L`assassinio dell`uomo sul sagrato

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L`assassinio dell`uomo sul sagrato
L'assassinio dell'uomo sul sagrato
Fermo e Lucia, tomo II, cap. 7
Nella prima stesura romanzo l'innominato viene chiamato Conte del Sagrato e l'autore spiega la spaventosa
origine di tale soprannome, raccontando nei particolari l'uccisione di un uomo che il feroce bandito compì
addirittura sul sagrato di una chiesa, mostrando un totale sprezzo di ogni regola morale e cristiana
Le ricerche che abbiamo fatte per trovare il vero nome di costui [1] giacché quello che abbiamo trascritto
soprannome, sono state infruttuose. Al prudentissimo nostro autore è sembrato di avere ecceduto in libertà e in co
col solo indicare con un soprannome quest’uomo. Due scrittori contemporanei, degnissimi di fede, il Rivo
Ripamonti, biografi entrambi del Cardinale Federigo Borromeo, fanno menzione di quel personaggio misterioso
dipingono succintamente come uno dei più sicuri e imperturbabili scellerati che la terra abbia portato, ma non ne
il nome, e né meno il soprannome che noi abbiamo ricavato dal nostro manoscritto insieme con la narrazione d
che glielo fece acquistare, e che basterà a dare una idea del carattere di quest’uomo. Abitava egli in un castello p
confine degli stati veneti, sur un monte; e quivi menava una vita sciolta da ogni riguardo di legge, comandando
gli abitatori del contorno, non riconoscendo superiore a sé, arbitro violento dei negozj altrui come di quelli nei qu
parte, raccettatore [2] di tutti i banditi, di tutti i fuggitivi per delitti quando fossero abili a commetterne di
appaltatore di delitti per professione. «La sua casa» per servirci della descrizione che ne fa il Ripamonti «era com
officina di commessioni d’ammazzamento: servì condannati nella testa [3], e troncatori di teste: né cuoco né g
[4]
dispensati
dall’omicidio;
le
mani
dei
valletti
insangu
E la confidenza di costui, nutrita dal sentimento della forza e da una lunga esperienza d’impunità era venuta a tan
dovendo egli un giorno passar vicino a Milano, vi entrò senza rispetto, benché capitalmente bandito [4], cavalcò
città coi suoi cani, e a suon di tromba, passò sulla porta del palazzo ove abitava il governatore, e lasciò alle guard
imbasciata
di
villanie
da
essergli
riferita
in
suo
Avvenne un giorno che a costui come a protettore noto di tutte le cause spallate [5] si presentò un debitore svog
pagare, e si richiamò a lui della molestia che gli era recata dal suo creditore, raccontando il negozio a modo
protestando ch’egli non doveva nulla, e che non aveva al mondo altra speranza che nella protezione onnipote
signor Conte. Il creditore, un benestante d’un paese vicino, non era sul calendario del Conte [6], perché senza prov
giammai, né usargli il menomo atto di disprezzo, pure mostrava di non volere stare come gli altri alla suggezione
come chi vive pei fatti suoi e non ha bisogno né timore di prepotenti. Al Conte fu molto gradita l’opportunità di da
scuola [7] a questo signore: trovò irrepugnabili le ragioni del debitore, lo prese nella sua protezione, chiamò un s
gli disse: «Accompagnerai questo pover uomo dal signor tale, a cui dirai in mio nome che non gli rechi più m
alcuna per quel debito preteso, perché io ho riconosciuto che costui non gli deve nulla: ascolterai la sua rispos
replicherai nulla quale ch’ella sia, e quale ch’ella sia, tornerai tosto a riferirmela». Il lupo e la volpe [8] s’avviaron
dal creditore, al quale il lupo espose l’imbasciata, mentre la volpe stava tutta modesta a sentire. Il creditore a
