70°congresso simlii - Azienda USL 2 Lucca

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70°congresso simlii - Azienda USL 2 Lucca
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3, 233-863
www.gimle.fsm.it
© PI-ME, Pavia 2007
70° Congresso Nazionale
Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale
La Medicina del Lavoro e le sfide del III millennio:
la qualità, la compatibilità ambientale
e lo sviluppo sostenibile
Roma, 12-15 dicembre 2007
Editors:
A. Bergamaschi, A. Pietroiusti, A. Magrini, M.C. Cappelletti
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3, 235-467
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© PI-ME, Pavia 2007
COMUNICAZIONI
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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SESSIONE
SORVEGLIANZA SANITARIA
COM-01
GESTIONE DELLA SALUTE DEI DIPENDENTI SAIPEM S.P.A.
ASSEGNATI AI PROGETTI LAVORATIVI ALL’ESTERO
V. Nicosia, S. De Sanctis, F. Mika, M. Consentino, G. Mascheroni
QHSE SAIPEM/ Medical Dept. Saipem spa, Via Martiri di Cefalonia 67,
20097 San Donato Milanese
RIASSUNTO. In zone geograficamente remote e nei Pesi in via di
sviluppo, dove le strutture sanitarie sono spesso inadeguate, la Medicina
del lavoro contribuisce a garantire la Salute dei lavoratori.
Un esempio è quanto avviene in Saipem s.p.a. che operando nelle zone descritte deve garantire la salute dei lavoratori in relazione non solo ai
rischi connessi all’attività lavorativa, ma valutando attentamente l’ambiente dove il dipendente si trova ad operare. In queste condizioni la medicina del lavoro gioca un ruolo importante non solo in termini preventivi classici, ma anche di protezione e miglioramento dello stato di salute.
I rischi connessi all’attività lavorativa all’estero sono principalmente
di tre tipi: 1) legati al lavoro 2) all’ambiente, 3) all’organizzazione del lavoro ed ai cambiamenti della giornata tipica lavorativa.
I rischi legati al lavoro sono simili a quelli presenti in qualsiasi parte del mondo. I rischi relativi all’ambiente sono in relazione alle avverse
condizioni climatiche, esposizione a temperature estreme e ad agenti biologici trasmessi da flora e fauna.
Il Medico Competente è chiamato a rilasciare una idoneità per questi lavoratori che lavorano all’estero. Prima del rilascio del certificato di
idoneità per i dipendenti tipo “long stay” il medico competente dovrà esaminare accuratamente tutti i parametri clinici e valutare attentamente il
luogo dove dovrà recarsi.
Parole chiave: medicina del lavoro, rischi, certificato di idoneità.
HEALTH
MANAGEMENT OF SAIPEM WORKERS WITH PROJECTS INVOLVING
ABROAD ACTIVITIES
ABSTRACT. In remote areas and in developing countries, where
adequate health-care structures are few and sparse, Occupational
Medicine contributes to guaranteeing workers’ health.
Companies like Saipem, involved in activities that are carried out in
remote, inhospitable areas must ensure the safety and guarantee the
health conditions of workers in relation to the risk factors connected with
the job as well as with the environment in which it is performed. In such
situations, Occupational Medicine addresses both the health aspects of
the workplace and of the community, and is the pivot around which
revolves the health-care support of workers employed abroad in the sense
of protection and enhancement of health.
The risks connected with work abroad are of three main types: 1) jobrelated risks; 2) risks connected with the environment; 3) risks related to
the organization of work and the changes in the worker’s daily life.
The job-related risks are similar to those connected with analogous
jobs performed elsewhere. The risks connected with the environment are
related to adverse climatic conditions, extreme temperatures and
unknown and often dangerous flora and fauna.
The occupational physician is called upon to assess the suitability of
workers for jobs that are based in remote areas.
The main clinical conditions that can prevent issue of the Medical
Fitness Certificate to workers for long-stay jobs abroad are discussed.
Key words: occupational medicine, risks, medical fitness certificate.
237
In condizioni operative disagiate vi possono essere potenziali pericoli per l’incolumità e per la salute.
Nell’individuazione dei potenziali pericoli per la salute si devono considerare molteplici fattori quali: località geografica; modalità di comunicazione; agenti fisici; agenti chimici; agenti biologici; agenti psicosociali.
Prima di inviare un lavoratore all’estero bisogna considerare quanto
sopra descritto.
Un esempio è quanto avviene in Saipem s.p.a. secondo gli standard
della Company, ed in accordo con quanto specificato dalle linee guida
OGP/IPIECA.
Saipem, una delle società del gruppo ENI, è leader a livello mondiale tra i contrattisti nel settore dell’industria petrolifera. La Società, con sede a San Donato Milanese, ha tre Unità Operative (Business Unit): costruzione mare, costruzione terra e perforazione (marre e terra). Operativamente, la Società è presente in tutte le aree geografiche del mondo, con
un organico di circa 34.000 dipendenti provenienti da 107 nazionalità. All’interno di essa, come parte integrante della Direzione QHSE, opera il
Servizio Medico con più di 310 professionisti.
La ricerca del petrolio e del gas al giorno d’oggi si svolge sempre di
più nelle zone remote e di frontiera del globo, laddove le strutture sanitarie sono difficilmente raggiungibili o non sono al livello richiesto dagli
standard dell’industria.
È per questo che la diagnosi, il controllo e le cure delle malattie e degli infortuni nell’industria petrolifera rappresenta una sfida importante
per la medicina generale e quella del lavoro.
MATERIALI E METODI
Per impostare le linee di azione e stabilire gli strumenti preventivi nel
lavoro all’estero, il Medico Competente deve effettuare un’attenta valutazione del rischio e poi strutturare un intervento che si articola in tre fasi: prima della partenza, durante il soggiorno all’estero, al ritorno dal viaggio.
Il momento decisivo della procedura sanitaria è rappresentato dalle
fasi operative che riguardano il lavoratore prima della partenza, in particolare la verifica della idoneità lavorativa alla mansione specifica in relazione allo svolgimento della stessa all’estero.
Il Medico Competente deve conoscere la destinazione del lavoratore
per organizzare il programma sanitario adeguato che si articola essenzialmente nella visita medica ed esami strumentali mirati, nelle vaccinazioni,
nella informazione e formazione sanitaria che avviene attraverso colloquio,
consegna di leaflets e manuale sanitario dei viaggiatori internazionali e presentazione mediante power point del Paese ove il dipendente dovrà recarsi.
L’attività di medico Competente lo pone in una posizione esclusiva,
consentendogli la periodica valutazione tanto del singolo lavoratore
quanto della realtà epidemiologica in cui il lavoratore opera. Il Medico
Competente nel rilascio del giudizio idoneativo alla mansione specifica
dei lavoratori all’estero di tipo “long stay” deve tener conto non solo de-
INTRODUZIONE
Da molti anni le aziende italiane sono chiamate a realizzare progetti
e ad aprire cantieri in tutto il mondo, compresi i paesi dell’area intertropicale, in numerosi settori produttivi (costruzioni, metalmeccanico, petrolchimico, elettrico, telefonico). La durata del soggiorno dei lavoratori
che operano all’estero può variare da periodi brevi (giorni/settimane) a
periodi prolungati (mesi/anno).
Figura 1. Vaccination Booklet
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Figura 2. Consuelling Sanitario
Figura 3. Gipsi web
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viene inserita all’interno del sistema denominato GIPSI (Gestione Informatica Prestazioni Sanitarie Individuali). Questo sistema, condiviso da
tutto il nostro personale sanitario nel mondo, costituito da 158 medici e
132 infermieri, permette di effettuare:
– la registrazione e monitoraggio delle visite mediche, esami specialistici e vaccinazioni effettuate con aggiornamento e controllo degli
eventuali richiami
– archiviazione dei dati rilevati in ottemperanza della legge sulla tutela della privacy
– condivisione, anche dai siti più remoti, delle informazioni mediche
rilevate
– possibilità di confronti e consulti sanitari a distanza
– inserimento di tutte le ispezioni sanitarie che vengono effettuate all’interno dei campi e dei cantieri
– inserimento dei dati sanitari direttamente dagli ambulatori medici
convenzionati
– possibilità di produrre statistiche
– Effettuazione della valutazione dei rischi per la salute (H.R.A.)
Il processo di formazione ed informazione non si esaurisce alla partenza, ma continua nelle località estere di assegnazione. A tale proposito
Saipem Med ha sviluppato dei programmi per la prevenzione e la promozione della salute: Il Malaria Control Program, il Sexual Transmitted
Disease ed il Cardiovascular Diseases Control Program.
DISCUSSIONE
Sebbene ancora si discuta e si valutino le diversi interpretazioni dell’applicabilità del D.Lgs. 626/94 al di fuori del territorio italiano, è chiaro
che il lavoratore di una azienda Italiana che viene inviato all’estero in realtà
geografiche difficili, debba essere totalmente tutelato per quanto riguarda
la salute da parte dell’azienda. I lavoratori dell’Oil and Gas Industry spesso sono inviati in paesi ove bisogna attenersi alle leggi locali in materia di
sicurezza e salute dei lavoratori, con richiesta di protocolli sanitari a volte
molto restrittivi (ad esempio la Norvegia per attività lavorativa in offshore). L’UKOOA (United Kingdom Offshore Operations Associations) ha fissato le Linee Guida per tutte le Oil Companies mondiali inerenti al giudizio di idoneità, stabilendo parametri ben precisi di valutazione.
Saipem ha recepito queste indicazioni elaborando dei parametri ancor
più restrittivi in considerazione delle aree remote ove spesso si trova ad ope-
gli organi ed apparati che per effetto dell’attività lavorativa possono subire un’alterazione, ma deve rilevare lo stato di salute psicofisica generale; le eventuali patologie presenti e i relativi trattamenti messi in atto.
Inoltre deve prevedere l’evoluzione della patologia in quanto il soggetto
andrà ad operare in aree in cui vi sono
temperature estreme, condizioni climatiche avverse, difficoltà logistiche, di comunicazione e carenza di strutture sanitarie locali di supporto.
Da questi presupposti ne deriva che
il giudizio di idoneità deve essere parametrato sulla base di variabili fondamentali rappresentate, la prima dall’itinerario/destinazione del viaggio, la seconda
dalle condizioni di salute di chi viaggia.
Questa metodologia rispetta i due
termini del binomio su cui si fonda il giudizio di idoneità (uomo/ambiente) e che
devono essere attentamente valutati, in
quanto “l’ambiente” in questa tipologia
di lavoro si riferisce non soltanto in senso stretto all’insediamento produttivo ed Figura 4. Attività di sorveglianza elaborata da Gipsi per l’anno 2006
a tutto ciò che lo circonda, ma anche a
quello geografico.
I criteri di idoneità alla missione all’estero si fondano essenzialmente sullo
stato di salute e sulla capacità dell’individuo di adattarsi psicologicamente e fisicamente ai cambiamenti prodotti dal lavoro
e dalla situazione socio-culturale di un’area geografica diversa.
In questa prospettiva si possono configurare tre possibilità di giudizio: idoneità, idoneità con limitazioni, inidoneità
ovvero controindicazione al viaggio assoluta o per aree geografiche.
Una volta rilasciato il giudizio di
idoneità la cartella clinica del dipendente Figura 5. Campagne di medicina preventiva Saipem
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COM-02
VALUTAZIONE DELLE ESIGENZE VISIVE DEL POSTO DI LAVORO
E REQUISITI OFTALMOLOGICI PER L’IDONEITÀ ALLA MANSIONE
SPECIFICA
F. Perrelli, D. Crusiglia Cabodi, A. Baracco, A. Di Bari, L. Buffoni,
M. Coggiola, C. Romano
Dipartimento di T.O. e Medicina del Lavoro Università di Torino - A.S.O.
C.T.O. - C.R.F. - Maria Adelaide Torino
Figura 6. Saipem Medical Fitness Certificate
rare. Soltanto per l’anno 2006 si sono eseguite più di 1000 visite di idoneità
per l’estero con successivo rilascio di idoneità (Medical Fitness Certificate).
CONCLUSIONI
Per riuscire a sviluppare un sistema di gestione della salute per i dipendenti che operano all’estero è necessaria una grossa collaborazione da
parte di tutte le componenti aziendali. Il Medico Competente deve essere
dotato di tutti gli strumenti necessari per poter applicare in modo corretto le migliori procedure sanitarie e poter seguire il lavoratore durante tutto il suo periodo di assegnazione all’estero.
Dentro la complessa filiera di attività che compone l’azienda Saipem
il ruolo più importante è affidato al nostro asset di principale valore strategico: l’uomo. Il Servizio Medico si occupa di gestirne l’aspetto più intimo che è la sua Salute.
BIBLIOGRAFIA
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11) Nicosia V, Lesma A, Rapisarda V, Ciuccarelli M, Feng C, Panciroli
M, M. Valentino M, Mariani F. 28th International Congress on Occupational Health (ICOH) Milan June 11-16 2006. Medical prevention and management of Eni workers employed abroad: issuing the
pass certificate for jobs at oil and gas exctraction and production
plants in remote areas. Poster, book of abstracts, pag. 227.
RIASSUNTO. Per definire i requisiti oftalmologici necessari alla
formulazione dell’idoneità specifica in relazione alle esigenze visive del
posto di lavoro occorre procedere alla valutazione delle funzioni visive
principali, considerando effetti dell’età sulla funzione visiva, rischi specifici per l’apparato oculare legati all’attività lavorativa ed impegno visivo richiesto, in particolare per la visione da vicino.
La valutazione di tali parametri permette di verificare la compatibilità tra le caratteristiche psico-fisiologiche dell’operatore e le richieste
della mansione specifica e, conseguentemente, di formulare il giudizio di
idoneità alla mansione stessa.
Oltre alle situazioni visive funzionali, non bisogna dimenticare le influenze sull’idoneità lavorativa di condizioni visive organiche (affezioni
croniche come congiuntiviti, blefariti, stenosi lacrimali, dacriocistiti, sindromi degenerative retiniche, alterazioni della motilità per anomalo equilibrio muscolare, alterazioni del tono endooculare).
Il presente studio ha permesso di porre in correlazione le necessità
visive degli operatori con alcuni gruppi di attività lavorative, nello specifico guida, attività impiegatizie tecniche con uso di vdt, lavori di precisione, attività manuali e lavori in altezza ed ha ipotizzato un approccio
standardizzato per la definizione dell’idoneità lavorativa.
In generale la metodica standardizzata proposta ha permesso una valutazione più puntuale della popolazione osservata contribuendo a definire con maggior correttezza e omogeneità i giudizi di idoneità riducendo
la quota di soggettività del medico competente del lavoro.
Parole chiave: requisiti oftalmologici, metodo standardizzato, idoneità alla mansione specifica.
THE
EVALUATION OF WORKPLACE VISUAL CHARACTERISTICS AND OPHTHAL-
MOLOGIC REQUIREMENTS TO DEFINE FITNESS TO WORK
ABSTRACT. It’s necessary to proceed to an evaluation of visual
function to define principal ophthalmologic requirements and fitness to
work in relation of workplace characteristics.
We also have to consider the effects of age on visual function, the
specific work risks on eyes and sight care especially for near sight.
The evaluation of these parameters permits to verify the
compatibility between the psychophysics characteristics of workers and
the requests of tasks and then to define fitness to its work.
Moreover to the visual functions we have to consider organic visual
conditions like conjunctivitis, blepharitis, stenosis of lacrimal gland,
dacriocystitis, retinic diseases, muscular motility alteration of the eyes,
glaucoma.
Our study shows the relation between ophthalmologic requirements
of workers and some job groups like professional drivers, technical
clerks, precision work, height level workers and proposes a standard
method to define fitness to work.
Our standard method permits a specific and homogeneous
evaluation of fitness to work.
Key words: ophthalmologic requirements, standard method, fitness
to work.
1. INTRODUZIONE
È stato condotto uno studio di tipo retrospettivo mirato alla valutazione dell’idoneità lavorativa alla mansione specifica su 89 lavoratori selezionati, tra il 2000 ed il 2006, presso l’Ambulatorio di Medicina del Lavoro per disturbi e patologie a carico dell’apparato oculare.
È stato effettuato un confronto tra i criteri “non standardizzati” usati
abitualmente, basati sull’esperienza derivante dalla conoscenza dei luoghi e metodi di lavoro, e i criteri “standardizzati” proposti nello studio al
fine di verificare le differenze nella definizione del giudizio di idoneità
alla mansione specifica.
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2. MATERIALI E METODI
Sono stati considerati i seguenti parametri:
a) caratteristiche visive del soggetto, valutate attraverso esame vista e
visita oculistica, con particolare riferimento a: acuità visiva, stereopsi in visione binoculare, senso cromatico, determinazione delle forie, determinazione del campo visivo, deficit rifrattivi e loro potenziale correzione, presenza di patologie oculari.
b) caratteristiche visive del compito lavorativo: distanza visiva dall’area
operativa (acuità vicina, lontana, intermedia), caratteristiche dei particolari da discriminare (grandezza e tipologia del particolare, caratteristiche cromatiche e stereoscopiche), impegno visivo e accomodativo richiesto sia per i tempi prolungati (ad esempio: vdt, microscopio, video) sia per esposizione a UV, IR, fonti di calore intenso, laser, polveri/fumi,
c) caratteristiche dell’ambiente di lavoro quali illuminazione (naturale
e/o artificiale) dell’ambiente di lavoro e dell’area operativa (campo
visivo professionale), rischi infortunistici, presenza di inquinanti aerodispersi sia di natura chimica sia biologica.
Sono stati identificate le seguenti categorie di attività: lavori di precisione (o minuterie); attività svolte da operai specializzati e manovali;
autisti (carrellisti, autotrasportatori); attività comportanti lavori in altezza
(elettricisti); attività impiegatizie di tipo tecnico con uso saltuario di vdt.
Per alcune di queste attività sono presenti criteri-guida nella valutazione alla idoneità alla mansione specifica (come nel caso degli autisti)
mentre nei restanti gruppi non avendo a disposizione criteri normati o riferibili a linee guida, la valutazione viene basata su criteri indicativi sulla base dell’esperienza dell’operatore.
I lavoratori sono stati sottoposti ad esame della vista con valutazione dei
seguenti parametri: uso di lenti correttive, acuità visiva per lontano (senza e
con eventuali correzioni), acuità visiva per vicino (senza e con correzioni), test delle forie, stereopsi, senso cromatico, valutazione specialistica oculistica.
Nel corso dell’attività ambulatoriale
Tabella II. Criteri
svolta e sulla base delle informazioni a disposizione, sono stati definiti i giudizi di
idoneità, non idoneità, idoneità con prescrizioni (tabella I) alla mansione specifica.
Il criterio alternativo proposto definisce parametri omogenei per la definizione
dei giudizi di idoneità ed è un fattore e
strumento critico, in special modo laddove
non vi siano indicazioni legislative ad hoc.
Per quanto riguarda l’apparato oculo-visivo posseggono una specifica codifica la guida professionale ed il lavoro di
ufficio con uso saltuario di VDT.
Rimangono da definire i criteri di
idoneità per le altre attività considerate.
Le attività svolte in altezza o precario equilibrio espongono il lavoratore al
rischio di caduta da altezze superiori a 2
metri rispetto ad un piano stabile (lavori
su tetti e coperture di edifici, lavori su
tralicci e pali); sono comprese attività
comportanti un elevato impegno visivo
sia per la visione lontana che vicina (attività di elettricista sotto tensione svolta in
altezza, con precisione nell’esecuzione
delle riparazioni richieste).
I lavori di precisione sono caratterizzati da una lavorazione manuale volta alla produzione di manufatti artigianali, caratterizzata da un elevato livello di qualità
e precisione raggiunto mediante un’estrema accuratezza (restauratori, orafi, elettronica, ecc.). È necessario un corretto visus da vicino con eventuale senso cromatico. L’idoneità viene definita sulla base
delle caratteristiche lavorative; sono fattori critici: contrasto di luminanza, astenopia, perdita visus da vicino, deficit stereopsi, ambliopia.
Gli operai qualificati e manovali svolgono tutte quelle attività manuali più o meno specializzate, presenti nell’industria e artigianato per le
quali non è richiesta un’elevata precisione e l’attenzione dell’operatore
deve essere rivolta ad obiettivi posti a diversa distanza operativa (vicina,
media, lontana).
Nella tabella III sono presentati i possibili standard di valutazione dei
requisiti visivi minimi necessari per assolvere i compiti lavorativi previsti.
Tabella I. Prescrizioni adottate
– non idoneo ad attività richiedenti senso stereoscopico per visione
binoculare e/o percezione di particolari fini
– non idoneo alla guida di automezzi aziendali
– non idoneo ad attività che si svolgano in vicinanza di macchinari in
movimento
– non idoneo ad attività che si svolgano in altezza dal suolo o in condizioni di precario equilibrio
– non idoneo ad attività che richiedano tempi di reazione solleciti
– non idoneo ad attività che si svolgano in spazi confinati ristretti
– attività da svolgere in condizioni illuminotecniche ottimali
– non idoneo ad attività che necessitino di visione binoculare e/o percezione di particolari fini
– non idoneo ad attività comportanti l’esposizione a fattori fisici, chimici e biologici potenzialmente lesivi e/o irritanti per l’occhio. (Tale esposizione può essere prevenuta con l’uso effettivo e continuativo degli idonei dispositivi di protezione individuale)
– non idoneo ad attività comportanti elevato impegno visivo per periodi protratti senza la possibilità di usufruire di pause di ristoro ovvero cambio di attività, in particolare in condizioni di illuminazione non ottimali
di idoneità per guida professionale e lavori impiegatizi
Tabella III. Possibili standard di valutazione dei requisiti visivi minimi per attività considerata
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3. RISULTATI
I casi esaminati tra il 2000 ed il 2006 sono così distribuiti:
Tabella IV. Distribuzione lavoratori per attività lavorative svolte
Attività lavorative
%
Guida professionale (patenti AB)
12,4%
Guida professionale (patenti CDE)
2,3%
Attività impiegatizie di tipo tecnico con uso
saltuario di vdt
11,2%
Lavori di precisione
16,8%
Operai specializzati/manovali
52.8%
Lavori in altezza
4,5%
La valutazione dei lavoratori nel corso della quotidiana attività di ambulatorio aveva portato alla definizione del 42.7% di soggetti idonei, 39.3%
di soggetti idonei con prescrizioni e del 18% di lavoratori non idonei.
La valutazione degli stessi casi con la metodologia standardizzata
proposta ha identificato una quota maggiore di soggetti idonei (50.5%),
seguito dal 20.2% di soggetti idonei con prescrizioni ed il 29.3% di soggetti non idonei.
Tabella V. Idoneità alla mansione specifica
Dati generali
Idonei
Metodo NON
standardizzato
Metodo
standardizzato proposto
42,70%
50,50%
Non idonei
18%
29,30%
Prescrizioni
39,30%
20,20%
Tabella VI. Confronto risultati
L’idoneità alla guida professionale ed alle attività impiegatizie di tipo
tecnico con uso saltuario di VDT venivano, anche in precedenza, definite
sulla base dei requisiti elencati rispettivamente nel D.P.R 495/92 e nel
D.Lgs. 626/1994 (titolo VI, Allegato V) implementato dalle Linee Guida
S.I.M.L.I.I. del 2003. Pertanto, non si osservano differenze nell’analisi.
Nel gruppo di lavoratori adibiti ad attività “di precisione” si osserva
un netto incremento dei soggetti idonei con prescrizioni a scapito di idonei e non idonei che si riducono rispetto a quanto definito con la metodica non standardizzata abitualmente utilizzata.
Nel gruppo degli operai specializzati/manovali si osserva un risultato opposto rispetto al precedente: dai dati rilevati si osserva un aumento
di lavoratori idonei e soprattutto non idonei con una drastica riduzione dei
lavoratori la cui idoneità è subordinata a prescrizioni.
Infine, nel gruppo lavoratori addetti a svolgere attività in altezza, le
idoneità valutate con il metodo proposto coincidono con i referti espressi con il metodo non standardizzato: in questo caso il confronto dei dati
non si presta a considerazioni di tipo statistico visto l’esiguo numero dei
soggetti esaminati (4 casi).
4. CONCLUSIONI
Lo studio condotto ha permesso di porre in correlazione le necessità
visive degli operatori con alcuni gruppi di attività lavorative. Definite
dalla legislazione vigente e da specifiche linee guida sia l’idoneità alla
guida sia l’idoneità alle attività impiegatizie con uso di VDT; non sono
invece codificati criteri per la definizione dell’idoneità visiva per i gruppi di lavoratori che svolgono lavori di precisione, attività manuali e attività in altezza cui è stata rivolta l’attenzione dello studio.
Se si considera la casistica nel suo complesso, la metodica standardizzata proposta ha permesso una valutazione più puntuale ed omogenea
della popolazione osservata.
Ciò induce ad alcune riflessioni:
1) nella definizione dei giudizi di idoneità durante la pratica quotidiana
può essere presente una sottostima od una sovrastima del problema
oculo-visivo secondo la categoria lavorativa esaminata e secondo la
sensibilità dell’esaminatore;
2) ciò può essere parzialmente riconducibile ad una maggiore attenzione verso patologie più diffuse nella popolazione generale e più invalidanti la capacità lavorativa quali cardiopatie, patologie muscoloscheletriche a carico del rachide o dell’arto superiore verso le quali
vi è oggi una costante ed elevata attenzione.
La necessità di una standardizzazione dei parametri valutativi utilizzati nella definizione dei giudizi di idoneità per i soggetti affetti da disturbi e patologie dell’apparato oculo-visivo è suggerito dai risultati ottenuti, dal confronto tra le due metodiche sia pur limitato ad una casistica
ambulatoriale di ridotta dimensione, come presentato in questa occasione
e oggetto di ulteriori studi da parte del nostro gruppo.
BIBLIOGRAFIA
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Romano C, Di Bari A. Fatica visiva da
VDT: cause e rimedi, aspetti medico-legali. Tutto Norme, suppl. 1: 5-11, 1997.
COM-03
EVIDENCE BASED OCCUPATIONAL MEDICINE: 10 ANNI DI ESAMI
AUDIOMETRICI IN AZIENDE ARTIGIANALI
G. Maccacaro1, S. Baratieri1, A. Princivalle2, L. Perbellini2
1 Servizio
di Medicina del Lavoro, Via del Ronco 3, 38100 Bolzano
Medicina del Lavoro, Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica Università di Verona
2
RIASSUNTO. Il presente lavoro descrive l’evoluzione della sensibilità uditiva di un gruppo di 1000 lavoratori appartenenti a differenti categorie lavorative artigiane nell’arco di 10 anni. Abbiamo calcolato il tasso di incidenza delle ipoacusie “da rumore” per periodi di 5 e 10 anni utilizzando gli esami audiometrici effettuati periodicamente. L’intensità dell’esposizione a rumore era in media di 88 dB(A), ma attorno ai 90 dB(A)
per alcune categorie di lavoratori che comunque in grande maggioranza
(93%) utilizzavano dispositivi otoprotettori.
La Evidence Based Occupational Medicine dovrebbe identificare alcuni punti di riferimento che dimostrino l’efficacia dell’operato dei Medici Competenti: un trend positivo nella riduzione dell’incidenza delle
ipoacusie da rumore dovrebbe essere il dato atteso per la conferma di un
lavoro di qualità nell’ottica della prevenzione e della salute. Il nostro studio sottolinea che la protezione dal rumore finora adottata non è suffi-
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ciente ad eliminare la comparsa di nuovi casi di ipoacusie: queste sono
comparse con una incidenza che si discosta considerevolmente dai modelli di previsione statistica accreditati per il calcolo di sviluppo e/o evoluzione di nuovi casi di danno acustico cronico da esposizione professionale. Nel caso specifico la Evidence Based Occupational Medicine non
considera sufficiente e/o efficace quanto è stato realizzato in termini preventivi.
Parole chiave: ipoacusia da rumore, incidenza, esposizioni per 10
anni.
EVIDENCE
BASED OCCUPATIONAL MEDICINE: TEN YEAR EXPERIENCE WITH
46 anni. I valori individuali di esposizione a rumore corrispondevano alla media delle misure fonometriche effettuate in più occasioni per quella
specifica mansione e riportate nel documento di valutazione dei rischi
delle aziende in cui i lavoratori erano inseriti.
La mansione, il tipo di dispositivi di protezione per l’apparato uditivo, le abitudini voluttuarie, gli hobbies e le pregresse patologie auricolari venivano regolarmente registrati durante i controlli sanitari periodici.
Le audiometrie sono state classificate secondo il metodo Merluzzi et al.
(1979) e Klockoff et al (1974). Questo metodo fornisce un “indice sintetico”, ma piuttosto preciso, della sensibilità uditiva individuale. In totale
sono stati presi in considerazione 3000 esami audiometrici.
AUDIOMETRIC EXAMINATION IN A HANDICRAFT COMPANY
ABSTRACT. This work describes the audiometry threshold
assessment of 1000 workers employed in different artisan categories
during a period of ten-year noise professional exposure. The hearing loss
noise-induced rates were determined by analysing audiometric tests at
the beginning of our period of study and after 5 and 10 years of noise
exposure.
Environmental noise exposures were on average 88 dB(A), but near
90 dB(A) in some work categories. Workers widely used hearing
protection devices, nearly at 93%, during the period we studied. The
Evidence Based Occupational Medicine should find out points of
reference proving the efficiency and effectiveness of occupational
physicians: in this case, a positive trend in the reduction of hearing loss
rate will be expected to confirm the goodness of prevention practice.
Our study suggests that the levels of protection so far accepted are
not effective enough in order to reduce the incidence of noise-induced
hearing loss in the course of the years: in despite of most accredited
predicting models for hearing conservation programs, a significant
percentage of workers exposed to industrial noise continues to present a
high incidence of hearing loss. The Evidence Based Occupational
Medicine suggests that the proposed prevention activities carried out in
the described factories were not enough effective.
Key words: noise-induced hearing loss - incidence - Ten-year noise
exposure.
1. INTRODUZIONE
L’Evidence Based Occupational Medicine (EBOM) dovrebbe rappresentare il principale punto di riferimento dell’attività del medico del
lavoro e del medico competente: in realtà rare sono le occasioni in cui
questi medici riescono a valutare ed a confermare che l’intenso e pesante lavoro che essi svolgono, si traduce in “evidenti” vantaggi per la salute dei lavoratori controllati. Alcuni esempi positivi della letteratura recente sono disponibili e riguardano vari aspetti della medicina del lavoro: la riduzione degli infortuni a livello oculare, la riduzione delle esposizioni ad idrocarburi aromatici policiclici ed a stirene (Mancini e coll.
2004, Dell’Omo e coll. 1998, Gobba e coll. 2000)
L’esempio che portiamo rappresenta un contributo “tendenzialmente
negativo” alla EBOM perché sottolinea come l’ipoacusia da rumore che
viene spesso considerata una patologia “facilmente” prevenibile in relazione al diffuso utilizzo di dispositivi di protezione individuale (DPI) per
l’udito, continui a comparire con preoccupante frequenza in molteplici tipi di attività lavorative e con incidenza piuttosto elevata.
Lo scopo di questo lavoro è di descrivere l’incidenza delle ipoacusie
da rumore in un gruppo di 1000 lavoratori artigiani seguiti per 10 anni e
sottoposti periodicamente ad esame audiometrico.
2. MATERIALI E METODI
Abbiamo analizzato un gruppo di 1000 lavoratori di sesso maschile
impiegati in 11 differenti tipologie lavorative (falegnami, carpentieri, forestali, segantini, intagliatori del legno, muratori, fabbri, congegnatori
meccanici, lattonieri, cantonieri, battilamiera). La loro esposizione a rumore comportava il rischio di sviluppare la specifica tecnopatia e pertanto erano sottoposti periodicamente (ogni 1-2 anni) a controllo audiometrico tonale.
Tutti i soggetti dello studio sono stati professionalmente impiegati
per l’intero periodo di tempo oggetto dell’analisi (10 anni) nella stessa
ditta e con la medesima mansione lavorativa. In questo studio abbiamo
preso in considerazione i controlli audiometrici effettuati per ciascun lavoratore nell’arco di dieci anni selezionando quelli effettuati nel 1996,
nel 2001 e nel 2006. Al momento del primo controllo audiometrico la loro età era compresa tra 14 e 65 anni, mentre l’anzianità lavorativa tra 0 e
2.1 Analisi statistica
Per valutare l’evoluzione della sensibilità uditiva è stato calcolato il
tasso di incidenza delle ipoacusie per i 5 e 10 anni di esposizione al rumore. Per queste elaborazioni sono state considerate le condizioni di normoacusia (gruppo 0 della classificazione Merluzzi), gli altri gruppi di
ipoacusia percettiva, come da trauma acustico cronico (gruppi da 1 a 5) e
i gruppi 6 e 7 per le ipoacusia di origine non professionali (percettive non
da rumore, trasmissive o miste). Per “peggioramenti lievi” sono stati presi in considerazione i casi che presentavano al primo controllo un esame
audiometrico tonale normale (classe 0) ed ai successivi un passaggio ad
una classe 1 (cioè la riduzione della sensibilità uditiva di oltre 25 dB solo a 4000 Hz), mentre per “peggioramento grave” tutti quelli passati da
una condizione di normalità (classe 0) ad una classe superiore ad 1 oppure da classe 1 alle classi 2-3-4-5.
Il confronto tra i tassi di incidenza dei peggioramenti uditivi ottenuti nei vari periodi considerati è stato effettuato utilizzando il test del “Chi
quadrato”. L’esistenza di un trend nella percentuale di peggioramenti in
relazione all’età ed all’anzianità lavorativa è stata invece valutata utilizzando il test di Cuzik.
3. RISULTATI E DISCUSSIONE
I principali parametri statistici che descrivono l’intensità delle esposizioni a rumore dei lavoratori suddivisi per categoria di attività sono riportati nella tabella I. Come si nota i segantini, gli intagliatori di legno e
i lattonieri avevano esposizioni mediane intorno ai 90 dB(A); gli altri lavoratori avevano esposizioni prossime agli 87 dB(A). L’utilizzo dei dispositivi per proteggere l’udito (cuffie nel 90,4%) era esplicitamente dichiarato da 927 lavoratori su 1000.
Nella tabella II sono sintetizzati i dati riguardanti gli esami audiometrici registrati nel corso dei tre controlli (rispettivamente al primo
Tabella I. Attività lavorative, numerosità del campione (N)
e livelli di esposizione a rumore in dB(A) dei lavoratori
sottoposti al controllo audiometrico
Tabella II. Prevalenza (%) e numerosità (N) degli esami
audiometrici effettuati nel decennio 1996-2006 classificati secondo
la metodologia Merluzzi e Klockoff
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
Tabella III. Numerosità (N) e tasso di incidenza “annua”
delle ipoacusie percettive come da trauma acustico cronico
nel corso dei tre controlli audiometrici
243
COM-04
LA GESTIONE DELLE “IDONEITÀ DIFFICILI”
NEGLI OPERATORI DELLA SANITÀ
F. Tonelli1, M. Salvioni1, I. Cucchi2, E. Omeri2, C. Piretti2,
M. Ronchin1, P. Carrer3
1 Unità Operativa di Medicina del Lavoro - A.O. Ospedale “L. Sacco” Polo Universitario - Milano
2 Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro - Università degli
Studi di Milano - Milano
3 Unità Operativa di Medicina del Lavoro - A.O. Ospedale “L. Sacco” Polo Universitario - Università degli Studi di Milano - Milano
controllo, dopo 5 e 10 anni di esposizione a rumore). Come si rileva i
soggetti normoacusici passano da una percentuale del 74,4% al 52,7%
dopo dieci anni. Le “lievi” ipoacusie da rumore passano dall’11,8 al
21,3%; quelle più gravi sono al 4% e al 12,8% rispettivamente all’inizio e al termine dello studio. Nel corso dei tre controlli, il 52,7% della
popolazione lavorativa studiata ha presentato tracciati audiometrici costantemente normali, mentre il 47,3% ha evidenziato tracciati audiometrici indicativi di una ridotta sensibilità uditiva (o da rumore o di altra
origine).
Il passaggio da uno stato di normoacusia ad un ipoacusia percettiva
da rumore di vario grado ha avuto un incidenza cumulativa media dopo 5
e 10 anni di esposizione rispettivamente del 9,8 e del 17,7%. La tabella
III riporta l’incidenza annua di comparsa di ipoacusie da rumore, sia lievi che gravi, nel 1° quinquennio, nel 2° quinquennio e nel decennio considerati: ogni quinquennio peggiorano in media circa il 14,9% dei lavoratori e nel decennio circa il 27,6%.
La percentuale dei peggioramenti (lievi e gravi) è significativamente
associata con il tipo di mansione: in particolare, gli incrementi più evidenti dei danni da rumore si rilevano nel gruppo dei fabbri (con battilamiera e congegnatori meccanici), seguiti dai carpentieri e dai muratori.
Il numero di lavoratori con ipoacusia bilaterale simmetrica come da
trauma acustico cronico aumenta in relazione all’età anagrafica ed agli
anni di esposizione professionale a rumore. Applicando il test di Cuzik,
la prevalenza di soggetti con ipoacusia da rumore cresce con un trend statisticamente significativo (p<0,001) sia in relazione all’età, sia in relazione alla loro anzianità lavorativa.
I dati riportati si discostano in modo evidente dai modelli di previsione statistica maggiormente accreditati per il calcolo di sviluppo e/o
evoluzione di nuovi casi di danno acustico cronico da esposizione professionale. La norma ISO 1999/99 non prevede alcun peggioramento per
esposizioni a livelli sonori di 88 dB(A) a 40 anni di età neppure dopo 20
anni di esposizione. Il fatto che il 27,4% dei lavoratori normoacusici abbia avuto una riduzione della sensibilità uditiva dopo soli 10 anni e nello
stesso periodo il 15,7% di quelli con iniziale ipoacusia siano peggiorati
sottolinea come i programmi di prevenzione per l’udito non siano stati
sufficientemente efficaci.
Probabilmente la disponibilità di DPI per l’udito non ha significato
un loro uso costante; la loro manutenzione (essenziale per la loro efficacia) non è avvenuta con regolarità; la formazione-informazione dei lavoratori non è stata sufficiente per renderli preparati all’uso adeguato dei
DPI per l’udito.
ABSTRACT. The occupational physician, performing health
surveillance within a hospital, may face to some difficulties due to the
variety and complexity of the tasks and the health risk factors of the
health care workers. One of the hardest issue for occupational physician
is to provide judgement on worker’s fitness. Moreover, this task could be
more complicated when a impaired worker could represent an hazard for
his patients and colleagues. The authors will illustrate three critical
clinical cases examined in Occupational Health Unit of Luigi Sacco
Hospital, Milan; furthermore, the authors will show the difficulties and
the applied solutions in order to provide the judgement on worker’s
fitness.
Key words: fit to work, health care workers, risks for the patients.
BIBLIOGRAFIA
1) Dell’Omo M, Muzi G, Marchionna G, Latini L, Carrieri P, Paolemili P, Abbritti G Aromatic hydrocarbons at a graphite electrode plant.
Preventive measures reduce exposure to polycyclic aromatic hydrocarbons. Occup Environ Med 1998, 55: 401-406.
2) Gobba F, Ghittori S, Imbriani M, Cavalleri A. Evaluation of half-mask respirator protection in styrene-exposed workers. Int Arch Occup
Environ Health 2000; 73: 56-60.
3) Klockoff I, Drettner B, Svedberg A. Computerized classification of
screening audiometry date from noise exposed groups. Audiology
1974;13: 326-34.
4) Mancini G, Baldasseroni A, Laffi G, Curti S, Mattioli,Violante FS.
Multicomponent intervention among metal workers assessment of
the effectiveness of a Prevention of work related eye injuries: long
term. Occup Environ Med 2005; 62; 830-835.
5) Merluzzi F, Cornacchia L, Parigi G, Terrana T. Metodologia di esecuzione del controllo dell’udito dei lavoratori esposti a rumore. Nuovo. Arch Ital Otol 1979; 7: 695-714.
INTRODUZIONE
La prevenzione dei rischi nelle strutture sanitarie ed in particolare
l’attività del Medico Competente (MC) presentano aspetti di notevole
complessità correlati anche alla peculiarità e molteplicità delle prestazioni erogate e alla tipologia dei numerosi fattori di rischio per la salute a cui risultano esposti gli operatori. Uno dei momenti più impegnativi e qualificanti dell’attività del Medico del Lavoro consiste nella formulazione del giudizio di idoneità alla mansione specifica (GID).
Nel caso in cui il lavoratore sia un operatore sanitario tale compito può
dimostrarsi particolarmente complesso, specialmente quando il MC
deve considerare anche il possibile rischio che l’operatore stesso può
rappresentare per gli utenti e i colleghi in funzione della patologia di
cui risulta affetto. Gli autori presentano alcuni casi critici recentemente giunti all’osservazione dell’Unità Operativa di Medicina del Lavoro
dell’Azienda Ospedaliera Polo Universitario “Luigi Sacco” di Milano,
illustrando le difficoltà incontrate e le soluzioni attuate in funzione della formulazione del GID.
Corrispondenza: Dott. Fabio Tonelli, Unità Operativa di Medicina del
Lavoro - A.O. Ospedale “L. Sacco” - Polo Universitario - Milano, e-mail:
[email protected]
RIASSUNTO. La prevenzione dei rischi nelle strutture sanitarie ed
in particolare l’attività del Medico Competente (MC) presenta aspetti di
notevole complessità correlati anche alla peculiarità e molteplicità delle
prestazioni erogate e alla tipologia dei numerosi fattori di rischio per la
salute a cui risultano esposti gli operatori. Uno dei momenti più impegnativi e qualificanti dell’attività del Medico del Lavoro consiste nella
formulazione del giudizio di idoneità alla mansione specifica (GID). Nel
caso in cui il lavoratore sia un operatore sanitario tale compito può dimostrarsi particolarmente complesso, specialmente quando il MC deve
considerare anche il possibile rischio che l’operatore stesso può rappresentare per gli utenti e i colleghi in funzione della patologia di cui risulta
affetto. Gli autori presentano alcuni casi critici recentemente giunti all’osservazione dell’Unità Operativa di Medicina del Lavoro dell’Azienda
Ospedaliera Polo Universitario “Luigi Sacco” di Milano, illustrando le
difficoltà incontrate e le soluzioni attuate in funzione della formulazione
del giudizio di idoneità alla mansione specifica.
Parole chiave: giudizio di idoneità alla mansione specifica, operatori della sanità, rischi per i pazienti.
MANAGEMENT
OF
“COMPLICATED”
WORK FITNESS JUDGEMENTS AMONG
HEALTH CARE WORKERS
244
PRESENTAZIONE E DISCUSSIONE DEI CASI CLINICI
Caso 1
S.C. femmina, 40 anni, operatrice socio sanitaria (OSS) presso il
blocco operatorio.
Familiarità positiva (padre) per cardiopatia ischemica cronica; nulla di
rilevante in anamnesi fino all’età di 37 anni quando in seguito alla comparsa di dispnea per sforzi lievi (classe NYHA IIb), viene ricoverata per accertamenti e dimessa con diagnosi di “iniziale scompenso circolatorio in cardiomiopatia dilatativa di primo riscontro.” Gli esami eseguiti documentavano una severa riduzione della funzione sistolica del ventricolo sinistro (frazione d’eiezione pari a 30%) ed insufficienza mitralica severa, per cui veniva impostata terapia con ace-inibitore, betabloccante e diuretico d’ansa.
GIUDIZIO DI IDONEITÀ FORMULATO: idonea purché adibita
ad attività lavorative caratterizzate da minimo dispendio energetico, che
non comportino turni notturni, sforzi fisici, movimentazione manuale di
carichi, deambulazione protratta, prolungata stazione eretta senza la
possibilità di assumere la posizione seduta in caso di necessità.
A seguito di tale prescrizione l’interessata veniva trasferita in ambito non clinico con mansioni a carattere amministrativo di supporto in assenza di contatto diretto con il pubblico.
Tre anni più tardi, in considerazione della labilità di compenso funzionale, la paziente veniva sottoposta a nuovo ricovero per rivalutazione
e avvio di screening per eventuale candidatura a trapianto cardiaco. Un
controllo successivo alla dimissione confermava la condizione di cardiomiopatia dilatativa idiopatica con severa riduzione della funzione sistolica del VS, associata ad insufficienza mitralica moderato-severa, iniziale
danno d’organo epatico, comportante la necessità di impianto di defibrillatore automatico monocamerale. Sei mesi dopo la paziente veniva sottoposta a trapianto cardiaco ortotopico. Nel post operatorio si manifestava
disfunzione ventricolare destra, ipertensione arteriosa sistemica, sviluppo
di versamento pericardico, incremento degli indici di stasi epatica (per
cui veniva sospeso il trattamento con azatioprina), e necessità di supporto emotrasfusionale per anemizzazione e piastrinosi. Dopo quattro mesi
complessivi di degenza, a distanza di un mese dal trapianto, la paziente
veniva dimessa, autonoma ed asintomatica, posta in trattamento con immunosoppressore (ciclosporina 175 mg x 2/die), corticosteroide sistemico (prednisone 10 mg/die), antipertensivi/diuretici, antiaggregante piastrinico, gastroprotettore, integratori salini/vitaminici/folati, con indicazione ad una possibile ripresa dell’attività lavorativa dopo circa due mesi. Quattro mesi dopo l’intervento la paziente era intenzionata a riprendere l’attività lavorativa. Si è pertanto ritenuto opportuno richiedere anche
una consulenza specialistica immunologica di supporto.
GIUDIZIO DI IDONEITÀ FORMULATO: Si prescrive esonero dalle
attività in area clinica. La Lavoratrice dovrà essere adibita esclusivamente
ad attività caratterizzate da minimo dispendio energetico, che non comportino sforzi fisici, movimentazione manuale di carichi, deambulazione protratta, prolungata stazione eretta senza la possibilità di assumere in caso di necessità posizione seduta, turni notturni. La Lavoratrice può essere adibita a
compiti che non prevedano il contatto diretto con l’utenza, da svolgersi in
ambito non sanitario. A questo proposito le mansioni svolte prima del congedo per malattia […] appaiono compatibili con le limitazioni di cui sopra.
La lavoratrice verrà naturalmente avviata ad una sorveglianza sanitaria con periodicità ravvicinata, finalizzata in particolare alla valutazione delle condizioni cliniche in funzione di un possibile, anche se attualmente improbabile, reinserimento in ambito clinico. L’aspetto più critico
è consistito nella valutazione del livello di immunocompetenza del soggetto, con l’obbiettivo di giudicare la compatibilità della stessa con la ripresa della vita in comunità nell’ambito di un’attività lavorativa presso
una realtà ospedaliera. Il caso descritto, oltre che ribadire l’utilità del ricorso alla collaborazione di specialisti di altre discipline quando indicato, conferma l’importanza della sorveglianza sanitaria in occasione del
rientro al lavoro dopo un periodo prolungato di malattia, anche quando
non espressamente prevista dalla normativa.
Caso 2
F.M. femmina, 39 anni, medico primo operatore in area chirurgica:
esegue in media 2 interventi settimanali. All’età di 23 anni riferito ri-
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scontro occasionale di infezione da virus dell’epatite C (HCV) di origine
ignota. In visita preventiva, a 30 anni, riferiva benessere soggettivo in
presenza di un quadro sierologico suggestivo per epatite cronica in fase
attiva HCV RNA positivo, HCV ab positivo, genotipo 2a/2c, con replica
virale HCV RNA b.DNA: 6,181 MEq/ml. Gli indici ematici di funzionalità epatica (AST, ALT, GammaGT) risultavano nella norma. Segnalati
periodici controlli infettivologici senza indicazione al trattamento farmacologico in presenza di transaminasi nei limiti della norma. Vaccinata responder per HBV.
L’interessata segnalava inoltre dall’inizio dell’attività lavorativa il
verificarsi di almeno tre infortuni a rischio biologico consistiti in punture con aghi cavi e da sutura.
GIUDIZIO DI IDONEITÀ FORMULATO: idonea con prescrizione
all’utilizzo obbligatorio dei doppi guanti durante l’esecuzione in prima
persona di procedure invasive a rischio di esposizione ad agenti biologici. Durante gli interventi chirurgici, sia elettivi sia in urgenza, devono essere utilizzati tutti i dispositivi di protezione individuale disponibili il cui
uso sia tecnicamente possibile. In particolare, in caso di situazioni caratterizzate da maggior rischio (es. trattamento di politraumatizzati, sternotomie, interventi su fratture esposte), si prescrive l’utilizzo di guanti
antitaglio.
Nel corso delle successive visite periodiche riferiva ancora benessere soggettivo, pur mantenendosi in fase attiva la nota epatite cronica (a 37
anni: RNA b.DNA UI/ml: 844 252; 4 390 109 Cp/ml. A 38 anni: HCV
RNA b.DNA UI/ml: 1 559 602; 8 109 930 Cp/ml), sempre in presenza di
normali indici di funzionalità epatica. È stato pertanto confermato il GID
precedentemente espresso.
La segnalazione di infortuni a rischio biologico, anche presso il nostro Ente, è quasi certamente inferiore al numero di infortuni reali, accertata la tendenza degli operatori sanitari e di quelli dell’area chirurgica in
particolare a sottonotificare gli infortuni (1). I dati presenti in letteratura
mostrano che il tasso di trasmissione HCV per singolo evento infortunistico risulta mediamente pari a 0,5-1,8% (2); Ross e coll. (2000); il rischio di contagio da operatore sanitario a paziente è stato stimato in 140
trasmissioni di HCV (se il chirurgo è HCV-RNA positivo) per milione di
procedure. Nel nostro caso, considerato il numero medio e la tipologia di
interventi chirurgici eseguiti, abbiamo ritenuto possibile mantenere l’idoneità senza limitazioni dei compiti chirurgici svolti, purché venissero
messi in atto provvedimenti finalizzati a ridurre significativamente il rischio di contagio, prescrivendo l’uso costante di doppi guanti durante l’esecuzione di manovre invasive ad alto rischio di contaminazione biologica. Alcuni studi hanno infatti evidenziato che tale accorgimento riduce
sostanzialmente (almeno del 70%) il numero di perforazioni del guanto
interno, impedendo così la trasmissione di infezioni dall’equipe chirurgica al paziente e viceversa (3). Infine è opportuno segnalare che anche la
Società Italiana di Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale (SIMLII) ritiene che il ricorso a giudizi di inidoneità per la tutela di terzi debba essere attentamente valutato, ancorché limitativo da un punto di vista tecnico, oltre che possibile fonte di contenzioso in sede civile e penale, data
l’assenza di attuali univoche indicazioni di legge in merito (4).
Caso 3
R.R., maschio, 60 anni, chirurgo, effettua prevalentemente interventi di microchirurgia. Anamnesi patologica sostanzialmente muta fino all’età di 59 anni quando viene ricoverato d’urgenza in seguito ad un improvviso episodio comiziale con temporanea perdita di conoscenza. L’effettuazione di TC e RMN dell’encefalo mostrava la presenza di una lesione fronto-temporo-insulare sinistra con estensione frontale destra rivelatasi all’istologia un oligodendroglioma (grado II sec. WHO, indice di
proliferazione Ki67 positivo nel 4% delle cellule).
Il paziente veniva sottoposto a lobectomia frontale sinistra con
asportazione della lesione e regolare decorso postoperatorio; successivo
controllo TC negativo per recidive. Si sottoponeva a visita neurochirurgica di controllo, a distanza di un mese dall’intervento, in occasione della quale veniva impostata terapia con antiblastico (cicli di temozolomide 250 mg 1 cp/die a scalare per 10 giorni, poi 20 giorni di sospensione,
successivamente riprende schema), topiramato e fenitoina per sei settimane. Quattro mesi dopo l’intervento il soggetto riprendeva l’attività lavorativa e, concordemente con indicazioni del Dirigente responsabile,
messo a conoscenza del quadro clinico dal lavoratore stesso, si presen-
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
tava al MC in visita a richiesta per la rivalutazione dell’idoneità alla
mansione specifica. Il lavoratore riferiva completo benessere soggettivo
in assenza di evidenti deficit funzionali e/o sequele dell’intervento neurochirurgico. In particolare, in considerazione della sede lesionale, negava cefalea, affaticabilità, difficoltà di concentrazione, mutamenti di
umore o comportamentali, ulteriori crisi epilettiche, difficoltà nei movimenti fini, deficit mnesici e/o altre soggettive alterazioni delle funzioni
cerebrali superiori. Riferiva tuttavia di non assumere sempre con regolarità e secondo lo schema previsto la terapia suggerita alla dimissione
ospedaliera, peraltro in assenza di riferiti effetti collaterali. In considerazione della sede della lesione e delle complesse attività svolte dall’interessato, ai fini di poter esprimere il GID alla mansione specifica, si decideva di sottoporre il lavoratore a valutazione neuropsicologica mediante una batteria di test atta ad indagare le funzioni esecutive e l’efficienza cognitiva globale (v. Tabella I).
Tabella I. Valutazione neuropsicologica: test somministrati
al dipendente per indagare le funzioni esecutive
e l’efficienza cognitiva global
Conclusioni del neurologo: “Deficit di alcune funzioni esecutive
(astrazione, set-maintaining, organizzazione), compatibile con la nota sede lesionale. L’efficienza cognitiva non ne risulta significativamente
compromessa”.
GIUDIZIO DI IDONEITÀ FORMULATO: si raccomanda una ripresa graduale dell’attività chirurgica, sia in relazione al carico di lavoro in sala operatoria che alla tipologia e complessità degli interventi. Si
prescrive controllo presso il Servizio Medico Competente tra 3 mesi.
In questo caso l’attenzione del MC è sicuramente orientata alla salvaguardia della professionalità dell’operatore pur non potendo prescindere da una rivalutazione dell’efficienza cognitiva e delle capacità tecniche.
L’esperienza ha mostrato la fondamentale importanza dell’interazione tra
MC e Dirigente responsabile dell’U.O. di appartenenza, aspetto che ha
consentito di realizzare un reinserimento graduale nelle attività di sala
operatoria e, inoltre, di programmare un temporaneo affiancamento da
parte di un collega esperto durante lo svolgimento delle stesse.
CONCLUSIONI
La gestione dei cosiddetti casi di idoneità “difficile” non può avvalersi di soluzioni standardizzate ma necessita di personalizzare il giudizio
di idoneità del lavoratore ai compiti della mansione specifica. La gestione di casi clinici complessi con ripercussione sull’idoneità lavorativa è ulteriormente difficoltosa in ambito sanitario, in quanto i preposti del datore di lavoro/dirigenti rivestono sovente ruolo sanitario. Tale condizione
rende particolarmente delicato il confronto tra MC e dirigenti stessi, soprattutto nei casi, seppur infrequenti, in cui l’operatore non ritiene di
informare il dirigente delle proprie condizioni cliniche. Nella gestione dei
casi presentati il MC si è ispirato, oltre che alla tutela della salute dell’operatore, anche a criteri di intervento che non determinassero un profondo cambiamento delle attività professionali svolte. Le limitazioni sono
state formulate sulla base di una attenta analisi delle peculiarità della
mansione specifica in relazione anche alle possibili alternative ai compiti assegnati in funzione del livello di conoscenze acquisite. Gli aspetti e
le conseguenze da prendere in considerazione quando si formulano giudizi di idoneità con limitazioni/prescrizioni sono diversi: la tutela della
salute, il riconoscimento della dignità della persona e quindi l’assoluta difesa dei principi di garanzia personale, quali la riservatezza, la tutela del
245
posto di lavoro, la non discriminazione. Si deve in particolare tener conto del livello di professionalità acquisita, la cui modifica può comportare
importanti implicazioni anche di carattere sanitario quali burn out, marginalizzazione, insorgenza di turbe della sfera psichica. D’altra parte si
deve considerare anche il rischio verso terzi ovvero circostanze nelle quali utenti e colleghi potrebbero venire danneggiati dall’attività di un soggetto che presenta alterazioni delle condizioni psicofisiche. A questo proposito nella pratica della Medicina del Lavoro viene dibattuto se il MC
debba occuparsi della tutela della salute di terzi o della collettività, oltre
a tutelare la salute e la sicurezza del lavoratore in funzione dei rischi specifici lavorativi (5).
Tale problema nasce da come si voglia considerare, interpretare ed
applicare il D. Lgs. 626/94 all’art. 4 comma 5 lettera n: “il datore di lavoro prende appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche
adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l’ambiente esterno.” ed all’art. 5 “Ciascun lavoratore deve prendersi
cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre
persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti
delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione ed alle
istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.”
Nel 2006 è stato approvato dalla conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni un provvedimento che ha determinato
un’intesa in materia di individuazione delle attività lavorative che comportano un elevato rischio di infortuni sul lavoro ovvero per la sicurezza,
l’incolumità o la salute dei terzi, relativo alla legge 30 marzo 2001, n.
125, ai fini del divieto di assunzione e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche in ambito di lavoro. Anche la Conferenza Unificata nella Seduta del 30 ottobre 2007, Intesa tra il Governo, le Regioni e
gli Enti Locali, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno
2003, n. 131, in materia di accertamenti di assenza di tossicodipendenza,
ha individuato alcune attività lavorative per le quali, ai fini della prevenzione dell rischio verso terzi, il MC provvede a verificare l’assenza di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti.
Tali provvedimenti prevedono quindi la possibilità da parte del MC
di sottoporre ad accertamenti specifici alcune categorie lavorative esposte ad elevato rischio di infortunio ed elevato rischio per la sicurezza e
l’incolumità di terzi; l’orientamento generale per la formulazione del GID
è tuttavia di ritenere ingiustificato procedere con accertamenti o test specifici di routine, valutando piuttosto la presenza di alterazioni cliniche
meritevoli di approfondimento che, anche in assenza di controindicazioni assolute allo svolgimento delle mansione, possano tuttavia comportare
rischi per la collettività e in primis per l’utenza (6).
In generale riteniamo opportuno sottolineare come sia fondamentale
la disponibilità di adeguate figure specialistiche di riferimento e di buone
comunicazioni con i servizi sanitari territoriali e gli specialisti curanti.
Successivamente la gestione finale del giudizio deve attenersi alla multidisciplinarietà, con il coinvolgimento del Servizio di Prevenzione e Protezione, del Dirigente responsabile e della Direzione Medica di Presidio;
gli ultimi due rivestono particolare importanza ai fini della valutazione
del rischio verso terzi e dei riverberi che una limitazione dell’idoneità,
con la conseguente privazione di risorse umane altamente qualificate, potrebbe avere sull’organizzazione del lavoro.
BIBLIOGRAFIA
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246
COM-05
OPERATORI DELLA SANITÀ LIBERI DAL FUMO.
ATTIVAZIONE DI UN PROGETTO IN PROVINCIA DI TRIESTE
C. Negro1, P. De Michieli1, M. Peresson2, R. Tominz4, C. Poropat3,
A. Vegliach3, G. Generoso3, S. Cosmini4, M. Bovenzi4
1 U.C.O.
di Medicina del Lavoro Università degli Studi di Trieste
Azienda per i Servizi Sanitari n. 1 “Triestina”, Struttura Semplice
dipartimentale Medicina del Lavoro
3 Azienda per i Servizi Sanitari n. 1 “Triestina”, Dipartimento delle
Dipendenze
4 Azienda per i Servizi Sanitari n. 1 “Triestina”, Dipartimento di
Prevenzione
2
RIASSUNTO. Al fine di intervenire sull’abitudine al fumo nei dipendenti delle Aziende Sanitarie in provincia di Trieste e di individuare
idonee modalità di intervento è stato messo a punto un progetto triennale
per facilitare i percorsi di disassuefazione con la collaborazione dei medici competenti.
Questo contributo illustra il progetto iniziato nel 2007 nell’Azienda
per i Servizi Sanitari n. 1 “Triestina” (ASS1) e nell’Azienda Ospedaliera
Universitaria Ospedali Riuniti di Trieste (AOUTS) e fornisce alcuni dati
preliminari raccolti nel corso dei primi sei mesi del progetto. Il progetto
prevede i seguenti gruppi di azioni: i) Informazione diffusa; ii)Applicazione art. 51 L 3/2003; iii) Collaborazione dei medici competenti con il
Centro prevenzione e cura del tabagismo (CIPCT); iv) follow-up per i dipendenti che parteciperanno al programma di disassuefazione. Durante le
visite mediche preventive e periodiche, sono stati raccolti i dati di 492 lavoratori di cui il 36% fumatori (180). I risultati del questionario per la dipendenza dal fumo (test di Fagestrom) individuano una dipendenza alta
nel 19% dei casi e quello per la motivazione a smettere di fumare (test di
Richmond) una motivazione alta nel 39% dei casi. Si sono detti disposti
ad aderire al programma di disassuefazione la metà dei fumatori.
Parole chiave: fumo nei luoghi di lavoro, promozione della salute,
medico competente, medicina del lavoro.
FREEDOM FROM SMOKING FOR HEALTH CARE WORKERS. A PROJECT FROM
TRIESTE
ABSTRACT. A tree years interventional study to modify smoking
habits in health workers in Trieste province was planed in the
collaboration of occupational health unit and Tobacco’s Dependence
Study Center.
The aim of this paper is refer about preliminary data of the project
started in 2007 regarding smoking habits in health workers of the
Azienda per i Servizi Sanitari n.1 “Triestina” (ASS1) and the Azienda
Ospedaliera Universitaria Ospedali Riuniti di Trieste (AOUTS). The
project consist of several actions: i) information about risks and
opportunities of project; ii) pursuance of the law 51 L 3/2003; iii)
Occupational Health Unit and Tobacco’s Dependence Study Center
collaboration; iv) follow-up of the subjects that choose the disaccustom
program. During occupational medical surveillance we collected the
data related to 492 workers, 37% of the cases were smokers (180). The
results of test of dependence to smoke (test di Fagestrom) showed an high
dependence in 19% and an high motivation to stop smoke (test di
Richmond) in 39% of the smokers. More than fifty percent of this subjects
gave their adhesion to the disaccustom program.
Key words: smoke in workplace, health promotion, occupational
physician, occupational medicine.
INTRODUZIONE
L’abitudine al fumo di tabacco è uno dei maggiori fattori di rischio
nello sviluppo di patologie neoplastiche, cardiovascolari e respiratorie, ed
è la seconda causa di morte nel mondo (2, 7, 8). Ogni anno nel nostro
Paese circa 85.000 persone muoiono per cause attribuibili al fumo di tabacco. Si stima inoltre che ci sia un morto da fumo ambientale ogni 1.224
fumatori. Il fumo costituisce uno dei più importanti problemi di sanità
pubblica (6, 11, 22, 23). Appare quindi evidente come l’eliminazione del
fumo di tabacco dai posti di lavoro sia un’azione preminente di sanità
pubblica e come il suo significato divenga più rilevante nell’applicazione
all’interno degli ospedali (19,21,22).
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
Il primo strumento preventivo è l’applicazione della normativa che
già prevedeva (Legge n. 584/1975) il divieto di fumo nelle corsie degli
ospedali, ribadito con l’entrata in vigore della Legge 3/2003 art. 51, che
vieta il fumo nei locali aperti al pubblico.
Allo scopo di intervenire sull’abitudine al fumo nei 4.000 dipendenti delle Aziende Sanitarie in provincia di Trieste e di individuare idonee
modalità di intervento, nel 2005 è stato condotto uno studio epidemiologico per valutare la percentuale di fumatori fra i dipendenti e la loro disponibilità a smettere. È risultato che 1/3 dei dipendenti delle aziende è
costituito da fumatori. Di questi 1/3 vorrebbe smettere di fumare ed un altro 1/3 desidererebbe almeno ridurre il numero di sigarette.
È stato quindi messo a punto un progetto triennale per acquisire
informazioni sull’abitudine al fumo di tabacco e favorire il percorso di disassuefazione per ridurre la percentuale di fumatori (3, 4, 13, 20).
Obiettivo di questo contributo è quello di illustrare il progetto iniziato nel 2007 nell’Azienda per i Servizi Sanitari n. 1 “Triestina” (ASS1) e
nell’Azienda Ospedaliera Universitaria Ospedali Riuniti di Trieste
(AOUTS) e di fornire i dati preliminari raccolti nel corso dei primi sei
mesi.
MATERIALI E METODI
La metodologia è stata definita in modo coordinato tra i medici competenti delle Aziende Sanitarie (ASS1, AOUTS), il Dipartimento di Prevenzione ed il Centro prevenzione e cura del tabagismo (CIPCT) dell’ASS1 Triestina. Lo studio è stato inserito fra i progetti obiettivo aziendali e prevede un gruppo di azioni:
Informazione diffusa: una campagna informativa all’anno per i tre anni del progetto mediante poster, banner sui siti intranet, depliant in busta
paga, articoli sui quotidiani, messaggi attraverso l’e-mail aziendale, numero verde presso l’ufficio Promozione alla Salute del Dipartimento di
Prevenzione. Applicazione art. 51 Legge 3/2003 con raccolta delle segnalazioni di mancato rispetto del divieto di fumo nei locali delle aziende (attraverso l’URP o al numero verde), interventi di supervisione e supporto
ai referenti antifumo ed incontri presso “i punti critici” con i responsabili
delle strutture interessate. Collaborazione dei medici competenti con il
Centro prevenzione e cura del tabagismo (CIPCT) che è impegnato nella
costruzione di un sistema di cura integrato a rete con i MMG e gli specialisti delle Aziende Sanitarie, opera con un’équipe propria (medico, psicologo, infermiere) e coordina ed esegue progetti specifici di counseling individuale e di gruppo e terapia farmacologia. Somministrazione di un questionario e counseling a tutti i dipendenti durante le visite mediche preventive e periodiche, da parte dei medici competenti che hanno partecipato ad un training specifico. Il medico competente registra i dati anagrafici,
lo stato rispetto al fumo e per i dipendenti fumatori i fattori anamnestici
fumo correlati, il grado di dipendenza (test di Fagestrom) e di motivazione (test di Richmond). (5,9,10,12,15,16) I fumatori motivati, con il loro
consenso, vengono indirizzati al CIPCT per la disassuefazione, tramite
l’invio di una scheda informatizzata al Dipartimento di Prevenzione. Misura del CO nell’aria espirata allo scopo di rinforzare il messaggio. Si è individuato un protocollo per stimare i livelli medi di monossido di carbonio nell’aria espirata (Smokerlyzer) e vi vengono sottoposti tutti i dipendenti che effettuano le visite presso il medico competente. Programma di
disassuefazione Il CIPCT riceve le segnalazioni, contatta i fumatori, attua
una terapia individuale o di gruppo con sostegno farmacologico e con incontri settimanali per otto settimane. È previsto un follow-up a breve e a
lungo termine per coloro che parteciperanno al programma.
RISULTATI
Nei primi sei mesi del 2007, sono stati raccolti i dati relativi all’abitudine al fumo di 492 lavoratori dell’Azienda per i Servizi Sanitari n.1
“Triestina” (ASS1) e dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Ospedali
Riuniti di Trieste (AOUTS) giunti consecutivamente al medico competente in occasione delle visite mediche preventive e periodiche.
I dati raccolti riguardano 263 (53,5%) dipendenti dell’AOUTS e 229
(46,5%) dell’ASS1 e quindi il contributo delle due Aziende risulta equilibrato, senza differenze statisticamente significative per sesso ed età. Come atteso il sesso femminile risulta maggiormente rappresentato
(AOUTS 64%, ASS1 62% totale 63%) e lo stesso risultato si evidenzia
per i dipendenti con età superiore ai 40 anni (AOUTS 64%, ASS1 62%
totale 63%). I fumatori rappresentano il 36% del totale (180 casi) senza
differenze statisticamente significative (38% nell’AOUTS e 35% nell’ASS1 Triestina).
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
Nella tabella I sono riportati i dati relativi ai fumatori e non fumatori in rapporto all’Azienda di appartenenza, sesso ed età. Non si rilevano
differenze statisticamente significative nei due gruppi.
L’analisi dei questionari compilati dai fumatori (Tab. II) indica che la
maggior parte ha iniziato a fumare fra i 15 ed i 20 anni, solo il 15% dopo tale età, mentre un quarto dei casi mostra un inizio precoce prima dei
15 anni.
Più di metà (60% dei casi) non ha mai smesso di fumare e solo 75 dipendenti hanno provato a smettere almeno una volta, ma il 60% di questi
ha dovuto ripetere il tentativo senza successo; e gli ultimi tentativi sono,
nella maggior parte dei casi, recenti.
Solo la metà dei fumatori coabita con persone fumatrici, mentre più
di due terzi dei casi lavora con colleghi che fumano.
La distribuzione dei fumatori per mansione e reparto non può in questa fase essere indicativa dell’abitudine al fumo nelle diverse categorie in
quanto riflette la composizione della popolazione sottoposta a sorveglianza sanitaria e la frequenza dei controlli in base al rischio. Infatti, risulta che
più della metà sono sanitari non medici che operano in unità operative di
degenza o territoriali. Sono sicuramente sottorappresentate alcune figure
professionali tecniche e mediche ed il lavoro amministrativo d’ufficio.
Nel questionario sono previsti il test di Fagestrom per quantificare la
dipendenza dal fumo ed il test di Richmond per stimare la motivazione a
smettere di fumare. Tali dati risultano importanti nel guidare il medico
competente nel counseling che ha l’obiettivo di ottenere l’adesione al
programma di disassuefazione. Come illustrato nella tabella III i risultati
sul totale dei casi indicano un’alta dipendenza dal fumo nel 19% dei casi ed una alta motivazione a smettere di fumare nel 39% dei casi. Importante sottolineare che a valle del counseling si sono detti disposti ad aderire al programma di disassuefazione più della metà dei fumatori (54%).
Non vi è differenza tra i dipendenti delle due Aziende per quanto riguarda la motivazione a smettere di fumare, mentre sono statisticamente
Tabella I. Descrizione della popolazione
esaminata in rapporto al fumo
247
Tabella III. Analisi della dipendenza, la motivazione a smettere
di fumare e adesione al progetto nelle due Aziende Sanitarie
Figura 1. Concentrazione del CO nell’aria espirata nei fumatori e
non fumatori
significative (p ≤0,001) sia la dipendenza, più alta nell’AOUTS, sia l’adesione ai programmi di disassuefazione, più elevata nell’ASS1. L’adesione al programma di disassuefazione risulta significativamente (p
≤0,001) correlato alla motivazione a smettere di fumare mentre la dipendenza non mostra alcuna associazione.
Nel corso dell’indagine la valutazione della concentrazione del CO
nell’aria espirata si è dimostrato un momento importante nella valutazione ed elemento di rinforzo del counseling. La figura illustra la concentrazione del CO nell’aria espirata nei fumatori e non fumatori e come atteso
la differenza risulta statisticamente significativa (p ≤0,00001).
Tabella II. Analisi descrittiva dei dipendenti fumatori
CONCLUSIONI
Seppure i dati siano preliminari, in quanto costituiti dalle informazioni solo dei primi sei mesi di attivazione del progetto, si prestano a nostro avviso ad alcune considerazioni.
L’abitudine al fumo di sigaretta continua ad interessare più di un terzo dei lavoratori della sanità e rappresenta quindi un importante obiettivo sia di prevenzione individuale che collettiva, in considerazione del
possibile esempio rappresentato degli operatori sanitari nei confronti dei
pazienti (19,21,22).
Il rispetto del divieto di fumo imposto dalla normativa se da una parte stimola la cessazione dall’altra, in considerazione della rilevanza del
fenomeno, pone delle difficoltà specie nel controllo delle violazioni.
Si deve intervenire con programmi che prevedano la collaborazione
fra diverse figure professionali ed azioni d’informazione sui rischi, counselling per ottenere l’adesione alla proposta e sostegno psicologico, combinate in modo da essere efficaci per modificare atteggiamenti e comportamenti a rischio per la salute.
Benché l’abitudine al fumo non sia un rischio lavorativo in senso
stretto, conoscendo la rilevante importanza delle abitudini di vita (fumo,
alimentazione, alcol, sedentarietà ecc) come concausa di molte patologie
professionali, sempre più frequentemente il medico del lavoro si trova ad
interagire con i lavoratori con azioni di formazione ed informazione, dirette a porre in rilievo la necessità di stili di vita corretti (1, 14,17,18).
248
La partecipazione dei medici competenti al progetto è quindi un punto di forza sia per la relazione costante e periodica con tutti i dipendenti
delle aziende, legata all’attività di sorveglianza sanitaria degli operatori,
sia per la capacità professionale a promuovere azioni di prevenzione.
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COM-06
SORVEGLIANZA SANITARIA NEGLI ESPOSTI A POLVERI DI LEGNO:
UTILITÀ DELLA VALUTAZIONE DELLA MUCOSA NASALE
S. Porro, P. Mascagni, E. Ferraioli, F. Toffoletto
Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro di Desio
Corrispondenza: Sara Porro - UO di Medicina del Lavoro - Ospedale di
Desio - via Mazzini, 1 - 20033 Desio (Mi)
RIASSUNTO. Obiettivo del lavoro è la valutazione delle mucose
delle cavità nasali nei lavoratori con prolungata (>20 aa) esposizione professionale a PL per individuarne alterazioni.
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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L’aumentata frequenza di alterazioni, potrebbe definire una modalità
di danno cronico che potrebbe essere alla base della eventuale evoluzione neoplastica. Sono stati arruolati 50 soggetti (EE) con anzianità lavorativa media nella seconda lavorazione del legno di 33 aa e 48 soggetti di
controllo (CC).
È stato somministrato il questionario dei disturbi nasali, sono state
valutate mediante rinofibroscopia le mucose nasali e la presenza di secrezioni ed è stato studiato il citogramma dello striscio nasale da tampone. Il 44% degli EE e il 33,4% dei CC presentano una alterazione macroscopica della mucosa (PR 1,32 IC95% 0,79-2,19).
L’esame citometrico risulta alterato nel 24% degli EE e nel 12,5%
dei CC (PR 1,92 IC95% 0,78-4,71). C’è una differenza significativa nella presenza di secrezioni, riscontrate nel 28% degli EE e nell’11,4% dei
CC (PR 2.69 IC95% 1,05-6,89).
I risultati non confermano l’ipotesi, ma rivelano una inaspettata prevalenza di alterazioni a carico dei CC.
In attesa di conferme, si ritiene di avanzare dubbi sull’utilità delle valutazioni specialistiche ORL di routine per tutti gli esposti a PL.
Non sembra di poter individuare indicatori utili per una possibile diagnosi precoce delle neoplasie naso-sinusali.
HEALTH SURVEILLANCE ON WORKERS EXPOSED TO WOOD DUST: USEFULNESS
OF THE ASSESSMENT OF THE NASAL MUCOSA
ABSTRACT. The purpose of this paper is to evaluate alterations in
the nasal mucosa in workers that for professional purpose, are exposed,
for a long period of time, to wood dust (WD). The increased frequency in
alterations could underline a mechanism for chronic damage that could
lead to cancer. This study took into account 50 cabinet workers (EW) who
had been exposed to WD for an average of 33 years and were compared
to 48 controls (CC). A questionnaire regarding nasal symptoms was submitted, the nasal mucosa was examined by fibroscopy, secretions were valuated, cytogram from a nasal swap was also done. 44% of the EW and
33.4% of CC showed macroscopic alterations of the mucosa (PR 1,32
IC95% 0,79-2,19).
The cytogram was altered in 24% of EW and in 12.5% of CC (PR
1,92 IC95% 0,78-4,71). In EW there was an abnormal significant increase in nasal secretions compared to CS, 28% vs 11,4% (PR 2,69 IC95%
1,05-6,89).
The results do not confirm our hypothesis, but they show an unexpected prevalence of alteration in the CC. While waiting for further results, we express doubts in proposing routinary specialistic evaluation to
all the EW to WD.
At present it is hard to pin point indicators that could help reach an
early diagnosis in the development of sinus-nasal cancer.
Key words: wood dust, nasal mucosa, fibroscopy examination
INTRODUZIONE
Nel 1995 la IARC ha incluso la polvere di legno (PL) fra gli agenti
sicuramente cancerogeni per l’uomo (Gruppo 1) specificando che la valutazione si basava su un evidente eccesso di tumori naso-sinusali fra gli
esposti a PL duro (1).
In Italia il DLgs 66/2000, che recepisce la direttiva europea
1999/38/CE, modifica il Titolo VII del DLgs 626/94 includendo fra i cancerogeni anche l’attività lavorativa comportante esposizione a PL duro.
Stabilisce inoltre il limite di 5 mg/m3 come valore di riferimento per l’esposizione a tali polveri. Le Linee Guida sull’applicazione del titolo VII
del DLgs. 626/94 relative alle lavorazioni che espongono a PL duro propongono protocolli di sorveglianza sanitaria graduando il livello di approfondimento diagnostico in rapporto ai livelli di esposizione.
Dal 2001 l’ACGIH pone il TLV-TWA ad 1 mg/m3 per i legni duri ed
a 5 mg/m3 per i legni dolci con TLV-STEL di 10 mg/m3.
MATERIALI E METODI
Il presente lavoro ha come scopo la valutazione della mucosa delle
cavità nasali nei lavoratori con prolungata (superiore a 20 aa) esposizione professionale a PL per individuarne eventuali alterazioni. L’individuazione di una aumentata frequenza di tali alterazioni, seppur di modesta
entità, in soggetti con prolungata esposizione, potrebbe definire una possibile modalità di danno ad andamento cronico causa di eventuale successiva evoluzione neoplastica.
Sono stati arruolati 50 soggetti (EE) provenienti da aziende del settore della seconda lavorazione del legno della provincia di Como aventi
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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le seguenti caratteristiche: sesso maschile, almeno 20 aa di esposizione
lavorativa a PL, nessuna esposizione pregressa a polveri di cuoio e/o cromo, nessuna esposizione attuale a fumi di saldatura o altri fumi e/o vapori potenzialmente irritanti, assenza di rinite acuta in atto.
Il gruppo di controllo è formato da 48 soggetti (CC), senza esposizione a PL né ad altri agenti irritanti, con età paragonabile agli EE.
I dati anamnestici raccolti dai soggetti EE a PL e dai CC sono i seguenti: età, abitudine al fumo, pregressi interventi chirurgici al naso, pregressi traumi nasali condizionanti intervento medico, utilizzo di farmaci
per via nasale, atopia nota.
Negli EE sono state inoltre valutate i seguenti aspetti: anzianità lavorativa, descrizione dell’attività lavorativa, utilizzo di dispositivi di protezione individuale per le vie respiratorie attuale e/o pregresso, adozione
di misure di prevenzione, quali: presenza di impianto di aspirazione (attuale e pregresso) localizzato al piano di lavoro, uso di aspiratore per il
depolveramento, cambio d’abito al termine del lavoro. A tutti i soggetti è
stato somministrato il questionario per lo studio dei disturbi nasali proposto dalle ”Linee Guida sull’applicazione del titolo VII del DLgs 626/94
relative alle lavorazioni che espongono a PL duro”. Il questionario, secondo le linee guida, è mirato alla individuazione di disturbi nasali necessitanti approfondimenti specialistici (2).
Gli EE e i CC sono stati sottoposti a visita otorinolaringoiatrica comprendente rinofibroscopia. In particolare sono state valutate le alterazioni
della mucosa quali l’iperemia, l’ipertrofia, la distrofia, l’atrofia, l’ulcerazione. È stata segnalata la presenza di secrezioni (sierose, mucose, purulente, ematiche) e di polipi.
È stato effettuato lo studio citometrico sullo striscio nasale (a livello
del turbinato inferiore sx) da tamponcino cotonato. Lo striscio nasale è
stato esaminato al microscopio ottico (a 1000 X) per la conta della cellularità (neutrofili, eosinofili, basofili), con metodo di classificazione semiquantitativa (3)
Per valutare le effettive differenze tra i risultati ottenuti negli EE e
nei CC è stato utilizzato il rapporto di prevalenza (RP) con IC95%.
RISULTATI
I 50 EE hanno un’età media di 51,1 anni e un’anzianità lavorativa
media nel settore della lavorazione del legno di 33,5 anni (tabella I).
Gli EE sono falegnami addetti alla seconda lavorazione del legno per
il 58% addetti alla lavorazione meccanica, 14% alla carteggiatura/levigatura, il 28% ad entrambe. Nel 98% dei casi gli EE utilizzano anche legni
duri. Gli impianti di aspirazione collocati al piano di lavoro sono presenti da svariati anni nell’ambito del settore. La maschera protettiva delle vie
aeree è utilizzata con regolarità solo nel 7% degli EE. L’aspiratore per il
depolveramento non è mai utilizzato; il cambio d’abito al termine del lavoro è effettuato saltuariamente.
La rinofibroscopia ha mostrato alterazioni macroscopiche della mucosa nel 44% degli EE e nel 33,4% dei CC (RP 1,32 IC95% 0,79 e 2,19).
Le alterazioni più frequenti, in entrambe le popolazioni, sono l’iperemia
e l’ipertrofia.
Sono presenti in numero superiore negli EE alterazioni quali la distrofia e l’atrofia, ma il RP tra la presenza di alterazioni maggiori (quali distrofia, atrofia, ulcera) della mucosa degli EE e la presenza di alterazioni
maggiori della mucosa dei CC è 2,40 con IC compreso tra 0,49 e 11,78.
Alla rinofibroscopia è stata valutata la presenza di secrezioni a livello
delle cavità nasali; il ristagno di secrezioni è possibile espressione di paralisi
o rallentamento della clearance muco-ciliare. La prevalenza di secrezioni risulta più elevata negli EE (28% EE vs 11,4% CC PR 2,69 IC95% 1,05-6,89).
L’applicazione del questionario mostra che poco meno della metà
degli EE e dei CC segnalano un disturbo rinologico (PR 1,14 IC95%
Tabella I. Statistica descrittiva
249
0,72-1,80); tuttavia il dato non concorda con le alterazioni della mucosa
nasale macroscopicamente rilevate alla rinofibroscopia. L’analisi microscopica degli strisci nasali mostra 11 aumenti significativi dei granulociti neutrofili tra gli EE (2 in fumatori) e 5 tra i CC (nessuno fumatore); un
caso tra gli EE di aumento significativo degli eosinofili (atopia non nota)
ed uno tra i CC (atopia nota). Il RP tra il riscontro di citogramma alterato negli EE e la presenza di citogramma alterato nei CC è 1,92 con IC tra
0,78 e 4,71. Anche tra alterazioni citometriche e alterazioni mucose macroscopiche non c’è concordanza.
DISCUSSIONE
Alla base dell’indagine condotta vi era l’ipotesi che un accurato controllo della mucosa delle cavità nasali potesse evidenziare, in soggetti con
elevata esposizione a PL, una significativa frequenza di alterazioni da attribuire all’effetto della prolungata esposizione a PL.
I risultati ottenuti non sembrano confermare l’ipotesi. In effetti le alterazioni macroscopiche delle mucose sono moderatamente più frequenti negli EE rispetto al gruppo di controllo, ma tale differenza non raggiunge la significatività statistica. Le alterazioni dell’esame citometrico
dello striscio nasale mettono in luce una maggior frequenza di soggetti
con aumento dei granulociti, senza che tale differenza rispetto ai CC raggiunga la conferma statistica. La sintomatologia soggettiva nelle due popolazioni è praticamente sovrapponibile e non è in accordo con i rilievi
macroscopici e microscopici. Soltanto la presenza di secrezioni nasali alla rinofibroscopia ha una frequenza più elevata negli EE rispetto ai CC,
con conferma statistica (RP 2.69, IC95%: 1.05-6.89).
I nostri risultati mettono in luce nei CC una inaspettata prevalenza di
disturbi soggettivi (42%), di alterazioni della mucosa (33%), di aumento
patologico dei granulociti (11%), dati sorprendenti se si considera che i
CC svolgono attività lavorative “pulite”. Questi risultati possono essere
interpretati come conseguenza di “insulti” di origine non professionale,
ad esempio eventi di natura infettiva, allergopatie, abitudine al fumo, inquinamento atmosferico generale.
Le infezioni nasali acute di natura virale e/o batterica non possono aver
giocato alcun ruolo causale in quanto la loro presenza al momento dell’indagine è stata considerata criterio di esclusione dallo studio. Non può essere invece escluso un potenziale danno cronico causato dalla reiterazione di
ripetuti eventi infettivi in soggetti predisposti. Il fumo di sigaretta, sembra
avere scarsa rilevanza, in parziale contrasto con la letteratura (4) anche se
il dato deve tener conto della limitata numerosità dei soggetti.
Per quanto concerne l’inquinamento atmosferico possiamo osservare che le rilevazioni dell’ARPA evidenziano nell’area della bassa Brianza livelli di inquinamento elevati, non molto differenti da quelli dell’area
urbana milanese.
Assumendo come possibile l’azione dell’inquinamento atmosferico
già segnalata in letteratura (4), i nostri risultati possono suggerire che
l’effetto delle PL, di per sé di modesta entità, si sovrapponga agli effetti
degli inquinanti atmosferici.
Tuttavia, mentre per i quadri morfologici frequenti (iperemia, ipertrofia) gli eventuali effetti delle PL si confondono con quelli verosimilmente
prodotti dall’inquinamento atmosferico, per le alterazioni più significative
(quali distrofia, atrofia, ristagno delle secrezioni) dai nostri dati sembra di
poter evidenziare un effetto più specifico delle PL, anche se la scarsa numerosità di tali quadri consente di raggiungere la significatività statistica
solo per la presenza di secrezioni. Pur nei limiti di incertezza di queste
considerazioni e in attesa di ulteriori conferme su popolazioni più ampie,
si ritiene di poter già avanzare dubbi sull’utilità di adottare protocolli standard di sorveglianza sanitaria e sulla necessità di effettuare routinariamnete valutazioni specialistiche ORL per gli esposti a PL (come indicato
dalle Linee Guida già citate in precedenza) (2). Non sembra di poter individuare indicatori utili per una possibile diagnosi precoce delle neoplasie
naso-sinusali. La relativa modestia degli effetti a carico delle mucose nasali da noi riscontrata in soggetti con esposizione particolarmente elevata
sembra suggerire che il dibattito attualmente in corso sulla riduzione dei
TLV delle PL dovrebbe focalizzarsi sulla prevenzione della patologia allergica e delle neoplasie, e non sugli effetti irritativi.
BIBLIOGRAFIA
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vol 62: Wood dust and formaldehyde, IARC Press, Lyon, 1995: 3-215.
2) Linee guida sull’applicazione del titolo VII 626/94 relative alle lavorazioni che espongono a polveri di legno duro. Coordinamento Tec-
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3) Naclerio RM: Rhinitis. Mechanism and Management. Lung biology
and health disease Vol. 123 Executive editor: Claude Lenfant.
4) Benninger MS: The impact of cigarette smoking and environmental
tobacco smoke n nasal and sinus disease: a review of the literature.
Am J Rhinol 1999 Nv-Dec; 13(6): 435-8.
5) Leopold DA Pollution: The nose and the sinuses Otolaryngol Head
Neck Surg. 1992 Jun; 106(6): 713-9. Review.
COM-07
ADEGUATEZZA E AFFIDABILITÀ DELL’ORTOANALIZZATORE
ERGOVISION NEL GIUDIZIO DI IDONEITÀ SPECIFICA
B. Totaro1, R. Assini2, D. Consonni1, C. Guzzi1, P. Troiano3,
R. Dal Pozzo2, M. D’Orso4, A. Bergamaschi5, B. Piccoli1
1 Dipartimento di Medicina Preventiva, IRCCS Fondazione Ospedale
Maggiore, Mangiagalli e Regina Elena, Milano
2 Consorzio per lo Sviluppo della Salute Occupazionale ed Ambientale,
Monza
3 Unità di Oftalmologia, IRCCS Fondazione Ospedale Maggiore,
Mangiagalli e Regina Elena, Milano
4 Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione, Università di Milano
Bicocca, Milano
5 Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore,
Roma
Corrispondenza: Bruno Totaro, Dipartimento di Medicina Preventiva,
IRCCS Fondazione Ospedale Maggiore, Mangiagalli e Regina Elena,
Milano, via S.Barnaba, 8, 20122 Milano, Tel. 02 50320152;
348.00.50.398, e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. Scopo dello studio è la valutazione della adeguatezza e validità dell’ortoanalizzatore Ergovision (OE), mediante confronto,
in doppio cieco, con la visita ergoftalmica tradizionale, ai fini della formulazione del giudizio di idoneità specifica in Medicina del Lavoro.
Abbiamo analizzato una popolazione di 100 operatori addetti a videoterminale. Ciascun soggetto è stato sottoposto sia alla visita ergoftalmica tradizionale (visita oftalmica più visita ortottica) che all’esame con
l’ortoanalizzatore Ergovision. Alcuni test (visus per lontano, test bicromatico, test dell’astigmatismo, test delle forie, test della fusione), effettuati con l’ortoanalizzatore Ergovision, non risultano concordanti con la
visita ergoftalmica tradizionale. In particolare è stata riscontrata una percentuale di falsi positivi in questi test, che può indurre alla richiesta di ulteriori esami, non altrimenti necessari. Per queste ragioni si ritiene che
Ergovision non sia uno strumento appropriato per la valutazione dell’idoneità specifica in Medicina del Lavoro.
Parole chiave: videoterminale, ortoanalizzatore Ergovision, giudizio
di idoneità.
ADEQUACY
AND RELIABILITY OF ORTHOANALYZER
ERGOVISION
FOR JOB-
FITNESS EVALUATION
ABSTRACT. The aim of this research was to evaluate the Ergovision
Screener (ES) accuracy e validity by a confrontation with the
conventional ophthalmic check (OC), for the medical evaluation of job
fitness. A population of 100 VDU operators was considered. Each subject
underwent randomly both the ES and the ophthalmic check visit. Several
test carried out by the Ergovision Screener were not consistent with the
conventional ophthalmic check. In a number of cases, high false positive
ratio have been found, which could lead to unnecessary further
examinations. For all these reasons we believe that the ES is not an
appropriate instrument for the medical evaluation of job fitness.
Key words: VDU, Ergovision screener, job fitness.
INTRODUZIONE
L’apparato visivo è fortemente sollecitato dal lavoro svolto al videoterminale a causa delle caratteristiche di tale attività: la protratta osservazione
per vicino (distanza inferiore a un metro), in condizioni statiche, fa sì che
venga a mancare il fisiologico meccanismo di alternanza “vicino-lontano”).
Questo tipo di lavoro, infatti, richiede spesso un’intensa attivazione dei meccanismi di accomodazione e convergenza e costituisce una causa frequente
di astenopia occupazionale (1, 2). Nel 1990 l’Unione Europea ha emanato
una direttiva sul “minimum safety and health requirements for work with display screen equipment” (3). La direttiva include un articolo (articolo 9) di
notevole rilevanza per i lavoratori addetti a VDU in quanto presuppone che
ognuno di questi lavoratori (fatte salve alcune eccezioni) venga sottoposto a
specifici controlli della funzione visiva. Inoltre, la direttiva richiede che i lavoratori vengano sottoposti a questi test “prima di essere avviati al lavoro a
VDU, successivamente a intervalli regolari, e ogni qualvolta l’operatore manifesti difficoltà visive, che possano essere correlate al lavoro allo schermo”. Ulteriori accertamenti oftalmici, qualora i precedenti esami ne rivelino la necessità, vengono eseguiti in seguito. In accordo con questa normativa, nell’Unione Europea, molti medici del lavoro, così come molti altri professionisti del campo, stanno implementando i programmi di sorveglianza
sanitaria per gli addetti al videoterminale. In tale contesto, la funzionalità visiva può essere valutata con due differenti modalità: tramite la visita ergoftalmica tradizionale oppure tramite l’uso degli ortoanalizzatori, apparecchiature appositamente progettate per permettere a un operatore medico o
paramedico, che non abbia necessariamente competenze oftalmiche, di eseguire alcuni test visivi. Per esempio, uno degli ortoanalizzzatori più diffusi,
l’ortoanalizzatore Ergovision, viene proposto dalla ditta produttrice come
direttamente utilizzabile dal medico del lavoro (4). La scelta del secondo
metodo (visita con ortoanalizzatore) è probabilmente ascrivibile al minor
impatto economico (i test con ortoanalizzatore costano meno della visita oftalmica tradizionale) e al risparmio in termini di tempo da parte sia dei lavoratori che del personale medico. Scopo del nostro studio è la valutazione
della validità dell’ortoanalizzatore Ergovision ai fini della formulazione del
giudizio di idoneità specifica, mediante confronto, in doppio cieco, con la
visita ergoftalmica tradizionale, considerata a tutt’oggi il “gold standard”.
MATERIALE E METODI
Abbiamo analizzato una popolazione di 100 operatori addetti a
VDT/PC inviata al nostro Dipartimento da aziende ed imprese del territorio, in ottemperanza agli obblighi relativi alla sorveglianza sanitaria. Non
è stata effettuata alcuna selezione riguardo i difetti visivi, l’età, il sesso e
le mansioni specifiche degli addetti a VDU da esaminare. Ciascun soggetto è stato sottoposto sia alla visita ergoftalmica tradizionale (visita oftalmica più visita ortottica, realizzate da due distinte figure professionali) che
all’esame con l’ortoanalizzatore Ergovision. Sono stati eseguiti con Ergovision i seguenti test: acuità visiva monoculare per lontano, valutazione
dell’ipermetropia e dell’astigmatismo, test bicromatico per valutare l’adeguata correzione di eventuali difetti della refrazione, acuità visiva binoculare per vicino, fusione, forie nella visione per lontano, valutazione del
senso cromatico e stereopsi. I test sono stati somministrati da un medico
del lavoro con un anno di esperienza nell’utilizzo di questo apparecchio.
Lo strumento è dotato delle seguenti caratteristiche: è facilmente trasportabile, leggero (13 kg) e compatto (37 x 40 x 45 cm). Può eseguire sei
test di base automatici e tredici test manuali. Una voce registrata guida il
paziente sulla procedura da seguire. L’operatore è presente per registrare le
risposte e intervenire in caso di necessità. La visita oftalmica tradizionale,
condotta da un oculista e da un ortottista, consisteva in: esame degli annessi
oculari, valutazione della refrazione, esame delle camere oculari anteriore
e posteriore (in miosi), valutazione completa della motilità oculare (forie,
punto prossimo di accomodazione e convergenza, stereopsi), valutazione
del senso cromatico. Gli esami ergoftalmici tradizionali e quelli con ortoanalizzatore Ergovision sono stati effettuati in un’unica giornata, in doppio
cieco, in due diverse strutture del dipartimento. L’intero gruppo è stato sottoposto a controllo in un periodo complessivo di dodici settimane. Quattordici soggetti sono stati esclusi dallo studio per i seguenti motivi: 1 soggetto per una severa riduzione dell’udito, 6 soggetti perché stranieri con
difficoltà di comprensione della lingua italiana, 7 perché non collaboranti
ad una o entrambe le visite. Per i test che presentavano risposte interpretabili quali variabili qualitative abbiamo calcolato: sensibilità (Se) e specificità (Sp), valore predittivo positivo (VPP), valore predittivo negativo
(VPN) ed i loro intervalli di confidenza al 95% (IC). Per valutare invece i
test inquadrabili con variabili quantitative abbiamo usato il coefficiente di
concordanza di Lin (5, 6) e il metodo di Altman e Bland (7, 8, 9).
RISULTATI
Alcuni test, quali il controllo del visus per lontano, il test bicromatico,
il test dell’astigmatismo, il test delle forie, il test della fusione, effettuati con
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l’ortoanalizzatore Ergovision non risultano concordanti con la visita oftalmica tradizionale. In particolare è stata riscontrata un’alta percentuale di
falsi positivi, che può indurre alla richiesta di ulteriori esami non necessari. L’analisi statistica ha incluso 86 soggetti (43 maschi e 43 femmine), con
un’età compresa fra i 19 e i 65 anni (età media 34.7 anni), dipendenti di varie aziende, situate nell’area metropolitana milanese. I risultati dei test effettuati con l’ortoanalizzatore Ergovision, confrontati con la visita ergoftalmica tradizionale, sono riportati nella tabella I, in allegato.
DISCUSSIONE
La “visione per lontano” valutata dall’ortoanalizzatore Ergovision
sottostima di circa un decimo l’acuità visiva. Questo risultato è probabilmente dovuto a due caratteristiche dello strumento: la prima è inerente alla possibile ansia indotta nel soggetto esaminato dal dover rispondere in
un tempo pari a tre secondi (secondo quanto determinato dalla voce registrata) e non oltre. La seconda consiste nel fatto che il soggetto deve scegliere almeno 4 lettere e/o numeri da una lista di dieci segni che compaiono sullo schermo dell’ortoanalizzatore, mentre nella visita tradizionale le lettere e i simboli sono direttamente indicati sull’ottotipo dall’esaminatore. Nella nostra esperienza, durante questi test effettuati con Ergovision, una buona percentuale dei soggetti non comprende esattamente cosa gli viene richiesto e presenta difficoltà nel mantenere la concentrazione necessaria. Il compito risulta molto più agevole con il metodo
tradizionale dell’ottotipo. Il test della lente addizionale per la valutazione
dell’ipermetropia, presentato solo a quei soggetti con un’acuità visiva per
lontano superiore agli 8/10, grazie all’aggiunta di una lente +1.00 D, evidenzia quanti possiedono una tendenza all’ipermetropia superiore a 1 D.
In caso di assenza di correzione o nel caso di ipocorrezione, il soggetto
ipermetrope non registra una sostanziale differenza nella capacità visiva
tra le due condizioni (con o senza lente aggiunta). Il test non discrimina
tra media e severa ipermetropia. Il test bicromatico, somministrato in automatico, sovrastima la tendenza all’ipermetropia e i soggetti con miopia
ipercorretta (falsi positivi 29%). Inoltre, nel caso il soggetto dia una risposta negativa (sulla scorta del messaggio vocale registrato), tre opzioni
possono essere possibili e risultare indistinguibili: una ametropia ben corretta, una tendenza alla miopia o una miopia non adeguatamente corretta.
