittime. I Paesi Bassi prendono
atto che il protocollo non contiene alcuna disposizione che garantisca che le autorità marocchine utilizzeranno l’importo erogato per l’accesso alla risorsa conformemente agli
obblighi loro derivanti a titolo del diritto internazionale nei confronti della popolazione
del Sahara occidentale. I Paesi Bassi ritengono che, in virtù del diritto internazionale, la
popolazione del Sahara occidentale debba beneficiare di una quota proporzionale di tale
importo. Il rispetto del diritto internazionale dipenderà pertanto dall’attuazione del protocollo da parte delle autorità marocchine»; mentre la Svezia ha motivato il suo voto contrario ricordando che «[d]a qualche tempo la Svezia si chiede se l’accordo di partenariato
nel settore della pesca con il Marocco sia compatibile con il diritto internazionale. Poiché
il Sahara occidentale non fa parte del territorio marocchino, il diritto internazionale richiede che le sue risorse di pesca siano utilizzate a beneficio del popolo sahrawi del Sahara occidentale e conformemente ai suoi interessi e desideri. La Svezia prende atto degli
sforzi compiuti dalla Commissione e dal Marocco per garantire una migliore assegnazione
delle entrate derivanti dall’accordo in seno alla regione. Nonostante alcuni progressi nella
giusta direzione, la Svezia ritiene che le modifiche apportate siano insufficienti a garantire
l’adempimento degli obblighi del diritto internazionale in relazione al popolo sahrawi nel
Sahara occidentale» (Consiglio dell’Unione europea, n. 17194/13, Add.1LimitePeche 590
del 10 dicembre 2013).
3. Vogliamo, a questo punto, stabilire se effettivamente l’opposizione e le riserve
all’Accordo di partenariato e ai relativi protocolli siano fondati dal punto di vista del diritto internazionale, con particolare riferimento all’ultimo accordo entrato in vigore recentemente. Il punto di partenza – nonché oggetto del contendere nelle argomentazioni giuridiche utilizzate dalla Commissione, dagli Stati e dai parlamentari contrari alla conclusione di
tali accordi e dai servizi giuridici di Consiglio e Parlamento – è un parere reso nel 2002
dall’Ufficio legale delle Nazioni Unite, proprio in merito allo sfruttamento delle risorse naturali nei c.d. non self-governing territories, con particolare riguardo al Sahara occidentale.
In quel parere, richiesto dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite riguardo alla legit3
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timità di concessioni date dalle autorità marocchine per l’esplorazione di risorse petroliferi
nel sottosuolo marino prospiciente la costa del Sahara occidentale, l’Ufficio legale notava
una significativa evoluzione nella disciplina del diritto internazionale generale precisata da
una serie di risoluzioni dell’Assemblea generale, proprio in merito allo sfruttamento delle
risorse naturali nei territori non autonomi, nelle quali si evidenziava il passaggio da una
interdizione generale a un regime in cui sarebbero state vietate dal diritto internazionale
«only those economic activities which are not undertaken in accordance with the interests
and wishes of the people of the territory and deprive them of their legitimate rights over their
natural resources» (corsivo aggiunto, Consiglio di sicurezza, Letter dated 29 January 2002
from the Under-Secretary-General for Legal Affairs, the Legal Counsel, addressed to the President of the Security Council, UN Doc. S/2002/161 del 12 febbraio 2002, par. 19). Dal
2002 a oggi, l’Assemblea generale ha continuato ‘serialmente’ ad adottare risoluzioni sul
regime relativo alle attività economiche nei territori non autonomi che confermano le
conclusioni del parere giuridico dell’Ufficio legale delle Nazioni Unite: anche nell’ultima
risoluzione adottata l’11 dicembre 2013, essa ha riaffermato «the value of foreign economic investment undertaken in collaboration with the peoples of the Non-Self-Governing
Territories and in accordance with their wishes in order to make a valid contribution to the
socioeconomic development of the Territories, especially during times of economic and
financial crisis» e «its concern about any activities aimed at the exploitation of the natural
resources that are the heritage of the peoples of the Non-Self-Governing Territories […]
to the detriment of their interests, and in such a way as to deprive them of their right to dispose of those resources» (corsivo aggiunto, Assemblea generale, Economic and other activities which affect the interests of the peoples of the Non-Self-Governing Territories, UN Doc.