volentieri fatto senza un tale intromettitore; ma punto dalla insolenza di quel procedere, animato dal sentiment
sua buona ragione, e atterrito dalla idea di comparire allora allora un vigliacco, e di perdere per sempre ogni c
rispose ch’egli non riconosceva il signor Conte per suo giudice. Il lupo e la volpe partirono senza nulla replica
risposta fu tosto riferita al Conte, il quale udendola disse: «benissimo». Il primo giorno di festa la chiesa del paes
abitava il creditore era ancora tutta piena di popolo che assisteva agli uficj divini, che il Conte si trovava sul sagra
testa di una troppa [9] di bravi. Terminati gli uficj, i più vicini alla porta uscendo i primi e guardando macchina
sul sagrato videro quell’esercito e quel generale, e ognun d’essi spaventato, senza ben sapere che cagione di
potesse avere si rivolsero tutti dalla parte opposta, studiando il passo quanto si poteva senza darla a gambe. Il Co
primo apparire di persone sulla porta si era tolto dalla spalla l’archibugio, e lo teneva con le due mani in apparec
spianarlo [10]. Al muro esteriore della chiesa stavano appoggiati in fila molti archibugj secondo l’uso di quei tem
quali gli uomini camminavano per lo più armati, ma non osavano entrar con armi nella chiesa, e le deponevan
fuori senza custodia per ripigliarle all’uscita. Tanta era la fede publica in quella antica semplicità! Ma i primi che us
non si curarono di pigliare le armi loro in presenza di quel drappello: anche i più risoluti svignavano dritto dritto d
a un pericolo oscuro, impreveduto, e che non avrebbe dato tempo a ripararsi e a porsi in difesa. I sopravve
giungevano sbadatamente sulla soglia, e si rivolgevano ciascuno al lato che gli era più comodo per uscire, ma all
di quell’apparato tutti si volgevano dalla parte opposta e la folla usciva come acqua da un vaso che altri tenga in
a sbieco, che manda un filo solo da un canto dell’apertura. Si affacciò finalmente alla porta con gli altri il cr
aspettato, e il Conte al vederlo gli spianò lo schioppo addosso, accennando nello stesso punto col movimento de
agli altri di far largo. Lo sventurato colpito dallo spavento, si pose a fuggire dall’altro lato, e la folla non me
l’archibugio del Conte lo seguiva, cercando di coglierlo separato. Quegli che gli erano più lontani s’avvide
quell’infelice era il segno, e il suo nome fu proferito in un punto da cento bocche. Allora nacque al momento un
fra quel misero, e la turba tutta compresa da quell’amore della vita, da quell’orrore di un pericolo impensa
occupando alla sprovveduta [11] gli animi non lascia luogo ad alcun altro più degno pensiero. Cercava egli di fic
di perdersi nella folla, e la folla lo sfuggiva pur troppo s’allontanava da lui per ogni parte, tanto ch’egli scorrazzav
di qua di là, in un picciolo spazio vuoto, cercando il nascondiglio il più vicino. Il Conte lo prese di mira in questo
lo colse [12], e lo stese a terra. Tutto questo fu l’affare di un momento. La folla continuò a sbandarsi, nessuno si
e il Conte senza scomporsi, ritornò per la sua via, col suo accompagnamento.
Note
1. Si tratta del Conte del Sagrato, l'innominato dei Promessi sposi che in realtà è da identificare con Francesco Bernardino
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
Visconti.
Che raccoglieva, raccattava.
A morte.
Benché fosse stato messo al bando dalla città, sotto minaccia di pena capitale.
Di nessun valore, perse.
Noi diremmo "sul libro nero", nella lista dei suoi nemici.
Una lezione.
Un modo ironico per indicare lo sgherro del Conte (il lupo) e il creditore (la volpe), ovvero il violento e l'astuto.
Una truppa, uno stuolo.
Preparandosi a spianarlo, a puntarlo.
Alla sprovvista.
Lo colpì.