Il test dell’astigmatismo consiste nell’indicare le rette più scure o più nitide tra le sette linee visibili nel display dello strumento. Si sono registrati il 38% di falsi positivi, probabilmente attribuibile al fatto che l’astigmatismo fisiologico (+0,50) è incluso nel gruppo dei casi patologici. Nel
test delle forie, sia esso automatico o manuale, l’OE non discrimina le
tropie dalle forie. Quando il test è somministrato in automatico, se si vuole distinguere le exoforie dalle esoforie o le ipoforie dalle iperforie, l’operatore deve rivolgere delle domande specifiche, le cui risposte sono da
annotare sull’apposito questionario. Tuttavia il test non può indagare le
forie per vicino, essenziali per la sorveglianza sanitaria di un lavoratore
addetto a VDU. Per quanto riguarda il test che valuta la visione binoculare per vicino, l’OE misura adeguatamente l’acuità binoculare ma non riporta l’acuità visiva monoculare, come avviene di norma con la visita oftalmica tradizionale, durante la quale questa viene misurata (solitamente
in classi di Jaeger o di De Wecker) con, se necessaria, la prescrizione dell’appropriata correzione. Il test della stereopsi è chiaro, semplice e affidabile. Il test della fusione (che indaga VBS, disparità di fissazione, soppressione e visione alternata) è realizzabile solo nella visione da lontano,
mentre nella visita ergoftalmica tradizionale è valutata altresì nella visione per vicino. Il test della fusione fornisce 16 casi falsi positivi (19%), ma
15 di questi riguardano la disparità di fissazione. Secondo le indicazioni
del Manuale d’Uso Ergovision già citato, questi casi sono stati sottoposti
a controllo oftalmico e, a seguito di questo, dichiarati completamente idonei. Infine, il test per la valutazione del senso cromatico è molto ben strutturato, superiore all’analogo somministrato dall’oftalmologo, ed è costituito da due tavole di Lanthony e da sei tavole di Ishihara.
CONCLUSIONI
Alcuni test condotti con l’ortoanalizzatore Ergovision non risultano
concordanti con la visita oftalmica tradizionale. Test indispensabili, come
le forie da vicino e l’acuità visiva monoculare per vicino non sono inclusi nella dotazione Ergovision. Inoltre, se il soggetto è un ametrope non
corretto o inadeguatamente corretto, alcuni test con Ergovision hanno valore limitato e devono essere ripetuti dopo adeguata correzione. In un certo numero di casi è stata riscontrata un’alta percentuale di falsi positivi,
che può indurre alla richiesta di ulteriori esami non necessari. Numerosi,
251
tra i test eseguiti con l’OE sono apparsi discordanti rispetto al gold standard. Accanto a ciò va rilevata l’importanza per il MLC di disporre anche
di informazioni circa l’eventuale esistenza di patologie oculari degenerative e/o infettive, come alterazioni della superficie oculare, cataratta, malattie retiniche, congiuntiviti ricorrenti, ecc., non ottenibili mediante i test con OE, ma che tuttavia possono avere rilevanti ripercussioni e nella
formulazione del giudizio di idoneità e sulla prestazione del lavoratore
addetto a videoterminale, sia in relazione all’insorgenza di disturbi visivi
o/e oculari, che in termini di peggioramento della funzione visiva. Per i
motivi esposti, questi aspetti costituiscono un problema importante per
ogni medico del lavoro, in particolare quando viene richiesta una conferma del giudizio di idoneità specifica. Infine, va tenuto presente un aspetto sostanziale: quando l’esame con Ergovision viene condotto da un operatore non qualificato (per es. staff paramedico, tecnici od altro), l’esame
deve essere sottoscritto dal MLC, che diviene quindi responsabile di tutte le possibili implicazioni di carattere clinico e medico legale.
Per tutte queste ragioni si ritiene che Ergovision non sia uno strumento appropriato per la valutazione dell’idoneità specifica nei lavoratori addetti a videoterminale.
Tabella I. Test Ergovision confrontati con i risultati della visita
ergoftalmica tradizionale
BIBLIOGRAFIA
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2) ICOH Scientific Committee on Work and Vision, Critical appraisal
of current knowledge and future directions of ergophthalmology.
Consensus Document of the ICOH Scientific Committee on “Work
and Vision”. Ergonomics; 46, 384-406, 2003.
3) COUNCIL DIRECTIVE of 29 May 1990 on the minimum safety and
health requirements for work with display screen equipment (fifth individual Directive within the meaning of Article 16 (1) of Directive
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4) Ergovision, Manuale d’utilizzo, Milano, Essilor Editore, 2003.
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9) Bland J.M. An introduction to medical statistics, terza edizione.
Oxford University Press, 2000.
252
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COM-08
LA VALUTAZIONE ERGOFTALMICA PREVENTIVA DEI POSTI
DI LAVORO NEI CALL CENTER: UN VALIDO STRUMENTO
DI PREVENZIONE DEI DISTURBI ASTENOPICI OCCUPAZIONALI
M.I. D’Orso1, R. Assini3, E. Gallo3, A. Magrini4, A. Bergamaschi5,
B. Piccoli2
1 Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione - Università di Milano
Bicocca
2 Dipartimento di Medicina del Lavoro - IRCCS Fondazione Ospedale
Maggiore, Mangiagalli e Regina Elena
3 Consorzio per lo Sviluppo della Medicina Occupazionale ed Ambientale
- Monza
4 Cattedra di Medicina del Lavoro - Università di Roma Tor Vergata
5 Istituto di Medicina del Lavoro - Università Cattolica del Sacro Cuore
Roma
Corrispondenza: Marco D’Orso, Dipartimento di Medicina Clinica e
Prevenzione, Università di Milano Bicocca - Via Donizzetti 12, Monza
(MI), Tel. 335 6452190, Fax 039 2397403, e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. La valutazione della adeguatezza dei lay-out delle
postazioni VDT/PC nei call center, se effettuata preventivamente rispetto
all’inizio della attività lavorativa, richiede un approccio interdisciplinare
tra le figure professionali che si occupano di promozione della salute dei
lavoratori.
Tale valutazione, però, può consentire una riduzione rilevante di
quella sintomatologia astenopica frequentemente riferita dagli operatori
dei call center e conseguentemente rendere non necessari quei complicati e costosi interventi di modifica strutturale dei lay-out che spesso diventano necessari per ridurre i disturbi oculo-visivi riferiti dai lavoratori.
Parole chiave: call center, VDT/PC, astenopia occupazionale, prevenzione primaria.
THE
PREVENTIVE ERGOPHTHALMIC EVALUATION OF WORK PLACES IN CALL
CENTERS: A USEFUL INSTRUMENT FOR THE PREVENTION OF WORK RELATED
ASTHENOPIC SYMPTOMS
ABSTRACT. The study of a correct lay-out of work places equipped
with VDT/PC in call centres, if carried out before the beginning of work
activities needs an interdisciplinary cooperation among OH&S
operators. However, such a preventive evaluation can relevantly reduce
onset and severity of asthenopic symptoms frequently reported by this
kind of operators.
Consequently, such preventive evaluation can avoid the necessity of
carrying out those complex and expensive structural lay-out
modifications, which are frequently needed to reduce VDT/PC workers’
asthenopic symptoms.
Key words: call center, VDT/PC, occupational asthenopia, primary
prevention.
INTRODUZIONE
I lavoratori che utilizzano videoterminali o personal computer
(VDT/PC) giornalmente e per un numero considerevole di ore, sono
esposti ad un rilevante impegno visivo ravvicinato, protratto e statico.
Un impegno visivo con queste caratteristiche è possibile causa o concausa dello sviluppo di disturbi da affaticamento visivo che infatti vengono frequentemente riferiti da tali lavoratori.
I disturbi astenopici hanno un’eziopatogenesi multifattoriale e possono essere validamente inquadrati solo tramite una valutazione completa dei possibili fattori causali che sono usualmente suddivisi in lavorativi, individuali (oftalmici o psicosociali), ambientali (fisici, chimici, biologici) (1, 2).
Si comprende, pertanto, come i casi di astenopia occupazionale riferiti dai lavoratori possano venir ridotti solo mediante complesse indagini
ambientali a cui spesso devono essere associati costosi interventi di modifica del lay-out delle postazioni lavorative.
I call center sono ambienti lavorativi di particolare concezione, caratterizzati da attività lavorative che comportano un utilizzo di VDT/PC
particolarmente rilevante, costituendo infatti l’utilizzo di queste apparecchiature, pur effettuato nei singoli call center con modalità molto eterogenee, l’aspetto operativo sempre predominante nei compiti svolti.
Ambienti lavorativi ove le attività con VDT/PC siano così particolarmente rilevanti, paiono rappresentare, anche secondo i dati riportati in
letteratura, condizioni lavorative meritevoli di mirate indagini e ricerche
circa le possibili conseguenze dell’impegno visivo per vicino sulla funzione visiva dei lavoratori.
MATERIALI E METODI
La ricerca muove dall’ipotesi che le spese necessarie per i frequenti
interventi strutturali sui lay-out delle postazioni di lavoro dotate di
VDT/PC resisi necessari per ridurre la prevalenza di astenopia sarebbero
evitabili, o quantomeno sostanzialmente riducibili, ove la progettazione
delle postazioni fosse effettuata applicando al meglio le conoscenze già
disponibili sulla fisiopatologia oculo-visiva.
Ciò dovrebbe prevedere, già nella fase di progettazione degli ambienti di lavoro, una interdisciplinare collaborazione tra i vari operatori
tecnico/sanitari delle imprese che si occupano di promozione della salute
e della sicurezza sul lavoro ed hanno competenze diverse ma complementari.
Si riporta l’esperienza condotta in un call center di una impresa del
settore telecomunicazioni che occupa 358 lavoratori, tutti rientranti nella
definizione di videoterminalista ad oggi stabilita nel Titolo VI del D.Lgs.
626/94.
In occasione della attivazione del call center su nuove basi organizzative, l’impresa ha ritenuto opportuno studiare, prima dell’inizio delle attività
lavorative, le caratteristiche strutturali ed ambientali delle postazioni lavorative che si sarebbero adottate, attivando un gruppo di studio, composto dai
tecnici della progettazione, della sicurezza e dal Medico del Lavoro.
Scopo della attività del gruppo di studio era la ottimizzazione delle
caratteristiche dell’ambiente, della tipologia delle postazioni e del relativo lay-out.
Durante più riunioni appositamente dedicate, sono state analizzate le
caratteristiche dimensionali ed illuminotecniche delle singole postazioni
lavorative, unitamente alle caratteristiche microclimatiche dei locali ed
alle possibili fonti di inquinamento indoor, definendo le specifiche del sistema di ventilazione e di condizionamento dei locali.
Si sono inoltre considerate le necessità igieniche dei locali, valutando l’adeguatezza dei capitolati di appalto dei servizi di pulizia.
Nei mesi immediatamente successivi all’inizio delle attività lavorative, i lavoratori del call center sono stati sottoposti a visita ergoftalmica da
uno specialista, al fine di verificarne le condizioni visive cliniche e funzionali, con particolare riguardo alla eventuale presenza di astenopia occupazionale, secondo gli orientamenti delle Linee Guida della SIMLII (3).
Si sono valutati, infine, i risultati ottenuti nella valutazione dei disturbi astenopici emersi dalle visite ergoftalmiche comparandoli con
quanto emerso dalle ricerche riportate nella letteratura nazionale ed internazionale e da studi effettuati in altri call center dell’impresa.
RISULTATI
Il gruppo di studio attivato ha proceduto nella effettuazione del compito assegnato, che è stato conseguito mediante numerosi incontri articolatisi in un periodo di 6 mesi.
L’inizio dei lavori è stato sicuramente difficoltoso, dovendo necessariamente ciascun singolo componente del gruppo procedere ad una personale riorganizzazione delle proprie conoscenze disciplinari al fine di riorientare il proprio apporto tecnico e scientifico con modalità tali da consentire un complessivo approccio interdisciplinare al lavoro del gruppo.
Il gruppo di studio, dopo nove incontri tematici, ha messo a punto un
progetto di lay-out per il call center rispondente alla normativa specifica di
riferimento, nonché alle linee guida disponibili sull’argomento (tabella I).
Si evidenzia peraltro come le specifiche tecniche del lay-out consigliate, che l’impresa ha poi ritenuto di adottare, per molti dei parametri
strutturali oggetto di studio siano state anche più stringenti e complete rispetto ai vincoli minimali previsti dalle specifiche norme di riferimento.
L’età media dei lavoratori inclusi nel gruppo valutato era pari a 29,5
anni, i lavoratori erano per la maggioranza (72,7%) femmine.
La maggioranza dei lavoratori (69,1%) era assunto con un contratto
a tempo indeterminato, mentre la rimanente parte era o assunta con contratto a tempo determinato o era composta da lavoratori interinali.
La sorveglianza sanitaria, effettuata dopo almeno due mesi dall’ini-
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Tabella I. Alcune specifiche tecniche e strutturali definite
per il lay-out del call center
Spazio minimo per posto di lavoro (4,0m - 6,5m)
Indice di riflessione della luce per tutti gli elementi architettonici
dell’ufficio <70%
Certificazione dai fornitori di assenza di emissione formaldeide ed
inquinanti chimici dagli arredi
Schermatura luce naturale con veneziane o altro mezzo atto a
mantenere uniformità flusso luminoso
Umidità relativa non inferiore al 45%
Velocità dell’aria non superiore a 1,5 m/sec a livello della postazione di
lavoro
Ricambio di aria nei locali: almeno 40 metri cubi/ora per persona
Temperatura: estiva non superiore a 27 °C, invernale non inferiore a 20 °C
Illuminazione artificiale solo con fonti di luce indirette, colore bianco a
tonalità calda
Rumorosità ambientale non superiore a max 55 dBA come rumore di
fondo di picco
Valutazione per ogni postazione degli illuminamenti ai piani di lavoro
(lux) e delle luminanze nel campo visivo professionale (cd/m2).
Presenza costante di possibilità di modulazione dell’intensità
dell’impianto di illuminazione.
zio della attività lavorativa nel call center, ha consentito di verificare che
solo 11 (3,0%) dei lavoratori esposti a uso di VDT/PC lamentava la presenza di una sintomatologia astenopica rilevante.
I risultati della sorveglianza sanitaria effettuata sui lavoratori del call
center oggetto della ricerca, comparati, sia con i principali lavori sui call
center presenti nella letteratura nazionale ed internazionale, sia con i dati della sorveglianza sanitaria di altri call center della stessa impresa, presentano prevalenze di astenopia occupazionale più favorevoli (P<0.01).
Le visite mediche ed oftalmiche hanno permesso di definire 256 casi (71,5%) di idoneità completa e 102 casi (28,5%) di idoneità con prescrizione.
Tra queste prescrizioni 75 sono state relative alla necessità di fornire
una correzione oculare della rifrazione per lavoratori che ne erano privi o
una diversa correzione rifrattiva a lavoratori che ne portavano una non
adeguata.
Le rimanenti prescrizioni erano da riferire a problematiche non visive, prevalentemente di tipo osteo-muscolare.
Si sottolinea che tutti gli 11 operatori che riferivano astenopia occupazionale erano ricompresi tra i lavoratori che presentavano una rifrazione oculare non adeguatamente corretta.
La valutazione delle specifiche previste nel capitolato della gestione
delle pulizie dei locali si è rivelata sicuramente insufficiente in relazione
ad una serie di parametri presi in considerazione.
I parametri valutati sono stati: numero complessivo di lavoratori che
accedono ai locali, monte ore complessivo di ore di lavoro passate dai lavoratori nei locali, numero di servizi igienici in rapporto ai lavoratori,
orario complessivo di apertura dei locali sulle 24 ore. Sulla base delle valutazioni effettuate si è raccomandato alla impresa di procedere ad una integrazione sostanziale del capitolato di pulizie previste.
DISCUSSIONE
I risultati ottenuti hanno evidenziato come un preventivo studio sulle modalità di strutturazione dei posti di lavoro di locali adibiti a call center possa ridurre significativamente la presenza di astenopia occupazionale nei lavoratori addetti ad utilizzo di VDT/PC, rispetto a quanto rilevato in letteratura (4,5,6).
Ciò è tuttavia realizzabile solo mediante incontri e confronti tra le figure professionali che si occupano di tutela della salute dei lavoratori nelle imprese che, al di là delle personali singole competenze, devono agire
in modo interdisciplinare nelle analisi e decisioni relative alla messa a
punto del progetto.
La scelta della impresa di procedere alla adozione di specifiche tecniche rigorose nella strutturazione dei locali che non solo rispecchiassero
i vincoli imposti dalla normativa ma fossero anche più cautelative su molti dei parametri valutati, sicuramente ha ottimizzato i risultati ottenuti dal
gruppo di studio, giustificando anche in parte i favorevoli risultati ottenuti dalla attività di sorveglianza sanitaria.
253
La sorveglianza sanitaria, effettuata nei primi mesi della attivazione
del nuovo call center, ha anche evidenziato una serie di situazioni cliniche oftalmiche che hanno indotto specifiche personalizzate prescrizioni
che hanno con ogni probabilità consentito di evitare anche per il prossimo futuro che un rilevante numero di lavoratori potesse sviluppare per
fattori fisiopatologici oculovisivi personali casi di astenopia occupazionale rilevante.
L’età media molto bassa dei lavoratori giustifica, in parte, la contenuta sintomatologia astenopica rilevata, limitando il numero di lavoratori presbiti presenti nella popolazione studiata rispetto al dato usuale nella
popolazione generale.
La sorveglianza sanitaria è sicuramente un elemento valido in senso
prospettico per mantenere bassa nel tempo la attuale contenuta numerosità
di casi di disturbi astenopici ma una conferma in tal senso dovrà derivare
dalla programmata ripetizione dello studio sulla sintomatologia astenopica che sarà condotto periodicamente a tutti i lavoratori del call center.
La procedura attivata nella predisposizione del nuovo call center
sembra aver riscontrato il gradimento dei lavoratori che infatti non hanno evidenziato, a tutt’oggi, particolari richieste di modifiche di tipo strutturale degli ambienti e delle postazioni di lavoro al contrario di quanto
avvenuto in passato in altri call center dell’impresa, evitando quindi costi rilevanti e difficoltà organizzative e gestionali.
CONCLUSIONI
Una valutazione preventiva dei possibili fattori ambientali causali o
concausali di astenopia occupazionale, effettuata al fine di attivare le postazioni di lavoro in modo adeguato sotto il profilo ergonomico (strutturale e del lay-out), sembra aver favorito un contenuta insorgenza di disturbi oculo-visivi nella popolazione considerata di addetti al call center.
Conseguentemente è stato deciso dall’impresa di estendere la procedura utilizzata in questa situazione a tutti i call center di prossima nuova
attivazione nell’impresa.
Pur nella difficoltà dovuta alla necessità di attivare gruppi di lavoro
interdisciplinari di non facile gestione, si ritiene che la scelta di effettuare una valutazione preventiva degli ambienti e delle caratteristiche strutturali delle postazioni di lavoro dotate di VDT/PC sia stata sicuramente
positiva e possa diventare in futuro una prassi usuale presso questa impresa e suggerita per altre realtà lavorative similari.
BIBLIOGRAFIA
1) D’Orso M, Cavallo D, et al. Relations between occupational asthenopia and work organization: results of an investigation, Proceedings
Healthy Buildings Congress, 1431-5, 1995.
2) ICOH Scientific Committee on work and vision, Critical appraisal of
current knowledge and future direction of ergophthalmology - Consensus document, Ergonomics 46: 384-406.
3) SIMLII, Linee guida per la sorveglianza sanitaria negli addetti ad attività lavorativa con videoterminali, Maugeri Foundation books, Pavia 2003.
4) Linee Guida per il lavoro nei call center, Azienda Sanitaria Locale
Città di Milano, 2007.
5) Piccoli B, D’Orso M, Troiano P, et al, Significance and role of
working condition analysis in ergophthalmological surveillance of
vdu operators, Selected paper of Work With Display Unit 92, Elsevier Amsterdam 263-267, 1993.
6) Scullica L, Rechichi C, The influence of refractive defects on the appearance of asthenopia in subjects employed at VDT, Bollettino di
Oculistica supp. 7, 68: 25-48, 1989.
COM-09
ANALISI E VALUTAZIONE DELL’IMPEGNO VISIVO IN OPERATORI
ADDETTI AL TELECONTROLLO DEL TRAFFICO PUBBLICO MEDIANTE
SISTEMI INFORMATIZZATI
F. Gullà(1), P. Zambelli(2), A. Bergamaschi(1), B. Piccoli(2)
(1)
Istituto di Medicina del Lavoro - Università Cattolica del Sacro
Cuore, Roma
(2) Dipartimento di Medicina del Lavoro - IRCCS Fondazione Ospedale
Maggiore, Mangiagalli e Regina Elena, Milano
254
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
Corrispondenza: Francesca Gullà - Istituto di Medicina del Lavoro Università Cattolica del Sacro Cuore - Roma, Largo Gemelli, 1 00168
Roma - Tel. 3381812074 - e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. Scopo della ricerca è stata la quantificazione obiettiva, mediante strumentazione elettronica, dell’impegno visivo in 6 operatori (4 uomini e 2 donne, età media 29,6 anni, range 43-26 anni) addetti
al controllo di situazioni di traffico pubblico. La strumentazione elettronica utilizzata è in grado di rilevare tempo e distanza di osservazione misurando la latenza temporale tra l’emissione di ultrasuoni a 40 KHz da un
sensore “emittente” (posto in posizione mediana nella postazione di lavoro) e la conseguente loro ricezione da parte di uno “ricevente” (posizionato sulla fronte dell’operatore in esame), noto che la velocità di propagazione del suono nell’aria è costante (circa 340 m/sec). La registrazione ha permesso di valutare analiticamente il tempo e la distanza media di osservazione all’interno del “campo visivo professionale” (c.v.p.)
di ciascun operatore. I risultati evidenziano che negli operatori studiati
l’acutezza visiva teorica richiesta (funzione dell’angolo sotteso dalle mire professionali) è di livello medio (circa 4,4 - 4,9 decimi), mentre i carichi accomodativo e di convergenza variano da medio a intenso (a seconda delle caratteristiche visive dell’operatore considerato), essendo compresi tra il 26,41% ed il 43,92% dell’accomodazione e della convergenza
teoricamente disponibili nel soggetto. Il tempo effettivamente trascorso
“in osservazione per vicino all’interno del c.v.p.” (Tscr), si è mantenuto
tra le 2h 54’ e le 4h 05’.
Parole chiave: impegno visivo, astenopia occupazionale, D. Lgs.
626/94.
ANALYSIS
AND EVALUATION OF THE VISUAL EFFORT IN REMOTE-CONTROL
PUBLIC TRAFFIC OPERATORS WORKING WITH COMPUTER-BASED EQUIPMENTS
ABSTRACT. The aim of this study is the objective evaluation of the
visual effort in 6 pubblic traffic controllers (4 male, 2 female, mean age
29,6), by means of electronic equipment. The electronic equipment
quantify the observation distance and the observation time for each
controller’s occupational visual field. The quantification of these
parameters is obtained by the emission of ultrasound at 40 KHz from an
emission sensor (placed by the VDT screen) and the ultrasound reception
by means of a receiving sensor (placed on the operator’s head). The
travelling time of the ultrasound (US), as the air speed is known and
costant (about 340 m/s), it is used to calculate the distance between the
emitting and the receiving sensor. The results show that the visual acuity
required is of average level, while accomodation’s and convergence’s
effort vary from average to intense (depending on the visual
characteristics of the operator considered), ranging from 26,41 and
43,92 % of accommodation and convergence available in each operator.
The time actually spent in “near observation within the c.v.p.” (Tscr) was
maintained in a range from 2h 54’ and 4h 05’.
Key words: visual effort, occupational asthenopia, Decree No.
626/94.
INTRODUZIONE
Le moderne attività lavorative sono sempre più caratterizzate da
compiti che richiedono un impegno visivo definibile come “ravvicinato,
protratto e statico” (1). L’apparato visivo, anatomicamente strutturato
per una fisiologica alternanza tra visione per vicino e visione per lontano (2-3), durante lo svolgimento di questi compiti è invece impiegato come un effettivo strumento di lavoro sottoposto a continue e spesso antifisiologiche sollecitazioni. L’osservazione protratta di minimi dettagli
comporta un impegno costante ed intenso di meccanismi visivi che per
la loro intrinseca conformazione non possono essere mantenuti attivi per
molte ore consecutivamente, se non al prezzo di un affaticamento, con
possibile insorgenza di astenopia occupazionale (4). Scopo della ricerca
è stata la quantificazione obiettiva, presso diverse postazioni di un centro di controllo di mezzi per il trasporto pubblico, dell’impegno visivo p.
v. in sei operatori, al fine di valutare la durata dell’esposizione occupazionale a VDT/PC, anche in rapporto con quanto richiesto dal D. Lgs.
626/94 (titolo VI).
MATERIALI E METODI
La quantificazione dell’impegno visivo, in accordo con quanto proposto dalla SIMLII (5), può essere effettuata nei seguenti quattro modi, ad
attendibilità progressivamente crescente: valutazione soggettiva/anamne-
Figura 1
stica; valutazione mediante “group discussion”; valutazione mediante osservazione diretta con quantificazioni estemporanee; valutazione strumentale obiettiva. Nella presente ricerca è stata effettuata, su 6 operatori (4 maschi e 2 femmine) in tre diverse giornate lavorative, una valutazione strumentale obiettiva mediante una apposita strumentazione elettronica (6).
Tale strumentazione si avvale di due sensori ad ultrasuoni (uno emittente
ed uno ricevente), collegati ad una centralina che gestisce tali unità periferiche ed un computer che memorizza i dati acquisiti. Il posizionamento
del sensore emittente è avvenuto dopo osservazione degli operatori considerati, impegnati nello svolgimento delle diverse fasi di lavoro. Ciò al fine di analizzare in dettaglio i compiti lavorativi e meglio comprendere
quale dovesse esserne, nell’ambito delle postazioni, la localizzazione più
appropriata anche in funzione del relativo campo visivo professionale (6).
Il sensore emittente è stato posizionato su uno degli schermi presenti nella postazione di lavoro studiata, quello ricevente sulla fronte dell’operatore in esame (la figura 1 ne mostra un esempio, non relativo alle postazioni studiate).
L’apparecchiatura è in grado di rilevare tempo e distanza di osservazione misurando la latenza temporale tra l’emissione da un sensore
“emittente” di ultrasuoni a 40 KHz e la conseguente loro ricezione da
parte di uno “ricevente”, noto che la velocità di propagazione del suono
nell’aria è costante (circa 340 m/sec). Quando l’operatore, pur rimanendo seduto alla postazione di lavoro, pone lo sguardo al di fuori del c.v.p.,
e cioè al di fuori del campo di ricezione prestabilito, o quando fissa oggetti oltre 115 cm di distanza dal sensore emittente, l’apparecchio regista un segnale di out (esclusione del dato). Uno specifico software permette una elaborazione immediata preliminare dei dati registrati dal
computer (tempo di registrazione, tempo mantenuto alla postazione di
lavoro, distanza media di osservazione, deviazione standard, tempo al
vdt, tempo out). Sulla base dei dati rilevati è stata poi calcolata l’entità
degli angoli minimi sottesi dai più piccoli dettagli che devono essere discriminati dall’operatore (lettere e dei simboli che compaiono all’interno del suo c.v.p.), in accordo con il metodo proposto da A. Grieco e coll.
(7). Partendo dall’angolo sotteso è possibile calcolare le relative acuità
visive richieste. Infine, si sono quantificate accomodazione e convergenza medie utilizzate dall’operatore per i suoi compiti lavorativi alla
postazione.
RISULTATI
Gli impegni visivi connessi ai compiti lavorativi dei sei operatori studiati sono schematicamente sintetizzabili nel controllo e monitoraggio
della situazione in atto, mentre vengono effettuati coordinamenti con un
collega per la gestione delle attività.
I dati ottenuti dalle rilevazioni consentono l’elaborazione di alcuni
parametri essenziali per la valutazione dell’impegno visivo richiesto dai
compiti lavorativi svolti. Essi sono:
• tempo totale di registrazione (Trec): è il tempo che intercorre tra l’inizio e la fine delle rilevazioni;
• tempo lavorato (Tlav): è il tempo dedicato, all’interno del Trec, allo
svolgimento dei propri compiti lavorativi (permanenza all’interno
del luogo di lavoro);
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www.gimle.fsm.it
•
•
•
interruzioni (Tint): rappresentano i tempi relativi alle fasi di lavoro in
cui l’operatore si assenta dalla sua postazione (il sensore ricevente
viene disconnesso dall’operatore);
tempo postazione (Tpost): è il tempo lavorato (Tlav) meno Tint;
osservazioni fuori campo di ricezione (Tout): rappresentano i tempi
in cui il sensore ricevente non intercetta il segnale emesso dal senso-
255
•
•
re emittente (il soggetto non pone il suo sguardo all’interno del c.v.p.
predeterminato, oppure osserva le “mire professionali”, ma da una
distanza superiore ai 115 cm);
tempo VDT (Tscr): è il “tempo lavorato” (Tlav) meno i tempi “int”
ed i tempi “out”;
distanza media di osservazione (dist) e relativa deviazione standard.
Tabella I. Parametri di quantificazione dell’impegno visivo
Tabella II. Distanze medie di osservazione, acutezze visive, accomodazioni e convergenze richieste
Grafico 1
Grafico 2
I parametri che quantificano l’impegno visivo dei sei operatori indagati
sono analiticamente descritti nella tabella I. L’entità dei conseguenti impegni accomodativi e di convergenza è riportata nella tabella II.
DISCUSSIONE
Gli operatori analizzati mantengono una elevata e costante fissazione visiva all’interno del c.v.p., coerentemente con i compiti lavorativi svolti che richiedono grande attenzione e concentrazione.
Negli operatori studiati l’acutezza
visiva teorica richiesta (funzione dell’angolo sotteso) è di livello medio
(circa 4,4 - 4,9 decimi), mentre i carichi accomodativo e di convergenza variano da medio a
intenso (a seconda delle caratteristiche visive dell’operatore considerato), essendo compresi tra il 26,41% ed
il 43,92% dell’accomodazione e della
convergenza teoricamente disponibili
nel soggetto. Il tempo effettivamente
trascorso “in osservazione per vicino
all’interno del c.v.p.” (Tscr), si è mantenuto tra le 2h 54’ e le 4h 05’.
CONCLUSIONI
Lo studio evidenzia che, nelle
condizioni esistenti durante le rilevazioni, rappresentative, per la professionalità in esame, della situazione di
lavoro per l’intero anno, i tempi trascorsi con impegno visivo al punto
prossimo (“tempi di esposizione” da
utilizzare ai fini dell’applicazione del
D. Lsg. 626/94 -Titolo VI) sono tutti
al di sotto delle venti ore settimanali
(art. 54 lett. c, così modificato dall’art. 21, comma 1, lett. a, della Legge del 29 dicembre 2000, n. 422)
nonché tutti al di sotto delle quattro
ore, eccetto quelli relativi ad un soggetto, in base ad una situazione contingente, che sono compensati dalla
tipologia dell’orario di lavoro. Data
la complessità dei compiti svolti, tutti gli operatori sono comunque sottoposti ad approfonditi e periodici esami clinici tra i quali controlli ergoftalmici.
BIBLIOGRAFIA
1) B. Piccoli, P. Zambelli, D. Grosso,
R. Assini 2003: Oftalmologia occupazionale ed ergoftalmologia:
un percorso in evoluzione, Medicina del Lavoro 94:1, 101-107
2) W.H. Hart Adler’s: physiology of
the eye. Clinical application, 9th
edn. London 1992
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3) D.L. Easty, J.M. Sparrow: Oxford textbook of Ophthalmology.
Oxford: Oxford University Press 1999
4) B. Piccoli et al.: A critical appraisal of current knowledge and future directions of ergophthalmology: consensus document of the ICOH
Committe on “Work and Vision”. Ergonomics, Vol. 46, No. 4, 384406, 2003
5) Linee Guida SIMLII per la Sorveglianza Sanitaria degli addetti ad attività lavorative con videoterminali. 2003
6) B. Piccoli, M. D’Orso, P. Zambelli, P. Troiano, R. Assini: Observation distance and blinking rate measurement during on-site investigation: a new electronic equipment. Ergonomics, Vol. 44, No. 6, 668676, 2001
7) A. Grieco, B. Piccoli. 1982, Visione e lavoro. Nota I: Metodo per la
valutazione del carico di lavoro visivo e delle condizioni illuminotecniche nei luoghi di lavoro, Medicina del Lavoro, 73, 496-514
COM-10
EFFICIENZA LAVORATIVA E CONDIZIONI ILLUMINOTECNICHE:
STUDIO SPERIMENTALE
D. Grosso1, A. Bellini2, P. Zambelli1, P. Troiano3, M. Di Bisceglie1,
A. Bergamaschi4, B. Piccoli1
1
Dipartimento di Medicina del Lavoro - IRCCS Fondazione Ospedale
Maggiore, Mangiagalli e Regina Elena
2 ASL Città di Milano
3 Dipartimento di Oculistica, IRCCS Fondazione Ospedale Maggiore,
Mangiagalli e Regina Elena
4 Istituto di Medicina del Lavoro - Università Cattolica del Sacro Cuore
Roma
Corrispondenza: Daniele Grosso, Dipartimento di Medicina del lavoro,
Via San Barnaba 8, 20122 Milano, Tel. 02/50320154, cell: 3476609009,
e.mail: [email protected]
RIASSUNTO. Sono stati selezionati 32 soggetti volontari, non
affetti da gravi patologie oftalmiche degenerative, né da alterazioni
della refrazione e della motilità oculare. Ogni soggetto è stato sottoposto a sessioni sperimentali con impegno visivo per vicino (uso di
PC), in condizioni sperimentali monitorate. Scopo dello studio è la
valutazione degli effetti prodotti sull’efficienza lavorativa da condizioni illuminotecniche caratterizzate da illuminamenti “a norma”, ma
in presenza di elevati o bassi rapporti di luminanze nel “campo visivo
professionale”. Dall’analisi dei dati è emerso che le condizioni illuminotecniche con elevati rapporti di luminanza hanno causato una diminuzione dell’efficacia delle prestazioni (diminuzione complessiva
dell’efficienza, aumento del numero degli errori e dei tempi dei esecuzione) che invece non si è verificata nelle condizioni con bassi rapporti di luminanza. La sintomatologia astenopica non ha mostrato significative differenze, verosimilmente per gli effetti prodotti, in entrambe le condizioni sperimentali studiate, dall’intenso impegno visivo per vicino.
Parole chiave: lavoro per vicino, illuminazione, efficienza lavorativa.
WORK EFFICIENCY AND LIGHTING CONDITIONS: AN EXPERIMENTAL STUDY
ABSTRACT. Thirty-two voluntary subjects were selected, not
suffering either from any degenerative ophthalmic diseases or refraction
and ocular motility alterations. Each subject underwent close visual task
experimental sessions (e.g. PC usage), under monitored experimental
conditions. Aim of the study is the assessment of working efficiency effects
caused by lighting conditions characterized by “according to law”
illuminations, yet in presence of high or low luminance ratios in the
“occupational visual field”. An analysis of the data showed that high
luminance ratios conditions show a decrease of the performance (decrease
overall efficiency, increase in the number of errors and time of execution),
which where not detected with low luminance ratios conditions. Asthenopia
did not show clear differences, possibly due to the effects of the intense near
work which was present in both the experimental sessions.
Key words: near vision, lighting, work efficiency.
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INTRODUZIONE
L’operatore d’ufficio normalmente lavora mantenendo una posizione
fissa per molte ore al giorno ed impegnando il suo apparato visivo nell’osservazione di oggetti posti frontalmente entro la distanza di circa un
metro. Il “campo visivo professionale” che lo caratterizza è perciò abbastanza ben definibile e non molto ampio ed è principalmente all’interno
di esso che vanno ricercate ed eliminate tutte quelle situazioni illuminotecniche da cui possono provenire elementi di disagio. Numerosi, infatti,
sono in letteratura gli studi, condotti prevalentemente su operatori addetti a VDT/PC, ove l’illuminazione artificiale e naturale degli uffici è indicata come uno dei principali fattori di disagio oculare e visivo (1).
Va ricordato, a questo proposito, che il parametro principale a cui si
fa tradizionalmente riferimento, sia in Medicina del Lavoro che in Igiene
Occupazionale quando si analizzano le condizioni illuminotecniche dei
luoghi di lavoro, è l’illuminamento (2). Nostre precedenti esperienze (3),
nell’ambito di indagini effettuate presso uffici, hanno consentito di evidenziare come elevati rapporti di luminanze all’interno del “campo visivo professionale” (c.v.p.) dell’operatore possano, pur in presenza di illuminamenti adeguati, essere causa di numerosi disagi e disturbi oculari e
visivi.
SCOPO
Scopo della ricerca è stata la valutazione, in condizioni standardizzate e monitorate, degli effetti sull’efficienza lavorativa prodotti dall’esposizione a condizioni illuminotecniche caratterizzate da adeguati illuminamenti ai piani di lavoro, ma con elevati rapporti di luminanza nel
c.v.p., in soggetti esposti ad impegno visivo per vicino (uso di PC).
MATERIALI E METODI
Le indagini sperimentali sono state condotte presso il laboratorio di
Ergoftalmologia del Dipartimento di Medicina del Lavoro dell’Università di Milano (figura 1).
Al fine di poter valutare gli effetti delle condizioni illuminotecniche
in assenza di altri fattori che potessero causare alterazioni della funzione
visiva, la predisposizione del laboratorio è avvenuta, in accordo con
quanto proposto dallo S. C. on Work and Vision (1), dopo specifici controlli che hanno consentito di escludere:
• la presenza di agenti chimici irritanti per la superficie oculare;
Figura 1. Immagine del laboratorio (condizione di elevati rapporti di
luminanza)
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257
una caratterizzata dalla presenza di elevati rapporti di luminanza (condizione
“B”) ed una caratterizzata da bassi rapporti di luminanza (condizione “C”). In
entrambe le sessioni, l’ordine di presentazione degli “stimoli” (testi da elaborare
con un PC secondo procedure pre-codificate) era uguale, mentre variava l’ordine
dei diversi cicli, secondo criteri random.
Una visita oculistica di controllo è stata
effettuata prima e dopo ciascuna sessione
sperimentale, per escludere, sia la presenza di eventuali alterazioni di recente
insorgenza, sia l’esistenza di variazioni
“funzionali” a carico dell’accomodazione e della binocularità.
Figura 2. Esempio di registrazione della distanza di osservazione
•
la presenza di agenti biologici, in particolare su tastiere e mice; inoltre prima di ogni sessione il soggetto è stato sottoposto a indagine oftalmica per escludere che al momento della prova sperimentale fossero in atto processi infettivi;
• la presenza di condizioni microclimatiche disagevoli (in particolare
U% e V).
Inoltre, è stato effettuato, in tutte le diverse fasi sperimentali, un monitoraggio dell’impegno visivo, mediante rilevazione obiettiva della distanza
di osservazione (4) ed l’elaborazione, mediante un software specifico, dei
dati registrati dal computer (+/- DS) con i relativi grafici (figura 2).
Sono stati studiati 32 soggetti, metà maschi e per metà femmine, con
titolo di studio medio-alto ed età compresa fra i 18 e i 35 anni (+/- 6.6 anni). Tali soggetti sono stati selezionati mediante specifico protocollo in
due fasi.
Fase 1: selezione e addestramento dei soggetti. Consisteva in una
prova semplificata su PC dei compiti sperimentali previsti, avente come
obiettivo la verifica delle capacità del soggetto all’uso del computer. Successivamente, ogni soggetto è stato sottoposto a visita oftalmica. Il soggetto veniva ritenuto idoneo se privo di patologie oftalmiche importanti e
se dimostrava un’adeguata conoscenza nell’uso del PC.
Fase 2: prove sperimentali. Ogni soggetto è stato sottoposto a due
sessioni sperimentali consistenti nello svolgimento di compiti diversi mediante un programma informatizzato predisposto ad hoc, realizzato in
collaborazione con psicologi. Ogni sessione aveva una durata di 4 ore,
suddivise a loro volta in quattro cicli di uguale durata. Ogni ciclo era a
sua volta composto da 5 compiti lavorativi della durata di 10 minuti ciascuno (correzione errori, conteggio parole, conteggio numeri, cruciverba
e imput dati) predisposti in due diverse forme, equivalenti sotto il profilo
cognitivo, al fine di evitare fenomeni di “apprendimento”. La differenza
tra le due sessioni consisteva nella diversa situazione illuminotecnica:
Grafico 1. Medie dell’indice “efficienza” per tipo di illuminazione
(P= 0.005). Il soggetto che lavora in condizioni “B” ha un indice di
efficienza maggiore rispetto a chi lavora in condizioni “C”
RISULTATI
Tutte le elaborazioni dei dati sono
state fatte utilizzando l’analisi della varianza per misure ripetute, implementata su uno specifico software. La variabile considerata è stata di volta in volta un indicatore di performance, in particolare l’efficienza ma anche l’accuratezza, la velocità e la distanza media di osservazione. Nell’analisi della varianza, in riferimento alla variabile efficienza (grafico 1), le
differenze sono significative per le due condizioni “B” e “C”.
Grafico 2. Medie dell’indice “accuratezza” per tipo di illuminazione
(P= 0.01). Il soggetto che lavora in condizioni di illuminazione “B”
ha un indice di accuratezza maggiore rispetto a chi lavora in
condizioni di illuminazione “C”
Grafico 3. Medie dell’indice velocità per tipo di illuminazione (P=
0.011). Il soggetto che lavora in condizioni di illuminazione “B” ha
un indice di velocità maggiore rispetto a chi lavora in condizioni di
illuminazione “C”
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COM-11
USO DELLE ALTE FREQUENZE NELLA PREVENZIONE PRECOCE
DELLA IPOACUSIA DA RUMORE
G. Somma, L. Coppeta, A. Magrini, M. Parrella*, M. C. Cappelletti*,
S. Gardi^, M. Messina^, A. Bergamaschi*
Università Tor Vergata, Roma- Cattedra di Medicina del Lavoro
* Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma- Istituto di Medicina del
Lavoro
^ Italcementi Group, Bergamo.
Corrispondenza: Antonio Pietroiusti, Università Tor Vergata, Via
Montpellier 1, 00161, Roma, Tel. +390620902204, Fax +390620902212,
e-mail: [email protected]
Grafico 4. Medie dell’indice distanza per tipo di illuminazione (P=
0.197)
Pure nell’analisi della varianza riferita alla variabile “accuratezza” le
differenze sono significative per le due condizioni considerate (grafico 2).
L’analisi della varianza per la variabile “velocità” evidenzia, a sua
volta, differenze significative per le due condizioni considerate (grafico 3).
Da ultimo, l’analisi della varianza per la variabile “distanza” mostra
differenze non significative per le due condizioni considerate (grafico 4).
DISCUSSIONE
L’analisi statistica degli indicatori di performance, volti a valutare la
qualità della prestazione lavorativa, ha evidenziato differenze statisticamente significative per “efficienza” (p=0,00509), per “accuratezza”
(p=0,01020) e per “velocità” (p=0,01117).
Per quanto attiene alla distanza, le differenze non sono significative
nelle due condizioni considerate (p=0,19725), come atteso e come voluto nel predisporre le condizioni sperimentali. Infatti, l’impegno visivo” si
è mantenuto costante, se non uguale in entrambe le sessioni di lavoro, garantendo in tal modo che la performance non venisse condizionata da carichi visivi per vicino sostanzialmente diversi.
CONCLUSIONI
Dall’analisi dei dati emerge che i soggetti sottoposti alle condizioni “C” (elevati rapporti di luminanza), mostrano una diminuzione dell’efficacia delle prestazioni (diminuzione complessiva dell’efficienza,
aumento del numero degli errori e dei tempi dei esecuzione), rispetto a
quanto verificatosi nelle condizioni “B” (bassi rapporti di luminanza).
Sembra pertanto che l’efficienza visiva sia stata nettamente influenzata
da condizioni di lavoro caratterizzate da elevati/contenuti rapporti di luminanza nel c.v.p. Per quanto attiene alla sintomatologia astenopica,
non si sono invece evidenziate significative differenze tra le due condizioni “B” e “C”, verosimilmente per la predominanza degli effetti prodotti, in entrambe le condizioni sperimentali, dall’intenso impegno visivo per vicino.
BIBLIOGRAFIA
1) ICOH: A critical appraisal of current knowledge and future directions
of ergophthalmology - Consensus Document of the Scientific Committee on “Work and Vision”. Ergonomics,, 2003; 46, 4, 384-406.
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3) Piccoli B, D’Orso M, Zambelli PL. Environmental photometry
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Ed. Atti del 14° Congresso Internazionale AIDII Arbatax, Fondazione Clinica del Lavoro 1995; 200-202.
4) Piccoli B, D’Orso M, Zambelli PL, Troiano P, and Assini R. Observation distance and blinking rate measurement during on-site
investigation: new electronic equipment. Ergonomics, 2001; 4, 6,
668-676.
RIASSUNTO. La diagnosi precoce di danno uditivo da rumore
(NIHL) potrebbe permettere la messa in atto di misure di prevenzione più
efficaci. Lo scopo del nostro studio è stato quello di valutare il possibile
utilizzo dell’esame audiometrico alle alte frequenze come indicatore precoce dell’ipoacusia da rumore. Uno studio trasversale è stato condotto
coinvolgendo 204 lavoratori esposti a rumore e 100 lavoratori non esposti. Tutti i lavoratori sono stati valutati con esame audiometrico alle frequenze convenzionali (0.25-8 kHz) ed alle alte frequenze (9-18 kHz) durante l’annuale campagna sanitaria condotta in due cementifici italiani.
Come aspettato, i lavoratori esposti a rumore avevano delle soglie uditive significativamente più alte (P <0.05) ad entrambe le frequenze convenzionali ed alte. Differenze più marcate sono state rilevate per le EHFA. Inoltre, differenze significative alle EHFA sono state trovate anche
nel sottogruppo di lavoratori esposti con soglie uditive normali alle frequenze convenzionali. I nostri dati indicano che il test audiometrico con
la valutazione per esteso delle alte frequenze può rappresentare un utile
strumento per l’individuazione di precoci innalzamenti della soglia uditiva e che potrebbe essere usato in aggiunta al test convenzionale per meglio prevenire la progressione della ipoacusia da rumore.
Parole chiave: audiometria ad alta frequenza, ipoacusia da rumore,
identificazione precoce del danno uditivo da rumore
EXTENDEN
HIGH FREQUENCY AUDIOMETRY IN THE PREVENTION OF NOISE-
INDUCED HEARING LOSS
ABSTRACT. An early detection of noise induced hearing loss
(NIHL) may allow more effective protection measures. Our aim was to
investigate the usefulness of high-frequency audiometry to evaluate the
possibility of a future use of the high frequencies audiometry as an early
indicator for noise induced hearing loss. A cross-sectional study was
performed involving 204 industrial noise exposed and 100 non-industrial
noise-exposed workers. Each subject was tested with both conventionalfrequency (0.25-8 kHz) and high-frequency (9-18 kHz) audiometry during
the annually health surveillance campaign conducted in two Italian
cement factories. As expected, noise exposed workers were found to have
significantly higher hearing thresholds (P <0.05) at both conventional
and extended high frequencies. Marked differences were found for EHFA.
Moreover, significant differences at EHFA were detected also in the
subgroup of noise-exposed workers with normal findings at conventional
audiometry. Our finding indicate that the use of the extended high
frequency test may represent a useful tool for detecting early changes of
hearing impairment and that it could be used in addition to the
conventional test to better prevent the progression of noise hearing loss.
Key words: high-frequency audiometry; noise-induced hearing loss
(NIHL); early detection of noise impairment.
INTRODUZIONE
L’audiometria alle frequenze convenzionali (0,25-8kHz) è ad oggi la
metodica utilizzata dal medico del lavoro per l’individuazione precoce
del danno uditivo indotto da rumore. Nonostante negli ultimi decenni, si
sia osservato un costante decremento della prevalenza della ipoacusia da
rumore, l’esposizione a rumore negli ambienti da rumore rimane una delle cause più comuni di sordità neurosensoriale (1). Ciò induce alla ricerca di misure di prevenzione più efficaci. L’esame audiometrico con la valutazione per esteso delle alte frequenze (Extended High Frequency Audiometry - EHFA), di quelle cioè al di sopra degli 8 kHz, potrebbe esse-
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259
re un valido aiuto nella diagnosi precoce di danno uditivo indotto da rumore. Scopo di questo studio è stato quello di valutare se l’uso della audiometria con la valutazione per esteso delle alte frequenze (EHFA) fosse più sensibile dell’audiometria convenzionale nella diagnosi precoce
dell’ipoacusia da rumore.
MATERIALI E METODI
Uno studio trasversale è stato condotto su due gruppi di lavoratori, arruolati su base volontaria, in due cementifici italiani. Un gruppo composto
da lavoratori esposti giornalmente, come indicato da indagine dosimetrica,
ad un Livello Equivalente (Leq) di rumore superiore agli 85 dBA; e l’altro
(gruppo controllo), costituito da lavoratori esposti giornalmente ad un Leq <
80 dBA. Sono stati esclusi dallo studio quei lavoratori con anamnesi positiva per patologie dell’orecchio medio, familiarità per deficit uditivi, uso di
farmaci ototossici, esposizione ad armi da fuoco o anomalie riscontrate all’esame otoscopico eseguito prima dell’audiometria. I lavoratori dei due cementifici hanno tutti aderito allo studio. Dei 204 lavoratori esposti, 15 sono
stati esclusi perché avevano una storia positiva per esposizione ad armi da
fuoco e 3 per anomalie trovate all’esame otoscopico; tra i 100 lavoratori del
gruppo controllo, due sono stati esclusi per pregressa esposizione ad armi da
fuoco. I dati di seguito discussi si riferiscono quindi, a 186 lavoratori esposti e 98 non esposti. L’esame audiometrico per le frequenze convenzionali e
per le alte frequenze è stato condotto in cabina silente, dopo riposo acustico di almeno 16 ore. Per lo studioè stato utilizzato un
audiometro clinico (Amplaid A319, Amplifon, Italy) con cuffie standard TDH-49
per la valutazione delle frequenze 250-8
kHz e cuffie circumaurali Sennheiser
HDA200 (Wedemark, Germany) per testare il range delle frequenze 9-18 kHz.
Un questionario è stato somministrato da un medico, allo scopo di valutare:
eventuale familiarità positiva per sordità,
uso di armi da fuoco, traumi acustici,
pregressa esposizione a rumore lavorativa e non, uso di otoprotettori, fumo di sigaretta, ipertensione arteriosa. Tutti i lavoratori sono stati inoltre sottoposti ad
esame otoscopico prima di essere sottoposti all’esame audiometrico.
Per studiare il possibile ruolo delle
EHFA come indicatore precoce di danno
uditivo, le soglie uditive alle alte frequenze dei lavoratori esposti, ma con
normali livelli di soglia uditiva alle frequenze convenzionali, sono state paragonate a quelle dei lavoratori non esposti.
Dopo aver applicato una trasformazione logaritmica per normalizzare la distribuzione dei dati, test di tipo parametrico (test-t di Students e test del χ2) sono
stati utilizzati per l’analisi statistica. Per
controllare l’effetto dell’età sulla variazione delle soglie uditive e meglio valutare gli effetti del rumore sulle alte frequenze, lavoratori esposti e non esposti
sono stati raggruppati in quattro fasce di
età (21-30; 31-40; 41-50, >50 anni). Un
valore di P <0.05 è stato considerato come livello di significatività statistica.
RISULTATI
L’età media dei lavoratori non esposti inclusi nello studio era di 36.5 anni, e
quella dei lavoratori esposti di 39.8 anni
(p=ns). I risultati di entrambe le orecchie
(dx e sn) sono presentati insieme essendo
le medie delle soglie uditive delle due
orecchie quasi identiche sia nei lavoratori esposti che nei non esposti (dati non
mostrati). Le variabili fumo di sigaretta e
ipertensione sono state valutate nei due gruppi di studio per ogni classe
d’età. Mentre per la variabile fumo di sigaretta non sono state riscontrate
differenze statisticamente significative tra lavoratori esposti e non esposti; una maggiore percentuale di soggetti ipertesi è stata riscontrata tra i
lavoratori esposti a rumore rispetto al gruppo controllo nelle classi di età
21-30; 31-40; 41-50 (Figura 1).
Per ogni classe di età, nei lavoratori esposti si sono riscontrati valori
di soglia uditiva più elevati rispetto ai lavoratori non esposti ad eccezione della frequenza 18 kHz per la classe di età dei 41-50 anni, (p < 0.05).
In particolare la più elevata differenza tra le soglie uditive è stata trovata
sui 16 kHz per la classe di età 21-30 anni, sui 14 kHz per i lavoratori di
31-40 anni, sui 12.5 kHz nei lavoratori di età compresa tra 41-50 anni ed
infine sui 10 kHz per i lavoratori di età superiore ai 50 anni.
Differenze molto meno marcate sono state osservate per le frequenze convenzionali (dati non mostrati). Infine per studiare il possibile ruolo delle EHFA come indicatore precoce dell’ipoacusia da rumore, le medie delle alte frequenze dei lavoratori esposti a rumore che mostravano
frequenze convenzionali normali (< 25 dB), sono state paragonate a quelle dei lavoratori non esposti. I lavoratori esposti a rumore mostravano soglie uditive più elevate rispetto a quelle dei lavoratori non esposti (p<
0.05) ad eccezione dei lavoratori di età superiore ai 50 anni per i quali non
è stata trovata alcuna differenza significativa (Figura 2).
Figura 1. Confronto delle medie delle soglie uditive dei lavoratori esposti a rumore rispetto ai non
esposti, per classi di età. Pannello A: EHFA; Pannello B: Audiometria convenzionale
260
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Figura 2. Confronto delle medie delle soglie uditive dei lavoratori esposti a rumore ma con normali soglie uditive alle frequenze
convenzionali (≤ 20 dB) rispetto ai lavoratori non esposti. Le barre di errore si riferiscono all’errore standard della media
DISCUSSIONE
L’uso della audiometria convenzionale consente di valutare i primi
segni di innalzamento della soglia uditiva, in lavoratori esposti a rumore,
nel range 4-6 kHz. Dati in letteratura riportano però che danni ancora più
precoci non possono essere individuati con questo metodo (2). La EHFA
potrebbe rivelarsi, a tal proposito, un valido aiuto considerando anche che
richiede per l’esecuzione lo stesso strumento utilizzato per l’audiometria
standard e viene facilmente applicata in pochi minuti. Il potenziale uso
delle alte frequenze nella diagnosi precoce di danno da rumore è inoltre
indirettamente supportato da studi sul precoce interessamento delle alte
frequenze nei pazienti sottoposti a terapie con farmaci ototossici (3). I nostri dati mostrano che la valutazione per esteso delle alte frequenze è più
sensibile dell’audiometria convenzionale nel rilevare deficit uditivi indotti da rumore. In particolare, le soglie alle alte frequenze dei lavoratori
esposti a rumore con frequenze convenzionali inalterate (<20dB) erano
significativamente più elevate dei lavoratori non esposti. Ad oggi, i dati
esistenti in letteratura circa l’utilizzo delle alte frequenze come strumento di diagnosi precoce del danno da rumore sono pochi, ma sembrano comunque suggerire l’utilità di questo metodo (4, 5, 6, 7, 8).
In conclusione, nonostante ulteriori studi siano necessari per rafforzare i nostri risultati (studi di tipo prospettico sono necessari per dimostrare la relazione causale tra il progressivo deterioramento delle più alte
frequenze e l’esposizione a rumore), i nostri dati suggeriscono che le EHFA, se utilizzate insieme alla audiometria convenzionale durante i programmi di sorveglianza sanitaria condotti per la prevenzione del danno da
rumore negli ambienti di lavoro potrebbero rappresentare un utile strumento per la rilevazione precoce di cambiamenti subclinici indotti dal rumore negli ambienti di lavoro.
BIBLIOGRAFIA
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261
troduzione nei protocolli sanitari, anche la transferrina decarboidrata
(CDT) con il riscontro di risultati al di fuori dei parametri di normalità.
SESSIONE
TOSSICOLOGIA OCCUPAZIONALE
COM-01
LA DETERMINAZIONE DELLA TRANSFERRINA DECARBOIDRATA (CDT)
COME INDICATORE DI CONSUMO ALCOLICO: PROBLEMATICHE
ANALITICHE ED INTERPRETATIVE. CASE REPORT
A. Verga*, R. Donghi* L. Germagnoli** T. Mladen** L. Bordini°,
L. Patrini° A. Todaro° M. Ricci°
* H San Raffaele Resnati Milano
** Laboraf, Diagnostica e Ricerca San Raffaele Milano
° OM Policlinico, Mangiagalli, Regina E. Fondazione IRCCS Milano
Corrispondenza: A. Verga c/o H San Raffaele Resnati Via S. Croce, 10
/a 20122 Milano, e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. In medicina di laboratorio numerosi marcatori sierici
di abuso alcolico cronico. Rientra fra questi la transferrina decarboidrata
(CDT). Scopo del presente contributo è descrivere tre casi di soggetti sottoposti a sorveglianza medica periodica, nei confronti dei quali, insieme
ai comuni esami di biochimica clinica, previsti dal programma degli accertamenti sanitari, anche la transferrina decarboidrata (CDT) con il riscontro di risultati al di fuori dei parametri di normalità.
I dati relativi alla CDT, di per sé alterati, non erano adeguatamente
coerenti né interpretabili in relazione all’esito degli altri esami ematochimici (in particolare gli indici di funzionalità epatica) né correlabili con le
abitudini voluttuarie riferite dagli interessati.
Uno studio approfondito ha permesso di rilevare in un caso la presenza di una banda monoclinale, in un secondo l’esistenza di una variante genetica cui è stata attribuita l’alterazione del risultato del test. Una
stretta collaborazione fra il medico che richiede l’accertamento ed il collega di laboratorio, consente di valutare eventuali fattori di confondimento. Ne deriva l’importanza di una interpretazione non automatica e sempre critica dei valori alterati della transferrina decarboidrata (CDT), per
evitare errori diagnostici e ricadute medico legali laddove sia stato
espresso un giudizio su parametri non correttamente interpretati.
Parole chiave: transferrina decarboidrata (CDT).
CARBO-DEHYDRATED
TRANSFERRIN
(CDT)
AS A MARKER OF ALCOHOL
INTAKE: PROBLEMS WITH ANALYSIS AND INTERPRETATION.
CASE REPORT
INTRODUZIONE
La relativamente recente identificazione di un elenco di attività lavorative ad elevato rischio di infortuni sul lavoro, ovvero per la sicurezza, l’incolumità o la salute di terzi, avvenuta con l’approvazione del Provvedimento del 16 marzo 2006 da parte della Conferenza Permanente per
i Rapporti tra lo Stato le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano, in applicazione di quanto previsto dall’art. 15 della Legge 30 marzo 2001, n° 125 (Legge quadro in materia di alcol e problemi alcol correlati), solleva nuovi interrogativi e attribuisce importanti responsabilità
al medico competente, perché lo identifica come uno dei possibili soggetti attivamente e direttamente coinvolti nella prevenzione delle condotte da abuso alcol correlate.
Come noto, sono infatti disponibili in medicina di laboratorio numerosi marcatori sierici di abuso alcolico recente o cronico. Rientrano ad
esempio fra gli indicatori di abuso acuto i seguenti marcatori: la determinazione del metanolo in sangue, urina o aria espirata, il rapporto 5-idrossitriptofololo/acido 5-idrossi-indolacetico urinari, l’etilglicuronide urinario, l’etilsolfato urinario, ecc. Sono indicatori di abuso cronico: il volume
corpuscolare medio, gli esami di funzionalità epatica (ALT, AST, GGT),
la transferrina decarboidrata (CDT), gli addotti ematici dell’acetaldeide,
l’acido sialico sierico ed altri ancora (1).
Scopo del presente contributo è descrivere tre casi di soggetti sottoposti a sorveglianza medica periodica, nei confronti dei quali, insieme ai
comuni esami di biochimica clinica, previsti dal programma degli accertamenti sanitari, è stata dosata per la prima volta, a seguito della sua in-
RISULTATI
I tre soggetti, occupati presso un’azienda di trasporti, sono tutti di razza caucasica e di sesso maschile, nella seguente fascia di età: 40 - 60 anni.
Per ogni soggetto sono state valutate le abitudini voluttuarie, con particolare attenzione al consumo riferito di alcol giornaliero, consumo di
farmaci e la presenza di patologie per quanto riguarda la funzionalità epatica e del ricambio. Si descrivono di seguito in dettaglio le caratteristiche
cliniche più rilevanti dei casi osservati.
Caso n° 1
Soggetto di 47 anni di età, con anamnesi remota positiva per i comuni esantemi infantili, tonsillectomia e appendicectomia, non riferisce
altre patologie di rilievo e non lamenta nell’attualità alcun disturbo di salute degno di nota. Non fumatore, non assume farmaci abitualmente. La
dieta è libera. Per quanto riguarda il consumo di bevande alcoliche dichiara di bere vino in quantità moderata (1 bicchiere) solo durante i pasti.
La visita medica non ha evidenziato alcun dato clinico degno di nota all’esame obbiettivo, il soggetto è normopeso, presenta valori normali di
pressione arteriosa. Gli esami ematochimici eseguiti comprendono: emocromo con formula, piastrine, glicemia, creatininemia, colesterolo totale,
trigliceridi, AST, ALT, GGT, esame urine completo, CDT. L’unico esame
risultato alterato è la transferrina decarboidrata (CDT), con un valore percentuale di 1,9 (valore di normalità 0.0 - 1.3%). In accordo con il medico laboratorista che ha eseguito il dosaggio della CDT, il lavoratore è stato sottoposto ad una nuova determinazione della CDT cui è stata aggiunta la valutazione del quadro sieroproteico, di transferrina, ferritina e sideremia. Il tracciato elettroforetico e l’immunofissazione hanno evidenziato la presenza di una componente monoclonale IgG kappa, le altre frazioni rientravano nei limiti di normalità.
Il lavoratore è stato immediatamente indirizzato allo specialista ematologo per gli approfondimenti ed i provvedimenti del caso.
Caso n° 2
Il secondo caso riguarda un soggetto di 45 anni di età, addetto a compiti di coordinamento presso una sala operativa, con anamnesi remota positiva per i comuni esantemi infantili ed una rinocongiuntivite allergica a
pollini primaverili. L’episodio sanitario più rilevante, occorso circa quattro anni fa, è un infarto miocardio curato con angioplastica con successo
e senza complicanze. Non fumatore, assume farmaci antiaggreganti, statine e antianginosi. Dichiara di non consumare bevande alcoliche. La dieta è libera. La visita medica non ha evidenziato alcun dato degno di nota
all’esame obbiettivo, il soggetto è normopeso, presenta valori normali di
pressione arteriosa. Gli esami ematochimici eseguiti comprendono: emocromo con formula, piastrine, glicemia, creatininemia, colesterolo totale,
trigliceridi, AST, ALT, GGT, esame urine completo, CDT. Gli esami risultati alterati in occasione della prima valutazione sanitaria, sono gli eritrociti 4.50 (v.n. 4.70 - 6.10), VCM 96.8 (v.n. 80.0 - 94.0) e la transferrina decarboidrata, che è risultata non dosabile. La spiegazione tecnica è
stata attribuita ad una verosimile interferenza causata da una variante genetica del soggetto in esame. Si conoscono infatti numerose forme di varianti genetiche per la transferrina: almeno 36 isoforme differenti per
omozigosi e 72 per eterozigosi. Di queste solo tre per omozigosi e sei per
eterozigoti sono attribuibili alla CDT (2).
A questa attribuzione si è giunti consensualmente dopo una rilettura
critica delle curve dei tracciati elettroforetici delle isoforme della CDT da
parte del medico di laboratorio. Supporto della decisione è stata la ricostruzione rigorosa dell’effettivo abituale consumo di bevande alcoliche e
delle altre abitudini nutrizionali, operata dal medico del lavoro insieme al
soggetto interessato.
Caso n° 3
Il terzo caso si riferisce invece ad una situazione in cui l’andamento
del monitoraggio della CDT ha risentito in modo netto e coerente del cambiamento delle abitudini voluttuarie dell’interessato. Si tratta di un soggetto di 50 anni di età, con anamnesi remota positiva per i comuni esantemi infantili e tonsillectomia. Non riferisce altre patologie di rilievo e non
lamenta nell’attualità alcun disturbo di salute degno di nota. Non fumatore, non assume farmaci abitualmente. La dieta è libera. Per quanto riguarda il consumo di bevande alcoliche dichiara di assumere alcolici in modo
262
non ben precisato, sia durante, che fuori dai pasti. La visita medica non ha
evidenziato alcun dato degno di nota all’esame obbiettivo. Il soggetto è in
sovrappeso e presenta valori di pressione arteriosa sistolica lievemente aumentati 150/90. Gli esami ematochimici eseguiti comprendono: emocromo con formula, piastrine, glicemia, creatininemia, colesterolo totale, trigliceridi, AST, ALT, GGT, esame urine completo, CDT. Gli esami risultati alterati sono i seguenti: AST 48 U/L (v.n. 5-41) ALT 82 U/L (v.n. 6-55)
e CDT 1.6% (v.n. 0.0 - 1.3%). Il lavoratore è stato successivamente riconvocato, ad un mese di distanza, per la rivalutazione degli esami alterati e
della GGT. I risultati del secondo controllo hanno evidenziato AST 39 U/L
(v.n. 5-41), ALT 99 U/L (v.n. 6-55) GGT 22 U/L (v.n. 11-50) e CDT 1.7%
(v.n. 0.0 - 1.3%). Questi dati hanno reso necessario indagare meglio il consumo di bevande alcoliche nelle settimane precedenti gli accertamenti. Ne
è emerso un consumo quotidiano di almeno un superalcolico al di fuori dai
pasti, in aggiunta a quello di vino durante i pasti. L’esito degli esami ha
portato l’interessato alla riduzione del consumo di bevande alcoliche entro i limiti del bere sociale. I valori della CDT, ad un ulteriore mese di distanza, sono risultati nettamente ridotti ed entro i limiti di riferimento:
1.0% con range compreso fra. 0.0 ed 1.3%. Sono rimasti sostanzialmente
invariati gli indici di funzionalità epatica: AST 39 U/L (v.n. 5-41), ALT 89
U/L (v.n. 6 -55) e GGT 22 U/L (v.n. 11-50).
DISCUSSIONE
I casi descritti si riferiscono a tre soggetti, nei quali l’utilizzo e l’interpretazione dell’esito della CDT, come marcatore di abuso di sostanze
alcoliche, contestualmente ed in modo coordinato con gli altri esami di
funzionalità epatica di biochimica clinica, è risultato controverso nei primi due e coerente nel terzo.
La CDT è un marcatore biologico indiretto di consumo alcolico non
moderato, perché permette di valutare un’assunzione di alcol superiore a
50 - 80 g al giorno della durata di almeno due settimane consecutive prima del momento del prelievo (3). Quando viene usata, come casi descritti, non da sola ma insieme ad altri indicatori biochimici, acquista un’elevata sensibilità e specificità: La CDT può infatti risultare alterata in differenti condizioni cliniche come riassunto in tabella I (4).
Nel siero sono presenti diverse isoforme di transferrina, in particolare molecole di transferrina desialiata in percentuale diversa in proporzione all’inibizione enzimatica del processo di glicosilazione indotta dall’etanolo. Per definizione rientrano nella CDT le forme asialo-, monosialo e
disialo-transferrina (6). Nel nostro laboratorio la CDT viene eseguita con
elettroforesi capillare ed espressa come percentuale della disialotransferrina rispetto alla penta, tetra e trisialo transferrina. È stata più volte confermata la stretta correlazione fra incremento delle isoforme desialiate e
consumo alcolico. Tuttavia, come nei casi che abbiamo descritto, l’attribuzione causale e la diagnosi di abuso non può essere immediata.
Nel caso n° 1, infatti, un’interpretazione per così dire “automatica”
dell’incremento della CDT, avrebbe condotto non solo ad una diagnosi
errata, ma avrebbe anche impedito la corretta valutazione del caso ed il
rilievo di una componente monoclonale IgG kappa. In questo caso il dato fondamentale è stato il rapporto fiduciario fra medico competente e lavoratore che ha fatto considerare affidabile l’anamnesi di assenza di abuso alcolico. Gli ulteriori accertamenti sono stati pertanto il frutto di un lavoro comune fra il medico di laboratorio ed il medico del lavoro per la ricerca della possibile causa vera del dato alterato. Non è possibile tuttavia
dare una indicazione ad eseguire di routine l’elettroforesi sieroproteica.
Attualmente non vi sono dati di letteratura che correlino la componente
monoclonale con l’alterazione della CDT.
Il caso n° 2 mostra, d’altro canto, come la CDT non sia un indicatore utilizzabile nei confronti di tutti i lavoratori in modo automatico. Vi sono alcuni fattori individuali, ad esempio nel nostro caso una variabilità
Tabella I. Cause di alterazione del valore di normalità della CDT (5)
Casi di insufficienza epatica dovuta a cirrosi biliare primaria, epatite
cronica attiva e ed epatopatia da farmaci
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genetica, che non consentono l’utilizzo dell’accertamento. Ciò conferma
la notevole importanza della conoscenza del soggetto in esame, della ricostruzione precisa e condivisa dell’anamnesi fisiologica e della stretta
collaborazione con il medico del laboratorio.
Il terzo caso è invece lineare e coerente con la finalità di accertare e
monitorare nel tempo il possibile consumo non moderato di sostanze alcoliche. La netta riduzione della CDT, con il variare delle abitudini voluttuarie riferite dal soggetto ha consentito una corretta valutazione del
soggetto in relazione a condizioni di lavoro sicure ed un percorso formativo condiviso.
CONCLUSIONI
I dati relativi alla CDT, di per sé alterati, in due casi non erano adeguatamente coerenti né interpretabili in relazione all’esito degli altri esami ematochimici (in particolare gli indici di funzionalità epatica) né correlabili con le abitudini voluttuarie riferite dagli interessati. Lo studio più
approfondito delle caratteristiche chimico-cliniche dei due soggetti, che
in un caso è consistito nell’esecuzione dell’elettroforesi sieropoteica, e
per l’altro nella rilettura critica della curva dei tracciati elettroforetici delle isoforme della CDT, ha permesso di rilevare, in modo casuale nel primo soggetto, la presenza di una banda monoclonale e per il secondo la
probabile condizione di una variante genetica, a cui è stata attribuita la
causa del risultato alterato del test. Il terzo caso ha presentato un andamento coerente nella correlazione fra CDT e abitudini voluttuarie.
Ne deriva l’importanza di una interpretazione non automatica e molto critica dei valori “alterati” della transferrina decarboidrata (CDT), per
evitare non solo errori con rilevanza clinica, ma anche eventuali ricadute
medico legali, in caso di espressione del giudizio di idoneità alla mansione specifica su parametri di laboratorio non correttamente interpretati.
In conclusione, si sottolinea la necessità di una stretta collaborazione fra
il medico che richiede l’accertamento ed il collega di laboratorio, al fine di
permettere al sanitario committente di conoscere al meglio l’affidabilità del
dato fornito ed al laboratorista di essere informato circa le caratteristiche del
soggetto nei confronti del quale viene effettuato l’accertamento e della esistenza di eventuali fattori di confondimento. Questi aspetti risultano fondamentali ai fini di un utilizzo ragionato del risultato dell’accertamento.
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COM-02
VALUTAZIONE DELL’ESPOSIZIONE PROFESSIONALE A CLORURO
DI VINILE MONOMERO E CLORURO DI VINILIDENE DI UN
LAVORATORE ADDETTO AL CONFEZIONAMENTO FARMACI
Varianti genetiche D della transferrina
Pazienti con Carbohydrate-Deficient Glycoprotein Sindrome (CDG
sindrome) e 25% dei portatori sani)
Cause analitiche
F. D’Orsi, D. De Grandis, R. Laurelli, R. Narda, E. Pietrantonio,
F. Scarlini, P.S. Soldati
Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro (S.Pre.S.A.L.),
Dipartimento di Prevenzione, ASL RMC
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Corrispondenza: Roberto Narda, Via Marotta, 5 - 00143 Roma
Tel. 06-5002730
RIASSUNTO. Lo studio in esame nasce nell’ambito di un’indagine
di Polizia giudiziaria delegata dalla Procura della Repubblica per un caso di sospetta malattia di origine professionale, rilevata incidentalmente
nel corso di accertamenti diagnostici in un lavoratore addetto al confezionamento di farmaci in un’azienda farmaceutica.
Le informazioni preliminari fornite dalla Autorità Giudiziaria indicavano che la patologia potesse essere attribuita all’esposizione a cloruro di
vinile monomero (CVM). Al fine di stimare la possibile esposizione lavorativa, è stato applicato un metodo di valutazione del rischio chimico
basato sui dati del ciclo produttivo e sulle caratteristiche delle sostanze
utilizzate, che ha consentito di integrare i pochi dati ambientali disponibili, da soli insufficienti per formulare ipotesi eziologiche.
L’attività lavorativa comportava esposizione a CVM e a cloruro di
vinilidene (rispettivamente presenti nei blister e nella colla). Sono state
analizzati il ciclo produttivo, le materie prime utilizzate, i prodotti di processo generati durante le lavorazioni e le loro proprietà chimico-fisiche e
tossicologiche. In particolare si riportano tutte le valutazioni tecnico
scientifiche che hanno condotto al giudizio conclusivo sulla diversa distribuzione degli inquinanti in atmosfera di lavoro.
Parole chiave: cloruro di vinile, cloruro di vinilidene, valutazione
del rischio chimico.
EVALUATION
OF PROFESSIONAL EXPOSURE TO CHLORIDE VINYL MONOMER
AND VINYL IDENE CHLORIDE FOR A PHARMACEUTICAL PACKAGING WORKER
ABSTRACT. The study was conducted by Judicial Policy
investigations of Prosecution’s Office. The event was connected by a
professional founded suspicion disease of a pharmaceutical worker. First
information coming from the Authority indicated a chloride vinyl
monomer (CVM) exposure. We applied a chemical risk assessment
method to estimate real professional exposure. The method was based on
the productive cycle, physical and chemical and toxicological properties.
The method combined to environmental data permitted to formulate
etiological hypothesis. The worker during drugs packaging was exposed
to CVM and vinylidene chloride (CVDM) caused by blister warming and
by glue deposition. We explain the evaluations by which we could
consider the pollutant different distribution in workplaces.
INTRODUZIONE
Nel corso del 2006, il Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro (S.Pre.S.A.L.) della ASL RMC, ha effettuato un’indagine di sospetta malattia professionale per un caso di steatosi epatica correlata ad esposizione a cloruro di vinile monomero (CVM). Il lavoratore
era addetto al confezionamento di compresse, confetti, fiale e fialoidi in
un’industria farmaceutica. L’operatore ha lavorato dapprima nel reparto
di confezionamento di fiale e fialoidi e successivamente è stato adibito al
confezionamento di compresse e confetti, anche se in modo non continuativo.
La malattia è stata rilevata occasionalmente nel corso di accertamenti diagnostici effettuati per altri motivi. L’esposizione a solventi organici
nocivi, tra cui il CVM, potrebbe concorrere all’eziologia della steatosi.
Per poter valutare questo, è stato necessario effettuare il processo di valutazione del rischio chimico ai sensi del Titolo VII-bis del D. Lgs.
626/94, facendo riferimento in particolare al ciclo produttivo, alle materie prime utilizzate, ai prodotti di processo, alle proprietà chimico-fisiche
e tossicologiche delle sostanze alla luce dei dati sanitari acquisiti.
MATERIALI E METODI
Analisi del ciclo produttivo: i farmaci venivano confezionati inserendoli in supporti di materiale plastico, prodotti a partire da un foglio
continuo di polivinile cloruro (PVC) e polivinilidene cloruro (PVCD). Il
foglio veniva srotolato, scaldato e termosagomato per formare le sedi di
alloggio dei medicinali. La produzione dei supporti delle compresse e dei
confetti prevedeva una fase aggiuntiva. I supporti, una volta riempiti per
caduta con i confetti e le compresse, venivano sigillati, per termosaldatura tramite una macchina blisteratrice, con una pellicola di alluminio su
cui era steso un collante costituito da cloruro di vinile, acetato di vinile,
cloruro di vinilidene (CVMD), esteri e stirolo. Sia dai fogli dei polimeri
plastici (PVC e PVCD) che dai collanti utilizzati, possono essere disper-
263
si in aria vapori organici nocivi (vedere tabella II) di CVM e di CVMD,
come confermato anche dai campionamenti di CVM effettuati dall’azienda.
Campionamenti: l’azienda ha effettuato tra il 1997 e il 2000 dei campionamenti di CVM in aria, ambientali e personali, alla macchina blisteratrice presso la quale avveniva il confezionamento. L’attività lavorativa
è cessata nel 2002, pertanto non è stato possibile ripetere le indagini ambientali. Le analisi sono state effettuate in gasmassa e spettrofotometria
di assorbimento atomico utilizzando la strumentazione HP5971 e Perkin
Elmer.
Dati sanitari: Il caso riguarda una sospetta malattia professionale per
“steatosi epatica da inalazione di cloruro di vinile monomero”. La diagnosi risulta da un’ecografia epatica eseguita nel 2000. Nel 1999 si è riscontrato un valore della transaminasi SGPT di 78 UI/L (valori normali
fino a 36). Il lavoratore riferiva un’epatopatia D.N.D.D. dal 1996 ed era
stato esposto in modo saltuario a vapori di CVM tra il 1996 e il 2000. Nel
1984 si è avuto n riscontro occasionale di SGPT pari a 28 mU/mL (valori normali fino a 22).
RISULTATI
Campionamenti del CVM: i risultati sono riportati nella tabella I.
L’analisi del ciclo produttivo e delle materie prime utilizzate (fogli e
sigillanti) ha evidenziato la presenza di solventi organici volatili quali
CVM e CVMD. Il primo, come rilevato anche dai campionamenti, viene
prodotto durante la fase di formatura per degradazione termica del polimero PVC, il CVMD è presente come tale nel collante. Si tratta quindi
sia di sostanze generate dal processo produttivo che di materie prime.
DISCUSSIONE
Nella tabella II si possono analizzare le caratteristiche chimico fisiche dei solventi dove risulta evidente che si tratta di sostanze a basso peso molecolare e molto volatili. I dati chimico-fisici possono infatti costituire un elemento fortemente predittivo per valutare la dispersione degli
inquinanti. In particolare tra quelli selezionati, si osserva che valori molto ridotti delle temperature di ebollizione e fusione e del calore di vaporizzazione sono caratteristici di molecole volatili; inoltre un valore di
densità del vapore di circa 2-3 espressa in funzione di quella dell’aria (pari ad 1) è riferibile a sostanze che tendono a stratificarsi verso il basso.
Sia dall’analisi del rischio che dalla natura delle lavorazioni, è dimostrata la dispersione in aria di questi solventi per cui si è resa necessaria
una valutazione del rischio cancerogeno e chimico, ai sensi del titolo VII
e VII bis del D. Lgs. 626/94. Il metodo di lavoro da noi adottato ripercorre tutte le fasi della valutazione del rischio chimico, integrate dai dati
sanitari, partendo dall’analisi del ciclo produttivo, delle fasi a rischio, delTabella I. Campionamenti del CVM
Tabella II. Proprietà chimico-fisiche
264
le tipologie di inquinanti, delle quantità e modalità di esposizione, delle
proprietà chimico-fisiche e tossicologiche delle sostanze in modo da consentire una valutazione corretta del rischio.
Tale processo analitico è uno strumento utile nei casi di malattia professionale la cui origine potrebbe essere correlabile all’esposizione a sostanze chimiche. In questo caso l’indagine non ha permesso la determinazione di un nesso di casualità tra l’esposizione e la steatosi epatica considerata anche l’esiguità del tempo di esposizione, le basse concentrazioni ambientali, il riscontro di alterazioni delle transaminasi preesistenti l’inizio dell’esposizione. Per quanto riguarda la sintomatologia acuta lamentata, questa non appare correlabile all’esposizione a CVM perché essa compare solo per livelli di esposizioni molto elevati (compresi tra gli
8000 e 10000 ppm), mentre i livelli misurati nei campionamenti svolti
dall’azienda risultano molto più contenuti. Tali campionamenti assumono tuttavia un valore meramente indicativo della presenza dell’inquinante e non possono essere utilizzati per il confronto con il TLV in quanto
non soddisfano a tutti i requisiti previsti dalla UNI EN 689. A conferma
delle valutazioni precedenti si osserva che sono state rilevate alterazioni
delle transaminasi del lavoratore, comparse in periodi precedenti rispetto
al suo impiego nell’attività di confezionamento di farmaci. Dal lavoro
svolto, si può concludere che indagini complesse di questo tipo si possono svolgere in maniera esaustiva solo con l’integrazione dei risultati delle valutazioni dei rischi lavorativi con i dati sanitari disponibili.
BIBLIOGRAFIA
1) USEPA; Health Assessment Document: Vinylidene Chloride p.3-3
(1983) EPA-600/8-83-031A.
2) Weast, R.C. (ed.) Handbook of Chemistry and Physics. 69th ed. Boca Raton, FL: CRC Press Inc., 1988-1989, p. D-174.
3) Verschueren, K. Handbook of Environmental Data on Organic Chemicals. Volumes 1-2. 4th ed. John Wiley & Sons. New York, NY.
2001, p. V1 753.
4) Kirk-Othmer Encyclopedia of Chemical Technology. 3rd ed., Volumes 1-26. New York, NY: John Wiley and Sons, 1978-1984., p. 23
(1983) 765.
5) F. D’Orsi, G. Guerriero, E. Pietrantonio. La Valutazione del rischio
chimico, EPC libri, 2006.
COM-03
SISTEMA DI SORVEGLIANZA DELLE INTOSSICAZIONI ACUTE
DA FITOSANITARI: LA CASISTICA RILEVATA NEL 2005
L. Settimi1, F. Davanzo2, A. Travaglia2, C. Locatelli3, I. Cilento4,
C. Volpe4, A. Russo5, G. Miceli6, A. Fracassi7, P. Maiozzi1,
I. Marcello1, F. Sesan2, E. Urbani1
1 Istituto
Superiore di Sanità, Roma
Antiveleni di Milano, A. O. Ospedale Niguarda Cà Grand
3 Servizio di Tossicologia, Centro Antiveleni e Centro Nazionale di
Informazione Tossicologica, IRCCS Fondazione Maugeri, Università
degli Studi di Pavia
4 Centro Antiveleni, Ospedale “A. Cardarelli”, Napoli
5 Centro Antiveleni, Università “Umberto I”, Roma
6 ASL di Ragusa; (7) ASL di Latina-Aprilia
2 Centro
Corrispondenza: L. Settimi, Centro Nazionale di Epidemiologia e
Promozione della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Via Giano della
Bella, 00161, Roma, Italia, Tel. 06 4990 4298, e-mail; [email protected]
RIASSUNTO. Nel 2005, il Sistema Nazionale di Sorveglianza delle Intossicazioni Acute da Fitosanitari (SIAF) ha rilevato 625 casi, di cui
520 con esposizione di tipo accidentale. La maggior parte di questi soggetti sono risultati di genere maschile (75%), di età compresa tra 26 e 65
anni (64%) ed esposti in ambito occupazionale (63%), principalmente di
tipo agricolo. La gravità di queste intossicazioni è risultata lieve per il
94% dei casi, moderata per il 5%. Per quattro casi la gravità è risultata
elevata. Circa il 70% degli incidenti si è verificato tra maggio e settembre. Gli agenti cui è stato associato il numero più elevato di intossicazioni sono stati: glifosate (n. 56), solfato di rame (n. 55), metomil (n. 52) e
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metam-sodio (n. 24). Sono stati rilevati tre episodi di esposizione collettiva a geodisinfestanti che hanno dato luogo a 23 casi di intossicazione.
Parole chiave: antiparassitari, fitosanitari, intossicazioni, sorveglianza.
ITALIAN PROGRAM FOR SURVEILLANCE OF ACUTE PESTICIDE-RELATED
ILLNESSES: CASES IDENTIFIED IN 2005
ABSTRACT. - In 2005, the Italian System for Surveillance of Acute
Pesticide-Related Illnesses (SIAF) identified 625 cases, among which 520
unintentionally exposed. The majority of these subjects were men (75%)
and aged 26-65 years (65%). About 63% of all exposures occurred at
work. Severity for these illnesses was low for 94% and moderate for 5%.
Four cases were classified as illnesses of high severity. Some 70% of all
the reported exposures occurred between May and September. The active
ingredients responsible for the largest number of cases were: glyphosate
(n. 56), copper sulphate (n. 55), methomyl (n.=52), metam-sodium (n.
24). Three episodes of collective environmental exposure to soil
fumigants involving 23 subjects were also detected.
Key words: agricultural pesticides, illnesses, surveillance.
INTRODUZIONE
L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha recentemente avviato un programma nazionale per la sorveglianza delle intossicazioni acute da fitosanitari (SIAF), svolto in riferimento al DL.vo 194/1995 (1) e al primo
Accordo stipulato tra Stato e Regioni per l’attuazione di Piani nazionali
triennali di sorveglianza su eventuali effetti sulla salute umana dei fitosanitari (2). Nel corso del primo anno di attività, il 2004, il SIAFA ha identificato 480 casi di intossicazione di cui 391 di tipo accidentale (3). Le
analisi effettuate hanno evidenziato che la maggior parte di questa casistica è costituita da soggetti di genere maschile (76%), di età superiore ai
15 anni (94%) e con esposizione prevalentemente di tipo occupazionale
(57%). La gravità delle intossicazioni è risultata lieve per l’80% dei casi,
moderata per circa il 20% e per due casi è risultata elevata. Le manifestazioni cliniche sono risultate prevalentemente a carico del sistema gastrointestinale. Le categorie di agenti più frequentemente riportate sono
state insetticidi (53% delle esposizioni), in particolare esteri organofosforici (22% delle esposizioni), e fungicidi (25% delle esposizioni). Le sostanze attive cui è stato riferito il numero più elevato di casi sono state:
metomil (n. 54), glifosate (n. 34), dimetoato (n. 29), solfato di rame (n.
25) e ossicloruro di rame (n. 21). Sono stati rilevati due episodi di esposizione collettiva di origine ambientale, ciascuno dei quali ha coinvolto
otto soggetti. Gli agenti riportati per questi due incidenti sono stati 1,3 dicloropropene e acrinatrina, rispettivamente. Per quanto riguarda il composto acrinatrina, di cui non è risultata disponibile la classificazione europea di pericolosità, gli effetti clinici rilevati hanno evidenziato l’opportunità di un’attenta valutazione delle caratteristiche di tossicità per l’uomo. Inoltre, le dinamiche dei due incidenti hanno posto l’attenzione sulla problematica delle esposizioni causate dalla dispersione degli antiparassitari in aree adiacenti a quelle trattate.
In questo rapporto viene descritta la casistica presa in esame dal programma SIAF nel corso del secondo anno di attività, il 2005.
MATERIALI E METODI
Nel 2005 hanno collaborato al programma SIAF i Centri Antiveleni
(CAV) di Milano, Pavia, Napoli e di Roma, Policlinico Umberto I. Altre
segnalazioni sono pervenute dalla ASL di Ragusa, che ha sistematicamente inviato i dati della casistica identificata tramite il sistema di sorveglianza attivo nell’area di sua competenza, e dalle ASL di Aprilia-Latina,
Catania, Siracusa, Trapani, Lecce ed Avellino. Per la rilevazione, classificazione ed analisi dei dati di interesse sono state adottate le stesse procedure utilizzate nel 2004 e precedentemente descritte (3). I dati sono stati analizzati utilizzando il software statistico STATA.
RISULTATI
Nel corso del 2005 il SIAF ha ricevuto 1.273 segnalazioni. Di queste, il 92% (n. 1185) è provenuto dai CAV, il 5% (n. 68) dalle ASL ed il
2% (n. 27) da più di una fonte informativa. Seicentoventicinque segnalazioni (49%) sono state classificate come intossicazioni e 520 sono risultate di tipo accidentale.
Circa il 70% delle intossicazione accidentali si sono verificate nel periodo compreso tra maggio e settembre, con un picco di casi nel mese di
maggio (n. 99). La maggior parte dei pazienti è risultata esposta per via
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inalatoria (50%, n. 264), mentre la via di
esposizione cutanea e l’ingestione sono
state riportate, rispettivamente, per il
24% (n.=123) ed il 20% (n.=106) dei casi. La gravità delle manifestazioni cliniche è stata considerata lieve per il 94%
(n. 489), moderata per il 5% (n. 27) ed
elevata per circa l’1% (n. 4).
I sintomi ed i segni più frequentemente rilevati sono stati a carico del sistema gastrointestinale ed hanno incluso
vomito (n. 135), nausea (n. 125), dolori
addominali (n. 59) e diarrea (n. 50). Altre manifestazioni frequentemente riportate sono state vertigini (n. 46) e cefalea
(n. 28), astenia (n. 32), irritazione soggettiva delle vie respiratorie (n. 34), dispnea (n. 32) e tosse (n. 25), irritazione
soggettiva del cavo orale (n. 28), scialorrea (n. 23) e faringodinia (n. 15), irritazione soggettiva a livello oculare (n. 39)
con iperemia (n. 32), iperemia cutanea
(n. 30) e sudorazione (n. 24).
La maggior parte dei casi esaminati
è risultata di genere maschile (75%, n.
390) e con età superiore ai 15 anni (93%,
n. 483). I casi di età compresa tra <1 e 4
anni sono stati 25 (5%).
Come mostrato in Tabella I, tra i
soggetti di genere maschile, l’ambito di
esposizione è risultato prevalentemente
di tipo occupazionale (69% dei casi, n.
268), mentre tra i soggetti di genere femminile è stata rilevata una eguale frequenza di esposizioni occupazionali e
domestiche. Tra gli esposti nel corso di
attività lavorative, circa il 63% (n. 250)
sono risultati agricoltori. Per 10 persone
è stata specificata un’attività di tipo non
agricolo al momento dell’esposizione. In
particolare, sono stati rilevati cinque casi esposti durante attività di primo soccorso, comprendenti tre dipendenti delle
forze dell’ordine, un vigile del fuoco ed
un medico.
Per quanto riguarda le esposizioni
verificatesi in ambito domestico (n.
136), il dettaglio sulle modalità dell’incidente è risultato disponibile per circa il
40% dei casi (n. 46). Tra questi, 34 soggetti hanno ingerito per errore fitosanitari travasati da contenitore originale,
mentre 20 soggetti, di cui 14 con età inferiore ai 5 anni, sono risultati esposti
per incapacità di intendere. Per 43 casi è
stata riportata una esposizione non occupazionale di origine ambientale. Di questi, 20 soggetti sono risultati esposti a
geodisinfestanti, applicati su terreni destinati a serra e ubicati in prossimità di
abitazioni. Gli episodi che hanno provocato queste esposizioni sono stati tre ed
hanno coinvolto, rispettivamente, 13,
quattro e tre casi. Per gli altri 23 casi di
origine ambientale non occupazionale
sono state riportate esposizioni a vari tipi di agenti applicati su campi o giardini
contigui alla loro abitazione o ad aree in
cui si trovavano a transitare.
Circa il 32% dei casi di intossicazione accidentale è stato esposto a due o più
principi attivi per un totale di 686 espo-
265
Tabella I. Ambito di esposizione e genere dei casi di intossicazione accidentale da fitosanitari
identificati dal programma SIAF nel 2005
Tabella II. Principi attivi più frequentemente associati alle intossicazioni accidentali da fitosanitari
identificate dal programma SIAF nel 2005
266
sizioni rilevate. La categoria di agenti più frequentemente riportata è stata quella degli insetticidi e acaricidi (circa il 45% delle esposizioni), cui
fa seguito la categoria dei fungicidi (24% delle esposizioni) e degli erbicidi (19% delle esposizioni).
I composti cui è stato associato il numero più elevato di casi sono stati: glifosate (n. 56), solfato di rame (n. 55), metomil (n. 52) e metam-sodio (n. 24) (Tabella II).
Per quanto riguarda le intossicazioni da glifosate, tutti i casi sono risultati di gravità lieve ed i segni e sintomi più frequentemente riportati
hanno compreso diarrea (n. 8), nausea (n. 7), dolori addominali (n. 6), pirosi gastrica (n. 5), iperemia cutanea (n. 7), faringodinia (n. 5) e irritazione soggettiva delle vie respiratorie (n. 5).
Le intossicazioni da solfato di rame hanno compreso un caso di gravità elevata, caratterizzato da insufficienza renale acuta, con oliguria associata a vomito e diarrea, verificatosi a seguito di esposizione per via
inalatoria in ambito domestico. Tutti gli altri casi esposti a questo agente
hanno riportato manifestazioni di lieve gravità, comprendenti vomito (n.
23), iperemia oculare (n. 6), faringodinia (n. 4) e dispnea (n. 4). Tra gli
esposti a metomil, sono stati rilevati un caso di intossicazione di gravità
elevata, caratterizzato da coma e verificatosi a seguito di inalazione in
ambito agricolo, e due casi di intossicazione di gravità moderata, anch’essi verificatisi a seguito di inalazione nel corso di attività agricole e
caratterizzati, da ipertensione, astenia e sudorazione, in un caso; nausea,
vertigini, miosi e bradicardia nell’altro. Gli effetti di gravità lieve più frequentemente rilevati tra gli esposti a metomil hanno incluso: vomito
(n.=24) e diarrea (n. 6), vertigini (n. 13), sudorazione (n. 12), astenia (n.
8) e scialorrea (n. 6). In riferimento al metam-sodio, sono stati rilevati due
episodi di intossicazione collettiva di origine ambientale verificatisi a seguito della disinfestazione di terreni destinati a coltivazioni in serra ubicati in prossimità di abitazioni. Ambedue gli episodi sono stati segnalati
dalla ASL di Aprilia-Latina. Nel primo caso sono state coinvolte 13 persone, inclusi tre bambini di età pari o inferiore a un anno. I segni e sintomi riportati da questi pazienti sono stati nausea (n. 11), irritazione oculare (n. 9), lacrimazione (n. 4), secchezza delle fauci (n. 2), irritazione delle vie respiratorie (n. 2), diarrea (n. 1), cefalea (n. 1), vertigini (n. 1). Le
indagini effettuate dalla ASL competente non hanno evidenziato modalità
di applicazione difformi da quanto indicato in etichetta. Il secondo episodio ha coinvolto sei persone, tre delle quali residenti in un agriturismo e
tre appartenenti alle forze dell’ordine impegnate nei primi soccorsi. In
questo episodio il metam-sodio è risultato applicato a dosi superiori a
quanto indicato in etichetta e in associazione a 1,3 dicloropropene. I soggetti esposti hanno lamentato bruciore del cavo orale (n. 6), iperemia congiuntivale (n. 4), vomito (n. 3), irritazione oculare (n. 2), tachicardia (n.
1), cefalea (n. 1), dolori addominali (n. 1). Un altro episodio di intossicazione collettiva da contaminazione ambientale, rilevato sempre dalla ASL
di Aprilia-Latina, ha coinvolto un prodotto geodisinfestante a base di metam-potassio. I sintomi riportati dalle quattro persone coinvolte hanno
compreso nausea, mal di testa, irritazione oculare, secchezza delle fauci,
irritazione del cavo orale. Per quanto riguarda la modalità di uso, è stata
ipotizzata una non adeguata irrigazione del terreno che, in combinazione
con una elevata temperatura ambientale (superiore ai 25°C), può avere favorito la dispersione ambientale dell’agente.
DISCUSSIONE
Le caratteristiche di tossicità degli agenti fitosanitari e la loro ampia
diffusione richiedono attente verifiche sulla sicurezza dei prodotti in
commercio e su eventuali effetti sulla salute umana che da questi possono derivare. Un contributo di particolare rilevanza per queste attività può
derivare dalla sorveglianza delle intossicazioni acute. Infatti, la disamina
di questo evento permette di segnalare tempestivamente condizioni di pericolosità originate sia da errate modalità di impiego che da caratteristiche tossicologiche non adeguatamente evidenziate dai dati sperimentali
disponibili (4).
Le osservazioni effettuate nel 2005 dal programma SIAF confermano
sostanzialmente quanto precedentemente descritto (3). In particolare, viene nuovamente evidenziata la pericolosità dei prodotti a base di metomil,
composto classificato come molto tossico (T+) e recentemente sottoposto
a revoca da parte della Commissione delle Comunità Europee (5). Altro
agente che ha evidenziato una elevata pericolosità per gli operatori è stato
l’idrogeno cianammide, per cui sono stati riportati sette casi di gravità moderata su un totale di 17 intossicazioni rilevate. Tale osservazione, indica
che nel 2005 le misure di prevenzione adottate a seguito di precedenti se-
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gnalazioni (6), comprendenti la riclassificazione del prodotto da nocivo
(Xn) a tossico (T) e alcune modifiche alle indicazioni presenti in etichetta, non hanno ancora ottenuto il risultato auspicato. Le osservazioni effettuate in riferimento agli incidenti domestici ribadiscono l’importanza di
iniziative didattiche che, nell’ambito dei corsi per la formazione degli utilizzatori di antiparassitari, dedichino una particolare attenzione ad illustrare il rischio da contaminazione cui possono essere esposti non solamente
gli stessi agricoltori ma anche i loro familiari, qualora non vengano rispettate le misure di sicurezza per una corretta conservazione dei prodotti. Gli episodi di esposizione collettiva a geodisinfestanti con 23 soggetti
coinvolti evidenziano l’opportunità di un’attenta disamina delle modalità
di applicazione attualmente previste per questi prodotti.