A/Res. 68/88 del 17 dicembre 2013, par. 2 e 4).
Il primo elemento che ‘balza all’occhio’ nella lettura dell’Accordo di partenariato e
del Protocollo del 2013 è l’assenza totale di qualsiasi riferimento al Sahara occidentale e
alla popolazione del territorio. Se questo fosse indicativo della volontà delle parti, e in
particolare dell’Unione europea, di escludere le acque del Sahara occidentale dall’ambito
territoriale di applicazione dei due accordi potremmo esserne rassicurati; ma si è appreso,
dalle rivelazioni della Commissione sulla prassi applicativa del primo quadriennio, che
così non è. L’inclusione è stata resa possibile dalla disposizione dell’art. 2, lett. a)
dell’Accordo di partenariato secondo la quale la ‘zona di pesca marocchina’ è definita da
«le acque soggette alla sovranità o alla giurisdizione del Marocco» (corsivo aggiunto). Il
Protocollo del 2013, così come i precedenti protocolli, identifica la zona di pesca più meridionale, in quella a sud del 29° parallelo, parallelo che ‘taglia’ la costa marocchina, ma a
una distanza ravvicinata dal confine tra Marocco e Sahara occidentale. In ogni caso, quel
che rileva ai fini dell’interpretazione di una disposizione generica e ambigua come quella
del suddetto art. 2, lett. a), è la prassi applicativa delle parti ai sensi dell’art. 31, par. 3,
lett. b) della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, che ha esteso la concessione
delle licenze a tutto la zona di mare sotto la giurisdizione de facto delle autorità marocchine. Non è peraltro peregrina l’osservazione che l’Unione europea abbia corrisposto, e
continui a corrispondere, un contributo finanziario per pescare in acque internazionali,
considerato che il Marocco non ha mai stabilito una zona economica esclusiva sulle zone
di mare prospicienti la costa del Sahara occidentale.
Senza entrare nel merito dell’applicabilità del diritto di occupazione allo sfruttamento
delle risorse naturali del Sahara occidentale da parte del Marocco e della qualificazione
del Marocco come ‘de facto administering power’ effettuata dal Servizio giuridico del Parlamento nel 2013 (su quest’ultimo problema rimandiamo a C. Ruiz Miguel, “El acuerdo
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de pesca UE-Marruecos o el intento español de considerar a Marruecos como ‘Potencia
administradora’ del Sahara occidental”, in Anuario español de derecho internacional 2006,
p. 395 ss.), possiamo senz’altro affermare che, de minimis, al Marocco si applichino gli
obblighi relativi all’amministrazione di un territorio non autonomo vincolanti le ‘potenze
amministratrici’ ai sensi dell’art. 73 della Carta ONU. Questa affermazione è avallata dal
parere dell’Ufficio Legale delle Nazioni Unite. Se così è, dobbiamo rilevare una prima
‘piroetta’ linguistico-argomentativa da parte delle istituzioni europee e degli Stati membri
nell’interpretazione del diritto internazionale generale, iniziata già nel 2006, tesa a valorizzare l’elemento dei ‘benefici’ alla popolazione della Sahara occidentale, a scapito
dell’esigenza di consultazione con i legittimi rappresentanti del popolo sahrawi che deriva
dall’obbligo di assicurare che le attività economica siano «in accordance with their wishes». Lo stesso Servizio giuridico del Parlamento europeo, in ultimo nel parere reso alla
Commissione pesca nel novembre 2013, continua a sottolineare che l’Accordo di partenariato e i relativi protocolli devono essere attuati in modo da apportare un beneficio alle
popolazioni della costa della Sahara occidentale, affinché rispettino il diritto internazionale (Parlamento europeo, Legal Opinion of the Legal Service of the European Parliament, SJ