BIBLIOGRAFIA
1) Italia. Decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194. Gazzetta UfficialeSupplemento ordinario n. 122, 27 maggio 1995.
2) Italia. Accordo tra Stato Regioni e Province Autonome del 8 marzo
2003. Gazzetta Ufficiale del 27 maggio 2003.
3) Settimi L, Davanzo F, Marcello I, Locatelli C, Russo A, Cilento I,
Farina ML, Maiozzi P, Sesana F, Crobe A, Miceli G, Faraoni L. Intossicazioni acute da fitosanitari rilevate in Italia nel 2004. Rapporti
ISTISAN 2006; 52: 3-15.
4) CDC-NIOSH Pesticide illness & Surveillance http://www.cdc.gov/
niosh/topics/pesticides; ultima consultazione 30/10/2007.
5) Comunità Europea. Decisione della Commisione del 19 settembre
2007. Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L. 255/40, 29 settembre 2007.
6) Settimi L., Marcello I, Davanzo F, Faraoni L, Miceli G, Richmond
D, Calvert GM. Update: hydrogen cyanamide-related illnessessItaly, 2002-2004. CDC MMWR (Morbidity and Mortality Weekly
Report) April 29, 2005; 54: 405-408.
COM-04
ESPOSIZIONE PROFESSIONALE A FORMALDEIDE IN SALA
SETTORIA DI MEDICINA LEGALE E IN LABORATORI DI
ANATOMIA PATOLOGICA
L. Vimercati1, A. Carrus1, A. Dell’Erba2, G. Assennato3
1
Sezione di Medicina del Lavoro “B. Ramazzini”, Dipartimento di
Medicina Interna e Medicina Pubblica, Università degli Studi di Bari
2 Sezione di Medicina Legale, Dipartimento di Medicina Interna e
Medicina Pubblica, Università degli Studi di Bari
3 Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale - ARPA Puglia Direzione Generale
Corrispondenza: Antonio Carrus, Dipartimento di Medicina Interna e
Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro “B. Ramazzini”, Facoltà di
Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Bari, Policlinico, Piazza
G. Cesare 11, 70124 Bari, Tel. 080 5478216, Fax 080 5478370, e-mail:
[email protected]
RIASSUNTO. Lo scopo del presente studio è stata la caratterizzazione e la valutazione dell’esposizione personale a formaldeide aerodispersa in lavoratori che operano in una sala settoria di Medicina Legale e
in un gruppo di laboratori di Anatomia Patologica.
A tale scopo sono stati effettuate misure di formaldeide mediante
campionatori passivi Radiello® e successiva analisi in Cromatografia Liquida al Alte Prestazioni (HPLC).
I livelli di esposizione misurati in questo studio, benché inferiori a
quelli riportati da altri Autori, in relazione a realtà lavorative analoghe,
sono risultati superiori al valore limite di soglia NIOSH-TWA e in alcuni
casi è stato osservato il superamento anche del valore Ceiling proposto
dall’ACGIH e pari a 0,37 mg/m3.
Parole chiave: formaldeide, esposizione professionale, sala settoria,
anatomia patologica.
OCCUPATIONAL
EXPOSURE TO FORMALDEHYDE IN AUTOPSY ROOM AND IN
PATHOLOGIC ANATOMY LABORATORIES
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ABSTRACT. The aim of the present study is to evaluate the personal
exposure to formaldehyde in an autopsy room and in three pathological
anatomy laboratories. Passive sampling for the whole workshift and
HPLC analysis were performed.
The final result showed a remarkable exposure of the workers
enrolled. All the data obtained exceeded the NIOSH-TWA and several
cases personal of exposure levels above the ACGIH-Ceiling value (0,37
mg/m3) were observed in the anatomy laboratory.
Key words: formaldehyde, professional exposure, autopsy room,
pathologic anatomy.
INTRODUZIONE
La formaldeide (FA) è un inquinante chimico classificato dalla International Agency for Research on Cancer (IARC) come agente di Gruppo
1, cancerogeno per l’uomo (1). Nei laboratori di Anatomia Patologica la
FA viene manipolata come “formalina” che è una soluzione acquosa di aldeide formica (25-50%) cui viene aggiunto metanolo (2,5 - 10%) come
stabilizzante per prevenirne la polimerizzazione. In tale forma, la FA viene correntemente utilizzata, come conservante dei reperti anatomici ed
antiputrefattivo, durante le sessioni autoptiche in sala settoria.
Oltre che effetti di tipo cancerogeno, l’utilizzo di tale sostanza può
comportare sintomi irritativi a carico delle congiuntive oculari e delle prime vie aeree.
Scopo del presente studio è stato la misura dei livelli di esposizione
professionale a formaldeide in docenti di Medicina Legale e specialisti in
formazione che svolgono l’attività autoptica in una sala settoria dell’Unità Operativa di Medicina Legale dell’Ospedale Consorziale Policlinico
di Bari. È stata monitorata anche l’esposizione professionale di tecnici e
specialisti in formazione della Unità Operativa II di Anatomia Patologica
del medesimo nosocomio.
MATERIALI E METODI
Sono stati reclutati 4 medici legali e 6 specialisti in formazione di
Medicina Legale e delle Assicurazioni e 2 tecnici di laboratorio e 4 medici specialisti in formazione di Anatomia Patologica. Sono stati eseguiti
campionamenti simultanei di tipo personale ed ambientale per la determinazione dei livelli di esposizione professionale a formaldeide aerodispersa durante le sedute autoptiche e i turni di attività nel blocco dei laboratori di Anatomia Patologica, costituito da tre stanze identificate come
Laboratorio 1, 2 e 3.
I prelievi d’aria sono stati effettuati mediante campionatori passivi
“Radiello”. Le determinazioni analitiche sono state eseguite mediante
Cromatografia Liquida ad Alte Prestazioni (HPLC Perkin-Elmer Serie
Tabella I. Statistica descrittiva dei livelli di formaldeide
aerodispersa (mg/m3) rilevati nella Sala Settoria
di Medicina Legale
267
200) utilizzando una colonna cromatografica Supelcosil LC-18, 25 cm x
4.6 mm, 5 mm della Supelco e rivelazione UV (λ= 360 nm).
RISULTATI
Nelle seguenti tabelle sono riportati i livelli di FA misurati nel corso
dello studio. In particolare, la Tabella I si riferisce ai dati relativi all’attività in Sala Settoria, mentre nelle tabelle II e III si riportano i dati misurati in Anatomia Patologica.
DISCUSSIONE
I livelli di esposizione personale dei periti settori riscontrati nel presente studio risultano inferiori a quelli evidenziati da altri Autori (2, 3).
Tale differenza potrebbe essere messa in relazione alle diverse tecniche di
preparazione del cadavere e/o a differenti caratteristiche di ventilazione
delle sale settorie, come suggerito da Kurose et al. (2).
Anche per quanto riguarda i laboratori di anatomia patologica sono
stati riscontrati valori di esposizione inferiori a quelli riportati in letteratura (4, 5). Nei tre laboratori oggetto della presente indagine vengono effettuate le diverse fasi delle analisi istopatologiche. In particolare nel Laboratorio 1, caratterizzato dai livelli di formaldeide aerodispersa più elevati, vengono correntemente effettuate le operazioni di prelievo dei pezzi anatomici immersi in formalina, lavaggio e preparazione degli stessi
per l’introduzione nel processatore.
A livello comunitario e nazionale non sono stati definiti valori limite di esposizione per la formaldeide. Sono stati, viceversa, raccomandati
valori limite di soglia da parte di autorevoli istituzioni scientifiche internazionali quali l’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH) ed il National Institute for Occupational Safety and
Health (NIOSH).
Per quanto riguarda gli operatori di Anatomia Patologica, i livelli di
esposizione misurati in questa indagine sono risultati superiori al valore
limite di esposizione media ponderata nel tempo (Time Weighted Average, TWA) proposto dal NIOSH, pari a 0,02 mg/m3 (6). In circa il 90% delle determinazioni effettuate sui medici specialisti in formazione si è registrato il superamento del valore massimo (Ceiling) raccomandato dal
NIOSH di 0,12 mg/m3, mentre quasi nel 20% dei casi si è registrato il superamento del valore Ceiling proposto dall’ACGIH (0,37 mg/m3) (7).
I livelli di esposizione misurati in questo studio, riferiti alla Medicina Legale, risultano superiori al valore limite TWA proposto dal NIOSH.
I valori massimi riscontrati superano il livello Ceiling raccomandato dal
NIOSH e sono prossimi al valore Ceiling proposto dall’ACGIH.
Nella Figura 1 si riporta il confronto grafico tra i dati misurati ed i livelli di soglia sopra riportati.
CONCLUSIONI
I risultati da noi ottenuti evidenziano, per i lavoratori esaminati, una
significativa esposizione professionale a FA aerodipersa, superiore ai valori limite raccomandati dai più autorevoli istituti scientifici internazionali. Trattandosi di un riconosciuto agente cancerogeno per l’uomo, è necessario mettere in atto ogni possibile misura di tutela della salute dei la-
Tabella II. Statistica descrittiva dei livelli di formaldeide
aerodispersa (mg/m3) rilevati nei laboratori di Anatomia
Patologica
Tabella III. Statistica descrittiva dei livelli di esposizione personale
a formaldeide aerodispersa (mg/m3) rilevati nei Laboratori
di Anatomia Patologica
Figura 1. Confronto tra i valori misurati e i livelli di soglia considerati
268
voratori prevista dalla vigente normativa in materia di igiene del lavoro,
attribuendo priorità agli interventi di informazione, formazione ed addestramento del personale sui rischi e le corrette procedure di manipolazione della FA. Particolare cura, inoltre deve essere rivolta alle condizioni di
aerazione dei locali utilizzando sistemi efficienti di ventilazione forzata e
di captazione localizzata.
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COM-05
MONITORAGGIO BIOLOGICO DELL’ESPOSIZIONE
PROFESSIONALE AD AS INORGANICO IN LAVORATORI
DI UN IMPIANTO INDUSTRIALE DISMESSO NELL’AREA
DI MANFREDONIA
L. Vimercati1, A. Carrus1, T. Gagliardi1, G. Sciannamblo1, F. Caputo1,
V. Minunni1, M.R. Bellotta1, G. de Nichilo1, L. Bisceglia3, V. Corrado1,
P. De Pasquale2, G. Assennato3
1 Sezione di Medicina del Lavoro “B. Ramazzini” - Dipartimento di
Medicina Interna e Medicina Pubblica - Università degli Studi di Bari
2 Servizio del Medico Competente - Manfredonia
3 Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale - ARPA
Puglia - Direzione Generale
Corrispondenza: Dott. Luigi Vimercati, Dipartimento di Medicina
Interna e Medicina Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro B.
Ramazzini, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di
Bari, Policlinico, Piazza G. Cesare 11, 70124 Bari, Tel. 080 5478 256, fax
080 5478 370, e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. Nell’ambito del programma di sorveglianza sanitaria
di lavoratori potenzialmente esposti ad arsenico aerodisperso, nel luglio
2006 è stato richiesto alla Sezione di Medicina del Lavoro “B. Ramazzini” dell’Università di Bari di determinare, in 108 campioni urinari estemporanei, i livelli di Arsenico inorganico e suoi metaboliti metilati. Poiché
il 15% dei campioni ha presentato livelli superiori all’Indice Biologico di
Esposizione (IBE) dell’ACGIH, è stata richiesta una consulenza scientifica sul rischio arsenico. Dopo aver raccomandato una maggiore attenzione al corretto utilizzo dei DPI e una più attenta strategia di prevenzione della dispersione di polveri, nel periodo agosto-ottobre 2006, sono stati raccolti 108 campioni urinari e acquisite informazioni sulle variabili
che possono influenzare i livelli del biomarcatore, tramite somministrazione di questionari. Il valore medio di arsenico urinario è risultato a
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quello precedentemente osservato; nel 5% dei 108 campioni si è riscontrato il superamento dell’IBE. Una differenza statisticamente significativa è emersa, stratificando il campione per classi d’età ed in relazione all’assunzione di pesce, crostacei e molluschi. In conclusione, si è osservata una riduzione statisticamente significativa dei valori medi di escrezione urinaria di arsenico nelle due fasi di monitoraggio biologico, verosimilmente attribuibile ad una più corretta pratica di igiene del lavoro.
Parole chiave: arsenico, monitoraggio biologico, biomarcatore, valutazione del rischio.
BIOLOGICAL MONITORING IN WORKERS EXPOSED TO INORGANIC ARSENIC IN
MANFREDONIA
ABSTRACT. Inorganic arsenic and its methylated metabolities were
measured in 108 spot urine samples obtained from the medical
surveillance programme of workers exposed to inorganic Arsenic in July
2006. 15% of the samples showed levels higher than limit value of 35
µg/L (mean value 23,9 µg/L). After the improvement of the working
conditions, in August-October 2006, we collected a urinary sample from
each of the 108 workers enrolled. A questionnaire was also
administrated, in order to investigate the influence of occupational and
non occupational factors on the urinary arsenic excretion. The median
value of urinary arsenic was 15,12 µg/L; among the 108 samples, 5%
showed levels higher than limit value. A significant difference was
observed in relation with sea-food consumption and aging stratification.
In conclusion, we have described a significant reduction of urinary
arsenic excretion between the two phases of biological monitoring, likely
due to a proper hygienic work-related intervention.
Key words: arsenic, biomarker, biomonitoring, risk assessment.
A DISUSED INDUSTRIAL PLANT IN THE AREA OF
INTRODUZIONE
L’Arsenico è un metallo ubiquitario, cancerogeno per l’uomo, classificato dalla IARC nel gruppo 1. Le concentrazioni di Arsenico aerodisperso sono variabili, presentando valori più bassi nelle zone rurali
(0,007-28 ng/m3) e più alti nelle aree urbane (3-200 ng/m3) (1). La dieta
rappresenta la principale fonte di esposizione non professionale ad Arsenico: si stima che l’assunzione giornaliera media di Arsenico negli Stati
Uniti varia tra 2 e 92 µg/die (2, 3, 4). In particolar modo, l’Arsenico organico, sotto forma di arsenobetaina, è presente nei prodotti ittici (5). Altre importanti fonti di esposizione non occupazionale sono rappresentate
dal consumo di acqua potabile e dall’abitudine al fumo di sigaretta. L’esposizione occupazionale ed ambientale all’arsenico inorganico può derivare dall’inalazione di polveri nei pressi di fonderie di metalli non ferrosi, dai prodotti di combustione residenziale e industriale di carbone, dall’utilizzo di pesticidi, o dal contatto cutaneo con terreno contaminato da
arsenico (2, 6). L’esposizione cronica al metallo può provocare effetti tossici a carico della cute, delle mucose congiuntivali e nasali, dell’apparato cardiocircolatorio, nonché interferenze a livello del metabolismo glucidico e dell’apparato emolinfopoietico (7, 8, 9).
Lo studio da noi condotto rientra nell’ambito del programma di sorveglianza sanitaria di lavoratori potenzialmente esposti ad arsenico aerodisperso, impiegati nelle attività di smontaggio, demolizione e bonifica di
un impianto industriale dismesso situato nell’ex sito Enichem di Macchia
Monte Sant’Angelo (FG). Questo sito è noto per l’incidente occorso nel
settembre 1976 quando, in seguito alla rottura della colonna di lavaggio
dei gas di sintesi dell’ammoniaca, si verificò la fuoriuscita di una miscela a base di carbonato di potassio, arsenito e arseniato di potassio.
MATERIALI E METODI
Nel luglio 2006 è stato richiesto, alla sezione di Medicina del Lavoro” B. Ramazzini “del Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica dell’Università degli Studi di Bari di determinare i valori di As inorganico e i suoi metaboliti metilati su 108 campioni urinari estemporanei.
Il valore medio di escrezione urinaria registrato nel gruppo in esame è
stato di 23,9 µg/L (range 4,2-140 µg/L). Poiché circa il 15% dei campioni ha presentato livelli superiori al valore limite dell’IBE raccomandato
dall’ACGIH (10), pari a 35 µg/L, è stata richiesta una consulenza scientifica sul rischio arsenico. Si è preliminarmente raccomandata una maggiore attenzione al corretto utilizzo dei DPI, nonché una più attenta strategia di prevenzione della dispersione di polveri, attraverso frequenti bagnature del terreno. Nel periodo agosto-ottobre 2006 si è avviata quindi
una nuova campagna di monitoraggio biologico sui 108 lavoratori, precedentemente esaminati, al fine di valutare l’influenza dei fattori occupa-
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zionali e non occupazionali sull’escrezione urinaria di arsenico inorganico e dei suoi metaboliti metilati. A tutti i soggetti in studio, previo consenso informato, un medico specialista in Medicina del Lavoro ha somministrato un questionario per ottenere informazioni su abitudine al tabagismo, storia residenziale, dieta ed eventuali patologie ed assunzione di
farmaci. Le analisi dei campioni urinari sono state effettuate mediante
spettrofotometria ad assorbimento atomico. Per l’analisi statistica è stato
utilizzato il software Stata vs. 9.2 (StataCorporation).
RISULTATI E DISCUSSIONE
Nel periodo considerato sono stati sottoposti a sorveglianza sanitaria
108 lavoratori di cui 19 manovali, 5 caposquadra, 1 carpentiere, 17 gruisti, 9 impiegati, 3 manutentori meccanici, 4 marcatori e 50 tubisti. Il valore medio di arsenico urinario, relativo al periodo agosto-ottobre è risultato pari a 15,12 µg/L nei campioni relativi al periodo agosto-settembre
2006; stratificando per mansione, i valori mediani più alti si sono riscontrati tra i caposquadra (15,2 µg/L). Le differenze dei valori di arsenico
urinario nelle diverse mansioni non sono risultate statisticamente significative (Fig. 1).
In 5 lavoratori si è registrato il superamento dell’IBE, in particolare
3 tubisti, 1 gruista ed 1 marcatore, con i valori più elevati nel caso dei tubisti. La differenza nell’escrezione urinaria di arsenico non è risultata statisticamente significativa tra fumatori e non fumatori, tra esposti o meno
a fumo passivo, e tra le diverse mansioni. Distribuendo il campione in
esame in tre diverse classi di età si è evidenziata una maggiore escrezione di arsenico urinario nei soggetti con età superiore a 49 anni con differenza statisticamente significativa (p=0,02).
In relazione alle abitudini alimentari dei soggetti in studio si è evidenziata un’associazione positiva statisticamente significativa tra assunzione di pesce, crostacei e molluschi nelle 48-72 ore precedenti al campionamento ed escrezione di arsenico urinario. Nessuna relazione è stata
osservata tra i livelli di arsenico urinario e la zona di residenza, il livello
di istruzione, l’assunzione di verdura o alcolici. In conclusione, tra le due
fasi del monitoraggio biologico si è riscontrata una significativa riduzione dei livelli di escrezione urinaria di As. Tale riscontro è verosimilmente attribuibile ad una più corretta pratica di igiene del lavoro.
In accordo con i dati di letteratura, l’assunzione di pesce, crostacei e
molluschi nelle 48-72 ore precedenti il campionamento è in grado di influenzare i livelli del biomarcatore indagato.
269
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COM-06
ESPOSIZIONE INALATORIA A PERSOLFATO D’AMMONIO:
EFFETTO SULLE COMPONENTI DEL SISTEMA NANC INIBITORIO
DELLA TRACHEA DI CAVIA
A. Dellabianca1, S. Tonini1 M. Faniglione2, E. De Amici1,
S. De Angelis2, B. Balestra2, S.M. Candura1
1
Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Medicina Preventiva,
Occupazionale e di Comunità
2 Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Scienze FisiologicheFarmacologiche
Corrispondenza: Dr. Antonio Dellabianca, c/o Dipartimento di Scienze
Fisiologiche-Farmacologiche, Cellulari, Molecolari, Università degli
Studi di Pavia, Piazza Botta 11, 27100 Pavia, Italy, Tel. 0382 986364, Fax
0382 986385, e-mail: [email protected]
Figura 1. Distribuzione dei livelli di As urinario (µg/L) rispetto alle
mansioni
RIASSUNTO. Allo scopo di valutare l’effetto dell’inalazione di persolfato d’ammonio (AP) sui neurotrasmettitori del sistema NANC inibitorio (NANC-i) della trachea di cavia, otto cavie sono state esposte a AP
(1 mg/m3) per 30 minuti al giorno per tre settimane. Un gruppo di controllo veniva trattato con soluzione fisiologica. Dopo l’ultima esposizione, la trachea, isolata in toto, e montata in un bagno per organi isolati, veniva stimolata elettricamente in presenza di ioscina, piperossano e propranololo. Le risposte NANC-i erano misurate come diminuzioni della
pressione intraluminale ed espresse come area sotto la curva (AUC), in
Pa • s. Le trachee isolate sono state quindi trattate con: alfa-chimotripsina, L-NAME, zinco-protoporfirina IX (ZnPP IX), e ODQ, sostanze atte a
inibire la produzione o l’azione dei singoli neurotrasmettitori, come mediatori peptidici, monossido d’azoto (NO), monossido di carbonio (CO).
Nella trachea di cavie esposte a AP, la AUC era inferiore al 50% di quella dei controlli (P<0,01). NO e CO erano responsabili della quasi totalità
della risposta NANC-i, in proporzioni simili nei controlli e negli animali
esposti a AP. In conclusione, e l’esposizione a persolfato d’ammonio riduce l’efficienza del controllo nervoso NANC-i delle vie aeree di cavia,
senza modificare le quote della risposta dovute ai singoli neurotrasmettitori.
Parole chiave: persolfato d’ammonio, sistema NANC inibitorio, vie
aeree.
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EXPOSURE TO AMMONIOM PERSULPHATE BY INHALATION: EFFECT ON THE
NANC INHIBITORY NEUROTRANSMITTERS IN THE GUINEA PIG TRACHEA
ABSTRACT. To evaluate the effect of ammonium persulphate (AP)
inhalation on NANC inhibitory (i-NANC) neurotransmitters of guinea pig
airways, we exposed eight guinea pigs to AP (1 mg/m3), by aerosol
inhalation for 30 minutes daily for three weeks. Control animals inhaled
saline aerosol. After the last exposure, the isolated trachea was mounted
in an organ bath and electrically stimulated in the presence of hyoscine,
piperoxane and propranolol. The i-NANC responses were evaluated as
decreases in intraluminal pressure and expressed as area under the curve
270
(AUC, Pa · seconds). The isolated tracheae were treated with achymotrypsin, L-NAME, zinc protoporphyrin IX and ODQ, that inhibit
the production or action of the single neurotransmitters, like peptides,
NO and CO. In the exposed individuals, the NANC relaxations were
below 50%, as compared to controls (P < 0.01). NO and CO were the
neurotransmitters responsible for all the i-NANC responses, in similar
proportions either in exposed individuals or in controls. In conclusion,
ammonium persulphate exposure impairs the i-NANC control of airway
tone without specifically affecting any neurotransmitter.
Key words: ammonium persulphate, NANC inhibitory system,
airways.
INTRODUZIONE
Nell’ultimo decennio diversi agenti eziologici di asma professionale,
in precedenza poco frequenti, hanno assunto una notevole rilevanza epidemiologica. Tra questi agenti sono spiccano i per solfati, composti dotati di azione irritante ad elevate concentrazioni e di azione sensibilizzante
anche a concentrazioni più basse, nel caso di esposizione cronica. La popolazione esposta professionalmente a persolfati è costituita essenzialmente da parrucchieri, che impiegano prodotti contenenti soprattutto persolfato d’ammonio per la decolorazione dei capelli (1).
I persolfati sono considerati la maggior causa di sintomi respiratori
per questa categoria di lavoratori, ma non è chiarito il meccanismo di induzione dell’asma (2).
Oltre ai meccanismi immunomediati (umorali o cellulari) è stato prospettato che l’effetto conseguente all’esposizione a persolfato d’ammonio
passi anche attraverso modificazioni del tono muscolare e sulla produzione di mediatori che rilasciano la muscolatura liscia delle vie aeree, in
particolare monossido d’azoto (NO).
In uno studio funzionale in vitro volto a saggiare tale ipotesi, è stata
rilevata un’azione rilasciante del persolfato d’ammonio sulla muscolatura
tracheale di cavia, che sembrerebbe mediata dal NO. Tuttavia il medesimo
studio suggerisce che l’esposizione continuativa a persolfati, danneggiando l’epitelio, possa ridurre la produzione di NO e quindi rendere meno efficiente il controllo inibitorio sulla muscolatura liscia (3). Da quanto detto
appare evidente che i meccanismi patogenetici dell’asma da persolfati restano sostanzialmente sconosciuti e richiedono ulteriori studi.
Alcuni studi sperimentali hanno fornito una certa evidenza a supporto dell’ipotesi che la disfunzione dell’innervazione autonoma, nelle sue
componenti eccitatoria (4-9) e inibitoria (10-12) possa contribuire alla patogenesi dell’asma bronchiale. Uno studio realizzato dal nostro gruppo ha
dimostrato che l’esposizione a persolfato d’ammonio riduce le risposte
non adrenergiche, non colinergiche (NANC) inibitorie nella trachea di cavia (13), mentre un altro studio ha caratterizzato farmacologicamente i
neurotrasmettitori implicati in tali risposte (14).
Il presente studio ha avuto come scopo quello di valutare l’effetto
dell’esposizione per via inalatoria a persolfato d’ammonio sulle singole
componenti neurotrasmettitoriali del rilasciamento nervo-mediato NANC
inibitorio (NANC-i) nella trachea di cavia
MATERIALI E METODI
Un gruppo di otto cavie maschio è stato esposto quotidianamente all’inalazione di un aerosol ad elevata concentrazione (1 mg/m3) di persolfato d’ammonio per 30 minuti al giorno per tre settimane, con l’esclusione dei giorni di sabato e domenica. Un flusso continuo di aria veicolava
l’aerosol, prodotto da un nebulizzatore ultrasonico DeVilbiss Ultraneb
2000, in una camera in plexiglas, dove veniva posto l’animale Un gruppo di animali di controllo veniva trattato con soluzione fisiologica. Dodici ore dopo l’ultima esposizione, gli animali venivano sacrificati. La trachea, isolata in toto, veniva privata dell’epitelio (15), al fine di escludere
influenze di mediatori di origine epiteliale (NO, ATP, prostaglandine),
montata in un bagno per organi isolati, contenente soluzione Tyrode, termostatato e ossigenato, e stimolata con treni di impulsi (frequenza 3 e 10
Hz, durata 0,5 ms, 60 V, per 5 s) ad intervalli di 10 minuti. in presenza di
ioscina, piperossano e propranololo (tutti alla concentrazione di 10-6 M),
in modo da bloccare le contrazioni neurogene colinergiche e l’eventuale
influenza della noradrenalina rilasciata dalle terminazioni simpatiche sui
recettori α- e β-adrenergici. Le risposte NANC-i erano misurate come diminuzioni della pressione intraluminale, per mezzo di un trasduttore di
pressione collegato a un’estremità della trachea. Esse si sono presentate
come una risposta iniziale veloce (risposta di picco), seguita da un lento
recupero fino al ripristino del tono basale. La risposta di picco è stata va-
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www.gimle.fsm.it
lutata come decremento della pressione endotracheale (Pascal: Pa) rispetto al valore basale. Per quantizzare la risposta inibitoria nella sua globalità (sia il picco che la fase tardiva lenta), è stata calcolata l’area sotto
la curva (area under the curve, AUC) come integrale rispetto alla linea di
base (Pa • s). In entrambi i gruppi di esperimenti le trachee isolate sono
state quindi trattate con le seguenti sostanze: alfa-chimotripsina (2 U/ml),
che inattiva i mediatori peptidici, L-NAME (10-4 M), un inibitore della
sintesi di NO, zinco-protoporfirina IX (ZnPP IX) (10-5 M), un inibitore
della eme-ossigenasi 2, responsabile della produzione di CO, e 1H[1,2,4]oxadiazolo-[4,3-a]quinoxalin-1-one (ODQ) (10-5 M), un inibitore
della guanilato ciclasi solubile, che rappresenta la via finale comune di
azione di NO e CO.
Le risposte NANC-i alla stimolazione elettrica sono state espresse
come media ± ES dei dati grezzi e valutate come percentuale media ± ES
della risposta di rilasciamento delle trachee provenienti da animali esposti rispetto a quelle di controllo. La significatività statistica è stata valutata usando il test del t di Student per dati non appaiati e, quando opportuno, mediante analisi della varianza integrata dal post-hoc test di Bonferroni. Si è considerato significativo il valore di P < 0.05.
RISULTATI
Nella trachea isolata di cavie precedentemente esposte a persolfato
d’ammonio è stata osservata una significativa riduzione (P<0,01) delle risposte NANC-i indotte a 3 e 10 Hz. In particolare, a 3 Hz la AUC era pari al 45.9% di quella dei controlli e a 10 Hz era pari al 47.5%. Nel gruppo di controllo, l’alfa-chimotripsina non modificava i rilasciamenti
NANC, mentre ODQ riduceva tali rilasciamenti del 60%, valore simile a
quello ottenuto combinando L-NAME e ZnPP IX. La combinazione di
ODQ, L-NAME e ZnPP IX riduceva i rilasciamenti del 90%. Questi dati
indicavano che NO e CO erano responsabili della quasi totalità dei rilasciamenti NANC. Negli animali esposti a persolfato d’ammonio le proporzioni di inibizione delle risposte NANC-i da parte di ciascuna delle
sostanze suddette restavano inalterate.
DISCUSSIONE
Queste osservazioni confermano che l’esposizione ad alte concentrazioni di persolfato d’ammonio riduce l’efficienza del controllo nervoso
NANC-i nelle vie aeree di cavia. Un ridotto rilasciamento NANC può
dunque rappresentare uno dei meccanismi alla base dell’iperreattività
delle vie aeree indotta da agenti occupazionali a basso peso molecolare,
dotati (anche) di azione irritante. Le quote della risposta NANC-i dovute
ai singoli neurotrasmettitori (NO e CO) non sono state modificate dall’esposizione a persolfato d’ammonio. Ciò suggerisce che l’effetto di tale
sostanza è probabilmente correlato a una ridotta funzionalità dell’innervazione inibitoria intrinseca nel suo insieme, con conseguente ridotta liberazione dei neurotrasmettitori inibitori in essa contenuti (14), e/o una
più veloce degradazione degli stessi, senza interferenze specifiche con la
produzione o con l’azione di singoli neurotrasmettitori.
L’ipotesi di una potenziale disregolazione delle vie NANC-i come
causa parziale di iperreattività bronchiale era stata precedentemente formulata da altri autori (3), ma mai provata sperimentalmente.
Attualmente si ritiene che i meccanismi responsabili dell’iperreattività
bronchiale indotta da persolfati includano meccanismi immunomediati
umorali (con la partecipazione delle IgE non ancora ben definita) (1, 16)
e/o cellulari (che coinvolgono la partecipazione di mastociti) (17) e meccanismi diretti di irritazione/danno della mucosa bronchiale e (probabilmente) dell’innervazione intrinseca delle vie aeree. La funzionalità dell’innervazione intrinseca inibitoria, che i nostri dati dimostrano ridotta dall’esposizione a per solfati, meriterebbe di essere studiata anche nelle forme di
asma professionale sostenute da altri agenti dotati di duplice azione irritante e sensibilizzante, quali, ad esempio, isocianati e glutaraldeide, nonché in
tutte le forme, senza periodo di latenza, causate da agenti irritanti.
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COM-07
MODIFICAZIONI DELLE TRANSAMINASI EPATICHE IN
LAVORATORI ESPOSTI A BASSE DOSI DI ISOPROPANOLO
I. Iavicoli1, L. Fontana1,2, S. Iavicoli2
1
Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore,
Roma
2 Dipartimento di Medicina del Lavoro, Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro, Monte Porzio Catone (Roma)
Corrispondenza: Iavicoli Ivo, Istituto di Medicina del Lavoro,
Università Cattolica del Sacro Cuore, Largo Francesco Vito 1, 00168
Roma, e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. L’isopropanolo (IPA) è un solvente volatile impiegato in numerosi processi industriali. La tossicità acuta del solvente si manifesta principalmente con vertigini, mancanza di coordinazione motoria,
emicrania, ipotermia, atassia oculare, irritazione delle alte vie respirato-
271
rie e dispnea. L’ingestione accidentale di IPA provoca vomito, ematemesi, diarrea ed ipotensione. In letteratura non sono presenti dati relativi alla tossicità cronica e subcronica dell’IPA sull’uomo. In questo studio, eseguito su 40 lavoratori di un’industria del settore rotocalcografico, sono
stati indagati i valori delle transaminasi epatiche (alanina aminotransferasi ALT, aspartato aminotransferasi AST) e la gamma glutamil transpeptidasi (γ-GT) degli ultimi cinque anni in relazione alla rimozione dal ciclo produttivo dell’IPA. I valori dell’ALT, dell’AST e della γ-GT osservati nei lavoratori esposti all’IPA sono risultati significativamente più elevati. Quindi, sulla base dei dati osservati in questo studio si può affermare che l’eliminazione dell’IPA dai processi industriali dell’azienda ha
avuto un effetto positivo sulla salute dei lavoratori migliorando decisamente la funzionalità epatica.
Parole chiave: isopropanolo, transaminasi epatiche, addetti alla
stampa.
MODIFICATIONS OF HEPATIC TRANSAMINASES IN WORKERS EXPOSED TO LOW
DOSES OF ISOPROPANOL
ABSTRACT. Isopropanol (IPA) is a volatile solvent that is used in
many industrial process. The major symptoms of acute isopropanol
toxicity include dizziness, incoordination, headache, hypothermia, eye
ataxia, irritation of upper respiratory tract and shortness of breath.
Vomiting, hematemesis, diarrhoea and hypotension may occur following
accidental ingestion of IPA. No data regarding subchronic or chronic
toxicity of IPA were identified. The aim of this study was to measure the
serum levels of alanine aminotransferase (ALT), aspartate
aminotransferase (AST) and of gamma-glutamyltransferase (γ-GT) of the
last five years in 40 printer workers after the removal of IPA from the
industry. The serum levels of ALT, AST and γ-GT were higher in the
exposed workers than in non exposed. In conclusion, the results of this
study show that the removal of IPA from the industry had a positive health
effect improving the hepatic function of the workers.
Key words: isopropanol, hepatic transaminases, printer workers.
INTRODUZIONE
L’isopropanolo (IPA) è un solvente volatile impiegato in numerosi
processi industriali. È utilizzato nella produzione dell’acetone, degli inchiostri, nell’industria farmaceutica e dei cosmetici. Inoltre, è presente
come solvente negli insetticidi, nelle soluzioni antigelo, nella gommalacca, negli oli essenziali ed è impiegato come detergente per i metalli
(1,2).
La tossicità acuta del solvente si manifesta principalmente con vertigini, mancanza di coordinazione motoria, emicrania, ipotermia, atassia
oculare, irritazione delle alte vie respiratorie (3). In letteratura non sono
presenti dati relativi alla tossicità cronica e subcronica dell’IPA sull’uomo. Numerosi, tuttavia, sono gli studi su animali di laboratorio che hanno evidenziato irritazione delle alte vie respiratorie, epatomegalia, nefrite interstiziale, idronefrosi, ectasia delle vescichette seminali ed iperplasia follicolare della milza (4,5). La IARC, sulla base di un’inadeguata
evidenza di cancerogenicità per l’uomo e nella sperimentazione animale,
ha inserito l’IPA nel gruppo 3 tra le sostanze non cancerogene per l’uomo
(6).
Nella popolazione generale il contatto cutaneo rappresenta la principale via di assorbimento dello xenobiotico mentre, i lavoratori professionalmente esposti assorbono l’IPA soprattutto per via inalatoria.
In questo studio, eseguito su 40 lavoratori di un’industria del settore
rotocalcografico, sono stati indagati e confrontati i valori delle transaminasi epatiche (alanina aminotransferasi ALT, aspartato aminotransferasi
AST) e la gamma glutamil transpeptidasi (γ-GT) degli ultimi cinque anni in relazione ad un’importante modificazione del ciclo produttivo dell’azienda che ha recentemente eliminato l’utilizzo dell’IPA.
MATERIALI E METODI
La raccolta dei dati relativi ai valori delle AST, ALT e γ-GT è stata
realizzata mediante la consultazione delle informazioni provenienti dall’attività di sorveglianza sanitaria. Dei 40 soggetti reclutati nello studio
30 sono addetti alla stampa, e pertanto erano professionalmente esposti
all’IPA quando questo xenobiotico veniva utilizzato nel ciclo produttivo.
I restanti 10 lavoratori svolgono mansioni specifiche che non comportavano l’esposizione all’IPA (carrellista, addetto alla manutenzione, addetto alla preparazione) e sono quindi stati utilizzati come gruppo di controllo. A tutti i lavoratori è stato somministrato un questionario sulle abi-
272
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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Tabella I. Valori (Media ± Deviazione Standard) delle transaminasi epatiche, della γ-GT e del
rapporto ALT/AST
tudini alimentari, consumo di alcolici e pregresse infezioni epatiche al fine di escludere dallo studio i soggetti che presentavano aumentati valori
degli enzimi epatici riconducibili a fattori extra professionali.
RISULTATI
I valori dell’ALT, dell’AST e della γ-GT (tabella I) osservati nei lavoratori esposti all’IPA sono risultati significativamente più elevati rispetto ai valori riscontrati negli stessi operai dopo la rimozione del solvente dal ciclo produttivo. Analogamente la media del rapporto ALT/AST
(tabella I) osservato nei lavoratori non più esposti all’IPA è risultata inferiore rispetto ai valori registrati negli anni in cui lo xenobiotico veniva
utilizzato. Non sono stati presi in considerazione i valori degli enzimi
epatici di due addetti alla stampa in quanto i due lavoratori erano affetti
da epatite di tipo B.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Le informazioni raccolte non evidenziano criticità in relazioni alle
abitudini alimentari e di vita dei soggetti intervistati. Il consumo di alcool
è risultato contenuto (25 soggetti consumano vino ai pasti, 10 sono modici bevitori e 5 sono astemi) mentre, tutti i lavoratori seguono una dieta
varia ed equilibrata. Inoltre, sono stati esclusi dall’analisi dei risultati due
addetti alla stampa in quanto i valori delle transaminasi epatiche e della
γ-GT erano molto elevati ed erano riconducibili all’epatite di tipo B evidenziata nel corso dell’intervista.
I risultati mostrano come i valori medi dell’ALT, dell’AST e della γGT siano significativamente più elevati nel biennio 2003-2004 in cui l’IPA veniva impiegato come solvente nell’acqua di bagnatura della stampa. Successivamente alla rimozione dello xenobiotico dal processo produttivo (2005-2007) è invece possibile osservare un’importante riduzione dei valori medi delle transaminasi e della γ-GT.
Un dato interessante è relativo al confronto dei risultati tra i lavoratori
esposti ed i controlli. Infatti, in questo ultimo gruppo i livelli degli enzimi
epatici sono ampiamente inferiori rispetto a quelli osservati, negli anni
2003-2004, negli addetti alla stampa. Al contrario, negli anni successivi
(2005-2007) i valori medi dell’ALT, dell’AST e della γ-GT, osservati negli
addetti alla stampa e nel gruppo di controllo, forniscono risultati simili.
Quindi, non essendo intervenuti altri fattori occupazionali o extra
professionali, è possibile ipotizzare che la riduzione delle transaminasi
epatiche e della γ-GT nei lavoratori esposti all’IPA e l’avvicinamento di
tali valori a quelli osservati nel gruppo di controllo sia dovuta alla rimozione del solvente dal ciclo produttivo dell’azienda.
Questa ipotesi confermerebbe i risultati di altri studi presenti in letteratura in cui l’innalzamento o l’alterazione degli enzimi epatici, non riconducibile a fattori alimentari, infettivi o al consumo di alcolici, è stato
correlato all’esposizione a solventi in ambito professionale (7).
Sulla base dei dati osservati in questo studio si può quindi affermare
che l’eliminazione dell’IPA potrebbe avere avuto un effetto positivo sulla salute dei lavoratori. Infatti, la diminuzione dei valori degli enzimi epatici indica un importante miglioramento della funzionalità epatica.
Qualora i nostri risultati fossero confermati da ulteriori studi su questo argomento si potrebbe valutare l’ipotesi di utilizzare le transaminasi
epatiche come utile e valido indicatore di effetto per le esposizioni a basse dosi di IPA.
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COM-08
ESPOSIZIONE PROFESSIONALE A MANGANESE NELL’INDUSTRIA
DELLE FERROLEGHE: EFFETTI NEUROCOMPORTAMENTALI
IN UNA COORTE DI LAVORATORI
E. Albini, L. Benedetti, A. Caruso, S. Marchetti, E. Nan, S. Zoni,
R. Lucchini
Cattedra di Medicina del Lavoro, Università degli Sudi di Brescia
RIASSUNTO. Introduzione. Il nostro Istituto segue da più di 20
anni alcuni lavoratori di un’azienda delle ferroleghe per la valutazione
degli effetti neurocomportamentali da esposizione a manganese. Cinque
anni dopo l’ultimo studio ne è stato programmato un altro per valutare le
differenze di performance neuromotoria e cognitiva tra esposti e controlli ed effettuare una valutazione longitudinale.
Materiali e Metodi. Sono stati eseguiti monitoraggio ambientale e
biologico, valutati parametri di funzionalità epato-renale, esame emocromocitometrico, metabolismo del ferro e prolattina sierica. Sono stati somministrati: posturografia, tremore, quatto test della batteria SPES, Pursuing Aiming, cinque test della Luria Nebraska Motor Battery, Matrici
Progressive di Raven, Trail Making Test, Mood Scale, Brief Symptoms
Inventory, questionario dei sintomi neurolopsicologici. Sono stati indagate abitudini di vita, anamnesi lavorativa, residenziale e patologica.
Risultati. Sono stati valutati 40 lavoratori e 40 controlli. Gli indicatori di esposizione sono risultati tutti significativamente più elevati nei
soggetti esposti. La valutazione neuropsicologica ha evidenziato differenze significative nelle Matrici Progressive di Raven e nel Pursuit Aiming; l’analisi del tremore ha evidenziato valori più elevati negli esposti,
l’esame posturografico ha evidenziato alcune differenze significative far
i due gruppi.
Parole chiave: manganese, effetti neurocomportamentali, test neuropsicologici.
OCCUPATIONAL
EXPOSURE TO MANGANESE IN FERROALLOY INDUSTRY:
NEUROBEHAVIORAL EFFECTS IN A WORKERS’ COHORT
ABSTRACT. Our Institute has been following for 20 years a group
of workers of a ferroalloy industry in order to evaluate neurobehavioral
effects due to manganese exposure. Five years after the last study we
have planned another one, to evaluate differences in neuromotor e
cognitive functions between exposed and controls and to perform a
longitudinal evaluation of the results.
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Environmental and biological sampling were collected, liver and
kidney functionality, haemochrome, iron metabolism and sieric
prolactine were evaluated.
Several tests were administered: postural evaluation, tremor, four
tests of the SPES battery, Pursuing Aiming, five tests of the Luria
Nebraska Motor Battery, Raven Progressive Matrices, Trail Making Test,
Mood Scale, Brief Symptoms Inventory, neuropsychological symptoms
questionnaire.
Personal habits and working, living and clinical histories were
collected.
We evaluated 43 exposed workers and 40 controls. Exposure
indicators resulted all significantly higher in exposed workers.
Neuropsychological examination showed differences in Raven
Progressive Matrices and Pursuit Aiming, higher tremor values and
differences in postural evaluation between exposed and controls.
Key words: manganese, neurobehavioral effects, neuropsychological
tests.
INTRODUZIONE
Gli effetti neurotossici conseguenti ad esposizione a manganese costituiscono un continuum che spazia da alterazioni neurofunzionali precoci, a segni neurologici preclinici sino alla patologia clinica vera e propria. Numerosi studi (WHO, 1981; Mergler e Balwin, 1997; Iregren,
1994; 1999; Hudnell, 1999; Levy e Nassetta, 2003) hanno dimostrato l’esistenza di un effetto significativo del manganese a carico del sistema
nervoso centrale anche a seguito di esposizioni protratte a basse dosi del
metallo. I segni precoci di alterazioni neuropsicologiche comprendono ridotte prestazioni ai test neuropsicologici, ridotta coordinazione visuomotoria, ridotta stabilità manuale, incremento dei tempi di reazione, alterazioni a carico della flessibilità cognitiva e ridotta stabilità posturale
(Levy and Nassetta, 2003).
L’Istituto di Medicina del Lavoro dell’Università degli Studi di Brescia segue da più di 20 anni un gruppo di lavoratori di un’azienda della
provincia afferente al comparto delle ferroleghe per la valutazione degli
effetti neurocomportamentali conseguenti all’esposizione a manganese.
A distanza di 5 anni dall’ultimo studio (2001) ne è stato programmato un
altro con l’obiettivo di rivalutare le differenze di performance neuromotoria e cognitiva tra esposti a manganese e controlli e valutare longitudinalmente le prestazioni ai test di alcuni soggetti tuttora impiegati nella
medesima fonderia.
MATERIALI E METODI
Descrizione dell’azienda
L’industria siderurgica presa in esame si trova in provincia di Brescia,
essa produce leghe di silico-manganese e ferro-manganese. I controlli ambientali nei vari settori dell’area lavorativa sono stati condotti a partire dal
1981 con cadenza annuale fino al 1996 e successivamente nel 2001. Dal
1981 al ’96 le concentrazioni di Mn (media geometrica) nelle polveri totali è scesa da 1597,03 a 165,47 µg/m3 nella zona forni, da 151,54 a 67,02
µg/m3 nella zona colata, da 570,0 a 320,0 µg/m3 negli altri spazi aperti dell’azienda, mentre nell’officina per le saldature è rimasta stabile, attorno a
167 µg/m3. Nel 2001 le misurazioni condotte nelle medesime aree hanno
evidenziato un lieve incremento delle polveri totali nella zona forni, salita
a circa 400µg/m3, e nella zona di colata, con valori pari a 148,0 µg/m3.
Popolazione esaminata
Sono stati indagati due gruppi di soggetti:
1. lavoratori impiegati presso la fonderia di ferroleghe;
2. gruppo di controllo: cuochi, addetti alla manutenzione e a servizi vari impiegati presso l’ospedale cittadino.
I criteri di esclusione sono stati i medesimi adottati nel corso dei precedenti studi, ovvero assunzione media giornaliera di alcol superiore ad
80 g/die, assunzione di farmaci attivi sul SNC, presenza di malattie del
SNC o psichiatriche già diagnosticate, gravi epatopatie.
Disegno dello studio
Lo studio ha previsto la raccolta di campioni ambientali e biologici
per la valutazione dell’esposizione. Ad entrambi i gruppi (esposti e controlli) sono stati somministrati gli stessi questionari utilizzati nel 1996 e
2001 insieme a test neurocomportamentali e neurofisiologici. Sono state
inoltre introdotte ulteriori valutazioni di tipo neuropsicologico.
273
I questionari
• questionario anamnestico generale, per la raccolta di dati relativi a
età, scolarità, abitudine al fumo, consumo di alcol e caffè, numero
di figli, stato di salute generale, familiarità per patologie neurodegenerative, esistenza di malattie neurologiche e psichiatriche, assunzione di farmaci attivi sul SNC, esposizioni extraprofessionali a
neurotossici;
• questionario per i sintomi neuropsicologici, composto da 29 domande, riguarda l’indagine di sintomi neurologici precoci riferibili ad
esposizione a manganese, (Mergler e coll., 1994);
• screeening per la sintomatologia parkinsoniana, anche questo già
usato anche in altre indagini per lo screening dello studio del morbo
di Parkinson su base anamnestica (Pannisset e coll., 1996).
Test neurocomportamentali e neurofisiologici
– Sono stati selezionati quattro test tratti dalla Swedish Performance
Evaluation System (SPES): Digit Span, Finger Tapping, Symbol Digit e Simple Reaction Time, già utilizzati nei precedenti studi del ’91
e ’96. I test selezionati valutano la capacità di concentrazione e la velocità di risposta psicomotoria (Symbol Digit e Simple Reaction Time), la memoria a breve termine (Digit Span) e la capacità di compiere movimenti rapidi, ripetuti e precisi (Finger Tapping):
– cinque test tratti dalla scala motoria del Luria Nebraska Neuropsychological Battery (Golden e coll., 1980): apertura e chiusura mano
dominante (LURIA 1), apertura e chiusura mano non dominante
(LURIA 2), apertura-chiusura alternata delle due mani (LURIA 3),
contatto pollice-dita mano dominante (LURIA 4), contatto pollice dita mano non dominante (LURIA 5). Per ogni soggetto è stato valutato anche il valore medio (LURIA mean) e complessivo delle prestazioni (LURIA sum);
– valutazione del tono dell’umore e di sintomi soggettivi attraverso la
somministrazione della mood scale e del Brief Symptoms Inventory;
– dal sistema CATSYS della Danish Product Development (DPD) sono stati selezionati due test: il primo per misurare il tremore posturale, il secondo per la valutazione della stabilità posturale.
Test neuropsicologici
– sono state utilizzate le Matrici Progressive di Raven, per l’analisi
delle abilità cognitive; Pursuit Aiming, per la rilevazione della stabilità manuale e coordinazione visuo-motoria; Trail Making A e B, per
la valutazione della abilità cognitive e della coordinazione visuo-motoria.
Parametri biologici
a) dosaggio del manganese ematico e plasmatico, di altri metalli ad
azione neurotossica (piombo, mercurio) e di altri elementi essenziali
(rame, zinco, selenio, magnesio) nel sangue e nell’urina;
b) dosaggio dei parametri di funzionalità epato-renale; esame emocromocitometrico e parametri di metabolismo del ferro;
c) prolattina sierica, per la valutazione della possibile interazione del
manganese sul sistema dopaminergico; parametri di stress ossidativo;
d) polimorfismi genetici.
Indagini ambientali
Contemporaneamente alla somministrazione dei test e alla effettuazione dei prelievi per le valutazioni ematochimiche sono stati effettuati
campionamenti ambientali all’interno delle diverse aree dell’azienda e
campionamenti personali sui lavoratori che hanno aderito al progetto.
RISULTATI
Hanno aderito allo studio 40 lavoratori esposti (età media 44 anni), e
40 controlli (età media 46 anni). Il monitoraggio ambientale ha evidenziato valori di Mn (media geometrica) nelle polveri respirabili pari a 280
µg/m3 nell’officina, 560 µg/m3 nella zona forni e 170 µg/m3 nella zona
colata. Gli indicatori di esposizione a manganese sono risultati tutti significativamente più elevati nei soggetti esposti MnB (exp=12,875 µg/L
vs ctr=7,043 µg/L; p<0,0001), MnP (exp=1,628 µg/L vs ctr=0,8 µg/L;
p<0,0001), MnU (exp=0,608 µg/L vs ctr=0,227 µg/L; p=0,0022).
La valutazione neuropsicologica ha evidenziato differenze significative nelle Matrici Progressive di Raven: nei controlli maggior numero di
risposte corrette (40 vs. 36,5; p=0,0191) ed un numero inferiore di risposte errate (10,5 vs. 17,9; p=0,0010) e nel Pursuit Aiming 2 e totale, dove
274
i controlli hanno ottenuto punteggi migliori (Aiming 2 corrette 50,4 vs.
41,3; p=0,0212; Aiming totale 99,75 vs. 85,475; p=0,0364).
L’analisi del tremore ha evidenziato valori più elevati negli esposti
per quanto riguarda intensità (mano dx. 0,141 m/s2 vs. 0,082; p<0,0001;
mano sin 0,142 m/s2 vs. 0,079; p<0,0001), frequenza centrale (mano dx
7,285Hz vs. 6,287Hz; p=0,0006; mano sin 7,626Hz vs. 6,573Hz;
p=0,0015), deviazione standard (mano dx esposti 3,049Hz vs. 2,5;
p=0,0015; mano sn 3,395Hz vs. 2,855; p=0,0021).
L’esame posturografico ha evidenziato differenze significative per
Sway Velocity (occhi aperti: esposti 9,40 mm/s vs. 8,263 mm/s;
p=0,0070; occhi chiusi esposti 13,744 mm/s vs. 12,165 mm/s; p=0,0291)
ed Intensità (occhi aperti esposti 4,357 vs. 3,677; p=0,0142).
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
I dati del monitoraggio ambientale hanno evidenziato valori di manganese al di sopra dell’attuale TLV-TWA per alcune delle zone valutate.
I risultati ottenuti ai test hanno evidenziato alterazioni a carico della stabilità manuale (tremor ed aiming), in accordo con buona parte della letteratura sull’argomento (Zoni e coll., 2007), della stabilità posturale e delle abilità cognitive, valutate in un numero esiguo di studi ma risultate alterate nei
soggetti professionalmente esposti a manganese (Bowler e coll., 2006).
Ulteriori elaborazioni considereranno i risultati relativi a sintomi e
umore e valuteranno longitudinalmente i soggetti partecipanti a partire
dal primo studio.
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COM-09
CITOTOSSICITÀ E GENOTOSSICITÀ INDOTTE DA FIBRE DI VETRO
L. Proietti, A. Giallongo,**A. M. Zakrzewska, **I. Ammoscato,
*L. Lombardo, *G. Frasca, *V. Cardile
Dipartimento Medicina Interna e Patologie Sistemiche, Università di Catania
* Dipartimento di Scienze Fisiologiche, Università di Catania
** Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro
(ISPESL), Centro di Ricerche di Lamezia Terme
Corrispondenza: Lidia Proietti [email protected]
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
RIASSUNTO. Scopo della presente ricerca è stato quello di evidenziare eventuali effetti citototossici e genotossici in cellule alveolari polmonari umane A549 esposte a fibre di vetro.
Per la valutazione dell’effetto citotossico è stato eseguito il test di
metabolizzazione dei sali di tetrazolio (MTT). Per lo studio dell’effetto
genotossico è stato utilizzato il test Comet. La vitalità delle cellule A549,
sottoposte al test di metabolizzazione dei sali di tetrazolio dopo 72 ore di
esposizione alle diverse concentrazioni di fibre di vetro, è stata espressa
come percentuale di vitalità rispetto al valore (100%) del controllo non
trattato e rappresenta la media ± S.E.M. di tre esperimenti condotti in duplicato. La fibra di vetro sintetica già alla più bassa concentrazione usata
interferisce significativamente con la vitalità delle cellule A549 e alle
concentrazioni più elevate induce una riduzione drastica della capacità
delle cellule di metabolizzare i sali di tetrazolio.
I risultati del test della Comet hanno mostrato lo stesso andamento
concentrazione-dipendente di quello dell’inibizione della vitalità cellulare. Nelle colture trattate con la più bassa concentrazione di fibra di vetro
(5 µg/ml per 72 ore) si osserva un danno al DNA che diventa cruciale alle concentrazioni più elevate di 100 µg/ml quando la frammentazione del
DNA è più evidente.
Parole chiave: Fibre vetrose; danno citotossico; danno genotossico;MTT test; Comet test; Cellule A549.
FIBERS GLASS INDUCED CITOTOXICITY AND GENOTOXICITY
ABSTRACT. Man-made vitrous fibers, have been widely used as a
substitute for asbestos, as an insulation material. However the fibrous
morphology of MMVFs raises concern about potential health hazard. The
aim of our study was to assess cytotoxic and genotoxic effects induced on
a human alveolar cell line A549 by exposure to glass wool fibers (GW).
Cells were exposed for 72 h to 5, 50, 100 µg/ml of glass wool, after
incubation the cell viability was determined by a MTT reduction assay.
The genotoxic effect was studies by Comet test. An undamaged cell
appeared as a nucleoid and a cell with damaged DNA as a comet.
Measurement of Comet parameters: % DNA in the tail, tail length and
tail momente (the product of relative tail intensity and lenght, that
provides a parameter of DNA damage) were obtained from the analysis.
A MTT assay indicated that glass wool caused a decrease in cell
viability and this decrease was concentration-dependent. The results of
the Comet test for DNA damage detection indicated in cell exposed to
glass wool fibers a significant increase of mean TM value. All these
results provide that the glass wool fibers can induce cytotoxicity and
genotoxicity
Key words: Glass wool; Cytotoxic effects; Genotoxic damage; MTT
assay; Comet assay; A549 cells.
INTRODUZIONE
Le fibre artificiali vetrose, conosciute anche come fibre vetrose sintetiche o fibre minerali artificiali, sono un grande sottogruppo di fibre
inorganiche e costituiscono attualmente il gruppo di fibre commercialmente più importante.
Recentemente, con la messa al bando dell’amianto dalle normative
vigenti, le fibre di vetro sono sempre più largamente utilizzate nella produzione di compositi strutturali in campo aerospaziale, nautico, automobilistico, associati a matrici diverse, ad esempio poliammidiche o epossidiche.
Nel 1998 la IARC (International Agency for Research on Cancer), ha
classificato la lana di roccia, di vetro, di scoria e le fibre ceramiche come
possibili cancerogeni per l’uomo (gruppo 2B). Una più recente monografia della IARC (IARC 2002) ha riclassificato la lana di roccia, di vetro, e
le fibre di vetro a filamento continuo “non classificabili come cancerogeni per l’uomo” (gruppo 3); mentre le fibre ceramiche sono state riconfermate nel gruppo 2B.
Alcuni studi epidemiologici condotti su soggetti esposti (1-4) e studi
su animali da esperimento hanno dimostrato la capacità di tali materiali
di indurre il cancro (5-6).
Tenuto conto dei risultati degli studi finora effettuati e della notevole diffusione delle fibre di vetro, abbiamo ritenuto importante valutare
l’eventuale effetto citotossico e genotossico di tali fibre.
MATERIALI E METODI
Nel presente studio sono state utilizzate le fibre di vetro ottenute da
filamenti di vetro in seguito alla diminuzione della lunghezza mediante
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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275
bisturi. Nella tabella I è descritta la composizione delle fibre vetrose
espressa come percentuale in peso dei diversi ossidi.
La frazione dimensionale interessata è stata separata, previa sospensione delle fibre in una soluzione acquosa, con l’ausilio delle membrane
filtranti di porosità note. Le fibre in oggetto rispondono ai requisiti di respirabilità definiti dalla World Health Organization presentando la lunghezza maggiore di 5 micron, il diametro minore di 3 micron ed il rapporto lunghezza/diametro superiore a 3.
Il campione delle fibre vetrose depositato sul filtro in policarbonato
è stato caratterizzato misurando il diametro e la lunghezza di 300 fibre.
La caratterizzazione dimensionale è stata effettuata utilizzando il Microscopio Elettronico a Scansione (SEM) mod LEO1430, corredato, per l’analisi qualitativa delle fibre, dalla Microanalisi IXRF Systems mod. 500.
Nella Tabella II sono stati riportati i parametri statistici principali della distribuzione dei diametri e della lunghezza. Tale distribuzione, valutata
tramite il test di normalità di Kolmogorov-Smirnov, risulta essere di tipo
log-normale.
Per la valutazione dell’effetto citotossico è stato eseguito il test di
metabolizzazione dei sali di tetrazolio (MTT). Questo test è un saggio colorimetro che serve a misurare la vitalità delle cellule e la proliferazione
cellulare in test di mitogenesi. La reazione che presuppone la totale integrità delle cellule, ha luogo quando, per mezzo della succinato deidrogenasi mitocondriale, il bromuro di 3- (4,5-dimetiltiazol-2-yl) -2,5difenil tetrazolio (MTT) è ridotto a formazano, un prodotto colorato ed insolubile
(7). La reazione è direttamente proporzionale al grado di attività metabolica delle cellule. I granuli di formazano blu, che si formano dalla reazione di riduzione vengono solubilizzati con l’aggiunta di DMSO. Il livello
di formazano presente è usato come indice indiretto della densità cellulare. Per l’esecuzione del test sono state utilizzate cellule 549 preventivamente contate, trapiantate in micropozzetti (6 x 103/200 µl per micropozzetto) di una piastra a 96 pozzetti con fondo piatto e poi incubate. Dopo
24 ore, il terreno di coltura è stato sostituito con quello nuovo contente fibre di vetro alle concentrazioni di 5, 50, 100 µg/ml, ciascuna in quadruplicato, tranne che per alcuni micropozzetti lasciati col solo terreno di
coltura usati come controllo. Le cellule sono state tenute a contatto con le
fibre per 72 ore. Ad ogni singolo micropozzetto sono stati aggiunti, tre
ore prima della fine dell’esperimento, 20 µl di MTT (5mg/ml di terreno).
Le cellule sono state incubate a 37°C con il 5% di CO2 per tre ore, alla
fine delle quali è stato eliminato il sopranatante e sono stati aggiunti 100
µl di DMSO per fermare la reazione e solubilizzare il formazano prodottosi. La densità ottica (O.D.) è stata misurata con uno spettrofotometro
per micropiastre (Titertek Multiskan, DBS srl, Italy) ad una lunghezza
d’onda di 550 nm. La vitalità cellulare è stata espressa come percentuale
di vitalità rispetto al controllo e si è ottenuta dal rapporto tra l’assorbanza delle cellule trattate e l’assorbanza delle cellule del controllo x 100: %
di vitalità = assorbanza cellule trattate/ assorbanza cellule controllo x 100
Per lo studio dell’effetto genotossico è stato utilizzato il test Comet
o gel elettroforesi su singola cellula (SCGE). Tale tecnica permette di va-
lutare il danno indotto da agenti genotossici al DNA cellulare attraverso
l’esame, per fluorescenza, di profili “a cometa” ottenuti tramite elettroforesi di singole cellule su microgel preparati su vetrini per microscopia. I
frammenti di DNA prodotti dall’insulto appaiono come la coda di “una
cometa” la cui testa è rappresentata dal nucleo della cellula. La lunghezza della coda è in funzione del danno indotto.
Con tale tecnica il DNA non viene sottoposto ad estrazione con agenti chimici. Le cellule tal quali sono state inglobate in agarosio low-melting. Successivamente lisate, inglobate in minigel di agarosio in condizioni fortemente alcaline e poi sottoposte ad elettroforesi a pH 12,5. Tali
condizioni eliminano ogni traccia di proteine e di RNA lasciando solo il
DNA presente sul gel. Terminata la corsa elettroforetica i minigel sono
stati colorati con etidio bromuro ed il DNA visualizzato al microscopio a
fluorescenza. Mediante specifico software (Scion Image) sono state acquisite e analizzate le immagini fluorescenti che hanno permesso di esaminare e quantificare il danno al DNA attraverso la misurazione di alcuni parametri: la lunghezza, l’intensità e l’area della coda; la lunghezza,
l’intensità e l’area della testa.
RISULTATI
La vitalità delle cellule A549, sottoposte al test di metabolizzazione
dei sali di tetrazolio dopo 72 ore di esposizione alle diverse concentrazioni di fibre di vetro, è stata espressa come percentuale di vitalità rispetto al valore (100%) del controllo non trattato e rappresenta la media ±
S.E.M. di tre esperimenti condotti in duplicato. Come si può osservare la
fibra di vetro sintetica già alla più bassa concentrazione usata interferisce
significativamente con la vitalità delle cellule A549 (-53%) e alle concentrazioni più elevate induce una riduzione drastica della capacità delle
cellule di metabolizzare i sali di tetrazolio.
Nella Figura 1 sono riportate le percentuali di vitalità dopo 72 ore di
trattamento.
I risultati del test della Comet hanno mostrato lo stesso andamento
concentrazione-dipendente di quello dell’inibizione della vitalità cellulare. Nelle colture trattate con la più bassa concentrazione di fibra di vetro
per 72 ore si osserva un danno al DNA che diventa cruciale alle concentrazioni più elevate quando la frammentazione del DNA è più evidente.
I risultati del test della Comet hanno mostrato lo stesso andamento
concentrazione-dipendente di quello dell’inibizione della vitalità cellulare. Nelle colture trattate con la più bassa concentrazione di fibra di vetro
(5 µg/ml per 72 ore) si osserva un danno al DNA che diventa cruciale alle concentrazioni più elevate di 100 µg/ml quando la frammentazione del
DNA è più evidente.
Tabella I. Composizione (% in peso degli ossidi) delle fibre di vetro
Componente
% Percentuale in peso
SiO2
80,6
B2O3
13,0
Na2O
4,0
Al2O3
2,3
K2O
0,1
Figura 1. Vitalità cellulare
Tabella II. Parametri statistici dimensionali di fibre vetrose testate
Lunghezza [µm]
Diametro [µm]
Media aritmetica
19,30
1,00
Deviazione standard
18,40
0,60
Valore minimo
1,60
0,30
Valore massimo
101,60
5,00
97% di fibre con il diametro < 3_m
Tabella II. Risultati della Comet dopo 72 ore di trattamento
su cellule epiteliali A549
TDNA
TMOM
Controllo
10 ± 2,3
23 ± 1,5
Fibra di vetro 5 µg/ml
23 ± 4,6
71 ± 6,4
Fibra di vetro 50 µg/ml
65 ± 12,5
1560 ± 75
Fibra di vetro 100 µg/ml
78 ± 9,8
2496± 62
276
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
I risultati del nostro studio, effettuato utilizzando test di citotossicità e di genotossicità, dimostrano come, già alle più basse concentrazioni la fibra di vetro interferisca negativamente con la vitalità delle
cellule, e induca un danno al DNA che diventa più cruciale alle concentrazioni più elevate. Il danno al DNA indotto da basse dosi di fibre
di vetro sembra confermare l’ipotizzato effetto cancerogeno come dimostrato da altri studi.
Alla luce dei risultati degli studi finora effettuati, anche se si rendono necessarie ulteriori ed approfondite ricerche, tenuto conto dell’importanza e della diffusione di queste fibre, occorre mantenere una grande
precauzione nel loro uso soprattutto perle lavorazioni che comportano la
dispersione di fibre “respirabili”.
Si rende quindi necessario controllare e ridurre al minimo l’esposizione a MMMF, anche attraverso una corretta valutazione del rischio che
può essere effettuata integrando le misure della concentrazione delle fibre aerodisperse con le informazioni sulla caratterizzazione dimensionale del materiale fibroso.
La problematica legata all’utilizzo di tali fibre è avvertita anche dalle stesse ditte produttrici che hanno avviato ricerche per lo sviluppo di
nuovi materiali fibrosi caratterizzati da una ridotta biopersistenza polmonare. Di recente sono state immesse sul mercato fibre caratterizzate da un
elevato contenuto di alluminio ed un basso contenuto di silice, denominate HT dotate di una solubilità superiore alle lane tradizionali.
BIBLIOGRAFIA
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COM-10
ESPOSIZIONE AMBIENTALE E PROFESSIONALE A PESTICIDI
PROPIONANILIDICI E DICARBOSSIMIDICI
N. Vitelli 1, A. Chiodini1, C. Colosio 2, G. De Paschale3, C. Somaruga2,
R. Turci4, C. Minoia4, G. Brambilla 2, A. Colombi2
1 Scuola di Specializzazione di Medicina del Lavoro, Università degli
Studi di Milano, Via S. Barnaba, 8 - Milano.
2 Dipartimento di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Milano,
Sez-AO San Paolo, via Antonio di Rudinì, 8 - Milano
3 UOPL of Pavia, distretto di Voghera, Viale Repubblica 88, - Voghera
4 Laboratorio di Tossicologia Occupazionale e Ambientale, Fondazione
Salvatore Maugeri, Via Salvatore Maugeri, 4 - Pavia
Corrispondenza: Nora Vitelli ([email protected])
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RIASSUNTO. I fungicidi dicarbossimidici (FD), come vinclozolin,
irodione e procymidone, sono utilizzati in tutto il mondo in colture vinicole, di frutta e ortaggi; gli erbicidi propionanilidici (EP), come linuron, diuron e propanil, sono utilizzati per il controllo della crescita di erbe infestanti
su superfici dure (strade, sentieri, binari) oltre che in colture agricole, di
piante ornamentali e in selvicoltura. Dai risultati dei controlli ufficiali italiani sui residui di prodotti fitosanitari negli alimenti di origine vegetale degli anni 2001 e 2002 emerge che tra le sostanze attive maggiormente contaminanti i campioni ve ne sono diverse appartenenti a queste categorie.
3,4 e 3,5-dicloroanilina (DCA) sono metaboliti di questi fitofarmaci,
comunemente utilizzati come markers di esposizione; sono stati raccolti
campioni di urina da 153 soggetti abitanti a Novafeltria (Marche) per il
dosaggio di 3,4 e 3,5-DCA 151 campioni su un totale di 153 sono risultati positivi per 3,5-DCA, e 125 sono risultati positivi per 3,4-DCA. 3,4DCA è stata dosata come marker di esposizione a propanil anche in 33 lavoratori impegnati nella applicazione del fitofarmaco su colture di riso
nel nord Italia. 3,4 e 3,5-DCA sono promettenti indicatori biologici di
esposizione per il monitoraggio dei lavoratori e della popolazione generale. Sono, però, necessari ulteriori studi per chiarire i possibili effetti sulla salute a questi livelli di esposizione.
Parole chiave: monitoraggio biologico; pesticidi; esposizione ambientale.
OCCUPATIONAL AND ENVIRONMENTAL EXPOSURE TO ANILIDE AND
DICARBOXIMIDE PESTICIDES
ABSTRACT. Dicarboximide fungicides (DF) such as vinclozolin,
iprodione, procymidone are widely used on vines, fruit and vegetables,
and anilide herbicides (AH) such as diuron, linuron, propanil are used to
control weeds on hard surfaces, such as, roads, railway tracks, paths, and
in crops, forestry. Italian reports on food safety found many samples
contaminated by pesticides belonging to these categories, even though
only few exceeding L.M.R.
Since adverse effects on human health, such as endocrine disruption,
have been reported, biological monitoring is essential for exposure
assessment both of occupationally exposed subjects and of the general
population. Common metabolites of DF and AH are dichloroanilinines
such as 3,4-DCA and 3,5-DCA, urine samples from 153 subjects living in
Novafeltria, central Italy, were collected for analysis of 3,4- and 3,5DCAs, each participant was invited to complete a very detailed
questionnaire. A total of 151 out of 153 samples were found to be positive
for 3,5-DCA, and 81.7% were positive for 3,4-DCA. Also 33 workers,
engaged in application of propanil on rice in northern Italy, were
involved in the study and 3,4-DCA was determined as marker of
exposure. 3,4 and 3,5 dichloroaniline are useful and promising biological
indicators for monitoring occupational and environmental exposure to
these classes of pesticides.
Key words: biological monitoring; environmental exposure; pesticides.
INTRODUZIONE
I fungicidi dicarbossimidici (FD), come vinclozolin, iprodione e
procymidone, sono utilizzati in tutto il mondo in colture vinicole, di frutta e ortaggi; gli erbicidi propionanilidici (EP), come linuron diuron e propanil, sono utilizzati per il controllo della crescita di erbe infestanti su diverse superfici (strade, sentieri, binari) oltre che in colture agricole, di
piante ornamentali e in selvicoltura in fase di pre e postemergenza. In Italia sono tra i pesticidi più utilizzati con un aumento progressivo delle vendite dal 2002 al 2004.
Dai risultati dei controlli ufficiali italiani sui residui di prodotti fitosanitari negli alimenti di origine vegetale degli anni 2001 e 2002 emerge
che tra le sostanze attive più frequente individuate quali contaminanti i
campioni di frutta, ortaggi e di vino ve ne sono diverse appartenenti a
queste categorie.
La sezione britannica di Pesticide Action Network ha pubblicato una
lista dei 36 pesticidi che sono più frequentemente rintracciabili nei cibi
tra i quali compaiono due fungicidi dicarbossimidici. Tracce di queste sostanze sono state rinvenute nelle vicinanze di case situate in prossimità di
colture trattate suggerendo che le persone che abitano in queste zone possano essere esposte (1)
3,4 e 3,5-dicloroanilina (DCA) sono metaboliti di questi fitofarmaci,
e possono essere utilizzati come markers di esposizione (3,4-DCA per linuron, diurno e propanil; e 3,5-DCA per vinclozolin, iprodione e procimidone); come per altre cloroaniline l’effetto tossico primario di 3,4-DCA,
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in caso di esposizione a dosi elevate, è la formazione di metaemoglobina
(2,3). Studi in vitro suggeriscono che FD e EP e i loro metaboliti, tra questi 3,4 e 3,5-DCA, siano in grado di modulare l’attività del sistema endocrino con effetti sul sistema riproduttivo e sullo sviluppo dei diversi apparati, in particolare linuron e quattro dei suoi metaboliti (tra questi 3,4DCA) sono risultati in grado di legarsi al recettore per gli androgeni (4) e
3,4-DCA è nota per esercitare effetti endocrini nei pesci (5). Inoltre in accordo con quanto dichiarato dalla Agenzia americana per la protezione
dell’ambiente (US EPA) 3,4-DCA è da considerarsi pericolosa per l’ambiente (6). Considerazioni analoghe si applicano a 3,5-DCA che in diversi studi su animali ha mostrato effetti antiandrogenici (7,8); vinclozolin è
una sostanza con capacità di modulazione endocrina con effetti sulle capacità riproduttive, che possono trasmettersi anche alle generazioni successive (9), e sullo sviluppo in diverse specie animali, nelle quali è inoltre
in grado di produrre tumori testicolari (7,8). Sebbene non vi siano attualmente le condizioni per temere il manifestarsi di effetti acuti nella popolazione generale, è stato però ipotizzato che anche bassi livelli di esposizione ai pesticidi sopra menzionati possano modulare alcune funzioni endocrine. Alla luce degli effetti sopra descritti il monitoraggio biologico è necessario per valutare l’esposizione della popolazione e dei lavoratori del
settore agricolo in contatto con queste sostanze. Questo studio è stato condotto per misurare i livelli di esposizione di gruppi di lavoratori addetti all’applicazione agricola di questi composto e di soggetti della popolazione
generale, non esposta ad antiparassitari a fonti di esposizione note.
MATERIALI E METODI
Sono stati raccolti campioni di urina da 153 soggetti abitanti a Novafeltria (Marche) per il dosaggio di 3,4 e 3,5-DCA. Le analisi per la rilevazione di 3,4 e 3,5 DCA sono state condotte con un metodo di gascromatografia+spettrometria di massa, con limite di rilevabilità pari a 0,005
µg/L. Da questi soggetti sono stati prelevati anche campioni di sangue e
sono stati effettuate misurazioni di comuni parametri ematochimici (emocromo, transaminasi, creatinina…). Campioni di urina sono stati raccolti
anche da 31 lavoratori, impegnati nella applicazione di propanil su colture di riso nel nord Italia. I campionamenti sono stati effettuati prima e dopo l’applicazione (fine turno) e il mattino successivo; 3,4-DCA è stata dosata come marcatore di esposizione a propanil con un metodo di gascromatografia+spettrometria di massa con limite di rilevabilità pari a 1 µg/L.
Informazioni anagrafiche e su abitudini dietetiche e di vita (per il primo
gruppo) e condizioni di lavoro (per il secondo) sono state raccolte con
due diversi questionari.
RISULTATI
Livelli misurabili di 3,4 e 3,5-DCA sono stati riscontrati nel 82% e
98% della popolazione generale, non è stato possibile effettuare confronti con i valori basali di 3,4-DCA dei lavoratori per la differente sensibilità
delle metodiche di analisi (solo 3 soggetti con valori maggiori del LOD).
Dopo l’applicazione di propanil i valori di 3,4DCA sono aumentati in media di circa tre ordini di grandezza superiori per poi ridursi notevolmente
il mattino successivo.
I risultati sono riassunti nelle tabelle I e II.
Per il gruppo di Novafeltria non sono state riscontrate correlazioni tra
i livelli di metaboliti urinari e alcune variabili come sesso, età (dato atteso considerata la rapida cinetica di eliminazione delle sostanze in esame)
e abitudine al fumo; non sono state riscontrate neppure correlazioni con i
parametri ematochimici valutati (emocromo, creatinina, transaminasi).
Tabella I. Analisi di 3,5- e 3,4DCA in 153 campioni di urine raccolti
da popolazione non esposta: numero di campioni positivi (N),
percentuale di campioni con concentrazioni rilevabili (N%), range,
media, deviazione standard (SD), mediana, e 25° e 75° percentile.
Valori espressi in µg/L. a Media riferita ai campioni positivi
277
Tabella II. Analisi di 3,4-DCA in campioni urinari di 31 soggetti
impegnati nell’applicazione di propanil: numero di campioni
positive (N), percentuale di campioni con concentrazioni rilevabili
(N%), range, media, deviazione standard (SD), mediana, 25°
e 75° percentile. Valori espressi in µg/L
Non si possono tuttavia escludere effetti a carico di altri organi e apparati meglio valutabili con indicatori funzionali più specifici.
Nel caso dei lavoratori non è stata trovata relazione tra i livelli di 3,4DCA e la quantità di formulato applicata, la superficie trattata e i tempi
di applicazione delle sostanze sulle colture; una indagine (analoga a quella condotta sulla popolazione di Novafeltria) sulle alterazioni di comuni
parametri biochimici non è stata possibile data l’assenza di campioni
ematici per questi soggetti; tale valutazione sarebbe auspicabile data la
maggior esposizione dei lavoratori e quindi il maggior rischio di alterazioni funzionali.
Discussione: 3,4 e 3,5-DCA sono promettenti indicatori biologici di
esposizione per il monitoraggio dei lavoratori (data anche la scarsa interferenza del livello background) e della popolazione generale. I nostri dati, in accordo a quanto sostenuto dalle agenzie per la protezione dell’ambiente e per la sicurezza dei cibi, suggeriscono che gran parte della popolazione è esposta a questi pesticidi. Sono, però, necessari ulteriori studi per chiarire i possibili effetti sulla salute a questi livelli di esposizione
nonché le principali fonti di esposizione non professionale.
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3; 308(5727): 1466-9.
COM-11
UDITO ED ESPOSIZIONI A SOLVENTI: STUDIO DI UNA
POPOLAZIONE DI LAVORATORI ESPOSTI A STIRENE
P. Mascagni, C. Formenti, M. Pettazzoni, G. Feltrin, F. Toffoletto
Unità Operativa Complessa di Medicina del Lavoro
Presidio Ospedaliero di Desio (MI)
RIASSUNTO. Lo scopo di questo studio era di indagare gli effetti
ototossici dell’esposizione professionale a stirene, in assenza di altri fattori di rischio.
278
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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È stata misurata la soglia tonale audiometrica di 32 lavoratori esposti a stirene, ma non a rumore, nell’industria delle imbarcazioni in vetroresina ed è stata confrontata con quella di una popolazione non esposta
composta da 60 soggetti.
L’esposizione a stirene è stata determinata attraverso il monitoraggio
biologico di acido mandelico + fenilgliossilico urinari (valore medio 149
mg/g crea, DS 80 mg/g crea)
Per tutte le frequenze indagate (0.5-1-2-3-4-6-8 KHz) il campione
degli esposti ha evidenziato un valore mediano lievemente peggiore rispetto ai controllo appaiati per età e sesso. La differenza ha assunto significatività statistica (p < 0.05) per tutte le frequenze eccetto gli 8 KHz
dell’orecchio destro.
La presente esperienza sembra confermare l’ipotesi che l’esposizione a stirene può determinare di per sé un lieve deficit neurosensoriale sulle alte frequenze. Tale deficit, pur manifestandosi con un lieve impairment uditivo statisticamente significativo rispetto al gruppo di controllo,
non compromette in modo importante l’udito sociale e non implica aspetti medico-legali. Sono auspicabili una numerosità più elevata e test audiologici oggettivi (potenziali evocati uditivi, otoemissioni acustiche).
Parole chiave:, udito, stirene, esposizione a solventi.
HEARING
FUNCTION AND SOLVENT EXPOSURE: STUDY OF A WORKER
POPULATION EXPOSED TO STYRENE
ABSTRACT. The aim of the study was to investigate the ototoxic
effects of occupational styrene exposure, in absence of other risk factors.
Pure-tone audiometric thresholds of 32 workers exposed to styrene, but
not to noise, in fibreglass reinforced plastic boat manufacturing process
were detected and compared to audiometric thresholds of a control
unexposed group composed by 60 subjects.
Exposure to styrene was measured by urinary mandelic +
phenylglyoxylic acid (mean value 149 mg/g crea, SD 80 mg/g crea).
For all the frequencies investigated (0,5-1-2-3-4-6-8 KHz) the
exposed group showed slight higher mean (median) audiometric
thresholds (p<0.05) compared to controls matched by age and sex, except
for 8 KHz in the right ear.
The present experience seems to confirm the hypothesis that styrene
exposure alone can determine a weak sensorineural high-frequency
hearing loss. Such slight impairment, even if statistically significant, does
not remarkably limit social hearing and do not involve legal medical
aspects. Sample expansion and objective diagnostic tests (auditory
brainstem evoked potentials, acoustic otoemissions) are needed.
Key words: hearing function, styrene, solvent exposure.
INTRODUZIONE
Le prime segnalazioni di ototossicità dei solventi industriali risalgono agli anni ‘60 (1), ma per studi più convincenti bisogna attendere la
metà degli anni ‘80. Datano a quegli anni infatti i primi riscontri in Svezia di sinergismo lesivo dell’esposizione professionale combinata a rumore e solventi sull’organo dell’udito (2, 3).
Dagli anni novanta questa interazione è stata più attentamente indagata e oggi l’evidenza epidemiologica è più solida, soprattutto per alte
concentrazioni di solventi (4).
Meno chiaro è invece l’effetto della sola esposizione a solventi sulla
funzione uditiva.
Lo stirene è fra i tossici industriali con provata otolesività nel ratto,
animale con affinità metabolica all’uomo per questo solvente. Il meccanismo patogenetico però non è ancora ben noto (5-8). L’effetto è dose-dipendente: esposizioni brevi non sembrano essere in grado di danneggiare le cellule cigliate dell’organo di Corti, a differenza di esposizioni prolungate. Nel caso di esposizioni croniche, ad alte concentrazioni di solvente corrisponde un maggior danno alle cellule cigliate (9).
Gli studi sull’uomo sono meno di una decina, controversi e non conclusivi (9). Tre di questi non hanno messo in luce effetti dello stirene sull’udito (10-12), due hanno preso in considerazione solo altissime frequenze (13, 14). Due lavori hanno invece rivelato alterazioni dell’udito in
lavoratori esposti a stirene (15, 16). Traendo spunto da queste incertezze,
è sembrato interessante indagare la funzione uditiva di un gruppo di lavoratori esposti a stirene ma non a rumore.
MATERIALI E METODI
Lo stirene è un solvente aromatico (C6H5CH=CH2) di ampio uso industriale. La maggiore esposizione si verifica nella produzione della ve-
troresina, in particolare nell’industria nautica, dove lo stirene è usato come solvente e come agente di polimerizzazione (cross-linking).
Per tale motivo si è scelto di operare tra il 2005 e il 2006 presso
un’importante azienda del Nord Italia che realizza imbarcazioni da diporto (“yacht”) in vetroresina con tradizionale ciclo di lavorazione.
È stata misurata in azienda la soglia tonale audiometria di un gruppo
di lavoratori esposti a stirene ma non a rumore ed è stata confrontata con
quella di una popolazione non esposta a fattori di rischio per l’udito.
I gruppi sono stati selezionati attraverso criteri di normalità otologica per escludere esposizione professionale o extraprofessionale al rumore, familiarità di interesse otologico, patologie otologiche pregresse con
assenza si sintomi attuali, uso di farmaci ototossici.
Lo studio della funzione uditiva è stato eseguito attraverso una otoscopia preventiva, un esame audiometrico per via aerea e per via ossea relativamente alle frequenze di 0.5, 1, 2, 3, 4, 5, 6,8 KHz in ambiente silente e riposo acustico.
I livelli di esposizione a rumore professionale sono stati verificati
mediante fonometria con misura “centro ambiente” per meglio caratterizzare il clima acustico del reparto studiato.
L’esposizione a stirene è stata determinata attraverso il monitoraggio
biologico dei suoi metaboliti urinari, acido mandelico + fenilgliossilico.
Per rappresentare la soglia uditiva è stato utilizzato il confronto tra le
curve audiometriche facendo riferimento al 50° percentile (mediana) di
ogni frequenza misurata.
I due gruppi sono stati poi opportunamente ridotti per renderli omogenei rispetto a due fattori critici quali il sesso e l’età. Per ogni individuo
del gruppo degli esposti è stato scelto un confronto nel gruppo di riferimento avente lo stesso sesso e la stessa età (la scelta è stata casualizzata
nel caso di coesistenza di più individui coetanei). Nel caso in cui nei controlli non fossero reperibili coetanei degli esposti, si è scelto l’individuo
di controllo avente stesso sesso ed età più vicina, ma sempre entro un intervallo di + 5 anni. Qualora questo non fosse possibile il soggetto esposto è stato escluso dal campione.
RISULTATI
Il gruppo degli esposti a stirene era complessivamente costituito da 20
maschi di età compresa tra 21 e 51 anni e da 12 femmine di età compresa
tra 24 e 50 anni. L’anzianità lavorativa media era di 7.1 anni (DS 6.2).Il
gruppo di controllo si componeva nel totale di 52 maschi di età compresa
tra 22 e 65 anni e di 8 femmine di età compresa tra 35 e 54 anni.
L’esposizione a stirene, determinata attraverso il monitoraggio biologico dei suoi metaboliti urinari, acido mandelico + fenilgliossilico, è di
seguito riassunta: valore medio 149 mg/g crea (DS 80 mg/g crea), valore
mediano 120 mg/g crea, range 20-410 mg/g crea (ACGIH BEI 2006, Acido mandelico + acido fenilgliossilico urine di fine turno = 400 mg/g
crea).
Il L(A)eq è risultato pari a 73 dB(A), valore per il quale non sono attesi danni all’udito. Dalla time history si è dedotto che si trattava di rumore di tipo stazionario con un unico impulso durante il Te di osservazione pari a 101.9 dB Lpk(lin).
I risultati delle audiometrie sono riportati in Tabella I che riassume i
valori mediani della soglia uditiva di gruppo rappresentati per frequenza.
La figura 1 riassume visivamente quanto riportato nella tabella precedente.
Analizzando la morfologia del tracciato del gruppo degli esposti
(Esp) si evidenzia rispetto ai controlli (Cont):
– normoacusia per le basse e medie frequenze;
– lieve deficit di tipo neurosensoriale sulle alte ed altissime frequenze;
– maggiore indebolimento uditivo per le frequenze di 4, 6 KHz con livelli rispettivamente pari a 20 e 25 dB.
Ai fini dello studio statistico, come in precedenza descritto, per rendere i campioni omogenei, sono stati estratti 20 individui di sesso maschile maschi e 4 di sesso femminile. Analoga operazione è stata fatta per
il gruppo dei controlli. L’età media nei due campioni è risultata esattamente pari a 36 anni.
Confrontando la morfologia e la perdita uditiva del tracciato dei campioni risultanti con il tracciato degli interi gruppi in esame (Figura 1) le
stesse differenze rimangono inalterate ed è ben visibile la sovrapponibilità degli audiogrammi (Fig. 2 e Fig. 3).
Per tutte le frequenze indagate (0.5-1-2-3-4-6-8 KHz) il campione
esposto a solventi ha evidenziato un valore mediano peggiore rispetto al
campione di controllo.
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Tabella I. Valori mediani della soglia uditiva
Figura 1. Soglie uditive di gruppo (valore mediano)
Figura 2. Soglia uditiva del campione degli esposti (valore mediano
AuDx)
Figura 3. Soglia uditiva del campione dei controlli (valore mediano
AuDx)
Questi risultati sono stati tutti sottoposti al test statistico della mediana. La differenza ha assunto significatività statistica (p < 0.05) per tutte le frequenze eccetto gli 8KHz dell’orecchio destro.
279
CONCLUSIONI
I limiti principali del presente studio
risiedono nella scarsa numerosità dei soggetti indagati. Tuttavia i dati sin qui raccolti sembrerebbero avvalorare l’ipotesi
che l’esposizione a stirene possa determinare un lieve (inferiore o uguale a 25 dB)
deficit neurosensoriale sulle alte frequenze simile a quello conseguente al rumore
cronico. I risultati sono concordi con
quanto già descritto in letteratura (17).
Il deficit osservato, pur manifestandosi con un lieve impairment uditivo statisticamente significativo rispetto ai controlli non è d’intereresse ai fini medicolegali e non compromette in modo importante l’udito sociale.
È comunque auspicabile la prosecuzione della presente esperienza
attraverso valutazioni che possano contare su una numerosità più elevata
e su test audiologici oggettivi (potenziali evocati uditivi, otoemissioni
acustiche).
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280
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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COM-12
NEUROLOGICAL AND NEUROPSYCHOLOGICAL FEATURES IN
PARKINSONIAN PATIENTS EXPOSED TO NEUROTOXIC METALS
R. Lucchini1, E. Albini1, L. Benedetti1, S. Zoni1, A. Caruso1, E. Nan1,
P. Pasqualetti2, P. M. Rossini2, G. Binetti3, L. Benussi3, G. Parrinello4,
R. Gasparotti5, A. Padovani6, F. Draicchio7, L. Alessio1
1 Department of Applied and Experimental Medicine, Section of
Occupational Health, University of Brescia, Italy
2 Fatebenefratelli Association for Research (AFaR), Rome, Italy
3 Laboratory of Neurobiology, IRCCS Centro San Giovanni di Dio
Fatebenefratelli, Brescia, Italy
4 Section of Statistics and Biometry, University of Brescia, Italy
5 Section of Neuroradiology, University of Brescia, Italy
6 Clinic of Neurology, University of Brescia, Italy
7 National Institute for Work Prevention and Safety, ISPESL, Rome
Corrispondenza: Roberto Lucchini, Department of Applied and
Experimental Medicine, Section of Occupational Health, University of
Brescia, Italy, Pl.e Spedali Civili 1, 25123 Brescia, Italy, Tel: 030
3996604, Fax: 030 3996080, e-mail: [email protected]
ABSTRACT. Background: Environmental exposure to heavy metals
and especially manganese (Mn) took place in Valcamonica, Italy, where a
high prevalence of Parkinsonism was observed (age and sex standardized
407/100,000; 95% CI: 393.87-420.12), and the Standardized Morbidity
Ratios was associated with environmental Mn levels.
Methods: A cross sectional study compared Parkinsonian patients
residents in Valcamonica with patients from Brescia, Italy. Age- and sexmatched healthy individuals were recruited as controls. The protocol
included information on clinical, occupational, residential history and
life habits, neuro-psychological testing, and assessment of genetic
polymorphism.
Results: The target group included 65 patients and 52 controls from
Valcamonica, 28 patients and 14 controls from Brescia. Age at onset of
the disease was lower in women from both areas. After adjusting for age
and age at onset, patients from Valcamonica showed more severe motor
impairment at the UPDRS scale, higher damage of cognitive and motor
functions at MMSE, Token and Trial Making tests. Genetic variables
showed a different allelic distribution of DRD4 gene between cases and
controls, outside Valcamonica, where a less frequent familiarity for
parkinsonism was reported.
Conclusions: Parkinsonian patients with previous exposure to metals
showed a more severe neuropsychological phenotype, without detectable
contribution from genetic factors.
Key words: Parkinsonism, heavy metals, environmental exposure,
neuropsychological impairment.
VARIABILI
NEUROLOGICHE E NEURO-COMPORTAMENTALI IN SOGGETTI
PARKINSONIANI ESPOSTI A METALLI NEUROTOSSICI
RIASSUNTO. Una prolungata esposizione ambientale e metalli pesanti e a manganese (Mn) si è verificata in Valcamonica, per la presenza
di industrie di ferroleghe. In questa zona è stata osservata una elevata prevalenza di parkinsonismo (407/100,000; 95% IC: 393.87-420.12, standardizzata per età e sesso), e gli SMR sono risultati associati alle concentrazioni ambientali di Mn.
METODI: Uno studio trasversale ha esaminato pazienti parkinsoniani residenti in Valcamonica e nell’area metropolitana di Brescia, con corrispondenti controlli sani. Il protocollo di valutazione ha compreso l’anamnesi clinica e fisiologica, residenziale e lavorativa, test neuropsicologici e la valutazione di polimorfismi genetici.
RISULTATI: Sono stati esaminati 65 pazienti e 52 controlli sani residenti in Valcamonica, 28 pazienti e 14 controlli sani non residenti in Valcamonica. L’età di insorgenza della patologia è risultata inferiore per le donne
di entrambe le aree. Dopo aggiustamento per età ed età di insorgenza, i pazienti della Valcamonica hanno evidenziato una maggiore compromissione
motoria all’UPDRS, e cognitiva ai test MMS, Token e Trial Making. Le variabili geniche hanno evidenziato una minore familiarità per disturbi parkinsoniani nei pazienti della Valcamonica, ed una differente distribuzione allelica del gene DRD4 fra casi e controlli nei pazienti di Brescia.
CONCLUSIONI: La prolungata esposizione a metalli neurotossici
potrebbe causare una più grave espressione fenotipica della patologia, in
assenza di un ruolo significativo delle variabili geniche.
Parole chiave: Parkinsonismo, metalli, manganese, esposizione ambientale, funzioni neuropsichiche.
INTRODUCTION
The evidence for environmental contribution in the aetiology of
Parkinsonian Syndromes (PS) including Idiopathic Parkinson’s Disease
(IPD) and Parkinsonism is constantly growing (Brown et al., 2005). Several
environmental factors have been studied and include agricultural activities,
rural residence, exposure to pesticides and herbicides, and farming
(Semchuk et al., 1992). Recent studies with more detailed assessment of
pesticide exposure have defined a 1.5- to 7-fold increased risk of
Parkinsonian disorders (Kamel and Hoppin, 2004), and low vs no exposure
odds ratio (OR) = 1.13, 95% CI 0.82 to 1.57, high vs no exposure, OR =
1.41, 95% CI 1.06 to 1.88 (Dick et al., 2007). Industrial activities have also
been considered, including exposure to hydrocarbons (Pezzoli et al., 2000),
steel/alloy production, exposure to metals such as manganese (Mn) during
welding operations (Racette et al., 2005). The neurotoxic effects of this
essential element are well known in exposed workers and consist of dosedependent alterations of motor and cognitive functions that may lead to a
simil-parkinsonian feature with marked aggressivity, due to exposure higher
than 1 mg/m3 of Mn in total dust (Šarić and Lucchini, 2007). Recently,
exposure due to industrial and vehicular emission of Mn through
methylcyclopentadienyl manganese tricarbonyl (MMT) has been associated
to an increased prevalence of parkinsonism in the population with an OR of
1.034 (1.00-1.07) per 10 ng/m3 increase in Mn in total suspended particles
(Finkelstein and Jerrett, 2007). Environmental exposure to Mn took place
for almost a century in Valcamonica, Italy, a valley in the Italian pre-Alp,
due to the operations of ferroalloy plants. A high prevalence of Parkinsonism
was observed in this area (age and sex standardized 492/100,000; 95% CI:
442.80-541.20) and resulted significantly higher (Kruskal-Wallis χ2 1 df
=17.55, P<0.001) compared to other areas of the same province of Brescia,
Italy (Lucchini et al., 2007). The Standardized Morbidity Ratios was also
associated with the concentrations of Mn in settled dust.
METHODS
A cross sectional study was planned in the province of Brescia, to
compare Parkinsonian patients residents in Valcamonica with patients
from other areas, mainly resident in the metropolitan area of Brescia,
Italy. The case definition was not limited to the diagnostic criteria for IPD
(the four cardinal signs of rest tremor, bradykinesia, rigidity, and
impaired postural reflexes), but extended to a broader classification of
Parkinsonism, as defined by the presence of at least two of the four
cardinal signs (Elbaz et al., 2002). Vascular and drug-induced
Parkinsonism were excluded, as unrelated to environmental exposure.
Age- and sex-matched healthy individuals were recruited as controls
from both target areas of Valcamonica and Brescia. The protocol included
information on clinical, occupational, residential history and life habits.
Neuro-psychological testing included neurological examination with the
Unified Parkinson Disease Rating Scale (UPDRS), the Mini Mental State
Examination (MMSE), Token Test, Raven Coloured Matrices, Verbal
Fluency (phonemic and semantic), Rey Copy and Recall, Digit Span,
Trail Making Test A and B, and the Beck Depression Inventory. Genetic
polymorphism was examined for the genes involved in dopamine
metabolism (DRD1, DRD2, DRD3, DRD4, COMT), and for APOE and
CST3 genes that have been related to PS (Li et al., 2004). A preliminary
statistical analysis was conducted by comparing socio-demographic
variables, neuro-psychological and genetic features in cases and controls
from both residential areas of Valcamonica and Brescia. A two-ways
analysis of variance was conducted considering a first nominal factor
related to cases/controls classification and a second one related to the
residential area. Potential confounders like age and sex were used as
covariates in the model. Parameters of serum copper, iron, zinc,
ceruloplasmin and transferrin, peroxides and antioxidants biomarkers
were also assessed and the results are presented elsewhere (Squitti et al,
2007). The protocol included additional examinations that will be
reported in future publications, including the brain MRI scan, focused on
the globus pallidus that is the elected site of Mn deposition (Lucchini et
al., 2000), tremorimetric measurements, and the determination of
exposure biomarkers to various neurotoxic metals including lead and Mn.
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
RESULTS
A total number of 65 patients and 52 healthy controls residents in
Valcamonica, and 28 patients and 14 controls from the Brescia area were
examined. Age and sex variables did not result as balanced between cases
and controls with cases from Valcamonica older than the other groups and
controls and women more represented among the controls from
Valcamonica and the cases from Brescia. Therefore, age and sex were used
as covariates to control their influence on the health outcomes. The total
duration of residency in the same area after controlling for age, did not
differ among the four subgroups. The age at onset was significantly lower
among women (60.93±1.26) compared to men (65.96±1.77),
independently from the residential area. After adjusting for age and sex,
Parkinsonian patients from Valcamonica showed a more severe impairment
of several Neuropsychological tests exploring cognitive and motor
functions (table I). The UPDRS showed a significant contribution of the
residential area in the model, with cases from Vacamonica showing higher
impairment of motor functions. Parkinsonian patients from Valcamonica
showed also lower cognitive performance at MMSE Token test.
Regarding genetical factors, the prevalence of familiarity for PS
resulted more frequent among cases from Brescia compared to the
corresponding controls (36% vs. 22%). The allelic distribution of gene
DRD4 resulted significantly different between cases and controls
residents in the area of Brescia (MonteCarlo test p=0,041-T1; p=0,012T2) (fig. 1) and not between cases and controls residents in Valcamonica.
281
hypothesize that in this population the environmental factors were important
determinant for the expression of the disease. There was no evidence, on the
other hand, that genetic factors have contributed substantially to the
aetiology and this confirms other recent observations (Dick at al., 2007b).
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5) Finkelstein MM, Jerrett M. A study of the relationships between
Parkinson’s disease and markers of traffic-derived and
DISCUSSION AND CONCLUSIONS
environmental manganese air pollution in two Canadian cities.
The population examined was composed of Parkinsonian cases and
Environ Res, 104(3): 420-32, 2007.
healthy sex- and age-matched controls from two different geographical
6) Li YJ, Hauser MA, Scott WK, Martin ER, Booze MW, Qin XJ, Walter
areas of the same province of Brescia, one of the most industrialized areas
JW, Nance MA, Hubble JP, Koller WC, Pahwa R, Stern MB, Hiner
of Northern Italy. The areas included Valcamonica, where a high prevalence
BC, Jankovic J, Goetz CG, Small GW, Mastaglia F, Haines JL,
of parkinsonism was observed as related to the presence of ferroalloy
Pericak-Vance MA, Vance JM. Apolipoprotein E controls the risk and
foundries that caused prolonged environmental exposure to heavy metals
age at onset of Parkinson disease. Neurology, 62(11): 2005-9, 2004
and especially Mn. The reference area was the metropolitan area of Brescia
7) Lucchini R, Albini E, Placidi D, Gasparotti R, Pigozzi MG, Montani
that cannot be truly considered as unexposed, but most likely with lower
G, Alessio L Brain Magnetic Resonance Imaging And Manganese
exposure levels to metals, as resulted from previous local air and soil
Exposure. Neurotoxicol, 21 (5): 769-776,2000.
monitoring (Lucchini et al., 2007). This study aimed to assess the clinical
8) Lucchini RG, Albini E, Benedetti L, Borghesi S, Coccaglio R,
features of neurological and neuropsychological phenotype in Parkinsonian
Malara EC, Parrinello G, Garattini S, Resola S, Alessio L. High
patients resident in the two target areas. The results of neuropsychological
prevalence of parkinsonian disorders associated to manganese
testing showed a more severe expression of the disease phenotype,
exposure in the vicinities of ferroalloy industries. Am J Ind Med,
regarding both motor and cognitive functions, in patients from the exposed
50(11): 788-800, 2007.
area. Although the role of exposure to heavy metals and particularly to Mn,
9) Pezzoli G, Canesi M, Antonini A, Righini A, Perbellini L, Barichella
remains to be further assessed with dose-response analysis, we can
M, Mariani CB, Tenconi F, Tesei S, Zecchinelli A, Leenders KL.
Hydrocarbon
exposure
and
Table I. Performance at motor and cognitive tests in parkinsonian patients
Parkinson’s disease. Neurol, 55(1 of
from Valcamonica and Brescia
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Oxidative Stress In Parkinson’s
Disease From Industrial Arease
With Exposition To Environmental
Toxins Or Metal Pollution [in
Italian]. G Ital Med Lav Egon, this
Figure 1. Allelic distribution in Parkinsonian cases and controls resident in the area of Brescia
issue, 2007.
282
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
COM-13
ESPOSIZIONE AD IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI
NELLO STAMPAGGIO DELLA GOMMA
P.E. Cirlaa, I. Martinottia, E. Mossinib, S. Tieghib, E. Antoniazzic,
L. Gallic, D. Pavesic, S. Fustinonia, L. Campoa, V. Foàa, A.M. Cirlac
a
Università degli Studi di Milano e Fondazione “Ospedale Maggiore
Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena” (IRCCS), Dipartimento di
Medicina del Lavoro, Milano
b A.S.L. della Provincia di Mantova, Dipartimento di prevenzione
medico, Servizio Prevenzione Sicurezza Ambienti di Lavoro (SPSAL),
Mantova
c A.O. “Istituti Ospitalieri di Cremona”, Unità Operativa Ospedaliera di
Medicina del Lavoro (UOOML), Cremona
Corrispondenza: Piero Emanuele Cirla, Tel. 02.50320.110, Fax 02.50320.111,
e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. Nell’ambito dei diversi agenti chimici con cui possono venire in contatto i lavoratori nell’industria della gomma, una particolare attenzione è posta alla possibile esposizione aerea e cutanea, agli
Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) presenti negli oli e nel nerofumo
utilizzati nelle mescole. La problematica appare oggi controversa alla luce degli ultimi sviluppi tecnologici. Dal punto di vista tossicologico, al
di là di effetti irritanti su mucose e congiuntive evidenti per alte esposizioni, di sicuro rilievo appare il potenziale cancerogeno riconosciuto ad
alcuni IPA dalla IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) e dall’Unione Europea. Negli ultimi due, con il gruppo di lavoro
dello Studio PPTP-Gomma (Progetto Prevenzione Tumori Professionali
- Lavorazione della gomma) della Regione Lombardia, è stato condotto
uno studio finalizzato a verificare gli attuali livelli espositivi nel settore.
I risultati del monitoraggio ambientale (16 IPA ritenuti di maggiore importanza dall’agenzia americana per la protezione dell’ambiente, EPA) e
biologico (escrezione di 1-idrossipirene urinario), sono paragonabili ai
livelli espositivi rilevati in altri studi su lavoratori esposti a basse ed accettabili dosi.
Parole chiave: idrocarburi policiclici aromatici, industria della gomma, 1-idrossipirene.
EXPOSURE
TO
POLYCYCLIC AROMATIC HYDROCARBONS (PAH)
FORMING INDUSTRY
IN RUBBER
INTRODUZIONE
L’industria della gomma è un settore produttivo molto complesso
che, pur impiegando cospicue risorse tecnologiche, si avvale ancora di
caratteristici impegni dell’uomo e della sua manualità (1). Nell’ambito
dei diversi agenti chimici con cui possono venire in contatto gli addetti
alle lavorazioni, una particolare attenzione viene posta alla possibile
esposizione, per via aerea e per via cutanea (2), agli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) presenti negli oli e nel nerofumo utilizzati nelle mescole. Dal punto di vista tossicologico, al di là di effetti irritanti su mucose e congiuntive evidenti per alte esposizioni, di sicuro rilievo è in questo senso il potenziale cancerogeno per cute e apparato respiratorio riconosciuto ad alcuni IPA dalla IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) (3-4) e dall’Unione Europea (frase di rischio “R45 - può
provocare il cancro”).
La problematica, di primario interesse per la medicina del lavoro, appare oggi controversa alla luce degli ultimi sviluppi tecnologici e dell’esiguità dei numeri relativi alle malattie professionali segnalate negli ultimi anni. Attualmente non è tecnicamente possibile l’eliminazione di queste sostanze dal ciclo produttivo e l’utilizzo di un ciclo chiuso può riguardare solo la produzione delle mescole. In particolare tra gli olii derivati per raffinazione dei petroli, si osserva un contenuto crescente di IPA
passando da quelli raffinati “al solvente”, a quelli raffinati “al vapore” ed
ai cosiddetti “olii aromatici”; per il nerofumo, a partire dagli anni ‘70, il
tenore in IPA è stato progressivamente ridotto (oggi nella maggior parte
dei casi è inferiore ad 1 ppm).
Nel corso degli ultimi due anni, con il gruppo di lavoro dello Studio
PPTP-Gomma (Progetto Prevenzione Tumori Professionali - Lavorazione della gomma) della Regione Lombardia (5), sono state progettate e
condotte una serie di indagini di monitoraggio ambientale e biologico finalizzate a verificare gli attuali livelli espositivi ad IPA nelle lavorazioni
di stampaggio della gomma.
MATERIALI E METODI
Basandosi sul database integrato INAIL/ISPESL/Regione e sulla
memoria storica del servizio di prevenzione locale, sono state individuate e catalogate con sopralluogo standardizzato tutte le realtà produttive
con attività di stampaggio gomma presenti nella provincia di Mantova;
sono state quindi coinvolte nella campagna, anche con indagini ripetute,
6 aziende per un totale di 60 soggetti maschi addetti allo stampaggio della gomma (età media 36 anni, DS 8). L’indagine si è svolta nei mesi tra
settembre e ottobre dell’anno 2006, durante un’intera giornata lavorativa
in ambiente chiuso sito in zona periferica con scarso traffico veicolare.
Tutti i lavoratori, informati su metodi e finalità dell’indagine, hanno
espresso libero consenso a partecipare allo studio. Ogni soggetto è stato
sottoposto ad intervista con ausilio di questionario per il controllo di fattori di confondimento (cibo, fumo di sigaretta), monitoraggio ambientale
personale dell’esposizione per via aerea e monitoraggio biologico. Il 33%
ABSTRACT. Among various chemical agents present at the
workplaces in the rubber industry, a particular attention was adressed to
the Polycyclic Aromatic Hydrocarbons (PAH) contained in oil and
carbon black, but some questions
Tabella I. Risultati monitoraggio ambientale dello Studio PPTP-Gomma
regarding level of exposure are also
controversially discussed. The literature
reports that PAH may have irritant
effects; moreover, some of these have
been recognized as probably or possibly
carcinogenic to human by the
International Agency for Research on
Cancer, the European Union, and other
institutions. In Lombardy, a study aimed
to evaluate the occupational exposure in
the rubber forming industry was planned
during last two years. The results of
environmental air monitoring (the 16
most relevant, according to the American
Environmental Protection Agency, EPA)
and biological monitoring (urinary 1hydroxypyrene excretion) show that PAH
exposure in these workers is not higher
than that observed in other study
regarding low level and acceptable
exposure.
Key words: Polycyclic aromatic
hydrocarbons, rubber industry, 1-hydroxypyrene.
* inferiore al limite di detezione (LOD)
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
283
Tabella II. Livelli ambientali (ng/m3) degli IPA più importanti per gli effetti cancerogeni (sono
indicati i Toxicity Equivalence Factors - TEF dell’EPA; composto di riferimento Benzo[a]pirene),
dello Studio PPTP-Gomma ed in Aree urbane italiane (medie annuali di dieci anni)
Tabella III. Risultati monitoraggio biologico con 1-idrossipirene
urinario (ng/g creatinina) dello Studio PPTP-gomma: mediana
(5°-95° percentile)
RISULTATI
I risultati del monitoraggio ambientale indicano una modesta dispersione in aria
degli IPA oggetto di indagine (Tabella I).
Rispetto ai pochi valori limite esistenti (TRK tedeschi, MPC polacchi e
norvegesi), le concentrazioni di benzo(a)pirene, dibenzo(a,h)antracene e naftalene risultano mediamente inferiori di
vari ordini di grandezza. Le concentrazioni di IPA altobollenti misurate, ed in
particolare il benzo(a)pirene, sono comprese nel range riscontrabile in un’area
metropolitana (Tabella II) e paragonabili
ai livelli espositivi rilevati in altri studi su
lavoratori esposti a basse dosi (6-10).
I risultati del monitoraggio biologico
(Tabella III e Figura 1), indicativi dell’assorbimento per via aerea e cutanea, mostrano nei soggetti fumatori e
non fumatori, un andamento crescente di 1-idrossipirene passando dal baseline a inizio turno ed a fine turbo al limite della significatività statistica (t-test per dati appaiati) e comunque di modesta entità. Nel complesso
i valori del metabolita non mostrano un significativo incremento legato
allo svolgimento dell’attività di stampaggio della gomma e tengono conto del contributo derivante dal fumo di sigaretta.
CONCLUSIONI
L’esposizione ad IPA altobollenti, incluso il benzo(a)pirene, nelle lavorazioni di stampaggio della plastica monitorate non si differenzia significativamente da quella che possono sperimentare alcune categorie di
lavoratori delle aree urbane, rientrando negli ambiti dell’accettabilità. Nel
complesso il rischio per la salute legato all’esposizione ad IPA ed al loro
assorbimento risulta essere in genere non significativo (11-12). Ai fini
della valutazione del rischio, occorre tuttavia sottolineare che in situazioni dove l’impianto di aspirazione non mostri caratteri di efficienza ed efficacia (13), possono riscontrarsi valori ambientali e biologici meritevoli
di maggiore attenzione e di più approfondita valutazione.
RINGRAZIAMENTI
Studio realizzato con il finanziamento della Regione Lombardia
(DGR VII/18344 23/7/2004) ed il supporto del Laboratorio di Igiene e
Tossicologia degli “Spedali Civili” di Brescia.
Figura 1. Valori di 1-idrossipirene (ng/g creatinina)
presenta abitudine al fumo di tabacco (media di 13 sigarette al dì). Tutti i
soggetti utilizzavano, come dispositivi di protezione individuale, tuta da
lavoro in cotone, scarpe antinfortunistiche e guanti (al bisogno).
Il monitoraggio ambientale è stato effettuato mediante campionatori
personali attivi posizionati in zona respiratoria (durata di almeno 4 ore,
flusso 2 l/min), con sistema a doppio corpo (membrana in PTFE per la
frazione inalabile del particolato aerodisperso e fiala con XAD2 per la fase vapore). Per il monitoraggio biologico ogni soggetto a fornito tre campioni di urina: il primo raccolto al mattino dopo due giornate di astensione dal lavoro (baseline), gli altri due raccolti all’inizio ed alla fine del turno di lavoro durante il quale si è svolto il monitoraggio ambientale (dopo almeno due giornate di attività). La determinazione della concentrazione dei 16 IPA ritenuti di maggiore rilevanza tossicologica dall’Environmental Protection Agency (EPA) e dell’1-idrossipirene urinario (1HOP) è avvenuta mediante cromatografia liquida ad elevate prestazioni
(HPLC) con rilevatore spettrofluorimetrico.
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COM-14
MONITORAGGIO BIOLOGICO NELLO STAMPAGGIO
DI PLASTICHE E GOMME
S. Fustinoni1, L. Campo1, A.M. Cirla2, P.E. Cirla1, V. Cutugno3,
C. Lionetti3, I. Martinotti1, E. Mossini4, V. Foà1
1 Clinica del Lavoro, Università degli Studi di Milano e Fondazione IRCCS
Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena, Milano
2 U.O. Ospedaliera Medicina del Lavoro (UOOML), A.O.”Istituti
Ospedalieri”, Cremona
3 U.O. Laboratorio Chimico, ASL Provincia Varese, Varese
4 SPSAL Dipartimento Prevenzione Medico, ASL Provincia di Mantova,
Mantova
Corrispondenza: Silvia Fustinoni, Clinica del Lavoro “L. Devoto”,
Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e
Regina Elena, Via S. Barnaba, 8, 20122 Milano, e-mail:
[email protected]
RIASSUNTO. Questa indagine è stata svolta nel comparto dello
stampaggio di plastiche e gomme, nell’ambito del “Progetto Prevenzione
Tumori Professionali” promosso dalla regione Lombardia con lo scopo di
predisporre e attuare protocolli per la valutazione dell’esposizione a sostanze cancerogene attraverso il monitoraggio biologico. Sono state esaminate le realtà di stampaggio del polimero termoplastico ABS, della
gomma e di resine termoindurenti contenenti formaldeide. Le sostanze
cancerogene identificate in questi processi sono state: 1,3-butadiene, acrilonitrile e stirene nello stampaggio di ABS; idrocarburi policiclici aromatici (IPA) nello stampaggio della gomma; formaldeide nello stampaggio di resine termoindurenti. Solo per alcune di queste sostanze sono disponibili indicatori biologici. La limitata contaminazione ambientale nello stampaggio di ABS e le caratteristiche intrinseche degli indicatori proposti per 1-3 butadiene hanno determinato la non applicabilità del monitoraggio biologico a questa situazione lavorativa. La assenza di un indicatore biologico di esposizione a formaldeide ha reso anche questa situazione non indagabile. L’esposizione nello stampaggio gomma è stata invece studiata in 19 lavoratori applicando la misura degli IPA urinari non
metabolizzati. I livelli degli indicatori sono risultati confrontabili con
quelli misurati in altri gruppi di soggetti privi di esposizione professionale a IPA, confermando una esposizione lavorativa limitata.
Parole chiave: monitoraggio biologico, stampaggio gomma, idrocarburi policiclici aromatici.
BIOLOGICAL MONITORING IN THE MOLDING OF PLASTICS AND RUBBERS
ABSTRACT. This survey was carried out in the molding of plastics
and rubbers, in the “Professional Cancer Prevention Project” sponsored
by the Lombardy region with the objective of developing and
implementing protocols for evaluating exposure to carcinogens through
the biological monitoring. The realities of molding the thermoplastic
polymer ABS, rubber, and thermosetting plastics containing
formaldehyde were examined. The carcinogenic substances identified in
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these processes were: 1,3-butadiene, acrylonitrile and styrene in molding
ABS, polycyclic aromatic hydrocarbons (PAH) in molding rubber, and
formaldehyde in molding the thermosetting plastics. Only for some of
these substances biological indicators are available. The limited
exposure to airborne chemicals in molding ABS and the intrinsic
characteristics of biological indicators available for 1-3 butadiene have
determined the non applicability of biological monitoring to this
situation. The absence of a biological indicator of exposure to
formaldehyde has made this situation not investigable. Exposure in the
rubber molding was studied in 19 subjects applying the determination not
metabolized PAH in urine. The levels of these indicators were similar to
those measured in other groups of subjects without occupational
exposure to PAH, confirming a low airborne contamination in this
workplace.
Key words: biological monitoring, molding rubber, polycyclic
aromatic hydrocarbons.
INTRODUZIONE
Questa indagine è stata svolta nel comparto dello stampaggio di plastiche e gomme, nell’ambito del “Progetto Prevenzione Tumori Professionali” promosso dalla regione Lombardia con lo scopo di predisporre e
attuare protocolli per la valutazione dell’esposizione a sostanze cancerogene attraverso il monitoraggio biologico. Sono state esaminate tre realtà
produttive particolarmente rappresentate nelle province di Varese, Cremona e Mantova: lo stampaggio del polimero ABS, lo stampaggio della
gomma e la lavorazione di resine termoindurenti contenenti formaldeide
(es: bakelite e resina ureica).
Nello stampaggio di ABS come agenti di rischio sono stati identificati i monomeri costituenti il polimero 1,3-butadiene, acrilonitrile e stirene, che possono trovarsi residui nel polimero e/o formarsi per decomposizione durante lo stampaggio a caldo. Nello stampaggio gomma come
agenti di rischio sono stati identificati gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) che sono contenuti negli oli e nel nerofumo addizionati alla mescola nella fase di preparazione della gomma e che possono liberarsi/formarsi per decomposizione durante lo stampaggio a caldo. Nella lavorazione delle resine termoindurenti l’agente di rischio è la formaldeide libera, che può liberarsi durante lo stampaggio per compressione.
In Tabella I per ciascuna delle sostanze identificate come agenti di rischio sono riportate: la classificazione di cancerogenicità secondo la
Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), i valori limite
per gli agenti aerodispersi negli ambienti di lavoro secondo le raccomandazioni della associazione governativa degli igienisti industriali americani (ACGIH, 2007) e i relativi indicatori biologici di esposizione.
Nella presente indagine i risultati del monitoraggio ambientale per la
valutazione dell’esposizione a questi agenti di rischio sono stati incrociati con le informazioni sugli indicatori biologici disponibili per valutare la
fattibilità ed eventualmente applicare un protocollo di monitoraggio biologico dell’esposizione in queste realtà produttive.
MATERIALI E METODI
Monitoraggio ambientale
Stampaggio ABS Sono state indagate 12 realtà produttive della provincia di Varese che stampano ABS per estrusione, per un totale di circa
60 campionamenti ambientali. Per 1,3-butadiene sono state utilizzate cartucce con Carbosive III collegate a campionatori operanti al flusso di 50
ml/min per circa 2 ore (Fustinoni e coll., 2004). Per misurare acrilonitrile e stirene sono state utilizzate cartucce contenenti Tenax TA collegate a
campionatori attivi operanti al flusso di 200 ml/min per circa 2 ore. Gli
analiti sono stati desorbiti termicamente ed analizzati in gascromatografia capillare accoppiata a rivelatore di fiamma. I limiti di quantificazione
sono pari a 1 µg/m3 per 1,3-butadiene, 10 µg/m3 per acrilonitrile e 1
µg/m3 per stirene.
Stampaggio gomme Sono stati indagati 19 soggetti addetti allo stampaggio gomma per compressione in realtà produttive della provincia di
Cremona e Mantova. La misura degli IPA aerodispersi è avvenuta accoppiando in serie una membrana in Teflon e una fiala XAD-2 collegate con
un campionatore operate al flusso di 2 L/min per circa 4 ore. 15 IPA sono stati quantificati dopo desorbimento con acetonitrile e analisi in HPLC
con rivelatore a fluorescenza (Campo e coll., 2006). I limiti di quantificazione sono stati: 2 ng/m3 per naftalene, 2 ng/m3 acenaftene, 0.2 ng/m3
fluorene, 1.4 ng/m3 fenantrene, 0.4 ng/m3 antracene, 0.4 ng/m3 fluoran-
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tene, 0.6 ng/m3 pirene, 0.08 ng/m3 crisene, 0.08 ng/m3 benzo[a]antrancene, 0.03 ng/m3 benzo[k]fluorantene, 0.2 ng/m3 benzo[b]fluorantene, 0.03
ng/m3 benzo[a]pirene, 0.07 ng/m3 dibenzo[a,h]antracene, 0.3 ng/m3 benzo[g,h,i]perilene, e 0.3 ng/m3 indeno[1,2,3 cd]pirene.
Lavorazione resine termoindurenti Sono stati effettuati campionamenti ambientali in 5 realtà produttive della provincia di Varese che stampano resine termoindurenti per un totale di circa 40 campionamenti. Per il
campionamento sono state usate cartucce di gel di silice impregnate con
2,4-dinitrofenilidrazina collegate con un campionatore operate al flusso di
200-400 ml/min per 2 ore o per brevi intervalli. Le cartucce sono state desorbite con acetonitrile e la formaldeide analizzata in HPLC con rivelatore UV (EPA TO-11A). Il limite di quantificazione del metodo è 15 µg/m3.
Monitoraggio biologico
IPA urinari nello stampaggio gomme Il monitoraggio dell’esposizione a IPA attraverso la misura degli IPA urinari non metabolizzati è stato
effettuato nei 19 soggetti (8 fumatori e 11 non fumatori) sottoposti a monitoraggio ambientale. A questi è stato chiesto di astenersi dal consumo
di cibi ad elevato contenuto di IPA il giorno precedente e durante la raccolta del campione biologico. Per ciascun soggetto sono stati raccolti tre
campioni di urina: uno all’inizio del turno di lavoro del primo giorno della settimana (BL), gli altri due uno a inizio (IT) e l’altro a fine turno (FT)
di un giorno nella seconda metà della settimana lavorativa. Informazioni
riguardanti lo stato di salute, le mansioni lavorative e l’abitudine al fumo
sono state ottenute con un questionario. I soggetti hanno aderito allo studio attraverso il consenso informato. La raccolta dell’urina e la determinazione di IPA urinari è stata effettuata, dopo campionamento degli analiti nello spazio di testa tramite microestrazione in fase solida, via analisi
gascromatografica con rivelatore di massa (Campo e coll., 2007). Sono
stati quantificati: naftalene (limite di quantificazione 25 ng/L), acenaftene (6 ng/L), acenaftilene (5 ng/L), fluorene (5 ng/L), fenantrene (2 ng/L),
antracene (2 ng/L), fluorantene (2 ng/L), pirene (4 ng/L), benzo[a]antracene (3 ng/L), e crisene (3 ng/L) urinari.
Analisi statistica
Per l’analisi statistica è stato utilizzato il programma SPSS 12.0 per
Windows. Agli analiti non misurabili è stato assegnato un valore pari alla metà del limite di quantificazione dei metodi. Per l’analisi statistica sono state usate tecniche parametriche dopo trasformazione dei dati nei corrispondenti logaritmi decimali per assicurare normalità alle distribuzioni.
Un valore di p<0.05 è stato considerato significativo.
285
2002). Considerato questi risultati e la presenza, nel caso degli indicatori
biologici di esposizione a 1,3-butadiene della notazione sui livelli di
background nella popolazione generale non esposta (ACGIH, 2007), non
si è ritenuto utile effettuare una campagna di monitoraggio biologico.
Stampaggio gomme Nei 19 soggetti indagati sono state trovate concentrazioni di IPA aerodispersi piuttosto modeste. Il composto più abbondante è il naftalene, con valore mediano di 1033 ng/m3, seguito da
fluorene con 84 ng/m3 e fenantrene con 55 ng/m3. Tutti IPA altobollenti
(più pesanti del pirene) hanno mostrato concentrazioni inferiori a 0.5
ng/m3, ed in particolare il livello di esposizione a benzo[a]pirene è risultato pari a 0.2 ng/m3.
La determinazione degli IPA urinari è stata comunque effettuata in
quanto questi analiti sono allo studio come possibili indicatori biologici
che consentano una valutazione dell’esposizione a una miscela di sostanze con la possibilità di includere anche composti ritenuti diretti responsabili dell’azione cancerogena (Campo e coll., 2007). Il naftalene e il fenantrene urinari sono risultati gli IPA presenti in maggiori quantità con
concentrazioni pari a 67, 115 e 131 ng/L e 22, 28 e 32 ng/L rispettivamente nei campioni BL, IT e FT. Gli altri IPA urinari bassobollenti, pur
presenti nella maggior parte dei campioni, sono risultati inferiori a 10
ng/L, mentre gli IPA altobollenti sono risultati sempre inferiori al limite
di quantificazione. Una correlazione significativa è stata trovata tra naftalene urinario e naftalene aerodisperso (r di Pearson 0.46). Per alcuni
analiti i valori BL sono risultati statisticamente inferiori ai valori FT. Nessuna differenza è stata osservata tra soggetti fumatori e non fumatori. I livelli degli indicatori sono risultati confrontabili con quelli misurati in altri gruppi di soggetti privi di esposizione professionale a IPA e quindi indicano una esposizione lavorativa limitata.
Lavorazione resine termoindurenti Mentre il tre aziende sono stati riscontrati livelli ambientali di formaldeide inferiori al limite di quantificazione del metodo (15 µg/m3), in altre due si sono trovati valori vicini o
superiori al valore limite TLV-Celing di 370 µg/m3, con punte di concentrazioni fino anche a 962 µg/m3. Per il monitoraggio biologico della formaldeide purtroppo non sono disponibili indicatori raccomandati da ACGIH. In letteratura è stato recentemente proposto l’utilizzo di addotti formaldeide-emoglobina in campioni di sangue periferico (Bono e coll.,
2006). Tuttavia i risultati di questo studio, che è da considerarsi preliminare, sono interlocutori in quanto questi addotti risultano presenti a livelli significativi anche nella popolazione non esposta e fortemente influenzati dall’abitudine al fumo di sigaretta, e questo suggerisce che possano
esserci difficoltà nel discriminare situazioni lavorative nelle quali le esposizioni ambientali siano a livelli confrontabili a quelli degli attuali limiti
di esposizione professionale. Nuove prospettive per la scoperta di indicatori biologici per l’esposizione a formaldeide si stanno apprendo con l’utilizzo di nuove tecnologie quali la proteomica (Im e coll., 2006).
RISULTATI E DISCUSSIONE
Stampaggio ABS Sono state trovate concentrazioni di 1,3-butadiene,
acrilonitrile e stirene molto modeste. Per 1,3-butadiene nella quasi totalità dei casi sono stati
Tabella I. Classificazione di cancerogenicità e valori limite ambientali e biologici per le sostanze di interesse
trovati valori inferiori
tossicologico identificate nelle realtà produttive indagate
al limite di quantificazione (1 µg/m3), con un
massimo di 6 µg/m3.
Per acrilonitrile il
100% dei risultati è inferiore al limite di
quantificazione
(10
µg/m3). Per lo stirene
aerodisperso sono stati
trovati valori nell’intervallo 1-20 µg/m3, ad
eccezione di un’azienda nella quale si sono
trovati livelli fino a
4000 µg/m3, a posteriori attribuiti allo stampaggio di manufatti in
polistirolo effettuato
nelle immediate vicinanze. Questi risultati
sono congruenti con
precedenti esperienze
pubblicate in letteratura (Forrest e coll.,
1995; Yoshida e coll.,
286
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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percentuale di comete è stato rilevato alla dose più elevata. I risultati evidenziano l’elevata sensibilità del comet assay nel rivelare precocemente
l’induzione di danno al DNA a basse dosi suggerendo l’utilizzo di tale test sulle A549 per valutare a livello dell’organo bersaglio gli effetti di miscele complesse di sostanze genotossiche.
Parole chiave: Idrocarburi policiclici aromatici, cokeria, Comet assay.
IN
VITRO STUDY OF GENOTOXIC AND OXIDATIVE EFFECTS INDUCED ON
HUMAN PULMONARY CELLS BY EXPOSURE TO
PAHS
EXTRACTED FROM
AIRBORNE PARTICULATE MATTER COLLECTED IN A COKE PLANT
ABSTRACT. Genotoxic and oxidative effect of airborne
particulate matter collected in a coke plant were evaluated on lung
epithelial cells (A549). We aimed to clarify the mechanism of action of
complex mixtures of PAHs and to identify biomarkers of effect of lung
cancer. Particulate matter was analysed by GC/MS. Genotoxic and
oxidative effects induced by the exposure to the extract were evaluated
by Fpg comet assay. The cells were exposed for 30 min, 2h and 4h to
0.01%, 0.02% and 0.05% of the extract. We evaluated comet percentage
and analysed tail moment values of exposed and unexposed cells
treated with Fpg enzyme (TMenz) and untreated (TM) that indicate
respectively oxidative and direct DNA damage. We found 0.328 ng/m3
of pyrene, 0.33 ng/m 3 of benzo(a)anthracene, 1.073 ng/m 3 of
benzo(b)fluoranthene, 0.22 ng/m3 of benzo(k)fluoranthene, 0.35 ng/m3
of benzo(a)pyrene, 0.079 ng/m3 of dibenzo(a,h)anthracene and 0.40
ng/m3 of benzo(g,h,i)perylene. A dose-dependent increase, although not
significant, of TM and TMenz in the exposed cells in respect to controls
was found that indicates a slight increase of both direct and oxidative
damage in exposed cells. A slight increase of comet percentage was
found at the highest dose. We show the high sensibility of comet assay
to measure early DNA damage also at low doses suggesting the use of
such test on A549 to evaluate on target organ the effects of complex
mixtures of genotoxic substances.
Key words: Polycyclic Aromatic Hydrocarbons, coke plant, Comet
assay.
COM-15
STUDIO IN VITRO DEGLI EFFETTI GENOTOSSICI ED OSSIDATIVI
INDOTTI SU CELLULE POLMONARI UMANE DALL’ESPOSIZIONE
AD IPA ESTRATTI DA MATRICI AMBIENTALI DI UNA COKERIA
1D.
1R.
Cavallo, 1C. L. Ursini, 2E. Pira, 2C. Romano, 1A. Ciervo,
Maiello, 3A. Caglieri, 1S. Iavicoli
1 Dipartimento di Medicina del Lavoro - ISPESL Monteporzio Catone
(RM)
2 Dipartimento di Traumatologia, Ortopedia e Medicina del lavoroUniversità degli Studi di Torino
3 Centro Studi e Ricerche ISPESL di Parma
Corrispondenza: Delia Cavallo, ISPESL - Dipartimento di Medicina del
Lavoro, via Fontana Candida 1, 00040 Monteporzio Catone (RM), email: [email protected]
RIASSUNTO. L’effetto genotossico ed ossidativo dell’estratto di
matrici ambientali raccolte in una cokeria è stato valutato su cellule A549
con lo scopo di chiarire i meccanismi d’azione di miscele complesse di
IPA ed identificare bioindicatori di effetto per la diagnosi precoce di tumore al polmone. Il particolato è stato analizzato mediante GM/MS. Gli
effetti genotossici ed ossidativi indotti dall’esposizione per 30 min, 2h e
4h a 0.01%, 0.02% and 0.05% dell’estratto sono stati valutati mediante
Fpg comet assay. Il danno al DNA è stato valutato analizzando nelle cellule esposte ed in quelle non esposte i valori di Tail moment da cellule
trattate con l’enzima Fpg (TMenz) e da cellule non trattate con l’enzima
(TM) indicativi rispettivamente di danno ossidativo e diretto al DNA. È
stata valutata inoltre la percentuale di comete. L’analisi del particolato ha
evidenziato nell’estratto 0.328 ng/m3 di pirene, 0.33 ng/m3 di
benzo(a)antracene, 1.073 ng/m3 di benzo(b)fluorantene, 0.22 ng/m3 di
benzo(k)fluorantene, 0.35 ng/m3 di benzo(a)pirene, 0.079 ng/m3 di dibenzo(a,h)antracene e 0.40 ng/m3 di benzo(g,h,i)perilene. Un non significativo incremento dose-tempo dipendente di TM e TMenz è stato individuato nelle cellule esposte rispetto al controllo indicando una lieve induzione di danno diretto e ossidativo al DNA. Un lieve aumento della
INTRODUZIONE
L’esposizione professionale dei lavoratori di cokeria è caratterizzata
principalmente dalla presenza nell’ambiente lavorativo di Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) emessi durante il processo di pirolisi del carbone in coke (1) ed avviene essenzialmente per inalazione e contatto cutaneo. Alcuni di questi composti sono classificati come probabili o possibili cancerogeni per l’uomo. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul
Cancro (IARC) ha infatti classificato l’attività di “produzione di coke”
quale sicuro cancerogeno per gli esseri umani, sulla base di evidenze sperimentali ed epidemiologiche di eccessi di rischio soprattutto per carcinoma polmonare (2). Sempre la IARC classifica nel gruppo 2A il benzo(a)pirene, il benzo(a)antracene e il dibenzo(a,h)antracene; nel gruppo
2B il benzo(b)fluorantene, il benzo(k)fluorantene e l’indeno (1,2,3cd) perilene; nel gruppo C il benzo(ghi)perilene, il crisene, il coronene, il fluorene, l’antracene, il pirene e il dibenzo(a,c)antracene (3).
L’esposizione lavorativa agli IPA emessi durante la produzione di
coke nelle attività di cokeria è stata correlata ad una aumentata incidenza
di tumori, in particolare a carico del polmone (4,5). Un recente studio di
Bosetti et al, 2007 (6), ha evidenziato un rischio relativo di 1,58 (CI 1,471,69) di insorgenza di tumori al polmone per i lavoratori addetti alla produzione di coke.
L’identificazione di biomarcatori precoci di effetto genotossico indotto dall’esposizione occupazionale a miscele complesse di IPA potrebbe fornire un utile contributo per la diagnosi precoce di tumore al polmone.
Nel presente studio l’effetto genotossico ed ossidativo dell’estratto di
matrici ambientali contenenti IPA raccolte nel reparto forni di una cokeria è stato valutato sulla linea cellulare A549, rappresentativa del tessuto
polmonare umano. Scopo dello studio è stato chiarire i meccanismi d’azione di miscele complesse di IPA anche a basse dosi presenti in alcune
realtà lavorative e l’identificazione di bioindicatori di effetto per la diagnosi precoce di tumore al polmone.
MATERIALI E METODI
Il particolato aerodisperso è stato raccolto su filtro in fibra di vetro
mediante un campionatore d’aria con flusso di aspirazione costante di 3
L/min, estratto con toluene mediante ultrasuoni ed analizzato per il con-
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tenuto in Pirene, Benzo(a)antracene, Benzo(b)fluorantene, Benzo(k)fluorantene, Benzo(a)pirene, Dibenzo(a,h)antracene, Benzo(g,h,i) perilene,
mediante gascromatografia/spettrometria di massa. L’analisi è stata effettuata con la tecnica del singolo ione, utilizzando come riferimento lo
Standard EPA contenente i 16 principali Idrocarburi Policiclici Aromatici presenti negli ambienti di vita e di lavoro.
Una linea continua rappresentativa di epitelio polmonare umano
(A549) (ATTC, Rockville, MD) è stata messa in coltura con terreno RPMI-164 (GIBCO BRL, Gaithersburg, MD) contenente siero fetale di vitello al 10%, 100 U/ml di penicillina e 100 µg/ml di streptomicina. Le
cellule sono state esposte per 30 min, 2h e 4h a 0.01%, 0.02% and 0.05%
dell’estratto di matrice ambientale disciolto in DMSO. Inoltre per ciascun punto sperimentale sono state utilizzate cellule non esposte come
controllo. Le cellule esposte e quelle di controllo sono state analizzate
mediante Fpg comet assay (7) che prevede, per ciascun caso, la preparazione di 2 vetrini con lo strato di agarosio contenente le cellule. Dopo il
trattamento con soluzione di lisi (2.5 M NaCl, 100 mM Na2EDTA, 10
mM Tris con 1% Triton X-100 e 10% DMSO) per 1 ora al buio, un vetrino viene incubato con l’enzima Fpg (1µg/ml) in soluzione tampone
(50 mM Na3PO4, 10 mM EDTA, 100 mM NaCl, pH 7.5), l’altro con il
solo tampone per 30 min a 37°C. I vetrini vengono quindi lasciati in tampone (1 mM Na2EDTA and 300 mM NaOH, pH 13) per 40 min e sottoposti a corsa elettroforetica a 25V e 300mA per 30 min, colorati con bromuro di etidio ed analizzati tramite microscopio a fluorescenza. I nuclei
delle cellule con danno al DNA appaiono come comete la cui percentuale è stata calcolata analizzando un totale di 1000 cellule. Per ciascun
vetrino sono state acquisite 50 comete ed è stato determinato mediante
una specifico software (Delta Sistemi, Roma) il valore di Tail moment
(dato dal prodotto dell’intensità di fluorescenza per la lunghezza della
coda della cometa) sia sulle comete da cellule trattate con l’enzima
(Tmenz), sia su quelle da cellule non trattate con Fpg (Tm). Tali parametri indicano rispettivamente un danno ossidativo (Tmenz) o diretto
(Tm) al DNA.
RISULTATI
L’analisi chimica dell’estratto ha evidenziato una concentrazione
ambientale di 0.328 ng/m3 di pirene, 0.33 ng/m3 di benzo(a)antracene,
1.073 ng/m3 di benzo(b)fluorantene, 0.22 ng/m3 di benzo(k)fluorantene,
0.35 ng/m3 di benzo(a)pirene, 0.079 ng/m3 di dibenzo(a,h)antracene e
0.40 ng/m3 di benzo(g,h,i)perilene.
I risultati del comet assay mostrati in figura 1, sono espressi come valori medi di tail moment relativi alle diverse concentrazioni di estratto utilizzate ed ai tre tempi di esposizione ed evidenziano un non significativo
incremento dose-tempo dipendente di TM e TMenz nelle cellule esposte
rispetto al controllo indicando una lieve induzione di danno diretto ed ossidativo al DNA. Un leggero aumento della percentuale di comete è stato inoltre rilevato alla dose più elevata senza marcate differenze relativamente ai tempi di esposizione (figura 2).
Figura 1. Valori medi di tail moment in cellule A549 esposte per 30
min (▲), 2 ore (●) e 4 ore (■) a diverse diluizioni dell’estratto di
matrice ambientale contenente IPA. Le linee tratteggiate si
riferiscono alle cellule non trattate con l’enzima Fpg, le linee
continue alle cellule trattate con l’enzima
287
Figura 2. Percentuali di comete valutate su cellule A549 esposte alle
diverse diluizioni di estratto dopo 30 min (▲), 2 ore (●) e 4 ore (■).
Le linee tratteggiate si riferiscono alle cellule non trattate con
l’enzima Fpg, le linee continue alle cellule trattate con l’enzima.
DISCUSSIONE
L’analisi del particolato raccolto nel reparto forni della cokeria in
studio ha evidenziato basse concentrazioni ambientali di IPA compresi
quelli appartenenti al gruppo 2A (benzo(a)pirene, benzo(a)antracene, dibenzo(a,h)antracene) e 2B (benzo(b)fluorantene, benzo(k)fluorantene),
della IARC, ossia sostanze con probabile e possibile effetto cancerogeno
per l’uomo.
I bassi livelli ambientali di IPA trovati concordano con i risultati
del comet assay che non hanno mostrato una significativa induzione
di effetti genotossici ed ossidativi alle diluizioni di estratto utilizzate,
anche se un leggero incremento dose-tempo dipendente di TM e
TMenz nelle cellule esposte rispetto al controllo è stato comunque
evidenziato. Tale risultato indica una lieve induzione di danno sia diretto che ossidativo al DNA in cellule di epitelio polmonare (A549)
esposte a miscele di IPA. Il nostro studio conferma l’elevata sensibilità della metodica del comet assay nel rivelare precocemente l’induzione di danno al DNA anche a basse dosi di esposizione e suggerisce
l’utilizzo di tale test sulle cellule di epitelio polmonare per valutare a
livello dell’organo bersaglio gli effetti di miscele complesse di sostanze genotossiche.
BIBLIOGRAFIA
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on Carcinogens. Research Triangle Park, NC: National Toxicology
Program, 70-71, 2002.
2) IARC, Monographs on the evaluation of carcinogenic risks to humans. Polynuclear Aromatic Compounds, Part 3, Industrial Exposure in Aluminium Production, Coal Gasification, Coke Production,
and Iron and Steel Founding, Lyon, vol 34, p 101, 1984.
3) IARC, Overall evaluations of carcinogenicity: an updating of IARC
Monographs, IARC Monogr Eval Carcinogenic risks Human suppl.
7:1-440, 1987.
4) Costantino JP, Redmond CK, Bearden A. Occupationally related cancer risk among coke oven workers: 30 years of follow-up. J Occup
Environ Med 37:597-604, 1995.
5) Boffetta P, Jourenkova N, Gustavsson P. Cancer risk from occupational and environmental exposure to polycyclic aromatic hydrocarbons. Cancer Causes Control 8:444-472, 1997.
6) Bosetti C, Boffetta P, La Vecchia C. Occupational exposures to
polycyclic aromatic hydrocarbons and respiratory and urinary tract
cancers: a quantitative review to 2005. Ann Oncol, 18(3):431-446,
2007.
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288
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COM-16
SIGNIFICATO E LIMITI DELLA CORREZIONE PER CREATININA
DEL CROMO E DELL’ARSENICO URINARI NEL MONITORAGGIO
BIOLOGICO DELL’ESPOSIZIONE PROFESSIONALE AI DUE
ELEMENTI METALLICI
A. Antelmi1, P. Lovreglio1, I. Drago1, L. Greco2, G. Meliddo1,
M.S. Manghisi1, F. Ferrara1, A. Basso1, L. Soleo1
1
Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica, Sezione di
Medicina del Lavoro “E.C. Vigliani”, Università di Bari
2 Direzione Sanitaria ILVA, Taranto
Corrispondenza: Prof. Leonardo Soleo, Dipartimento di Medicina
Interna e Medicina Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro “E.C.
Vigliani”, Policlinico - Piazza Giulio Cesare, 11, 70124 Bari, Tel. / Fax.:
++390805478201, e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. La correzione per creatinina viene utilizzata per eliminare l’influenza dell’effetto della diluizione delle urine sugli indicatori biologici di esposizione misurati in campioni estemporanei. La presente ricerca ha avuto lo scopo di studiare la validità della correzione per
creatinina del cromo e dell’arsenico urinari in soggetti della popolazione
generale in rapporto alle interferenze di cui risente l’escrezione della
creatinina.
Sono stati esaminati 444 soggetti di sesso maschile, ai quali è stato
somministrato un questionario anamnestico. Sulle seconde urine del mattino, il cromo e l’arsenico sono stati determinati mediante spettrofotometria ad assorbimento atomico e la creatinina mediante la metodica di
Jaffè.
La creatinina urinaria ha mostrato una significativa riduzione al crescere dell’età (p<0.001). I livelli di cromo sono risultati più elevati nei
soggetti affetti da patologie renali, in particolare dopo correzione per
creatinina (p=0.014).
L’età si correla negativamente con la creatinina urinaria (rho=-0.23;
p<0.001), e positivamente con cromo (rho=0.13; p=0.007) ed arsenico
(rho=0.17; p=0.004), solo dopo correzione per creatinina. Una correlazione positiva è stata anche osservata tra livelli urinari di creatinina e sia
cromo (rho=0.32; p<0.001) che arsenico (rho=0.18; p<0.001) non corretti, e tra questi ultimi due (rho=0.10; p=0.039). Un alto coefficiente di correlazione è stato osservato tra cromo (rho=0.88; p<0.001) ed arsenico
(rho=0.90; p<0.001) non corretto e le rispettive forme corrette. La regressione multipla ha evidenziato una dipendenza dall’età della creatinina urinaria e dei livelli di cromo ed arsenico dopo correzione per creatinina.
In conclusione, sebbene cromo e arsenico sembrano avere una cinetica di escrezione renale simile a quella della creatinina, l’influenza su
quest’ultima dell’età, suggerisce come più appropriata l’espressione dei
valori urinari di questi due elementi metallici in µg/L.
Parole chiave: creatinina urinaria, cromo urinario, arsenico urinario,
monitoraggio biologico.
SIGNIFICANCE AND
LIMITATION OF CREATININE ADJUSTMENT FOR URINARY
CHROMIUM AND ARSENIC IN BIOLOGICAL MONITORING OF OCCUPATIONAL
EXPOSURE TO THESE METALLIC ELEMENTS
ABSTRACT. Creatinine adjustment has been used to remove the
influence of the effect of urine dilution on exposure biomarkers measured
in spot samples. This research aimed to determine the reliability of
creatinine adjustment for urinary chromium and arsenic in subjects from
general population considering interferences able to influence creatinine
excretion.
444 male subjects were examined and each participant was
administered an anamnestic questionnaire. Chromium and arsenic were
determined on second morning void urine samples by atomic absorption
spectrophotometry and creatinine by Jaffè method.
Urinary creatinine showed a significant negative decrease with age
increasing (p<0.001). Chromium concentrations resulted higher in
subjects with renal disease, particularly after creatinine adjustment
(p=0.014).
Age was negatively correlated with urinary creatinine (rho=-0.23;
p<0.001), and positively with chromium (rho=0.13; p=0.007) and
arsenic (rho=0.17; p=0.004), only after creatinine adjustment. A positive
correlation was also found between unadjusted chromium and arsenic
(rho=0.10; p=0.039) and between urinary creatinine and both
unadjusted chromium (rho=0.32; p<0.001) and arsenic (rho=0.18;
p<0.001). An high coefficient of correlation was observed between
unadjusted chromium (rho=0.88; p<0.001) and arsenic (rho=0.90;
p<0.001) and the respective adjusted values. Multiple regression showed
a dependence of urinary creatinine and adjusted chromium and arsenic
concentrations on age.
In conclusion, although chromium and arsenic seem to have a renal
kinetics of excretion comparable to the creatinine one, the influence of
age on creatinine elimination suggests that the expression of urinary
values of these metallic elements as µg/L is more reliable.
Key words: urinary creatinine, urinary chromium, urinary arsenic,
biological monitoring.
INTRODUZIONE
Il monitoraggio biologico dell’esposizione professionale ad elementi metallici utilizza quali indicatori di dose interna la loro determinazione
nel sangue e/o nelle urine. La determinazione di questi elementi nelle urine si esegue su campioni definiti estemporanei, generalmente raccolti in
rapporto al turno di lavoro. Questi campioni, tuttavia, rispetto alle urine
raccolte nelle 24 ore, possono risentire di un incostante effetto di diluizione delle urine dovuto all’ingestione di liquidi, all’attività fisica, alle
modificazioni della temperatura corporea e agli altri fattori che influenzano il bilancio idrico dell’organismo, con possibilità di generare una sovrastima o sottostima delle concentrazioni dei biomarcatori nelle urine
(1,2).
Per ridurre l’influenza di una diluizione più o meno marcata del campione urinario ed ottenere dati comparabili con quelli che si otterrebbero
se l’indicatore fosse determinato su campioni di urine delle 24 ore, si preferisce correggere la concentrazione urinaria dell’indicatore biologico
soprattutto per la creatinina urinaria. Questa è una sostanza endogena
prodotta dal metabolismo della creatina, costituente del muscolo scheletrico. L’utilizzo della creatinina urinaria è motivato dal fatto che essa viene escreta nelle urine per filtrazione glomerulare ad una velocità relativamente costante, e solo una quota pari a circa il 14% secreta a livello del
tubulo renale. La sua escrezione, pertanto, è considerata indipendente
dalla diluizione delle urine e dalla diuresi (3,4).
La creatinina urinaria, tuttavia, risente di numerosi fattori che dipendono sia da caratteristiche intrinseche del soggetto quali età, sesso, massa muscolare, diabete e patologie renali, variazioni circadiane, sia da abitudini personali quali principalmente il consumo di carne con la dieta e il
consumo di alcol. Questi fattori, insieme alla possibilità di errore nella
determinazione analitica della creatinina, sono responsabili di un’elevata
variabilità inter ed intra-individuale dei valori di creatinina urinaria e possono contribuire ad alterare ulteriormente i valori corretti dell’indicatore
biologico analizzato (1,5).
Perché la creatinina sia appropriata per correggere la concentrazione
di indicatori biologici di dose nelle urine, l’escrezione di questi non deve
essere a sua volta eccessivamente influenzata dal flusso urinario. La correzione per creatinina, infatti, dovrebbe essere utilizzata pressoché solo
nel caso in cui l’analita misurato si comporti similmente alla creatinina
per quanto riguarda la filtrazione glomerulare/secrezione tubulare, mentre se viene escreto soprattutto attraverso la diffusione passiva, la sua eliminazione urinaria tenderà a variare con il flusso urinario e la correzione
per creatinina non sarà adatta a correggerne le variazioni (1,4).
Il cromo urinario è un elemento metallico che dopo la filtrazione glomerulare viene quasi completamente riassorbito a livello del tubulo renale, anche se è stata osservata una riduzione del riassorbimento tubulare
associata con il progressivo accumulo del cromo nell’epitelio tubulare
(6), mentre il meccanismo di escrezione renale dell’arsenico è ancora poco noto nell’uomo. In letteratura, la correzione per creatinina del cromo
e dell’arsenico urinari è stata frequentemente utilizzata, sebbene la discussione sulla sua attendibilità ed utilità non sia giunta a conclusioni largamente condivise. L’espressione dei valori urinari di questi elementi metallici sia corretti per grammo di creatinina che espressi per litro di urina
nei diversi contributi scientifici, indica che il metabolismo di tali elementi
non sia stato ancora completamente chiarito e che soprattutto resti da evidenziare la possibilità di compararlo con sicurezza al metabolismo renale della creatinina.
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Lo scopo della ricerca, pertanto, è stato quello di verificare se la correzione per creatinina dell’escrezione urinaria di cromo e di arsenico, determinata su campioni estemporanei di urina, sia una metodica adeguata
ad eliminare l’influenza della diluizione delle urine o non comporti piuttosto una fonte di alterazione dei risultati, alla luce dell’influenza che alcuni parametri individuali quali età, BMI, abitudini dietetiche e voluttuarie, possono avere sulla creatinina urinaria ed in considerazione del meccanismo di escrezione renale cui vanno incontro tali elementi.
289
di carne ha mostrato la completa astensione dal consumo di carne bovina
nel 3% dei casi e di pollame nel 10.9% dei casi.
In Tabella I sono mostrati, i livelli urinari di creatinina, cromo ed arsenico, questi ultimi due espressi sia tal quali sia corretti per creatinina,
nell’intero gruppo di soggetti e in 4 diverse classi di età in cui la popolazione è stata divisa utilizzando come valori soglia il 25°, 50° e 75° percentile. La creatinina urinaria ha mostrato una progressiva e significativa
riduzione dei valori medi al crescere dell’età (p<0.001). Il cromo urinario, corretto e non corretto, ha mostrato una differenza significativa tra le
medie dei gruppi, mentre l’arsenico urinario, corretto e non corretto, non
ha mostrato alcuna relazione con l’età.
La presenza anamnestica di diabete (23 casi) e di patologie renali (23
casi) non ha mostrato alcuna influenza sulle concentrazioni urinarie di
creatinina e di arsenico, mentre i livelli di cromo sono risultati più alti nei
soggetti che nell’anamnesi avevano riferito patologie renali, differenza
che ha raggiunto la significatività statistica (t=2.45; p=0.014) dopo correzione per creatinina.
L’analisi della correlazione (Tabella II) ha mostrato una relazione negativa e significativa tra età e livelli urinari di creatinina, mentre una correlazione significativa e positiva è stata osservata tra età e sia cromo che arsenico, solo dopo correzione per creatinina. Nel caso del cromo è stata evidenziata anche una correlazione positiva con il BMI solo dopo correzione
per creatinina. Una correlazione positiva e significativa è stata osservata tra
livelli urinari di creatinina e sia cromo che arsenico non corretti; la correlazione positiva, evidenziata tra livelli urinari di cromo ed arsenico, invece,
perdeva la significatività dopo correzione per creatinina. Un alto coefficiente di correlazione è stato anche osservato tra cromo (rho=0.88) ed arsenico (rho=0.90) non corretto e le rispettive forme corrette.
Per studiare l’influenza delle variabili indipendenti età, BMI e consumo
di alcol sulla variabile dipendente rappresentata dall’escrezione urinaria di
creatinina è stata effettuata un’analisi di regressione che ha evidenziato una
dipendenza della creatinina urinaria dall’età (Tabella III). Successivamente è
stata effettuata un’analisi della regressione applicando un modello che utilizzava come variabile dipendente rispettivamente i livelli urinari di cromo e arsenico senza e dopo correzione per creatinina, e come variabili indipendenti
l’età, il BMI e il consumo di alcol. Prendendo in considerazione le concentrazioni urinarie di cromo ed arsenico non corretti come variabili dipendenti,
non è stata osservata alcuna associazione significativa con le variabili indipendenti, mentre dopo correzione per creatinina risultava un’influenza significativa dell’età sebbene con valori di R2 molto bassi (R2 = 0.04) (Tabella
IV). L’introduzione di altre variabili indipendenti nel modello come il fumo
di sigaretta e il BSA, non ha evidenziato altre dipendenze significative.
MATERIALI E METODI
Sono stati esaminati 444 soggetti di sesso maschile, residenti nella
provincia di Taranto (Italia). A tutti i soggetti è stato somministrato un
questionario con domande su caratteristiche personali (età, altezza, peso),
pregresse esposizioni professionali o extraprofessionali a cromo e arsenico, abitudine al fumo di sigaretta (fumatore, non fumatore ed ex fumatore da almeno 6 mesi), consumo quotidiano di alcol (suddividendo i partecipanti nelle seguenti classi di consumo: astemio, 1-10 gr/die, 11-40
gr/die, oltre 40 gr/die), abitudini alimentari (consumo di carne bovina e
pollame), anamnesi patologica (con particolare attenzione alle patologie
interferenti con il metabolismo dei tossici in studio, quali diabete e nefropatie). Tutti i partecipanti alla ricerca hanno fornito il consenso informato prima dell’inizio dello studio.
Utilizzando i parametri antropometrici peso e altezza, sono stati calcolati per ciascun soggetto l’indice di massa corporea (“body mass index”
- BMI), ottenuto suddividendo il peso in chilogrammi per il quadrato dell’altezza in metri, e la superficie corporea (BSA), calcolata mediante la
formula standardizzata di Gehan (7).
Per tutti i soggetti è stato raccolto un campione estemporaneo delle
seconde urine del mattino, che è stato conservato a -20° C fino al momento delle analisi. Le determinazioni per l’analisi del cromo e dell’arsenico nelle urine sono state effettuate con uno spettrofotometro ad assorbimento atomico (AAS 5100 Perkin-Elmer), dotato di fornetto di grafite e correttore del fondo con effetto Zeeman; per l’arsenico inorganico
è stata utilizzata la tecnica degli idruri. Il limite di rilevabilità della metodica è stato di 0,1 µg/L per il cromo urinario e di 0,5 µg/L per l’arsenico urinario. Sullo stesso campione di urine è stata determinata la concentrazione di creatinina, mediante la metodica di Jaffè utilizzando un kit
commerciale Randox. Sono state considerate condizioni di esclusione
dallo studio la presenza di creatinina urinaria al di fuori del range raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e compreso
tra 0.3 e 3.0 g/L (8).
L’analisi statistica è stata eseguita mediante l’utilizzo del programma
SPSS (Versione 12.0, Chicago, IL, USA). I campioni che presentavano
DISCUSSIONE
concentrazioni al di sotto del limite di rilevabilità delle metodiche analiLo studio ha valutato la validità della correzione per creatinina delle
tiche sono stati inseriti nel database con un valore corrispondente a metà
concentrazioni urinarie di cromo e di arsenico in soggetti non esposti prodel limite di rilevabilità. La normalità della distribuzione delle diverse vafessionalmente a questi elementi metallici, considerando le interferenze
riabili è stata verificata con il test di Kolmogorov-Smirnov; i dati che non
che i differenti fattori in grado di modificare l’escrezione di creatinina
si distribuivano normalmente sono stati analizzati previa trasformazione
possono esercitare sulla correzione.
logaritmica. Il confronto tra le medie è stato eseguito con test parametrici (test t di Student o analisi della varianTabella I. Livelli urinari di creatinina, di cromo e di arsenico per fascia di età. Il cromo
za). Le correlazioni sono state eseguite
e l’arsenico sono espressi con e senza correzione per creatinina
con test di Spearman. Un modello di regressione lineare è stato utilizzato per valutare la relazione tra variabili dipendenti, quali rispettivamente la concentrazione di creatinina e le concentrazioni di
cromo e di arsenico corrette e non corrette per creatinina, e le variabili indipendenti età, BMI e consumo di alcol. Per la
significatività statistica è stato accettato
un valore di p inferiore a 0.05.
RISULTATI
I soggetti esaminati hanno presentato le seguenti caratteristiche generali:
Età: 35.8+12.4 anni (Media+ds), 18-61
anni (Range); BMI: 26.10+3.9, 16.339.1; BSA: 1.97+0.18, 1.49-2.75. Il BMI
ha mostrato valori al di sotto di 25 nel
42.8% dei casi, compresi tra 25.1 e 29.9
nel 42.3% dei casi e da 30 in poi nel
14.9% dei casi. L’abitudine al consumo
290
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naria (4,13). Nella nostra ricerca il BMI
ed il BSA, utilizzati come indicatori indiretti della massa muscolare, pur essendo
risultati fortemente correlati tra loro, non
hanno mostrato alcuna relazione con la
creatinina urinaria. L’assenza di relazione
si può spiegare, considerando che il BMI
ed il BSA risentono dell’ipertrofia del tessuto muscolare, delle caratteristiche della
struttura scheletrica e sopratutto dell’accumulo di tessuto adiposo, mentre i valori di creatinina urinaria dipendono fortemente solo dalla massa muscolare.
Diabete e nefropatie croniche sono
patologie in grado di influenzare l’escrezione renale sia della creatinina che di diversi biomarcatori di esposizione occupazionale attraverso meccanismi di alterazione della cinetica renale delle sostanze chimiche. Nella nostra ricerca la presenza di tali patologie è stata valutata solo su base anamnestica e, pertanto,
non abbiamo a disposizione dati sulla funzionalità renale; nonostante questo
limite, nei soggetti che riferivano presenza di patologie renali sono risultati
livelli di cromo urinari più elevati, in particolare dopo correzione per creatinina (p=0.014). Questo aumento, come osservato da altri autori, potrebbe
esprimere un ridotto riassorbimento renale da danno tubulare (14,15).
I fattori legati ad abitudini di vita, quali il consumo di carne e pollame con la dieta, l’abitudine al fumo e il consumo di alcol non hanno mostrato alcuna influenza sull’escrezione urinaria di creatinina, a differenza
di quanto osservato da altri autori (4,5,16).
Alcuni Autori suggeriscono che la correzione per creatinina
possa/debba essere applicata solo per sostanze chimiche che presentino
una cinetica di eliminazione urinaria simile a quella della creatinina, cioè
con un processo concentrazione-indipendente legato principalmente alla
filtrazione glomerulare. Al contrario, per le sostanze chimiche, che, come
alcuni solventi, sono eliminate per diffusione tubulare attraverso un processo concentrazione-dipendente regolato dall’equilibrio tra la pressione
parziale della sostanza nel sangue e nelle urine, la correzione per creatinina è ritenuta ingiustificata e non applicabile (4,17).
L’osservazione che creatinina, cromo e arsenico urinari siano correlati
tra loro sembra suggerire una possibile analogia tra le cinetiche di eliminazione renale di queste sostanze chimiche, caratterizzate da un meccanismo
concentrazione-indipendente. La scomparsa della correlazione tra cromo ed
arsenico urinari dopo aver corretto i valori per creatinina, cioè dopo aver eliminato il fattore diluizione, sembra rafforzare tale ipotesi. Sulla base dei nostri risultati e dei dati di letteratura, pertanto, l’utilizzo della creatinina per la
correzione dei valori urinari di cromo e di arsenico sembrerebbe concettualmente possibile per questi due elementi metallici proprio perché si può ipotizzare un meccanismo di escrezione renale simile tra essi e la creatinina.
D’altra parte, la forte correlazione osservata tra valori non corretti e
corretti sia per il cromo (rho=0.88) che per l’arsenico urinari (rho=0.90),
sembra mettere in discussione quanto detto in precedenza e potrebbe consentire di ipotizzare che non vi sia una sostanziale differenza nell’esprimere le concentrazioni urinarie di cromo e di arsenico corrette e non corrette per creatinina, in particolare dopo aver eliminato i campioni troppo o
troppo poco diluiti in accordo con i criteri dell’OMS per l’accettabilità dei
campioni biologici (creatinina inferiore a 0.3 g/L e superiore a 3.0 g/L) (8).
In conclusione, sebbene cromo e arsenico sembrano avere una cinetica
di escrezione urinaria simile a quella della creatinina e pertanto la correzione per creatinina potrebbe essere utilizzata per eliminare il fattore diluizione delle urine nei campioni estemporanei, se si considera il condizionamento svolto dall’età sulla escrezione urinaria di creatinina confermato da questa ricerca, si ritiene più appropriato suggerire di esprimere i valori urinari
di questi elementi metallici tal quali, cioè senza correzione, dopo esclusione
dei campioni urinari con un’eccessiva diluizione secondo i criteri OMS.
Questa indicazione è anche in accordo con quanto proposto dall’ACGIH,
che esprime l’escrezione urinaria di cromo e arsenico in µg/L (8).
Tabella II. Correlazione mediante test di Spearman tra le variabili indicate
Tabella III. Analisi della regressione multipla utilizzando
come variabile dipendente la concentrazione urinaria
della creatinina (g/L) e come variabili indipendenti età,
indice di massa corporea e consumo di alcol
Tabella IV. Analisi della dipendenza sulle variabili cromo
ed arsenico urinari, espressi in mg/g creat, di variabili
indipendenti quali età, BMI e alcol
Nei soggetti esaminati le concentrazioni medie di cromo e di arsenico
non corrette per creatinina sono risultate comprese nel range dei valori di riferimento (VR) proposti per la popolazione italiana dalla Società Italiana per
i Valori di Riferimento per questi due elementi metallici, rispettivamente inferiore a 0.2 µg/L per il cromo e compreso tra 2 e 25 µg/L per l’arsenico inorganico (9). Il valore medio di creatinina urinaria, invece, è risultato di 1.5
g/L, sovrapponibile a quello rilevato in differenti studi condotti in Europa,
Stati Uniti o Giappone su soggetti adulti di sesso maschile (5,10).
L’età ha mostrato di influenzare l’escrezione urinaria di creatinina.
Questo risultato conferma quanto rilevato da altri autori e trova giustificazione nella progressiva diminuzione della massa muscolare e della velocità di filtrazione glomerulare che avviene con l’aumentare dell’età
(3,11). La correzione per creatinina dei valori dei biomarcatori urinari,
pertanto, può determinare un errore di stima dell’effettivo livello degli indicatori, i quali, per effetto della correzione, finiscono per risentire del
fattore età, che, invece, non incide direttamente sulla loro escrezione, come dimostrato dai risultati ottenuti dal presente studio per quanto riguarda il cromo e l’arsenico urinari. L’influenza del fattore confondente età
nella correzione per creatinina è stata descritta in letteratura anche per altri indicatori biologici, come evidenziato da Ikeda et al. che hanno rilevato una sovrastima dei valori urinari di β2-microglobulina corretti per
creatinina, al crescere dell’età nella popolazione esaminata (12).
La massa muscolare è in grado di influenzare i livelli di creatinina uri-
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COM-17
INFLUENZA DEL FUMO DI SIGARETTA SULLA CONCENTRAZIONE
DI BENZENE URINARIO NEGLI ADDETTI ALLA DISTRIBUZIONE
DI CARBURANTE
P. Lovreglio1, A. Basso1, A. Antelmi1, G. Meliddo1, I. Drago1,
M. Carrieri2, G.B. Bartolucci2, A. Barbieri3, F. Violante3, L. Soleo1
1
Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica, Sezione di
Medicina del Lavoro “E.C. Vigliani”, Università di Bari
2 Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica, Università di
Padova
3 Unità Operativa Sicurezza, Igiene e Medicina del Lavoro, Università di
Bologna
291
Corrispondenza: Prof. Leonardo Soleo, Dipartimento di Medicina
Interna e Medicina Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro “E.C.
Vigliani”, Policlinico - Piazza Giulio Cesare, 11, 70124 Bari, Tel. / Fax.:
++390805478201, e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. È stata studiata negli addetti al rifornimento di carburante l’influenza del fumo di sigaretta sulle concentrazioni di benzene urinario, indicatore estremamente sensibile e specifico, proposto per il monitoraggio biologico dell’esposizione a concentrazioni molto basse di benzene.
Sono stati esaminati 24 lavoratori addetti al rifornimento di carburante e 31 lavoratori non professionalmente esposti a benzene. Il monitoraggio ambientale è stato effettuato con campionatori personali passivi
“Radiello®”, ed è stato raccolto, alla fine del turno di lavoro, un campione estemporaneo di urine per la determinazione del benzene.
L’esposizione a benzene è risultata significativamente più elevata nei
lavoratori esposti (media 23.3±17.0 µg/m3; range 4.5-66.3 µg/m3) rispetto ai controlli (media 4.6±2.6 µg/m3; range <3-11.5 µg/m3), mentre le
concentrazioni di benzene urinario non hanno mostrato differenze significative tra i due gruppi.
Considerando tutti i soggetti come unico gruppo, è stato osservato
che le concentrazioni di benzene urinario erano correlate positivamente
con il numero di sigarette fumate durante il periodo di campionamento
(rho=0.38; p=0.047) e con i livelli di benzene aereodisperso (rho=0.32;
p=0.019), e negativamente con la variabile tempo trascorso tra ultima sigaretta fumata e campionamento urinario (rho=-0.40; p=0.045). L’analisi
di regressione multipla ha confermato l’influenza del fumo di sigaretta
nel condizionare le concentrazioni di benzene urinario.
In conclusione, il nostro studio conferma la validità del benzene urinario quale indicatore per il monitoraggio biologico dell’esposizione a
dosi molto basse di benzene, anche se, alle basse concentrazioni ambientali di benzene rilevate, il fumo di sigaretta esplica un ruolo etiologico
preponderante.
Parole chiave: benzene urinario, fumo di sigaretta, monitoraggio
biologico, addetti distribuzione di carburante.
INFLUENCE
OF CIGARETTE SMOKING ON THE EXCRETION OF URINARY
BENZENE IN FILLING-STATION ATTENDANTS
ABSTRACT. The influence of cigarette smoking on concentrations
of urinary benzene, a sensitive and specific biomarker proposed for
biological monitoring of exposure to very low doses of benzene, was
investigated in 24 filling-station attendants and 31 workers non
occupationally exposed to benzene.
Environmental monitoring was performed by personal passive
samplers “Radiello®”, and a spot urine sample was collected at the end of
the work shift, from all subjects, for the determination of urinary benzene.
Exposure to benzene resulted significantly higher in filling-station
attendants (mean 23.3±17.0 µg/m3; range 4.5-66.3 µg/m3) than in
controls (mean 4.6±2.6 µg/m3; range <3-11.5 µg/m3), while
concentrations of urinary benzene did not show any significant difference
between the two groups.
Considering all subjects as a single group, it was observed that
urinary benzene concentrations were positively correlated with the
number of cigarettes smoked during the sampling time (rho=0.38;
p=0.047) and with airborne benzene levels (rho=0.32; p=0.019), and
negatively correlated with the time elapsed between the last smoked
cigarette and urine collecting (rho=-0.40; p=0.045). Multiple regression
analysis confirmed the influence of cigarette smoking on urinary benzene
concentrations.
In conclusion, our study showed the validity of urinary benzene as a
biomarker for biological monitoring of exposure to very low doses of
benzene, although cigarette smoking determined a prevalent etiological
role at the low environmental benzene concentrations observed.
Key words: urinary benzene, cigarette smoking, biological
monitoring, filling-station attendants.
INTRODUZIONE
Il benzene è un tossico presente negli ambienti di lavoro e di vita,
classificato come cancerogeno per l’uomo (Gruppo 1) dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) (1). In ambito professionale, i livelli di esposizione nei paesi occidentali sono attualmente notevolmente inferiori ai limiti proposti per il 2006 dall’ACGIH come TLVTWA (1600 µg/m3) (2). Essi, inoltre, tendono sempre più ad avvicinarsi
292
alle concentrazioni osservate negli ambienti di vita, per i quali è previsto
in Italia un limite per la qualità dell’aria di 10 µg/m3 che diventerà 5
µg/m3 nel 2010 (3). Le principali fonti di esposizione a benzene per la popolazione generale sono rappresentate dalle emissioni degli scarichi autoveicolari e soprattutto dal fumo di sigaretta. In particolare è stato calcolato che il fumo di circa 30 sigarette/die costituisce una fonte di circa
1800 µg di benzene, mentre l’abitudine al fumo di 20 sigarette/die corrisponde ad un’esposizione di 26 µg/m3 (4, 5).
La progressiva riduzione dei livelli di benzene aereodisperso negli
ambienti di lavoro e di vita sta rendendo sempre meno affidabile l’utilizzo dell’acido t,t-muconico e dell’acido S-fenilmercapturico, i due biomarcatori di esposizione indicati dall’ACGIH, in quanto si sono rivelati
poco utili nel monitoraggio biologico dell’esposizione a concentrazioni
molto basse di benzene (2,6). Per tale motivo, per queste condizioni espositive al tossico alcuni autori hanno proposto la determinazione del benzene urinario quale indicatore biologico in quanto molto più sensibile e
specifico rispetto ai precedenti (7,8). Al riguardo Fustinoni et al (9) hanno recentemente utilizzato il benzene urinario per studiare l’esposizione
ambientale a basse dosi di benzene in 78 benzinai (mediana 61 µg/m3;
range 11-478 µg/m3), 77 vigili urbani (mediana 22 µg/m3; range 9-316
µg/m3) e 58 impiegati (mediana 6 µg/m3 e range <6-115 µg/m3) ed hanno dimostrato la validità di questo indicatore nell’esprimere l’esposizione al tossico per concentrazioni ambientali comprese tra 6 e 478 µg/m3.
Essi hanno rilevato, tuttavia, che i livelli di benzene urinario si mostravano sempre significativamente più alti nei fumatori rispetto ai non fumatori, sia negli esposti che nei controlli, e il loro valore aumentava con
il numero di sigarette fumate. Manini et al. (10), invece, non hanno osservato alcuna correlazione tra livelli ambientali di benzene e concentrazioni di benzene urinario, in 37 conducenti di taxi con esposizione a benzene molto bassa (ambientale taxi: media 7.7±2 µg/m3; personale: media
5.9±1.7 µg/m3), mentre si evidenziava una buona correlazione tra benzene urinario e livelli di cotinina urinaria.
L’obiettivo del nostro studio, pertanto, è stato quello di valutare, in
un gruppo di addetti al rifornimento di carburante, l’influenza del fumo
di sigaretta nel condizionare le concentrazioni di benzene urinario
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pre-sigillato cui erano stati precedentemente aggiunti 4 g di NaCl. I campioni sono stati conservati a +4°C fino al momento dell’analisi. La determinazione del benzene urinario è stata effettuata con la tecnica della micro-estrazione in fase solida (SPME) e successiva gascromatografia-spettrometria di massa. I limiti di rivelazione (LOD) e quantificazione (LOQ)
del metodo per il benzene sono risultati rispettivamente 0.02 e 0.04 µg/L.
L’analisi statistica è stata effettuata utilizzando il programma SPSS
(versione 12.0, Chicago, IL, USA). Le concentrazioni di benzene ambientale e urinario al di sotto del limite di rilevabilità della metodica analitica sono state imputate nell’analisi dei dati con un valore corrispondente alla metà del rispettivo limite. Le variabili non distribuite normalmente sono state analizzate con test parametrici dopo trasformazione logaritmica o con test non parametrici. L’analisi della correlazione è stata
effettuata utilizzando il test di Spearman. La relazione di dipendenza del
benzene urinario dalle variabili indipendenti età, BMI, consumo di alcol,
numero di sigarette/die, concentrazioni di benzene aereodisperso, è stata
valutata mediante modelli di regressione lineare multipla. Il livello di significatività è stato individuato per una p inferiore a 0.05.
RISULTATI
Esposti e controlli non hanno mostrato differenze significative per
quanto riguarda l’età, l’indice di massa corporea (BMI), il consumo di alcol, il numero di sigarette fumate quotidianamente e durante il campionamento ambientale, il tempo trascorso tra l’ultima sigaretta fumata e la
raccolta del campione di urine per la determinazione del benzene urinario (Tabella I).
L’esposizione a benzene aereodisperso è risultata significativamente
più alta nei lavoratori esposti rispetto ai controlli (p<0.001); un’esposizione a benzene inferiore al limite di rilevabilità è stata osservata solo in
8 soggetti del gruppo controllo. Le concentrazioni urinarie di benzene, invece, sono risultate maggiori nei controlli rispetto agli esposti, sebbene
tale differenza non ha raggiunto la significatività statistica (Tabella I). Il
benzene urinario è risultato inferiore al limite di rilevabilità in 2 soggetti
del gruppo controllo.
Suddividendo esposti e controlli in base all’abitudine al fumo di sigaretta (Tabella II), è stato osservato che i fumatori hanno presentato concentrazioni di benzene urinario più alte rispetto ai non fumatori sia nel
gruppo degli esposti che in quello dei controlli. L’analisi della varianza a
due code ha mostrato un’associazione tra fumo di sigaretta e livelli di
benzene urinario (p<0.001), mentre non è stata evidenziata alcuna associazione tra esposizione a benzene e livelli di benzene urinario.
Su tutti i soggetti esaminati considerati come unico gruppo è stata
osservata una correlazione positiva e significativa tra numero di sigarette fumate durante il periodo campionato e concentrazione di benzene urinario (rho=0.38; p=0.047) e tra benzene aereodisperso e benzene
urinario (rho=0.32; p=0.019), mentre è stata osservata una correlazione negativa e significativa tra la variabile tempo trascorso tra ultima si-
MATERIALI E METODI
Lo studio è stato condotto su 24 lavoratori maschi esposti a benzene,
addetti al rifornimento di carburante presso stazioni di servizio site nell’area urbana ed extra-urbana di un capoluogo regionale e 31 lavoratori
maschi, non professionalmente esposti a benzene, residenti nella stessa
area geografica ed opportunamente appaiati per possibili fattori di
confondimento quali l’età e l’abitudine al fumo di sigaretta. A tutti i soggetti è stato somministrato un questionario con domande riguardanti i dati personali, la mansione attuale e pregressa, l’abitudine al fumo di sigaretta con particolare riferimento al numero di sigarette fumate durante il
campionamento ambientale, il consumo di alcol, l’anamnesi patologica
personale, le possibili esposizioni a fonti
non professionali di benzene. Tutti i sogTabella I. Caratteristiche generali, concentrazioni di benzene aereodisperso e urinario
getti partecipanti allo studio hanno forniin lavoratori esposti e controlli
to il consenso a partecipare alla ricerca
prima dell’inizio dello studio.
Sia per i lavoratori professionalmente
esposti che per i controlli è stato effettuato
un campionamento ambientale personale
passivo per la misurazione dell’esposizione
ambientale a benzene, utilizzando campionatori diffusivi radiali (Radiello®) indossati in zona respiratoria per l’intero turno di
lavoro (variabile tra le 6 e le 9 ore). Le fiale di campionamento sono state conservate
a +4°C fino al momento dell’analisi effettuata in gascromatografia-FID, previo desorbimento con solfuro di carbonio (CS2);
il limite di rilevabilità è stato di 3 µg/m3.
Lo stesso giorno del campionamento
ambientale, alla fine del turno di lavoro,
è stato raccolto un campione estemporaneo di urine per la misurazione del benzene tal quale: in particolare un volume
pari a 10 ml di urine è stato immediatamente trasferito in un flacone di 20 ml
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293
di esposizione professionale a dosi di
benzene molto più alte rispetto a quelle
osservate nel nostro studio, le concentrazioni di benzene urinario erano quasi
sempre in grado di differenziare i fumatori dai non fumatori (7,9,10).
Oltre al numero di sigarette/die, anche il tempo trascorso tra l’ultima sigaretta fumata e la raccolta delle urine per
il monitoraggio biologico ha mostrato di
essere correlato con le concentrazioni di
benzene urinario (rho=-040). Il benzene
urinario ha una breve emivita e, pertanto,
è un indicatore che riflette principalmente l’esposizione a breve termine, cioè
quella avvenuta nelle ore immediatamenTabella III. Analisi di regressione lineare multipla tra la variabile dipendente benzene urinario
te precedenti la raccolta delle urine (15).
(µg/L) e le variabili indipendenti età, BMI, consumo di alcol, numero di sigarette/die,
L’influenza del tempo trascorso dall’econcentrazioni di benzene aereodisperso in esposti e controlli e nel campione totale
sposizione a fumo di sigaretta, indipendentemente dal numero di sigarette fumate, sembra essere, pertanto, un ulteriore fattore da tenere in considerazione nell’interpretazione dei risultati del benzene
urinario, utilizzato quale indicatore nel
monitoraggio biologico, in quanto potrebbe contribuire a spiegare l’elevata variabilità inter-individuale di tale indicatore osservata anche da altri autori solo nei
fumatori (10).
I livelli medi di benzene urinario sono risultati più elevati nei soggetti della
popolazione generale rispetto agli addetti al rifornimento di carburante, sebbene
mediana e media geometrica siano state
garetta fumata e campionamento urinario e benzene urinario (rho=più alte in questi ultimi. Precedenti studi hanno evidenziato come il ben0.40; p=0.045).
zene urinario sia in grado di differenziare esposti e controlli non solo in
L’analisi di regressione multipla (Tabella III) ha confermato l’incondizioni lavorative caratterizzate da alte concentrazioni di benzene, ma
fluenza del fumo di sigaretta, rispetto al benzene aereodisperso, nel conanche per esposizioni a livelli di benzene molto inferiori al TLV-TWA
dizionare la concentrazione del benzene urinario, sia considerando espoproposto dall’ACGIH, sebbene comunque più alti rispetto a quelli risti e controlli separatamente che analizzando insieme i due gruppi.
scontrati nella nostra ricerca (16,17). La più elevata escrezione di benzene urinario nei soggetti non esposti è stata determinata dagli elevati livelli
DISCUSSIONE
di benzene urinario presenti in due soggetti di questo gruppo che hanno
La presente ricerca ha indagato l’influenza che il fumo di sigaretta,
riferito un elevato numero di sigarette fumate durante il periodo campioun’importante fonte di esposizione extraprofessionale a benzene, può denato e rappresentano, pertanto, un’ulteriore conferma dell’influenza che
terminare sull’escrezione del benzene urinario nei lavoratori addetti al
il fumo può avere sulle concentrazioni di benzene urinario.
rifornimento di carburante.
Indipendentemente dalla fonte di origine del benzene urinario, questo
In Italia sono esposti a benzene in quanto addetti alla distribuzione di
è risultato correlato con il benzene aereodisperso (rho=0.32) analizzando
carburante circa 60 mila lavoratori (11). Poter disporre, pertanto, di un ininsieme esposti e controlli. Questi risultati sono in accordo con quanto modicatore biologico sensibile e specifico, quale risulta essere il benzene uristrato in precedenti studi, anche se per range di esposizione a benzene solo
nario, da utilizzare nel monitoraggio biologico dell’esposizione a basse doin parte sovrapponibili a quelli osservati nella presente ricerca (9,17).
si di benzene cui sono esposti questi lavoratori è estremamente importante.
In conclusione, il nostro studio sembra confermare la validità del benLo studio ha evidenziato, nei lavoratori addetti alla distribuzione di
zene urinario quale indicatore utile per il monitoraggio dell’esposizione a
carburante, livelli di benzene ambientale sostanzialmente molto bassi ed
dosi molto basse di benzene. Il fumo di sigaretta, tuttavia, rappresenta siinferiori rispetto a quanto osservato negli studi più recenti (12,13). Quecuramente un’importante fonte d’esposizione extraprofessionale al tossico
sti risultati sono in linea con la progressiva riduzione dell’esposizione a
in grado di influenzare le concentrazioni di benzene urinario e, pertanto,
benzene osservata negli ultimi anni in questa categoria di lavoratori e dodeve essere tenuto in considerazione nell’interpretazione dei risultati del
vuta non solo al ridotto contenuto di benzene nelle benzine (inferiore
monitoraggio biologico a livello sia individuale che di gruppo.
all’1% in volume) stabilito dalla legge italiana n. 413/97, ma anche a miglioramenti di tipo tecnico, quali la presenza di sistemi di aspirazione per
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R2 delle analisi di regressione hanno mostrato come più del 50% della vadel Consiglio del 22 aprile 1999 concernente i valori limite di qualità
riabilità del benzene urinario sia dipesa dal numero di sigarette fumate
dell’aria ambiente per il biossido di zolfo, il biossido di azoto, gli osgiornalmente. Questo risultato è in accordo con quanto osservato nella
sidi di azoto, le particelle e il piombo e della direttiva 2000/69/CE requasi totalità degli studi presenti in letteratura dove, anche in condizioni
lativa ai valori limite di qualità dell’aria ambiente per il benzene ed
Tabella II. Concentrazioni di benzene urinario (µg/L) nei soggetti esaminati suddivisi per
esposizione a benzene e abitudine al fumo di sigaretta
294
4)
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RIASSUNTO. Razionale: la malattia di Parkinson (MP) è un disordine neurodegenerativo caratterizzato da una progressiva degenerazione
delle vie dopaminergiche nigrostriatali, che esita in disordini del movimento. La MP è una malattia complessa, dovuta a fattori genetici ed ambientali, quali esposizione a tossine o a metalli.
Scopo: determinare se metalli (Cu, Fe, Zn) nel siero, molecole coinvolte nel loro metabolismo, e composti pro- ed anti-antiossidanti circolanti avevano valori anormali nella MP in relazione ad una esposizione a
metalli pesanti.
Metodi: a questo scopo abbiamo misurato le concentrazioni di Fe,
Cu, Zn, Ceruloplasmina, Transferrina, perossidi totali circolanti, capacità
antiossidante totale (TRAP) nel siero di 65 pazienti con MP residenti in
una zona industriale italiana fortemente esposta ad inquinamento da metalli pesanti (Valcamonica) e le abbiamo confrontate con quelle misurate
in 28 pazienti con MP residenti in zone limitrofe ma non esposte ad inquinamento (Provincia di Brescia), con quelle di 52 controlli sani residenti in Valcamonica e di 24 controlli sani della Provincia di Brescia.
Risultati: I pazienti con MP, indipendente dalla zona di residenza,
avevano più alti valori di Zn nel siero. Nei soli soggetti con MP residenti nella Valcamonica i livelli di Cu erano più alti rispetto a quella di soggetti residenti nella provincia di Brescia. Nei pazienti con MP, indipendenetemnte dalla zona di residenza, i livelli di rame sono risultati correlare in modo significativo con il punteggio della Unified Parkinson’s Disease Rating Scale (UDPRS).
Conclusioni: lo Zn sembra essere più alto in pazienti con MP in maniera indipendente dall’esposizione ad inquinamento da metalli pesanti.
La perturbazione del metabolismo del Cu sembra essere associata all’esposizione ad inquinamento industriale ed è probabilmente coinvolta nella progressione della stessa MP.
Parole chiave: Parkinson’s disease, Cu, Fe, Zn, metal, enviromental,
pollution.
METALS AND OXIDATIVE STRESS IN PARKINSON’S DISEASE FROM INDUSTRIAL
AREASE WITH EXPOSITION TO ENVIRONMENTAL TOXINS OR METAL POLLUTION
ABSTRACT. Background: Parkinson’s disease (PD) is characterized
by a progressive degeneration of the nigrostriatal dopaminergic pathway
resulting in movement disorders. PD is a complex disease, in which and
environmental factors, as exposure to toxins or metals coul be involved.
Objective: To assess if serum metals (Cu, Fe, Zn), biological variables
of their metabolism, total peroxides and antioxidants were abnormal in PD,
in relation to environmental exposure.
Methods: We compared levels of serum copper, iron, zinc,
ceruloplasmin and transferrin, peroxides, antioxidants(TRAP) in 65 PD
patients coming from an Industrial zone highly exposed to metal pollution
(Valcamonica) with measures from 28 PD patients from no metal
pollution areas of the province of Brescia and 52 healthy controls coming
from Valcamonica and 24 from the province of Brescia.
Results: PD patients had higher serum concentration of zinc than
controls. Only in PD patients coming from Valcamonica levels of Cu were
higher than in subjects coming from the province of Brescia. Moreover,
In patients with PD levels of sieric Cu significantly correlated with score
of the Unified Parkinson’s Disease Rating Scale (UDPRS).
Conclusions: Zinc seems to be higher in PD independently from the
exposition to metal pollution. Perturbation of copper metabolism in PD
seems to be related to exposition to environmental toxins or metal
pollution and coul be involved in the progression of the disease itself.
Key words: Parkinson’s disease, Cu, Fe, Zn, metal, enviromental,
pollution.
COM-18
INTRODUZIONE
DISMETABOLISMO DEI METALLI E STRESS OSSIDATIVO
IN PAZIENTI CON IN PARKINSON’S DISEASE DI UN’AREA
INDUSTRIALE ESPOSTA AD INQUINAMENTO DA METALLI
R. Squitti1, G. Gorgone1, G. Binetti2, R. Ghidoni2, P. Pasqualetti,1
F. Draicchio3, E. Albini4, L. Benedetti2, R. Lucchini4, P.M. Rossini1,2
1 Dipartimento
di Neuroscienze, AFaR - FBF Ospedale Fatebenefratelli,
Italia
2 IRCCS “Centro S. Giovanni di Dio-FBF”, Brescia, Italia
3 ISPEL, Roma, Italia
4 Cattedra di Medicina del Lavoro, Università di Brescia, Italia
La malattia di Parkinson (MP) è un disordine neurodegenerativo caratterizzato sul piano isto-pstologico da una proggressiva perdita dei neuroni dopaminergici della via nigro-striatale i cui sintomi cardinali sono
rappresentati dal tremore, dalla bradicinesia e dalla rigidità.
L’etiologia della MP, fatta eccezione per le forme geneticamente codificate, rimane non del tutto chiarita, sebbene diverse evidenze indicano
la presenza di meccanismi di tipo multifattoriale (1).
Una fase cruciale nel determinismo biologico della MP sembra essere l’accumulo e la precipitazione di una proteina normalmente presente
nei neuroni, l’alfa-sinucleina (1).
Questa rappresenta il principale componente dei corpi di Lewy, figure isto-patologiche tipiche, ma non esclusive della MP. Nelle forme fa-
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
295
miliari della MP il misfolding delle alfaTabella I. Caratteristiche demografiche, cliniche e parametri biochimici dei pazienti
sinucleine ed il loro deposito è secondae dei controll stratificati in base alla zona di provenienza
rio alla presenza di mutazioni puntiformi
geneticamente codificate che alterano la
sequenza amino-acidica di tali proteine e
ne determinano la loro aggregazioneprecipitazione (1).
L’aggregazione dell’alafa-sinucleina
sembra essere favorita anche dalla presenza di elevati livelli di ioni metallici
come il Cu e lo Zn, in quanto capaci di
interagire con i residui carbossilici dell’alfa-sinucleina, e di promuovere la sua
polimerizzazione mediante l’aumento dei
livelli endocellulari di radicali idrossile (2).
Evidenze di un possibile coinvolgimento di tali metallo-ioni nella
Tabella II. effetto della diagnosi e dell’area di provenienza
MP sono anche fornite da studi clinici che hanno documentato la presensui livelli sierici di Cu nei pazienti con MP e nei controlli
za di livelli alterati di Cu e di Zn nel liquor e nel siero di pazienti con MP
(3,4,5).
Un ruolo nella condizione di stress ossidativo presente nella MP è
stato documentato anche per il Fe: questo interagendo con l’alfa-sinucleina determina la formazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) -in
particolare di radicali idrossile - il cui accumulo è di per se causa di disfunzione mitocondriale (1).
Prove indirette di un possibile coinvolgimento dei metalli in tal senso sono fornite da riscontri effettuati post-mortem in soggetti con diagnosi clinica di MP, nei quali sono stati documentati la presenza di eleTabella III. Effetto della diagnosi e dell’area di provenienza
vati livelli di ferro nella microglia, negli astrociti e nei neuroni dopamisui livelli sierici di Cu nei pazienti con MP e nei controlli
nergici del sistema nervoso centrale (1).
In relazione a quanto precedentemente esposto, scopo del presente
lavoro è stato quello di determinare lo stato antiossidante - ‘Total antioxidant trapping capacity ‘(TRAP) i livelli ematici di Fe, Zn, Cu, trasferrina e ceruroplasmina in una popolazione di soggetti con MP in relazione ad inquinamento ambientale come documentato in una zona industriale italiana fortemente esposta a metalli pesanti (Valcamonica, Brescia, Italia).
PAZIENTI E METODI
Selezione dei soggetti
Sono stati reclutati un totale di 93 pazienti con MP e 76 controlli sani in base ai seguenti criteri di inclusione:1) diagnosi clinica di MP; 2) residenza in Valcamonica (,una zona ad elevato impatto ambientale della
provincia di Brescia) od in aree limitrofe (non inquinate); 3) consenso alla partecipazione allo studio; 4) assenza di insufficienza epatica o renale;
5) buona compliance.
Misurazione degli indici clinici di malattia
La gravità della MP sul piano clinico è stata determinata mediante
somministrazione della scala ‘Unified Parkinson’s Disease Rating Scale’
(UDPRS).
Indagini biochimiche
Ciascun soggetto reclutato nel presente studio, è stato sottoposto a
prelievo di sangue venoso, subito conservato alla temperatura di -80°,
previa centrifugazione a 3000’ per 10 minuti, al fine di separare il siero
dalla parte corpuscolata.
I campioni così ottenuti sono stati utilizzati per la determinazione
delle concentrazioni ematiche di Fe, Cu, Zn, Ceruloplasmina, Transferrina, e capacità antiossidante totale (TRAP), secondo quanto riportato da
altri autori (5,6).
Analisi statistica
Le variabili continue (età, concentrazioni sieriche di Cu, Zn e trasferrina, punteggio UDPRS sono state analizzate mediante il Mann-Whitney U-test o l’ANOVA ad una via dove appropriato, quelle categoriali
mediante il chi-quadro. Lo studio di correlazione tra i parametri biochimici, l’età ed il punteggio UDPRS è stato effettuato mediante Nell’intera
corte è stato il calcolo dei coefficienti di Spearman. L’influenza dei fattori demografici (età, sesso, area di residenza) e della diagnosi di MP sui
parametri biochimici sono stati valutati mediante un modello di analisi
multivariata. I valori sono stati considerati significativi per p < 0.05.
RISULTATI
Le caratteristiche demografiche e cliniche della popolazione esaminata sono riportate nella Tabella I; nessuna differenza statisticamente significativa è stata riscontrata tra pazienti e controlli stratificati per area
di provenienza riguardo il sesso (χ2= 4.2, df =3, p=0.2) l’età (p=0,08);
tali variabili non sono risultate associate in maniera significativa ai parametri biochimici indagati (dati non esposti in dettaglio). Al contrario
stratificando la corte rispetto alla diagnosi di malattia ed alla zona di residenza si sono riscontrate differenze statisticamente significative riguardo le concentrazioni sieriche di Cu (p <0.0000001) e Zn
(p<0.000001). L’analisi multivariata ha confermato l’assenza di effetti
significativi su tali parametri di sesso ed età, mentre è stata dimostrato
un effetto significativo dell’area di residenza e del suo termine di interazione con la diagnosi di malattia (Tabelle II e III). Infine, nel gruppo dei
pazienti con MP è stata evidenziata la presenza di una differenza statisticamente significativa tra il punteggio UDPRS dei pazienti residenti in
Valcamonica rispetto a quelli provenienti dalle zone limitrofe non inquinate (p= 0.001; Tabella I). Tale punteggio è risultato essere correlato in
maniera significativa con leconcentrazioni sieriche di Cu, ma non con gli
altri parametri biochimici indagati (Tabella IV).
Tabella IV. Correlazioni tra età e parametri biochimici
con il punteggio UDPRS nei pazienti con MP
296
DISCUSSIONE
Elevati livelli di metallo-ioni come pure fenomeni di stress ossidativo sono stati descritti in vari disordini neurodegenerativi caratterizzati da
perdita selettiva dei neuroni dopaminergici nigro-striatali come la MP, la
paralisi sopranucleare progressiva e l’atrofia multisistemica (7).
Vari studi hanno documentato come la morte di siffatta popolazione
neuronale nella MP sia correlata ad un aumento della concentrazione cellulare di vari metallo-ioni che avrebbe, come conseguenza, da un lato uno
sbilanciamento dello stato redox, dall’altro un eccessivo consumo di sostanze ad azione antiossidante (1).
Sono, infatti, documentate evidenze circostanziali che lo sbilanciamento dello stato redox cellulare, provoca a livello dei neuroni dopaminergici un’iper-produzione di 6-idrossi dopamina che, trasformandosi nel
quinone corrispondente, libera elevate quantità di ione superossido (7).
Questa reazione a cascata, agendo di per sé, o a seguito della ciclica ossido-riduzione del succitato quinone determinerebbe l’istaurarsi di una
condizione di stress-ossidativo, anche favorita dal contemporaneo consumo di equivalenti riducenti.
Ulteriori conferme di un ruolo della tossicità da metalli nella patogenesi della MP proviene da studi post-mortem effettuati su soggetti parkinsoniani nei quali è stato possibile documentare la presenza di uno uno
‘shift’ dello stato redox dello ione Fe2+ in favore della forma Fe3+, associato ad un una deplezione del glutatione allo stato ridotto (8).
Altre evidenze di tipo sperimentale hanno inoltre dimostrato un coinvolgimento del Cu e dello Zn nei fenomeni di oligomerizzazione dell’alfa sinucleina. In particolare è stato osservato che il Cu ha la capacità di
annullare la repulsione dovuta alla carica negativa delle regioni C-terminali di tale proteina, promuovendone l’aggregazione (1).
Sulla base di tali dati sono stati effettuati altri studi atti a valutare la
presenza di alterati livelli di metalli nei fluidi biologici di pazienti con
diagnosi clinica di MP (3,4,5).
A tutt’oggi, i risultati provenienti da queste osservazioni sono controversi e talvolta in contrasto con quanto evidenziato nel presente studio.
Nella nostra popolazione è stato documentato un incremento dei livelli
sierici di Cu e di Zn associato tanto all’esposizione con inquinati ambientali che alla diagnosi di MP ed indipendente dal sesso e dall’età. In
particolare, lo Zn sembra essere più alto in pazienti con MP in maniera
indipendente dall’esposizione ad inquinamento da metalli pesanti. La
perturbazione del metabolismo del Cu, invece, sembra essere associata
all’esposizione ad inquinamento industriale ed è probabilmente coinvolta nella progressione della stessa MP.
Questo dato, in linea con ampi studi epidemiologici che hanno documentato un incremento del rischio per MP in popolazioni esposte ad elevati livelli ambientali di Cu e Zn (8) è in antitesi con altre osservazioni
che, viceversa, hanno documento un decremento delle concentrazioni di
tali elementi nel siero e nel liquor di pazienti parkinsoniani (4).
Tale discordanza di risultati potrebbe derivare dalla mancanza, in tali studi, di soggetti residenti in aree ad alto rischio ambientale, dal non
avere indagato la presenza di eventuali ’bias’ demografici o, infine dal
numero esiguo di casi considerati.