0665-133 del novembre 2013). Nella dichiarazione di voto congiunta effettuata da Austria, Germania e Irlanda, i tre Paesi hanno chiesto «alla Commissione di informare il
Consiglio esaustivamente e periodicamente sui proventi ricevuti dalla popolazione del Sahara occidentale quale risultato dell’accordo. Occorre assicurare che anche la popolazione sahrawi del Sahara occidentale riceva una quota appropriata, che sia in linea con i suoi
interessi, delle risorse finanziarie derivanti dall’accordo» (corsivo aggiunto, Consiglio
dell’Unione europea, n. 17194/13, cit.). Nel dibattito parlamentare contestuale al voto sul
Protocollo, il Commissario per la pesca, Maria Damanaki, ha affermato: «[i] would like to
make one point very clear: no legal authority until now – including the United Nations,
the European Court of Justice or the Legal Services of any of the EU institutions (Commission, Council and Parliament) – has ever said that an agreement with Morocco covering Western Sahara is illegal. Nobody. What they do say – and rightly so – is that such an
agreement must fulfill certain conditions; in particular, referring to the fisheries agreement, that fishing activities must benefit the local population» (corsivo aggiunto,
Parlamento europeo, EU-Morocco Fisheries Partnership Agreement: protocol setting out
fishing opportunities and financial contributions (debate), P7_TA(2013)0522 del 9
dicembre 2013). Irrilevante, perlomeno per le istituzioni europee, è diventata la reiterata
opposizione all’accordo e ai relativi protocolli proveniente dai legittimi rappresentanti
della SADR e del Fronte Polisario. Il dato è evidente anche dall’ultimo rapporto del Segretario-Generale delle Nazioni Unite al Consiglio di sicurezza, datato 10 aprile 2014, riguardante la situazione nel Sahara occidentale in cui si indica che «Moroccan and international investments in the part of the Territory under Moroccan control, as well as in the
territorial waters adjacent to Western Sahara, were the subject of contention between
Morocco and the Frente Polisario, given the longstanding status of Western Sahara as a
Non-Self-Governing Territory. A new Protocol of the Fisheries Partnership Agreement
between the European Union and the Kingdom of Morocco was signed in the final quarter of 2013 and came into effect in February 2014, following ratification by Morocco. The
Secretary-General of the Frente Polisario wrote to me repeatedly to condemn Morocco’s exploitation of the Territory’s resources and publicly announced his intention to consider a
possible judicial appeal against the Agreement» (corsivo aggiunto, Consiglio di sicurezza,
Report of the Secretary-General on the situation concerning Western Sahara, UN Doc.
S/2014/258 del 10 aprile 2014, par. 11). Il Segretario-Generale evoca poi informazioni
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ricevute dal Fronte Polisario relativamente al rinnovo di concessioni a compagnie petrolifere straniere per attività esplorative sui fondali marini del Sahara occidentale, richiamando infine il parere dell’Ufficio legale del 2002 e citando il noto passaggio relativo
all’esigenza del rispetto degli interessi e dei desideri della popolazione (Id., par. 12).
4. La lettura selettiva del parere del 2002 fornita dalle istituzioni europee trova conferma
in una sorta di ‘interpretazione autentica’ fornita dall’allora vice Segretario generale per
gli affari giuridici, Hans Corell. In un intervento pubblico del 2008, Corell ha rivendicato
la ‘paternità’ del parere del 2002 e ha criticato il ricorso fatto dalla Commissione europea
al parere stesso per giustificare l’accordo dal punto di vista del diritto internazionale.