Il dato nuovo desumibile dalle nostre osservazioni è l’avere dimostrato una correlazione diretta tra gravità di malattia e livelli sierici di Cu:
le esigue evidenze riportate in letteratura a tal proposito, non ci consente,
allo stato attuale, un’univoca interpretazione di questo fenomeno, sebbene, come precedentemente accennato, recenti acquisizioni indicano un
possibile coinvolgimento del Cu nei fenomeni di oligomerizzazione dell’alfa-sinucleina (2).
Un altro meccanismo che spiegherebbe un coinvolgimento del Cu
nella patogenesi della MP è l’iperproduzione di ROS secondaria all’ossidazione irreversibile della superossido dismutasi Cu/Zn
dipendente(Cu, Zn SOD), enzima implicato nelle risposte cellulari allo
stress ossidativo (9).
La Cu,Zn SOD - se alterata nella sua struttura - rappresenta di per sé
una fonte di radicali liberi, nella fattispecie rappresentati dall’anione
idrossile (9). Quest’ultimo interagendo con il Cu liberato a seguito dell’inattivazione della Cu,Zn SOD, amplifica e mantiene l’alterazione dello
stato redox cellulare che, secondo alcuni autori, precederebbe l’istaurarsi
di un danno mitocondriale, del tutto simile a quello indotto in modelli
sperimentali da un inibitore selettivo del complesso I, il rotenone (1).
È, pertanto, possibile che l’esposizione ad elevate concentrazioni
ambientali di metallo-ioni possa essere implicata, assieme ad altri fattori
acquisiti ed ad un non ancora identificato background genetico, nella pa-
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togenesi della MP e di altri disordini neuro-degenerativi che riconoscono
nello stress-ossidativo e nel misfolding proteico i principali meccanismi
coinvolti nel determinismo biologico di tali entità nosografiche.
Ulteriori studi sia clinici e sperimentali sono necessari per chiarire
del tutto il ruolo dei metallo ioni in tali malattie, anche al fine di indicare possibili nuove strategie diagnostiche e terapeutiche.
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G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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SESSIONE
ERGONOMIA
COM-01
IL SOVRACCARICO BIOMECCANICO DEGLI ARTI SUPERIORI
NEL COMPARTO ACCONCIATORI: DALL’ANALISI DEI COMPITI
ALLA MATRICE MANSIONE-ESPOSIZIONE
E. Mastrominico1, C. Breschi1, G. Corbizzi Fattori2, F. Pini1,
F. Carnevale2
1Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione, INAIL
Direzione Regionale Toscana
2U.F. PISLL “G. Pieraccini” ASL 10 di Firenze
RIASSUNTO. L’analisi dei dati relativi alle malattie professionali
nel comparto acconciatori in Italia e in Toscana mette in evidenza una riduzione delle malattie “tradizionalmente” associate alle lavorazioni tipiche del mestiere (dermatiti, asma, ecc.) ed un parallelo aumento delle malattie da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori.
È intuitivo che la valutazione dell’esposizione al rischio per gli arti
superiori nelle mansioni caratteristiche del comparto in esame comporta
notevoli difficoltà, in quanto il ciclo lavorativo si compone di compiti fra
loro diversificati (shampoo, taglio, tintura, ecc.) che si possono combinare nelle modalità più svariate nell’arco di una giornata lavorativa.
Il lavoro illustra i primi risultati di un progetto avviato lo scorso anno
dalla Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione dell’INAIL Direzione Regionale Toscana e dall’U.F. PISLL “G. Pieraccini” ASL 10 di
Firenze,’INAIL - Direzione Regionale Toscana e dall’ASL 10 di Firenze.
Attraverso uno studio condotto utilizzando il metodo OCRA nella
sua versione Check List su un campione costituito da 12 addetti di cinque
saloni della provincia di Firenze, si è arrivati alla stesura di una matrice
mansione-esposizione che consente di ricavare un indice di esposizione
al rischio specifico per mansione, tenendo conto dei contributi dei singoli compiti ripetitivi eseguiti dall’operatore.
Parole chiave: parrucchiere, arti superiori, valutazione del rischio,
OCRA
BOMECHANICAL
OVERCHARGE OF THE UPPER LIMBS IN HAIRDRESSERS:
FROM THE TASK ANALYSIS TO THE JOB/EXPOSITION MATRIX
297
lo più piccolissime. Infatti, il numero medio di addetti risulta in media pari a 1,68. Il 7,2% di tali imprese ha sede in Toscana, dove il comparto occupa 14.149 addetti (pari all’8,5% degli addetti in Italia).
L’analisi dei dati relativi alle malattie professionali denunciate all’INAIL nel comparto acconciatori in Italia e in Toscana mette in evidenza
una riduzione delle malattie “tradizionalmente” associate alle lavorazioni tipiche del mestiere (dermatiti, asma, ecc.) ed un parallelo aumento
delle malattie da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori, ovvero
di malattie di tipo multifattoriale per le quali non è sempre facile stabilire l’origine professionale. Tuttavia, mentre in letteratura è presente un
gran numero di studi riguardanti l’insorgenza di malattie a carico della
cute e dell’apparato respiratorio nell’attività di acconciatore, molto meno
numerosi sono gli studi relativi all’analisi dei rischi da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori.
È intuitivo che la valutazione dell’esposizione al rischio per gli arti
superiori nelle mansioni caratteristiche del comparto in esame comporta
notevoli difficoltà, in quanto il ciclo lavorativo si compone di compiti fra
loro diversificati (shampoo, taglio, tintura,, ecc.) che, a seconda delle richieste della clientela, si possono combinare nelle modalità più svariate
nell’arco di una giornata lavorativa.
Il lavoro illustra i primi risultati di un progetto avviato lo scorso anno dalla Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione della
Direzione Regionale Toscana e dall’U.F. PISLL “G. Pieraccini” ASL 10
di Firenze, finalizzato alla individuazione di un criterio valutativo per la
costruzione di una matrice mansione-esposizione al rischio da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori nelle imprese di acconciatura. Ciò,
accanto ad una analisi degli elementi caratterizzanti il binomio attrezzature-attività, ha consentito al gruppo di lavoro di mettere a punto una serie di indicazioni che datori di lavoro, medici competenti e lavoratori possono utilizzare quale supporto per affrontare alcune questioni riguardanti
la salute e la sicurezza sul lavoro.
Lo studio, quindi, ha consentito agli Enti coinvolti la creazione di
uno strumento interno di lavoro per l’analisi di alcune patologie di probabile origine professionale, utilizzabile anche nell’ambito delle attività
di tipo prevenzionale che la vigente normativa assegna loro.
MATERIALI E METODI
L’indagine tecnica è stata preceduta da un’analisi di primo livello,
durante la quale sono state raccolte, attraverso un questionario appositamente costruito, informazioni generali sulle modalità organizzative ed
operative e sono stati identificati i compiti caratteristici delle mansioni.
Successivamente sono stati realizzati filmati delle lavorazioni svolte nel
corso della giornata lavorativa e, per ciascun compito, è stato definito un
indice OCRA Check List medio. Più in dettaglio, per ognuno dei compiti osservati, sono stati attribuiti i rispettivi punteggi ai singoli fattori definiti dalla Check List OCRA; per ognuno dei fattori di rischio caratteristici di uno specifico compito è stato definito un punteggio medio, ottenuto
come media statistica dei punteggi attribuiti a quello specifico fattore attraverso l’osservazione di più compiti di uno stesso tipo.
L’indice sintetico di ciascun compito è stato calcolato facendo riferimento a tali valori medi.
ABSTRACT. The analysis of professional diseases denounced from
hairdressers in Italy and in Tuscany shows among these workers a
reduction of some “typical” work related diseases, like dermatitis,
asthma, etc. and a raise of upper limbs disorders.
The upper limbs risk assessment process is very tough for the
hairdresser’s activity, because the working cycle includes different tasks
(shampoo, cut, dyeing, etc.) and their combination in a working day is
related to customers requests.
RISULTATI
The job illustrates the first results of a project started last year from
In questa prima fase hanno aderito al progetto 5 saloni di acconciathe Tuscany Technical Advisory Department for Risk Assessment and.
tura per un totale di 12 operatori (5 maschi e 7 femmine).
Prevention (CONTARP) of the Italian Workers’ Compensation Authority
La tabella I riassume i valori degli indici medi di esposizione OCRA
(INAIL) and PISLL “G. Pieraccini” - ASL 10 of Florence.
Check List per l’arto destro ottenuti nella valutazione dei compiti di
Through a study conducted with the OCRA Check List method on a
shampoo, taglio, messa in piega e tintura attraverso le osservazioni consample constituted by 12 employees of five shops of the Florentine
dotte dal gruppo di lavoro secondo le modalità descritte in precedenza.
territory, we have arrived to a job-exposure matrix that allows to draw an
Tali valori sono stati ponderati rispetto alla durata del compito nel turno
index of exposure to the specific risk for every task, keeping in mind the
di lavoro.
contributions of the single repetitive assignment performed by the
operator during the working day.
Tabella I. Indice OCRA Check List medio per tempo di adibizione
Key words: hairdresser, upper limbs,
al singolo compito ripetitivo - Arto destro
risk assessment, OCRA
INTRODUZIONE
In Italia la distribuzione degli acconciatori è tra le più elevate tra i Paesi dell’Unione Europea: si contano più di
100.000 imprese (un’impresa ogni 580
abitanti) per un totale di 170.892 addetti.
Si tratta tuttavia di imprese artigiane per
298
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
La somma degli indici ponderati di tutti i compiti che compongono
ciascuna mansione consentirà di associare alla stessa un valore medio di
esposizione.
Il valore dell’indice finale andrà confrontato con le fasce di rischio
individuate dalla Check List OCRA1, tenendo conto anche della durata
del lavoro ripetitivo nell’intero turno.
Se si confrontano i dati ricavati dalle osservazioni con quelli ottenuti attraverso la somministrazione del questionario utilizzato per lo studio
preliminare, si evince una scarsa consapevolezza dei lavoratori relativamente ai fattori che possono incidere sul rischio posturale. È vero che un
posto preminente nella classifica dei rischi percepiti appare occupato dal
rischio da stress, seguito dal rischio posturale. Tuttavia, gli operatori, pur
percependo un malessere legato alla qualità del proprio lavoro che può ripercuotersi sulla salute personale, attribuiscono in linea generale punteggi complessivamente molto alti al proprio ambiente di lavoro e non riscontrano deficienze rilevanti nell’organizzazione interna dell’attività lavorativa.
DISCUSSIONE
Per la valutazione del rischio da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori nel comparto acconciatori, attraverso uno studio condotto su
un campione costituito da 12 addetti di cinque saloni della provincia di
Firenze, si è arrivati ad una prima stesura di una matrice mansione-esposizione al rischio specifico, che consente di ricavare un indice di esposizione per mansione, tenendo conto dei contributi dei singoli compiti ripetitivi eseguiti dall’operatore durante la giornata lavorativa.
Tale matrice può rappresentare un utile supporto per il datore di lavoro, al fine di individuare soluzioni di tipo organizzativo per ridurre l’esposizione dei lavoratori al rischio, che non devono comunque prescindere da una corretta impostazione del layout della postazione di lavoro.
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1 [1]
Gli autori individuano le seguenti fasce di rischio
Valore OCRA
CHECK LIST
AREA
RISCHIO
<7,5
VERDE
ACCETTABILE
7,6 - 11
GIALLO
BORDERLINE O
MOLTO LIEVE
11,1 - 14.0
14,1 - 22,5
ROSSO LIEVE
ROSSO MEDIO
LIEVE
MEDIO
> 22,6
ROSSO INTENSO O VIOLA
ALTO
COM-02
LA ADOZIONE DEL LETTO ELETTRICO NEI REPARTI DI DEGENZA
OSPEDALIERA: VALUTAZIONE DELL’IMPATTO PREVENTIVO
SULLE PATOLOGIE DEL RACHIDE DEGLI OPERATORI SANITARI
M.I. D’Orso1, L. Zoppini2, M. Dell’Acqua2, C. Toso3, G.C. Cesana1
1Dipartimento
di Medicina Clinica e Prevenzione - Università di Milano
Bicocca
2Azienda Ospedaliera di Legnano (Mi)
3Consorzio per lo Sviluppo della Medicina Occupazionale ed Ambientale
- Monza
Corrispondenza: Claudia Toso - Per riferimenti organizzativi la mail di
servizio è [email protected]
RIASSUNTO. Al fine di ridurre gli infortuni professionali e le idoneità limitate negli infermieri addetti a movimentazione di pazienti non
autosufficienti si è attivato nella A.O. di Legnano un progetto di sostituzione dei letti di degenza tradizionali con letti elettrici.
Si descrivono l’articolazione e l’evoluzione del progetto di inserimento dei letti elettrici nonché le ricadute positive sulla salute dei lavoratori addetti a movimentazione manuale di pazienti e sui possibili infortuni nei pazienti stessi
Parole chiave: infortunio sul lavoro, letto elettrico, lombo-sciatalgia
THE
ADOPTION OF ELECTRICAL BEDS IN HOSPITAL CLINIC UNITS:
EVALUATION OF THE IMPACT ON WORKERS’ LOW BACK PATHOLOGIES
ABSTRACT. With the aim of reducing the number of occupational
accidents and of judgements of limited work ability among the nurses having as work task the movement of not self-sufficient patients, the Legnano Hospital has defined a project of substitution of the traditional hospital beds with electrical beds.
We describe the project of substitution of the beds and the positive results both on the health status of the workers using electrical beds and on
the reduction of the falls occurred to the patients.
Key words: work accident, electrical bed, low back pain
INTRODUZIONE
Le patologie cronico degenerative del rachide costituiscono ormai da
anni nei paesi industrializzati la seconda causa di malattia nella popolazione generale.
Nella popolazione lavorativa di tali paesi la elevata prevalenza di patologie cronico degenerative del rachide costituisce causa di frequenti limitazioni della idoneità lavorativa od addirittura di non idoneità completa a compiti lavorativi che prevedano necessariamente o la movimentazione manuale di carichi od attività che comportino fasi di trazione o
spinta di carichi.
Una rilevante percentuale di tali patologie viene correlata nella sua
eziopatogenesi a livello causale o concausale proprio con i compiti lavorativi svolti dai lavoratori che manifestano i quadri clinici.
Ove ciò sia, queste patologie si configurano quindi come malattie
professionali o comunque come malattie correlate con il lavoro. I quadri
clinici di patologia acuta o cronica del rachide a causa o concausa professionale sono numericamente correlati con la entità della movimentazione manuale di carichi insita nella attività lavorativa.
Una tipologia di lavoratori la cui attività professionale prevede intrinsecamente la necessità di movimentare manualmente e frequentemente carichi rilevanti è quella degli infermieri, con particolare riguardo a
quelli che prestano servizio nei reparti di degenza di pazienti non completamente autosufficienti.
Per tali lavoratori si rendono necessari interventi preventivi volti a ridurre l’impegno del rachide, soprattutto della sua porzione lombosacrale,
nelle varie fasi di lavoro.
Tra questi interventi particolare rilevanza ha l’introduzione di ausili
meccanici che consentano di non movimentare manualmente i pazienti
non autosufficienti.
La ricerca si propone di valutare gli effetti indotti sulla salute dei lavoratori operanti in alcuni reparti ospedalieri della A.O. di Legnano dalla introduzione di particolari ausili (letti elettrici) in quattro presidi ospedalieri che in precedenza ne erano sprovvisti.
MATERIALI E METODI
La ricerca è stata condotta presso la Azienda Ospedaliera di Legnano, Ente che risulta articolato in quattro presidi (Legnano, Magenta, Abbiategrasso e Cuggiono).
In tali presidi, si sono valutati gli infortuni professionali segnalati a
carico del personale dipendente ed interessanti il rachide nel periodo
compreso tra il gennaio 2000 ed il giugno 2007.
Si sono inoltre valutate le idoneità al lavoro specifico formulate
dal servizio di Medicina del Lavoro dell’Ente nello stesso intervallo di
tempo.
Particolare attenzione è stata posta nella valutazione di quei giudizi
di idoneità limitata, condizionata o non idoneità, formulati per patologie
acute o croniche del rachide dei lavoratori soggetti a sorveglianza sanitaria ai sensi del titolo V del D.Lgs. 626/94.
Al fine di ridurre gli infortuni professionali tra i lavoratori nonché le
loro limitazioni della idoneità specifica al lavoro, la Direzione della
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
Azienda nell’anno 2004 ha deciso di attivare un programma di sostituzione dei letti di degenza “storici” con acquisizione, tramite la fornitura
in “service”, di letti elettrici, ritenuti sicuramente in grado di ridurre in
modo rilevante il carico di lavoro gravante sul rachide degli operatori sanitari.
La acquisizione dei letti in “service” si caratterizza per il fatto che
l’Ente non diviene immediatamente proprietario delle attrezzature (potendole a costi molto limitati riscattare comunque dopo un certo numero
di anni) ma acquista un servizio di fornitura completo che prevede oltre
alla effettiva consegna dei letti anche la garanzia di un contratto di manutenzione ordinaria e straordinaria a costo fissato e stabile per tutta la
durata della fornitura.
Ulteriori scopi del programma sono stati: la riduzione del rischio di
incidenti per i degenti con particolare riguardo alle cadute ed alle loro
possibili conseguenze medico legali; il miglioramento del confort degli
assistiti.
Per la definizione della procedura di acquisizione dei letti è stata attivata una commissione che nei suoi componenti raccogliesse le competenze mediche, tecniche ed amministrative necessarie.
In particolare si sottolinea come importante sia stato il ruolo svolto
dai dirigenti del Servizio Infermieristico dell’Ente nel rappresentare le
necessità dei diretti utilizzatori degli ausili.
Dopo una completa valutazione tecnica dei possibili modelli di letti
elettrici disponibili commercialmente ed al termine delle procedure amministrative di gara (alla quale si sono presentati 5 raggruppamenti di imprese) sono stati introdotti nei reparti di degenza 150 letti elettrici.
Nella procedura di gara è stata prevista nelle fasi preliminari alla assegnazione della commessa una transitoria fornitura sperimentale di letti
prova, da valutare da parte del personale con prove pratiche da realizzarsi direttamente nei reparti nei quali era prevista l’introduzione degli ausili.
Si evidenzia come per problematiche di bilancio non sia stato possibile attivare una fornitura con lo scopo di coprire la totalità dei posti letto dell’Ente ma solo di quelli più interessati da degenze di pazienti parzialmente sufficienti o non autosufficienti.
Prima della attivazione avvenuta nel gennaio 2006 della sostituzione
dei letti elettrici a carico della impresa fornitrice degli ausili è stata effettuata una formazione specifica della durata di una giornata a tutto il personale che continuativamente (nei reparti di degenza) o discontinuamente (nei servizi diagnostici od in sala operatoria) avrebbe operato con i
nuovi letti.
I letti tradizionali, richiestici da una associazione umanitaria, sono
stati ad essa ceduti gratuitamente ed inviati in Uganda per attrezzare un
ospedale del luogo che ne era privo.
I letti elettrici introdotti rispondono tra l’altro ai seguenti requisiti
tecnici:
• superfici del letto piene con 4 sezioni e 3 snodi
• elevazione dello schienale con funzione auto-contorno e testiera fissa facilmente estraibile
• comando bilaterale per il rapido ritorno alla posizione distesa per la
rianimazione cardio-polmonare
• mantenimento temporaneo delle funzioni elettriche in caso di interruzione della alimentazione
• presenza di allarme acustico e visivo
• regolazione elettrica della altezza del letto
• portata massima del letto di almeno 230 Kg. e presenza di sponde laterali protettive
• possibilità di postura seduta completa senza necessità di mobilizzazione del paziente
• sistema frenante centralizzato su tutte le 4 ruote con ruote direzionali
• comandi elettrici sia manuali che a pedale
• predisposizione per la trazione ortopedica
Al termine dei primi 18 mesi trascorsi dalla introduzione dei letti
elettrici si sono raccolti i dati concernenti l’andamento rispetto al periodo precedente della numerosità degli infortuni professionali al rachide occorsi agli operatori nei reparti ove i letti erano stati introdotti e delle limitazioni della idoneità lavorativa definite dal Servizio di Medicina del
Lavoro aziendale.
Si sono infine valutati, tramite la redazione da parte del personale interessato di un apposito questionario anonimo, il livello di gradimento dei
nuovi letti e le eventuali segnalazioni di difficoltà nel loro utilizzo.
299
RISULTATI
Gli infortuni dovuti a movimentazione manuale di pazienti nel personale sanitario dei quattro presidi ospedalieri sono stati nel periodo considerato 148. Tale dato negli ultimi tre anni precedenti la introduzione dei
letti elettrici in alcuni reparti è rimasto sostanzialmente stabile, come stabile è rimasta la numerosità della popolazione lavorativa complessiva interessata dalla ricerca.
In particolare la numerosità complessiva nella Azienda Ospedaliera
degli infortuni da movimentazione manuale di pazienti è stata di 13 casi
nel 2003, di 14 casi nel 2004 e di 15 casi nel 2005. La numerosità degli
infortuni da movimentazione manuale di pazienti è crollata nel corso del
2006 a 5 casi con una riduzione del 66% sull’anno precedente.
Si evidenzia come i casi residui si siano manifestati quasi tutti nei lavoratori operativi nei reparti ove i letti elettrici non erano stati inseriti.
Nel corso del primo semestre del corrente anno, gli infortuni registrati sono stati 3, tutti nei reparti non dotati di letto elettrico.
Le limitazioni della idoneità lavorativa alla movimentazione manuale di carichi nel periodo considerato sono state 276. Nel corso dell’anno
2006 si è notato un incremento complessivo di tali limitazioni rispetto all’anno precedente da 33 a 36.
L’incremento riscontrato è però stato disomogeneo. In particolare sono aumentati in modo rilevante i giudizi di limitazione della idoneità lavorativa espressi in relazione alla movimentazione manuale di pazienti
nei reparti non interessati dalla introduzione del letto elettrico, mentre si
sono ridotti i giudizi in tal senso tra il personale dei reparti ove i letti elettrici sono stati inseriti.
La valutazione del gradimento del personale dei nuovi ausili è stata
molto positiva nel 75% dei lavoratori interpellati, abbastanza positiva nel
11% dei casi, negativa solo nel 5% dei questionari raccolti. Tale dato, se
paragonato con analoghe esperienze descritte in letteratura, risulta sicuramente più positivo di quanto usualmente sia riportato.
Si evidenzia infine, dato non di stretta rilevanza ai fini della Medicina del Lavoro ma sicuramente utile per quanto concerne l’attività quotidiana delle Aziende Ospedaliere, che nell’anno 2006, rispetto a quanto registrato nell’anno precedente, le cadute dal letto dei degenti registrate nei
reparti ove i letti elettrici sono stati introdotti si sono ridotte da 82 ad 11
(86,2%).
DISCUSSIONE
I risultati della ricerca effettuata hanno evidenziato come i letti elettrici utilizzati abbiano effettivamente prodotto quegli effetti di prevenzione degli infortuni dei lavoratori che erano stati auspicati. In particolar
modo, letti elettrici aventi le caratteristiche come quelle indicate nel capitolato sono stati in grado di eliminare praticamente gli infortuni da movimentazione manuale di pazienti nei reparti ove sono stati introdotti. Tale riduzione della patologia acuta professionale a carico del rachide è stata generalizzata nei diversi reparti ove i letti elettrici sono stati introdotti.
L’andamento della numerosità della definizione di idoneità lavorative limitate per la movimentazione manuale decise dal Medico del Lavoro evidenzia come, a fronte di una riduzione delle limitazioni nei reparti
ove i letti sono stati introdotti, ci sia stato un aumento dei casi complessivi.
Ciò è giustificato da un lato con il progressivo aumento del carico di
lavoro del personale, dall’altro con il progressivo invecchiamento sia della popolazione assistita (con più pazienti non autosufficienti) sia della
stessa popolazione lavorativa.
Si ritiene inoltre possibile che lo stesso progetto descritto nella ricerca abbia portato sia i lavoratori che il Medico del Lavoro a valutare con
maggiore attenzione e preoccupazione le patologie acute o croniche del
rachide, centrando su di esse particolare interesse e causando un conseguente indiretto aumento del numero di provvedimenti medico legali definiti.
La elevata percentuale di risposte positive ottenute al questionario di
gradimento dei letti elettrici, predisposto appositamente in forma anonima ed autosomministrata (modalità tecnica di raccolta di informazioni in
sé molto poco coercitiva), è sicuramente la conseguenza anche di un condiviso e partecipato percorso di informazione e formazione del personale
nel processo che ha portato all’acquisizione dei nuovi ausili.
Il gradimento molto elevato che i lavoratori hanno evidenziato per la
scelta organizzativa effettuata dall’Ente nel questionario anonimo è prova valida della adeguatezza della scelta tecnica effettuata nella selezione
dei possibili letti elettrici.
300
CONCLUSIONI
Lo studio effettuato ha evidenziato i vantaggi potenziali della sostituzione di quei letti di degenza tradizionali che ancora oggi costituiscono
la maggior parte dei letti usualmente disponibili negli ospedali del nostro
paese.
La introduzione dei letti elettrici, al fine di conseguire tutti i possibili effetti positivi sulla prevenzione degli infortuni professionali dei lavoratori, necessita però di un percorso condiviso tra tutte le figure interessate presenti nelle Aziende Ospedaliere con particolare riguardo al personale addetto alla movimentazione manuale dei pazienti.
La introduzione dei letti elettrici secondo le procedure di “service”
sembra essere economicamente ed organizzativamente più vantaggiosa
rispetto alle tradizionali forme di acquisto.
I letti elettrici si sono inoltre dimostrati validi nella riduzione anche
degli infortuni per caduta a carico dei degenti e ciò ha comportato evidenti benefici in termini di miglioramento prognostico dei pazienti e di riduzione dei possibili contenziosi medico legale di natura risarcitoria.
L’insieme delle considerazioni sopraesposte ha indotto la Direzione
Generale della Azienda a decidere un generalizzato programma di acquisto di letti elettrici, anche in quei reparti ancora non interessati alla introduzione dei nuovi letti in quanto caratterizzati da una più limitata numerosità di pazienti non completamente autosufficienti
Si ritiene comunque opportuno proseguire con la sorveglianza della
evoluzione nel tempo degli indici infortunistici considerati, al fine di verificare la opportunità di procedere ad aggiornamenti ed integrazioni delle attività di formazione del personale.
BIBLIOGRAFIA
1) Colombini D, Occhipinti E: La movimentazione manuale di carichi.
Dossier Ambiente n. 33, 1996
2) Fender G, Creyer C, Donovan S, Carter Y,: Guidelines for the prevention of fall in people over 65. BMJ, 321:1007-1011, 2000
3) Leighton D, Reilly T: Epidemiological aspects of back pain, the incidence and prevalence of back pain nurses compared with the general population. Occup Med, 45: 263-267, 1995
4) Menoni O, MG Ricci, Panciera D, Occhipinti E: Valutazione dell’esposizione ad attività di movimentazione manuale di pazienti nei reparti di degenza: metodi, procedure, indici di esposizione e criteri di
classificazione. Med Lav, 2: 152-172, 1999
5) Ricci MG, Menoni O, Colombini D, Occhipinti E: Studi clinici negli
operatori sanitari addetti alla movimentazione manuale di pazienti,
metodi per la rilevazione delle affezioni del rachide. Med. Lav.,
2:173-190, 1999
COM-03
L’AMBULATORIO DI POSTUROLOGIA COME SUPPORTO
SPECIALISTICO PER LA MEDICINA DEL LAVORO - CASISTICA E
RISULTATI DELLA PRATICA CLINICA DI UNA STRUTTURA
OSPEDALIERA
R. Centemeri1, M.I. D’Orso2, R. Latocca3, W. Pagani3, G.C. Cesana2
1Consorzio
per lo Sviluppo della Medicina Occupazionale ed Ambientale
- Monza (Mi)
2Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione - Università di Milano
Bicocca
3Unità di Medicina Occupazionale ed Ambientale - A.O. San Gerardo Monza (Mi)
Corrispondenza: Centemeri Roberto - Per riferimenti organizzativi la
mail di servizio è [email protected]
RIASSUNTO. La visita specialistica posturologica è uno strumento
medico poco conosciuto per la diagnosi e la attivazione di interventi terapeutici in casi clinici di patologia dolorosa del rachide. Si illustrano i
protocolli in uso nel nostro ambulatorio universitario/ospedaliero di posturologia e la casistica valutata negli ultimi due anni. L’approccio personalizzato di diagnosi e terapia seguito ha consentito di ottenere nei pazienti non affetti da patologia di tipo organico una remissione pressoché
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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generalizzata della sintomatologia ed un contenuto numero di recidive a
distanza di un anno dalla conclusione della terapia.
Parole chiave: posturologia, lombo-sciatalgia, idoneità al lavoro
THE
POSTUROLOGICAL
DEPARTMENT
AS
CLINICAL
SUPPORT
FOR
OCCUPATIONAL MEDICINE: CLINICAL CASES AND RESULTS OF A HOSPITAL UNIT
ABSTRACT. The posturologic visit is a not widely known medical
method for the evaluation and the therapy of low back pain.
We describe the clinical and instrumental method followed in our
posturological clinical unit organized jointly by hospital and university
and the clinical cases evaluated in two years.
An individual diagnostic evaluation and a personal therapy allowed
an almost generalized complete remission of the symptoms and a very
low number of reactivation of low back pain after a follow up of one
years.
Key words: posturology, low back pain, work ability
INTRODUZIONE:
Le sintomatologie dolorose acute o croniche della colonna vertebrale costituiscono frequente causa di disabilità nella popolazione generale.
Tali quadri interessano con particolare frequenza il segmento cervicale e quello lombosacrale dei pazienti.
Nella popolazione lavorativa le sintomatologie dolorose del rachide
frequentemente interessano lavoratori i cui compiti professionali presentano fasi di rilevante impegno a carico del rachide o per una rilevante movimentazione manuale di carichi o per la necessità di mantenere posture
fisse del rachide protratte nel tempo.
Queste sintomatologie, frequentemente peraltro caratterizzate da
scarsa oggettività clinica, obbligano spesso il Medico del Lavoro a definire e sancire giudizi di idoneità limitata o non idoneità assoluta.
Ciò accade soprattutto nei settori produttivi ove la movimentazione
manuale di carichi è particolarmente rilevante e rende necessario ricercare
ove possibile un percorso di reinserimento lavorativo dei lavoratori affetti.
In questa eventualità, particolare rilevanza assumono anche problemi di diagnosi differenziale delle algie del rachide e conseguenti ipotesi
di approcci terapeutici spesso tra loro molto eterogenei e caratterizzati da
esiti frequentemente non soddisfacenti.
In queste situazioni si viene ad inserire la visita specialistica posturologica, accertamento clinico non ancora particolarmente diffuso ed utilizzato dal Medico del Lavoro, che consente tramite specifiche manovre
semeiotiche e strumentali una valutazione funzionale completa della fisiologia della postura del rachide e delle possibili sue alterazioni nei pazienti affetti da sintomatologia dolorosa acuta o cronica.
MATERIALI E METODI
Al fine di valutare la possibili ricadute di un supporto specialistico
posturologico al Medico del Lavoro per la valutazione di lavoratori che
risultavano essere affetti da algie acute o croniche del rachide, si sono rivalutati i controlli clinici effettuati in un biennio nell’ambulatorio integrato di posturologia ospedaliero/universitario della nostra Azienda
Ospedaliera.
I controlli hanno riguardato pazienti che sono pervenuti al nostro ambulatorio per prescrizione originata da colleghi di diverse discipline.
I pazienti selezionati non erano portatori di patologia diagnosticata al
rachide di natura organica.
I pazienti inclusi nella ricerca sono stati solo quelli, di entrambi i sessi, con età compresa tra i 18 ed i 65 anni che dichiaravano di essere affetti da algia acuta o cronica a carico di un solo segmento della colonna
vertebrale (o cervicale o dorsale o lombare).
La scelta di limitare con questo parametro la popolazione inserita
nella ricerca è stata motivata dalla necessità di valutare al meglio la efficacia dei trattamenti eventualmente effettuati.
I pazienti sono stati sottoposti a visita specialistica posturologica di
base comportante tra l’altro un esame obiettivo specifico per la valutazione posturale del rachide al fine di poter formulare una eventuale diagnosi di disfunzione somatica.
La metodica utilizzata prevede la valutazione secondo i tre criteri
TAR (texture, asimetry, range of motion).
Ai pazienti successivamente sono stati eseguiti:
• una valutazione completa della postura mediante lo studio della posizione del corpo nei tre piani dello spazio tramite l’utilizzo dello
scoliosometro;
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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•
lo studio dell’appoggio podalico mediante il podoscopio al fine di
verificare se l’appoggio fosse armonico, disarmonico o asimmetrico,
nonché il tipo di piede normale, valgo o varo;
• la valutazione oftalmologica della convergenza oculare e delle forie.
Lo studio della postura è stato completato tramite una valutazione strumentale con la pedana stabilometrica statica il cui utilizzo è stato effettuato seguendo i criteri indicati dalla Associazione francese di posturologia, al
momento la più autorevole nella definizione dei criteri di normalità per la
razza caucasica, che sono riassunti nelle linee guida “Normes 85”.
Questo iter diagnostico ha permesso di individuare i pazienti che presentavano una o più alterazioni dei meccanismi fisiologici della postura,
indirizzando invece quelli che presentavano il sospetto di alterazioni patologiche di altra natura ai colleghi specialisti di altre aree disciplinari.
Per i lavoratori che presentavano alterazioni posturali l’iter diagnostico strumentale è stato completato con indagini diverse caso per caso
(Rx grafia, TAC, RMN).
I pazienti selezionati sono stati successivamente indirizzati verso un
iter terapeutico specifico e personalizzato mirante a ripristinare una corretta funzionalità osteo-articolare mediante alcuni possibili interventi.
Gli interventi più utilizzati singolarmente od in associazione sono
stati: la terapia manuale, la fisiochinesiterapia, l’utilizzo di plantari propriocettivi, la adozione di diottri sferici o piani.
Ai lavoratori che lo desideravano è stato effettuato un follow up della durata di un anno che ha poi esitato nella stesura di una relazione destinata al medico che aveva provveduto all’invio del paziente.
RISULTATI
I pazienti selezionati nello studio secondi i criteri sopraespressi sono
stati 502, 320 femmine e 182 maschi, la maggioranza dei quali (67,0%)
inviata dai rispettivi medici di Medicina Generale.
Solo il 13,5% dei pazienti è risultata essere stata inviata dal Medico
del Lavoro.
La causa di invio predominante è stata la presenza di lombalgia acuta/cronica (52%) seguita dalla cervicalgia acuta/cronica (31%).
Il programma diagnostico sopradescritto ha consentito di formulare
tra i pazienti le seguenti diagnosi:
• 114 alterazioni della propriocettività;
• 112 disfunzioni somatiche;
• 133 alterazioni posturali.
Poiché in alcuni casi è stata riscontrata la combinazione di almeno
due diagnosi associate, il successivo iter terapeutico è stato costruito sulla base di eterogenei obiettivi da raggiungere tra i seguenti: normalizzazione della funzione somatica, recupero della propriocettività, riequilibrio posturale.
La durata dei cicli terapeutici è risultata essere compresa tra i 21
giorni ed i tre mesi.
Le tecniche più utilizzate sono state: la fisiochinesiterapia (22,7%),
la osteopatia (22,3%), l’applicazione di plantari propriocettivi (26,5%).
I controlli a distanza eseguiti a distanza di 1 mese, 3 mesi, 6 mesi ed 1
anno dalla fine della terapia, hanno permesso di verificare tra i pazienti affetti da una o più alterazioni funzionali della fisiologia della postura una percentuale riferita di recidive della sintomatologia dolorosa solo del 15,0%.
La nostra certificazione ci ha consentito, per i pazienti risultati asintomatici alla fine del periodo di controllo, di pronunciarci a favore di un
completo ripristino della idoneità lavorativa come è stato certificato in
apposite relazioni consegnate al paziente.
DISCUSSIONE
La ricerca effettuata ha evidenziato, pur nella ridotta area geografica
di riferimento del nostro ambulatorio prevalentemente limitata alle Province di Milano, Lecco e Como, come siano numerosi i lavoratori che
presentano algie al rachide non chiaramente diagnosticate e non regredite dopo i comuni interventi terapeutici.
La scelta di inviare i pazienti all’ambulatorio di posturologia è, probabilmente per maggiore affinità disciplinare, attualmente prevalentemente adottata dai medici di Medicina Generale e non dai Medici del Lavoro che al contrario potrebbero essere più interessati all’approfondimento dei quadri clinici dei pazienti/lavoratori, soprattutto per finalità
medico legali con particolare riferimento alla definizione della idoneità
residua dei singoli lavoratori.
La quasi totalità dei pazienti afferiti all’ambulatorio erano reduci da
uno o più tentativi terapeutici effettuati secondo protocolli diagnostici e
301
terapeutici differenti ma comunque non esitati nella auspicata risoluzione
della loro sintomatologia.
Una appropriata valutazione posturologica clinica e strumentale dei
quadri di sintomatologia dolorosa a carico del rachide consente un approfondimento diagnostico che permette di meglio definire quali casi clinici siano originati da patologie di tipo organico e quali quadri siano invece di tipo disfunzionale. Ciò rende possibili da un lato un appropriato inquadramento diagnostico, dall’altro la definizione di appropriati piani terapeutici per le sintomatologie dolorose del rachide di tipo disfunzionale.
In particolare si evidenzia come nella popolazione valutata, composta da pazienti con quadri di algia al rachide ad eziopatogenesi non ben
definita, diagnosi di una o più alterazioni della fisiologica funzione del
rachide siano state effettuate in più del 70% dei casi.
L’approccio terapeutico per essere efficace sembra dover necessariamente essere personalizzato prevedendo, caso per caso, una associazione
tra i diversi interventi terapeutici utilizzati.
In particolar modo una accurata programmazione della composizione del programma terapeutico e soprattutto della sua durata sembra poter
ottenere i migliori risultati.
Si evidenzia come, rispetto ai peraltro non numerosi studi riportati in
letteratura e sulla base di considerazioni mutuabili dalla pratica clinica,
l’approccio seguito abbia consentito di riscontrare al termine del periodo
di ricontrollo una percentuale di recidive della sintomatologia dolorosa
sicuramente contenuta.
Un simile risultato evidentemente può semplificare in modo rilevante le difficoltà che il Medico del Lavoro incontra nella definizione della
idoneità specifica di lavoratori affetti da queste sindromi dolorose, idoneità che spesso può essere ripristinata integralmente.
Ciò rende più facilmente perseguibile l’obiettivo di salvaguardare la
continuità del rapporto di lavoro dei singoli pazienti con una conseguente miglior tutela delle specifiche competenze professionali eventualmente acquisite dai lavoratori nella loro storia professionale.
Questi lavoratori infatti spesso ancora oggi, dopo periodi più o meno
protratti, finiscono con il cambiare attività lavorativa o perdono il posto
di lavoro.
CONCLUSIONI
La valutazione clinica e funzionale posturologica sembra essere una
valida risorsa per la definizione diagnostica e terapeutica di quei casi di
sintomatologia algica del rachide che non riescono ad essere diagnosticati precisamente sulla base degli usuali protocolli clinici.
La risoluzione di buona parte dei quadri clinici valutati e la contenuta
percentuale di recidive nel tempo riferite dai pazienti ha consentito di verificare come un approccio terapeutico posturologico sia sicuramente in grado di essere di valido ausilio sia per la promozione della qualità della vita
di relazione dei pazienti sia per le loro possibili prospettive lavorative.
La attuale realtà della pratica clinica registra però ancora la attivazione solo di poche e limitate collaborazioni tra i Medici del Lavoro ed i
Posturologi e ciò limita fortemente sia l’afflusso di questi pazienti negli
ambulatori di posturologia, sia la possibilità del Posturologo di essere di
ausilio al Medico del Lavoro nella definizione della diagnosi, della terapia e della prognosi soprattutto lavorativa di questi pazienti.
Si ritiene utile ipotizzare l’opportunità di momenti di reciproco
scambio informativo tra Medici del Lavoro e Posturologi al fine di meglio comprendere la rispettiva attività e meglio attivare le possibili forme
di collaborazione.
Ciò costituirebbe sicuramente occasione di soddisfazione professionale per i colleghi di entrambe le discipline e soprattutto potrebbe portare a migliorare sostanzialmente la qualità della vita di molti dei lavoratori affetti da patologia algica non organica acuta o cronica del rachide.
BIBLIOGRAFIA
1) Association Francaise de Posturologie (AFT), NORMES 85, Paris,
Association posture et equilibre, 1985
2) Bricot B., La reprogrammation posturale globale, Paris, Sauramps
Medical, 1996
3) La vertigine cervicale ed otoneurologica: diagnosi differenziale, Roma, Guidetti, 1999
4) Gagey P.M. Weber B.G., Posturologia. Regolazioni e perturbazioni
della stazione eretta, Roma, Marrapese, 2000
5) Vanti C, Generali A., et al, Rieducazione posturale globale nella patologia muscoloscheletrica, Reumatismo, 59: 192-201, 2007.
302
COM-04
PROGETTO BACK SCHOOL IN AZIENDA: COME PREVENIRE
IL MAL DI SCHIENA
R. Morreale1, E. Lissia2, T. Pastorelli2, B. Pasello2, F. Cestaro2,
S. Graziani2, N. Basaglia2
1IFM
Ferrara Scarl - Servizio Sanitario - Ferrara
di Medicina Riabilitativa “S. Giorgio” Arcispedale S.
Anna - Ferrara
2Dipartimento
Corrispondenza: Rosalba Morreale, IFM Ferrara Scarl - Servizio
Sanitario - piazzale Donegani 12, 44100 Ferrara, tel: 0532-598240, fax:
0532-597833, e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. L’esperienza formativa di Back School, oggetto della nostra analisi, si colloca all’interno del reparto di Vigili del Fuoco di
uno Stabilimento Petrolchimico multisocietario, nell’ambito di quel pattern di attività che si propongono di favorire il benessere delle persone in
relazione al loro contesto lavorativo, ai compiti da svolgere, alle regole e
al funzionamento dell’organizzazione.
Il progetto è stato realizzato in collaborazione con il Dipartimento di
Medicina Riabilitativa “S. Giorgio” dell’Arcispedale S. Anna di Ferrara.
Parole chiave: movimentazione dei carichi, mal di schiena, promozione della salute
BACK SCHOOL PROJECT IN A COMPANY: HOW TO PREVENT LOW BACK PAIN
ABSTRACT. This study refers to the experience of Back School
training which was performed inside the Fire Brigade Department of the
multicompany Petrochemical Plant of Ferrara.
Our project includes integrated activities that promote employee’s
well-being related to their workplace and their work duties with the
intention of improving how the organization runs.
This project has been carried out in cooperation with the
Reahabilitation Medicine Department “S. Giorgio” of Arcispedale S.
Anna in Ferrara.
Key words: manual handling, back pain, health promotion
INTRODUZIONE
L’esperienza di formazione, oggetto del nostro studio, promossa dal
Medico Competente aziendale e realizzata da un gruppo di esperti del Dipartimento di Medicina Riabilitativa “S. Giorgio”, si colloca all’interno
del reparto di Vigili del Fuoco di uno Stabilimento Petrolchimico multisocietario, nell’ambito di quel pattern di attività che si propongono di favorire il benessere delle persone in relazione al loro contesto lavorativo,
ai compiti da svolgere, alle regole e al funzionamento dell’organizzazione.
Le società coinsediate nello Stabilimento Petrolchimico alle quali sono prestati i servizi di emergenza - antincendio e primo soccorso - sono
9, per un totale di circa 1800 dipendenti, ai quali si aggiungono i lavoratori delle imprese terze, stimati in circa 500 presenze al giorno.
Il Ministero dell’Interno ha stabilito che presso questa tipologia di
Stabilimento Petrolchimico deve essere funzionante un apposito servizio
aziendale di prevenzione ed estinzione incendi, istituito ai sensi della
Legge 13.05.1961 e del D.P.R. n. 577/1982.
Secondo quanto individuato dal D.M. n. 388/03, recante disposizioni sul pronto soccorso aziendale, le società coinsediate, sulla base della
tipologia di attività svolte, sono classificate in gruppo A. Tre di esse sono soggette a notifica di rischio di incidente rilevante, ai sensi della legge 334/99, ovvero “Seveso bis”.
Il contesto lavorativo si caratterizza nello specifico per una estrema
attenzione agli aspetti di sicurezza dei processi tecnici, per una organizzazione del lavoro a ciclo continuo e per una ricca vivacità di relazioni interpersonali e di sistema.
La sorveglianza sanitaria preventiva e periodica degli addetti Vigili
del Fuoco si misura inevitabilmente con l’ampia e ben rappresentata categoria di patologie muscolo-scheletriche e i conseguenti effetti sulla salute, il benessere e l’idoneità dei lavoratori: il problema senz’altro più comune correlato all’attività lavorativa e di più complessa gestione sia per
il mantenimento sia per la riabilitazione e la reintegrazione dei lavoratori già affetti da tali patologie.
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Gli obiettivi del progetto Back School in azienda si sono pertanto
concentrati sul coinvolgimento diretto degli addetti Vigili del Fuoco, attraverso lo sviluppo dei seguenti punti strategici:
• acquisizione delle conoscenze teoriche degli elementi che concorrono a determinare il rischio da movimentazione manuale dei carichi
• apprendimento delle capacità pratiche per l’effettuazione di manovre
corrette per la movimentazione manuale dei carichi
• esercitazioni collettive relative ad elementi di autotrattamento
• promozione della salute nella comunità attraverso la diffusione della
cultura della prevenzione, in supporto al ruolo e alle attività del Medico Competente.
MATERIALI E METODI
Il presidio antincendio centralizzato è formato da un organico complessivo di 30 unità, organizzate in squadre, costituite da 1 Capo Turno e
da 4 addetti Vigili del Fuoco, in turno 24 ore su 24, per 365 giorni l’anno. La squadra antincendio interviene in caso di emergenza e di soccorso, facendo uso dei mezzi in dotazione al reparto ed esegue attività routinarie di manutenzione degli estintori e di apertura/chiusura valvole della
rete idrica antincendio. L’analisi preliminare dei bisogni si è fondata sulla creazione di un baseline con la valutazione di alcuni aspetti relativi alla storia anamnestica fisiologica, patologica e lavorativa degli addetti Vigili del Fuoco (vedi Tabella I) e sui sopralluoghi congiunti negli ambienti di lavoro da parte di Medico Competente, RSPP ed esperti fisiatri
e fisioterapisti, nel corso dei quali sono stati utilizzati strumenti di analisi quali griglie di osservazione, interviste, questionari e riprese video.
I 30 addetti Vigili del Fuoco sono stati suddivisi in tre gruppi di lavoro; a ciascuno di essi è stato consegnato un questionario di ingresso, riguardante gli argomenti trattati nel corso di formazione per stimare le conoscenze possedute prima delle lezioni teoriche e pratiche.
L’organizzazione del progetto si è avvalsa di:
una Parte Teorica (primo incontro di 2 ore con 1 medico e 2 fisioterapisti) dedicata alla presentazione del progetto e dei dati epidemiologici,
ai cenni di anatomia del rachide e biomeccanica del movimento corretto,
alla patogenesi delle principali patologie dell’apparato muscolo-scheletrico della colonna vertebrale e dell’arto superiore;
una Parte Pratica (4 ore con 1 fisioterapista + 2 ore con 1 medico e
1 fisioterapista) incentrata sulle regole della movimentazione corretta,
partendo dalle manovre compiute abitualmente e sulle tecniche di autotrattamento (allungamento dei distretti muscolari con inserzione nel tratto lombare del rachide e nel bacino; autotrattamento delle contratture muscolari del distretto lombare attraverso la tecnica della pallina da tennis).
Alla fine del corso i partecipanti hanno compilato il questionario di
uscita e un questionario di gradimento del corso.
RISULTATI E DISCUSSIONE
L’analisi dei risultati dei questionari, distribuiti ai partecipanti all’inizio e alla fine del corso, ha dimostrato il netto incremento delle conoscenze degli argomenti oggetto della nostra esperienza di formazione teorico-pratica.
Tabella I. Dati rilevati negli addetti Vigili del Fuoco
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Le riprese video effettuate nei luoghi di lavoro hanno consentito, dopo un riesame specifico e collettivo delle principali attività di movimentazione di carichi, di concretizzare proposte e soluzioni alternative, specie nell’ambito delle attività più propriamente routinarie di controllo e
manutenzione delle attrezzature di lavoro e nell’ambito delle esercitazioni di emergenza. Allo stato attuale appaiono meno immediatamente modificabili le attività vere e proprie di emergenza e soccorso, durante le
quali l’automatizzazione dei gesti e delle posture corrette, ancora in fase
di training, potranno costituire nel tempo le soluzioni più strategiche.
CONCLUSIONI
A distanza di sei mesi dalla fine dei corsi teorico-pratici è previsto un
follow-up con tutti i partecipanti per la valutazione dei risultati, la raccolta di eventi negativi (episodi lombalgici, assenza dal lavoro, assunzione di farmaci antidolorifici, antinfiammatori, …) e le risposte ad eventuali quesiti emersi.
I risultati attesi sono l’acquisizione delle conoscenze teoriche richieste (incremento delle conoscenze) e l’acquisizione delle capacità
pratiche, necessarie e sufficienti per l’effettuazione di manovre corrette
nell’attività lavorativa (miglioramento dei comportamenti), volte, in
un’ottica di prevenzione integrata, al miglioramento della qualità della vita, alla promozione della salute e della sicurezza dei lavoratori, alla riduzione delle patologie correlate al lavoro.
Il progetto Back School ha costituito un esempio di valorizzazione
delle persone e un’opportunità di crescita complessiva per l’azienda.
BIBLIOGRAFIA
Linee Guida per la prevenzione dei disturbi e delle patologie muscoloscheletriche del rachide da movimentazione manuale dei carichi.
SIMLII Volume 10, 2004.
Basaglia N., Salvatori T. e coll., Manuale interno “Ben di schiena”.
McKenzie R., Prenditi cura della tua schiena. 2001.
Burton K., Waddel G. e coll., The Back Book. 2003.
COM-05
LA VISITA SPECIALISTICA POSTUROLOGICA NEGLI OPERATORI
VDT/PC: STRUMENTO DIAGNOSTICO DI SECONDO LIVELLO
PER LE LOMBALGIE
R. Latocca1, M.I. D’Orso2, R. Centemeri3, G. Cesana2
1Unità Medicina Occupazionale ed Ambientale - A.O. San Gerardo Monza (Mi)
2Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione - Università di Milano
Bicocca
3Consorzio per lo Sviluppo della Medicina Occupazionale ed Ambientale
- Monza (Mi)
Corrispondenza: Latocca Raffaele - Per riferimenti organizzativi la mail
di servizio è [email protected]
RIASSUNTO. La diagnosi e la terapia dei casi di lombosciatalgia
cronica non correlati con la presenza di patologie del rachide di natura organica, frequentemente riferiti dai lavoratori addetti all’utilizzo di vdt/pc
in relazione al loro lavoro, sono spesso complesse ed insoddisfacenti sia
per il Medico del Lavoro che per il paziente. La valutazione specialistica
posturologica, articolata in esame clinico ed accertamenti strumentali mirati, sembra poter essere un valido approccio per una più efficace gestione dei pazienti affetti da tale disturbo. I trattamenti proposti nella ricerca
hanno eliminato o ridotto la sintomatologia dolorosa presentata dai pazienti, mantenendo una loro efficacia, espressa dal ridotto numero di recidive, anche ad un anno dal loro termine. Si ritiene opportuna una più
frequente collaborazione tra i Medici del Lavoro ed i Posturologi al fine
sia di migliorare la prognosi dei pazienti affetti da tale sintomatologia, sia
di mantenere nel tempo la loro completa idoneità lavorativa.
Parole chiave: posturologia, lombo-sciatalgia, vdt/pc
THE POSTUROLOGICAL CLINIC EVALUATION IN VDT/PC OPERATORS: A SECOND
LEVEL DIAGNOSTIC INSTRUMENT IN LOW BACK PAIN EVALUATION
303
ABSTRACT. The diagnosis and the therapy of the cases of low back
pain in absence of organic spinal column diseases, frequently referred by
vdt/pc users in connection with their work activities are frequently
unsatisfactory both for the Occupational Doctors and for the patients.
The specialized posturological evaluation, composed by a specific
clinical examination and by specific instrumental exams, seems to be a
valid instrument for a more effective management of patients affected by
such clinical cases. The treatments described in this research have
eliminated or greatly reduced the pain in these patients, with an efficacy
prolonged until at least a year, as it is demonstrated by the few relapses
referred by the workers. We think that a more frequent cooperation
between Occupational Doctors and Posturologists can improve both the
clinical conditions of the patients and the possibilities they have in the
years to maintain their complete work ability.
Key words: posturology, low back pain, vdt/pc
INTRODUZIONE
Le patologie muscolo-scheletriche costituiscono uno dei motivi che
più frequentemente spinge i lavoratori addetti ad attività comportanti l’utilizzo di vdt/pc a rivolgersi ai Medici del Lavoro.
Ciò è dovuto soprattutto al fatto che tali attività prevedono necessariamente che il rachide dei lavoratori ad esse adibiti sia costretto a restare in posizione costantemente seduta per molte ore al giorno.
Una tale situazione altera nel medio e lungo periodo i fisiologici
meccanismi statici e dinamici della colonna vertebrale, predisponendo alla insorgenza di sindromi dolorose osteomuscolari, particolarmente frequenti soprattutto a carico del rachide cervicale e lombare, e, a più a lungo termine, anche ad alterazioni strutturali croniche e degenerative del rachide stesso.
Ove trascurate o non ben inquadrate e trattate, le sindromi dolorose
acute e croniche del rachide dei videoterminalisti possono anche sfociare
in quadri clinici che rendono addirittura necessario procedere alla definizione di limitazioni della loro idoneità lavorativa espresse ai sensi del Titolo VI del D.Lgs. 626/94.
Esse determinano inoltre la necessità da parte del Medico del Lavoro di individuare spesso non semplici percorsi per la diagnosi differenziale di queste sindromi che possono nascondere anche quadri patologici
organici e non disfunzionali di rilevante gravità a carico del rachide od
addirittura quadri patologici di natura sistemica o comunque non originati primariamente a carico del rachide.
Ulteriore necessità per il Medico del Lavoro è il predisporre un opportuno programma di interventi preventivi secondari con lo scopo di
conservare, ove possibile, la mansione del lavoratore al fine di non comprometterne le competenze professionali acquisite nel corso della esperienza lavorativa pregressa.
La visita specialistica posturologica consente, tramite manovre semeiotiche ed accertamenti strumentali, una valutazione funzionale
completa della fisiologia della postura e delle possibili sue alterazioni
nei pazienti affetti da sintomatologia dolorosa acuta o cronica del rachide sia tra la popolazione generale sia, ovviamente, anche tra i lavoratori aventi rilevante impegno del rachide come ad esempio i videoterminalisti.
Si ritiene dunque che la valutazione posturologica potrebbe essere un
valido supporto al Medico del Lavoro nella valutazione di videoterminalisti affetti da tale sintomatologia.
MATERIALI E METODI
Al fine di valutare la possibilità di supporto diagnostico e terapeutico al Medico del Lavoro che l’ambulatorio di posturologia può consentire nel caso di algie del rachide lombare in operatori addetti all’utilizzo di
vdt/pc, si è rivalutata l’attività del nostro ambulatorio di posturologia
ospedaliero/universitario nell’ultimo triennio, selezionando i casi di lavoratori a noi afferiti e definibili videoterminalisti secondo la definizione
fornita dal Titolo VI del D.Lgs. 626/94.
Ciò ci ha portato ad individuare 242 pazienti/lavoratori videoterminalisti.
Tra questi pazienti sono stati selezionati quelli che presentavano una
sintomatologia dolorosa a carico del solo segmento lombare della colonna vertebrale e che non presentavano in anamnesi diagnosi di patologia
del rachide di natura organica.
I pazienti così selezionati sono stati 158 di cui 112 femmine e 52 maschi di età compresa tra i 19 ed i 60 anni.
304
I pazienti inclusi nello studio erano tutti sintomatici per algie del rachide lombosacrale da almeno sei mesi.
Si è ritenuta opportuna una simile selezione al fine di meglio poter
valutare i risultati nel tempo dei programmi terapeutici prescritti.
I pazienti erano giunti alla nostra osservazione prevalentemente su richiesta del medico di base e solo in minor percentuale dei casi per l’invio
da parte di specialisti in medicina del lavoro, ortopedia, neurochirurgia o
fisiatria.
I pazienti sono stati sottoposti ad inquadramento clinico mediante
una mirata anamnesi ed un esame obiettivo specifico per il sistema neuromuscoloscheletrico, nonché una serie di indagini diagnostiche strumentali quali la valutazione con lo scoliosometro, la valutazione con il
podoscopio e lo studio con la pedana stabilometrica.
L’esame obiettivo è stato condotto seguendo i tre criteri che consentono di formulare la diagnosi di disfunzione somatica così come definita
dal codice internazionale delle patologie.
I tre criteri sono individuati tramite l’acronimo TAR (texture, asymmetry, range of motion).
Lo scoliosometro ha permesso di definire la posizione del corpo nei
tre piani dello spazio tramite:
• lo studio sul piano antero-posteriore della distanza tra la verticale di
Barrè e l’apice delle lordosi cervicale e lombare;
• lo studio sul piano frontale della distanza tra la verticale di Barrè e le
deviazioni laterali del capo e della pelvi;
• lo studio sul piano orizzontale delle possibili rotazioni dei cingoli
scapolari e pelvico.
Il podoscopio ha invece permesso di valutare la modalità di appoggio dei piedi (classificato come armonico, disarmonico od asimmetrico)
ed il tipo di piede (definito come normale, valgo o cavo).
Il test stabilometrico è stato utilizzato per valutare l’attività fasica
della muscolatura scheletrica, confrontando i dati riscontrati con quelli
delle “Normes 85” emanate dalla Associazione francese di posturologia e
punto di riferimento in letteratura nella definizione dei dati di normalità
della popolazione di razza caucasica.
L’approccio così descritto ha portato alla definizione di una diagnosi differenziale ed alla formulazione di un iter terapeutico finalizzato al
recupero funzionale e costituito da una associazione personalizzata sul
singolo caso clinico di fisioterapia, manipolazioni e utilizzo di plantari.
Ogni lavoratore al termine dei trattamenti terapeutici è stato inserito
in un follow up con visite di controllo a 1 mese, 3 mesi, 6 mesi ed 1 anno.
RISULTATI
La sintomatologia dolorosa più frequentemente lamentata dai 242 videoterminalisti afferiti all’ambulatorio è stata la lombalgia, riferita dal
63,0% dei pazienti.
Tra i 158 pazienti inseriti nello studio per tale disturbo, che riferivano
la presenza di lombalgia come unico sintomo e non presentavano quadri
clinici organici a carico del rachide, si è verificata la eventuale presenza di
alterazioni della fisiologica funzione del rachide, definendo ove opportuno la prescrizione di un personalizzato e mirato percorso terapeutico.
Le alterazioni della fisiologia della funzione del rachide lombare riscontrate sono state: disfunzioni somatiche, alterazioni posturali, alterazioni della propriocettività.
Gli interventi terapeutici usualmente utilizzati per trattare tali disturbi sono stati la fisiochinesiterapia, il trattamento manipolativo osteopatico, la applicazione di specifici plantari.
Nel nostro studio la fisiochinesiterapia si è resa necessaria come unico trattamento nel 18,9% dei casi, la manipolazione osteopatica è stata
utilizzata come unico intervento nel 20,8% dei pazienti, mentre si è prescritto il solo plantare nel 24,3% dei casi.
Negli altri pazienti si è deciso di procedere ad una terapia combinata comprendente più trattamenti effettuati contemporaneamente od in
successione.
La combinazione terapeutica più utilizzata è stata l’utilizzo congiunto in successione nel tempo di fisioterapia, trattamento manipolativo ed
applicazione di plantare.
Il trattamento complessivamente più utilizzato è stato la fisiochinesiterapia.
Il percorso terapeutico individuato è stato proseguito nei diversi pazienti per periodi di tempo variabile tra i 21 giorni ed i 3 mesi.
Durante questo periodo i lavoratori hanno continuato ad effettuare
regolarmente la loro attività lavorativa nel 95,0% dei casi.
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Tutti i pazienti inseriti nello studio sulla base dei criteri di inclusione
precedentemente descritti hanno riferito una riduzione/scomparsa della
sintomatologia.
Al follow up effettuato a distanza di 1 anno dal termine del trattamento, solo 15 pazienti (10,0%) hanno riferito la presenza di algie al rachide lombare.
Tale minoranza di pazienti comunque nella maggioranza dei casi riferiva la presenza di dolore ma con intensità, durata e frequenza inferiori rispetto alla situazione precedente l’applicazione degli interventi terapeutici.
DISCUSSIONE
Lo studio effettuato ha evidenziato come la valutazione clinica e
strumentale posturologica nei videoterminalisti affetti da sintomatologia
cronica dolorosa non organica del rachide lombosacrale, tesa a valutare la
fisiologia dell’apparato posturale inteso come sistema integrato neuromuscolo-scheletrico, permetta di individuarne le eventuali alterazioni,
consentendone una più precisa definizione clinica.
Ciò ha permesso di elaborare un conseguente programma terapeutico
individualizzato che ha consentito quasi sempre nel periodo della sua realizzazione il mantenimento del lavoratore nella sua usuale occupazione
con conseguenti evidenti vantaggi per i lavoratori come per le imprese.
La applicazione dei protocolli terapeutici previsti nella ricerca ha
permesso una generalizzata riduzione della sintomatologia, completamente risoltasi nella gran maggioranza dei pazienti.
Sulla base della sintomatologia riferita dai lavoratori nel follow up a
distanza di un anno i risultati ottenuti sembrano poter essere mantenuti
nel tempo almeno nel medio periodo.
Una simile eventualità evidentemente, quando presente, consente al
Medico del Lavoro di poter valutare con maggior serenità i lavoratori che
riferiscono od in passato hanno riferito una sintomatologia dolorosa a carico del rachide lombosacrale in assenza di patologia organica, permettendogli di non dover limitare, se non eventualmente solo in modo transitorio o parziale, la idoneità lavorativa dei pazienti affetti da questi disturbi e consentendo loro pertanto di poter continuare ad effettuare la propria attività lavorativa.
CONCLUSIONI
La ricerca presentata sembra dimostrare l’utilità della valutazione
specialistica posturologica come possibile strumento per il Medico del
Lavoro nella definizione diagnostica e terapeutica di quei casi clinici di
lombosciatalgia cronica frequentemente riferita dai videoterminalisti anche in assenza di patologie organiche del rachide.
L’approccio terapeutico posturologico sembra poter ottenere la sua massima efficacia ove sia formulato e strutturato in modo individualizzato ma solo dopo una approfondita valutazione specialistica clinica e strumentale.
L’esito dei trattamenti posturologici effettuati ai pazienti inseriti nella ricerca evidenzia una ottima risposta sia in termini qualitativi che quantitativi nel breve e medio termine sulla riduzione del dolore riferito.
Ciò ha comportato, oltre ad una ovvia positiva ricaduta sulle condizioni di vita dei lavoratori, anche un valido aiuto al Medico del Lavoro
nella gestione delle problematiche connesse alla definizione della idoneità al lavoro di tali pazienti.
Si ritiene peraltro necessario procedere ad ulteriori studi su popolazione lavorative di più ampia numerosità al fine di poter confermare i risultati ottenuti.
La ricerca presentata può costituire uno stimolo alla collaborazione
sinergica tra i Medici del Lavoro ed i Posturologi, al fine di migliorare sia
lo stato di salute dei pazienti affetti da questi disturbi, sia la loro possibilità di proseguire senza problemi nella loro attività lavorativa.
BIBLIOGRAFIA
1) Association Francaise de Posturologie (AFT), NORMES 85, Paris,
Association posture et equilibre, 1985
2) Bizzo G., Guillet N., Patat A. al.: Specification for building a vertical force platform designed for clinical stabilometry, Med Biol Eng
ed Comput, 474-476, 1985.
3) Bricot B., La riprogrammazione posturale globale, Paris, Sauramps
Medical, 1996
4) Gagey P.M. Weber B.G., Posturologia. Regolazioni e perturbazioni
della stazione eretta, Roma, Marrapese, 2000
5) Vanti C, Generali A., et al, Rieducazione posturale globale nella patologia muscoloscheletrica, Reumatismo, 59: 192-201, 2007.
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COM-06
LA SINDROME DEL TUNNEL CARPALE NELLA PANIFICAZIONE
ARTIGIANALE
C. Bancone1, P. Leghissa1, M. Santini1, G. Cologni 2, M. Bacis 2,
G. Mosconi1
1U.S.C.
Medicina del Lavoro
Sanitario Aziendale
Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti - Bergamo
2Servizio
Corrispondenza: Dott.ssa Claudia Bancone, U.O. di Medicina del Lavoro
- Ospedali Riuniti di Bergamo, Tel 035/269190, [email protected]
RIASSUNTO. Scopo del presente lavoro è la stima della prevalenza della sindrome del tunnel carpale (STC) in un gruppo di addetti alla
panificazione artigianale e la verifica della presenza, nel ciclo tecnologico, del rischio biomeccanico per l’arto superiore. L’indagine sanitaria
(anamnesi, esame obiettivo, elettromiografia arti superiori) e la valutazione del rischio biomeccanico per gli arti superiori mediante Check List OCRA (Occupational Repetitive Actions - Colombini/Occhipinti) hanno confermato l’ipotesi iniziale, ponendo questa categoria professionale
tra quelle a rischio per la sindrome del tunnel carpale.
Parole chiave: panificatori, sindrome del tunnel carpale.
CARPAL TUNNEL SYNDROME IN HANDICRAFT PLANNING
ABSTRACT: The purpose of this study is to assess the prevalence of
carpal tunnel syndrome (CTS) in a group of bakers and to evaluate the
presence of a biomechanical risk for upper limbs in the technological
cycle. Health assessment (history, clinical examination, upper limbs
electromyography) and risk evaluation through Check List OCRA
(Occupational Repetitive Actions - Colombini / Occhipinti) have
confirmed the initial hypothesis, placing this profession between those at
risk for carpal tunnel syndrome.
Key words: bakers, carpal tunnel syndrome.
INTRODUZIONE
In tutto il mondo occidentale si è assistito ad una sensibile diminuzione delle “tecnopatie classiche” quali ad esempio la silicosi, il saturnismo, le intossicazioni croniche da solventi, e ad un progressivo
aumento delle patologie correlate al lavoro, soprattutto a carico dell’apparato muscolo-scheleletrico: una “nuova epidemia” secondo Violante e coll. (1). Nello specifico, la sindrome del tunnel carpale, la più
comune neuropatia da intrappolamento nella popolazione generale, costituisce una delle più frequenti patologie muscoloscheletriche di origine occupazionale correlate al lavoro manuale. Il National Institute
for Occupational Safety (NIOSH) nel 1997 (2) ha proposto i criteri per
la definizione della STC occupazionale: sintomi e segni clinici suggestivi, associati a un evidente fattore di rischio professionale. Gli studi
condotti nei decenni a venire hanno finito per inserire questa patologia
nel gruppo dei “work-related musculoskeletal disorders” (disturbi muscoloscheletrici lavoro-correlati), un problema di salute pubblica inserito dall’Agenzia Europea per la Salute e la Sicurezza sul Lavoro nei
progetti di ricerca dell’Unione Europea. Nel nostro paese il riconoscimento assicurativo dei WMSDs è stato introdotto da una sentenza della Corte Costituzionale negli anni’80 (n.179/1988 e 208/1988). Il decreto ministeriale del 27 aprile 2004, infine, ha inserito la STC nella lista I della tabella delle malattie professionali: “malattie la cui origine
lavorativa è di elevata probabilità”. Secondo dati raccolti in USA la
sindrome del tunnel carpale risulta la patologia che, insieme all’ipoacusia professionale, determina la maggior morbilità nella popolazione
attiva (in età da lavoro) (numero di casi e numero medio di giorni di
lavoro-persi) e il maggior numero di richieste di indennizzo (3). La
quasi totalità degli studi che hanno descritto l’associazione tra STC e
attività lavorativa, sono di tipo trasversale e mostrano una prevalenza
della patologia che varia da 0,6% a 61% in rapporto alle diverse attività lavorative considerate. Franklin e coll. hanno ricercato i casi di
STC occupazionale denunciati all’Ente assicurativo per gli infortuni e
le malattie professionali dello stato di Washington nel periodo 19841988. Sulla base di questa valutazione hanno stimato un tasso di incidenza pari a 2,7 per 1000 lavoratori/anno (4) con una maggior preva-
305
lenza della patologia in alcuni settori professionali: manifatturiero,
elettronico, tessile, alimentare, calzaturiero, pellettiero, edile, come
pure gli addetti all’imballaggio, cuochi di albergo, gli addetti ai pubblici servizi (5) (6) (7). La carenza di studi longitudinali, tuttavia, potrebbe aver contribuito a sottostimare il problema, rendendo difficile
l’individuazione di strategie di prevenzione adeguate e la verifica dell’efficacia delle stesse. A tal proposito si sottolinea l’assenza, in letteratura, di dati relativi alla sindrome del tunnel carpale nella panificazione artigianale, realtà ancora prevalente nel nostro Paese. Appare
dunque evidente la necessità di conoscere la reale incidenza di STC in
popolazioni lavorative esposte a differenti livelli di sovraccarico biomeccanico e la necessità di validare in modo prospettico i metodi di
valutazione del rischio (12).
MATERIALI E METODI
La nostra indagine, nata all’interno di un progetto frutto della collaborazione tra diversi Organi Istituzionali (Camera di Commercio, Associazione Panificatori, Organizzazioni sindacali dei Lavoratori, Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro dell’Asl di Bergamo e Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro Ospedali
Riuniti di Bergamo) ha interessato 281 addetti alla panificazione artigianale, operanti in 114 aziende della nostra provincia. La popolazione
indagata, costituita da 272 soggetti di sesso maschile (96,8%) e 9 soggetti di sesso femminile (3,2%) (263 operai e 18 apprendisti) aveva
un’età media pari a di 37,6 anni (range 17-72) e un un’anzianità lavorativa media pari a 18 anni (range 0-60). Ogni lavoratore è stato sottoposto ad una raccolta anamnestica dettagliata (informazioni demografiche, abitudini voluttuarie, storia ginecologica, storia lavorativa, attività
ricreative/hobby, sintomi) e ad un esame obiettivo esaustivo (esame
obiettivo generale e del distretto rachide/arto superiore). Tutti i soggetti con sintomi e segni clinici suggestivi per sofferenza del nervo mediano al polso, sono stati sottoposti ad elettromiografia bilaterale degli arti superiori (EMG: studio della conduzione nervosa sensitivo/motoria).
La diagnosi di STC era stilata in accordo con i criteri elaborati dalla
AAN (American Academy of Neurology 1993) (8). I nuovi casi di STC
venivano inviati al neurochirurgo per la scelta dell’approccio terapeutico. In alternativa, qualora la clinica (anamnesi, esame obiettivo) ponesse il sospetto di una patologia sistemica o a carico di un distretto articolare diverso da quello mano-polso, il lavoratore veniva sottoposto
agli accertamenti sanitari del caso e rivalutato a conclusione dell’iter
diagnostico.
A seguito del censimento delle Aziende e di un incontro preliminare
informativo con i datori di lavoro, abbiamo selezionato alcune realtà artigiane ove eseguire l’indagine igienistico-ambientale. Nel corso di ciascun sopralluogo, sono state registrate con l’ausilio di videocamera, tutte
quelle attività sospette per sovraccarico biomeccanico degli arti superiori analizzate, successivamente, nel dettaglio. In contemporanea, sono state raccolte dagli operatori le informazioni necessarie per la compilazione
della Check List OCRA Colombini/Occhipinti, strumento validato a livello nazionale e internazionale per la stima preliminare del rischio da sovraccarico biomeccanico dell’arto superiore (9).
RISULTATI
All’interno della popolazione di soggetti sottoposti a sorveglianza
sanitaria abbiamo selezionato un gruppo di 23 lavoratori (8,18%): 6
soggetti con pregressa diagnosi di STC (soggetti che all’epoca della
diagnosi avevano già una anzianità pluriennale nel settore) e 17 con
anamnesi suggestiva per STC. Il campione in esame aveva un’età media di 42,3 anni (range 28-60) e un’anzianità lavorativa media di 24 anni (range 7-45). Tra i soggetti sintomatici per STC, undici presentavano anche un esame obiettivo suggestivo per sofferenza periferica del
nervo mediano e, sulla base del documento di consenso pubblicato da
Rempel e coll. (1998) (10), sono stati sottoposti a valutazione neurofisiologica. Un solo lavoratore, con quadro clinico francamente suggestivo per STC, non ha dato il proprio consenso all’esame. Al termine dell’iter diagnostico abbiamo rilevato otto nuovi casi di STC. Alla luce di
tale dato, abbiamo indagato l’eventuale presenza di fattori di rischio
(professionali e extraprofessionali) per la patologia in oggetto. In assenza di dati significativi in merito agli elementi extraprofessionali
(obesità. diabete, hobby, ecc.), abbiamo eseguito la valutazione del rischio con la metodica della Check List OCRA (9): i risultati vengono
riportati in tabella I.
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Tabella I. Valutazione del rischio con Check List OCRA
Attività
Fattori
di rischio
Indice
di Rischio
Preparazione “tartine”
Fr; P, Fc.
12
Preparazione “sfilatini”
Fr, Fo, P.
14
Preparazione”tartarughe”
Fr, P.
14
Preparazione “Balores”
Fr, P.
19
Preparazione”pasta dura”
Fr, Fo, P.
20
Preparazione “bocconcini”
Fr, P, Fc.
21
“Spezzatura pani”
Fr, P.
21
Preparazione “focacce”
Fr, P.
21
Preparazione “arabi”
Fr, P (gomito
e mano), Fc.
22
Taglio pasta
Fr, P.
22
Arrotolamento pasta
Fr, P.
25
Preparazione “baguette”
Fr, P, Fc.
29
Preparazione “zoccoletti”
Fr, P.
29
Preparazione “barchette”
Fr, Fo, P.
29
Preparazione “francesini”
Fr, Fo, P.
29
Preparazione “lavorato”
Fr, Fo, P.
29
Preparazione “pane al latte”
Fr, P (spalla), Fc.
33
Incisione pani
Fr, P, Fc.
35
Preparazione “parigini”
Fr, Fo, P, Fc.
45
Preparazione “panoni”
Fr, Fo, P, Fc.
45
Taglio e “pezzatura pastone”
Fr, Fo, P, Fc.
45
Caricamento e rimozione telai
Fr, Fo, P (spalla).
49
Legenda - Fr: frequenza; Fo: forza; P: postura; Fc: fattori complementari.
# Stereotipia sempre present
L’indice di rischio riportato è quello risultante dallo svolgimento
della singola attività per l’intero turno lavorativo. Non sono stati indicati gli indici di rischio per intervalli temporali, poiché il tempo impiegato nello svolgimento di ciascun compito varia da laboratorio a laboratorio. La complessità del ciclo tecnologico della panificazione non
permette, inoltre, il calcolo dell’indice sintetico di rischio (IR) secondo
la Check List OCRA per mansione (panificatore) ma richiede una scomposizione in singoli compiti/attività (“preparazione panoni”, ecc.). L’indagine, così strutturata, ha permesso di identificare attività caratterizzate da indice di rischio anche molto elevato accanto ad attività con IR lieve/medio. La tabella I non contempla le pause di recupero in quanto
queste non si inseriscono all’interno della singola attività, bensì tra
un’attività e l’altra. Tutti i compiti esaminati sono sostanzialmente sovrapponibili dal punto di vista qualitativo nei diversi laboratori (diverso l’aspetto quantitativo: kg/die) e sono caratterizzati da una gestualità
ripetuta a frequenza molto elevata. L’impiego di forza, ove richiesto, è
altamente variabile nelle diverse attività (Scala di Borg). Sempre presente la stereotipia, mentre la postura è tendenzialmente sfavorevole per
il distretto mano/polso, eccetto che in alcune attività caratterizzate dal
sovraccarico biomeccanico di altri distretti articolari (es. gomiti, spalle:
carico/scarico forno, ecc.). La presenza di fattori complementari si
esplica solo in alcune attività nelle quali l’arto viene utilizzato a mo’ di
utensile o con movimenti bruschi, “a strappo”. La valutazione del rischio così condotta, inoltre, ha messo in luce la possibilità, in alcuni
compiti (es. carico/scarico forno), di un possibile sovraccarico biomeccanico per l’articolazione scapolo-omerale. È verosimile, pertanto, che
l’esposizione pluriennale a tali attività esponga gli operatori allo sviluppo di una patologia degenerativa di spalla lavoro-correlata. Lo scarso numero di casi osservati nella popolazione oggetto di studio è presumibilmente attribuibile all’esiguità del campione ed alla maggior latenza nell’estrinsecazione clinica del danno.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
La nostra indagine, pur con i limiti dovuti alla numerosità del
campione, conferma la maggior suscettibilità degli addetti alla panificazione artigianale allo sviluppo della STC. Nella popolazione in esame, infatti, la prevalenza della patologia è risultata pari a 4,98%
(14/281) a fronte di una prevalenza, nella popolazione generale maschile, compresa tra lo 0,6% e il 2,1% (11). Tale dato acquista particolare rilevanza se posto in relazione all’età media relativamente giovane dei soggetti in studio. I nostri dati, pertanto, avvalorano l’ipotesi
che la pluriennale esposizione professionale possa giocare un ruolo
importante nella genesi della patologia. L’indagine condotta con la
metodica della Check List OCRA ha confermato la presenza di un possibile sovraccarico biomeccanico per il distretto mano-polso nella professione del panificatore. Sebbene numerose attività espongano a rischio molto elevato (fascia viola della Check List OCRA) esse non
vengono svolte per l’intero turno lavorativo alternandosi a compiti caratterizzati da minor impegno per il distretto mano-polso (es. “preparazione ceste”). D’altra parte, il susseguirsi nell’arco della giornata di
lavoro di più compiti ad alto sovraccarico biomeccanico (polso-mano), espone il lavoratore al rischio di sviluppare una tecnopatia (STC).
Le competenze acquisite negli anni da ciascun operatore e la realtà artigianale delle aziende, fan si che un compito venga svolto, in modo
quasi esclusivo, dalla persona che ha acquisito particolare perizia. I
tempi stretti del ciclo produttivo, spesso influenzati dalle condizioni
climatiche (temperatura, umidità ambientale, ecc.), impongono inoltre
ritmi serrati ove le pause di recupero sono impiegate per lo svolgimento di attività complementari. Il ruolo svolto dall’attività lavorativa
è anche supportato dalla maggior prevalenza della patologia nei soggetti titolari dell’attività (65%): soggetti che svolgono turni di lavoro
“dilatati” (12-13 ore/die) e che, generalmente, hanno intrapreso la professione in giovane età, in epoche nelle quali era scarso il supporto
tecnologico dovuto alla meccanizzazione All’insorgenza dei primi sintomi, inoltre, essi mantengono le abitudini lavorative, giungendo alla
diagnosi con quadri avanzati (ipotrofia eminenza tenar). Negli anni le
innovazioni tecnologiche hanno condotto ad una riduzione delle attività svolte manualmente, tuttavia, la tradizione italiana della panificazione, storicamente artigianale, riserva all’operatore un carico di lavoro manuale ancora importante. A tal proposito è auspicabile un completamento della valutazione del rischio con l’ausilio del metodo
OCRA, anche al fine di una riprogettazione “ergonomica” del lavoro
e, ove possibile, di una meccanizzazione di alcune attività. Un’ipotesi
per il contenimento del sovraccarico biomeccanico potrebbe essere
rappresentata anche dalla rotazione degli operatori nello svolgimento
dei diversi compiti; ipotesi meritevole, comunque, di conferma (monitoraggio nel tempo) ed attuabile solo in quelle realtà ove il numero degli addetti non sia particolarmente ridotto (>2). A tal proposito, diventa rilevante anche l’aspetto formativo: a partire dalla scuola professionale. Poiché l’approccio terapeutico della STC non conduce, ad oggi,
ad una completa guarigione con restitutio ad integrum, appare ovvio,
come sempre accade in Medicina del Lavoro, rivolgere gli sforzi verso il perfezionamento della prevenzione. L’approccio medico nei confronti di tale patologia dovrebbe infatti enfatizzare la prevenzione della disabilità attraverso la diagnosi precoce, con intervento medico/chirurgico adeguato, così come prevedere un intervento ergonomico occupazionale (progettazione, controlli, rallentamento dei ritmi di lavoro, introduzione di adeguate pause di riposo).
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307
SESSIONE
EPIDEMIOLOGIA OCCUPAZIONALE
COM-01
LA RICERCA ATTIVA DEI TUMORI DI ORIGINE PROFESSIONALE:
PRIMI RISULTATI
P. Amendola5, R. Audisio1, S. Cavuto1, A. Scaburri1, A. Marinaccio2,
G. Saretto6, G. Chiappino4, M. Imbriani3, P. Crosignani1
1U.O.
Registro Tumori ed Epidemiologia Ambientale, Istituto Nazionale
per lo Studio e la Cura dei Tumori, Milano
2Laboratorio di Epidemiologia Occupazionale - Dipartimento di
Medicina del Lavoro, ISPESL, Roma
3U.O. Medicina Occupazionale e Medicina Ambientale, Fondazione S.
Maugeri - Dipartimento di Medicina Preventiva Occupazionale e di
Comunità, Università degli Studi di Pavia
4A.S.L. di Lecco - Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro
5Sezione di Medicina preventiva dei Lavoratori e Medicina del Lavoro II
- Dipartimento di Medicina Preventiva, Occupazionale e di Comunità Università degli Studi di Pavia
6Unità Organizzativa Prevenzione, DG Sanità Regione Lombardia
Corrispondenza: Paolo Crosignani, Istituto Nazionale per lo Studio e la
Cura dei Tumori, U.O. Registro Tumori ed Epidemiologia Ambientale,
Via Venezian 1, 20133 - Milano, Tel: + 39 - 02 - 23902460 Fax: + 39 - 02
- 23902762, e.mail: [email protected]
RIASSUNTO. Il progetto OCCAM (OCcupational CAncer Monitoring), in accordo con quanto previsto dal D.Lgs 626/94 all’articolo 71, ha
promosso la “sorveglianza attiva” dei tumori professionali in Regione
Lombardia attraverso un sistema di record-linkage che utilizza per la ricostruzione delle storie lavorative i dati disponibili in forma elettronica
presso l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.) riguardanti i lavoratori dipendenti del settore privato a partire dal 1974. Materiali
e metodi - attraverso le schede di dimissione ospedaliera (SDO), sono
stati identificati i casi incidenti nel periodo compreso tra il 2001 e il 2004.
Le neoplasie sono state scelte sulla base di quanto contenuto nel D.M. del
27 aprile 2004. Risultati: Sono stati sottoposti 271 casi di tumore a
un’indagine per l’accertamento dell’origine lavorativa della malattia dai
servizi PSAL della Lombardia per il biennio 2001-02. Il numero di neoplasie di sospetta origine professionale sono stati 102, il 38% del totale di
quelli sottoposti a indagine. Conclusioni: il sistema OCCAM fornendo
informazioni relative all’anagrafica delle aziende e dei lavoratori, oltre
alle informazioni sulla patologia neoplastica, integrando le informazioni
sui rischi con dati della letteratura scientifica (www.occam.it) e con conoscenze sui cicli produttivi, ha permesso ai servizi PSAL di individuare
molti casi di tumore di possibile origine professionale che altrimenti sarebbero rimasti sconosciuti.
Parole chiave: ricerca attiva, tumori, occupazionale, record linkage
ACTIVE SEARCH OF WORK RELATED TUMOURS: PRELIMINARI FINDINGS
ABSTRACT. The OCCAM (Occupational Cancer Monitoring)
project enabled the active detection of occupational cancer cases in
Lombardy Region. Methods - OCCAM is based on a record linkage with
social security files to obtain occupational histories for all subjects
having worked in private firms, since 1974. It provides risks by area, site
and job. Results - 271 incident cancer cases obtained by hospital
discharge record in the period 2001-2002 where investigate to assess
eventually their occupational origin. Approximately 38% where
considered to be occupational cancers. Conclusions - OCCAM provides
name of the firms and their economic activity completed by information
coming from OCCAM risks ascertainment and deeper knowledge on
productive cycle retained by local occupational health services. Thus this
system can lead to detection of many cancer cases of occupational origin
suitable for compensation and determine strategies for the improvement
of the work environment.
Key words: active detection, cancer, occupational, record linkage
308
PREMESSA
In alcuni paesi del nord Europa e nord America sono attivati sistemi
di registrazione di patologia costituiti allo scopo di individuare tempestivamente l’esistenza del rischio di tumori professionali e per avviarne la
sorveglianza.
I metodi di rilevazione adottati da questi sistemi per coprire il massimo della popolazione al minor costo possibile, utilizzano come fonte di
dati sull’occupazione sistemi di rilevazione routinari come i censimenti,
le schede di morte (che registrano la professione al momento del decesso) o registri costituiti a fini pensionistici o amministrativi. Le informazioni sul lavoro possono essere “incrociate” con dati di mortalità o con
dati di incidenza provenienti dai registri tumori di popolazione per ottenere statistiche atte a fornire indicazioni per interventi di prevenzione o
di sorveglianza sanitaria ed eventualmente generare nuove ipotesi riguardo l’eziologia di molti tipi di tumori. Il monitoraggio dei rischi oncologici in campo occupazionale è una priorità di salute sia per i lavoratori sia
per la popolazione nel suo complesso (1,2).
Il progetto OCCAM (Occupational Cancer Monitoring), nasce dalla rilettura dell’art. 71 del D.lgs 626/94 che attribuisce all’ISPESL (Istituto per
la Prevenzione e la Sicurezza sui Luoghi di Lavoro) il compito di istituire
un sistema di “monitoraggio dei rischi oncogeni di origine professionale”
implementando un archivio “nominativo” dei tumori di sospetta origine
professionale, segnalati allo stesso Ente da “medici, strutture pubbliche e
private nonché dagli istituti previdenziali”. Poiché un sistema basato su segnalazioni volontarie si è rivelato di difficile realizzazione (3-6), una collaborazione tra ISPESL, l’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori di Milano, Fondazione S. Maugeri e alcuni Servizi ASL ha permesso
di realizzare un sistema informativo per la rilevazione dei tumori di sospetta origine professionale basato su fonti informative correnti.
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www.gimle.fsm.it
tional Agency for Research on Cancer (10). I risultati complessivi dell’indagine sono stati pubblicati nel vol. 96, n. 1 del 2005 de La Medicina
del Lavoro (Tabella I).
In una fase successiva si è passati ad analisi basate su sistemi routinari alternativi per la rilevazione delle patologie neoplastiche, le Schede
di Dimissione Ospedaliera (SDO). Queste ultime servono aree più vaste
del paese e sono disponibili con maggiore tempestività rispetto ai dati
Registri Tumori anche se possono fornire dati di qualità inferiore, poiché
derivano da attività che non sono nate per la ricerca epidemiologica. In
Lombardia è stato condotto uno studio caso-controllo basato sulla popolazione con 1.886 casi di tumore della vescica occorsi nell’anno 2000
estratti dagli archivi delle SDO e 22.632 controlli campionati in maniera
casuale tra la popolazione residente in Lombardia. Con questa analisi siamo stati in grado di identificare alcune associazioni tra rischio per tumori vescicali e impiego nei settori industriali come Cuoio e Calzature
(OR=1.83; IC90%: 1.01-3.33; 10 casi osservati) e Stampa (OR=1.5;
IC90%: 1.10-2.05; 38 casi osservati) con una forte ipotesi eziologica a
priori. Più recentemente i servizi territoriali PSAL delle ASL della Lombardia sono stati in grado di procedere all’individuazione di casi incidenti in un periodo compreso tra il 2001 e il 2004 di tumore del polmone, della laringe, della vescica e le leucemie1 di possibile origine professionale
a partire dalle informazioni fornite con il metodo OCCAM integrandole
con proprie conoscenze sull’origine professionale delle neoplasie, con i
dati di letteratura ottenuti anche attraverso l’uso di una matrice bibliografica appositamente costruita riguardante i tumori occupazionali
(www.occam.it), con la conoscenza dei cicli produttivi passati delle
aziende del territorio dove aveva lavorato ciascun soggetto e con l’acquisizione di informazioni utili a definire il caso mediante interviste dirette
o ai familiari e ai colleghi di lavoro. Le sedi di insorgenza delle neoplasie sono state ricavate da quelle indicate come di origine professionale di
elevata o limitata probabilità nel DM del 27 aprile 2004. Un programma
è stato appositamente sviluppato per permettere agli operatori dei servizi
di attingere alla base di dati di OCCAM per consultare i dati relativi a sto-
MATERIALI E METODI
Il sistema basato sul metodo OCCAM può realizzare in modo sistematico e continuo il collegamento di numerose basi di dati sanitari con le
storie professionali ottenute in primo luogo dall’Istituto
Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.), eventualTabella I. Associazioni rilevate nello studio caso controllo basato su sei registri
mente integrate dalle informazioni contenute nelle basi di Tumori Italiani: alcuni risultati per settori considerati nella lista del DM del 27 aprile
dati di INAIL e di ISTAT. Sino ad oggi OCCAM ha utiliz2004 in grado di provocare tumori di origine lavorativa con elevata probabilità
zato i dati sulla storia lavorativa disponibili in forma elettronica presso l’INPS, dove per ogni iscritto e per ogni anno, sono disponibili a partire dal 1974, per tutti i lavori
svolti dai dipendenti di imprese del settore privato, la ragione sociale dell’impresa e il relativo settore economico/industriale. Le tipologie industriali di appartenenza dei
lavoratori sono state classificate a partire dai codici delle
professioni secondo la classificazione ATECO 81 (ISTAT
1981) raggruppando tipologie simili in un settore unico (es.
Gomma, Cuoio e calzature, Trasporti ecc.). Al fine di stimare i rischi di tumore per sede e comparto produttivo il
progetto OCCAM ha implementato studi di tipo caso-controllo che confrontano le storie professionali ottenute da
INPS di chi è ammalato di tumore con quelle di chi è senTabella II. Ricerca attiva effettuata in Lombardia nel 2005 per i tumori
za malattia. I casi di neoplasia sono stati individuati attradiagnosticati nel biennio 2001-2002
verso i sistemi informativi di rilevazione e archiviazione
delle malattie su base territoriale: i Registri Tumori di popolazione (7), gli archivi di mortalità regionali, il sistema
delle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO).
RISULTATI
In una prima fase le informazioni sui lavori precedentemente svolti a partire dal 1974, per i soggetti assunti in
imprese private sono state collegate con i casi di tumore rilevati da sei Registri Tumori di popolazione (Friuli, Genova capoluogo, Genova provincia, Macerata, Umbria, Varese, Veneto) ed è stato così condotto uno studio caso-controllo (8,9) per mappare in ogni area il rischio per sito di insorgenza della neoplasia e tipologia economica nel settore
privato. L’analisi si basava su 36.379 casi e 29.572 controlli di popolazione per cui erano disponibili informazioni
sulla storia professionale. Da essa sono emerse alcune associazioni statisticamente significative per settori produttivi in cui un rischio per neoplasie in diverse sedi era a priori ipotizzabile sulla base della classificazione della Interna-
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rie lavorative di singoli casi o di casi raggruppati per sede del tumore e
per comparto produttivo a livello territoriale o di settore produttivo. Con
questo tipo di approccio non è naturalmente stato possibile identificare
tutti i tumori di origine professionale, ma è stato possibile concentrarsi su
molti casi per i quali era lecito presumere che fosse più probabile il riconoscimento della malattia perché i lavoratori erano impiegati in aziende
ove era conosciuta o probabile l’esposizione a cancerogeni. I dati della ricerca attiva effettuata nel 2005 per i tumori diagnosticati nel biennio
2001-2002 sono riportati in tabella II. I risultati appaiono sostanzialmente sovrapponibili in termini percentuali all’attività che ha riguardato nel
2006 l’indagine su casi di neoplasie diagnosticate del biennio 2003-2004.
CONCLUSIONI
Il sistema OCCAM fornendo informazioni relative all’anagrafica delle aziende e dei lavoratori, oltre alle informazioni sulla patologia neoplastica, integrando le informazioni sui rischi con dati della letteratura scientifica (www.occam.it) e con conoscenze sui cicli produttivi, ha permesso ai
servizi PSAL di individuare molti casi di tumori di possibile origine professionale che altrimenti sarebbero rimasti sconosciuti. Nell’ambito del
progetto OCCAM è stato dedicato ampio spazio al reperimento e alla diffusione delle informazioni presenti in letteratura riguardanti il rischio di tumore in ambito professionale. Oltre 650 lavori scientifici pubblicati e indicizzati dal 1976 ad oggi, escluse pubblicazioni del tipo “case report”, sono
stati classificati per comparto produttivo e per sede di neoplasie (gli stessi
criteri del progetto epidemiologico) riportando per le pubblicazioni con associazioni positive tra lavoro e rischio oncogeno professionale, gli autori e
l’anno di pubblicazione, il valore della misura dei rischi. La costruzione di
questa che abbiamo denominato “matrice” della letteratura ha svolto la duplice funzione di corroborare i risultati ottenuti con OCCAM e fornire uno
strumento informativo, rapido ed essenziale a chiunque voglia documentarsi sul rischio oncologico in ambito professionale. La matrice della letteratura è consultabile attualmente al sito: www.occam.it. Partendo inoltre
dal database della letteratura è stato realizzato un software informativo per
supportare i medici di medicina generale nel riconoscimento di una eventuale eziologia professionale per i casi di neoplasie tra i propri assistiti.
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10) International Agency for Research on Cancer. IARC Monographs on
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IARC Lyon, France, 1987
1 A scopo esplorativo vengono anche considerati i linfomi non Hodgkin, i
tumori del pancreas, i tumori del fegato e i mielomi. Non vengono considerati i
carcinomi cutanei perché non rilevabili dalle SDO. Vengono inoltre individuati
i nuovi casi di tumore primitivo della pleura e del naso e seni paranasali. Sebbene per questi due tumori siano attivati sia i COR regionali dei mesoteliomi sia
ricerche “ad hoc”, la ricerca tramite le SDO ed il successivo “linkage” con i dati INPS possono rappresentare utili informazioni aggiuntive per i Servizi.
309
COM-02
LA RICERCA ATTIVA DELLE MALATTIE PROFESSIONALI:
L’ESEMPIO DELLA SINDROME DEL TUNNEL CARPALE
IN PROVINCIA DI PORDENONE
B. Miglietta1, C. Venturini2, P. Barbina3, R. Mele4
1Scuola
di Specializzazione in Medicina del Lavoro - Università di
Bologna
2SC Area Ambienti di Lavoro - ASS 6, Pordenone
3Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro - ASS 6, Pordenone
4U.O. Chirurgia della mano, Microchirurgia e Traumatologia - AO
“S. Maria degli Angeli”, Pordenone
RIASSUNTO. Negli ultimi anni le patologie lavoro-correlate degli arti superiori si sono affermate ai primi posti della graduatoria tra
le malattie denunciate all’INAIL nel nord-est d’Italia. Nel 2004 si sono contati 658 casi di tendiniti e 361 casi di sindrome del tunnel carpale (STC) su un totale rispettivamente di 1317 e di 864 casi nel territorio italiano. Nella Provincia di Pordenone il fenomeno, pari al 6,8%
di tutti i casi denunciati, interessa prevalentemente il sesso femminile
e svariati ambiti produttivi. Abbiamo collaborato con un’importante
struttura ospedaliera di diagnosi e cura per ricercare i casi di tali malattie professionali, concentrando inizialmente la nostra attenzione sulla STC. Abbiamo individuato 26 nuovi casi di STC di sospetta natura
professionale e compilato 11 referti all’Autorità Giudiziaria. In un incontro formativo con i medici ortopedici abbiamo comunicato i risultati della ricerca, ma si è anche provveduto a divulgare le attuali conoscenze sull’importanza del fattore occupazionale nell’insorgenza della
sindrome del tunnel carpale e a fornire gli strumenti per una corretta
segnalazione dei casi sospetti.
Parole chiave: sindrome tunnel carpale, sovraccarico biomeccanico
degli arti superiori, malattie professionali
ACTIVE
SEARCH OF WORK RELATED DISEASES: THE EXAMPLE OF CARPAL
PORDENONE’S AREA
ABSTRACT. In the recent years working related pathologies of the
upper limbs have raised at the top of ranking of diseases reported to
INAIL in the Northern East Area of Italy. In 2004 658 cases of tendinitis
have been filed and 361 cases of the Carpal Tunnel Syndrome (CTS)
reported on a total of 1317 and 864 cases respectively in the whole
Italian territory. The phenomenon (6,8% of total occupational disease in
Pordenone province) interests essentially women and various working
environments widely represented. We have worked together with an
important Diagnose and Treatment Medical Centre to find new cases of
professional illnesses, initially focusing our efforts on the CTS. We have
identified 26 new cases of CTS as possibly originated from working
conditions and we have filled 11 reports to the Judicial Authorities. In a
training meeting with Orthopedic Doctors we have disclosed the results
of our research while at the same time we have also divulged our
knowledge on the importance of the working environment in the onset of
the CTS providing the tools for a correct reporting of suspect cases.
Key words: carpal tunnel syndrome, biomechanical overload of the
upper limbs, occupational diseases
TUNNEL SYNDROME IN
INTRODUZIONE
Il riscontro in ambito lavorativo dei disturbi muscolo-scheletrici degli arti superiori risulta aumentato negli ultimi anni in tutto il territorio
nazionale, rappresentando una delle principali cause di inabilità al lavoro. Dati dell’INAIL, relativi ai soli casi denunciati, evidenziano infatti un
generale aumento di malattie lavoro-correlate del distretto mano-braccio.
Tra queste ultime assume particolare rilievo la sindrome del tunnel carpale (STC), le cui denunce si sono più che triplicate dal 1997 al 2002 riguardando soprattutto il sesso femminile e i settori dell’industria meccanica, alimentare, tessile, dei servizi e dell’edilizia (1). Nel 2004 il nordest d’Italia detiene in tale ambito il primato in termini assoluti con 658 casi di tendiniti e 361 casi di STC denunciati sul totale rispettivamente di
1317 e di 864 nel territorio italiano (2). Questo dato complessivo trova
ampia espressione nella provincia di Pordenone vista l’elevata industrializzazione nei settori produttivi a possibile rischio. Nel quinquennio
310
2000-2004, sono stati definiti 51 casi riconducibili a questa categoria di
patologie, pari al 6,8% del totale (3). Riteniamo comunque che il fenomeno sia ancora ampiamente sotto segnalato sia per scarsa informazione
e/o sensibilizzazione dei datori di lavoro e dei lavoratori stessi sul ruolo
che il lavoro manuale ripetitivo e monotono svolge nella patogenesi di tali malattie sia per la possibile contemporanea sottovalutazione di tale relazione da parte delle strutture preposte alla diagnosi. La carenza di progettazione ergonomica delle postazioni e aspetti legati all’organizzazione
del lavoro in azienda possono ancora aggravare tale situazione (4). Il ruolo dei Servizi PSAL delle Aziende Sanitarie è quello, come è noto, di contribuire al miglioramento dello stato di salute e sicurezza della popolazione lavorativa attraverso l’attività di vigilanza e controllo, l’informazione e la formazione, l’assistenza ai lavoratori. Nel loro operare i Servizi da tempo agiscono con piani di prevenzione mirati per comparto e/o tipologia di rischio. Tale attività, da sempre indirizzata verso le patologie
fortemente correlate ad un agente causale specifico, è attualmente rivolta
anche verso le “work related diseases”, dove i fattori legati all’attività lavorativa possono giocare un ruolo concausale con altri eventi di rischio
individuali o presenti nell’ambiente di vita. L’esigenza di sensibilizzare le
strutture sanitarie preposte alla diagnosi e alla cura della STC sulle concause professionali e di rispondere ai bisogni della popolazione lavorativa locale ha portato all’attivazione di un intervento di ricerca attiva dei
casi in collaborazione con le unità di altra specializzazione.
MATERIALI E METODI
I partecipanti allo studio sono soggetti colpiti da STC operati presso
l’U.O. di Chirurgia della mano dell’Azienda Ospedaliera di Pordenone.
Questi sono risultati di facile reperibilità dal momento che la citata struttura è un centro di eccellenza di microchirurgia e chirurgia della mano. Si è
privilegiata la casistica dei pazienti operati come garanzia sulla certezza
diagnostica, essendo la sintomatologia della STC variabile da soggetto a
soggetto e non sufficiente per la diagnosi senza le prove neurofisiologiche
(5). Lo strumento adottato è un questionario a carattere anamnestico-clinico, tratto da quello utilizzato nello studio caso-controllo MIST (Multicentrico Italiano sulla Sindrome del Tunnel carpale, attualmente in corso) e
adattato alle finalità della presente indagine, distribuito dal personale sanitario del Servizio PSAL nel periodo dicembre 2005-aprile 2006 in occasione del ricovero in day-hospital per l’intervento chirurgico di STC. Dopo
una breve spiegazione sulle finalità dell’indagine, il questionario è stato autosomministrato con l’eccezione dei soli casi di evidente necessità (es. pazienti destrimani operati a destra e privi di un accompagnatore), per i quali la sola compilazione è stata adiuvata dallo stesso personale sanitario. Clinicamente tutti i soggetti coinvolti nell’indagine presentavano una sintomatologia evocativa per STC con associato un esame elettroneurografico
positivo. Le risposte di ciascun paziente sono state esaminate al fine di
identificare i casi di patologia a possibile insorgenza occupazionale, secondo specifici criteri preliminarmente concordati e contenuti in un Documento di consenso di un gruppo di lavoro nazionale (6). È stato così identificato un gruppo di pazienti con patologia di sospetta origine professionale.
Dovevano essere presenti almeno due agenti di rischio tra quelli indicati in
letteratura come principali determinanti di questa sindrome, per ritenere la
mansione come sospetta causa o concausa di patologia (7). I soggetti per i
quali i criteri indicati non risultavano soddisfatti sono stati classificati come non esposti. In questo stesso gruppo sono stati inclusi anche i pazienti
con patologie predisponenti, con familiarità positiva per STC o con un’anamnesi positiva per attività hobbistiche manuali o sportive ad elevato rischio. I risultati di questo studio sono stati poi oggetto di un incontro informativo sull’argomento con i medici ortopedici, in occasione del quale si è
provveduto a divulgare le attuali conoscenze sull’importanza del fattore
occupazionale nell’insorgenza della sindrome del tunnel carpale e a fornire gli strumenti per una corretta segnalazione dei casi sospetti.
Tutti i dati raccolti sono stati elaborati con il programma Epiinfo
2004 versione per Windows.
RISULTATI
Il campione si compone di 208 soggetti (160 femmine e 48 maschi),
di cui 26 (12.5%) sono stati inclusi nel gruppo della sospetta origine professionale della patologia. La distribuzione per sesso ha poi distinto 20
femmine (12.5% del campione femminile) e 6 maschi (12.5% del campione maschile). Il rapporto M:F è risultato pari a 1:3.3 sia nel campione
totale sia nel gruppo degli esposti a rischio lavorativo. L’età media è risultata di circa 57 anni per tutti i pazienti e di 42.5 anni (42.0 per le fem-
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Tabella I. Casi di STC di sospetta origine professionale
e non distribuiti per classi di età
Tabella II. Anzianità lavorativa rispetto all’inizio dei sintomi
Tabella III
Settore produttivo
Mansioni e/o compiti lavorativi
Alimentare
confezionamento alimenti, lavorazione pasta
fresca, lavorazione carni
Edilizia
muratore, elettricista
Tessile
montaggio cursori per cerniere, lavoro al
rimaglio, produzione etichette
Legno
levigatura, smussatura e altre operazioni di
finitura manuale
mine e 43.8 per i maschi) per i casi di sospetta natura occupazionale. Tale differenza è statisticamente significativa (P=0.0000). Se suddividiamo
per classi di età, si può osservare come tra i soggetti di più bassa età lavorativa, pari al 5,8% del totale, sia più facile trovare casi di probabile natura occupazionale (50%). Il sospetto di contrarre la patologia per verosimili cause professionali caratterizza anche le due decadi successive secondo un ordine decrescente. Nelle età intermedie il numero degli affetti
da STC è più alto e si ridurrebbe la responsabilità dell’attività lavorativa
nell’aver determinato la malattia (Tab. I).
Vi è una più precoce insorgenza della patologia rispetto alla durata
dell’impiego tra gli appartenenti al gruppo della sospetta natura professionale (P=0,0034). Per questa elaborazione si è ritenuto necessario
escludere il gruppo delle casalinghe, vista la difficoltà di definire l’epoca
di inizio e di fine esposizione al rischio (Tab. II).
Aggregazioni di casi con sospetta esposizione professionale (almeno
3 casi di patologia) sono state osservate nell’edilizia, nell’industria tessile, del legno e nel settore alimentare. Nell’ambito di questi settori lavorativi, poi, sono state identificate diverse mansioni e compiti (Tab. III).
La Classificazione Istat per professioni (8) ha portato a suddividere i
casi nei seguenti gruppi:
N casi Codice
Gruppi Istat
3
6.1
Artigiani e operai specializzati dell’edilizia
3
5.5
Personale qualificato servizi personali,
di pulizia e assimilati
13
6.5
Operai/artigiani spec lavorazioni alimentari,
legno, tessile e assimilati*
5
7.2
Operai addetti al montaggio e a macchinari
fissi per le lavorazioni in serie
2
8.4
Personale non qualificato dei servizi
alle persone e assimilati
* 7 nel legno, 4 nel settore alimentare, 1 nel tessile e 1 nella plastica
Le attività di cui al cod. Istat 6.5 sono rappresentate da ben 13 casi;
tra queste la lavorazione manuale del legno è la mansione a rischio maggiormente presente con 7 casi. Anche le attività di cui al codice 7.2 sono
presenti con 5 casi di STC.
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Tabella IV. I fattori di rischio nell’esperienza professionale dei casi di sospetta
natura occupazionale
La distribuzione degli agenti di rischio biomeccanico nelle esperienze professionali vede al primo posto la ripetitività dei movimenti del polso, presente in quasi tutti i casi sospettati come professionali (92.3%), seguita dallo sviluppo di forza per lo svolgimento del lavoro (76.9%). Il fattore di rischio postura è risultato il meno rappresentato (61.5%). Gli altri
elementi di rischio indagati (caratteristiche ergonomiche degli attrezzi,
tipping delle dita, esposizione a vibrazioni, microclima freddo) sono apparsi meno importanti anche in relazione alle tipologie produttive presenti in questo territorio (Tab. IV).
DISCUSSIONE
I risultati sopra descritti sono solo un primo esempio di ricerca attiva, in attesa di proseguire l’indagine verso le patologie tendinee di possibile natura occupazionale. L’esiguità e la fonte del campione (208 soggetti e l’U.O. di Chirurgia della mano come sola sorgente dei casi) non ci
permettono di ottenere informazioni sull’incidenza dei casi di natura professionale nella popolazione locale. Tuttavia i dati finora raccolti possono essere ritenuti significativi nel confermare i settori produttivi e le lavorazioni a rischio di STC nel territorio di osservazione.
Questo studio ha consentito a) di identificare alcuni casi di patologia
per i quali sospettare la correlazione con l’attività lavorativa, visti i criteri
di classificazione piuttosto restrittivi adottati; b) di intraprendere provvedimenti di tipo previdenziale e prevenzionistico tarati sia sul singolo caso
sia sulle aggregazioni di casi per specifica realtà aziendale o per attività lavorativa. In questa indagine sono stati trovati aggregazioni in singole professioni dell’edilizia, dell’industria tessile, del legno e nel settore alimentare della classificazione Istat. Tra i 208 soggetti indagati la malattia è risultata maggiormente presente nel sesso femminile (76,9%), con un rapporto M:F di 1:3,3, confermando quanto presente in letteratura (9). Mentre in una popolazione lavorativa a rischio il rapporto maschi/femmine si
modifica con un debole eccesso di rischio per il sesso femminile, il risultato da noi ottenuto nei 26 casi esaminati (12,5% del campione) presenta
comunque una maggioranza di casi nelle donne (anche nei casi professionali il rapporto M:F è risultato pari a 1:3,3). Ciò può essere spiegato per
l’esiguità del campione e per la prevalenza di personale femminile nei settori lavorativi individuati a rischio (agricolo-alimentare, industriale, edile
e nei servizi, con il primato del comparto legno). Quest’ultimo è un settore produttivo assai radicato nel territorio di osservazione, occupando quasi il 10% di tutti i lavoratori (3), dove si eseguono diverse operazioni di levigatura, smussatura e di finitura manuale o con attrezzi vibranti.
Il ruolo del fattore occupazionale come concausa di patologia, risulta
sottolineato dall’età più giovane di insorgenza della STC per chi svolge un
lavoro a rischio rispetto al totale dei 208 soggetti (età media 42,5 versus
57 anni). La classificazione per età conferma tale ruolo in particolare per
i più giovani (età fino ai 35 anni). Il trend crescente di casi con l’età potrebbe invece riflettere l’aumento dell’influenza dei fattori extralavorativi,
quali condizioni e patologie sistemiche predisponenti (10). Questo studio
sembra confermare che un’attività lavorativa sovraccaricante l’arto superiore comporta anche una più precoce insorgenza della sintomatologia; in
media i soggetti esposti al rischio lavorano circa 9 anni in meno rispetto ai
non esposti prima di ammalarsi (P=0,0034). Il numero di anni di malattia
prima di sottoporsi all’intervento chirurgico non appare invece differente
tra i due gruppi (4,5 versus 6 anni). Durante lo svolgimento dell’indagine
si è provveduto alla compilazione del referto per 11 dei 26 casi sospettati
come di origine lavorativa, avendo escluso quelli per i quali tale adempimento poteva essere omesso (artigiano in proprio, datore di lavoro, etc).
Tale obbligo coinvolge com’è noto ogni medico di fronte ad un caso solo
sospetto e prescinde dalla gravità della malattia (11). L’attività di refertazione in questo caso assume particolare rilevanza se si considera la relativa breve latenza della STC, la sua elevata diffusione in numerosi contesti
lavorativi e il frequente esito con postumi invalidanti.
CONCLUSIONI
L’individuazione diretta di casi di STC di sospetta natura professionale in un reparto di diagnosi e cura testimonia la necessità di mettere a punto momenti di informazione e sensibilizzazione di tali strutture sul ruolo concausale
del fattore lavorativo. Questo esempio di ricerca attiva ha
confermato la presenza di casi di STC nei comparti a maggior rischio. Per le aziende del comparto legno sarebbe opportuno un approfondimento di carattere epidemiologico
sulla prevalenza della sindrome del tunnel carpale tra gli
operai addetti alle operazioni di finitura manuale, in collaborazione con i medici competenti delle stesse.
Il presente lavoro ha permesso anche di svolgere un’importante opera di sensibilizzazione e formazione del personale sanitario operante presso un’importante struttura di diagnosi e cura del territorio di competenza.
Si sono in tal modo strutturate possibili collaborazioni per la ricerca di ulteriori patologie correlabili al lavoro non del tutto ancora ben evidenziate nella normale attività clinica. Ciò permetterà non solo di conoscere in
modo più adeguato le patologie professionali emergenti, ma anche di dare un’adeguata copertura previdenziale ai lavoratori da esse colpiti. In tal
senso sia l’attività di refertazione all’Autorità Giudiziaria che la denuncia
ai sensi dell’art. 139 del T.U. così come modificato dal D.M. 27 aprile
2004 possono assumere particolare significato e valore.
BIBLIOGRAFIA
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COM-03
DIFFERENZE NELLA PREVALENZA DI MALATTIE PROFESSIONALI
IN EDILIZIA TRA LA FINE DEGLI ANNI ’90 ED IL 2006
M.M. Riva, G. Pavesi, F. Bartolozzi, C. Bancone, G. Mosconi
Unità Operativa Ospedaliera Medicina del Lavoro - Azienda
Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo
Corrispondenza: Matteo Marco Riva, Unità Operativa Medicina del
Lavoro - Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo, Largo
Barozzi 1, 24100 Bergamo, e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. Obiettivo del presente lavoro è analizzare la prevalenza delle malattie professionali nel settore edile, confrontando quanto
riscontrato durante i primi anni di applicazione della sorveglianza sanita-
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ria (1996-2000) e la situazione odierna. Abbiamo posto a confronto la
prevalenza di malattie professionali riscontrate in 1348 lavoratori edili
(età media 36,4 anni, DS 11,8; anzianità lavorativa media nel settore 16,9
anni, DS 12,3), sottoposti a sorveglianza sanitaria nel 1996-2000, con
quella di altri 795 lavoratori (età media 38,8 anni, DS 11,1; anzianità lavorativa media nel settore 18 anni, DS 16,6), sottoposti ad accertamenti
nel 2006. La prevalenza di malattie professionali è risultata rispettivamente 12,09% e 12,83%. Analizzando però i dati relativi alle singole tecnopatie emergono importanti differenze tra le due popolazioni. Nel 2006
è stata osservata per l’ipoacusia da trauma acustico cronico e per la patologia vascolare da strumenti vibranti una significativa riduzione della
prevalenza: rispettivamente da 94,9 a 79,2 casi ogni 1000 lavoratori e da
6,7 a 2,6 casi ogni 1000 lavoratori. Le patologie dell’apparato muscoloscheletrico sono invece aumentate da 11,1 casi ogni 1000 lavoratori a
37,7. Questo testimonia una maggiore attenzione al problema, con incremento della capacità diagnostica e maggiore riconoscimento da parte dell’ente assicurativo.
Parole chiave: edilizia, patologia professionale, prevenzione
DIFFERENCES
IN THE PREVALENCE OF WORK RELATED DISORDERS AMONG
90S AND 2006
ABSTRACT. The aim of this work is to analyse the prevalence of
occupational diseases in construction industry, comparing the results of
the first years of health surveillance (1996-2000) and today’s situation.
We compare the prevalence of occupational diseases observed in 1348
workers during the period 1996-2000 (mean age 36,4 years, DS 11,8;
mean experience in construction industry 16,9 years, DS 12,3) and the
one observed in 795 different workers during 2006 (mean age 38,8 years,
DS 11,1; mean experience in construction industry 18 years, DS 16,6).
The prevalence of occupational diseases is respectively 12,09% and
12,83%. But analysing the single pathology it’s possible to observe
important differences between the two groups. In the workers observed in
2006 there is a significant reduction in prevalence of hearing loss caused
by chronic exposure to noise and in prevalence of vascular disease
caused by hand-arm vibrations: respectively from 94,9 to 79,2
cases/1000 workers and from 6,7 to 2,6 cases/1000 workers.
Musculoskeletal diseases instead are increased from 11,1 to 37,7
cases/1000 workers, showing more attention to the problem, better
diagnostics ability and more recognition by public insurance agency for
occupational diseases.
Key words: construction industry, occupational disease, prevention
sentati dei Lavoratori per la Sicurezza, Responsabili ed Addetti del Servizio di Prevenzione e Protezione, nel ridurre l’incidenza di nuovi casi di
malattia professionale (5,10,11), occorre adesso verificare se l’insieme di
iniziative sino ad oggi attuate nel settore abbia in effetti prodotto dei cambiamenti nel panorama delle malattie professionali.
MATERIALI E METODI
Sono state selezionate per completezza di informazioni raccolte 1348
cartelle cliniche di lavoratori edili sottoposti a visita preventiva presso gli
ambulatori della UOOML, secondo il protocollo stabilito dalle Linee
Guida della Regione Lombardia (1), nel quinquennio 1996-2000 (età media 36,4 anni, DS 11,8; anzianità lavorativa media nel settore 16,9 anni,
DS 12,3). Ad analogo protocollo sanitario sono stati sottoposti 795 lavoratori del settore edile nel corso del 2006 (età media 38,8 anni, DS 11,1;
anzianità lavorativa media nel settore 18 anni, DS 16,6), con una ripartizione di mansioni del tutto sovrapponibile a quella della prima coorte.
Sono state quindi poste a confronto la prevalenza di malattie professionali e la tipologia di quadri clinici riscontrati, con l’obiettivo di mettere
in risalto le eventuali differenze sia in termini quantitativi, sia in termini
qualitativi.
CONSTRUCTION WORKERS BETWEEN THE END OF
RISULTATI
La prevalenza di malattie professionali nel campione sottoposto ad
accertamenti nel periodo 1996-2000 è risultata del 12,09%, 163 casi (su
1348 lavoratori) così ripartiti: 128 ipoacusie da rumore, 15 patologie
osteoarticolari, 6 DAC (dermatite allergica da contatto), 9 patologie da
strumenti vibranti (angioneurosi), 2 basaliomi cutanei, 2 casi di placche
pleuriche da amianto, 1 caso di pneumoconiosi da polveri miste. La prevalenza di malattie professionali nel campione sottoposto ad accertamenti nel corso del 2006 è risultata del 12,83%, 102 casi (su 795 lavoratori)
così ripartiti: 63 ipoacusie da rumore, 30 patologie osteoarticolari, 6
DAC, 2 patologie da strumenti vibranti (angioneurosi), 1 basalioma cutaneo.
I risultati dell’indagine sono sintetizzati nella Tabella I, dove viene
considerato il numero di tecnopatie per 1000 lavoratori nei due periodi di
osservazione. Nel Grafico I viene invece considerata la ripartizione percentuale delle differenti tecnopatie diagnosticate rispetto al totale dei casi, ponendo ancora una volta a confronto le due popolazioni.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
L’analisi dei risultati del presente studio pone in evidenza come elemento critico del settore edile la prevenzione delle malattie professionali, spesso posta in secondo piano dalla risonanza del fenomeno infortunistico, puntualmente sottolineato anche dai principali organi di informazione non scientifica.
Molto elevata è infatti risultata la prevalenza di tecnopatie in entrambe le popolazioni studiate, soprattutto se si considera che alla nostra osservazione sfuggono le patologie a lunga latenza, quali ad esempio le neoplasie dell’apparato respiratorio. Nel complesso non significativa la variazione di prevalenza osservata nel tempo. Da considerare
in proposito che la seconda coorte oggetto di studio (2006) ha anzianità lavorativa media nel settore superiore di circa 1,1 anni rispetto alla prima, potendo questo contribuire a rendere ragione della già minima differenza di prevalenza riscontrata, in considerazione dell’incidenza annua di tecnopatie (compresa tra 1 e 2%) emersa da nostri precedenti studi (11).
INTRODUZIONE E SCOPO
La letteratura internazionale, negli ultimi anni, si è molto arricchita
di articoli sulle malattie da lavoro e sulla loro prevenzione nel settore delle costruzioni, anche se sono ancora insufficienti le informazioni sulle
condizioni di rischio e di tutela della salute dei lavoratori edili. A partire
dalla seconda metà degli anni ’90, sulla spinta della nuova normativa in
tema di tutela della salute nei luoghi di lavoro (D.lgs 277/91 e 626/94), è
stato avviato in provincia di Bergamo il progetto “Tutela della salute nei
cantieri edili”, promosso dal Comitato Paritetico Territoriale di Bergamo
(CPT) e realizzato dalla Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro (UOOML), dell’Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo.
Il progetto prevede la realizzazione delle visite di assunzione (visite preventive) e di quelle per i dipendenti delle nuove imprese aderenti all’iniziativa (prime visite) presso gli ambulatori della UOOML, applicando gli
accertamenti previsti dalle Linee Guida della Regione
Tabella I. Prevalenza di tecnopatie su 1000 lavoratori, riscontrata in due
Lombardia (1). Le visite periodiche vengono invece realizcampioni di lavoratori edili (confronto tra il periodo 1996-2000 e il 2006)
zate presso gli ambulatori del CPT.
Obiettivo del presente lavoro è analizzare i dati relativi alla prevalenza delle malattie professionali nel settore
edile, ponendo a confronto quanto riscontrato durante i primi anni di applicazione della sorveglianza sanitaria (19962000) e la situazione odierna. Se da un lato infatti esistono
alcuni lavori scientifici che riportano dati di prevalenza
delle malattie professionali nel settore (2,3,4,6,7,8,9), poco
o nulla si conosce in merito agli eventuali cambiamenti che
più di 10 anni di applicazione di norme relative alla prevenzione e sicurezza hanno portato in edilizia. Analizzata
in precedenti lavori l’efficacia di un buon “sistema di prevenzione” di un gruppo di aziende, inteso come insieme di
Medico del Lavoro Competente, Capi Cantiere, Rappre-
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Grafico I. Ripartizione percentuale delle singole tecnopatie sul totale
delle diagnosticate
Analizzando però i dati relativi alle singole tecnopatie (Tabella I e
Grafico I) emergono importanti differenze tra le due popolazioni. Anzitutto, sebbene rimanga ancora oggi la patologia a maggiore prevalenza
(61,7% del totale delle tecnopatie riscontrate), si registra per l’ipoacusia
da trauma acustico cronico una significativa riduzione di casi nella coorte di lavoratori del 2006: -15,6 casi ogni 1000 lavoratori. Sebbene si tratti di numeri più piccoli, analogo discorso può essere fatto per la riduzione della prevalenza di patologia vascolare da strumenti vibranti: -4,1 casi ogni 1000 lavoratori. Questi cambiamenti a documentare, tra le altre
cose, i progressi tecnologici, che hanno ridotto in alcuni casi l’esposizione a fattori di rischio (es. rumore e vibrazioni), le migliorie nelle procedure di lavoro e la maggiore diffusione della cultura della prevenzione
(anche semplicemente nell’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale da parte dei lavoratori).
Il fatto che le patologie dell’apparato muscoloscheletrico siano passate dal 9,2% del totale delle tecnopatie nel periodo 1996-2000 al 29,4% del
2006, facendo registrare la più elevata variazione di prevalenza (+26,6 casi ogni 1000 lavoratori) e risultando di fatto “responsabili” della mancata
variazione della prevalenza complessiva di malattie da lavoro nel settore
edile, non è a nostro avviso imputabile all’emergere di un problema prima
inesistente. Piuttosto questo incremento testimonia una maggiore attenzione al problema, con incremento della capacità diagnostica dei medici
del lavoro, in particolare per quanto concerne il poter porre in relazione i
quadri clinici con l’attività lavorativa, che si accompagna d’altro canto a
un maggiore riconoscimento degli stessi anche da parte dell’INAIL.
Concludendo, è possibile affermare che, sebbene la prevalenza di tecnopatie nel settore edile sia ancora oggi elevata, la significativa riduzione di
alcune di esse (ad esempio l’ipoacusia da trauma acustico cronico) e l’incremento di altre (in primis le patologie muscoloscheletriche) testimoniano
da un lato che interventi preventivi significativi, sebbene ancora insufficienti, sono stati realizzati, dall’altro che è cresciuta anche la capacità diagnostica dei medici e di riconoscimento da parte dell’INAIL di tecnopatie che, nel
recente passato, non venivano adeguatamente prese in considerazione.
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Bettineschi O, Magno D. “Considerazioni sull’efficacia della sorveglianza sanitaria periodica di lavoratori edili visitati presso il CPT di
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formale delle basi scientifiche delle prove di efficacia in medicina
del lavoro” - G Ital Med Lav Erg 2006; 28 (suppl.); 196-202.
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Med Lav Erg 2006; 28: 351-352.
COM-04
INTERVENTO DI RICERCA ATTIVA DELLE NEOPLASIE VESCICALI
DI ORIGINE PROFESSIONALE: UNA ESPERIENZA TOSCANA
F. Cosentino1, L. Arena2, L.Banchini1, L. Benvenuti3, V.M. Calabretta4,
C. Carnevali4, A. Cristaudo1, G.Farina2, R. Foddis1, T.E. Iaia2, M.
Lemmi5, F. Ottenga1, L. Parrini6, G. Piccini3, N. Serretti5, D. Talini5
1Azienda
Ospedaliera Universitaria Pisana, Pisa
PSLL, Dipartimento della Prevenzione, ASL11 Regione Toscana
3Sede INAIL Pisa
4Sovrintendenza medica Regionale INAIL Toscana, Firenze
5UUOO PSLL, Dipartimento della Prevenzione, ASL5 Regione Toscana
6Sede INAIL Firenze
2UUOO
Corrispondenza: Cosentino Francesca, e-mail: [email protected],
Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana- Sezione di Medicina Preventiva
del Lavoro, Via Santa Maria 110, 56126, Pisa
RIASSUNTO. La proporzione di tumori vescicali attribuibile a fattori occupazionali in Europa occidentale è del 5-10%; tuttavia la percentuale dei tumori vescicali riconosciuti come professionali dall’INAIL è molto inferiore all’atteso. Per ridurre il divario tra casi attesi e casi denunciati all’INAIL, è stato intrapreso un progetto di ricerca attiva che ha coinvolto l’ASL di Pisa, l’ASL di Empoli, l’Azienda Ospedaliera Pisana
(AOUP) e l’INAIL. Sono stati intervistati telefonicamente 677 pazienti
con carcinoma della vescica ed in 64 soggetti la storia lavorativa era associata allo specifico rischio neoplastico; le attività lavorative svolte da questi soggetti erano soprattutto operazioni conciarie e attività metalmeccaniche con esposizione ad olii lubrorefrigeranti. Questi casi sono stati quindi
discussi nell’ambito di un Collegio Medico previsto del progetto; 40 casi
sono stati giudicati di probabile origine professionale, 18 di possibile origine professionale, 3 sono rimasti in sospeso in attesa di ulteriori integrazioni, 3 sono stati giudicati non Malattia Professionale. La ricerca attiva ha
permesso di rilevare un numero consistente di tumori vescicali, aumentando la quota emersa di malattie professionali; ha reso inoltre evidente
che un approccio integrato fra diverse Istituzioni può consentire e garantire la più adeguata e corretta tutela delle malattie da lavoro.
Parole chiave: tumore vescicale, esposizione occupazionale, ricerca
attiva
314
EPIDEMIOLOGIC
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SURVEILLANCE IN OCCUPATIONAL BLADDER CANCER: A
TUSCAN EXPERIENCE
ABSTRACT. The percentage of bladder cancer as occupational
disease in West-Europe is of 5/10%, but only a few amount of them are
recognized as occupational disease from INAIL.
The above mentioned research project is realized in order to
decrease the gap between expected and claimed cases of occupational
disease and it is conducted with the collaboration of ASL of Pisa, ASL of
Empoli, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana and INAIL.
677 patients with bladder cancer were interviewed by phone, among
them 64 subjects had a working experience compatible with neoplastic
risks because had a previous occupational exposure to aromatic amines
and metal working fluids. These cases were discussed into a Medical Staff
and 40 cases were considered “probable” for occupational disease, 18
“possible”, 3 cases are suspended for more research, 3 cases are
considered “no professional disease”.
The research allows finding out a great number of bladder cancer,
increasing the total amount of workers with occupational disease.
The integrated approach with the collaboration among different
institutions is surely the best way to allow and guarantee a suitable and
right protection of workers with occupational disease.
Key words: bladder cancer, occupational exposure, epidemiologic
surveillance
INTRODUZIONE
Il carcinoma della vescica è fortemente correlato a fattori ambientali, abitudini di vita e attività lavorativa. In Italia, così come in Europa, il
carcinoma della vescica è la quarta neoplasia più frequente tra la popolazione maschile e la sua incidenza è in aumento, con una percentuale del
7% tra tutti i tumori maschili. Il tasso di incidenza annua è di 32/100.000
per gli uomini e 9/100.000 per le donne, mentre il dato complessivo sulla mortalità annua è di 9/100.000. Si tratta quindi di un tumore molto diffuso, caratterizzato da un alto tasso di recidive e da una sopravvivenza a
5 anni di oltre il 90%. Il principale fattore di rischio extraprofessionale è
il fumo di sigaretta. Occorre però ricordare che, secondo diversi studi, tale rischio si riduce dopo 10-15 anni dalla cessazione del fumo, fino a diventare molto simile a quello dei non fumatori. Anche la correlazione tra
esposizione a cancerogeni occupazionali e tumore della vescica è ormai
nota da molti anni. La proporzione di tumori della vescica attribuibile a
fattori occupazionali in Europa Occidentale è di circa 5-10% Diverse
esposizioni occupazionali sono state associate al tumore della vescica. In
particolare, un’elevata incidenza è stata riportata oltre un secolo fa nei lavoratori esposti ad amine aromatiche nella manifattura di vernici. Eccessi di rischio sono stati riportati anche per altre occupazioni, inclusi i lavoratori della gomma, alluminio, pellami, autotrasportatori, settore tessile, industria chimica, industria metallurgica ed edilizia. Alcuni studi hanno evidenziato anche l’associazione del carcinoma della vescica con l’attività di parrucchiere, con la manipolazione di antiblastici e con l’esercizio di lavanderie a secco. La IARC identifica tra i principali agenti chimici cancerogeni per la vescica le amine aromatiche e gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Il presente lavoro riporta una prima valutazione
dell’associazione tra tumore della vescica ed attività lavorative a rischio,
nell’ambito di un progetto che l’ASL di Pisa, l’ASL di Empoli, l’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana e l’INAIL hanno deciso di condurre
tramite una esperienza di ricerca attiva.
MATERIALI E METODI
Sono stati analizzati 1792 casi di carcinoma vescicale, di cui 1637
provenivano dalle schede di dimissione ospedaliera (SDO) degli ospedali posti nel territorio oggetto delle indagini, 151 provenivano dalle interviste eseguite su pazienti di un reparto di urologia e 4 erano casi pervenuti direttamente agli ambulatori specialistici dei dipartimenti della prevenzione. A 667 soggetti è stato somministrato telefonicamente uno specifico questionario per il tumore della vescica, mentre a 1125 non è stato
somministrato o a causa delle gravi condizioni di salute o perché non rintracciabili telefonicamente o per rifiuto dell’intervista.
I soggetti che riferivano un’esposizione professionale a fattori di rischio noti sono stati poi convocati presso i Dipartimenti della Prevenzione, così da acquisire ogni utile informazione (anamnesi lavorativa accurata, storia clinica, presenza di eventuali fattori concausali extraprofessionali) ed ogni documentazione necessaria per la definizione del caso.
L’anamnesi è stata raccolta quasi sempre direttamente dal paziente.
L’anamnesi lavorativa è stata condotta in maniera da individuare
informazioni utili sulla durata dell’attività, il nome, la sede e le principali caratteristiche di produzione dell’Azienda, la mansione svolta, l’eventuale utilizzo od esposizione indiretta ad agenti chimici, l’adozione di dispositivi di protezione individuale, la presenza di sistemi di captazione
degli inquinanti aerodispersi. È stata indagata tutta la vita lavorativa del
soggetto. È stato sempre richiesto il libretto di lavoro e quando non era
disponibile è stato richiesto al paziente un estratto della storia lavorativa
risultante all’INPS. In alcuni casi è stato necessario acquisire informazioni tecniche sull’ambiente di lavoro o sul ciclo tecnologico, avvalendosi della collaborazione del personale tecnico dei Dipartimenti della Prevenzione e della CONTARP.
RISULTATI
Delle 667 interviste condotte per mezzo di specifico questionario,
603 schede sono state archiviate in quanto prive di elementi che potessero far pensare a una possibile esposizione occupazionale a cancerogeni
vescicali. Per 64 casi la storia lavorativa era compatibile con la patologia
di cui erano affetti.
Tra i 64 casi segnalati in collegio, 5 pazienti presentavano età inferiore a 45 anni, 33 pazienti avevano una età compresa tra i 45 e i 64 anni
e 26 pazienti superavano i 64 anni di età (Figura 1).
L’età media dei 64 pazienti è risultata essere pari a 60,93+ 18.3 anni;
solo 4 erano donne, 36 pazienti avevano subito una esposizione ad amine aromatiche, 28 pazienti erano stati esposti ad olii lubrorefrigeranti in
aziende metalmeccaniche.
Tale elevata frequenza di esposizioni ad amine aromatiche e ad
olii lubrorefrigeranti nel gruppo indagato è giustificabile dato il contesto del territorio oggetto del nostro studio, in cui le attività lavorative maggiormente rappresentate erano le operazioni di concia (particolarmente sviluppate nell’empolese e nella valdera), e metalmeccanica (valdera).
Tra i 64 casi, 5 pazienti non fumavano, 15 erano fumatori modici (110 sig/die), 7 erano fumatori moderati (11-19 sig/die), mentre 37 pazienti erano forti fumatori (>19 sig/die).
Dei 64 casi segnalati in Collegio, all’atto della stesura del presente
documento 58 sono stati definiti di probabile e possibile origine professionale, quindi potenzialmente “professionali”, 3 sono ancora sospesi in
attesa di integrazioni, 3 sono stati definiti come Malattia non Professionale. Per i 58 casi definiti come “probabili” e “possibili” è stato avviato
l’iter amministrativo da parte dell’INAIL, e nei 40 casi di probabile origine professionale si è provveduto all’indennizzo.
DISCUSSIONI E CONCLUSIONI
Considerando che in letteratura la quota riportata dei tumori della vescica attribuibile al lavoro si colloca in un range compreso tra il 5 ed il
10%, la percentuale dei tumori vescicali da noi individuati come “potenzialmente professionali” (pari a 58 casi su 667 interviste raccolte, vale a
dire il 8,69%) risulta in linea con il range sopra indicato.
Se si considera che il numero complessivo degli eventi indennizzati
dall’INAIL nel territorio di riferimento per il periodo 2003-2005 è stato
di 37 casi e che tra questi i casi denunciati tramite la ricerca attiva da noi
condotta sono stati 29 (pari al 78,37% degli eventi indennizzati), appare
evidente l’efficacia del nostro programma.
Figura 1
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www.gimle.fsm.it
Inoltre se si valutano le denunce di malattia professionale per tumore
vescicale pervenute alle sedi INAIL della regione Toscana negli anni che
vanno tra il 2001 e il 2005, che comprendono il periodo in cui è stato attivato il nostro intervento, si nota un trend in crescita ed in particolare si
passa dai 6 casi di denuncia di tumore vescicale del 2001 ai 21 del 2005.
Sulla base di quanto riportato, partendo dai codici di dimissione
ospedaliera, e poi procedendo con l’intervista telefonica agli stessi pazienti o ai loro familiari e ricavando informazioni dettagliate sull’esposizione e sulla diagnosi, è stato possibile fare emergere un buon numero di
tumori della vescica che altrimenti sarebbero stati perduti,.
Il nostro intervento, che ha visto la collaborazione fra istituzioni e
professionisti di diversa estrazione, ha portato ad una buona formulazione della diagnosi eziologica, a un incremento del numero dei casi segnalati e a un aumentato numero di casi indennizzati, contribuendo quindi a
ridurre il divario tra tumori attesi e quelli denunciati e tra quelli denunciati e quelli effettivamente indennizzati.
I risultati ottenuti inducono quindi a ritenere il progetto di un innegabile significato culturale e sociale, in grado di garantire, nel mantenimento delle specifiche competenze delle istituzioni coinvolte, un ampliamento di conoscenze e soprattutto un’uniformità di valutazione, tali da
poter fornire risposte eque ai lavoratori assicurati. Riteniamo pertanto auspicabile che percorsi simili di metodologia operativa, se scientificamente validati, possano essere resi applicativi su scale più vaste, quanto meno in ambito regionale toscano.
BIBLIOGRAFIA
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9) Ambrosi L, Foà V, Trattato di Medicina Del Lavoro, Torino, UTET
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COM-05
NEOPLASIE TRANSIZIONALI DELLA VESCICA ED ESPOSIZIONE
PROFESSIONALE. VALUTAZIONE DELLA ACCURATEZZA DI UN
METODO DI SCREENING BASATO SU INTERVISTA STRUTTURATA
R. Borchini1, G. Veronesi2, S. Mombelli1, C. Fava3, M. M. Ferrario1, 2
1 Medicina del Lavoro e Preventiva - AO Ospedale di Circolo e
Fondazione Macchi, Varese
2 Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Università degli studi
dell’Insubria, Varese
3 Urologia - AO Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi, Varese
Corrispondenza: Rossana Borchini, e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. Il carcinoma transizionale della vescica è il tumore di
più frequente riscontro tra le neoplasie maligne dell’apparato urinario. I
principali fattori di rischio sono rappresentati da fumo di sigaretta, patologie infiammatorie ricorrenti delle vie urinarie, assunzione di alcuni farmaci, familiarità ed esposizione professionale ad amine aromatiche e
idrocarburi policiclici aromatici.
315
Obiettivo del presente studio è valutare la capacità discriminante di
una breve intervista strutturata per l’identificazione di casi di uroteliomi
di sospetta origine professionale, da sottoporre alla valutazione specialistica di Medicina del Lavoro. Il campione dello studio è costituito da 100
soggetti, ricoverati per neoplasia transizionale della vescica negli anni
2004 e 2005 presso il Reparto di Urologia dell’Ospedale di Circolo - Fondazione Macchi di Varese. Sulla base di tale intervista strutturata è stato
possibile stimare due indici di esposizione professionale: l’Indice Durata-Settore (DS) e l’Indice Durata-Settore-Mansione (DSM). La valutazione specialistica ha consentito di assegnare o meno l’origine professionale agli uroteliomi. L’analisi dell’accuratezza dei due indici ha evidenziato buone caratteristiche operative con una miglior specificità, a parità
di sensibilità, dell’indice DSM rispetto all’indice DS. La breve anamnesi
strutturata rappresenta dunque un valido strumento per identificare casi di
neoplasie uroteliali meritevoli di un ulteriore valutazione specialistica di
Medicina del Lavoro.
Parole chiave: Urotelioma professionale, carcinoma della vescica,
amine aromatiche, Idrocarburi Policiclici Aromatici, IPA.
TRANSITIONAL BLADDER CANCER AND OCCUPATIONAL EXPOSURE. ACCURACY
ASSESSMENT OF A SCREENING METHOD BASED ON STRUCTURED INTERVIEW
ABSTRACT. The transitional bladder cancer is the most frequent
urinary malignant neoplasm. The main risk factors are cigarette smoking,
recurrent inflammatory diseases of the urinary tract, assumption of some
drugs, familiarity and occupational exposure to aromatic amines and
polycyclic aromatic hydrocarbons.
The aim of this study is to assess the screening efficacy of a short
structured interview to detect the possible occupational bladder
cancer, to submit to the specialist’s evaluation. The sample of the study
is represented by 100 subjects, hospitalized for transitional bladder
cancer in the years 2004 and 2005 at the Department of Urology of the
Ospedale di Circolo - Fondazione Macchi in Varese. Through the
structured interview was possible to estimate two occupational
exposure indexes: Length-Field Index (DS) and Length-Field-Job
Index (DSM). The specialist’s evaluation allowed to establish the
occupational cancer origin. The analysis of the indexes’ accuracy
showed good operating characteristics with higher specificity and
equal sensitivity for DSM in comparison to DS. Therefore the short
structured interview should be considered as a valuable tool to identify
urothelial carcinomas worthy of further evaluation of occupational
specialist.
Key words: Occupational urothelial cancer, bladder cancer,
aromatic amines, polycyclic aromatic hydrocarbons.
INTRODUZIONE
I carcinomi transizionali della vescica, definiti anche uroteliomi,
rappresentano il 70% delle neoplasie maligne dell’apparato urinario (1,
2). L’eziologia di queste neoplasie è multifattoriale. I principali fattori di
rischio, attualmente riconosciuti, sono rappresentati da fumo di sigaretta, patologie infiammatorie ricorrenti delle vie urinarie, assunzione prolungata di alcuni farmaci e familiarità per neoplasie uroteliali (3, 4, 5).
A questi si aggiunge l’esposizione professionale a sostanze cancerogene
per l’urotelio, quali amine aromatiche ed idrocarburi policiclici aromatici (4). La frazione eziologica delle esposizioni occupazionali per questo
tumore, secondo diversi studi epidemiologici, è stata stimata dal 4% al
24% (6, 7).
Al fine di poter selezionare casi di uroteliomi di sospetta origine professionale, da sottoporre a valutazione specialistica di Medicina del Lavoro, è stata predisposta una breve intervista strutturata, di screening, la
cui efficacia discriminante è stata valutata in questo studio.
MATERIALI E METODI
È stata predisposta una breve anamnesi strutturata, in grado di ricostruire le attività lavorative svolte, opportunamente pesate in termini di
settore lavorativo, mansione e durata dell’impiego, e di rilevare, in termini quantitativi, l’abitudine al fumo di sigaretta, considerato il principale fattore di rischio voluttuario per il tumore della vescica.
Il campione oggetto dello studio è costituito da 100 soggetti di età inferiore ai 77 anni, 88 maschi e 12 femmine, con età media di 64 anni, per
i quali fu posta diagnosi istologica di neoplasia uroteliale vescicale, ricoverati negli anni 2004 e 2005 presso il Reparto di Urologia dell’Ospedale di Circolo - Fondazione Macchi di Varese.
316
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I due gruppi (patologia non professionale e patologia professionale)
Sulla base della valutazione condotta con l’intervista strutturata è
sono risultati omogenei per tutte le covariate di interesse (età alla diastato possibile stimare, per ogni singolo caso, due indici di esposizione
gnosi, sesso, anno di diagnosi, durata dell’attività lavorativa, Indice DS,
professionale: l’Indice Durata-Settore (Indice DS), che tiene conto delanni di abitudine al fumo di sigaretta, quantità di sigarette fumate), con la
la durata dell’esposizione e del settore lavorativo e l’Indice Durata-Setsola eccezione dell’indice DSM, che risulta differentemente distribuito
tore-Mansione (Indice DSM), ottenuto aggiungendo al precedente il
nei due gruppi (p-value = 0,03).
coefficiente relativo alla mansione. Per 33 soggetti, con Indice DSM
La valutazione dell’accuratezza diagnostica per gli indici DS e DSM
maggiore del terzile superiore (DSM = 9), è stata effettuata una valutaè rappresentata mediante Curve ROC nella Figura 1. Per l’indice DS, l’azione specialistica di Medicina del Lavoro, basata su un’accurata indarea sotto la curva ROC è risultata pari a 0,62 e il valore soglia corrispongine anamnestica familiare, fisiologica, patologica e lavorativa. Sono
dente alla miglior combinazione delle caratteristiche operative presenta
stati indagati con particolare attenzione latenza della malattia, durata,
valori di SE e SP rispettivamente di 0,80 e 0,44. Per l’Indice DSM l’area
modalità ed intensità dell’esposizione per ogni settore in cui il paziente
sotto la curva ROC è risultata maggiore (0,72), con SE pari a 0,80 e SP
ha svolto la propria attività lavorativa. Al termine di tale valutazione è
pari a 0,67 per il valore soglia migliore. L’aggiunta della mansione ha
stato espresso un giudizio sul nesso di causa tra insorgenza della neodunque l’effetto di rendere l’Indice maggiormente specifico.
plasia ed esposizione professionale, espresso secondo quattro categorie
diagnostiche: neoplasia ad eziologia
non professionale, ad eziologia profesTabella I. Caratteristiche dei casi definiti professionali dopo valutazione specialistica
sionale possibile, probabile e certa. Ai
di Medicina del Lavoro (Possibili-Probabili)
fini dell’analisi statistica le categorie
diagnostiche di possibile, probabile e
certa origine professionale sono state
accorpate. Allo stesso modo queste tre
categorie sono state considerate equivalenti per gli adempimenti medico-legali (1° certificato di malattia professionale, denuncia e referto).
La capacità discriminante dei due
Indici DS e DSM è stata valutata mediante modelli di regressione logistica,
dove ciascun indice è stato considerato
come variabile indipendente e la diagnosi eziologica professionale dicotomizzata come variabile dipendente. È
stato così possibile calcolare sensibilità
(SE) e specificità (SP) a differenti soTabella II. Caratteristiche del campione ammesso alla valutazione specialistica (n=33)
glie di ciascun indice. Sono state corilevate nel corso della anamnesi strutturata
struite curve ROC (Receiver Operating
Characteristics) con relativa area sotto
la curva (AUC = Area Under the Curve) per valutare la capacità predittiva
complessiva di ciascun indicatore.
RISULTATI
Il campione studiato si caratterizza per una netta prevalenza di soggetti
di sesso maschile (88 casi su 100), una
lunga durata dell’attività lavorativa
(mediana pari a 41 anni) ed un’età media di 64 anni.
Sull’intero campione sottoposto all’intervista di screening è stata rilevata
una correlazione positiva, statisticamente significativa, tra Indice DS e Indice DSM (r = 0.81, p<0.0001).
Le diagnosi di eziologia professionale dei 33 soggetti valutati dal medico
del lavoro (3 sole donne), sono risultate: 18 non professionali e 15 professionali (11 possibili; 4 probabili e nessuna
certa).
In Tabella I sono sintetizzate le caratteristiche salienti dei casi definiti di
sospetta natura professionale, in relazione alle caratteristiche indagate con
l’anamnesi lavorativa da parte di specialisti della disciplina.
La Tabella II riporta le distribuzioni delle informazioni rilevanti raccolte
tramite intervista strutturata relative ai
33 soggetti valutati dal medico del lavoro, suddivisi per diagnosi di patologia non professionale e professionale
(possibile-probabile).
Figura 1. Curve ROC per gli indici DS e DSM, relative ai 33 soggetti sottoposti alla valutazione
specialistica di medicina del lavoro
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CONCLUSIONI
La capacità discriminante della breve intervista strutturata, da noi
proposta, è stata valutata attraverso la misura di sensibilità e specificità
dei due indici da essa ricavati: DS e DSM. L’inclusione della mansione si
è rivelata fondamentale per aumentare la sensibilità della selezione, dal
momento che l’Indice DS ha mostrato una minor sensibilità fin da valori
molto bassi. L’indice DSM ha mostrato inoltre maggior specificità, consentendo di escludere dalla selezione soggetti che, pur avendo lavorato in
settori potenzialmente a rischio e per un tempo adeguato, in funzione della loro mansione non hanno avuto alcuna esposizione. La scelta di utilizzare l’indice DSM per la selezione dei casi è risultata quindi adeguata.
Per tale indice è stato scelto come valore soglia, per sottoporre i soggetti
alla valutazione specialistica di secondo livello, il valore “nove” in quanto rappresentava il cut-off del terzile superiore. Nel presente studio non è
stata valutata la sensibilità per valori inferiori alla soglia considerata,
aspetto che è attualmente in corso di approfondimento. L’anamnesi di
Medicina del Lavoro, condotta in ambito specialistico, ha consentito di
porre in rilievo ulteriori aspetti riguardanti latenza della malattia, durata,
modalità ed intensità dell’esposizione per ogni settore in cui il paziente
ha svolto la propria attività lavorativa, consentendo di definire il nesso di
causalità.
I dati espositivi, per ciascun soggetto, sono stati stimati sulla base dei
rilievi anamnestici, integrati dalle conoscenze dello specialista in ambito
tossicologico e di tecnologia industriale, non essendo disponibili dati
quali-quantitativi derivanti da monitoraggio ambientale e/o biologico.
L’esposizione, considerata in termini di durata e di intensità, è risultata
per tutti i casi diagnosticati come professionali decisamente superiore ai
livelli minimi accettabili, indicati in letteratura per la ricostruzione del
nesso causale (4, 8, 9).
Il periodo di latenza, definito come l’intervallo temporale tra inizio
dell’esposizione e diagnosi di patologia, è risultato per circa la metà dei
casi particolarmente prolungato, ma sempre compatibile con la ricostruzione del nesso di causa.
Il fumo di sigaretta, anamnesticamente positivo nella maggior parte
dei casi indagati, non è stato considerato come fattore eziologico escludente un’eventuale causa professionale, bensì come eventuale fattore sinergico (10, 11).
I settori produttivi ai quali afferivano i casi professionali (possibili/probabili) sono risultati soprattutto quelli nei quali le amine aromatiche
erano presenti nel ciclo di produzione o di utilizzo di coloranti e vernici.
La minor potenzialità cancerogenica specifica sull’urotelio degli IPA rispetto alle amine aromatiche, verosimilmente associata ad una minor rappresentazione territoriale di impianti industriali ad elevata esposizione
specifica, può fornire una interpretazione al modesto contributo degli
stessi alla nostra casistica (un solo caso classificato come ad eziologia
professionale possibile IPA-correlato).
In conclusione l’intervista strutturata proposta nel presente studio
mostra buone opportunità di utilizzo nella selezione di casi di uroteliomi
meritevoli di un’ulteriore valutazione specialistica di Medicina del Lavoro, finalizzata alla ricostruzione dell’eventuale nesso di causalità.
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COM-06
STAMPAGGIO DELLA GOMMA ED AGENTI CHIMICI
CANCEROGENI: L’ESPERIENZA DELLO STUDIO PPTP-GOMMA
P.E. Cirlaa, S. Tieghib, R. Trincob, L. Gallic, A. Filipponic, D. Pavesic, I.
Martinottia, V. Foàa, A.M. Cirlac, E. Mossinib
a
Università degli Studi di Milano e Fondazione “Ospedale Maggiore
Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena” (IRCCS), Dipartimento di
Medicina del Lavoro, Milano
b A.S.L. della Provincia di Mantova, Dipartimento di prevenzione
medico, Servizio Prevenzione Sicurezza Ambienti di Lavoro (SPSAL),
Mantova
c A.O. “Istituti Ospitalieri di Cremona”, Unità Operativa Ospedaliera di
Medicina del Lavoro (UOOML), Cremona
Corrispondenza: Piero Emanuele Cirla, tel. 02.50320.110, fax
02.50320.111, e-mail [email protected]
RIASSUNTO. Nel processo di valutazione del rischio per esposizione a sostanze chimiche un ruolo di primaria importanza è rivestito dalla possibile comparsa di effetti cancerogeni. In particolare nelle attività di
stampaggio della gomma, l’attenzione è indirizzata soprattutto verso la
possibile liberazione di agenti chimici nelle lavorazioni a caldo, alcuni
dei quali sono classificati come cancerogeni dalla IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) e/o dall’Unione Europea. Con l’obbiettivo di individuare l’effettiva presenza e la possibile esposizione ad
agenti chimici cancerogeni, nonché di promuovere soluzioni preventive
basate sull’efficacia in ambito tecnico e sanitario, si è sviluppato nel corso degli ultimi due anni sotto l’impulso della Regione Lombardia lo Studio PPTP-Gomma (Progetto Prevenzione dei Tumori Professionali - Lavorazione della Gomma), che si è dedicato intensamente allo studio delle attività di stampaggio della gomma, fornendo un quadro attuale di un
settore di storico interesse. Complessivamente sono stati registrati più di
100 composti chimici utilizzati nel comparto produttivo, di cui 15 con potenzialità di provocare effetti cancerogeni. La valutazione dell’esposizione mediante indagini di monitoraggio delle sostanze di maggiore interesse (acrilonitrile, 1,3-butadiene, stirene, idrocarburi policiclici aromatici),
ha mostrato valori generalmente contenuti ove siano state messe in atto le
comuni norme igieniche.
Parole chiave: agente chimico cancerogeno, esposizione, industria
della gomma
RUBBER INDUSTRY AND EXPOSURE TO CARCINOGENIC CHEMICAL AGENTS: AN
ITALIAN MULTICENTRIC STUDY IN LOMBARDY
ABSTRACT. Evaluating the chemical risks at the workplaces, the
potential carcinogenic risk is a primary interest. Particularly, in the
rubber forming industry the main attention was directed to the hot
processing as a possible source of exposure to chemical agents, several
of which were classified as carcinogens by the International Agency for
Research on Cancer (IARC) and/or the European Union (EU). A study
on occupational exposure to chemical carcinogens in the rubber
forming industry was planned during last two years, involving a
representative sample of firms. In the first step the occupational
exposure and the use of preventive measures were evaluated by an
investigation at workplace supported with standardized questionnaires.
The presence of above 100 chemical agents was registered; 15 agents
318
were classified to carcinogenic or probably carcinogenic to human. The
evaluation of exposure by air sampling and monitoring of most
substances of interest (acrylonitrile, 1,3-butadiene, styrene, Polycyclic
Aromatic Hydrocarbons), demonstrated a low level of occupational
exposure, the common hygienic prevention measure being applied.
Key words: chemical carcinogens, exposure, rubber industry
INTRODUZIONE
Nel processo di valutazione del rischio per esposizione a sostanze
chimiche un ruolo di primaria importanza è rivestito dalla possibile
comparsa di effetti cancerogeni a carico dell’operatore. L’interesse si
rivolge soprattutto a quelle attività come l’industria della gomma, per la
quale numerose indagini epidemiologiche disponibili hanno evidenziato, negli addetti esposti fino agli anni ’50, un eccesso di mortalità per
neoplasie soprattutto a carico della vescica e del sistema emopoietico.
La progressiva regolamentazione del settore in merito all’uso di sostanze cancerogene (ammine aromatiche), sommata ad un costante miglioramento delle condizioni igienico - ambientali dei luoghi di lavoro,
sembra abbia portato recentemente ad una riduzione dell’incidenza di
queste neoplasie. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro
(IARC) classifica, tuttavia, l’industria della gomma come attività a rischio di provocare il cancro (1), sulla base del sospetto dell’esistenza di
prodotti di reazione biologicamente attivi che si sviluppano durante la
lavorazione. In particolare nelle attività di stampaggio della gomma,
l’attenzione viene indirizzata soprattutto verso la possibile esposizione
ad agenti chimici che si possono liberare nelle lavorazioni a caldo (2),
alcuni dei quali sono classificati come cancerogeni dalla IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) e dall’Unione Europea.
Con l’obbiettivo di individuare l’effettiva presenza e la possibile esposizione ad agenti chimici cancerogeni, nonché di promuovere soluzioni
preventive basate sull’efficacia in ambito tecnico e sanitario, si è sviluppato nel corso degli ultimi due anni sotto l’impulso della Regione
Lombardia lo Studio PPTP-Gomma (Progetto Prevenzione dei Tumori
Professionali - Lavorazione della Gomma), che si è dedicato intensamente allo studio delle attività di stampaggio della gomma, fornendo un
quadro attuale di un settore di storico interesse (3).
MATERIALI E METODI
Differenti sono le interpretazioni in merito a quali sostanze devono essere considerate come cancerogene umane e le posizioni nazionali ed internazionali, basate su principi e priorità di classificazione differenti e non sempre esclusivamente health based, possono essere discordi.
Lo Studio PPTP ha valutato le possibili esposizioni professionali ad
agenti cancerogeni di tipo chimico classificati dall’Unione Europea in
Categoria 1 (“Sostanze note per gli effetti cancerogeni sull’uomo”) o 2
(“Sostanze che dovrebbero considerarsi cancerogene per l’uomo”), e/o
classificati dall’International Agency for Research on Cancer in Gruppo
1 (“Sicuramente cancerogeno per l’uomo”) o 2A (“Probabilmente cancerogeno per l’uomo”).
Partendo da un sistema basato sul database integrato INAIL/ISPESL/Regione e la codifica ISTAT ATECO, opportunamente integrato dalla
memoria storica del servizio di prevenzione locale, da 40 aziende sono
state individuate e catalogate tutte le 8 realtà produttive con attività di
stampaggio gomma presenti nella provincia di Mantova (complessivamente circa 230 lavoratori).
La metodologia d’indagine, applicata in ogni azienda indagata, si articola in due momenti successivi. La “Fase 1” consta di un sopralluogo
per la raccolta d’informazioni (ciclo produttivo, materie prime, intermedi, prodotti finiti, interventi di manutenzione), oltre che delle schede di sicurezza di tutti i prodotti utilizzati nella lavorazione, con i dati compositivi delle mescole, poi attentamente valutati. Per ogni singola sostanza è
stata controllata anche la classificazione definita dalle principali Agenzie
Internazionali e le informazioni tossicologiche presenti sulle principali
banche dati specifiche. In tutte le aziende in cui dalla Fase 1 risulta la presenza di una o più sostanze cancerogene viene eseguito un nuovo sopralluogo (“Fase 2”), mirato alla valutazione qualitativa e quantitativa dell’esposizione professionale, alla verifica dell’applicazione degli adempimenti previsti dal D.Lgs 626/94 ed all’esame delle misure preventive
adottate. I sopralluoghi hanno visto il costante affiancamento di personale medico e tecnico, così da potere garantire il più ampio e completo spettro di valutazione delle diverse realtà. La raccolta e l’analisi dei dati so-
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no avvenute in forma standardizzata con l’istituzione di appositi flussi
informativi elettronici.
L’attenzione si è poi rivolta ad un campione rappresentativo di aziende, con la realizzazione di indagini mirate di monitoraggio ambientale e
biologico, al fine di poter individuare soluzioni preventive per una corretta gestione del rischio. In particolare, oltre ad un approfondimento sugli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) (4), è stato effettuato uno studio di monitoraggio ambientale dell’esposizione durante stampaggio
gomma in 9 aziende (1,3-butadiene), 5 aziende (stirene) e 4 aziende (acrilonitrile), per un totale di 112 determinazioni (casistica implementata con
il supporto dell’ASL della Provincia di Varese). Con impostazione
conforme alle indicazioni riportate nelle norme EN 482 e 689 sono stati
eseguiti campionamenti sia di tipo personale (addetto alla macchina) sia
in postazione fissa (carico, scarico, centro ambiente a 2 m dalla macchina, riferimento esterno). La rappresentatività delle misure è ampiamente
soddisfatta sia in termini di significatività che di stabilità dei risultati. I
campioni raccolti per l’analisi di 1,3-butadiene (fiala di CARBOSIEVE
SIII e flusso di 0,05 l/min), di acrilonitrile e stirene (fiala di TENAX TA
e flusso di 0,1 l/min), sono stati desorbiti termicamente ed analizzati con
GC/FID (limiti di detezione rispettivamente 1 µg/m3 per 1,3-butadiene e
stirene, 9 µg/m3 per acrilonitrile).
RISULTATI
Le mescole utilizzate per lo stampaggio sono risultate a base di gomma naturale, gomma di riciclo, gomma sintetica, in particolare SBR (stirene, butadiene), NBR (acrilonitrile, butadiene), PBR (polibutadiene) e
distillati aromatici di petrolio.
La presenza di sostanze cancerogene è stata riscontrata nel 100%
delle aziende esaminate con la Fase 1. Il numero di sostanze cancerogene riscontrate in ogni singola attività è risultato nella maggioranza di uno
(38%) o due (12%), e solamente in due casi si è arrivati a otto. Complessivamente sono stati registrati 107 composti chimici utilizzati nel
comparto produttivo, tra cui ne sono stati individuati quindici con potenzialità di provocare effetti cancerogeni. In particolare l’esperienza
mette in evidenza la non sovrapponibilità delle classificazioni di riferimento (Tabella I).
Tabella I. Agenti chimici individuati e classificazione
di cancerogenicità
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In effetti, seguendo i criteri della IARC sono state individuate 11 sostanze cancerogene (2 inserite nel Gruppo 1, 4 nel Gruppo 2A e 5 nel 2B),
mentre secondo la classificazione Europea 11 composti risultano cancerogeni della Categoria 1 e 2 (frase di rischio R45), ed altri 4 sono però
classificati nella Categoria 3 (frase R40 come possibili cancerogeni).
La reale esistenza di situazioni potenzialmente espositive è stata effettivamente riscontrata (Fase 2), nel 50% delle situazioni individuate con la
Fase 1. In queste aziende, riferendosi a quanto disposto dal D.Lgs 626/94,
l’agente cancerogeno era stato preso in considerazione nel documento di
valutazione dei rischi nel 51% dei casi, in nessun caso esisteva un registro
degli esposti, era stato individuato un programma di misure tecniche preventive od era stato predisposto un piano per le emergenze, esisteva un protocollo di sorveglianza sanitaria mirato nel 90% dei casi, nel 7% era attuato un monitoraggio ambientale e mai un monitoraggio biologico, un programma di formazione specifico era attuato nel 33% dei casi.
Analogamente a quanto riscontrato per gli IPA (4), i risultati del monitoraggio ambientale hanno mostrato generalmente una modesta dispersione in aria delle sostanze indagate, con concentrazioni mediamente inferiori di alcuni ordini di grandezza rispetto ai valori limite proposti da
enti ed associazioni. I dati di concentrazione relativi all’1,3 butadiene e
all’acrilonitrile sono sempre risultati inferiori al limite di detezione. Lo
stirene ha mostrato livelli variabili tra 4 e 80 µg/m3.
CONCLUSIONI
Dall’esperienza dello Studio PPTP-Gomma si ricava che notevoli riduzioni nelle fonti espositive sono state attuate nelle aziende del settore.
Dal punto di vista ambientale, lo studio ha rivelato livelli espositivi di
scarso significato per la salute quando sono state messe in atto le norme
generali di igiene del lavoro (5).
In particolare l’indagine sul campo nelle lavorazioni di presso stampaggio a caldo e lavorazioni accessorie con utilizzo di mescole contenenti
gomme sintetiche ha consentito di documentare l’assenza reale di rischio
cancerogeno professionale in tale comparto produttivo: l’adozione di metodologie analitiche anche originali ha consentito di inquadrare l’esposizione dei lavoratori come sovrapponibile e forse inferiore a quella della
popolazione generale per quanto riguarda il rischio cancerogeno da acrilonitrile, da butadiene e da stirene. Analoghe considerazioni possono essere espresse per il rischio tossico (6-7), poiché i valori sono comunque
(anche per lo stirene) molto inferiori ai limiti cautelativi di esposizione
consigliati. Per acrilonitrile e per stirene vanno tenuti comunque presenti
i rischi chimici allergici sia da contatto che da inalazione (8-9), che sono
connessi più alle eccezioni di esposizione che alla normalità delle procedure.
RINGRAZIAMENTI
Studio realizzato con il finanziamento della Regione Lombardia
(DGR VII/18344 23/7/2004) ed il supporto del Laboratorio di Igiene e
Tossicologia degli “Spedali Civili” di Brescia e del Servizio SPSAL della ASL della Provincia di Varese.
BIBLIOGRAFIA
1) International Agency for Research on Cancer. The rubber industry.
IARC Volume 28 Lyon (France) 1982.
2) Tieghi S. Stampaggio della gomma: dalla realtà produttiva all’individuazione dei rischi. Atti “Salute e sicurezza nello stampaggio di
plastica e gomma”, a cura di Cirla PE e Martinotti I. Ed. CIMAL
(ISBN 978-88-902124-2-0) Milano (Italia) 2007; pag. 20-33.
3) Foà V, Martinotti I, Cirla PE. Progetto Prevenzione Tumori Professionali (PPTP): sinergie ed integrazioni per un obbiettivo comune.
Atti “Salute e sicurezza nello stampaggio di plastica e gomma”, a cura di Cirla PE e Martinotti I. Ed. CIMAL (ISBN 978-88-902124-2-0)
Milano (Italia) 2007; pag. 13-19.
4) Cirla PE, Mossini E, Cirla AM. Esposizione ad IPA: i risultati dello
Studio PPTP-Gomma. Atti “Salute e sicurezza nello stampaggio di
plastica e gomma”. Ed. CIMAL (ISBN 978-88-902124-2-0) 2007,
Milano; pag. 70-77.
5) American Conference of Governmental Industrial Hygienists. Industrial ventilation, a manual of recommended practices. Ed. ACGIH
Cincinnati (USA) 1998.
6) Agency for Toxic Substances and Disease Registry (ATSDR). Toxicological profile for 1,3 butadiene. TP-91/07 U.S. Department of
Health and Human Services 1993, Atlanta.
319
7) Agency for Toxic Substances and Disease Registry (ATSDR). Toxicological profile for styrene. TP-91/25 U.S. Department of Health
and Human Services, 1992, Atlanta.
8) Collins JJ, Acquarella JF. Review and meta-analysis of studies of
acrylonitrile workers. Scand J Work Environ Health 1998; 24(suppl2):71-80.
9) Fernandez-Nieto M, Quirce S, Sastre B. Occupational asthma caused
by styrene in a autobody shop worker. J Allergy Clin Immun 2006;
117:25-26.
COM-07
STAMPAGGIO DELLA PLASTICA ED AGENTI CHIMICI
CANCEROGENI: L’ESPERIENZA DELLO STUDIO PPTP-PLASTICA
P.E. Cirlaa, M.R. Castoldib, E. Marcheseb, D.M. Cavalloc, S. Fustinonia,
A. Cattaneoc, I. Martinottia, V. Foàa, C. Tisob
a
Università degli Studi di Milano e Fondazione “Ospedale Maggiore
Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena”(IRCCS), Dipartimento di
Medicina del Lavoro, Milano
b A.S.L. della Provincia di Varese, Dipartimento di prevenzione medico,
Servizio Prevenzione Sicurezza Ambienti di Lavoro (SPSAL), Varese
c Università degli Studi dell’Insubria, Dipartimento di Scienze Chimiche
ed Ambientali, Como
Corrispondenza: Piero Emanuele Cirla, tel. 02.50320.110, fax
02.50320.111, e-mail [email protected]
RIASSUNTO. Il rischio legato all’esposizione ad agenti chimici
cancerogeni è di primario interesse per la medicina del lavoro, ma la problematica appare controversa anche alla luce degli ultimi sviluppi tecnologici. Nelle attività di stampaggio della plastica, in particolare, l’attenzione è rivolta verso la possibile esposizione durante le lavorazioni a caldo a monomeri, alcuni dei quali sono classificati come cancerogeni dalla
IARC (International Agency for Research on Cancer) e dall’Unione Europea. Nel corso degli ultimi anni lo Studio PPTP-Plastica (Progetto Prevenzione dei Tumori Professionali - Lavorazione della Plastica) della Regione Lombardia si è dedicato allo studio delle attività di stampaggio della plastica, con l’obiettivo di individuare e promuovere soluzioni preventive tecniche e sanitarie basate sull’efficacia. Mediante sopralluogo ed
esame standardizzato della documentazione è stata riscontrata la presenza di sostanze cancerogene e la reale possibilità di situazioni espositive
rispettivamente nel 59% e 34% delle aziende esaminate. I monitoraggi
ambientale per esposizione a monomeri (acrilonitrile, 1,3-butadiene, stirene e formaldeide), effettuati in un campione rappresentativo di aziende
con lavorazione di ABS e resine formaldeidiche, hanno rivelato livelli
medi di scarso significato per la salute quando sono state messe in atto le
norme generali di igiene del lavoro; qualche situazione degna di maggiore interesse è emersa dal monitoraggio ambientale della formaldeide in
particolari lavorazioni.
Parole chiave: agente chimico cancerogeno, esposizione, industria
della plastica
PLASTIC INDUSTRY AND EXPOSURE TO CARCINOGENIC CHEMICAL AGENTS: AN
ITALIAN MULTICENTRIC STUDY IN LOMBARDY
ABSTRACT. The potential carcinogenic risk at the workplaces is a
primary interest of occupational health, but some questions are also
controversially discussed. Particularly, in the plastic forming industry a
great attention was directed to the hot processing and their possible
exposure to monomers, some of which were classified as carcinogen by
the International Agency for Research on Cancer (IARC) and/or the
European Union (EU). In Lombardy, a study on occupational exposure to
chemical carcinogens in the plastic forming industry was planned during
last years. The aim was to recognize and promote preventive technical
and medical solutions, basing on efficacy. By an investigation at
workplace supported with standardized questionnaires, the presence of
chemical carcinogens was registered in 59% of a representative sample
of firms; but an effective possibility of exposure was found only for 34%
of cases. The evaluation of exposure to monomers by air monitoring
(acrylonitrile, 1,3-butadiene, styrene, formaldehyde), involving a
320
representative sample of factory with ABS and formaldehydic resins
processing, showed low level exposure, because the common hygienic
prevention measures were applied; some particular occupation shoved
greater exposure to formaldehyde.
Key words: chemical carcinogens, exposure, plastic industry
INTRODUZIONE
Il rischio legato all’esposizione ad agenti chimici cancerogeni durate il lavoro è di primario interesse per la medicina del lavoro, ma la problematica appare controversa anche alla luce degli ultimi sviluppi tecnologici. Nelle attività di stampaggio della plastica, in particolare, l’attenzione viene posta verso la possibile esposizione che gli addetti alle lavorazioni possono sperimentare durante le lavorazioni a caldo, in relaziona
alla liberazione di monomeri, alcuni dei quali sono classificati come cancerogeni dall’International Agency for Research on Cancer (IARC) e dall’Unione Europea (1-2). In questo ambito è nato e si è sviluppato nel corso degli ultimi anni lo Studio PPTP-Plastica (Progetto Prevenzione dei
Tumori Professionali - Lavorazione della Plastica) della Regione Lombardia (3), che si è dedicato intensamente allo studio delle attività di
stampaggio plastica, un settore produttivo di storico interesse ma anche
proiettato verso nuove ed attuali prospettive (4-5). Lo studio è mirato alla valutazione delle possibili esposizioni professionali ad agenti cancerogeni di tipo chimico, in particolare quelli classificati dall’Unione Europea
in Categoria 1 (“Sostanze note per gli effetti cancerogeni sull’uomo”) o 2
(“Sostanze che dovrebbero considerarsi cancerogene per l’uomo”), e/o
classificati dall’International Agency for Research on Cancer in Gruppo
1 (“Sicuramente cancerogeno per l’uomo”) o 2A (“Probabilmente cancerogeno per l’uomo”). Identificare e classificare le aziende con presenza di
sostanze cancerogene, esplorare le condizioni di lavoro approfondendo i
rischi d’esposizione e quantificare i livelli espositivi sono le basi per l’obiettivo finale: individuare e promuovere soluzioni operative per una prevenzione basata sull’efficacia sia in ambito tecnico che sanitario.
MATERIALI E METODI
Basandosi sulla codifica ISTAT ATECO applicata al database integrato INAIL/ISPESL/Regione e con l’abbinamento della memoria storica del servizio di prevenzione locale, da un campione di 1070 aziende sono state individuate e catalogate tutte le 224 realtà produttive con attività
di stampaggio materie plastiche presenti nella provincia di Varese. La
metodologia d’indagine applicata in ognuna delle aziende indagate, tutte
di dimensioni medio-piccole (3-100 lavoratori), si articola in due momenti successivi. La “Fase 1” consta di un sopralluogo per la raccolta
d’informazioni (ciclo produttivo, materie prime, intermedi, prodotti finiti, interventi di manutenzione, schede di sicurezza), ed è mirata alla verifica della presenza di sostanze cancerogene nelle materie prime, come
contaminanti, come sottoprodotti o come prodotti finali. In tutte le aziende in cui dalla Fase 1 risulta la presenza di una o più sostanze cancerogene viene eseguito un nuovo sopralluogo (“Fase 2”), finalizzato alla valutazione qualitativa e quantitativa dell’esposizione professionale, alla verifica dell’applicazione degli adempimenti previsti dal D.Lgs 626/94 ed
all’esame delle misure preventive messe in atto. I sopralluoghi hanno visto il costante affiancamento di personale medico e tecnico, così da potere garantire il più ampio e completo spettro di valutazione delle diverse
realtà. La raccolta e l’analisi dei dati sono avvenute in forma standardizzata con l’istituzione di appositi flussi informativi elettronici.
L’attenzione si è poi rivolta ad un campione rappresentativo di 12
aziende che effettuano stampaggio di ABS e di 5 con lavorazione di resine formaldeidiche, nelle quali sono state effettuate indagini di monitoraggio ambientale al fine di caratterizzare gli attuali livelli di esposizione
professionale ai monomeri di interesse (acrilonitrile, 1,3-butadiene, stirene e formaldeide) e di poter individuare soluzioni preventive per una corretta gestione del rischio. Con impostazione conforme alle indicazioni riportate nelle norme EN 482 e 689 sono stati eseguiti campionamenti sia
di tipo personale (addetto alla macchina) sia in postazione fissa (carico,
scarico, centro ambiente a 2 m dalla macchina, riferimento esterno). La
rappresentatività delle misure è ampiamente soddisfatta sia in termini di
significatività che di stabilità dei risultati. Una serie supplettiva di misure ambientali in scenari controllati è stata condotta per potere ricavare indicazioni dettagliate sull’influenza della modalità di messa a punto dell’aspirazione localizzata.
I campioni raccolti per l’analisi di 1,3-butadiene (fiala di CARBOSIEVE SIII e flusso di 0,05 l/min), di acrilonitrile e stirene (fiala di TENAX
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TA e flusso di 0,1 l/min), sono stati desorbiti termicamente ed analizzati
con GC/FID (colonna HP-Plot Al2O3/KCl, 50 m, 0,53 mm; colonna OV1,
60 m, 0,32 mm diametro interno, 0,25 µm spessore del film). I campioni
raccolti per l’analisi della formaldeide (fiala di gel di silice impregnata con
2,4 dinitrofenilidrazina e flusso 0,3 l/min), sono stati eluiti con acetonitrile
ed analizzati con HPLC (Compendium Method TO-11A EPA/625/R96/010b). I limiti di detezione sono rispettivamente 1 µg/m3 per 1,3-butadiene e stirene, 10 µg/m3 per acrilonitrile e 15 µg/m3 per formaldeide.
RISULTATI
L’analisi comparativa ha mostrato modalità di lavoro, macchine e
tecnologie di fatto abbastanza omogenee e con poche varianti, presenti
però in ambienti con caratteristiche edilizie ed ambientali diverse. La presenza di sostanze cancerogene è stata riscontrata nel 59% delle aziende
esaminate con la Fase 1. Il numero di sostanze cancerogene riscontrate in
ogni singola attività è risultato nella grande maggioranza di uno (60%) o
due (30%), e solamente in una decina di casi si è arrivati a tre. Dei 7 agenti cancerogeni individuati i più diffusi sono risultati: 1,3 butadiene, cloruro di vinile monomero, acrilonitrile e formaldeide (meno rappresentati
cromati di piombo, epicloridrina, ossido di etilene, 2,2’-dicloro-4-4’metilendianilina). La reale esistenza di situazioni potenzialmente espositive
è stata effettivamente riscontrata (Fase 2), nel 58% delle aziende individuate con la Fase 1 (pari al 34% del totale). In queste aziende, riferendosi a quanto disposto dal D.Lgs 626/94, l’agente cancerogeno era stato preso in considerazione nel documento di valutazione dei rischi nel 9% dei
casi, esisteva un registro degli esposti nel 3% dei casi, era stato individuato un programma di misure tecniche preventive nel 96% dei casi, era
stato predisposto un piano per le emergenze nel 2%, esisteva un protocollo di sorveglianza sanitaria mirato nel 3% dei casi, nel 9% era attuato
un monitoraggio ambientale e nel 7% un monitoraggio biologico, un programma di formazione specifico era attuato nel 3% dei casi. In particolare nel 40% delle aziende non erano presenti impianti di aspirazione localizzata e solamente il 6% delle realtà aveva considerato la possibile esposizione a prodotti di degradazione termica compresi i cancerogeni.
I risultati del monitoraggio ambientale hanno mostrato generalmente
una modesta dispersione in aria delle sostanze indagate, con concentrazioni mediamente inferiori di alcuni ordini di grandezza rispetto ai valori limite proposti da enti ed associazioni. I dati di concentrazione relativi
all’1,3 butadiene sono sempre risultati inferiori al limite ad eccezione di
qualche dato indicativo di tracce di contaminazione fino ad un massimo
di circa 6 µg/m3. Le concentrazioni di acrilonitrile sono sempre risultate
inferiori al valore minimo di determinazione (10 µg/m3). Lo stirene mostra livelli variabili tra 1 e 20 µg/m3; valori fino all’ordine di grandezza
delle migliaia di microgrammi rilevati in una azienda sono risultati ascrivibili allo stampaggio di manufatti in polistirolo e non in resina ABS (6).
Una particolare attenzione merita la formaldeide che, oltre alle proprietà irritanti e sensibilizzanti che esplica sia a livello cutaneo sia a livello dell’apparato respiratorio, è recentemente stata oggetto di dibattito
in relazioni ad aspetti di cancerogenicità: la IARC ha ritenuto sufficiente
l’evidenza della cancerogenicità per l’uomo rispetto al carcinoma nasofaringeo, a differenza di altre agenzie internazionali (7-8). Lo SCOEL
(Scientific Committee on Occupational Exposure Limits, Comitato
Scientifico per i Valori Limite di Esposizione Professionale) ha riaffrontato la discussione e nel suo parere si orienta a mantenere invariata l’attuale classificazione dell’Unione Europea (Categoria 3 e frase di rischio
“R40 Possibili effetti cancerogeni - prove insufficienti”). Le concentrazioni di formaldeide rilevate nello Studio PPTP-Plastica sono risultate
generalmente inferiori al valore minimo di determinazione (15 µg/m3) ad
eccezione di due aziende di piccole dimensioni in cui si sono raggiunte
concentrazioni di maggiore rilievo (700-900 µg/m3), successivamente approfondite con una serie di campionamenti mirati ad isolare le fasi critiche del ciclo (asciugatura manufatti) (9). Al proposito occorre ricordare
che la maggior parte dei valori limite di esposizione occupazionale stabiliti da stati europei si attesta tra 370 e 600 µg/m3, mentre solamente in pochissimi casi si è ancora a livelli tra 1.230 e 2.460 µg/m3. Lo SCOEL conclude che per l’indicazione di un limite di esposizione occupazionale
(OEL), che tenga in considerazione il rischio cancerogeno, appare critico
lo stimolo alla proliferazione cellulare dovuto all’irritazione delle alte vie
respiratorie e, salvo modifiche in corso, giunge quindi a proporre come
livelli al di sotto dei quali non è atteso alcun effetto sistemico per la formaldeide un OEL-TWA di 0,2 ppm (260 µg/m3) ed un OEL-STEL di 0,4
ppm (500 µg/m3).
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CONCLUSIONI
Dall’esperienza dello Studio PPTP-Plastica si ricava che notevoli riduzioni nelle fonti espositive sono state attuate nelle aziende di grandi e
medie dimensioni, ma criticità appaiono ancora evidenti nelle piccole
realtà. Dal punto di vista ambientale, lo studio ha rivelato livelli espositivi medi di scarso significato per la salute quando sono state messe in atto le norme generali di igiene del lavoro (10). Le misure effettuate in situazioni sperimentali controllate in particolare hanno messo in evidenza
le sostanziali differenze nelle situazioni estreme di presenza/assenza di
aspirazioni localizzate e dato indicazioni sull’influenza della modalità di
messa a punto dell’aspirazione localizzata (velocità d’aspirazione ottimale intorno ad 8 m/s, punto di captazione collocato in prossimità dell’ugello dell’iniettore ed in prossimità dello scarico del pezzo dallo stampo,
ecc.). Qualche situazione degna di maggiore interesse ed approfondimento è emersa dal monitoraggio ambientale della formaldeide in particolari lavorazioni.
RINGRAZIAMENTI
Studio realizzato con il finanziamento della Regione Lombardia
(DGR 1439 4/10/2000 e DGR VII/18344 23/7/2004) ed il supporto del
Laboratorio Chimico dell’ASL della Provincia di Varese.
BIBLIOGRAFIA
1) Forrest MJ, Jolly AM, Holding SR, Richards SJ. Emissions from processing thermoplastics. Ann Occup Hyg 1995; 39: 35-53.
2) Hoff A, Jacobsson S, Pfaffli P, et al. Degradation products of plastics:
polyethylene and styrene-containing thermoplastics - Analytical, occupational and toxicologic aspects. Scand J Work Environ Health
1982; 8: 2-60.
3) Foà V, Martinotti I, Cirla PE. Progetto Prevenzione Tumori Professionali (PPTP): sinergie ed integrazioni per un obbiettivo comune.
Atti “Salute e sicurezza nello stampaggio di plastica e gomma”. Ed.
CIMAL (ISBN 978-88-902124-2-0) 2007, Milano; pag. 13-19.
4) Castoldi MR, Cirla PE, Ferrario F, et al. Materiali plastici: salute e sicurezza nello stampaggio della plastica, a cura di Cirla PE. Ed. CIMAL (ISBN 978-88-902124-1-3) 2007, Milano.
5) Castoldi MR, Marchese E, Tiso C. Stampaggio della plastica: dalla
realtà produttiva all’individuazione dei rischi. Atti “Salute e sicurezza nello stampaggio di plastica e gomma”. Ed. CIMAL (ISBN 97888-902124-2-0) 2007, Milano; pag. 34-46.
6) Cavallo DM, Longhi O, Scarpa M, et al. Esposizione ad ABS: i risultati dello studio PPTP-Plastica. Atti “Salute e sicurezza nello
stampaggio di plastica e gomma”. Ed. CIMAL (ISBN 978-88902124-2-0) 2007, Milano; pag. 57-69.
7) International Agency for Research on Cancer. Monographs on the
Evaluation of Carcinogenic Risks to Humans, Formaldehyde, 2-Butoxyethanol and 1-ter-Vutoxy-2-propanol. Ed. IARC Vol. 88 2005,
Lyon.
8) World Health Organisation International Programme on Chemical
Safety. Environmental Health Criteria 89: Formaldehyde. Ed. WHO
1989, Geneva.
9) Lionetti C, Boni M, Cutugno V, Castoldi MR. Esposizione a formaldeide nella lavorazione di resine termoindurenti: un’esperienza nella
provincia di Varese. Atti “Salute e sicurezza nello stampaggio di plastica e gomma”. Ed. CIMAL (ISBN 978-88-902124-2-0) 2007, Milano; pag. 121-128.
10) American Conference of Governmental Industrial Hygienists. Industrial ventilation, a manual of recommended practices. Ed. ACGIH
1998, Cincinnati.
321
SESSIONE
SICUREZZA
COM-01
PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI DA INCIDENTE STRADALE
NEL SETTORE DELL’AUTOTRASPORTO
G.L. Rosso1, R. Zanelli2, P. Corino1, S. Bruno1
1Servizio
Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro Asl 18, Alba-Bra
(CN)
2Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro Asl 19, Asti
Corrispondenza: Gian Luca Rosso, Specialista in Medicina del Lavoro.
Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro Asl 18, Alba-Bra.
Via Vida 10, 12051 Alba ITALY. E-mail: [email protected]
RIASSUNTO. Introduzione: Nell’intento di implementare la sicurezza nel settore del trasporto su strada, è stata commissionata alla nostra
Asl, l’attuazione del progetto regionale: Prevenzione degli infortuni da
incidente stradale nel settore dell’autotrasporto. Materiali e metodi: Il
progetto prevede i seguenti punti: revisione bibliografica ed analisi delle
criticità del settore, incontro con le parti interessate, elaborazione di un
progetto unanimemente condiviso e valutazione dei risultati ottenuti. Risultati: Ad oggi abbiamo analizzato 479 ditte di autotrasporti con sede legale all’interno dell’Asl 18, di cui 448 (93.5%) con dipendenti compresi
tra 0 e 10 unità, 27 (5.7%) tra 11 e 30 addetti e 4 (0.8%) con più di 30
unità. Nel periodo tra il 2000 e il 2005 si sono verificati 1121 infortuni,
di cui 153 con più di 40 giorni di prognosi e 2 mortali. Discussione: Il
nostro progetto rappresenta un’occasione per valorizzare il ruolo della
medicina del lavoro nell’ambito della sicurezza sia stradale sia lavorativa. Rimangono difficoltà nella ricerca di un consenso unanime di fronte
all’espressione del giudizio di idoneità (per quelle situazioni dove non
esistano chiari riferimenti legislativi o linee guida) e nel ricollocamento
del soggetto giudicato non idoneo alla guida professionale (il settore del
trasporto su strada è costituito infatti in buona parte da piccole realtà).
PREVENTION OF ROAD ACCIDENTS IN THE ROAD HAULAGE FIELD
ABSTRACT. Every year many traffic accidents with fatal outcomes
occur in our Country. According to the recent indications of the European
Agency for Safety and Health at Work, the Piedmont region has financed
the plan: Prevention of road accidents in the road haulage field.
Objectives: The aims of the plan are to stimulate transport companies to
the target of road safety and to improve and enforce sanitary
surveillance, in order to improve the safety on road haulage and to
prevent traffic injuries. Methods: the plan foresees, over a period of two
years, a few encounters with all the interested parties (companies, police
forces, labour unions etc). During those encounters we have to give a
questionnaire for evaluating the companies’ knowledge about the
problem and we have to choose a common plan with the aim of improving
road safety. Results and Conclusions: The Piedmont regional plan
recalls the need to increase the attention to numerous and diversified
hazards for safety on road haulage. It also imposes the choice of
measures that include: risk assessment, health education, technical and
environmental prevention, sanitary surveillance and clinical
interventions (diagnosis and rehabilitation of occupational accidents).
Key words: road safety, professional drive, traffic accident.
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni in Italia si sono verificati, all’interno della categoria degli autotrasporti, poco meno di 200 incidenti mortali e circa 30.000 incidenti
con conseguente danno permanente per anno (1, 2). Tale pesante contributo
-al numero di infortuni occorsi sul lavoro- non può passare inosservato e, richiama l’attenzione su una categoria di lavoratori per la quale esiste ancora
un’insufficiente attenzione da parte della nostra disciplina medica.
Nell’intento di implementare la sicurezza, non solo stradale ma anche lavorativa in tale settore, è stata commissionata allo S.Pre.S.A.L. dell’Asl 18 di Alba-Bra, l’attuazione del progetto regionale: Prevenzione de-
322
gli infortuni da incidente stradale nel settore dell’autotrasporto.
In tale ottica riteniamo opportuno presentare il percorso da noi adottato per sviluppare il progetto nell’ambito del Piano di prevenzione incidenti stradali 2005/2007, della Regione Piemonte.
Materiali e metodi
Il progetto Prevenzione degli infortuni da incidente stradale nel settore dell’autotrasporto prevede i seguenti punti:
1. Revisione bibliografica ed analisi della letteratura, alla ricerca dei
principali fattori di rischio per gli incidenti stradali nella categoria
dei conducenti professionali e, delle possibili strategie di sorveglianza sanitaria
2. Contatto delle parti sociali interessate (INAIL, Associazioni di categoria e dei lavoratori, Forze dell’Ordine, Autoscuole etc.) per la presentazione del progetto, la raccolta delle osservazioni e la stesura di
un protocollo d’intesa.
3. Censimento delle aziende di trasporto dell’ambito territoriale di
competenza (Asl 18) con analisi delle criticità del settore.
4. Programmazione incontri di gruppo con le aziende e proposta di percorsi formativi per tutte le figure coinvolte nella sicurezza aziendale.
5. Programmazione ed effettuazione dei corsi di formazione.
6. Verifica delle azioni intraprese su un campione di aziende
RISULTATI
I risultati preliminari -ottenuti dall’analisi dei flussi informativi di Inail,
Ispesl, regioni e provincie autonome- hanno portato all’individuazione di
479 ditte di autotrasporti con sede legale all’interno dell’Asl 18, di cui 289
(60.3%) con un unico addetto, 159 (33.2%) con numero di dipendenti compresi tra 1 e 10 unità, 27 (5.7%) con numero di addetti tra 11 e 30 ed infine
4 (0.8%) con numero di dipendenti superiore alle 30 unità. Il numero di
infortuni occorsi nel periodo tra il 2000 e il 2005 è stato di 1121 eventi, la
cui gravità è illustrata nella figura 1. Si sta procedendo alla raccolta e analisi dei documenti di valutazione dei rischi delle aziende oggetto di studio.
Dall’analisi della letteratura sono emerse, tra le principali problematiche inerenti la sicurezza nel settore della guida professionale, le seguenti criticità: assunzione di alcool e/o sostanze d’abuso e/o farmaci, situazioni di privazione del sonno e comportamenti non idonei (alta velocità, mancato impiego dei dispositivi di sicurezza, scorretto utilizzo del
telefono cellulare etc.) condizioni morbose in grado di pregiudicare l’idoneità alla guida (disturbi respiratori del sonno, cardiopatie aritmogeniche, epilessia etc.), (2,3,4). I risultati della nostra ricerca evidenziano tuttavia problemi ancora irrisolti: pareri discordi circa la necessità di effettuare la sorveglianza sanitaria per gli autisti, situazioni di non univoca
formulazione del giudizio di idoneità, mancato obbligo di segnalazione
da parte del clinico di situazioni pregiudicanti l’idoneità alla guida, mancanza di linee guida applicabili alla guida professionale.
DISCUSSIONE
Il Piano di prevenzione incidenti stradali 2005/2007 della Regione Piemonte, all’interno del quale si colloca il progetto: Prevenzione degli infortuni da incidente stradale nel settore dell’autotrasporto, rappresenta
un’importante occasione per valorizzare il ruolo della medicina del lavoro
nell’ambito della sicurezza non solo lavorativa ma anche stradale. Tale progetto raccoglie infatti l’appello dell’Agenzia Europea della sicurezza e salute sul lavoro di Bilbao, ad «Assumere conducenti qualificati. Verificare le
modalità di ottenimento della patente e il mantenimento, nel corso del tempo, dei requisiti di idoneità alla guida dei conducenti». Purtroppo i pareri
che si raccolgono sul portale del Medico Competente -circa l’opportunità
di sottoporre a sorveglianza sanitaria i conducenti professionali- sono discordi, e vi è una generale tendenza a valutare solo quei conducenti soggetti
a rischi lavorativi specifici quali: movimentazione manuale dei carichi, rumore, vibrazioni etc. (5). Al contrario, il progetto di Prevenzione degli
infortuni da incidente stradale nel settore dell’autotrasporto, condivide le
indicazioni fornite dalla SIMLII, la quale richiama l’attenzione sulla «assoluta necessità di effettuare un controllo sanitario periodico dei lavoratori adibiti all’attività di guida in considerazione dell’elevata frequenza di
patologie organiche dell’apparato osteoarticolare, cardiovascolare, uditivo e psichico che possono incidere sul piano funzionale in misura tale da
controindicare lo svolgimento di tale attività lavorativa» (6).
I dati preliminari dello studio hanno individuato tra i principali rischi
per la sicurezza stradale l’uso-abuso di alcol e di sostanze psicotrope,
nonché le situazioni di stanchezza e privazione di sonno (2,3,4,7). È inoltre emersa un’oggettiva difficoltà nell’individuare un percorso comune,
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Figura 1. Infortuni denunciati nel periodo tra il 2000 e il 2005, divisi
in base ai giorni di malattia
non solo nell’ambito della medicina occupazionale, ma anche tra questa
e la criteriologia medico-legale utilizzata per la certificazione di idoneità
alla guida per le varie categorie di patente che, ad oggi è l’unica supportata da un’importante apparato normativo (vedi appendice II dell’art. 320
DPR 495/92 e successive modifiche ed integrazioni).
Il progetto della Regione Piemonte apre tuttavia due problemi ai quali la nostra comunità scientifica e civile, attraverso futuri contributi, è
chiamata a rispondere: la ricerca di un consenso unanime di fronte all’espressione del giudizio di idoneità (per quelle situazioni dove non esistano chiari riferimenti legislativi o linee guida) e il ricollocamento del soggetto giudicato non idoneo alla guida professionale(il settore del trasporto su strada è costituito infatti in buona parte da piccole realtà).
BIBLIOGRAFIA
1) Brusco A. Trasporti: rallentano gli infortuni, ma ancora troppi morti.
Dati INAIL 2005; 8 Available at: http://www.inail.it/statistiche/datiinail/osservatorio2005/DATI%20INAIL%20N%208.pdf
2) Rosso GL, Zanelli R, Santina B, Feola M. Syncope and road transport: the role of occupational physician. Med Lav 2007; 98: 204-215.
3) Rosso GL, Feola M, Morena L, Menardi E, Racca E, Vado A, et al.
Neurally-mediated syncope and occupational accidents: prevention
strategies and case report. G Ital Med Lav 2007; 29: 166-169.
4) Rosso GL, Zanelli R, Bruno S, Feola M, Bobbio M. Professional drive and safety, a target for occupational medicine. Med Lav 2007; 98:
355-373.
5) Caragliu B. Idoneità alla mansione specifica di autista. G Ital Med
Lav 2006; 28: 82-84.
6) Gilioli R, Camerino D, Costa G. I compiti lavorativi complessi e di
sicurezza nei trasporti. Contributi ai fini dell’idoneità psico-fisica.
Milano: Franco Angeli Editore, 1995
7) Epstein AE, Miles WM, Benditt DG. Personal and public safety issues related to arrhythmias that may affect consciousness: implications for regulation and physician recommendations. A
medical/scientific statement from the American Heart Association
and the North American Society of Pacing and Electrophysiology.
Circulation 1996; 94: 1147-1166
COM-02
STATO DI APPLICAZIONE DELLA NORMATIVA SUL CONSUMO DI
ALCOLICI NELLE ATTIVITÀ AD ELEVATO RISCHIO DI INFORTUNIO
IN LOMBARDIA
M.I. D’Orso 1, M. Bonacina2, M. Molinari3, D. Turrini2, A. Zaniboni3,
D. Grosso3
1Dipartimento
di Medicina Clinica e Prevenzione - Università di Milano
Bicocca
2Consorzio per lo Sviluppo della Medicina Occupazionale ed Ambientale
- Monza
3Centro Analisi Monza - Monza
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Corrispondenza: D’Orso Marco Italo - Per riferimenti organizzativi la
mail di servizio è [email protected]
RIASSUNTO. La L. 125/01, normativa nazionale che vieta la assunzione di alcolici per i lavoratori di categorie ad alto rischio infortunistico, è diventata completamente operativa circa un anno fa.
Si è realizzata in Lombardia una ricerca con lo scopo di valutare il
grado di effettiva applicazione della norma nelle imprese dei diversi settori produttivi.
I risultati della ricerca hanno evidenziato come la norma sia oggi
quasi sempre disattesa in tutti i settori produttivi indagati e come solo una
piccola minoranza delle imprese si sia effettivamente adeguata ai dettati
normativi.
Si ritiene necessario che i Medici del Lavoro impegnati sia nelle attività di consulenza che in quelle di vigilanza forniscano con maggior frequenza ed attenzione il supporto medico scientifico che le conoscenze
della disciplina possono garantire alle imprese ed ai lavoratori.
Parole chiave: infortunio sul lavoro, alcool, normativa
THE ENFORCEMENT OF THE NEW ITALIAN LAW ON ALCOHOL ASSUMPTION IN
WORK ACTIVITIES WITH HIGH ACCIDENT RISK IN LOMBARDY
ABSTRACT. The 125/2001, the national law that forbids the alcohol
consumption by workers with work tasks having high accident risks, has
been activated a year ago.
We carried out in Lombardy a research to evaluate the state of
enforcement of the law in firms having different work activities.
We found a complete application of the law only in very few firms.
We think that the Occupational Health doctors should give more
attention to the problem of alcohol consumption at the work places,
giving the firms their specific scientific and medical support, using the
peculiar knowledge of our discipline.
Key words: work accident, alcohol, law
INTRODUZIONE
La numerosità degli infortuni sul lavoro, pur essendo negli anni in progressiva riduzione, permane nel nostro paese molto elevata. Al fine di ridurre tali infortuni, la normativa nazionale ha previsto una serie di interventi di
tipo preventivo volti a contenerne i possibili fattori di rischio. Tra questi fattori di rischio deve essere sicuramente inserito il consumo di alcolici da parte dei lavoratori prima o durante l’effettuazione delle attività lavorative.