Corell ha dichiarato infatti: «[i] find it incomprehensible that the Commission could find
any such support in the legal opinion, unless, of course, it had established that the people
of Western Sahara had been consulted, had accepted the agreement, and the manner in
which the profits from the activity were to benefit them. However, an examination of the
agreement leads to a different conclusion» (corsivo aggiunto, H. Corell, “The Legality of
Exploring and Exploiting Natural Resources in Western Sahara”, Conference on Multilateralism and International Law with Western Sahara as a Case Study, Pretoria, 5 December
2008, disponibile su www.havc.se/res/SelectedMaterial/20081205pretoriawesternsahara1
.pdf, p. 242). Nell’analisi effettuata del ‘proprio’ parere Corell ha sottolineato in diversi
passaggi l’esigenza di consultazione e accordo dei rappresentanti della popolazione. Ci
pare, quindi, che il Protocollo attuale, pur con il riferimento alla clausola sulla condizionalità ‘umanitaria’ e pur con il rafforzamento dei meccanismi di monitoraggio
sull’impiego da parte del Marocco delle risorse messe a disposizione dall’Unione europea,
non sia rispettoso del diritto della popolazione sahrawi a disporre e beneficiare delle proprie risorse naturali, nella misura in cui i legittimi rappresentanti sahrawi sono stati esclusi
dalla negoziazione dell’accordo e dai meccanismi applicativi; questo indipendentemente
dall’effettivo ed eventuale beneficio che la residua popolazione sahrawi residente sulla
costa potrà ricevere dall’applicazione dell’accordo stesso (beneficio peraltro mai provato
per quanto ha riguardato il quadriennio 2007-2011). Infine, va notato come i diritti sulle
risorse naturali siano di natura erga omnes e vincolino l’Unione europea in quanto soggetto di diritto internazionale, beneficiario dell’accordo stesso e soggetto attivo nelle procedura di rilascio delle licenze di pesca attraverso la delegazione della Commissione di Rabat (si veda l’Allegato al Protocollo, “Condizioni per l’esercizio della pesca nella zona di
pesca marocchina da parte delle navi dell’Unione europea”, punto A, par. 4): va in questo
senso ridimensionata e criticata l’enfasi accordata sia dai Servizi giuridici, sia dalle istituzioni europee, all’esigenza che siano le autorità marocchine a dovere fare in modo che i diritti della popolazione sahrawi siano rispettati attraverso una proporzionata distribuzione
delle risorse finanziarie dell’Unione europea; spetta anche all’Unione fare in modo che le
risorse naturali vengano sfruttate dai propri pescherecci, sulla base dell’accordo e del
Protocollo, garantendo gli interessi della popolazione sahrawi, per esempio, consultando i
rappresentanti sahrawi nella procedura di richiesta di licenze relative alle acque del Sahara occidentale e promuovendo l’impiego di residenti sahrawi nelle attività di pesca
5. Va poi segnalato un secondo profilo problematico riguardo alla compatibilità del Protocollo con il diritto internazionale, cioè, la possibile violazione di un obbligo di non riconoscimento in capo all’Unione europea. In altre parole, la conclusione del Protocollo
ed il rinnovo dell’Accordo del 2007 costituirebbero una forma implicita di riconoscimento della legalità dell’annessione e amministrazione marocchina del Sahara occidentale. Lo
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stesso Corell, nel commentare la conclusione dell’Accordo di partenariato, aveva concluso: «[a]s a European, I feel embarrassed. Surely, one would expect Europe and the
European Commission – most of all – to set an example by applying the highest possible
international legal standards in matters of this nature. Under all circumstances, I would
have thought that it was obvious that an agreement of this kind that does not make a distinction between the waters adjacent to Western Sahara, and the waters adjacent to the territory of Morocco, would violate international law» (corsivo aggiunto, H. Corell, “The Legality…”, cit., p. 243). Il caustico commento conclusivo di Corell implicitamente evidenzia come la conclusione di un accordo internazionale relativo a un territorio la cui decolonizzazione non è ancora avvenuta debba precisare il regime ‘differenziato’ relativo a
quel territorio; pena il possibile incorrere in una forma di riconoscimento implicito
dell’autorità marocchina. L’alternativa dovrebbe essere quella dell’esclusione esplicita
attraverso una clausola apposita ovvero una dichiarazione interpretativa (quanto fatto dagli Stati Uniti e dalla Norvegia rispetto all’applicazione dei rispettivi accordi di libero
scambio con il Marocco); o di una esclusione implicita attraverso la prassi applicativa.