Tale consumo, rilevante soprattutto in alcune aree geografiche del
paese, risulta diffuso nella popolazione lavorativa ed è frequentemente
correlato con casi di infortunio frequentemente a prognosi sfavorevole.
Al fine tra l’altro di evitare il consumo di alcolici da parte di categorie di lavoratori a particolare rischio di incidenti sul lavoro, è stata emanata in passato la L.125/01.
Purtroppo per diversi anni tale norma è rimasta priva di effetti pratici per la mancata emanazione dell’elenco delle attività a rischio per le
quali il divieto veniva sancito.
Finalmente, con la pubblicazione sulla G.Uff. n. 75 del 30/03/06 dell’elenco delle attività ad elevato rischio per l’incolumità o la salute di lavoratori o terzi, è entrato definitivamente in vigore anche l’articolato della L. 125/01 nella sua parte che prevede il divieto di consumo di alcolici
per tali mansioni prima e durante l’attività lavorativa.
Ciò ha obbligato molte categorie professionali di quasi tutti i settori
produttivi a modificare abitudini e tradizioni consolidate soprattutto in alcune aree geografiche.
MATERIALI E METODI
Al fine di verificare il livello di applicazione nelle imprese della Legge 125/01, si è predisposto a dodici mesi dalla sua completa entrata in vigore un questionario per verificare in che modo esse in Lombardia si siano adeguate alla nuova normativa.
Si evidenzia in merito come la Lombardia sia regione ove l’assunzione di alcolici tra la popolazione generale, pur con alcune rilevanti differenze tra province, sia rappresentativa della media nazionale
Oggetto del questionario era anche l’acquisizione di informazioni
sulle conoscenze nelle imprese delle problematiche correlate all’assunzione di alcolici, anche al di là delle categorie professionali direttamente
interessate dalla normativa.
Le imprese sono state suddivise per settore produttivo, numerosità
degli addetti, presenza o meno nell’organico di figure professionali a ri-
323
schio elevato di infortunio secondo l’elenco previsto dalla normativa. Si
sono raccolte informazioni sulla pregressa od attuale possibile presenza
nelle imprese di eventuali problematiche correlate a situazioni di alcolismo tra i dipendenti e sugli interventi eventualmente attivati in tali occasioni. Si è verificata la modalità organizzativa con la quale i lavoratori assumono i loro pasti in mense, bar o spazi appositi attrezzati internamente all’impresa, con particolare riferimento alla possibile assunzione di bevande alcoliche.
Si è inoltre verificata la eventuale effettuazione di momenti di formazione/informazione dei lavoratori sui possibili danni diretti od indiretti da consumo eccessivo acuto o cronico di alcolici.
Si è verificato, ove nell’organico fossero presenti lavoratori per
compito lavorativo operanti abitualmente fuori sede, se in qualche modo
l’impresa avesse attivato forme di controllo o comunque di sensibilizzazione del personale sulle problematiche correlate con l’assunzione di alcolici. Si è verificato infine se l’emanazione della L.125/01 in qualche
modo abbia modificato le modalità operative di gestione della assunzione di bevande ed alimenti nelle imprese.
RISULTATI
La ricerca ha interessato 483 imprese di varie dimensioni e di diversi settori produttivi localizzate in Lombardia. Le imprese appartenevano
ai seguenti settori produttivi: settore metalmeccanico 121 imprese, settore edile 135 imprese, settore legno 85 imprese, settore servizi 96 imprese, settore tessile 46 imprese.
Tra le imprese valutate, 284 (58,8%) avevano un organico complessivo sotto i 50 lavoratori, 107 (22,1%) avevano un organico complessivo
compreso tra 51 e 100 lavoratori, 92 (19,1%) imprese avevano un organico complessivo di lavoratori almeno di 101 lavoratori. Tale suddivisione è da ritenersi ben rappresentativa delle dimensioni usuali delle imprese nella area geografica lombarda.
La popolazione di lavoratori complessivamente occupati nelle imprese valutate è risultata essere di 29.946 unità, con una media di 62 lavoratori per impresa.
Di questi lavoratori 6.887 (23,0%) sono risultati essere compresi nelle categorie a particolare rischio infortunistico secondo il dispositivo normativo.
In 421 di queste imprese (87,2% del totale) erano presenti lavoratori
rientranti nelle categorie a rischio di infortunio secondo l’elenco definito
dalla normativa. La effettiva completa aderenza alle diverse prescrizioni
della norma è stata riscontrata solo in 36 imprese (7,5%).
Tale percentuale variava considerevolmente per settore produttivo
con un minimo nel settore edile di 2 imprese completamente a norma su
135 (1,5%) ed un massimo nel settore tessile con 12 imprese a norma su
46 (26,1%). Solo il 23,5% delle imprese ha iniziato ad adeguarsi almeno
parzialmente alla norma, sia pur a diversi livelli.
Gli interventi più frequentemente attivati sono stati: parziale limitazione del consumo degli alcolici (spesso nella mensa ma non al bar aziendale), lettera informativa ai lavoratori a particolare rischio infortunistico
presenti in organico, riunione preliminare con i rappresentanti dei lavoratori (RSU o RLS). Ben 199 imprese (41,2%) non aveva neppure sentito
parlare della norma.
Questa percentuale raggiungeva il 67,4% nel settore edile.
Le modalità con le quali le imprese gestiscono il consumo del pasto
dei lavoratori sono risultate essere molto eterogenee nei diversi settori
produttivi.
Le imprese metalmeccaniche, tessili e del settore legno hanno optato per un consumo interno dei pasti nella loro maggioranza (89,3% del
numero complessivo delle imprese dei tre settori) ed in percentuale molto omogenea.
Tale consumo, solo in poche imprese di rilevante dimensione è risultato essere gestito tramite mensa (9,1% delle imprese). In tutti gli altri casi
le imprese hanno deciso di mettere a disposizione spazi interni per il consumo di pasti, autogestiti direttamente od indirettamente dai lavoratori.
Nel settore edile (per la peculiare organizzazione in cantieri delle attività) ed anche nel settore dei servizi, la scelta organizzativa è prevalentemente orientata (83,2% delle imprese), verso un consumo esterno del
pasto, prevalentemente tramite la fornitura ai lavoratori di buoni pasto.
Si evidenzia come tale modalità gestionale del pasto stia acquisendo
soprattutto nel terziario una sempre maggior diffusione.
Tra le imprese ove il personale consuma regolarmente il pasto in
esterno, solo in una molto ridotta percentuale di casi (4,5%) erano state
324
fornite ai lavoratori a rischio indicazioni esplicitanti i divieti previsti dalla normativa.
Il numero di imprese che hanno riferito di aver avuto problemi organizzativi o comportamentali correlati con l’assunzione acuta o cronica di
alcolici tra il personale è risultato essere nei diversi settori produttivi
complessivamente di 119 (24,6%).
In tali situazioni la risposta delle imprese solo raramente (18,0%) è
consistita in un interessamento del Medico del Lavoro. Più frequentemente sono stati interpellati i rappresentanti dei lavoratori (25,6%) o la
ASL competente per territorio (23,8%).
Nel 30,1% dei casi non è stata attivata alcuna iniziativa, con motivazioni variabili che prevalentemente sono ascrivibili ad un erroneo concetto di rispetto della privacy del lavoratore.
Solo in 13 imprese su 483 (2,7%) sono stati ad oggi attivati momenti specifici di formazione/informazione sulle problematiche correlate con
il consumo di alcolici nelle imprese da parte dei lavoratori delle categorie ad alto rischio.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
La situazione che emerge dalla ricerca è di grave insufficienza nella
applicazione della norma sul divieto di assunzione di alcolici per i lavoratori a rischio.
Tale insufficienza è purtroppo generalizzata e diffusa, con contenuta
variabilità, tra i diversi settori produttivi e nelle imprese di tutte le dimensioni.
Particolarmente preoccupante è in particolare la percentuale di imprese che ignora persino l’esistenza stessa della norma ad un anno dalla
sua entrata in vigore.
Il recepimento della norma nelle imprese del settore edile appare in
particolar modo critico se incrociato con i dati sugli infortuni anche mortali del settore per caduta dall’alto (e non solo), annualmente puntualmente in cima alle graduatorie specifiche stilate dall’INAIL.
Si sottolinea inoltre come la realtà lavorativa lombarda valutata nella ricerca, contrariamente a quanto emerso per il problema della assunzione di alcolici nelle categorie di lavoratori a particolare rischio infortunistico, sia usualmente caratterizzata da una elevata percentuale di rispetto ed adeguamento delle imprese alle normative nazionali inerenti la salute e la sicurezza dei lavoratori, come tradizionalmente hanno rilevato le
ricerche svolte in passato con finalità scientifiche o per motivi di vigilanza ed ispezione.
Ciò è di ulteriore preoccupazione, ove si voglia estrapolare i risultati
della ricerca sull’adeguamento alla L. 125/01 ad altre realtà geografiche
nazionali ove tradizionalmente le imprese sono meno pronte ad un adeguamento rapido alle nuove normative sulla sicurezza sui posti di lavoro.
La negativa situazione complessiva evidenziata deve essere inoltre
considerata anche nella valutazione delle cause del progressivo aumento
nel computo complessivo degli infortuni sul lavoro in Italia degli infortuni in itinere, soprattutto per lavoratori con compiti operativi prevalentemente od esclusivamente fuori sede ed itineranti.
Tale gruppo di lavoratori sembra infatti praticamente completamente escluso dalle pur contenute ricadute organizzative che le imprese si sono date per la nuova norma e che nella quasi totalità dei casi hanno riguardato solo i lavoratori operanti stabilmente presso la sede fisica delle
imprese.
Si evidenzia come per esempio in alcune imprese aventi sia lavoratori a rischio operanti internamente che lavoratori a rischio operanti esternamente, le indicazioni specifiche sul divieto di assunzione di alcolici
erano state date esclusivamente ai lavoratori interni
Si evidenzia a puro titolo indicativo che, in tutte le imprese inserite
nella ricerca, non è stata riferita ad oggi alcuna attività ispettiva sulla applicazione della norma da parte degli organi di vigilanza competenti per
territorio.
L’insieme dei dati sopraesposti trova probabilmente la ragione da un
lato in una effettiva scarsa eco che la norma ha avuto sui mezzi di comunicazione di massa.
Essi infatti, usualmente molto pronti a segnalare quotidianamente gli
aspetti negativi e problematici della gestione della sicurezza nel mondo
del lavoro, raramente ne evidenziano le migliorie introdotte.
In particolar modo la completa entrata in vigore della L. 125/05 non
ha avuto sicuramente la pubblicizzazione meritata.
Particolarmente rilevante è inoltre la sottovalutazione del problema
posto delle conseguenze della assunzione di alcolici, non solo in ambito
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lavorativo, da parte di ampie e diffuse fasce della popolazione generale
che, per motivazioni culturali o sociali, ancora non considera tale assunzione come un potenziale rischio per la salute.
Tale sottovalutazione ha spesso portato a considerare come marginale od inutile la nuova norma ed ha pertanto contribuito alla sua sostanziale non applicazione nel mondo del lavoro.
Un simile approccio è frequentemente riscontrabile anche tra gli operatori della prevenzione delle imprese e tra i rappresentanti dei lavoratori.
Usualmente infatti essi si attivano solo ove si manifestino macroscopici casi di patologia da abuso di alcool, purtroppo spesso con iniziative
non adeguate e comunque quasi sempre dopo il verificarsi di un primo
episodio di infortunio.
In una simile situazione, solo marginalmente ad oggi sembrano essersi inseriti attivamente i Medici del Lavoro, contribuendo indirettamente a
limitare la applicazione della nuova norma e quindi a non consentirle di
esplicare gli auspicati effetti di riduzione degli infortuni sul lavoro.
CONCLUSIONI
Il livello di applicazione della L. 125/01 nelle imprese sembra ad oggi assolutamente non soddisfacente.
Si ritiene opportuno in merito la acquisizione di un ruolo più propositivo da parte dei Medici del Lavoro sia ove operanti con il ruolo di Medico Competente, sia ove impegnati nelle Aziende Sanitarie con compiti
ispettivi, al fine di fornire quel supporto tecnico-scientifico che la loro
competenza professionale sull’argomento garantisce, per ottenere quella
riduzione dei rischi di infortunio in impresa direttamente od indirettamente causati o concausati dal consumo di alcolici che la nuova norma si
presume possa validamente ottenere ove completamente e generalizzatamene applicata.
BIBLIOGRAFIA
• Legge n. 125/2001
• Provvedimento 16 Marzo 2006 della Conferenza Permanente per i
rapporti tra Stato e Regioni, G.Uff. n. 75 del 30/03/2006
COM-03
INFORTUNI IN ITINERE: RUOLO DELLA SONNOLENZA IN UNA
POPOLAZIONE DI OPERATORI DELLA POLIZIA DI STATO
S. Garbarino1,2,4, A. M. Repice1, F. Traversa2, F. Spigno2, B.
Mascialino3, G. Mantineo1, F. Ferrillo4, A. D. Bonsignore2
1 Servizio
Sanitario Polizia di Stato, Ministero degli Interni
Dipartimento di Medicina Legale e del Lavoro, Università degli Studi
di Genova
3 Department of Medical Epidemiology and Biostatistics, Karolinska
Institutet, Stockholm
4 Centro di Fisiopatologia del Sonno, Università degli Studi di Genova
2
Corrispondenza: Dr. Franco Traversa, Dipartimento di Medicina Legale
e del Lavoro - Sezione di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di
Genova, Largo Rosanna Benzi 10, 161632 Genova, [email protected]
RIASSUNTO. Gli infortuni in itinere (IIT) costituiscono un problema rilevante per diversi sistemi assicurativi sociali in molti Paesi industrializzati; ciò non solo in relazione alla loro frequenza ma anche alla loro gravità, in quanto generalmente danno luogo ad esiti più gravi in termini di invalidità permanente e di decessi rispetto ai comuni infortuni sul
lavoro, con costi sociali pertanto elevati. Ciononostante non vi sono in
letteratura studi clinico - epidemiologici tesi ad indagare le possibili cause di questa tipologia di infortunio. Obiettivo di questo lavoro è la valutazione dell’effetto della eccessiva sonnolenza diurna (EDS) nell’occorrenza di IIT su un ampio campione di lavoratori della Polizia di Stato
operanti nel Nord-Ovest d’Italia nel periodo 1999-2002, esplorata mediante questionario validato e Epworth Sleepiness Scale (ESS). Abbiamo
studiato 463 IIT occorsi a 411 lavoratori (48.1% non turnisti NT e 51.9%
turnisti T con sistema di turnazione antiorario a rotazione rapida). L’elaborazione statistica dei dati ha evidenziato una elevata prevalenza di EDS
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nella popolazione esaminata (36%) ed una relazione altamente significativa tra lavoro a turni e presenza di EDS, che avrebbe pertanto un ruolo
significativo nell’occorrenza degli IIT; questo potrebbe essere imputato
al grado di alterazione dell’equilibrio fra processo omeostatico e circadiano dovuto al sistema di turnazione adottato.
Parole chiave: Infortuni in Itinere, Infortuni sul Lavoro, Eccessiva
Sonnolenza Diurna, Sonno, Sicurezza, Lavoro a Turni
COMMUTING ACCIDENTS: THE INFLUENCE OF EXCESSIVE DAYTIME
SLEEPINESS. A REVIEW OF AN ITALIAN POLICE OFFICERS POPULATION
ABSTRACT. Commuting accidents (CA) play an important role in
many systems of workers’ compensation insurance and with good reason,
as they generally bring about more serious consequences in terms of
permanent disablement and death than ordinary occupational accidents;
this usually leads to high social costs. Nevertheless, research
investigations aimed at studying the possible causes underlying the
phenomenon are not available in medical literature. Objective of the
present study is to evaluate whether excessive daytime sleepiness (EDS)
might influence the occurrence of CA. 463 CA occurred to 411 police
officers in northern Italy during the period 1999 - 2002 were collected;
51.9% of the subjects were working on shifts, 48.1% were non-shift
workers. The study was carried out by submitting a self-administered
questionnaire to gather information on age and physical characteristics,
working conditions, sleep-related problems and accidents occurrence;
EDS was measured by the Epworth Sleepiness Scale (ESS). A large
number of workers (36%) complained of EDS; a strict significant
relationship between shift - work condition and the presence of EDS was
found, thus suggesting that CA are significantly influenced by EDS. The
shift work schedule adopted by Italian Police might be accountable for
the disruption of the balance between circadian and homeostatic factors.
Key words: Commuting Accidents, Accident at Workplace, Excessive
Daytime Sleepiness, Sleep, Safety, Shift-work
325
(3). Restringendo il campo agli infortuni mortali, i dati statistico attuariali INAIL presentati alla II Conferenza Nazionale Salute e Sicurezza nel
gennaio 2007 relativi all’andamento degli infortuni mortali nel periodo
2001 - 2006 (Tabella I) dimostrano che il fenomeno è rilevante non solo
dal punto di vista numerico, ma anche per la gravità degli eventi.
Nonostante la vastità e gravità del fenomeno, gli studi clinico - epidemiologici tesi ad indagare le possibili cause di IIT sono a tutt’oggi scarsi, in particolare per quanto attiene i lavoratori turnisti e notturni per i
quali il rischio di andare incontro a tale di tipo di evento risulta elevato.
Il lavoro a turni, infatti, perturba il fisiologico ciclo sonno-veglia e può
causare eccessiva sonnolenza diurna (EDS) e disturbi del sonno. L’EDS
è considerata un importante fattore di rischio per incidenti stradali ed
infortuni nei lavoratori turnisti, soprattutto qualora la mansione lavorativa richieda elevata efficienza psicofisica (4, 5, 6, 7). Se numerosi sono gli
studi che hanno indagato gli infortuni sul lavoro nei lavoratori turnisti,
scarsi dati risultano in letteratura relativi agli IIT con casistiche numericamente ampie.
Obiettivo di questo lavoro è la valutazione dell’effetto dell’EDS sull’occorrenza di IIT nella totalità dei lavoratori della Polizia di Stato operanti nel nord-ovest d’Italia nel periodo 1999-2002.
MATERIALI E METODI
La popolazione studiata è costituita da 463 IIT occorsi a 411 lavoratori (79% M, 21% F), con età media 34 anni (SD ±7) ed anzianità di servizio 15 anni (±7). Il 48.1% soggetti erano lavoratori diurni (NT), il
51.9% turnisti (T) con sistema di turnazione antiorario a rotazione rapida
(turni distanziati di 12 ore e riposo di 60 ore, Tabella II).
Lo studio è stato condotto mediante l’uso di questionari validati
autosomministrati riguardanti: abitudini di vita, condizioni familiari e
lavorative, ora dell’incidente, dinamica e mezzi di trasporto coinvolti
e inoltre abitudini di sonno e veglia ed eventuale presenza di disturbi
del sonno. La presenza di EDS è stata esplorata mediante dati soggettivi e EES (Epworth Sleepiness Scale) (8), gli eventuali indicatori di
patologie del sonno mediante SDS (Sleep Disorders Score) (6). Per la
individuazione di indicatori di disturbi del sonno sono stati calcolati alcuni punteggi caratterizzanti le singole patologie, ottenuti identificando le domande relative alle patologie specifiche (insonnia, mioclono
notturno, ipersonnia diurna e sindrome delle apnee ostruttive), attribuendo un punteggio ai diversi livelli ordinali delle possibili risposte
al questionario (mai 0 punti, raramente 1 punto, qualche volta 3 punti, spesso 5 punti) e quindi sommando i singoli punteggi. Occorre sottolineare che le risposte al questionario non sono sufficienti a formulare una diagnosi, tuttavia consentono di individuare disturbi associabili
a patologie del sonno e quindi di classificare i soggetti in base alla presenza di sintomi di queste patologie. Al fine di valutare lo stato di “malessere generale” derivante dalla concomitante presenza di fatica da lavoro e disturbo del sonno, è stato infine definito un punteggio globale
(Sleep Disorder Score), derivante dalla somma dei punteggi di singola
patologia del sonno.
Le differenze esistenti fra T e NT in relazione all’età, alla distribuzione ESS, alle distribuzioni delle singole patologie del sonno ed al SDS
sono state valutate mediante il test di Kolmogorov-Smirnov (KS). La presenza di EDS in relazione alla tipologia lavorativa (T e NT), il legame
specifico tra occorrenza di IIT e presenza di EDS al momento dell’infortunio, ed il ruolo della EDS come causa/concausa dell’infortunio sono
stati saggiati mediante il test del χ2.
INTRODUZIONE
Infortunio in itinere (IIT) è quello che si verifica a carico del lavoratore mentre percorre il tragitto che porta da casa al lavoro e viceversa.
L’IIT, disciplinato in molte legislazioni straniere (1), per molti anni non è
stato regolamentato dalla legislazione italiana. La lacuna legislativa è stata dapprima colmata dalla giurisprudenza ed infine dalla entrata in vigore
del D.L. n. 38 23 del febbraio 2000 che, all’art. 12, definisce le caratteristiche dell’IIT in dettaglio e specifica il significato di “interruzioni e deviazioni necessitate” ivi compreso l’utilizzo di mezzo di trasporto privato.
Una categoria particolare di lavoratori è costituita dagli operatori della Polizia di Stato e Penitenziaria, per i quali recentemente (marzo 2007)
la Direzione Centrale Prestazioni dell’INAIL ha ribadito la propria competenza ai fini della tutela assicurativa nella speciale forma della “Gestione per conto dello Stato”, ai sensi dell’art. 127 del D.P.R. 1124/65 e
del regolamento attuativo di cui al D.M. 10 ottobre 1985; ne consegue
che, anche per tali lavoratori, è prevista la denuncia obbligatoria di infortunio all’INAIL inclusi gli IIT, da parte del datore di lavoro ai sensi dell’art. 53 del Testo Unico.
Nei diversi Paesi europei l’IIT è regolamentato in modo non uniforme (1) ma, generalmente, ricade sotto l’assicurazione obbligatoria contro
gli infortuni sul lavoro. Vi è peraltro ampio dibattito sull’opportunità che
il datore di lavoro ne sostenga l’onere economico. Diversi Autori ritengono che l’attuale rischio non sia più legato, come ai primordi del processo di industrializzazione, al lungo tragitto che il lavoratore deve percorrere per recarsi al lavoro bensì all’increTabella I. Andamento infortuni mortali 2001 - 2006 (dati INAIL)
mento del traffico e alla sua intrinseca pericolosità, che va
oltre le possibilità di controllo del datore di lavoro.
Nei Paesi industrializzati gli IIT rappresentano un problema socio-sanitario di estrema rilevanza: negli Stati Uniti nel corso del 2005 si sono verificati 5702 infortuni sul lavoro mortali, con un ritmo di circa 16 morti al giorno e di
tali infortuni quelli in itinere, in particolare gli incidenti
stradali, rappresentano il gruppo più numeroso. Complessivamente negli Stati Uniti i mezzi di trasporto hanno causato nel 2005 il 43% degli infortuni sul lavoro mortali e più
della metà di questi eventi (58%) risulta essersi verificato
in autostrada (2).
In Italia nel medesimo anno gli IIT indennizzati dall’INAIL nei settori Industriale e dei Servizi sono stati 69.032
326
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Tabella II. Distribuzione degli IIT nelle categorie T e NT “andando”
e “tornando” dal lavoro
RISULTATI
La distribuzione degli IIT, suddivisa nelle categorie “andando” e
“tornando” dal lavoro, è riassunta in Tabella II.
I T sono significativamente più giovani e con un’anzianità di servizio inferiore rispetto ai NT (test di KS, p<0.0001); nessuna differenza è
emersa per gli indicatori delle varie patologie del sonno, né per il punteggio SDS.
I soggetti patologici alla scala ESS (ESS>10) sono il 5.0% dei T vs
il 6.1% dei NT, ma le due distribuzioni non differiscono significativamente (test di KS). Dalle risposte ricavate dal questionario, globalmente
il 36% dei soggetti riporta EDS; i T lamentano più frequentemente EDS
dei NT (43.4% vs 23.5%) e più attacchi di sonno (11.4% vs 7.5%). L’esistenza di una relazione altamente significativa fra le variabili “tipologia
lavorativa” (T/NT) e “presenza di EDS” è confermata dal test χ2
(p<0.0001), mentre la relazione tra le variabili “tipologia lavorativa”
(T/NT) e “attacchi di sonno” è risultata essere al limite della significatività (p=0.06). Durante il turno notturno il 26.2% dei T lamenta “spesso”
EDS mentre nei turni serale, pomeridiano e mattutino le percentuali sono
rispettivamente del 8.3%, 3.0% ed 8.5%.
In relazione all’occorrenza dell’IIT, il 7.9% dei T e l’1.6% dei NT
ammetteva EDS al momento dell’infortunio; il test χ2 ha saggiato la significatività della relazione (p=0.01). Il 6.4% dei T e lo 0.7% dei NT attribuisce l’occorrenza dell’IIT in qualche modo alla EDS, come unica
causa, oppure insieme ad altre cause lavorative o extra-lavorative (test χ2
con correzione di continuità, p=0.03).
DISCUSSIONE
Dall’analisi dei nostri dati emerge che circa il 36% della popolazione esaminata lamenta EDS, in generale i T lamentano più EDS dei
NT (43.4% vs 23.5%) e soprattutto durante il turno notturno (26% lamentano spesso EDS). Tali percentuali sono in accordo con i dati riportati da altri studi in letteratura (4, 9). Inoltre si conferma la maggiore
sensibilità del questionario validato nel rilevare l’EDS rispetto alla
ESS.
La presenza di EDS al momento dell’IIT (7.9% dei T e l’1.6% dei
NT), è risultata significativamente differente nei due gruppi. Tale differenza non è attribuibile a patologie del sonno (in base al questionario SDS
nessuna differenza è emersa per gli indicatori delle varie patologie del
sonno fra T e NT), ma sembra essere dovuta alle alterazioni del ciclo sonno-veglia connesse al lavoro a turni.
Dai dati della letteratura emerge infatti come i T e i lavoratori notturni dormano in media un numero inferiore di ore nell’arco delle 24 ore
rispetto ai NT, circa 6 ore al giorno, e presentino un maggior numero di
incidenti sulla strada ed infortuni sul lavoro (11, 12).
La deprivazione di sonno provoca EDS: questa condizione è riconosciuta essere una delle principali cause di errori ed incidenti in quanto in grado di compromettere il livello di vigilanza e quindi di performance (10). Anche secondo le risposte al questionario fornite dal nostro
campione di T, la EDS avrebbe un ruolo significativo nell’occorrenza
degli IIT.
Tuttavia la deprivazione di sonno spiega solo in parte il maggior grado di EDS riferito dai T rispetto ai NT; più che le effettive ore di sonno
per giorno il sistema di turnazione adottato potrebbe verosimilmente essere il vero responsabile dell’EDS alterando l’equilibrio fra processo
omeostatico e circadiano con conseguente sfasamento del ritmo sonnoveglia (13,14).
Questi risultati, nell’ambito degli infortuni sul lavoro, colmano una
lacuna nella letteratura internazionale e, se confermati da successivi studi, potrebbero fornire elementi importanti per attuare idonee strategie
preventive e normative volte alla tutela dei lavoratori e alla sicurezza
pubblica.
5)
6)
7)
8)
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COM-04
ANALISI DEL FENOMENO INFORTUNISTICO 1999-2006
IN UN’AZIENDA OSPEDALIERA LOMBARDA
P. Melloni1, E. Antoniazzi2, V.Somenzi3, L. Galli2, R. Fazioli2,
A. Mottinelli3, C. Franzosi2, A.M. Cirla2, F. Gobba1
1 Cattedra di Medicina del Lavoro - Università di Modena e Reggio
Emilia
2 Unità Operativa di Medicina del Lavoro - Istituti Ospitalieri di
Cremona
3 Servizio di Prevenzione e Protezione - Istituti Ospedalieri di Cremona
Corrispondenza: Dott. Enea Antoniazzi, Unità Operativa di Medicina
del Lavoro, Istituti Ospitalieri di Cremona, V.le Concordia 1, 26100
Cremona, Tel. 0372 405433, fax 0372.405656, e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. Abbiamo condotto uno studio sul fenomeno infortunistico nel periodo 1999- 2006 presso l’Azienda Istituti Ospitalieri di
Cremona, in cui operano circa 2400 dipendenti.
Dall’analisi dei dati del Registro Infortuni, è emersa una riduzione
del numero totale di infortuni del 30% circa nel periodo esaminato, con
una distribuzione non uniforme sulle diverse tipologie di infortunio.
Gli infortuni più frequenti sono stati la puntura d’ago (25,8%), i traumi (22,9%) e gli infortuni in itinere (7,8%). Una tipologia di infortunio
finora poco considerata sono le aggressioni. Gli infermieri professionali
sono gli operatori più frequentemente coinvolti; mentre i reparti maggiormente interessati appartengono al Dipartimento Internistico. La prognosi media più prolungata è relativa agli infortuni in itinere (11,6 gior-
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ni). Un aspetto finora poco analizzato sono la ripetitività degli infortuni
nello stesso operatore: un’infermiera professionale ha subito ben 9 infortuni (di varia tipologia) nei 7 anni considerati.
La riduzione degli infortuni è verosimilmente da attribuirsi all’efficacia delle attività di prevenzione intraprese nel periodo in esame. Gli
infortuni a rischio biologico, per i quali è stato possibile attuare programmi di prevenzione, si sono marcatamente ridotti, mentre non altrettanto è avvenuto per quelli in itinere, dipendenti in modo rilevante da fattori esterni non facilmente eliminabili.
Parole chiave: infortunio; rischio biologico; prevenzione
ANALYSIS OF WORK ACCIDENTS DURING THE YEARS 1999-2006 IN A
HOSPITAL COMPANY IN LOMBARDIA
ABSTRACT. This study describe accidents occurred in the period
between 1999 and 2006 in the Hospital of Cremona, in which about 2400
subjects operate.
The analysis of Accident Register showed a reduction of about 30%
of the total number of accidents during the examined period and a non
homogeneous distribution of the various types of accidents.
The most frequent accidents were prick (25.8%), trauma (22.9%)
and “in itinere” accidents (7.8%). One type of accident has been little
considered up to now: the aggressions. Professional nurses were the most
frequently involved and the most affected units were those that belong to
the Internal Medicine Department. “In itinere” accidents had the longest
average prognosis (11.6 days). The repetition of accidents occurred to the
same operator hasn’t been analysed before now: a professional nurse had
nine accidents (of various type) in the seven years considered.
Probably the reduction of accident must be attributed to the
effectiveness of the prevention activities undertaken during the reviewed
period. Biological accidents, for which it was possible to implement
prevention programs, have been markedly reduced; it was not the same
for “In Itinere” accidents, that depend significantly on external factors
that are not easily dismissed.
Key words: accident; biological risk; prevention
327
1.067 infortuni non biologici pari al 56,88% del totale e 809 infortuni biologici pari al 43,12% di tutti gli infortuni.
Il maggior numero di infortuni è rappresentato dalle punture (484 su
1.876, 25,80% del totale). Le ferite sono per lo più di natura non biologica mentre i tagli sono quasi tutti di natura biologica, causati da strumenti chirurgici taglienti (bisturi, forbici contaminati da liquidi biologici).
Su un totale di 7.685 giorni di prognosi, i giorni di prognosi per
infortuni non biologici sono stati 7522 mentre quelli per infortuni biologici 163. L’Indice di Durata (numero giorni prognosi totale / numero
infortuni totale * 1000) è 4,09.
Gli eventi che in assoluto hanno determinato il maggior numero di
giorni di prognosi sono i traumi (3.287 su 7.685 totali) cioè il 42,77% del
totale. Al secondo posto la movimentazione manuale dei carichi, intesa
sia come movimentazione di pazienti sia come movimentazione di oggetti (1.864 infortuni su 7.685, cioè il 24,26% del totale).
Gli eventi che provocano una media maggiore di giorni di prognosi
sono gli incidenti stradali (11,56 giorni), seguiti dai traumi (7,64) e dalla
movimentazione manuale dei carichi (6,98).
Dalla Tabella III emerge che gli infortuni sia biologici che non biologici si sono verificati più frequentemente nel personale con una anzianità di servizio superiore a 10 anni.
La fascia di età più interessata agli infortuni è quella che va da 31 a
35 anni (381 infortuni su 1876).
I giorni della settimana in cui accadono più frequentemente gli infortuni sono il lunedì e il mercoledì (rispettivamente il 18,4% e il 17,6% del
totale).
Tabella I. Numero Infortuni per anno e Indice di Infortunio
INTRODUZIONE
In Italia gli infortuni sul lavoro rappresentano un problema economico e di salute pubblica di notevoli dimensioni. Nell’ambiente di lavoro ospedaliero, la European Foundation individua, come principali rischi
per gli operatori sanitari, la movimentazione manuale dei carichi, gli
agenti biologici, le sostanze chimiche e le radiazioni, attribuendo proprio
ad essi la maggiore responsabilità nella comparsa degli infortuni (L. Isolani 1999).
Scopo di questo lavoro è di presentare l’andamento infortunistico
dell’Azienda Istituti Ospitalieri di Cremona nel periodo 1999 - primo semestre 2006 descrivendone gli elementi salienti: infortuni più frequenti,
operatori e reparti maggiormente interessati, giorni della settimana in cui
accadono più frequentemente, giorni di prognosi.
Materiali e Metodi
L’Azienda Ospedaliera studiata comprende il Presidio Ospedaliero di
Cremona con circa 1.600 dipendenti, il Presidio Ospedaliero Oglio Po di
Casalmaggiore con circa 500 dipendenti e il Poliambulatorio Specialistico Ambulatoriale Territoriale con circa 230 dipendenti, per
un totale di circa 2400 dipendenti.
Tabella II. Numero infortuni Biologici e Non Biologici per anno di accadimento
Per la raccolta dei dati sono stati utilizzati i registri
infortuni dell’Azienda, analizzando tutti gli eventi infortunistici, indipendentemente dalla successiva loro valutazione da parte dell’INAIL. Nel registro infortuni sono molto
numerose e diverse fra loro le voci raccolte nella colonna
“natura dell’evento”; per questo nel conteggio sono stati
“accorpati” gli eventi che potevano essere considerati tra
loro analoghi.
RISULTATI
Nella tabella I è rappresentato il numero di infortuni
per anno per numero di dipendenti oltre
che l’Indice di Infortunio (numero infortuni / numero
dipendenti * 1000). Gli infortuni passano da 303 nel 1999
a 199 nel 2005 e l’Indice di Infortunio passa da 123,32 nel
1999 a 83,93 nel 2005.
Nella Tabella II si evidenzia che dal 1999 a giugno
2006 si sono verificati, su un totale di 1.876 infortuni,
328
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Tabella III. Numero di infortuni biologici e non biologici per anzianità lavorativa
Gli infermieri professionali, che sono la popolazione lavorativa più
numerosa in ospedale, rappresentano la categoria che ha più infortuni,
747 in totale, di cui 400 di natura biologica (49,44%) e 347 di natura non
biologica (32,52%). In particolare si è verificata la maggior incidenza di
infortuni da movimentazione manuale dei carichi (107 su 267).
Le U.O. del Dipartimento Internistico sono quelle in cui si verifica il
maggior numero di infortuni (648 cioè 34,54% del totale). Un numero inferiore di infortuni (426, ossia 22,70% del totale) si verifica nei reparti
chirurgici nel loro insieme.
Sono stati valutati anche i casi di ripetuti infortuni nei dipendenti. Citiamo il caso di una infermiera di un reparto psichiatrico con 9 infortuni:
3 traumi, 3 aggressioni, 2 punture e 1 ustione.
DISCUSSIONE
La valutazione del fenomeno infortunistico nell’ambito delle Aziende Sanitarie e Ospedaliere è uno strumento indispensabile per verificare
lo stato di benessere del lavoratore e per programmare interventi preventivi nell’ottica della riduzione del fenomeno infortunistico, sia in termini
di frequenza che di gravità e di promozione della salute.
Mentre i dati della letteratura(P.Boccalon et al. 2000), affermano che
in ambiente ospedaliero sono più numerosi gli infortuni di natura biologica, nell’Azienda Ospedaliera studiata il numero di infortuni non biologici è prevalente, anche se il numero delle punture d’ago è superiore a
quello di tutti gli altri infortuni. È possibile che, per difetto di comunicazione del dipendente, il numero degli infortuni biologici sia qui sottostimato, poiché non comportano alcun giorno di assenza dal lavoro.
Un’analoga sottostima può riguardare il numero di giorni di prognosi degli infortuni, poiché non sempre sul registro infortuni veniva segnalato un eventuale prolungamento della malattia.
Nell’Azienda Ospedaliera il maggior numero di infortuni si è verificato in personale con
un’anzianità lavorativa superiore a 10 anni, mentre in letteratura
(P.Boccalon et al. 2005) si evidenzia che un maggior rischio nei primi anni di lavoro e progressivamente una attenuazione.
Osservando l’andamento del fenomeno infortunistico nei diversi
giorni della settimana è
interessante notare che i primi giorni della settimana sono quelli caratterizzati dalle frequenze più elevate e ciò potrebbe essere interpretato
come l’effetto protratto della “sindrome del lunedì”.
In accordo con altri autori (P.A.Preite 2000) la qualifica professionale più interessata agli infortuni è rappresentata dal settore sanitario ed in
particolare da infermieri e medici
In relazione all’alta incidenza, negli infermieri, di infortuni muscoloscheletrici si è resa necessaria una revisione delle manovre di sollevamento e movimentazione dei pazienti. Nel periodo considerato sono stati organizzati all’interno della struttura ospedaliera vari corsi di formazione
per i dipendenti con buoni riscontri pratici. Tutto il personale è stato formato da parte dei medici competenti del Servizio Sanitario Aziendale in
collaborazione con terapisti della riabilitazione.(A.M.Cirla et al 2005).
CONCLUSIONI
1) Nota positiva: gli infortuni in ambito ospedaliero hanno una loro incidenza, ma il fenomeno in generale è in riduzione;
2) Criticità: esistono infortuni più problematici da controllare (es. in itinere), e la loro incidenza non accenna a ridursi in modo significativo;
3) Spunto di riflessione: gli infortuni “emergenti”(infortuni ripetuti, aggressioni) meritano attenzione e una valutazione delle possibili azioni preventive;
4) Riflessioni conclusive: la tipologia infortunistica “tipica”(es. rischio biologico, ma anche altri rischi lavorativi) è in netta riduzione, e questo suggerisce che:
a) gli interventi effettuati sono stati efficaci;
b) vale la pena estendere gli interventi a tutti gli infortuni, anche se alcune tipologie, e gli interventi preventivi da attuare, sono ancora tutti da studiare. Sicuramente l’attuazione, da parte del Servizio Sanitario
Aziendale, di uno specifico programma di formazione ed informazione dei singoli lavoratori e dei gruppi omogenei ha portato alla riduzione del fenomeno
infortunistico nell’azienda Ospedaliera studiata ed ha
sicuramente rappresentato uno stimolo per gli operatori a porre maggiore attenzione nelle loro pratiche
quotidiane.
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71(S3):109-114.
COM-05
GLI INFORTUNI IN SANITÀ: L’ESPERIENZA DELL’AZIENDA
OSPEDALIERO UNIVERSITARIA CAREGGI
P. Boccalon, A. Piccioli, M. Montalti, G. Arcangeli, V. Cupelli
SOD Medicina del Lavoro, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi,
Firenze
RIASSUNTO. Nel periodo 1/1/1995-31/12/2006 nell’Azienda
Ospedaliero-Universitaria sono stati denunciati 4941 infortuni che hanno
coinvolto 2951 lavoratori (28,9% del totale dei lavoratori presenti nel periodo). I lavoratori infortunati presentano un’età ed un’anzianità lavorativa significativamente maggiori dei non infortunati, nei primi anni di lavoro non si evidenza una frequenza di eventi superiore a quella dei periodi successivi. I lavoratori che presentano una frequenza di infortuni
maggiore sono i lavoratori che operano in cucina, la metà dei quali presenta almeno un infortunio nel periodo, ed il 7,2% denuncia più di 0,6
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329
infortuni per anno-persona; le coseguenze maggiori sono però a carico
degli autisti che registrano 8,6 giorni di infortunio per anno-persona. Gli
infortuni che presentano le conseguenze maggiori sono gli infortuni in itinere, che provocano la perdita di 36,28 giornate lavorative per 100 annipersona, seguiti dagli infortuni durante lo spostamento del personale
(23,48 giorni/100 anni-persona) e dagli infortuni da sollevamento (18,42
giorni/100 anni-persona). Solo 154 lavoratori presentano più di 0,6 infortuni per anno-persona.
Per un campione di infortuni è stato possibile ricostruire l’orario di
accadimento; il 94% avviene tra le 7 e le 20; il 58% degli infortuni avviene andando al lavoro
Parole chiave: infortuni sul lavoro, operatori sanitari
ACCIDENTS IN HEALTH CARE WORKERS: THE EXPERIENCE FROM THE
CAREGGI TEACHING HOSPITAL
ABSTRACT. In the last eleven years in the Careggi Hospital 4941
occupational accident has been registered, and 2951 workers were involved (28.9% of the total of the workers present in the period). The highest frequency of accident has been registered within the cooking staff,
about one half of whom had an accident, and 7.2% more than 0.6 accident for person-year; the more serious consequences were registered for
traffic accident, more than half happened coming to the workplace before the beginning of the work. Only 154 workers registered more than 0.6
accidents for person-year.
Key words: occupational accidents, health care workers
Nel periodo esaminato la tipologia degli infortuni appare sostanzialmente stabile con l’eccezione degli infortuni in itinere, che mostrano un
progressivo incremento a partire dal 2000, spiegabile con l’emanazione
del D.Lgs 38/2000 che modificava i criteri per l’indennizzo, e degli infortuni da manipolazione di oggetti appuntiti o taglienti (lame-vetri) che, dopo la progressiva crescita dall’inizio al 2001, evidenziano una costante riduzione. I dati sono riassunti nella Tabella II.
Il rapporto tra infortuni denunciati e 1000 anni-persona, suddiviso
nei vari anni, è riportato nella tabella III; poiché la composizione della
popolazione non mostra significative modificazioni per quanto riguarda
il mix di mansioni, le modificazioni nella frequenza degli infortuni sono
riferibili ad altri fattori.
La presenza di soggetti che denunciano più di un infortunio nel periodo di osservazione è particolarmente limitata, oltre l’80% denuncia
meno di 3 infortuni e solo il 3% denuncia più di cinque infortuni nel periodo di osservazione.
Oltre il 45% della popolazione degli infortunati presenta più di 10
anni persona di ossevazione, mentre circa il 43% dei lavoratori che non
hanno subito infortuni presentano meno di 4 anni persona di osservazione (tabella IV). La verifica dell’anzianità e dell’età alla fine del periodo
di osservazione tra la popolazione degli infortunati e quella dei non infortunati, sono confrontabili, si possono escludere quindi fenomeni di distorsione legati alla durata del periodo di osservazione.
Il 29% dei lavoratori presenti nel periodo ha subito infortuni; tra questi, 1802 (61,1%) denunciano tra 0,1 e 0,2 infortuni/anno-persona; 706
(23,9%) tra 0,3 e 0,4; 289 (9,8%) tra 0,5 e 0,6; 69 (2,3%) tra 0,7 e 0,8; 74
(2,5%) tra 0,9 e 1; 10 (0,4%) più di 1 infortunio per anno/persona. Raggruppando i lavoratori in funzione della frequenza degli infortuni per anno-persona e per mansione appare evidente come il rischio infortunistico
In italia vengono denunciati ogni anno poco meno di 1.000.000 di
infortuni, dei quali circa 1300 sono mortali. Il comparto sanitario non appare tra i più pericolosi per quanto riguarda il fenomeno infortunistico tuttavia contribiusce ad esso in maniera non trascurabile in
funzione dell’elevato numero di addetti. Il settore sanitaTabella I. Caratteristiche dellla popolazione esaminata [*p<0,001]
rio occupa infatti circa 800.000 addetti, 34.000 dei quali
restano ogni anno coinvolti in infortuni. Si tratta di lavoratori che per la maggior parte presentano professionalità
molto sviluppate, pertanto la loro assenza dal lavoro, oltre
che critica per la qualità della risposta sanitaria verso i pazienti, presenta rilevanza economica non trascurabile.
Il lavoro prende in considerazione il fenomeno infortunistico nell’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi
per verificare la possibilità di adottare strategie preventive che consentano di ridurre il fenomeno.
MATERIALI E METODI
Lo studio ha riguardato il periodo 1/1/199531/12/2006; dal registro infortuni dell’Azienda sono stati
esaminati gli infortuni denunciati nel periodo; sono stati
identificati anche i lavoratori presenti in Azienda nello
stesso periodo, ottenendo gli anni-persona di osservazione per ciscun lavoratore.
Per ciascun infortunio sono stati considerati i seguenti parametri: nominativo, età e anzianità lavorativa;
qualifica professionale, agente materiale, cause circostanze accadimento, durata infortunio. Non sono stati considerati il luogo di accadimento, in quanto le profonde trasformazioni sul piano edilizio ed organizzativo che hanno coinvolto l’ospedale avrebbero reso poco confrontabili i dati; non è stato inoltre considetato il tipo di definizione, ovvero se l’infortunio è stato indennizzato o meno
dall’INAIL, in quanto e finalità dello studio sono di tipo
preventivo e non medico-legale. Per gli Infortuni denunciati dopo il 16/05/2006, per i quali la denuncia viene fatta on line, sono valutati anche: ora solare; ora ordinale;
turno di notte; tipologia del contratto.
RISULTATI
La popolazione coinvolta nello studio è risultata di
10231 lavoratori, 2981 dei quali sono stati coinvolti in almeno un infortunio nel periodo esaminato; le caratteristiche della popolazione sono riassunte in talella I. I lavoratori infortunati presentano un età ed un’anzianità lavorativa significativamente maggiore dei lavoratori non infortunati (p<0,001).
Tabella II. Tipologia degli infortuni negli anni (valori percentuali)
Tabella III. Infortuni per 1000 anni persona, suddivisi nei vari anni
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Tabella IV. Distribuzione degli anni persona
Tabella V. Frequenza infortuni per mansione
Tabella VI. Giorni persi per infortunio/anni persona per qualifica
Tabella VII. Giorni persi per infortunio/anni persona per qualifica
si concentri in alcune mansioni molto più di altri, in particolare il 50% degli operatori di cucina denuncia almeno
un infortunio ed il 7,2% addirittura più di 0,6 infortuni
per anno-persona (tabella V).
Le conseguenze degli infortuni, misurate in termini
di giornate lavorative perse, appaiono non trascurabili;
nel complesso sono state perse 78232 giornate lavorative,
con una media di 3,2 giornate per anno-persona. Per alcune categorie di lavoratori il numero di giorni persi per
infortunio per ciascun anno persona di osservazione risulta notevolmente maggiore rispetto alle altre (tabella
VI). La mansione che preenta infortuni con conseguenze
più gravi rispetto alle altre è quella degli autisti, che presentano 8,6 giornate lavorative per anno-persona, seguita
dai commessi/portieri che presenta 5,2 giornate lavorative per anno-persona e gli operatori di cucina che ne presentano 5,1; la categoria altri, nella quale sono raggruppate molte mansioni molto disomogenee tra loro presenta, in proporzione, un elevato numero di giornate lavorative perse causa del limitato numero di anni-persona di
osservazione (solo 293).
Le conseguenze degli infortuni differiscono notevolmente in funzione della loro tipologia (tabella VII), le
conseguenze peggiori sono provocate dagli infortuni in
itinere, che portano ad una perdita di oltre 36 giornate lavorative per anno persona, seguite dagli infortuni legati
allo spostamento del personale, che porta ad una perdita
di circa 23 giornate lavorative per anno persona e dagli
infortuni legati al sollevamento di oggetti o pazienti, che
portano alla perdita di 18 giorni per anno persona.
Per gli infortuni denunciati dopo il 15/6/2006 è stato
possibile analizzare anche l’ora di accadimento dell’infortunio e la tipologia del contratto del lavoratore. Il
campione è costituito da 137 infortuni, 124 dei quali
(90,5%) in lavoratori di ruolo full-time, 8 (5,8%) in lavoratori con contrtto di lavoro a tempo definito e 4 (2,9%)
in lavoratori di ruolo con orario part time. La tipologia
degli infortuni del campione è sovrapponibile a quella degli infortuni denunciati nel 2006 e di poco differente dal
totale degli infortuni.
Per 126 infortuni è stato possibile rilevare l’ora di accadimento; il 94% è accaduto tra le 7 e le 20. Per quanto
riguarda l’ora ordinale, ovvero le ore di lavoro trascorse
dall’inizio del lavoro, per 105 infortuni (83,3%) è stato
possibile risalire attendibilmente all’ora di accadimento;
il 36,2% avviene nelle prime quattro ore di lavoro, e poco più del 31% nelle successive 4 ore, e poco meno del
29% prima dell’inizio del lavoro. Il 38% del campione di
infortuni è costituito da infortuni in itinere, oltre l’80%
dei quali avviene con l’utilizzo del mezzo privato, 28
(58,3%) dei quali sono avvenuti nel percorso tra casa e lavoro, prima di entrare al lavoro (tabella VIII); circa la
metà degli infortuni in itinere nel percorso per raggiungere il lavoro avviene prima del turno del mattino, mentre
circa la metà di quelli che avvengono nel tornare a casa
avviene tra le 13 e le 14, alla fine del turno del mattino
Gli infortuni da spostamento non mostrano particolari
picchi di accadimento né per quanto riguarda l’ora solare
che l’ora ordinale. Per quanto riguarda gli infortuni da sollevamento oltre il 50% avviene tra la 4° e la 6° ora di lavoro; solo 2 su 14 nel turno di pomeriggio, nessuno nel turno
di notte. Per quanto riguarda gli infortuni avvenuti durante
il trasporto di materiale, oltre il 60% avviene durante il turno del mattino ed oltre il 50% nelle prime 4 ore di lavoro.
La sottopopolazione rappresentata dai soggetti che
presentano più di 0,6 infortuni per anno persona è costituita da 153 lavoratori con 454 infortuni, dei quali 69
(45,1%) presentano un tasso tra 0,7 e 0,8 infortuni per anno persona, 74 (48,4%) tra 0,9 e 1 infortunio per anno
persona e solo 10 (6,5%) più di 1 infortunio per anno-persona. La tipologia degli infortuni nei tre sottogruppi è
riassunta in tabella IX.
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Tabella VIII. Infortuni in itinere per mezzo utilizzato e per direzione del tragitto
Tabella IX. Infortuni per anno persona per agente materiale
La sottopopolazione di soggetti che presentano più di 0,6 infortuni/anno-persona può essere suddivisa ulteriormente in tre sottogruppi:
– 36 soggetti che presentano un infortunio nell’unico anno-persona di
osservazione;
– 10 soggetti che presentano più di un infortunio per anno-persona;
– 107 soggetti che presentano più di di un anno-persona di osservazione e fino ad 1 infortunio per anno persona.
Tra i 36 soggetti che hanno un solo infortunio nell’unico anno-persona di osservazione, il 33,3% denuncia un infortunio da manipolazione
di oggetti taglienti o acuminati, il 22,2% infortunio in itinere ed il 13,9%
da sollevamento di materiali. Tra i 10 soggetti che presentano più di un
infortunio per anno-persona, il 22,9% denuncia infortuni da sollevamento di materiali, mentre solo il 17,1% da manipolazione di oggetti taglienti o acuminati.
CONCLUSIONI
Il fenomeno infortunistico nell’Azienda Ospedaliero-Universitaria
Careggi mostra un andamento sostanzialmente stabile nel tempo, sovrapponibibile a quello delle strutture sanitarie italiane paragonabili per tipologia e dimensioni, anche se i contributi scientifici sull’argomento sono
estrememente limitati.
Contrariamente a quanto emerso in altri studi sul fenomeno infortunistico in generale, nei primi anni di lavoro non si evidenza una frequenza di eventi superiore a quella dei periodi successivi.
L’entità del rischio infortunistico, ovvero la probabilità di subire un
infortunio durante l’attività lavorativa, non è omogeneamente distribuita
tra tutte le figure professionali presenti, ma si concentra nelle figure che
svolgono attività più pericolose dal punto di vista infortunistico (gli autisti) o più impegnative dal punto di vista fisico (gli operatori tecnici ed il
personale di cucina)
331
Gli eventi infortunistici maggiormente rappresentati
sono correlati alla manipolazione di oggetti acuminati o
taglienti, ma la gravità delle conseguenze di questi infortuni, calcolata in termini di giornate lavorative perse, è
estremamente limitata anche per il personale di cucina.
Gli eventi che provocano conseguenze più gravi sono gli infortuni in itinere, per i quali tuttavia è difficile
identificare all’interno dell’Azienda una strategia preventiva, essendo determinati da fattori esterni al controllo
dell’Azienda. Non sembra inoltre che l’organizzazione
del lavoro possa modificare il fenomeno (la maggior parte degli eventi avviene prima che il lavoratore giunga al
posto di lavoro); inoltre va segnalato che il fenomeno risente dei provvedimenti legislativi intervenuti nel periodo di studio che hanno significativamente modificato i
criteri per l’indennizzabilità dell’infortunio in itinere.
È stata identificata una piccola sottopopolazione di
lavoratori che sembra presentare una frequenza di infortuni superiore a quella degli altri lavoratori; la tipologia di
infortunio più frequente in questa popolazione è rappresentata dall’infortunio da sollevamento e, rispetto alla popolazione generale, è presente una maggiore frequenza di
infortuni durante lo spostamento del personale e ricadute.
332
SESSIONE
AMIANTO
COM-01
MESOTELIOMA DI ORIGINE PROFESSIONALE: STUDIO DEI CASI
OSSERVATI PRESSO LA SEZIONE DI MEDICINA DEL LAVORO
E TOSSICOLOGIA OCCUPAZIONALE DELL’UNIVERSITÀ DI SIENA
NEGLI ANNI 2000-2007
L. Montomoli1, M. Spisso1, R. Romeo1, D.Spina2,
C. Ghiribelli3, P. Sartorelli1
1Sezione
Dipartimentale di Medicina del Lavoro e Tossicologia
Occupazionale Università degli Studi di Siena
2U.O.C. Anatomia Patologica 1 Azienda Ospedaliera Universitaria
Senese
3U.O.C. Chirurgia Toracica Azienda Ospedaliera Universitaria Senese
Corrispondenza: Dott.ssa Montomoli Loretta, Sezione Dipartimentale
di Medicina del Lavoro e Tossicologia Occupazionale Università degli
Studi di Siena, Policlinico Santa Maria alle Scotte, Viale Bracci 1, Tel:
0577 586768, Fax: 0577 586159, e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. Negli ultimi anni in Italia vi è stata una marcata
crescita di mesoteliomi pleurici attribuibile alla massiccia diffusione
dell’asbesto degli anni 1950-1960. Scopo dello studio è stato valutare la
diffusione di tale patologia nella zona senese. Sono stati esaminati 30
pazienti affetti da Mesotelioma Maligno. Per 28 la diagnosi di certezza
è stata fatta utilizzando i referti dell’esame istologico/immunoistochimico. Marcatori utilizzati come indicatori di malattia sono stati la vimentina, l’antigene epiteliale di membrana (EMA), la calretinina, le citocheratine 5/6. Nel gruppo studiato i tipi istologici più rappresentati
erano l’Epitelioide e il Bifasico. L’esposizione ad asbesto è risultata
professionale per 23 soggetti. Il tempo intercorso tra la prima esposizione e la diagnosi era superiore ai 40 anni in 12 casi. Insieme ai settori di attività tipicamente propri della lavorazione dell’amianto, emergono settori di produzione in passato poco valutati, rappresentati per lo
più dall’edilizia, dall’installazione di impianti idraulici ed elettrici, dal
lavoro presso le centrali termoelettriche. La legge n. 257/92 ha proibito
in Italia l’estrazione, l’importazione, la lavorazione, l’utilizzazione e la
commercializzazione dell’amianto. L’applicazione di tale provvedimento legislativo ha di fatto eliminato la possibilità di un’esposizione
ad amianto in numerose lavorazioni.
Parole chiave: mesotelioma, esposizione ad asbesto, lavori di ristrutturazione
WORK RELATED MESOTHELIOMA: ANALYSIS OF CASES DISCOVERED AT THE
SECTION FOR OCCUPATIONAL MEDICINE AND TOXICOLOGY OF SIENA
UNIVERSITY DURING THE YEARS 2000-2007
ABSTRACT. This study focuses on the spread of mesothelioma in
Siena. The population consisted of 30 patients. The diagnosis was made
through histopathological and immunoistochemical or cytological and
immunoistochemical analisys. The association between malignant
masothelioma and exposure to asbestos was deduced by the occupational
history. The mesothelioma was noted both in traditional industries and
other jobs such as the chain of manifacture, plumbers, electricians,
carpenters, installers of asbestos insulation and construction workers.
Thus it is possible to find other malignant and nonmalignant asbestosrelated diseases more frequently than mesothelioma. There is an evident
risk in rebuilding, so the development of new cases due to these exposures
is expected.
Key words: Mesothelioma; asbestos exposure; rebuilding work
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni è in atto in Italia una marcata crescita dei mesoteliomi pleurici ricollegabile in massima parte alla massiccia diffusione
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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dell’asbesto che si è avuta negli anni 1950-1960 e che ha raggiunto il suo
picco nel corso degli anni 1970 (1). Tale minerale è stato infatti impiegato in numerosi settori lavorativi e in circostanze ancora oggi non sempre
conosciute. Questo dipende, in parte, dalla difficoltà di evidenziare modalità di esposizioni professionali lontane nel tempo e non infrequentemente ignote anche al lavoratore stesso. La difficoltà di riconoscere la
storia lavorativa dei soggetti, per valutare l’eventuale pregressa esposizione, deriva spesso dalla lunga latenza della malattia e dal decesso o dalle precarie condizioni di salute dei pazienti che limitano la raccolta diretta di adeguate informazioni. Del resto, quando risulta possibile disporre
di anamnesi più approfondite o di informazioni più precise sui luoghi dove hanno lavorato, spesso è possibile evidenziare esposizioni ad amianto
atipiche e talvolta occulte (2).
Nel periodo 1988-2003 sono stati registrati presso l’Archivio Regionale Toscano dei Mesoteliomi Maligni (ARTMM) complessivamente 694
casi. I settori produttivi con maggior numero di casi risultano essere la
cantieristica navale, la costruzione/riparazione e uso di materiale rotabile
ferroviario, la cernita di stracci e l’edilizia (3).
Scopo dello studio è stato valutare, attraverso una casistica ospedaliera di mesoteliomi, la diffusione di tale patologia nella zona senese,
dove le attività che richiedevano l’uso dell’amianto come materia prima erano assai meno frequenti ed importanti rispetto ad altre zone della Toscana.
SOGGETTI E METODI
Soggetti
Sono stati esaminati 30 pazienti affetti da Mesotelioma Maligno (27
maschi e 3 femmine, età media 68 ± 7,2 anni) segnalati alla Sezione di
Medicina del Lavoro e Tossicologia Occupazionale da altri reparti dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese nel periodo compreso tra il
Gennaio 2000 e il Settembre 2007.
Metodi
Per 28 pazienti affetti da Mesotelioma pleurico la diagnosi di certezza è stata formulata utilizzando i referti dell’esame istologico/immunoistochimico di prelievi bioptici in corso di videotoracoscopia (VATS) o
post intervento chirurgico (pleurectomia/decorticazione). In due casi la
diagnosi è stata possibile solo con esame citologico/immunoistochimico
(liquido pleurico in un caso e liquido ascitico nell’altro). La vimentina,
l’antigene epiteliale di membrana (EMA), la calretinina, le citocheratine
5/6 sono stati i marcatori principalmente adoperati come indicatori di malattia (4).
La consulenza specialistica di Medicina del Lavoro è stata finalizzata alla raccolta di dati relativi all’attività lavorativa e nei casi dubbi
per l’origine professionale, anche di quelli relativi alla storia familiare,
militare e residenziale ed alle abitudini di vita. Al fine di rilevare eventuali esposizioni in più periodi lavorativi e/o comparti e/o mansioni diverse, l’esposizione è stata valutata e attribuita ad ogni periodo lavorativo svolto dal soggetto. Secondo quanto previsto dalle Linee guida per
la rilevazione e la definizione dei casi di mesotelioma maligno, qualora fossero state presenti esposizioni in periodi lavorativi diversi, è stata
assegnata come prevalente quella presumibilmente più elevata, mentre
se erano attribuibili allo stesso comparto e/o alla stessa mansione è stata privilegiata la prima in ordine temporale (5). Data la lunga latenza
della neoplasia, non sono state considerate prevalenti quelle avvenute a
meno di dieci anni dalla data della diagnosi, anche se classificate come
certe. Per i casi per i quali è stato possibile accertare l’origine professionale, si è provveduto ad ottemperare agli obblighi medico-legali e a
valutare, a distanza variabile di tempo, presso le sedi INAIL competenti, l’esito del procedimento.
RISULTATI
Nel gruppo studiato il tipo istologico era rappresentato in 15 casi
da Mesotelioma Pleurico Maligno Epitelioide, in 10 casi da Mesotelioma Pleurico Maligno Bifasico, in 4 casi da Mesotelioma Pleurico
Maligno Sarcomatoide ed in 1 caso da Mesotelioma Peritoneale Maligno Epiteloide.
L’esposizione ad asbesto è stata definita professionale per 23 soggetti, familiare in un caso, extralavorativa in un altro e per i rimanenti
5 casi improbabile in quanto non è stato possibile riconoscere sia in ambito lavorativo che extralavorativo una possibile fonte di esposizione.
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333
In 1 caso la positività dell’anamnesi era suffragata anche da concentrazioni di fibre d’asbesto nel liquido di lavaggio broncoalveolare (BALF)
pari a 765 ff/ml ed in un altro anche dalla documentazione di corpuscoli
d’asbesto nel tessuto polmonare (analisi solo istologica). In 9 casi si è
trattato di esposizioni non solo collegate all’uso di amianto come materia prima, ma alla contemporanea presenza del materiale nei cicli produttivi e negli ambienti di lavoro. Nella maggior parte dei pazienti la
prima esposizione era avvenuta negli anni 1950-1960. L’anzianità lavorativa media era di 39,56 ± 6 anni. Il tempo intercorso tra la prima esposizione e la diagnosi, il cosiddetto periodo di latenza, era superiore ai
40 anni in 12 casi, con valore medio 47,95 ± 8,29 anni. Il quadro complessivo delle esposizioni professionali che avevano prodotto la neoplasia risultava altamente differenziato e comprendeva numerosi settori lavorativi (Tabella I). Relativamente al riconoscimento da parte degli
enti assicuratori in 15 casi ha avuto esito positivo, 3 casi non sono stati indennizzati, e 4 sono ancora da definire (Figura 1). Dei 3 casi non indennizzati, 2 erano edili ed 1 era un orefice. Nel caso degli edili l’origine professionale era stata negata perché non era stato possibile considerare la loro esposizione superiore ai livelli del cosiddetto “fondo naturale ambientale”, mentre per l’orefice decadeva in sede amministrativa perché appartenente ad una categoria (commerciante) non soggetta
ad assicurazione obbligatoria.
L’ultimo caso dei 23 considerati professionali non è stato gestito dall’INAIL in quanto il soggetto svolgeva la sua attività professionale presso l’Arsenale Militare, sia pure come civile, per cui il paziente ha inoltrato domanda di Causa di servizio.
Nel caso dell’esposizione familiare, si trattava di una donna che era
solita lavare le tute da lavoro del figlio esposto ad amianto nell’ambito
Tabella I. Casi di neoplasia professionale per settore lavorativo
Settori lavorativi
Soggetti
Edilizia/carpenteria
5
Installazione impianti idraulico-sanitari
2
Installazione impianti elettrici
3
Centrali geotermiche/termoelettriche
3
Produzione cemento-amianto
2
Cantieristica navale
1
Arsenale navale
1
Costruzione e riparazione rotabile ferroviario
1
Oreficeria
1
Tessile
1
Raffineria
1
Fornace
1
Pubblica sicurezza
1
Figura 1. Casi valutati dall’INAIL
dell’attività di meccanico di auto da competizione. Il caso considerato extraprofessionale era rappresentato da un soggetto che nel tempo libero si
occupava di riparazioni idrauliche. I 5 casi per i quali in base alle informazioni disponibili la patologia non era riferibile all’attività professionale avevano svolto l’attività di sarto, impiegato, falegname, addetta al maglificio e conciatore.
DISCUSSIONE
Insieme ai settori di attività tipicamente propri della lavorazione dell’amianto, quali la produzione di manufatti in cemento amianto, la cantieristica navale e la produzione e la manutenzione di rotabili ferroviari,
emergono settori di produzione in passato poco valutati, definibili come
“utilizzatori a valle” (6,7), nel senso che non impiegavano l’amianto come materia prima, ma come materiale ausiliario. Questi ultimi sono rappresentati per lo più dall’edilizia, dall’installazione di impianti idraulici
ed elettrici, dal lavoro presso le centrali termoelettriche. La casistica esaminata interessa non solo la zona di Siena, ma anche altre province della
Toscana, in particolare della Toscana Sud (Arezzo e Grosseto) ed altre
Regioni.
Alla luce dei risultati osservati non si comprende come interi settori,
in particolare l’edilizia e l’installazione di impianti idraulici ed elettrici,
nei quali peraltro la presenza del rischio è nota storicamente, non vengano solitamente presi in considerazione nei programmi di sorveglianza sanitaria degli ex esposti ad asbesto. È presumibile poi che in questo ambito, accanto a rari mesoteliomi, si possano riscontrare patologie neoplastiche e non neoplastiche meno rare.
Con l’emanazione della legge n. 257/92 è stata proibita in Italia l’estrazione, l’importazione, la lavorazione, l’utilizzazione e la commercializzazione dell’amianto.
L’applicazione a livello nazionale di tale provvedimento legislativo
ha di fatto eliminato la possibilità di un’esposizione ad amianto in numerose lavorazioni. Allo stato attuale però il rischio da asbesto permane in
alcuni settori quali l’edilizia, ma anche l’installazione di impianti idraulici ed elettrici, nei quali sono previsti interventi di vario tipo (manutenzione, sostituzione, demolizione) che coinvolgono strutture, impianti o
costruzioni realizzati negli anni precedenti l’emanazione della legge. Nel
territorio senese ed in generale Toscano, sono proprio i lavori di ristrutturazione che costituiscono una parte molto importante del settore edile. La
tendenza della neoplasia ad interessare questa categoria di lavoratori è
confermata anche nel secondo rapporto del Registro Nazionale Mesoteliomi pubblicato dall’ISPESL. Infine, considerando che anche esposizioni di lieve entità possono provocare la comparsa del mesotelioma, non si
può escludere la futura comparsa di nuovi casi attribuibili alle attuali
esposizioni.
BIBLIOGRAFIA
1) Marinaccio A., Montanaro F., Mastrantonio M., e coll.: Predictions
of mortalità from pleural mesothelioma in Italy: a model based on
asbestos consumption figures supports results from age-cohort models. Int. J. Cancer 115: 142-147, 2005
2) Lombardi S., Girelli R., Barbieri P.G.: Mesoteliomi pleurici da insolita e ignorata esposizione professionale ad amianto. Ruolo dei servizi territoriali di prevenzione nell’individuazione della pregressa
esposizione lavorativa. Medicina del lavoro 96: 426-31, 2005
3) Costantini A., Gorini G., S. Silvestri, Cacciarini G., Badiali A.M.:
Breve resoconto sulla casistica 1988-2003. Archivio Regionale Toscano dei Mesoteliomi Maligni. Firenze, 2003
4) Travis W.D., Brambilla E., Müller-Hermelink H.K., Harris C.C.:
Classification of Tumours. Pathology and Genetics of Tumours of
the Lung, Pleura, Thymus and Heart. (Eds) WHO, Lyon, IARC
Press, 2004
5) Marinaccio A., Nesti M., Gorini G., Musti M., e coll.: Linee guida
per la rilevazione e la definizione dei casi di mesotelioma maligno e
la trasformazione delle informazioni all’ISPESL da parte dei Centri
Operativi Regionali. Seconda edizione. Roma, ISPESL, 2004
6) Marinaccio A., Nesti M., Massari S., Scarselli A.: Sistemi di Sorveglianza Nazionale in tema di cancerogenesi professionale: il ruolo
dell’Ispesl. In: Ex esposti a cancerogeni occupazionali: quale prevenzione? Roma, ISPESL, 2006
7) Marinaccio A., Cauzillo G., Chellini E., Montanaro F., Silvestri S.,
Gorini G., e coll: Registro Nazionale dei Mesoteliomi. Secondo rapporto. Roma, ISPESL, 2006
334
COM-02
MESOTELIOMA MALIGNO (MM) NEL SESSO FEMMINILE:
DATI DEL REGISTRO MESOTELIOMI DELLA REGIONE
FRIULI VENEZIA GIULIA
R. De Zotti, A. Damian, A. Muran* §§
SC Medicina del Lavoro. Azienda Ospedaliero-Universitaria “Ospedali
Riuniti di Trieste”, Via Pietà 19 34129 Trieste
* SC Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro - Azienda per i Servizi
Sanitari Triestina, Piazzale Canestrini, 2 34129 Trieste
§§ Hanno collaborato alla raccolta dei dati le S.C. di Prevenzione e
Sicurezza Ambienti di Lavoro di: Trieste (D. Calligaro), Gorizia (L.
Santarpia.), Alto Friuli (S. Mentil), Medio Friuli (B. Alessandrini), Basso
Friuli (G. Munafò) e Friuli Occidentale (C. D’Alessandro)
Corrispondenza: dr.ssa Renata De Zotti, SC “Medicina del Lavoro”,
Ospedale Maggiore Via Pietà, 19, 34129 Trieste, 040 3992312
[email protected]
RIASSUNTO. Il Registro Mesoteliomi della Regione Friuli Venezia
Giulia, per il periodo 2000-2003, ha registrato 248 casi di MM e 44
(18%) di questi erano donne. Il 36 casi la diagnosi di malattia era “certa”
e nei restanti 8 “probabile” o “possibile”. L’età media è risultata di 72.8
anni (DS=12.7); la sede era pleurica nel 93% dei casi. Per la raccolta dei
dati di pregressa esposizione ad asbesto si sono utilizzate le Linee Guida
del Registro Nazionale Mesoteliomi. Informazioni sulla pregressa esposizione ad asbesto erano disponibili per 36 soggetti con malattia “certa”:
l’esposizione è risultata professionale in 8 casi, familiare in altri 6, mentre per i restanti è rimasta “ignota” in quanto le informazioni raccolte erano insufficienti per una corretta valutazione, oppure non vi era alcuna
informazione sull’esposizione.
Viene sottolineata l’importanza delle esposizioni extraprofessionali
ad asbesto tra le donne. Approfondimenti per ridurre al minimo i casi di
donne affette da MM con esposizione “ignota” potrebbe contribuire ad
una miglior conoscenza del ruolo di fattori eziopatogenetici diversi dall’esposizione professionale ad amianto nella genesi della malattia.
Parole chiave: mesotelioma maligno, donne, esposizione ad asbesto
MALIGNANT MESOTHELIOMA (MM) IN WOMEN: FINDINGS OF THE
MESOTHELIOMA REGISTER OF THE FRIULI VENEZIA GIULIA REGION
ABSTRACT. During the period 2000-2003, the Mesothelioma
Register of the Friuli Venezia Giulia identified 248 cases of MM, 44 of
which (18%) were female. In 36 cases the diagnosis was “certain” and
in 8 “probable” or “possible”. Mean age at diagnosis was 72.8 years
(SD=12.7), and the site of the disease was the pleura in 93% of cases.
Information about previous exposure to asbestos was collected in
accordance with the guidelines of the National Mesothelioma Register.
Occupational exposure to asbestos was documented in only 8 cases and
family exposure in 6 others. In the remaining cases the source of exposure
was “unknown” because of insufficient data, or there were no data at all.
The study highlights the role played by extra-occupational exposure to
asbestos among women and the need for careful investigation into previous
asbestos exposure in all females with MM. In order to improve our
knowledge of the part played by factors other than occupational exposure to
asbestos in triggering the disease, it is crucial to reduce he number of cases
with no information or “unknown” exposure to this dangerous substance.
Key words: malignant mesothelioma females asbestos exposure
INTRODUZIONE
Il mesotelioma maligno è un tumore che origina dalla trasformazione in
senso neoplastico della cellula mesoteliale. Può manifestarsi qualsiasi cavità
dell’organismo ricoperta da mesotelio e cioè pleura, peritoneo, pericardio e
tonaca vaginale del testicolo (8). Circa l’80% dei mesoteliomi maligni nel
mondo occidentale si sviluppa in individui con un’esposizione all’amianto
superiore a quella della popolazione generale, tuttavia altri fattori eziopatogenetici sono in valutazione; tra questi altri minerali fibrosi, radiazioni ionizzanti, virus, fattori genetici (4,8,9). Il rischio di MM risulta diverso nei
due sessi e l’andamento della mortalità, quasi costante nelle donne rispetto
a quello dei maschi, suggerirebbe, secondo alcuni autori, l’esistenza di una
esposizione soglia e un ruolo dell’esposizione ambientale (2,6).
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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Da tempo, in vari paesi, sono stati istituiti dei Registri dedicati a tale patologia per meglio conoscerne gli aspetti epidemiologici ed eziopatogenetici e il Registro Nazionale Mesoteliomi (ReNaM) ha recentemente pubblicato il II Rapporto sui dati di mesotelioma in Italia (4).
Dato che la Regione Friuli Venezia Giulia si pone ai primi posti in
Italia per mortalità da mesotelioma, il presente lavoro si propone di valutare le caratteristiche dei MM e le esposizioni professionali ed extraprofessionali tra i casi di mesotelioma maligno incidenti, tra le donne residenti in questa Regione, nel periodo 2000-2003.
MATERIALI E METODI
Nella Regione Friuli Venezia Giulia, dal 2003 è presente il Centro
Operativo Regionale (COR) del ReNaM il cui compito è raccogliere tutti i casi di MM incidenti nella regione dal 1gennaio 2000, seguendo le Linee Guida Nazionali (5). La valutazione dell’esposizione professionale
ed extraprofessionale ad asbesto si è basata sull’intervista al soggetto e/o
a parenti/colleghi di lavoro, ma anche su dati INAIL, INPS, libretti di lavoro, cartelle cliniche.
RISULTATI
Nell’intervallo di tempo considerato sono stati diagnosticati 248 casi di MM, 44 (18%) dei quali di sesso femminile, con un rapporto M/F
pari a 4.6. Tra le donne, la malattia è risultata certa (dato istologico) in 36
casi (88%) e probabile/possibile negli altri. In 41(93%) casi la localizzazione era pleurica e solo in 3 casi peritoneale (Tabella I). L’età media alla diagnosi è risultata 69 anni (DS=12).
Tra i 44 casi di MM nel sesso femminile è stata individuata una esposizione professionale in 8 (18%)e una esposizione familiare in altri 6
(14%); per 17 casi (39%) le informazioni disponibili non hanno consentito
una valutazione sulla pregressa esposizione ad asbesto (esposizione ignota); per 13 casi mancava qualsiasi dato di esposizione. I dati di pregressa
esposizione ad asbesto sono risultati molto diversi nei due sessi (Tabella II).
L’esposizione professionale, per le donne, ha riguardato i settori lavorativi indicati nella Tabella III.
L’esposizione extraprofessionale è risultata di tipo domestico in tutti
i casi e il settore lavorativo, del familiare/i coinvolti nell’esposizione, è
risultato quasi esclusivamente quello della navalmeccanica (Tabella IV).
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Nella nostra casistica i MM nel sesso femminile, soprattutto a localizzazione peritoneale, costituiscono una quota inferiore rispetto ai dati
del Registro Nazionale (4). È probabile che la differenza sia in relazione
alle migliorate tecniche diagnostiche per i casi più recenti, come quelli
descritti in questo studio. Vi è una notevole differenza tra maschi e femmine in relazione alla quota di casi cui è stato possibile attribuire una
esposizione professionale ed extraprofessionale.
Nelle donne l’esposizione professionale riguarda solo il 18% dei casi, mentre è molto elevata la quota di soggetti con esposizione “ignota” o
“non determinata”. Il ReNaM prevede particolare attenzione per le espoTabella I. Mesoteliomi: livelli di certezza diagnostica
e localizzazione in Femmine e Maschi
Tabella II. Pregressa Esposizione ad asbesto in Femmine e Maschi
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
335
Tabella III. Esposizioni professionali (certe/probabili/possibili)
COM-03
UTILIZZO DI BIOMARKERS NELLA
PREVENZIONE E DIAGNOSI PRECOCE DEL
MESOTELIOMA MALIGNO DELLA PLEURA
M. Amati1, M. Tomasetti1, M. Scartozzi2, L.
Mariotti1, M. Ciuccarelli1, M. Valentino1, M.
Governa1, L. Santarelli1
Tabella IV. Esposizione Familiare
1Dipartimento di Patologia Molecolare e Terapie
Innovative, Medicina del Lavoro, Università
Politecnica delle Marche, Ancona.
2Dipartimento di Oncologia Medica, Azienda
Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti Umberto I
- G.M. Lancisi - G. Salesi, Ancona.
Corrispondenza: Dott. Monica Amati, Università
Politecnica delle Marche, Dipartimento di Patologia
Molecolare e Terapie Innovative, Clinica di Medicina
del Lavoro, Tronto 10/a , 0020 Torrette (AN)
tel. 071-2206064/60, fax 071-2206062,
e-mail: [email protected]
sizioni “ignote” in quanto continui approfondimenti a livello Nazionale
possono far emergere esposizioni ad amianto prima sconosciute (4).
Tra le esposizioni extra-professionali, solo l’esposizione familiare è rappresentata nella nostra casistica. La modalità di esposizione, già ampiamente
descritta in letteratura, è legata a convivenza con familiari professionalmente esposti ad amianto (1,2,3,4). Esposizioni ambientali, che in letteratura sono state documentate in prossimità di miniere di amianto, di fabbriche che
producevano cemento-amianto o di settori industriali con ampio utilizzo di
amianto (3,4,7), non sono finora state identificate nella nostra Regione.
L’ampio dibattito su fattori eziopatogenetici del mesotelioma diversi
dall’amianto, può trovare utili supporti da registri specifici come quello
Italiano e, in particolare dallo studio dell’andamento epidemiologico della malattia nelle donne rispetto ai maschi (2,6,7). Per le donne risulta particolarmente importante l’approfondimento di tutte le fonti di pregressa
esposizione ad asbesto non solo per evidenziare esposizioni professionali o extraprofessionali finora misconosciute ma anche per meglio chiarire il ruolo di altri fattori nella genesi della malattia.
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RIASSUNTO. Il mesotelioma maligno della
pleura (MPM) è una patologia correlata all’esposizione all’asbesto. È stato valutato il significato di biomarkers coinvolti nella genesi, sviluppo e trasformazione del MPM. La 8-idrossi-2’-desossiguanosina (8OHdG) leucocitaria, i fattori angiogenici (PDGβ, HGF,
FGF-b, VEGFβ), le metalloproteinasi (MMP2, MMP9) ed i loro inibitori (TIMP1, TIMP2), e la mesotelina (small mesothelin related peptides,
SMRPSs), sono stati valutati in 22 pazienti con MPM, in 94 lavoratori ex
esposti all’asbesto ed in 54 soggetti di controllo. Gli ex esposti all’asbesto e quelli con MPM mostravano elevati livelli di 8OHdG rispetto ai
controlli. L’8OHdG discriminava gli esposti dai controlli ma non dai
MPM. Elevati livelli di SMRPs sono stati trovati nei MPM discriminando questi dagli ex esposti e dai controlli, ma non gli ex esposti dai controlli. VEGFβ distingueva i MPM sia dagli ex esposti che dai controlli,
ma anche gli ex esposti dai controlli. Non avevano un valore diagnostico
MMP2, MMP9, TIMP1, TIMP2. La combinazione dell’8OHdG, VEGFβ
e SMRPs aiuta a stratificare i gruppi divenendo un potenziale indicatore
diagnostico nel MPM. L’utilizzo di biomarkers, insieme a indagini radiologiche, potrebbe essere usato per valutare il rischio di MPM in una popolazione esposta all’asbesto.
Parole chiave: mesotelioma pleurico maligno, mesotelina, 8OHdG
BIOMARKERS FOR PREVENTION AND EARLY DIAGNOSIS OF MALIGNANT
PLEURAL MESOTHELIOMA
ABSTRACT. Improved detection methods for diagnosis of
asymptomatic malignant pleural mesothelioma (MPM) are essential for
an early and reliable detection and treatment of this disease. Thus, focus
has been on finding tumour markers in the blood. 94 asbestos-exposed
subjects, 22 patients with MM, and 54 healthy subjects were recruited for
evaluation of the significance of 8-hydroxy-2’-deoxy-guanosine (8OHdG)
in white blood cells and plasma concentrations of soluble mesothelinrelated peptides (SMRPs), angiogenic factors (PDGFβ, HGF, bFGF,
VEGFβ), and matrix proteases (MMP2, MMP9, TIMP1, TIMP2) for
potential early detection of MM. The area under ROC curves (AUC)
indicates that 8OHdG levels can discriminate asbestos-exposed subjects
from controls but not from MPM patients. Significant AUC values were
found for SMRP discriminating asbestos-exposed subjects from MPM
patients but not from controls. VEGFβ can significantly differentiate
asbestos-exposed subjects from control and cancer groups. No diagnostic
value was observed for MMP2, MMP9, TIMP1, TIMP2. The sensitivity
and specificity results of markers were calculated at defined cut-offs. The
combination of 8OHdG, VEGFβ and SMRPs best distinguished the
individual groups, suggesting a potential indicator of early and advanced
MPM cancers. The combination of blood biomarkers and radiographic
findings could be used to stratify the risk of mesothelioma in asbestosexposed populations.
Key words: malignant pleural mesothelioma, mesothelin, 8OHdG
336
INTRODUZIONE
Il mesotelioma maligno della pleura (MPM) è un tumore molto aggressivo che colpisce le sierose, resistente alla terapia convenzionale sia
chirurgica che radiante o farmacologica la cui incidenza nel mondo è in
aumento (1). La sopravvivenza dei pazienti dalla diagnosi è di circa 12
mesi e il principale fattore coinvolto nella patogenesi del MPM è il rischio occupazionale dovuto all’esposizione all’asbesto. L’effetto carcinogenico dell’asbesto coinvolge la formazione delle specie radicaliche dell’ossigeno (2) con rotture del DNA (4) ed ossidazione delle basi azotate
e il loro accumulo è il primo evento della carcinogenesi. Tra queste basi
la 8OHdG rappresenta la lesione pre-cancerosa maggiormente implicata
nella trasformazione neoplastica. La crescita tumorale e le metastasi sono eventi che dipendono dall’angiogenesi e come altri tumori anche il
MPM induce la crescita dello stroma vascolare (7). Le metalloproteinasi
(MMPs) appartengono al gruppo degli enzimi di degradazione della matrice extracellulare (ECM) e il bilancio della secrezione delle MMPs e dei
loro inibitori specifici (TIMPs) gioca un ruolo importante nel mantenere
l’omeostasi del tessuto connettivo a tessuto normale (8). Si sa che MMP2
e MMP9 attivate hanno un impatto nella carcinogenensi del MPM quindi la determinazione di questi mediatori nel plasma potrebbe essere usata per una diagnosi precoce e non invasiva del MPM. Studi recenti sono
stati condotti su peptidi solubili relativi alla mesotelina (SMRPs) ed hanno evidenziato il loro ruolo promettente come biomarker del MPM
(9,10). I SMRPs sono espressi normalmente a bassi livelli nelle cellule
mesoteliali e la loro sovra-espressione è stata osservata in alcuni tumori
incluso il MPM. I SMRPs possono essere misurati nel siero e sono molto aumentati nel sangue dei pazienti con MPM (9) e con carcinoma ovarico (10). Nel nostro studio sono stati valutati i livelli di 8OHdG nei linfociti circolanti, la concentrazione plasmatica di SMRPs, fattori angiogenici (PDGF-β, HGF, bFGF, VEGF-β), metalloproteinasi (MMP2, MMP9)
e loro inibitori (TIMP1, TIMP2) in una coorte di lavoratori ex esposti all’asbesto, in pazienti con MPM e in controlli sani.
MATERIALI E METODI
Sono stati presi in esame tre gruppi di soggetti: 94 ex esposti all’asbesto (età media 61.3±7.4, tutti maschi, 34 non fumatori, 49 ex-fumatori, 11 fumatori) che avevano lavorato o stavano ancora lavorando nell’industria dei cantieri navali; 54 controlli non esposti (età media 63.0±7.8,
33 maschi, 21 femmine, 41 non fumatori, 5 ex-fumatori, 8 fumatori); 22
pazienti con MPM (età media 68.7±7.9, 18 maschi, 4 femmine, 6 non fumatori, 11 ex-fumatori, 5 fumatori): tutti hanno compilato un questionario e dato il loro consenso informato insieme ad un campione di sangue.
Ad ogni soggetto ex esposto è stata effettuata una prova di funzionalità
respiratoria, un Rx torace e/o HRTC; sono stati trovati segni evidenti di
patologia asbesto correlata come asbestosi e/o placche
pleuriche in 28 soggetti (24%). Per il controllo sono stati
reclutati soggetti che erano stati sottoposti ad uno screening radiografico di prevenzione presso la SOD di Pneumologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ancona. All’anamnesi professionale nessuno risultava essere
stato esposto all’asbesto e tutti avevano una radiografia
normale. I soggetti con MPM avevano una diagnosi istopatologica condotta su biopsie pleuriche di: 11 istotipi
epiteliali, 5 misti e 6 sarcomatoidi.
I livelli di 8OHdG sono stati misurati nei linfociti
usando un kit OxyDNA ed espressi in unità arbitrarie
(AU); i livelli plasmatici di SMRPs, espressi in nmol/l,
sono stati determinati usando un saggio ELISA tipo
sandwich; i saggi per la ricerca dei fattori di angiogenesi
(PDGFβ, HGF, bFGF, VEGFβ) e delle metalloproteinasi
(MMP2, MMP9, TIMP1, TIMP2) sono stati effettuati con
un sandwich ELISA ed espressi in ng/ml. Il confronto tra
i gruppi è stato fatto con il test Mann-Whitney-U per
campioni spaiati, l’analisi per le comparazioni multiple
con il Kruskall-Wallis. Sono state effettuate le curve ROC
(Receiver operating characteristic) per quantificare la
performance dei marker ed è stato calcolato il miglior
cut-off statistico. I valori AUC sono riportati al loro intervallo di confidenza del 95%. I calcoli statistici sono
stati condotti utilizzando la versione 12.0F dell’SPSS
considerando statisticamente significative le differenze
con la p<0.05.
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RISULTATI
Le concentrazioni di biomarkers nei 3 gruppi sono mostrate in
Tab. I.
I valori sono rappresentati come media ±SD. Le differenze significative tra i gruppi sono state calcolate con il test Kruskal-Wallis. *esposti
vs. controlli, §MPM vs. Controlli, °MPM vs. esposti, p=0.00005
Alti livelli di 8OHdG sono stati riscontrati nei linfociti degli ex
esposti e dei pazienti con MPM in confronto con quelli dei controlli.
Le concentrazioni plasmatiche di SMRPs degli ex esposti non erano
diverse da quelle dei controlli ma i pazienti con MPM mostravano alti livelli di SMRPs a confronto sia degli ex-esposti che dei controlli. I
livelli medi plasmatici di PDGFβ, HGF, bFGF e VEGFβ erano significativamente aumentati nel gruppo degli ex esposti e ancor più in
quello dei mesoteliomi a confronto con i controlli. I livelli di MMP2,
MMP9, TIMP1, TIMP2 non sono risultati diversi nei tre gruppi. Nessuno dei biomarkers è risultato influenzato dal sesso, età, fumo e presenza o assenza di placche pleuriche o asbestosi. Le curve ROC sono
state calcolate per analizzare i valori diagnostici dei singoli markers
(Fig.1).
La SMRPs è il marker con la più alta area sotto la ROC (AUC) e permette di discriminare i pazienti con MPM sia dai controlli che dagli ex
esposti. Una curva AUC che non raggiunge un significato statistico è stata osservata comparando gli esposti con i controlli. Il livello di 8OHdG è
risultato appropriato per valutare l’esposizione all’asbesto; il confronto
dei soggetti ex esposti con i controlli mostra una AUC di 0.775±0.037;
p=0.001 e la AUC per discriminare i pazienti con MPM dai controlli è di
0.788±0.090; p=0.004. Una AUC non statisticamente significativa è stata trovata tra gli ex esposti ed i pazienti con MPM. Nessun valore diagnostico è stato osservato per MMP2, MMP9, TIMP1, TIMP2 con valori di AUC che non distinguono i 3 gruppi (dati non mostrati). Il VEGFβ,
distingue gli ex esposti sia dai controlli che dai pazienti con MPM, ed i
pazienti con MPM dai controlli. Sono stati calcolati i risultati di sensibilità e specificità dei marker; la Tab. II mostra la sensibilità e la specificità
diagnostica al 90% dei SMRPs, 8OHdG, PDGFβ, HGF, bFGF, e VEGFβ
che distingue i controlli dagli ex esposti, gli ex esposti dai mesoteliomi, i
controlli dai mesoteliomi.
Risultati dell’analisi ROC condotta su 54 controlli (Ctrl), 94 ex esposti (Exp), e 22 pazienti con MPM. Il cut-off corrisponde al valore di 90%
sensibilità e specificità come indicato.
Allo scopo di migliorare la sensibilità e la specificità nell’evidenziare la probabilità di sviluppare la malattia due o più biomarkers possono
essere combinati insieme. Mediante regressione logistica si è evidenziato
che combinando la 8OHdG con il VEGFβ il valore diagnostico aumenta
(Fig.2 A,B).
Tabella I. Livelli dei biomarkers nel plasma
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Figura 1. Curve ROC per 8OHdG, SMRPs e VEGFβ. L’area sottesa alle curve (AUC)
è stata determinata per 8OHdG, SMRPs, e VEGFβ e discrimina i controlli (Ctrl) dagli
ex esposti (Exp), gli ex esposti dai pazienti con MPM (MPM), ed i controlli dai
pazienti con MPM. Sono state considerate significative le AUC con p<0.05.
Tabella II. Sensibilità e specificità diagnostica di SMRPs, 8OhdG, PDGFβ,
HGF, bFGF, e VEGFβ nel distinguere i Ctrl dagli Exp, gli Exp dai soggetti
con MPM, i Ctrl dai MPM
Figura 2. Curve ROC di 8OHdG, VEGFβ, e combinazione di of 8OHdG e VEGFβ
come marker predittivo di MPM. A) Le AUCs sono state determinate per 8OHdG e
VEGFβ da sole e in combinazione per discriminare i controlli (Ctrl) dagli ex esposti
(Exp). B) il grafico di SMRPs e la combinazione di 8OHdG e VEGFβ discrimina gli
ex esposti (cerchi), dai controlli (punti).
337
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
È molto importante riuscire a trovare un biomarker
o una combinazione di diversi biomarkers che siano in
grado di predire lo sviluppo del MPM o di rivelare la
patologia nei suoi stadi più precoci nella popolazione
ad alto rischio. L’8OHdG è un indicatore di danno ossidativo al DNA indotto dai ROS (6) che è stato largamente usato come biomarker per rilevare lo stress ossidativo. Nel nostro studio gli ex esposti e i pazienti con
MPM hanno mostrato alti livelli di 8OHdG che li differenziano dai controlli. L’aumentata produzione di
8OHdG indica che alti livelli di ROS vengono prodotti
dai linfociti dei soggetti esposti all’asbesto; i ROS sono elementi critici per lo sviluppo delle patologie asbesto correlate (3,4,5) ed il danno ossidativo al DNA dei
linfociti può essere indotto come risposta all’aumentato stress ossidativo sulla pleura dei soggetti cronicamente esposti all’asbesto. Abbiamo trovato che il biomarker 8OHdG discrimina i soggetti esposti dai controlli ma non dai pazienti con MPM ed è espressione di
danno ossidativo causato dall’esposizione alle fibre di
asbesto, ma non può essere usato per discriminare tra
gli esposti chi abbia o meno un MPM. I SMRPs plasmatici sono stati proposti come marker per la diagnosi di MPM (10). Nel nostro studio i pazienti con MPM
hanno mostrato alti livelli plasmatici di SMRPs rispetto agli ex esposti e ai controlli. I livelli di SMRP possono discriminare i pazienti con MPM sia dagli esposti
all’asbesto che dai controlli, ma non differenziano gli
esposti dai controlli e quindi il livello di SMRPs nel
plasma può essere proposto come biomarker adatto per
la diagnosi di MPM ma non per predirne la comparsa. I
fattori di crescita ed in particolare il VEGFβ possono
distinguere gli ex esposti dai controlli e dai soggetti con
MPM. Abbiamo calcolato la differente sensibilità e specificità dei markers e il miglior indicatore di MPM si
sono rivelati i SMRPs con un’alta sensibilità e specificità. Abbiamo trovato che la combinazione del marker
di esposizione 8OHdG con il fattore di crescita VEGFβ
aumenta di molto la sensibilità e specificità nel discriminare la popolazione esposta dai controlli. Il valore
dei nostri biomarkers come indicatori sia predittivi che
di presentazione clinica del MPM, necessita di essere
validato in studi prospettici in cui i soggetti ex esposti
saranno periodicamente controllati per un adeguato periodo di tempo.
In conclusione, la combinazione dei biomarkers
ematici e dei segni radiografici potrebbe essere usata per
stratificare il rischio di mesotelioma in una popolazione
con una storia di esposizione all’asbesto, placche pleuriche, asbestosi ed elevati livelli plasmatici dei biomarkers.
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COM-04
PATOLOGIE ASBESTO CORRELATE IN CONGIUNTI DI
LAVORATORI DEL SETTORE CEMENTO-AMIANTO
V. Luisi, R. Dario, G. Serio1, B.Licchelli, E.S. Mera, R. Molinini
U.O. Medicina del Lavoro Ospedaliera
1Anatomia Patologica - Università di Bari
Azienda Ospedaliero Universitaria Consorziale Policlinico di Bari
Corrispondenza: Dott. Vito Luisi, U.O. Medicina del Lavoro
Ospedaliera, Azienda Ospedaliero Universitaria Consorziale Policlinico
di Bari, P.zza Giulio Cesare, 11 - 70124- Bari, [email protected]
RIASSUNTO. Abbiamo sottoposto agli accertamenti diagnostici
abituali per i lavoratori esposti ad asbesto i congiunti conviventi di 11 dipendenti di una fabbrica di manufatti di cemento amianto di Bari. Hanno
spontaneamente richiesto o accettato la nostra proposta di sottoporsi agli
esami diagnostici 9 mogli e 17 figli. Nel gruppo si sono manifestate non
solo patologie asbesto-correlate non dipendenti dalla dose, 2 casi di mesotelioma maligno delle pleure, ma anche patologie dose-dipendenti come 15 ispessimenti pleurici a placca e 2 asbestosi a dimostrazione dell’elevato livello di contaminazione domestica presente nelle abitazioni dei
lavoratori. Per tutti la fonte di contaminazione era rappresentata dal trasporto degli abiti da lavoro a domicilio.
ASBESTOS-RELATED
DISEASES IN RELATIVES OF ASBESTOS EXPOSED
WORKERS
ri di un’azienda del settore cemento-amianto di Bari al fine di definire la
tipologia di alterazioni riscontrabili, i tempi di comparsa delle stesse lesioni ed i fattori ambientali domestici che possono aver favorito l’insorgenza delle patologie asbesto-correlate.
MATERIALI E METODI
Il gruppo iniziale dei soggetti era composto da 11 mogli e 31 figli di
11 gruppi familiari i cui capi famiglia (“soggetto fonte”) hanno lavorato
in uno stesso stabilimento di cemento-amianto di Bari. Nell’arco temporale 1996-2007 hanno richiesto spontaneamente o accettato la nostra proposta di sottoporsi ad accertamenti diagnostici 9 mogli e 17 figli. Essendo terminata la produzione dello stabilimento a metà degli anni ottanta,
tutte le nostre diagnosi sono state effettuate da 10 a 20 anni dopo la cessazione dell’esposizione per i familiari conviventi dei lavoratori. Tutte le
mogli sono state sposate solo con i lavoratori “fonte” e tutti i figli appartengono ad uno degli 11 gruppi familiari presi in esame.
Le informazioni sull’esposizione ambientale domestica sono state ottenute utilizzando apposito questionario, peraltro già proposto in letteratura (5), rielaborato per la raccolta di dati relativi a: igiene dell’ambiente
domestico, superficie, numero di stanze, punti di aerazione delle abitazioni, periodo di coabitazione col lavoratore considerato fonte di contaminazione domestica (anni di esposizione), frequenza dei lavaggi della
tuta a domicilio ed altre modalità di possibile diffusione delle fibre (es.
metodi di pulizia domestica e di lavaggio). Tutti i soggetti sono stati sottoposti, inoltre, ad esame obiettivo, test di funzionalità respiratoria compresa la DLCO, TC HR torace. Solo due soggetti hanno accettato di sottoporsi a esame broncoscopico con BAL utilizzato per la ricerca e il conteggio dei corpuscoli di asbesto.
Sono state escluse per i familiari in esame altre esposizioni professionali o ambientali ad amianto ad eccezione di: 2 famiglie che avevano
abitato nel raggio di 1 Km dallo stabilimento in questione e di 1 soggetto di sesso maschile che, dopo aver subito una esposizione domestica per
25 anni, aveva successivamente lavorato come operaio nella stessa fabbrica del padre per altri 17 anni.