Che si possa ricadere nella stessa ipotesi prevista dagli art. 40 e 41 del progetto di articoli della Commissione di diritto internazionale sulla responsabilità internazionale degli
Stati e dagli art. 41 e 42 del progetto di articoli sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali, è confermato dal fatto che il commentario stesso all’art. 41 del primo progetto
precisa che l’obbligo di non riconoscimento della legalità di situazioni prodotte da gravi
violazioni di norme imperative «applies to ‘situations’ […] such as, for example, attempted
acquisition of sovereignty over territory through denial of self-determination. It not only
refers to the formal recognition of these situations, but also prohibits acts which would imply
such recognition» (corsivo aggiunto, Commissione di diritto internazionale, UN Doc.
A/56/10). Peraltro anche il parere della Corte internazionale di giustizia sulla Namibia riguardava il riconoscimento esplicito e implicito dell’autorità sudafricana su un territorio
non ancora decolonizzato, appunto la Namibia; come noto, la Corte precisò la portata degli obblighi di non riconoscimento, stabilendo che i terzi non devono concludere accordi
internazionali in tutti i casi in cui lo Stato autore dell’illecito pretenda di agire in nome e
per conto del territorio annesso o occupato (Corte internazionale di giustizia, Legal Consequences for States of the Continued Presence of South-Africa in Namibia (South-West Africa)
notwithstanding Security Council Resolution 276 (1970), parere consultivo del 21 giugno
1971). Nel commentario all’art. 42 del progetto sulla responsabilità delle organizzazioni
internazionali, la Commissione di diritto internazionale precisa che «[…] these obligations
were considered to apply to international organizations when a breach was allegedly committed by a State» (Commissione di diritto internazionale, UN Doc. A/66/10).
6. Se possono essere sollevati dei dubbi sulla corrispondenza della suddetta regola di condotta alle prassi consuetudinarie degli Stati e delle organizzazioni internazionali relative ai
territori non ancora decolonizzati e se è del tutto evidente la difficoltà di configurare dei rimedi giurisdizionali a disposizione della popolazione sahrawi, è altrettanto evidente che, se
il diritto internazionale generale è sempre meno diritto consuetudinario e sempre più uno
‘spazio argomentativo’, l’Unione europea si sta muovendo in spazi particolarmente angusti.
Tali spazi angusti non dovrebbero essere ‘frequentati’ da una organizzazione che si prefigge
di «[c]ontribui[re] alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della
povertà e alla tutela dei diritti umani, in particolare dei diritti del minore, e alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della
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Carta delle Nazioni Unite» (Trattato sull’Unione europea, art. 2, par. 5). L’auspicio è che, in
conformità ai suoi scopi statutari e ai suoi principi fondanti, l’Unione europea dia attuazione al Protocollo evitando di richiedere licenze per pescare nelle acque del Sahara occidentale; auspicio che formulammo già qualche anno fa, purtroppo invano, contestualmente alla
conclusione dell’Accordo di partenariato (E. Milano, op. cit., p. 457).
Enrico Milano
ABSTRACT. The New Fisheries Protocol Between the EU and Morocco and the Rights of the
Sahrawi People Over Natural Resources
The New Fisheries Protocol between the European Union and Morocco was approved by the European Parliament on 10 December 2013 and it has recently entered into force with the ratification
by the Moroccan Parliament. As the significant opposition and reservations expressed in the Council and in the European Parliament show, the agreement, which extends the 2007 Fisheries Partnership Agreement for another four-year term, remains controversial from the point of view of its
compliance with the right of self-determination of the Sahrawi people and of the latter’s permanent
sovereignty over their natural resources. The present analysis endeavors to examine two important
issues from the perspective of international law; and namely, a) whether indeed the agreement is in
compliance with the rights of the Sahrawi population, as claimed by the European Commissioner
for Fisheries, Maria Danaki, during the debate in the Parliament; and b) whether it can be considered a form of implied recognition of Morocco’s legal authority over Western Sahara, hence implying a breach of the duty of non-recognition possibly incumbent upon the European Union.
Keywords: fisheries agreements; European Union; Morocco; Western Sahara; self-determination;
permanent sovereignty over natural resources.
Notizie sull’Autore:
professore associato di Diritto internazionale nell’Università degli Studi di Verona
[email protected]
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