RISULTATI
L’età media delle mogli, all’ultima osservazione del 2007, era di 70.1
anni e quella dei figli 47.2 anni. Tutte le 9 mogli esaminate non hanno
mai fumato; dei 17 figli 11 sono non fumatori, 3 ex- fumatori e 2 fumano sigarette. Per la bassa numerosità non si correla alcuna variabile di
esposizione ad asbesto con il fumo.
La durata dell’esposizione domestica ad amianto del campione e le
patologie riscontrate nel gruppo delle mogli e in quello dei figli sono riportate nella Tab. I.
Tutti i gruppi familiari sono risultati affetti, mogli o anche figli, da
almeno una patologia asbesto-correlata.
Gli accertamenti effettuati hanno messo in evidenza che tutte le 9
mogli esaminate soffrono di una patologia conseguente all’esposizione ad
asbesto ed in particolare abbiamo riscontrato 2 casi di mesotelioma pleurico e 7 casi di placche pleuriche (PP); la prevalenza di patologie asbestocorrelate in questo gruppo è quindi del 100% (6).
I mesoteliomi pleurici, ambedue di tipo epiteliomorfo, sono comparsi con un periodo di latenza di 38 e 45 anni dall’inizio della convivenza
delle mogli con in marito “fonte” della contaminazione domestica.
ABSTRACT. Standard asbestos diagnostic protocol was applied to
eleven relatives of asbestos exposure ex-workers of a cement factory in Bari.
Nine wives and seventeen sons were involved as volunteers in this evaluation.
In this group two pleura malignant mesotheliomas (not dosedependent) two asbestosis and fifteen pleura plaques (dose-dependent)
were detected. This situation shows high level of asbestos contamination
at home. For all the test patients the contamination most probably
occurred because workers carried asbestos substances home from work
on their clothes.
Key words: Asbestos, household exposure, relatives,
Tabella I. Numerosità del campione, durata dell’esposizione ambientale
asbestos diseases
domestica e patologie asbesto-correlate diagnosticate nei familiari conviventi
INTRODUZIONI
È consolidata in letteratura la conoscenza dei rischi per
i familiari conviventi dei lavoratori esposti ad amianto di
contrarre patologie asbesto-correlate conseguenti alla contaminazione degli ambienti domestici a causa del trasferimento di tute da lavoro ed altri oggetti personali. Dopo la
prima segnalazione del 1965 (1) molte descrizioni episodiche di casi singoli o poco numerosi e alcuni studi hanno riguardato la comparsa di un evento sentinella sicuramente
riconducibile all’asbesto come il mesotelioma maligno (2).
Pochi studi sono stati condotti sulla comparsa di altre
patologie asbesto correlate (3,4). In questa relazione riferiamo della nostra esperienza derivante dagli accertamenti
diagnostici eseguiti nei familiari conviventi di 11 lavorato-
di 11 lavoratori del settore cemento-amianto
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Nel gruppo dei 17 figli esaminati ben 10 soggetti (59%) hanno presentato patologie asbesto-correlate: 2 con asbestosi e 8 con PP. Uno dei
due soggetti affetti da asbestosi aveva subito, come innanzi riportato, una
doppia esposizione ad asbesto sia domestica, in età infantile e adolescenziale, che professionale in età adulta.
Il tempo medio di esposizione domestica nelle mogli e nei figli portatori di IPP è stato rispettivamente di 18 e 16.4 anni e quindi abbastanza simile.
Delle 9 mogli sottoposte a prove di funzionalità respiratoria solo 1 ha
presentato un quadro respiratorio di tipo ristretto e 2 avevano valori di
diffusione alveolo capillare lievemente ridotti, entrambe affette da PP.
Due figli hanno acconsentito alla raccolta del liquido di broncolavaggio, uno affetto da asbestosi e l’altro con PP, hanno rispettivamente presentato 0.4 e 0.05 corpuscoli di asbesto per ml di campione. Tale valore è
considerato non significativo di pregressa esposizione ad asbesto (7).
Escludendo i due soggetti affetti da mesotelioma, abbiamo suddiviso
tutti i congiunti del gruppo esaminato in base agli anni di esposizione domestica: da 0 a 10 anni, da 11 a 20 anni e più di 20 anni (Fig. 1).
Nella prima fascia sono prevalenti i casi negativi; solo una moglie ha
sviluppato PP avendo appena 5 anni di coabitazione con il lavoratore
“fonte”. Nella seconda fascia d’esposizione ben 10 casi su 11 sono risultati positivi e tutti portatori di PP. Nella fascia con più di 20 anni di esposizione domestica si sono riscontrati 2 casi di asbestosi (ambedue figli),
3 soggetti con PP e, sorprendentemente, anche 2 soggetti indenni da ogni
alterazione pleurica e parenchimale. Per questi ultimi 2 casi, dall’analisi
dei questionari, si ricava una possibile spiegazione: l’esposizione domestica per i figli può essere stata mitigata dalla circostanza che la tuta da
lavoro era tenuta e lavata dalla madre in un ambiente esterno all’abitazione. La madre di questi due ragazzi, invece, è risultata portatrice di PP.
CONSIDERAZIONI E CONCLUSIONI
Nel 1986 Kilburn e coll. (8), utilizzando la radiologia convenzionale, hanno documentato in un numerosissimo campione di familiari di lavoratori dei cantieri navali di Los Angeles che l’11.3% delle mogli, il
7.6% dei figli e il 2.1% delle figlie erano affetti da “asbestosi”; gli autori comprendevano in questa definizione sia il danno parenchimale sia la
cosiddetta “asbestosi pleurica” costituita da PP. Anche Anderson (3) riporta una più alta frequenza di alterazioni radiografiche benigne nelle
mogli (48%) rispetto ai figli (21%) dei lavoratori esposti ad amianto.
Nella nostra casistica, numericamente più ridotta, utilizzando per la
diagnostica radiologica la TCHR, abbiamo osservato che la totalità delle
mogli di lavoratori del settore cemento-amianto presenta patologie asbesto-correlate neoplastiche e non, mentre tra i figli le patologie, tutte non
maligne, attingevano il 59% degli esaminati. Le differenze con il campione di Kilburn sono verosimilmente da ascrivere alla diversa sensibilità
delle tecniche diagnostiche radiologiche, ai differenti livelli espositivi
quali- quantitativi e alla diversa durata di condivisione domestica del rischio del periodo espositivo e di osservazione.
Il nostro studio, seppure limitato ad un ridotto numero di gruppi familiari, consente tuttavia alcune osservazioni di interesse clinico, epidemiologico e di sanità pubblica:
a) ogni lavoratore professionalmente esposto ad amianto ha agito da
fonte diffusiva e moltiplicativa del rischio anche a danno dei propri
familiari conviventi come ripetutamente segnalato in letteratura (2);
339
b) anche nel nostro gruppo le mogli hanno PP più frequentemente dei
figli (3,8); questo può essere dovuto al contatto più stretto con il marito e i suoi indumenti, peraltro più prolungato nel tempo;
c) le patologie asbesto correlate possono raggiungere, nei congiunti
conviventi dei lavoratori, caratteristiche cliniche e radiologiche sovrapponibili, anche per latenza, a quelle che compaiono negli esposti professionali. Infatti il contenuto di fibre nel tessuto polmonare
per l’esposizione domestica è stato riscontrato essere in molti casi simile a quello degli esposti professionali (9);
d) sono suggestivi gli incrementi del tempo medio di esposizione domestica misurati nel gruppo dei figli: 12.7 anni nei sette casi senza
alcuna patologia, 16.4 anni negli otto casi portatori di PP, 21.5 anni
nei due casi affetti da asbestosi polmonare. Questa osservazione non
è confortata, però, da una significatività statistica, nel confronto tra
gruppi, con metodi parametrici e non parametrici a motivo della ridotta numerosità campionaria;
e) le patologie asbesto-correlate manifestatesi nei congiunti di lavoratori dell’amianto, se non correttamente correlate al rischio remoto o
misconosciuto, possono talora condurre a diagnosi cliniche fuorvianti e a procedure diagnostiche o chirurgiche eccessive e a rischio.
Riteniamo doverosa un’attività di corretta informazione ai familiari
conviventi dei lavoratori esposti ad amianto per gli effetti a lunga distanza dalle esposizioni involontarie subite in ambiente domestico (10) anche
se siamo consapevoli che ciò può suscitare in taluni reazioni di allarmismo e ansia sproporzionate.
BIBLIOGRAFIA
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COM-05
VALUTAZIONE DI DOSAGGI SERIATI DI MESOTELINA SIERICA IN
PAZIENTI AFFETTI DA MESOTELIOMA MALIGNO DELLA PLEURA
S. Simonini1, R. Foddis2, R. Filiberti3, R. Puntoni3, L. Mutti4,
N. Ambrosino5, A. Chella5, G. Guglielmi1, R. Buselli1, M. Iuzzolini2,
A.Mignani1, F. Ottenga2, A. Cristaudo1
Figura 1. Numero di patologie asbesto-correlate (con esclusione dei
MM) per classi di anni di esposizione domestica dei figli e delle mogli
1U.O. Medicina Preventiva del Lavoro, Azienda OspedelieroUniversitaria Pisana
2 Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Ortopedia e
Traumatologia, Medicina del Lavoro, Università di Pisa
3 Epidemiologia e Biostatistica, IST Genova
4 Ospedale S. Pietro e Paolo, ASL 11 Vercelli
5 U.O. Pneumologia, Azienda Ospedeliero-Universitaria Pisana
340
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www.gimle.fsm.it
Corrispondenza: Silvia Simonini, U.O. Medicina Preventiva del
Lavoro, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana,Via Santa Maria 110,
Pisa.
RIASSUNTO. Il mesotelioma pleurico (MM) è un tumore maligno
con una prognosi infausta, altamente aggressivo, difficile da diagnosticare e da trattare.
Nei paesi dell’Europa occidentale è previsto un aumento dell’incidenza di MM nei prossimi 10-15 anni.
Nonostante queste stime epidemiologiche, gli unici strumenti di
screening e di diagnosi precoce per il MM sono costituiti dalle indagini
radiologiche, con evidenti risvolti di natura etica ed economica. Per questo motivo numerosi autori stanno studiando la possibilità di utilizzare dei
marcatori biomolecolari; tra questi uno dei più promettenti sembra essere la mesotelina sierica, che è stato visto essere associata a MM in maniera statisticamente significativa e che è stata ipotizzata avere una utilità
di tipo clinico (diagnostico/prognostico).
Lo scopo dello studio è quello di mostrare l’andamento dei valori di
mesotelina in relazione al decorso della malattia e ad eventuali interventi terapeutici in alcuni pazienti affetti da MM epiteliomorfo.
L’analisi dei valori di SMRP registrati ha dimostrato come tale marcatore si riveli un buon indicatore di risposta alla terapia, rimanendo stabile laddove questa abbia ottenuto il risultato di una cronicizzazione del
caso e tendendo invece a ridursi quando il paziente presenta un miglioramento clinico post-terapeutico o ad aumentare se il tumore risulta insensibile al trattamento.
Parole chiave: mesotelioma maligno; mesotelina; marcatore biomolecolare.
EVALUATION
OF A SERIES OF SERUM MESOTHELIN IN PATIENTS WITH
PLEURAL MALIGNANT MESOTHELIOMA
ABSTRACT. Pleural Malignant Mesothelioma (MM) is a highly
aggresive neoplasm with a poor survival rate, hard diagnosis and
treatment. The incidence of MM in Western Europe countries is expected
to increase drammatically in the next 10-15 years.
In spite of this drammatic scenario, at this time the only instruments
for screening and early diagnosis are based on radiological tests with
evident ethical and economical problems. For this reason, some authors
are evaluating biological indicators with the significance of screening
and early diagnosis markers. One of the most promising marker is serum
mesothelin (SMRP). SMRP levels appeares to be significantly related to
MM and its clinical (diagnostic/prognostic) usefulnes has been
suggested.
The purpouse of this research is to show SMRP trend in relation both
to the course of the disease and the response to therapies in some
Epithelioid MM patients.
The analysis of SMRP levels in these patients suggests that it may be
a useful marker for monitoring the response to treatment. In fact, it was
observed that SMRP increases in patients who did not respond to therapy,
it tends to remain stable when therapies results into a clinical
stabilization, while it decreases after surgical procedure and in case of
clinical improvement.
Key words: Malignant Mesothelioma; mesothelin; biological
marker.
INTRODUZIONE
Il mesotelioma pleurico (MM) è un tumore maligno con una prognosi generalmente infausta e a breve termine. L’incidenza di tale neoplasia, che negli anni passati era considerata estremamente rara, è in continuo aumento e nei paesi dell’Europa occidentale è previsto un picco di
mortalità per il 2019-2020. È inoltre un tumore altamente aggressivo, difficile da diagnosticare e, una volta diagnosticato, da trattare. Non esiste
uno standard terapeutico e, a causa del sostanziale fallimento dei diversi
trattamenti nel controllo della malattia, sono attualmente in corso numerosi protocolli di studio clinico con trattamenti multimodali (chirurgia,
chemioterapia, immunoterapia, radioterapia) (1). Il ruolo della chemioterapia in questa neoplasia è tuttavia in evoluzione con la scoperta di nuovi farmaci che ne hanno migliorato la sopravvivenza e la qualità della vita, sia in mono-chemioterapia che in regimi di combinazione, con risposte migliori per le associazioni di farmaci (2, 3).
Per quanto riguarda la difficoltà diagnostica, risulta particolarmente
complicata la diagnosi differenziale con la pleurite acuta infiammatoria,
con il carcinoma broncopolmonare e con le metastasi pleuriche. Inoltre
spesso la diagnosi corretta viene ritardata dalla presenza di versamenti
pleurici recidivanti che possono celare l’esordio clinico della neoplasia.
Ad oggi, per effettuare una corretta diagnosi e stadiazione della patologia, ci si avvale di diverse tecniche di imaging e di indagini immunoisto/citochimiche.
La possibilità di impiego di indagini non invasive ed a basso costo
come strumenti di screening o di diagnosi precoce per il MM ha indotto
numerosi ricercatori allo studio di markers biomolecolari. Ad oggi, tra i
marcatori che in diversi studi epidemiologici sono risultati associati al
MM, uno dei più promettenti sembra essere la mesotelina sierica, che è
stato visto essere associata a MM in maniera statisticamente significativa
e che è stata ipotizzata avere una utilità clinica di tipo diagnostico, prognostico e come indicatore di risposta al trattamento (4, 5, 6).
Lo scopo del presente studio è quello di mostrare l’andamento dei
valori sierici di mesotelina in relazione al decorso della malattia e ad
eventuali interventi terapeutici, in alcuni pazienti affetti da MM epiteliomorfo.
MATERIALI E METODI
Da una casistica di 46 pazienti affetti da MM epiteliomorfo, ricoverati per diagnosi e cura presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, ne sono stati selezionati alcuni sottoposti a 2 o più dosaggi di mesotelina sierica e di cui disponevamo di sufficienti informazioni in merito
allo stadio di malattia, alle condizioni cliniche generali ed alla terapia effettuata.
Ogni paziente è stato sottoposto (dopo aver firmato un modulo di
consenso informato approvato dal Comitato Etico) ad un’intervista diretta, strutturata sulla base dei questionari dei centri operativi regionali del
Re.Na.M. (COR).
Nel tempo sono stati registrati i trattamenti di tipo chirurgico e medico a cui sono stati sottoposti, il decorso clinico della malattia con gli
eventuali relativi passaggi di stadio.
La maggior parte (68%) dei pazienti con diagnosi di MM appartenenti alla intera nostra casistica presentava valori di mesotelina superiori
a 1nM. Di questi ne sono stati selezionati sei di cui disponevamo delle
informazioni più dettagliate per lo studio.
I campioni di sangue di tutti gli individui sono stati ottenuti tramite
prelievo venoso, lasciato coagulare per circa 30 minuti e quindi centrifugato per 15 minuti a 1000 giri/min. Le aliquote di siero sono quindi state
conservate, fino al momento del dosaggio, a -80° C.
Le concentrazioni di mesotelina sierica sono state determinate con il
MESOMARK (® by Fujirebio Diagnostics, Inc. Malverne, PA, USA),
saggio immunoenzimatico a due step di tipo quantitativo, basato su una
metodica colorimetrica standardizzata di tipo ELISA.
I dosaggi sono stati eseguiti da personale all’oscuro della diagnosi
dei soggetti corrispondenti ai codici posti sulle provette di siero. Tutti i
campioni di siero sono stati analizzati due volte.
RISULTATI
Dall’analisi dei casi di MM selezionati abbiamo ottenuto i seguenti
risultati: si tratta di sei pazienti, cinque di sesso maschile ed una di sesso
femminile, affetti da MM epiteliomorfo; l’età media è risultata essere 69
anni; tutti negavano familiarità per patologie neoplastiche, mentre tre riferivano precedenti patologie respiratorie (bronchiti ricorrenti, TBC polmonare, silicosi); alla diagnosi di MM epiteliomorfo due si presentavo in
stadio II, tre in stadio III e uno in stadio IV (stadiazione IMIG); la risposta alla terapia è risultata buona in tre pazienti con remissione del quadro
clinico, due pazienti hanno invece presentato una mancata risposta terapeutica con peggioramento clinico, mentre in un caso c’è stata una cronicizzazione della patologia. I valori di mesotelina sierica al primo dosaggio risultano essere tutti superiori a 1 nM, con un valore medio di 6,057
nM, mentre per il dosaggio post-terapeutico si ottiene una media di 4,55
nM. Nei due pazienti B.A. e M.D. (Fig. 1 e 2) che hanno presentato un
aggravamento del quadro clinico, nonostante i trattamenti terapeutici effettuati, i valori sierici di mesotelina sono marcatamente aumentati nel
tempo.
Nei tre casi M.V., B.I. e B.M. (Fig. 3, 4, 5) che hanno avuto una buona risposta terapeutica si nota invece un’importante diminuzione dei livelli di mesotelina sierica, in concomitanza con una riduzione del 50%
delle lesioni in M.V. ed in B.I. e con un progressivo miglioramento clinico in B.M.
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341
Figura 1. B.A. maschio, 73aa, MM epiteliomorfo
Figura 4. B.I. maschio, 74 aa, MM epiteliomorfo
Figura 2. M.D. maschio, 78 aa, MM epiteliomorfo
Figura 5. B.M. maschio, 57 aa, MM epiteliomorfo
Figura 3. M.V. maschio, 60 aa, MM epiteliomorfo
Figura 6. N.G. femmina, 58 aa, MM epiteliomorfo
Infine nel caso N.G. (Fig. 6) i valori sierici del marcatore rimangono
costanti nel tempo, in accordo con la stabilizzazione del quadro clinico.
Tali risultati sono dettagliatamente riportati nella tabella I per ciascuno dei pazienti analizzati.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
A fronte della drammaticità delle stime epidemiologiche sull’incidenza e la mortalità del MM per gli anni a venire, recentemente alcuni
markers sono stati studiati con la finalità di valutarne il significato clini-
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Tabella I. schema riassuntivo dei 6 casi clinici analizzati
CT: chemioterapia; CH: chirurgia; IL-2: immunoterapia con IL-2; PF: pleurodesi fisica; R: remissione; A: aggravamento;
C: cronicizzazione.
co e preventivo. Tra i più interessanti in questo senso si è dimostrato essere la mesotelina sierica. Valori elevati di questa glicoproteina sono risultati associati in maniera statisticamente significativa al mesotelioma
(4, 5, 6) e al tumore polmonare (5). Questo dato, ribadito da più autori,
suggerisce che il marcatore potrebbe avere una applicazione clinica di tipo diagnostico, soprattutto in diagnosi differenziale, laddove andrebbe ad
aggiungersi agli strumenti già esistenti. Dal punto di vista clinico invece
sono ancora pochi gli studi mirati alla validazione del marcatore sierico
nella prognosi e nel monitoraggio dei pazienti con MM dopo trattamento
terapeutico. Pochi riferimenti nelle pubblicazioni esistenti, basati su un
numero limitato di casi, suggerirebbero che i livelli di mesotelina sono direttamente proporzionali alla massa tumorale in soggetti con MM (7).
Lo scopo di questo “studio pilota” su qualche caso di MM è stato
quello di sondare l’andamento dei valori sierici di mesotelina, in relazione al decorso della malattia e ad eventuali interventi terapeutici.
L’analisi dei valori di mesotelina registrati ha dimostrato che tale
marcatore, quando positivo, si rivela un buon indicatore di risposta al trattamento terapeutico, rimanendo stabile in concentrazione ematica laddove le terapie hanno ottenuto il risultato di una cronicizzazione del caso e
tendendo invece a ridursi quando il paziente presenta un benché piccolo
miglioramento clinico post-terapeutico o ad aumentare progressivamente
se il tumore risulta insensibile al trattamento adottato.
I risultati di questo studio appaiono molto promettenti e costituiscono uno stimolo per una ricerca più approfondita sul significato clinico del
marcatore in una popolazione di pazienti più numerosa.
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COM-06
IL DOSAGGIO DELLA MESOTELINA SIERICA NEL FOLLOW-UP
DEI LAVORATORI EX ESPOSTI AD AMIANTO
R. Foddis1, A. Vivaldi1, R. Filiberti2, R. Puntoni2, L. Mutti3, N.
Ambrosino4, A. Chella4, G. Guglielmi5, V. Gattini5, R. Buselli5, S.
Perretta1, A. Cristaudo5
1 Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Ortopedia e
Traumatologia, Medicina del Lavoro, Università di Pisa
2 Epidemiologia e Biostatistica, IST Genova
3 U.O. Pneumologia, Azienda Ospedeliero-Universitaria Pisana
4 Ospedale S. Pietro a Paolo, ASL 11 Vercelli
5 U.O. Medicina Preventiva e del Lavoro, Azienda OspedelieroUniversitaria Pisana
Corrispondenza: Rudy Foddis, Ambulatorio di Medicina del Lavoro,
Università di Pisa, Via S. Maria 110, 56100 Pisa, [email protected],
Tel 050 993895 Fax 050 993707
RIASSUNTO. Una nostra ricerca appena conclusa ha confermato
l’associazione tra Mesotelina Sierica e Mesotelioma Maligno della
pleura (MM), recentemente osservata anche da altri autori, oltre ad evidenziare un’associazione significativa anche con il Tumore del Polmone (LC) nonché l’utilità prognostica del marcatore nel MM. Una potenziale applicazione come marker di diagnosi precoce o indicatore di
rischio in lavoratori ex-esposti ad amianto è stata suggerita, ma non ancora dimostrata. A questo scopo abbiamo introdotto il dosaggio di Mesotelina Sierica nel protocollo di accertamenti condotti su una popola-
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www.gimle.fsm.it
zione di lavoratori ex esposti in follow-up, assieme a prove di funzionalità respiratoria (PFR) ed esami radiologici. Il presente lavoro si pone l’obiettivo di effettuare un’analisi della variabilità dei valori del
marcatore e l’eventuale correlazione di incrementi dello stesso con parametri quali l’età, l’anzianità lavorativa, il fumo, alterazioni riscontrate alle PFR e alle indagini radiologiche. Il valore medio di Mesotelina Sierica alla prima misurazione è stato di 0.66 nM (range 0.082.17), con una variabilità media in follow-up del 15%. La Mesotelina
Sierica si correlava con l’età (p=0,04) e con le alterazioni alla TAC
(p=0,04) ma non con l’anzianità lavorativa (p=0,5) né con l’abitudine
al fumo (p=0,2) e neppure con alterazioni rilevabili alle PFR o all’RX
del torace.
Parole chiave: Mesotelioma Maligno, Asbesto, Mesotelina
SERUM MESOTHELIN
DOSAGES IN FOLLOW-UP OF PREVIOUSLY EXPOSED
WORKERS
ABSTRACT. High dosages of Serum Mesothelin have been
demonstrated to be significantly associated to Pleural Malignant
Mesothelioma. We recently demonstrated that Serum Mesothelin may be
clinically helpful both for diagnostic and prognostic purposes, with the
best cut-off corresponding to 1nM. We also discovered that high levels of
Serum Mesothelin are significantly associated to Lung Cancer. The
usefulness of this marker in secondary prevention has been suggested,
though never demonstrated. We therefore started a long-term prospective
cohort study including previously asbestos-exposed workers. These
subjects periodically underwent both radiological tests and serum
mesothelin dosages. As a mid term goal of this longitudinal study we
decided to check the variability of mesothelin dosages, comparing
baseline and follow-up values, as well as the possible correlation with
age, duration of exposure, smoking, any abnormality of respiratory
functional tests (RFT) and/or radiological tests. At baseline, Mesothelin
mean value was 0.66±0.4 (range 0.08-2.2 nM). Both age (p=0.04) and
abnormal thoracic TC (p=0.04) were significantly correlated with
increased serum mesothelin levels and increasing age. No association
was found between baseline mesothelin levels and duration of asbestos
exposure (p=0.5), smoking habits (p=0.2), abnormal RFT, DLCO
(carbon monoxide diffusing capacity) or thoracic X-ray. No significant
variation was observed between mesothelin values at baseline and at
follow-up (p=0.2).
Key words: Malignant Mesothelioma, Asbestos, Mesothelin
INTRODUZIONE
Alcuni autori (1-4) hanno recentemente dimostrato come alti dosaggi di Mesotelina Sierica siano associati in maniera statisticamente significativa ai Mesoteliomi Maligni della pleura (MM). In particolare una nostra ricerca appena conclusa (5) mirata a verificare i potenziali impieghi
clinici del marcatore, non solo ha confermato l’associazione tra alti valori di Mesotelina Sierica e MM, ma è risultata essere anche associata in
maniera significativa (seppur con minor forza rispetto al MM) al Tumore del Polmone (LC). Inoltre le nostre ricerche hanno evidenziato come
lo stesso marcatore possa avere un’utile applicazione clinica. Infatti, la
Mesotelina Sierica nei nostri casi si è rivelata un buon indicatore prognostico nel MM (circa 11 mesi di sopravvivenza in più nel gruppo di
soggetti con mesotelina inferiore a 1 nM rispetto al gruppo con valori superiori a 1nM. Proprio il valore di 1.00 nmol/l è risultato essere il miglior
cut-off (migliore combinazione di sensibilità e specificità, 68,2% e 80,5%
rispettivamente)
Una potenziale applicazione a scopi preventivi come marker di diagnosi precoce o come indicatore di rischio in lavoratori che siano stati
esposti ad amianto è stato suggerita (1,5,6) ma non ancora dimostrata. In
particolare Robinson et al. (1) osservarono valori elevati di Mesotelina
Sierica in 7 lavoratori ex esposti ad amianto su un totale di 40. Ma ciò che
risultò più interessante fu che ben 4 di questi sette lavoratori avevano sviluppato un tumore (3 MM ed 1 LC) nel corso dei cinque anni successivi
al dosaggio. A questo scopo abbiamo introdotto il dosaggio di Mesotelina Sierica nel protocollo di accertamenti condotti su una popolazione di
lavoratori ex esposti ad amianto sottoposta periodicamente a controlli
medici presso il nostro ambulatorio di Medicina del Lavoro. Il presente
lavoro si pone l’obiettivo di effettuare un’analisi dell’andamento dei valori di Mesotelina Sierica nella popolazione sottoposta a follow-up, ai fini di valutarne la stabilità nel tempo e l’eventuale influenza di alcuni parametri fisiologici, clinici e voluttuari.
343
MATERIALI E METODI
Un totale di 286 lavoratori ex esposti ad amianto occupati in attività
industriali diverse (Figure 1 e 2) dell’area vasta Nord Ovest della Toscana sono stati reclutati nello studio.
I lavoratori sono stati sottoposti ad accertamenti medici tra cui visita
medica ed accertamenti strumentali (Spirometria basale, DLCO, VR, Rx
torace ed eventualmente TAC Torace low dose). Tutti i casi reclutati nello studio sono stati visitati nel quinquennio 2002-2007. A tutti è stato effettuato un prelievo venoso, con susseguente centrifugazione e preparazione di aliquote di siero, stoccate a -80°C. Il dosaggio di Mesotelina Sierica è stato effettuato attraverso un sistema ELISA (Mesomark, CisBio
International) in doppio ed in cieco rispetto all’operatore di laboratorio
che ha effettuato le analisi. I lavoratori ex esposti inseriti in un follow-up
che prevede la ripetizione degli accertamenti in un periodo di tempo variabile da uno a tre anni. I valori di Mesotelina Sierica sono stati trasformati in valori di logaritmo naturale. Le differenze nelle medie fra più
gruppi sono state valutate con l’analisi della varianza (ANOVA). Il test T
per dati indipendenti è stato usato per il confronto di due gruppi. Il test T
per dati appaiati è stato impiegato per il confronto dei valori di mesotelina dei soggetti in follow-up. Il metodo della correlazione di Pearson è stato usato per correlare i valori di mesotelina con l’età dei soggetti inclusi
nello studio e con gli anni di esposizione ad amianto. Le relazioni fra variabili categoriche sono state esaminate con il test del χ2.
Figura 1. Distribuzione per comparti
Figura 2. Distribuzione per mansione
344
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RISULTATI
La popolazione oggetto di studio era costituita da 286 ex esposti tutti residenti nell’area della Zona Vasta Nord Ovest della Toscana con età
media di 54.5 anni (DS 6.7; mediana 54.0; range 39-76 anni) di cui 279
(97.5%) erano di sesso maschile (vedi Tabella I per altre caratteristiche
dei casi in esame). Il valore medio di Mesotelina Sierica alla prima misurazione, considerando l’intera popolazione in studio, è stato di 0.66 nM
(DS 0.4; mediana 0.57; range 0.08-2.17). La valutazione dei dati risultanti dalla trasformazione logaritmica dei valori di Mesotelina Sierica ci
ha permesso di osservare che in questa popolazione la mesotelina si correlava in maniera statisticamente significativa con l’età dei soggetti
(coeff. r di Pearson 0,12, p=0,04), ma non con l’anzianità lavorativa
(p=0,5) né con l’abitudine al fumo (p=0,2). I soggetti con indagini TAC
alterate (vedi Figura 3) mostravano in media valori più alti di Mesotelina
Sierica rispetto ai soggetti con TAC torace normale (mediana 0,67 nM e
0,48, rispettivamente, p=0,04). Nessuna associazione è stata riscontrata
tra valori di mesotelina ed alterazioni delle prove di funzionalità respiratoria eseguite (spirometria basale, VR, DLCO) o alterazioni radiologiche
visibili all’RX del torace. In 33 lavoratori sani ex esposti (il 15% della popolazione in esame) era presente un valore di Mesotelina Sierica superiore a 1.0 nM. Tra questi si è registrato un caso di LC in un soggetto che
presentava una storia clinica di ingravescente dispnea e dati radiologici
incerti. Ad un totale di 35 pazienti ritornati a visita presso il nostro ambulatorio dopo 3-4 anni dai primi accertamenti la Mesotelina Sierica è
stata dosata di nuovo riscontrando una variazione media del 15% (-66%,
+100%). In questo gruppo il valore medio alla prima misurazione era di
Tabella I. Es. strumentali in protocollo
%
Spirometria basale
• Normale
• Patologica
79,6
20,4
DLCO
• Normale
• Patologica
84,3
15,7
RX Torace
• Normale
• Patologica
72,4
27,6
TAC Torace
• Normale
• Patologica
42,0
58,0
Figura 2. Distribuzione per mansione
0,64 nM (DS 0,3, mediana 0,53 nM, range 0,28-1,65 nM) e alla seconda
misurazione era 0,67 (DS 0,3 nM, median 0,60 nM, range 0,25-1,48 nM).
Tale variazione non è risultata statisticamente significativa (p=0,2). In 22
(63%) di questi 35 soggetti è stato osservato un incremento medio del valore di Mesotelina Sierica dalla prima alla seconda misurazione pari al
31% (range 2-100%). La riduzione media è stata del 27% (range 0-66%)
nei restanti 13 soggetti (27%).
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
La sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti ad amianto rappresenta un problema sempre più cogente ed impegnativo per motivi diversi e complessi. Innanzitutto le previsioni epidemiologiche prevedono che
il picco di incidenza di MM per i soli paesi europei occidentali occorra
tra il 2019-2020. Come per la maggior parte dei cancerogeni, anche per
l’amianto, non è stato possibile riconoscere una dose soglia che ponga al
riparo da rischi di sviluppare tumori asbesto-correlati ed anche esposizioni “minime” sono state dimostrate valide sotto il profilo ezio-patogenetico. D’altro canto la diffusione dell’amianto sia per motivi occupazionali che extraprofessionali è stata enorme in passato e ciò estende a dismisura la popolazione dei soggetti ex esposti che possano considerarsi a
rischio. Nonostante la dimensione del problema, non esiste ad oggi un
protocollo di sorveglianza sanitaria che sia dimostrato essere un efficace
strumento di prevenzione secondaria o che almeno sia riconosciuto come
eticamente adeguato dalla comunità scientifica. I risultati tuttora dibattuti degli studi che hanno proposto l’impiego di strumenti radiologici (RX,
TAC, ect.) nello screening di popolazione, per i tumori del polmone, sollevano problemi di ordine economico ed etico anche nell’ipotesi di applicazione di tali strumenti nella sorveglianza sanitaria di lavoratori ex
esposti. In aggiunta, nel caso del MM si debbono considerare la prognosi estremamente infausta e l’assenza, fino a pochi anni fa, di proposte terapeutiche efficaci. Del tutto recentemente, invece, si sono avuti piccoli
progressi in questo senso, suggerendo che gli sforzi per una diagnosi precoce efficace non dovrebbero risultare solo in un anticipo diagnostico, ma
anche in un miglioramento della prognosi, della qualità della vita e forse
in ultimo anche della mortalità per MM.
Da quanto sopra, emerge l’importanza dell’uso di marcatori sierologici che possano vantare un buon compromesso tra specificità e sensibilità, che siano economici e di facile accettabilità da parte del soggetto
esposto. Recentemente alcuni marcatori sierici sono stati sottoposti a studio a questo scopo. Tra questi uno dei più promettenti risulta essere la
Mesotelina Sierica. Sebbene esistano evidenze di una potenziale utilità
clinica in fase diagnostica (anche diagnosi differenziale) e prognostica di
tale marcatore, la sua possibile applicazione in prevenzione secondaria
non è stata ancora dimostrata. Infatti non sono stati ad oggi condotti studi longitudinali di coorte sufficientemente dimensionati per tale scopo.
Nella nostra casistica ad oggi si è registrato solo un caso di tumore del
polmone in soggetto, peraltro con Mesotelina Sierica superiore a 1 nM.
Per il momento l’obiettivo del presente lavoro era quello di verificare la stabilità del dosaggio di Mesotelina Sierica in soggetti attualmente
liberi da patologia neoplastica e soprattutto di verificare quanto altri fattori come l’età, l’abitudine al fumo, l’anzianità lavorativa (e nel caso specifico la durata dell’esposizione ad amianto), potessero avere un’influenza sul significato di fattore di rischio per tumore respiratorio asbesto-correlato. I dati ottenuti indicano che nessuno dei parametri succitati abbia
un ruolo nel determinismo del valore misurato di Mesotelina Sierica. I
nostri risultati inoltre indicano che il test è sostanzialmente stabile nel
tempo non registrando una eccessiva variabilità media in costanza di condizioni cliniche di salute. Seppur con i limiti dimensionali della popolazione in studio i nostri risultati suggeriscono infine che probabilmente i
cut-off utilizzati per definire i livelli di rischio di sviluppo di tumoreasbesto correlato, dovranno essere parametrati sull’età del lavoratore esaminato. Interessante risulta essere anche l’osservazione di una associazione positiva tra alterazioni radiologiche evidenziabili alla TAC e valori
di Mesotelina Sierica. Per esiguità del campione in studio non è stato possibile meglio precisare se e quali eventuali alterazioni fossero realmente
associate ad un aumento del valore del marcatore sierico. Ulteriori studi
con ampliamento della coorte sono in progresso.
Per quanto la dimostrazione statistica di una reale utilità a scopo preventivo necessiti di un follow-up più lungo e di una popolazione più ampia di ex esposti, le osservazioni che scaturiscono dalla nostra esperienza
e i dati presenti in letteratura supportano un ruolo della mesotelina in un
ottica preventiva nella sorveglianza sanitaria degli ex-esposti ad amianto.
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
BIBLIOGRAFIA
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COM-07
SORVEGLIANZA SANITARIA DEGLI EX- ESPOSTI AD AMIANTO:
RISCONTRO DI UN CASO DI TUMORE POLMONARE IN UN
SOGGETTO CON ELEVATI VALORI DI MESOTELINA
G. Guglielmi1, A. Ciberti2, R. Foddis2, N. Ambrosino3, A. Chella3,
V. Gattini1, R. Buselli1, F. Ottenga2, A. Cristaudo1
1 U.O. Medicina Preventiva e del Lavoro, Azienda OspedalieroUniversitaria Pisana - Pisa
2 Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Ortopedia e
Traumatologia, Medicina del Lavoro, Università di Pisa - Pisa
3 U.O. Pneumologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana - Pisa
Corrispondenza: Dott. Giovanni Guglielmi, U.O. Medicina Preventiva
e del Lavoro, Via S. Maria 110, 56100 Pisa, [email protected]
RIASSUNTO. Negli ultimi anni sono stati sempre più numerosi gli
ex esposti ad amianto che sono stati sottoposti, presso il nostro ambulatorio, ad un programma di sorveglianza sanitaria secondo un protocollo
da noi predisposto comprendente indagini radiologiche e dosaggio di
markers come la mesotelina e l’osteopontina serici. In questo contributo
illustriamo la storia clinica di un soggetto ex esposto ad amianto che dapprima riconosciuto affetto da asbestosi ha poi sviluppato una neoplasia
polmonare, indagata grazie anche al riscontro di elevati valori di mesotelina. Nonostante il follow-up mirato, la diagnosi precoce di neoplasia con
apparente prognosi favorevole, la precocità del trattamento, l’elevata aggressività della neoformazione ha reso vano ogni tentativo terapeutico.
L’insuccesso di questo caso non deve comunque, a nostro parere, dissuadere da una attenta sorveglianza sanitaria nei confronti degli ex-esposti ad agenti cancerogeni, in particolare ad amianto. La mesotelina e l’osteopontina, secondo gli ultimi studi - specialmente la prima -, rappresentano utilissimi strumenti di monitoraggio sanitario degli ex-esposti
presentando singolarmente elevata sensibilità e specificità nei confronti
del mesotelioma maligno e orientando congiuntamente (per le diverse
sensibilità e specificità di ciascun indicatore) anche per il rilievo di altro
tipo di patologia come il tumore polmonare e altre patologie dell’apparato respiratorio non di tipo neoplastico.
Parole chiave: sorveglianza sanitaria; amianto; mesotelina
MEDICAL
SURVEILLANCE OF PREVIOUSLY ASBESTOS-EXPOSED WORKERS:
LUNG CANCER WITH HIGH LEVEL OF SERUM
MESOTHELIN
ABSTRACT. Recently, the number of previously asbestos-exposed
workers performing, at our department, medical exams aimed at an early
diagnosis of asbestos-related tumors, has been progressively increasing.
The diagnostical protocol we propose to these subjects include both raREPORT OF A CASE OF
345
diological exams and some serum markers such as mesothelin and osteopontin. In this case-report we illustrate the history of a worker who, after
having diagnosed a pulmonary asbestosis, developed a Lung Cancer. The
significance of this case is based on the importance of the high mesothelin dosage which prompted further radiological exams resulting into the
final diagnosis. In spite of the early diagnosis and treatment the patient
finally died. Nevertheless, serum markers like mesothelin and osteopontin (especially the first) may result very helpful in monitoring and screening the population of workers previously exposed to asbestos.
Key words: health surveillance; asbestos; mesothelin
INTRODUZIONE
La vigente normativa italiana prevede che la sorveglianza sanitaria
dei lavoratori ex-esposti all’amianto debba proseguire anche dopo la cessazione dell’esposizione ad amianto (D. Lgs. 277/91). La legge non si
pronuncia però riguardo alla periodicità e al limite di estensione nel tempo dei controlli clinici, né a chi spetti tale incombenza; anche i qualificati contributi del Coordinamento Tecnico delle Regioni e della SIMLII,
con filosofie divergenti per quanto riguarda la sorveglianza degli esposti
a cancerogeni, non presentano proposte articolate ed operative per la sorveglianza degli ex-esposti ed in particolare per gli ex-esposti ad amianto.
Tra gli obiettivi primari che un protocollo sanitario deve prefigurarsi vi è senz’altro il poter rilevare eventuali alterazioni pleuroparenchimali correlabili alla attività lavorativa e indagarne l’eventuale evoluzione nel tempo, minimizzando le conseguenze per il soggetto sia in termini di invasività che di esposizione indebita alle radiazioni. Negli ultimi
anni sono stati sempre più numerosi gli ex esposti ad amianto che sono
stati sottoposti, presso il nostro ambulatorio, ad un programma di sorveglianza sanitaria secondo un protocollo da noi predisposto, già presentato in altra sede.
In questo contributo illustriamo la storia clinica di un soggetto che
dapprima riconosciuto affetto da asbestosi ha poi sviluppato una neoplasia polmonare, indagata grazie anche al riscontro di elevati valori di mesotelina.
MATERIALI E METODI
Il protocollo sanitario predisposto è costituito essenzialmente da una
parte anamnestico clinica ed un’altra strumentale con esecuzione di prove di funzionalità respiratoria ed indagini radiologiche. Viene anche proposto un prelievo ematico per il dosaggio di mesotelina e osteopontina
sieriche. Nella parte anamnestica sono stati raccolti i dati generali dei pazienti, l’anamnesi patologica remota e prossima con particolare riguardo
alle malattie pregresse o in corso a carico dell’apparato respiratorio ed
abitudini voluttuarie quali le abitudini al fumo di tabacco e gli anni di
esposizione a questo. Particolare attenzione è stata dedicata alla raccolta
dell’anamnesi lavorativa con la descrizione dei comparti di appartenenza,
le mansioni svolte, le modalità di esposizione all’amianto e l’analisi delle anzianità lavorativa totale e specifica per esposizione ad amianto. Sono state eseguite presso il nostro ambulatorio di Medicina del Lavoro la
Spirometria basale (spirometro modello Biomedin a campana) ed il Test
di diffusione alveolo capillare con l’impiego del metodo del singolo respiro (modello Biomedin modulo DLCO). Presso la Radiodiagnostica
dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana è stata eseguita la Radiografia del torace in due proiezioni per i lavoratori che non avevano a disposizione radiogrammi leggibili con criteri ILO, eseguiti in un periodo
inferiore a 2 anni. Sei lavoratori erano in possesso di TC al momento della visita. Per i lavoratori per i quali erano stati posti dubbi diagnostici, è
stata consigliato un approfondimento con Tac e se del caso, successivamente controllo specialistico pneumologico.
RISULTATI
Il paziente era giunto alla nostra attenzione nel maggio 2005, all’età di
61 anni ed in seguito agli accertamenti effettuati (Rx torace, prove di funzionalità polmonare, Tc torace) era stata posta diagnosi di “asbestosi con limitato impegno funzionale in soggetto con pregressa esposizione all’amianto superiore ai 10 anni” per la quale il paziente ha ottenuto il riconoscimento da parte dell’istituto assicuratore di malattia professionale per:
“asbestosi radiologicamente evidenziata e senza impegno funzionale”.
I valori di mesotelina erano risultati elevati e per tale motivo il paziente è stato inserito in un particolare follow-up clinico a seguito del
quale il paziente, per comparsa di dispnea a riposo con senso di oppressione toracica, è stato sottoposto a specifici indagini mediche.
346
La valutazione cardiologica, effettuata con ECG basale ed Ecocolordoppler cardiaco, escludeva la genesi cardiaca della sintomatologia riferita. Da un punto di vista polmonare vi era una riduzione della diffusione
del CO, e una lieve ipossiemia. Ulteriori TAC successive hanno permesso di individuare un’area pseudonodulare a livello della lingula.
Al fine di indagare questo consolidamento che si associava a peggioramento della sintomatologia soggettiva respiratoria, nonostante la terapia, in accordo con il radiologo e lo pneumologo, abbiamo programmato un PET/TC globale corporea.
La PET/TC evidenziava un’area ipermetabolica compatibile con
neoplasia corrispondente all’area lingulare indicata dalla TC, e escludeva la presenza di altre aree patologiche negli altri distretti corporei
indagati.
Si inviava quindi il paziente a consulenza presso Chirurgia Toracica per l’inquadramento terapeutico, e quindi veniva eseguita broncoscopia con biopsia, che evidenziava una neoplasia maligna NON a piccole cellule, con classificazione TNM: T1 N0 M0. Quindi un tumore <3
cm, circondato da tessuto polmonare integro, senza interessamento del
bronco lobare alla broncoscopia, senza evidenza di metastasi linfonodali ed a distanza.
Rientrando il caso nello STADIO I di malattia e trattandosi di un tumore non a piccole cellule, veniva così programmato un intervento di lobectomia mirata. Secondo la letteratura il tasso di sopravvivenza a cinque
anni in questo stadio oscilla tra il 60-80%.
Tuttavia nel corso dell’intervento venivano evidenziate aree metastatiche.
Il successivo controllo TAC effettuato poco tempo dopo evidenziava una patologia neoplastica diffusa con interessamento multiorgano
che si associava ad importante scadimento delle condizioni generali del
paziente.
L’exitus è sopraggiunto nel Dicembre 2006.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Nonostante il follow-up mirato associato ad una elevata compliance
del paziente, la diagnosi precoce di neoplasia con apparente prognosi favorevole, la precocità del trattamento, l’elevata aggressività della neoformazione ha reso vano ogni tentativo terapeutico.
L’insuccesso di questo caso non deve comunque, a nostro parere,
(anche in considerazione del fatto che molte neoplasie polmonari oggi
possono essere curate se diagnosticate precocemente) dissuadere da una
attenta sorveglianza sanitaria nei confronti degli ex-esposti ad agenti cancerogeni, in particolare ad amianto. Come già in altra occasione enunciato, in base alla nostra esperienza, l’applicazione di un protocollo standardizzato concorde alle linee guida dell’American Thoracic Society 2003
con esecuzione di un esame radiologico del torace effettuato a tutti i soggetti dello studio rappresenta il primo step di valutazione degli ex-esposti. La lettura e la ri-lettura del radiogramma da parte di specialisti B reader e del medico del lavoro, associata eventualmente al dosaggio di marcatori quali l’osteopontina e la mesotelina, permette di stratificare gli ex
esposti in base a diversi livelli di rischio e quindi di pianificare le periodicità per la sorveglianza sanitaria che vede la Tc low-dose come ulteriore momento di approfondimento diagnostico. I successivi livelli di approfondimento di imaging, se necessari, dovranno essere concordati con
lo specialista pneumologo ed il radiologo.
In particolare per quanto concerne la mesotelina e l’osteopontina, si
può rilevare che questi indicatori, secondo gli ultimi studi - specialmente
la prima -, rappresentano utilissimi strumenti di monitoraggio sanitario
degli ex-esposti presentando singolarmente elevata sensibilità e specificità nei confronti del mesotelioma maligno e orientando congiuntamente
(per le diverse sensibilità e specificità di ciascun indicatore) anche per il
rilievo di altro tipo di patologia come il tumore polmonare e altre patologie dell’apparato respiratorio non di tipo neoplastico.
BIBLIOGRAFIA
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amianto. Atti Convegno: “Le Patologie correlate all’amianto e la sorveglianza sanitaria degli ex esposti”. Pisa 21-22 Aprile 2005. Pisa:
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COM-08
MORTALITÀ PER TUMORE PLEURICO E PERITONEALE
IN UNA COORTE DI LAVORATORI DEL CEMENTO AMIANTO,
DOPO LUNGHI PERIODI DI LATENZA: VALUTAZIONE
DI UN POSSIBILE RUOLO DELLA CLEARANCE DELLE FIBRE
F. Barone Adesi1,2, D. Ferrante2, M. Bertolotti1, A. Todesco1,
D. Mirabelli1, B. Terracini1, C. Magnani2
1 SCDU Epidemiologia dei Tumori, Università di Torino e CPO Piemonte
2 Unità di Statistica Medica, Università del Piemonte Orientale e CPO
Piemonte
Corrispondenza: Francesco Barone-Adesi, SCDU Epidemiologia dei
Tumori, Università di Torino, Via Santena 7, 10126, Torino, Italia, Telefono:
0116334628 Fax: +390116334664 E-mail:[email protected]
RIASSUNTO. La teoria multistadiale della cancerogenesi assume
che l’incidenza di mesotelioma aumenti in funzione del tempo trascorso dalla prima esposizione ad amianto. Alcuni autori hanno però suggerito un’attenuazione dei tassi di mesotelioma per periodi di latenza molto lunghi, dovuta ad una graduale eliminazione dell’asbesto dai polmoni. Abbiamo studiato l’andamento dei tassi di mortalità per tumore
pleurico e peritoneale in una coorte di 3443 lavoratori del cementoamianto. Il ruolo dell’eliminazione delle fibre di amianto dai polmoni è
stato analizzato utilizzando il modello multistadiale di Armitage-Doll,
generalizzato per includere un termine che rappresentasse la clearance.
Abbiamo osservato 139 morti per tumore pleurico e 56 per tumore peritoneale durante il periodo di osservazione (1950-2003). I tassi di tumore pleurico aumentavano durante i primi 40 anni di latenza e poi raggiungevano un plateau. Vi era invece un incremento continuo dei tassi
di tumore peritoneale all’aumentare della latenza. Il modello che teneva conto della clearance descriveva i dati meglio di quello tradizionale
per quanto riguarda il tumore pleurico (p=0,02), ma non quello peritoneale (p=0,23). Il rischio di tumore pleurico, invece di aumentare indefinitamente, raggiunge un plateau dopo lunghi periodi di latenza. Tale
andamento potrebbe essere dovuto all’esistenza di una clearance delle
fibre dal polmone.
Parole chiave: asbesto, mesotelioma, modello multi-stadiale, latenza, clearance
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
MORTALITY
FROM PLEURAL AND PERITONEAL CANCER IN A COHORT OF
ASBESTOS WORKERS, MANY YEARS AFTER START OF THE EXPOSURE: POSSIBLE
ROLE OF FIBERS CLEARANCE
ABSTRACT. The multistage theory of carcinogenesis assumes rates
of mesothelioma increasing monotonically as a function of time since first
exposure (TSFE) to asbestos. However, some authors have suggested that
the increase in mesothelioma rate with TSFE might be attenuated by
clearance of asbestos from the lungs. We estimated mortality time trends
from pleural and peritoneal cancer in a cohort of 3443 asbestos-cement
workers. The role of asbestos clearance was explored using the
traditional mesothelioma multistage model, generalized to include a term
representing elimination over time.
We observed 139 deaths from pleural and 56 from peritoneal cancer
during the period 1950-2003. The rate of pleural cancer increased during
the first 40 years of TSFE and reached a plateau thereafter. In contrast,
the rate of peritoneal cancer increased monotonically with TSFE. The
model allowing for asbestos elimination fitted the data better than the
traditional model for pleural (p = 0.02) but not for peritoneal cancer (p
= 0.22). The risk for pleural cancer, rather than showing an indefinite
increase, might reach a plateau when a sufficiently long time has elapsed
since exposure. The different trends for pleural and peritoneal cancer
might be related to clearance of the asbestos from the workers’ lungs.
Key words: asbestos, mesothelioma, multi-stage model, latency,
clearance
347
di produzione. In seguito, per ragioni economiche, l’utilizzo di crocidolite è andato gradualmente diminuendo (senza peraltro essere mai abolito)
ed è stato limitato alla produzione di tubi ad alta pressione e manicotti
speciali [4].
La coorte include 3443 operai (2663 uomini e 780 donne) che erano
in forze allo stabilimento nel gennaio del 1950 o che sono stati assunti tra
il 1950 ed il 1986. Nove soggetti sono stati esclusi dalle analisi per dati
non completi. La coorte è stata ricostruita in base ai libri matricola dell’azienda, dove sono registrati con numerazione progressiva i dati anagrafici e le date di assunzione e licenziamento di tutti i dipendenti.
Gli uffici anagrafe dei comuni di residenza hanno permesso di seguire i trasferimenti dei soggetti della coorte fornendo secondo il caso:
un’attestazione di residenza, il comune presso cui la persona si era trasferita o il comune e la data di decesso. Il follow up è stato completato
per il 99.7% dei soggetti. La causa della morte è stata ottenuta dai Servizi di Igiene e Sanità Pubblica competenti per il luogo di decesso ed è stata codificata secondo la classificazione ICD (9° rev). Ogni membro della
coorte ha contribuito al computo degli anni-persona dall’assunzione in
Eternit (o da gennaio 1950 se assunti precedentemente) fino al primo dei
seguenti eventi: morte, emigrazione all’estero, perdita al follow up, fine
del follow up (aprile 2003).
Analisi statistiche
La relazione funzionale tra tempo di latenza e tassi di mortalità per
tumore pleurico (ICD-IX 163) e peritoneale (ICD-IX 158) è stata studiata utilizzando modelli di regressione di Poisson. Abbiamo usato due approcci per studiare l’effetto della latenza; 1) Abbiamo condotto un’analisi esplorativa introducendo la latenza nei modelli come variabile categorica. Le variabili sesso, età, durata dell’impiego in Eternit e anno di calendario sono state incluse nei modelli come variabili di aggiustamento.
2) Il modello con eliminazione proposto da Berry è stato confrontato con quello tradizionale, che non tiene conto dell’eliminazione delle fibre dai polmoni. Abbiamo assunto W uguale a 5 anni in entrambi i modelli [3]. I valori dei parametri K e λ sono stati stimati dai dati. Il likelihood Ratio test è stato usato per confrontare i due modelli, assumendo
come ipotesi nulla la loro equivalenza (ovvero λ = 0).
In tutte le analisi il tempo trascorso dall’assunzione in Eternit e la durata dell’impiego nello stabilimento sono stati rispettivamente usati come
surrogati del tempo di latenza e dell’esposizione cumulativa. I tumori
pleurici e peritoneali sono stati analizzati separatamente.
INTRODUZIONE
Il classico modello multistadiale di Armitage-Doll per lo sviluppo del
cancro prevede che l’incidenza di mesotelioma aumenti in funzione dell’esposizione cumulativa ad amianto e del tempo trascorso dalla prima
esposizione (tempo di latenza) [1]. La relazione tra incidenza di mesotelioma e tempo di latenza può dunque essere modellata come:
I(T)= C(T-W)K,
Dove I è il tasso di incidenza di mesotelioma al tempo di latenza T,
C è l’esposizione cumulativa ad amianto, W è l’intervallo di tempo dopo
l’esposizione durante il quale si assume che il tasso di mesotelioma non
aumenti (in genere tale “tempo di lag” viene assunto pari a 5 o 10 anni)
e K è una costante.
L’adeguatezza di tale modello “tradizionale” per periodi di latenza
molto lunghi (> 40 anni) è ancora oggetto di ricerca, a causa del limitato tempo di follow up degli studi epidemiologici disponibili. A partire
dagli anni ’80, i risultati di alcuni studi hanno spinto alcuni autori ad
RISULTATI
ipotizzare che un decremento del rischio potesse avvenire per periodi di
Abbiamo osservato 139 morti per tumore pleurico e 56 per tumore
latenza molto lunghi [2]. Se si assume che l’amianto venga gradualperitoneale durante il periodo di osservazione 1950-2003. È stato evidenmente eliminato dall’apparato respiratorio o reso inattivo all’interno
ziato un aumento dei tassi di tumore pleurico durante i primi 40 anni di
dell’organismo, allora l’incidenza di mesotelioma sarà diminuita ad
latenza, seguito da un plateau negli anni successivi (tabella I). La tabella
opera di un fattore che rappresenta la riduzione del numero di fibre “atII presenta il confronto tra il modello con eliminazione e quello tradiziotive” nel polmone. In un modello proposto da Berry nel 1991 [3], l’aunale. Per quanto riguarda i tumori pleurici, il risultato del likelihood ratio
mento dei tassi di mesotelioma con il trascorrere del tempo di latenza è
test suggerisce che il modello con eliminazione descrive meglio i dati del
attenuato da un fattore che rappresenta la clearance delle fibre di amianmodello tradizionale (p=0,02). La stima di massima verosimiglianza di K
to dai polmoni secondo una cinetica di primo ordine. La relazione tra
nel modello con eliminazione è 2,95 per il tumore pleurico, in buon acincidenza di mesotelioma e tempo di latenza in tale modello “con eliminazione” diviene dunque:
Tabella I. Modelli di regressione di Poisson. Rate Ratios e intervalli di confidenza al 95% per
I(T)= C(T-W)K exp(-λT),
tumori pleurici e peritoneali, stratificati per tempo di latenza. Risultati aggiustati per età, sesso,
dove λσ rappresenta il tasso di eliminadurata di impiego in Eternit, anno di calendario
zione delle fibre.
Con l’obbiettivo di testare l’ipotesi
proposta da Berry, abbiamo studiato l’andamento dei tassi di mortalità per tumore
pleurico e peritoneale nella coorte dei dipendenti dello stabilimento Eternit di Casale Monferrato, per la quale sono disponibili più di 50 anni follow-up.
METODI
Descrizione della coorte
Lo stabilimento Eternit di Casale
Monferrato ha prodotto manufatti in cemento amianto dal 1907 al 1986. Fino all’inizio degli anni ’70 sono stati usati sia
il crisotilo che la crocidolite in tutti i tipi
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Tabella II. Confronto tra il modello con eliminazione e quello tradizionale.
Valori stimati dei parametri e loro intervalli di confidenza al 95%
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
È la prima volta che gli andamenti di
tumore pleurico e peritoneale dopo lunghi periodi di latenza vengono studiati in
una coorte con un periodo di osservazione sufficiente per poter valutare l’adeguatezza del modello multistadiale classico. I risultati suggeriscono che il rischio
di sviluppare un tumore della pleura, invece di aumentare indefinitamente con il
trascorrere del tempo dalla prima esposizione ad amianto, potrebbe raggiungere
un plateau dopo tempi di latenza sufficientemente lunghi. Tale andamento è
coerente con quello descritto da altri autori [8,9,10]. Per tale motivo il modello
multistadiale classico sembra adeguato a
descrivere gli andamenti di tumore peritoneale ma sovrastima i tassi di tumore
pleurico per periodi di latenza superiori a
40 anni. Un modello multistadiale modificato che tenga in considerazione l’eliminazione delle fibre dall’apparato respiratorio sembra più indicato a descrivere gli andamenti di tumore
pleurico. Una conseguenza di questi risultati è che le previsioni condotte
finora sul numero di mesoteliomi da attendersi in un prossimo futuro, che
si basano sul modello tradizionale, potrebbero essere sovrastimate e che
l’anno per cui è atteso il massimo numero di casi sarebbe stato erroneamente posticipato [11-12]. Infine, i diversi trend osservati per il tumore
pleurico e peritoneale suggeriscono che gli andamenti di tali patologie
dovrebbero essere analizzati separatamente.
Figura 1. Tumore pleurico. Numero di casi, Tassi di mortalità osservati
e attesi dai diversi modelli di regressione, per tempo di latenza
cordo con quanto riportato in letteratura [5,6]. D’altra parte la stima di K
per il tumore pleurico nel modello tradizionale (K=1,27), che è più bassa
di quanto riportato in letteratura, suggerisce che il modello con eliminazione sia anche più realistico dal punto di vista biologico. Il tasso di eliminazione delle fibre (λ) stimato dal modello per il tumore pleurico è del
6% annuo, pari ad un’emivita di 11 anni, in accordo con i risultati di alcuni studi sperimentali [7,8] e con le stime prodotte da Berry [8]. Per
quanto riguarda i tumori peritoneali, il modello con eliminazione non descrive i dati meglio del modello tradizionale (likelihood ratio test
p=0,23). Inoltre i valori stimati dei parametri nel modello con eliminazione (K=0,74; λ= -0,05) per i tumori peritoneali non sono biologicamente plausibili (un valore di clearance negativo non è interpretabile e la
stima di K è molto bassa), suggerendo che in questo caso il modello tradizionale sia preferibile. La figura 1 mostra i tassi osservati di tumore
pleurico e quelli attesi dai vari modelli. Quando il modello tradizionale
viene utilizzato per descrivere i dati fino a 40 anni di latenza (come è stato fatto in diversi studi epidemiologici del passato), predice un aumento
continuo dei tassi con il trascorrere del tempo di latenza e l’adattamento
ai dati è eccellente. D’altra parte, i tassi osservati dopo 40 anni di latenza
sono più bassi di quelli predetti. Quando anche le osservazioni successive a 40 anni di latenza vengono utilizzate dal modello tradizionale per la
stima dei parametri, l’adattamento del modello ai dati peggiora e vengono stimati valori di K poco plausibili. Il modello con eliminazione dà risultati molto simili al modello tradizionale fino a 40 anni di latenza, ma
in seguito diverge sensibilmente, descrivendo bene il plateau dei tassi osservato nelle ultime categorie di latenza.
BIBLIOGRAFIA
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COM-09
ESPOSIZIONE A POLVERE D’ASBESTI IN AMBIENTI AGRICOLI.
ALCUNE SIGNIFICATIVE MODALITÀ ESPOSITIVE DOCUMENTATE
DALLA UOOML (UNITÀ OPERATIVA OSPEDALIERA DI MEDICINA
DEL LAVORO) DEGLI ISTITUTI OSPITALIERI DI CREMONA
V. Somenzi, M. Lattarini
Unità Ospedaliera di Medicina del Lavoro, Istituti Ospitalieri di
Cremona.
Corrispondenza: Dott. V. Somenzi - Unità Ospedaliera di Medicina del
Lavoro - Istituti Ospitalieri di Cremona - Viale Concordia, 1 - 26100
Cremona - [email protected]
RIASSUNTO. Nei lavoratori dell’agricoltura che sviluppano mesoteliomi maligni, difficilmente si riesce a documentare esattamente l’eventuale esposizione ad asbesti, tuttavia mesoteliomi si riscontrano anche
in ambienti rurali che, per la loro natura, parrebbero scarsamente a rischio.
Il contributo descrive la diffusione sistematica di polveri d’asbesto in
ambienti agricoli cremonesi, correlata ad attività di lavoratori “non agricoltori” ammalatisi di mesotelioma.
I pazienti descrissero dettagliatamente le loro attività al Medico del
Lavoro evidenziando le circostanze e modalità di diffusione delle polveri d’asbesto negli ambienti rurali interessati.
Tali modalità, attentamente analizzate dal Medico del Lavoro, spiegano l’insorgenza dei mesoteliomi nei pazienti, e documentano una sistematica e prolungata contaminazione delle zone rurali coinvolte.
La diffusione delle polveri descritta ha verosimilmente provocato
una non trascurabile esposizione d’altri soggetti attivi in agricoltura, per
ora senza malattie asbesto correlate conclamate, ma potenzialmente in
grado di svilupparle.
Esse quindi hanno valenza generale per l’ambiente agricolo nella zona cremonese coinvolta oltre che individuale.
Parole chiave: agricoltura, asbesto, mesotelioma
EXPOSITION
TO ASBESTOS DUST IN AGRICULTURAL ENVIRONMENT. SOME
SIGNIFICANT EXPOSURE FORMS DOCUMENTED BY THE HOSPITAL UNIT OF
CREMONA
ABSTRACT. Although it is difficult to document the exposition to
asbestos in the agricultural workers, mesotelioma has however been
noticed in the rural environment that may seem to have low risk because
of its nature. This work describes the systematic diffusion of asbestos dust
in the rural environment near Cremona due to the activity of “nonagricultural” workers who have fallen ill with mesothelioma. The patient
described their work in details to the occupational medical doctor
underlining the circumstances and the ways asbestos dust has been
diffused in the rural environment. These ways were carefully analysed by
the occupational medical doctor. They explain the onset of the
mesothelioma in patients and they prove a systematic and long
contamination of the involved rural areas. The described diffusion of dust
has probably provoked a noteworthy exposure to the agricultural
workers. At the moment there aren’t full-blown asbestos-linked pathology
but these workers are potentially at risk of getting them. So it has an
importance both on individual and global level for the rural area near
Cremona.
Key words: agriculture, asbestos, mesotelioma
OCCUPATIONAL MEDICINE OF HOSPITAL INSTITUTE OF
INTRODUZIONE
Per i lavoratori degli ambienti rurali affetti da mesotelioma, non è facile documentare le circostanze di un’effettiva esposizione ad asbesti. Nel
presente contributo si descrivono attività non agricole che hanno indotto
una diffusione “certa” e sistematica di piccole quantità di asbesti in parte
del territorio agricolo cremonese.
MATERIALI E METODI
Durante l’attività che l’Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del
Lavoro di Cremona (UOOML) ha svolto dal 2000 per il registro mesoteliomi lombardo, si sono approfonditi sotto il profilo etiopatogenetico ca-
349
si di mesotelioma maligno in lavoratori “non agricoltori” con attività
comportanti la diffusione di piccole quantità d’asbesto negli ambienti rurali cremonesi di lavoro e di vita. Si fa riferimento e si descrivono esclusivamente attività dettagliatamente descritte al Medico del Lavoro dagli
stessi pazienti le quali furono attentamente valutate sotto il profilo della
credibilità e dell’adeguatezza lesiva prima d’essere ritenute plausibili e
verosimili. Si riportano le circostanze espositive segnalate dai pazienti in
quanto potenzialmente utili nella valutazione del nesso causale per patologie asbesto correlate in situazioni analoghe.
CASISTICA
Caso 1: D.S. uomo di 70 aa di Soncino, paese Cremasco confinante
con la provincia Bergamasca, che nel 2006 sviluppò MM pleurico. Dal
1955 al 1974 fu addetto al trasporto di sementi e mangimi in sementificio che commercializzava mais, frumento, orzo, avena, soia, sia come sementi di qualità sia come mangimi o per produrre farine, oltre a crusca.
Gli scambi commerciali avvenivano sia con gli agricoltori della zona che
lontano, essendo acquistato l’orzo a Venezia o Ravenna, la soia consegnata all’oleificio Belloli di Inveruno (MI), prodotti vari venduti ai mangimifici di Piacenza e Ferraroni di Bonemerse (CR). D.S. ha dettagliatamente descritto che la sua ditta acquistava sementi di qualità presso fornitori specializzati che poi rivendeva insaccandole in sacchi di iuta nuovi riportanti la propria ragione sociale. Invece le granaglie vendute come
mangimi e la crusca erano insaccate in sacchi di iuta riciclati, che erano
consegnati agli agricoltori della zona. I sacchi riciclati provenivano anche
dai sacchifici dei vicini comuni di Calcio e Torre Pallavicina, noti oggi in
letteratura per il riciclo di sacchi di iuta già usati per l’amianto. D.S. precisò inoltre che i titolari di dette saccherie periodicamente recapitavano al
sementificio una “camionata” di sacchi che un’operaia verificava, provvedendo alla loro riparazione quando agevole, o alla loro restituzione al
sacchificio se troppo rovinati. Ciò avvenne per molti anni, perlomeno sino a quando i sacchi di iuta riciclati, furono sostituiti da sacchi di carta o
plastica. In azienda erano movimentati giornalmente circa 400q di prodotti con i 4 camion della ditta, la cui portata era di 200, 100, 70 e 30
quintali. I sacchi erano riempiti con 100Kg di prodotto ciascuno. Il paziente ha stimato che in un anno si consegnassero agli agricoltori almeno
10-12.000 sacchi riciclati insieme ai mangimi. Durante il caricamento dei
mezzi i sacchi venivano di norma depositati con un montacarichi sul pianale del camion e quindi accatastati dall’incaricato nella giusta posizione
trascinandoli manualmente; durante lo scarico ogni addetto si caricava un
sacco sulle spalle e lo portava nel deposito prestabilito dall’acquirente. In
ogni caso la movimentazione dei sacchi durante il carico e lo scarico,
comportava il contatto diretto della iuta con i vestiti dell’operatore e la
polvere d’amianto eventualmente presente nella iuta contaminava certamente suoi vestiti. Ciò avveniva negli stessi ambienti rurali dove peraltro
si svolgevano anche altre attività, con conseguente possibilità di diffusione della polvere d’amianto eventualmente presente.
Caso 2: G.C. uomo di 68 aa, abitante in piccola frazione nella campagna ad est di Cremona, con MM pleurico dal 2006. Fabbro ed installatore di particolari bruciatori a cherosene, riferì due specifiche e sistematiche attività professionali comportanti suo malgrado l’inquinamento con
asbesto dell’ambiente agricolo della zona. In particolare: dal 1960 per almeno 13 anni installò e/o sottopose a manutenzione ogni anno nelle stufe originariamente a legna presso le abitazioni rurali della zona, bruciatori con stoppino d’amianto. Il bruciatore era prodotto e commercializzato
da una ditta di Carpi (Modena) la quale diffuse con tali congegni un tocco di modernità per le vecchie “cucine economiche”. Lo stoppino su cui
ardeva la fiamma era posto sul fondo del bruciatore e consisteva in nastro
d’amianto delle dimensioni di circa 0,5x1,5cm parzialmente inserito “di
costa” in un’apposita scanalatura su due anelli concentrici, dove veniva a
contatto col combustibile. Esso intriso di kerosene bruciava senza consumarsi troppo rapidamente per molti mesi. Piccole quantità di fibre verosimilmente si liberavano trasportate dai fumi caldi della combustione
contaminando l’ambiente di vita, specialmente quando si toglievano i
cerchi soprastanti la fiamma per inserire nella piastra della stufa pentole
e tegami con cibi da cuocere. L’usura dello stoppino comportava la sua
sostituzione circa ogni anno con una breve operazione di manutenzione
che a sua volta diffondeva nell’ambiente rurale piccole quantità d’amianto, poché eseguita senza cautele specifiche. Il paziente riferì che ogni anno installava un centinaio di tali bruciatori, sui quali poi con la periodicità citata, eseguiva la sostituzione degli stoppini acquistando il nastro
d’amianto in matasse da 20m e consumandone 20-30/anno. Non cono-
350
scendo la pericolosità dell’amianto non osservava cautele per proteggersi dalla contaminazione né per evitare la dispersione delle fibre; il figlio
ricordò che da piccolo giocava con gli avanzi di detto nastro. Quale fabbro installò o sostituì presso molte cascine della zona, complessivamente
alcune decine di grandi tettoie atte a riparare bovini e/o macchine agricole, in traliccio metallico ricoperto con eternit. La dimensione variava dal
centinaio a diverse centinaia m2. Tali tettoie affiancavano le stalle per riparo agli animali all’esterno delle stesse.
DISCUSSIONE
Negli anni 50 e 60 l’uso di sacchi di iuta per frumento, mais o altri
prodotti della terra, era insostituibile ed indusse anche presso il Consorzio Agrario Provinciale di Cremona ampio commercio di tali contenitori.
Era quindi in uso in agricoltura conservare e riutilizzare più volte i sacchi
di iuta disponibili, curando la loro conservazione e se necessario trattandoli e/o riparandoli prima d’ogni nuovo utilizzo. Ciò comportava necessariamente una minimale manutenzione degli stessi (verifica delle condizioni dopo ogni utilizzo, cernita di quelli riutilizzabili ed eliminazione di
quelli inservibili, sbattitura per liberarli dalla polvere, applicazione di
pezze sugli strappi, stoccaggio, etc.). Tali attività coinvolgevano peraltro
tutti i soggetti attivi nel mondo agricolo, negli stessi ambienti rurali di lavoro e di vita e verosimilmente senza particolari attenzioni per il rischio
polveri o per il rischio amianto, con conseguente possibilità di diffusione
della polvere d’amianto eventualmente presente in essi. In tale contesto è
avvenuta ogni anno la distribuzione agli agricoltori del cremonese di 1012.000 sacchi riciclati, parte dei quali certamente contaminati con asbesto, rappresentando quindi una circostanza rilevante per l’inquinamento
ambientale. Nello stesso periodo in sintonia con la ripresa economica e
con lo stimolo alla modernizzazione degli ambienti e degli stili di vita, la
possibilità di modificare le vecchie “cucine economiche”, sostituendo la
legna con il cherosene rappresentò un’evoluzione semplificativa al lavoro delle massaie. Si spiega pertanto la diffusa richiesta di installazione del
bruciatore descritto dal paziente G.C. e con essa anche la conseguente
diffusione di minime ma non trascurabili quantità di polveri d’asbesto
nelle abitazioni rurali cremonesi. Attualmente non disponiamo di ulteriori informazioni in merito alla produzione e diffusione del bruciatore in
questione in aree diverse da quella cremonese, tuttavia sarebbe opportuno poter acquisire informazioni sulla complessiva produzione della ditta
modenese per meglio dimensionare la questione anche in altre realtà rurali. L’allestimento di tettoie di grandi dimensioni ricoperte con lastre di
cemento amianto ha rappresentato negli ambienti agricoli cremonesi negli anni 50-60-70, una soluzione a basso costo per il riparo di animali,
prodotti e mezzi. Come documenta l’attività di G.C., la loro costruzione
non fu riservata alle imprese edili; l’installazione, la manutenzione e l’alienazione delle lastre di eternit ha certamente comportato inquinamento
da asbesti dell’ambiente di lavoro agricolo.
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SESSIONE
DISAGIO PSICOLOGICO STRESS OCCUPAZIONALE
COM-01
LA VALUTAZIONE RAPIDA DELLO STRESS NEGLI INFERMIERI
A. Copertaro 1, M. Barbaresi 1, L. Tarsitani 2, F. Battisti 2,
M. Baldassari 3, A. Picardi 4, M. Biondi 2
1 Unità
di Medicina del Lavoro ASUR Marche-Zona 7, Ancona
Dipartimento di Psichiatria e Medicina Psicologica, Università “La
Sapienza”, Roma
3 Unità Medicina del Lavoro Ospedali Riuniti-Università Politecnica
delle Marche, Ancona
4 Centro di Epidemiologia, Promozione e Sorveglianza della Salute,
Istituto Superiore di Sanità, Roma
2
Corrispondenza: Alfredo Copertaro, ASUR-ZT7 Ancona, Ospedale di
Loreto, via S.Francesco1. e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. Lo studio presenta i risultati ottenuti dalla somministrazione del test di Valutazione Rapida dello Stress a 92 infermieri di cui
64 turnisti e 28 non turnisti.
Il test autosomministrato, di facile comprensione, di rapida compilazione e che consente un veloce scooring appare adeguato a selezionare
soggetti meritevoli di ulteriore approfondimento specialistico risultando
quindi un utile strumento di lavoro per il medico competente che deve valutare l’idoneità psico-fisica dei lavoratori.
FAST STRESS EVALUATION IN NURSES
ABSTRACT. The aim of the study was to assess subjective stress to
92 nurses by administering the Rapid Stress Assessment (RSA) Scale, a
self-rated tool.The self-administered test, easily understandable, which is
quickly drawn up and which allows a quick scooring, appears to be
suitable to select subjects deserving a thorough specialistic investigation.
The test itself becomes therefore a useful professional means for the
occupational health physician, who has to evaluate the workers’ psychic
and physical attitude.
Key words: stress; shift work; nursing
INTRODUZIONE
Il NIOSH ha definito le stress dovuto al lavoro come un insieme di
reazioni fisiche ed emotive che si manifesta nel lavoratore quando le richieste poste dal lavoro non sono commisurate alle sue capacità, risorse
od esigenze. Gli infermieri rappresentano una popolazione lavorativa a rischio di stress dovuto al disagio specifico presente nelle professioni
d’aiuto (1,2) che può determinare il manifestarsi del burnout (3). Anche
il lavoro a turni e notturno può rappresentare un’ulteriore sorgente di
stress per la desincronizzazione delle funzioni psico-biologiche (ritmo
sonno/veglia, alterazioni dei flussi circadiani ecc.) (4) e delle attività sociali con riflessi negativi sulla performance lavorativa (incremento degli
infortuni), sulle condizioni di salute e sulla vita di relazione (5).
Poiché il medico competente nel formulare il giudizio di idoneità alla mansione specifica deve valutare le condizioni non solo fisiche ma anche psicologiche del lavoratore, abbiamo utilizzato un nuovo test psicometrico per valutare la percezione dello stress soggettivo in una popolazione di infermieri professionali.
SOGGETTI E METODI
Sono stati studiati 92 infermieri che lavorano presso il reparto di Rianimazione degli Ospedali Riuniti di Ancona (34 infermieri) e presso le
strutture sanitarie territoriali della ASUR-Zona 7 di Ancona (58 infermieri). L’unico criterio di inclusione utilizzato era l’assenza riferita di
diagnosi psichiatriche; a tutti i soggetti è stato somministrato un test psicometrico per la Valutazione Rapida dello Stress (VRS) sviluppato e validato da Tarsitani e Biondi nel 1999 (6). Questa scala a 13 items, auto-
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351
somministrata, è in grado di determinare le risposte individuali (capacità
di coping) agli eventi stressanti in modo semplice e rapido, anche su campioni numerosi e in diversi contesti, clinici o di ricerca e su popolazioni
differenti (7,8,9)
La scala VRS ha infatti dimostrato sufficiente attendibilità e validità;
sottoposta a test-retest per la verifica dell’attendibilità delle reazioni (r tra 0.7 e 0.92, p<0.0001) a validità per contenuto correlando le scale del VRS con le scale del “MinTabella
nesota Multiphasic Personality Inventory” (coefficiente di
Pearson’s: depressione r=0.61, ansia r=0.6, somatizzazione 0,54, aggressività r=0,38 tutti con p<0.0001, diminuito
supporto sociale r=0.38 con p<0,005). In Tabella I sono riportati gli items utilizzati per costruire la scala valutando
tre diverse dimensioni (tensione, demoralizzazione e supporto sociale). Ogni sottoscala comprende un differente
numero di items ciascuno con un punteggio variabile da 0
a 3. I punteggi ottenuti con le singole sottoscale (tensione:
0-15, demoralizzazione 0-15, supporto sociale 0-9) sommati tra loro forniscono il punteggio totale di stress variabile da 0 e 39. Il test è stato autosomministrato ai soggetti
alle ore 8,30 del mattino di giorni feriali, non coincidenti
con il turno lavorativo, in condizioni di confort ambientale e soggettivo. L’intervistato dopo personale valutazione,
ha risposto ad ogni item scegliendo tra quattro risposte
possibili che variavano da “per nulla” a “molto” con relativo punteggio compreso da 0 a 3. I punteggi totali ottenuti
sono stati raccolti in una scala di valutazione semiquantitativa dello stress: un punteggio compreso tra 0-19 indica
una buona capacità di coping e colloca il soggetto in una
classe a basso rischio di stress; i punteggi compresi tra 2024 indicano una difficoltà da parte del soggetto ad avvalersi delle proprie risorse strategiche per far fronte alle diverse situazioni stressanti collocando il soggetto di fatto in
una classe di rischio intermedia, mentre punteggi >24 indicano una scarsa capacità di coping a cui corrisponde una
classe di rischio elevata. Per rischio di stress si intende la
scarsa capacità di coping dimostrata nel dominare e controllare gli eventi di vita sia professionali che sociali.
Infine si è valutato se gli infermieri turnisti fossero
sottoposti ad un maggior carico di stress lavorativo e psicosociale: a tale scopo sono stati messi a confronto due
sottogruppi costituiti da 64 soggetti che effettuavano lavoro a turni e notturno (1°giorno ore 6,00 - 14,00; 2° giorno ore 14,00 - 22,00; 3° giorno ore 22,00 - 06,00; terminato il turno di notte, osservavano 48 ore di riposo per poi
riprendere con il turno di mattino e così di seguito) mentre altri 28 soggetti lavoravano o al mattino con orario 0814 o al pomeriggio con orario 14-20.
RISULTATI
Tabella II: Il lavoro a turni è preferito da soggetti celibi, più giovani per età e con minore anzianità lavorativa
i quali consumano alcool, fumano sigarette e ricorrono a
farmaci sonno-inducenti in misura maggiore rispetto ai
non turnisti. Il lavoro giornaliero appare invece più ambito da chi ha un nucleo familiare stabilizzato (coniugati e
conviventi) con prole da accudire.
Tabella III: non sono emerse differenze significative
nel campione analizzato per sesso e turno di lavoro. Si rileva un più marcato senso di demoralizzazione tra gli infermieri giornalieri rispetto ai turnisti con le infermiere
giornaliere che presentano un punteggio totale di stress
maggiore rispetto alle turniste probabilmente dovuto ad
un maggior carico di lavoro imposto dalla famiglia.
Tabella IV: gli infermieri turnisti rispetto ai colleghi
non turnisti dimostrano una maggiore capacità di controllo nei confronti di eventi stressanti.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
L’ex D.Lgs 626/94 (art.17 comma 1, lettera a) impone al medico competente la valutazione non solo fisica
ma anche psicologica dei lavoratori. A maggior ragione
si impone una valutazione delle condizioni psicologiche nel personale
sanitario per prevenire situazioni di disagio psicologico che possono
evolvere in malattie in grado di condizionare la salute dell’operatore (secondo la definizione più ampia del concetto di salute formulata dall’OMS) con risvolti negativi anche sui rapporti di mutualità etica e pro-
I. Scala utilizzata per la Valutazione Rapida dello Stress (VRS)
Tabella II. Caratteristiche del campione analizzato
Tabella III. Risultati della valutazione con scala VRS operata sugli infermieri
distinti per turno lavorativo e sesso
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Tabella IV. punteggi totali ottenuti con la scala VRS negli infermieri
distinti per turno lavorativo
Infermieri
Classi di rischio per lo stress percepito
0 - 19
20 - 24
> 24
64 turnisti
56 (87%)
5 (8%)
3 (4%)
28 non turnisti
20 (71%)
6 (21%)
2 (8%)
92 complessivi
76 (83%)
11 (11%)
5 (6%)
fessionale che legano gli operatori sanitari ai loro assistiti. In Italia è stato reso disponibile un test psicometrico per la Valutazione Rapida dello
Stress (VRS) messo a punto e validato da Tarsitani e Biondi nel 1999.
Tale test offre al medico del lavoro un utile strumento di lavoro adatto in
particolare allo screening di vaste popolazioni lavorative focalizzando
l’attenzione su quei casi che necessitano di consulenza specialistica psichiatrica e/o psicologica. Tale test per le sue caratteristiche si presta in
particolare a valutare le condizioni psicologiche del personale sanitario:
la sottoscala “tensione” indaga infatti le reazioni di chi effettua un lavoro che necessita di particolare attenzione e concentrazione, svolto all’interno di una equipe non sempre scelta dal soggetto ed in cui più facilmente possono manifestarsi rapporti conflittuali tra colleghi infermieri o
con la dirigenza medica in aggiunta alla complessità ed alle difficoltà nel
rapporto quotidiano con la malattia, i vissuti del paziente e dei suoi familiari; la sottoscala “demoralizzazione” indaga invece sulla possibile
presenza di difficoltà nello sviluppare strategie di coping e che potrebbe
rappresentare l’aura di una serie di manifestazioni patologiche quali la
depressione ed il burnout; il “supporto sociale” rivela infine il grado di
supporto che la famiglia, i colleghi, gli amici ecc. sono in grado di offrire agli operatori sanitari.
In virtù dell’elevata specificità, il test si è rivelato facile da comprendere e veloce da compilare (tempo necessario circa 3 minuti) come
pure contenuto è il tempo richiesto (circa 50 secondi) per l’inserimento
dei risultati in un programma di statistica computerizzato quale l’SPSS
per Windows (SPSS Inc., Chigago, USA). Il punteggio totale è ottenuto
dalla somma dei punteggi parziali appartenenti alle singole sottoscale
(tensione, demoralizzazione e supporto sociale) rappresentando quindi
degli indicatori utili per indirizzare il medico e lo psicologo a successivi
e più approfonditi interventi in campo diagnostico e terapeutico. Lo studio presenta i risultati forniti dalle risposte ottenute in un campione di 92
infermieri a cui è stato somministrato il test VRS; 5 infermieri che al test erano risultati ad elevato rischio di stress sono stati avviati a consulenza psicologica: in tre casi è stata posta diagnosi di sindrome ansiosa reattiva riconducibile a situazioni di conflittualità in ambito famigliare, in un
caso è stata posta diagnosi di sindrome depressiva (sottoposto al Maslach Burnout Inventory l’esito è risultato negativo) mentre un caso è stato
attribuito ad una forma di disagio lavorativo ed avviato a consulenza ortopedica per sospetta ernia dei dischi intervertebrali lombari. In merito alla possibilità di una maggiore sofferenza psicologica nei lavoratori turnisti rispetto ai giornalieri, per un’ipotetica desincronizzazione cronobiologica dovuta all’alterazione del ritmo sonno/veglia, non sono state rilevate differenze significative tra le due sottopopolazioni rappresentate da 64
infermieri turnisti e 28 non turnisti. Si è invece osservata una maggiore
frequenza nei turnisti di abitudini voluttuarie legate a fumo ed alcool come pure è stata osservato un maggior consumo di farmaci sonno-inducenti come pure una prevalenza in tale categoria di soggetti celibi, giovani e con breve anzianità lavorativa.
In 90 infermieri è stata formulata da parte del medico del lavoro una
idoneità lavorativa incondizionata, un infermiere è stato esentato per un
periodo di sei mesi dall’effettuazione di lavoro notturno mentre un altro
infermiere è stato spostato dal reparto di degenza (Hospice) per pazienti
terminali, all’assistenza domiciliare infermieristica. Il test psicometrico
VRS viene da 10 mesi regolarmente somministrato in occasione delle visite mediche preventive e periodiche al personale sanitario, essendo entrato a far parte del protocollo sanitario adottato dai Servizi di Medicina
del Lavoro dell’Azienda Ospedaliera e Territoriale di Ancona.
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COM-02
LA VALUTAZIONE DELLO STRESS OCCUPAZIONALE NELLA
PRATICA CLINICA DI MEDICINA DEL LAVORO ESPERIENZA
DIAGNOSTICA E PROSPETTIVE DI INTERVENTI TERAPEUTICI
M.E. Magrin1, M. I. D’Orso. 2, R. Latocca3, V. Viganò3, G. Cesana2
1Dipartimento
2Dipartimento
di Psicologia - Università di Milano Bicocca
di Medicina Clinica e Prevenzione - Università di Milano
Bicocca
3Unità Medicina Occupazionale ed Ambientale - A.O. San Gerardo Monza (Mi)
Corrispondenza: Magrin Elena - Per riferimenti organizzativi la mail di
servizio è [email protected]
RIASSUNTO. I casi clinici di disturbi psicocomportamentali che i
Medici del Lavoro incontrano frequentemente nella loro attività quotidiana sono spesso di difficile diagnosi differenziale e comportano necessariamente limitazioni della idoneità lavorativa di non facile definizione
e prognosi.
Il supporto di un ambulatorio specifico per la valutazione dello stress
occupazionale può risultare quindi utile nella definizione precisa di questi casi, grazie alla complementarità tra Medici del Lavoro e Psicologi
che tali strutture possono garantire.
Si riportano i protocolli di valutazione del nostro ambulatorio ed i principali dati inerenti la casistica più recentemente afferita all’ambulatorio.
Parole chiave: stress lavorativo, mobbing, idoneità al lavoro
THE
EVALUATION OF WORK RELATED STRESS IN OCCUPATIONAL HEALTH:
DIAGNOSTIC EXPERIENCE AND THERAPEUTIC PROSPECTS
ABSTRACT. The clinical cases of psychosocial disturbances that
the Occupational Doctors find in their daily activity frequently are
characterized by difficult differential diagnosis.
These cases frequently must be faced with limitations of the work
ability not easy to define and with unclear prognosis too.
A useful help in the evaluation of these cases can be offered by the
Clinical Units for the evaluation of work related stress, for the specialized
joined support of Psychologist and of Occupational Doctors these Units
can assure.
We report the protocols of diagnosis of our clinical unit and the main
characteristics of the patients more recently evaluated.
Key words: work related stress, mobbing, work ability
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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INTRODUZIONE
Nell’attività pratica accade sempre più frequentemente che i Medici
del Lavoro si trovino a visitare lavoratori che presentano sintomatologie
riferibili non tanto a cause strettamente organiche, quanto a possibili esiti psichici di situazioni di stress occupazionale; alcune situazioni e forme
organizzative del lavoro frequentemente riscontrabili possono infatti notoriamente essere fonte di eccessivo affaticamento psicofisico o stress
(Cassidy, 1999; Quick, Tetrick, 2002; Lundberg, 2005).
Per indagare adeguatamente tali pazienti il Medico del Lavoro ha oggi la possibilità di avvalersi di un supporto specialistico specifico in grado di valutare la presenza o meno di una effettiva sintomatologia stresscorrelata.
Si ritiene utile riportare l’esperienza nata e sviluppatasi proprio per
affrontare tali situazioni nell’ambito dell’Unità Operativa di Medicina
Occupazionale ed Ambientale dell’Azienda Ospedaliera San Gerardo di
Monza, in collaborazione con la Università di Milano Bicocca.
Nel 1999 in questa struttura è stato istituito l’Ambulatorio misto
ospedaliero/universitario per la valutazione dello stress lavorativo, con
l’obiettivo di rispondere all’esigenza di poter realizzare una valutazione
completa del malessere lamentato da molti lavoratori, mediante l’integrazione delle competenze di medici del lavoro e di psicologi inseriti operativamente nell’ambulatorio.
Presso l’Ambulatorio Stress viene effettuato un inquadramento clinico delle possibili patologie stress-lavoro-correlate, in relazione anche alle crescenti richieste di valutazione a scopo medico-legale delle malattie
neuropsichiche e psicofisiche riferite usualmente a fattori stressanti di
origine lavorativa ed in particolar modo, in alcuni casi, a condizioni di lamentata “avversatività lavorativa”.
MATERIALI E METODI
Al fine di valutare i risultati ottenuti ad oggi dalla attività dell’ambulatorio, si sono considerati retrospetticamente le attività cliniche svolte. Il
campione considerato nella presente ricerca è costituito dagli ultimi 100
pazienti visitati e sottoposti al protocollo completo dell’ambulatorio.
Si è verificato innanzi tutto quale siano le vie più usuali di
accesso/invio all’ambulatorio, che può avvenire con diverse possibili modalità come per esempio: richiesta autonoma da parte del lavoratore, invio da parte del Medico Competente, invio da parte del Medico di Medicina Generale, invio da parte del medico Specialista dell’area psichiatrica, invio da parte delle Autorità di vigilanza competenti per territorio
(ASL, Ispettorati del Lavoro).
Si è poi valutato per quali sospetti quadri patologici si chiede usualmente l’attivazione delle attività diagnostiche dell’ambulatorio. Essi sono usualmente:
– il disadattamento lavorativo stress-correlato,
– il sospetto quadro psicologico compatibile con situazione lavorativa
avversativa,
– uno dei quadri sopra descritti con compresenza di quadro psicopatologico maggiore.
Presso l’Ambulatorio il percorso di valutazione segue un preciso protocollo (Magrin, 2003)
Tale protocollo prevede, innanzitutto, la visita specialistica del Medico del Lavoro il quale, in seguito alla effettuazione di una completa valutazione anamnestica mirata, dell’esame obiettivo ed alla somministrazione dello Screener SDS (Screener per i Disturbi Somatoformi, Tacchini et al. 1996), invia all’Ambulatorio i pazienti per i quali non è possibile individuare una causa esclusivamente organica del malessere rilevato.
Lo Screener SDS è uno strumento messo a punto dall’Organizzazione
Mondiale per la Sanità, ed è somministrato dal Medico del Lavoro nell’ambito della normale visita specialistica.
Esso consente una classificazione della sintomatologia clinica rilevata e fornisce indicazioni circa la presenza o l’assenza di una connessione diretta tra il disagio lamentato ed i riscontri obiettivi di natura organica. Successivamente presso l’Ambulatorio gli Psicologi procedono
ad un primo colloquio che consente la rilevazione di dati anamnestici personali e lavorativi, di notizie sulla condizione lavorativa oggettiva, sulla
percezione soggettiva relativa allo stato di benessere/malessere psicofisico, sulla percezione della presenza di risorse psicologiche.
Qualora il paziente si sia recato all’Ambulatorio per l’accertamento
di una situazione di presunto mobbing, durante il colloquio vengono raccolte con maggiore precisione informazioni relative alla presenza di elementi di avversatività e costrittività lavorativa.
353
I pazienti vengono di seguito invitati all’autocompilazione dell’inventario di personalità MMPI-2 Minnesota Multiphasic Personality Inventory (Buthcer, 1996M; Butcher, Williams, 1996).
Tale strumento psicodiagnostico fornisce un quadro completo della
struttura della personalità, sia nei suoi aspetti più stabili nel tempo, sia in
quegli aspetti che risentono maggiormente delle condizioni particolari e
transitorie in cui la persona si trova al momento della compilazione.
Esso è in grado di valutare tanto la presenza/assenza di risorse individuali che consentono la gestione di situazioni problematiche quali
le condizioni di stress, quanto l’eventuale presenza di una compromissione di tali risorse che comporti difficoltà soggettivamente intollerabili nel rapporto con la realtà. Il MMPI-2 è, inoltre, dotato di scale di validità in grado di fornire indicazioni molto precise sull’atteggiamento
assunto dalla persona al momento della compilazione del test facilitando il riconoscimento di tentativi di manipolazione. Per tale motivo è
uno strumento spesso usato in sede di valutazione medico-legale (Pajardi et al., 2006).
La valutazione psicologica si conclude con un secondo colloquio di
restituzione e predisposizione di intervento, finalizzato anzitutto alla restituzione al paziente dei risultati del test MMPI-2 e ad una valutazione
complessiva che tenga conto di tutti gli elementi emersi nelle fasi precedenti.
Oltre a ciò inoltre, laddove sia emersa la presenza di un reale malessere psichico, si offre al paziente un aiuto nell’individuazione dei percorsi più idonei per il recupero di una condizione di benessere.
Infine, sulla base delle due valutazioni (medica e psicologica) viene
redatta una relazione finale, congiuntamente dal Medico del Lavoro e
dallo Psicologo, con i seguenti elementi di rilievo:
valutazione psicologica di compatibilità con stress e/o con condizioni lavorative avversative;
valutazione clinica (soprattutto in riferimento ai sintomi/segni di
quadri patologici organici e/o psicosomatici stress-correlati);
eventuali indicazioni cliniche (approfondimenti diagnostici, suggerimenti terapeutici);
indicazioni al medico competente in ordine al quadro psicofisico
stress-correlato, alla compatibilità o meno con la mansione effettuata, indicazioni su altre mansioni compatibili, suggerimenti su interventi da effettuarsi sull’organizzazione e/o sugli operatori (valutazione del rischio stress con idonee batterie di strumenti, formazione,
informazione).
RISULTATI
I pazienti considerati hanno presentato all’accesso in ambulatorio
un’età media di 42,9 anni (ds. 7,7), ed una anzianità lavorativa media di
11,3 anni (ds. 9,5).
I pazienti erano prevalentemente di sesso femminile (62%).
Il profilo lavorativo dei pazienti riscontrato è stato prevalentemente
medio (53%) (infermieri professionali, impiegati, insegnanti) o mediobasso (26%) (infermieri generici, ausiliari socio-assistenziali, operai); i
restanti pazienti (21%) svolgevano professioni di alto profilo (dirigenti,
medici).
L’afferenza all’ambulatorio dei pazienti valutati è stata prevalentemente attivata dai Medici del Lavoro (48%) o dalle strutture del S.S.N.
(25%). Tra le modalità di afferenza all’ambulatorio non attivate da personale sanitario si è riscontrato che il 4% dei pazienti è stato inviato da
rappresentanze sindacali mentre il 6% si è rivolto all’Ambulatorio in maniera autonoma.
Relativamente al quadro clinico presentato, la valutazione psicologica iniziale ha consentito di rilevare nel 20% dei casi l’assenza di segnali
oggettivi di malessere psicocomportamentale, mentre nel restante 80%
tali segnali sono stati riscontrati ed approfonditi.
Nei casi in cui si è rilevata la presenza di una condizione di malessere psicologico, esso consisteva nel 76.3% dei casi in una forma di malessere di natura nevrotica - stress-compatibile - e nel restante 23.7% dei casi in una forma di malessere psichico di natura psicotica, non stress-compatibile.
I pazienti riscontrati affetti da quadri psicotici sono stati indirizzati
ad un supporto specialistico psichiatrico.
Laddove si sia rilevata la presenza di una condizione di malessere
psicologico di natura nevrotica, esso nel 39.5% dei casi era di intensità
lieve e quindi più precisamente considerabile stress-compatibile, mentre nel restante 60.5% i quadri evidenziati presentavano livelli di inten-
354
sità francamente patologici, eccedenti i livelli di malessere stress-compatibili.
I criteri utilizzati per definire la compatibilità o meno con la condizione di stress sono riferiti alla rilevazione dei punteggi ottenuti al test
MMPI-2 nelle scale della cosiddetta triade nevrotica del profilo di base:
punti T compresi nell’intervallo 65-69 indicano la presenza di una condizione di malessere lieve, considerabile come stress compatibile; punti T
> 70 indicano la presenza di forme di malessere psicologico moderato,
marcato, o grave, non considerabile come stress compatibile.
Per i lavoratori con sintomi di stress occupazionale si è provveduto a
contattare i Medici del Lavoro al fine di verificare la possibilità di attivare interventi sulla organizzazione del lavoro e sulla capacità di reazione
del lavoratore. In merito si evidenzia come a fronte di una quasi generale disponibilità dei Medici del Lavoro e delle Imprese contattate, si sia riscontrata una forte ritrosia in tal senso proprio dei pazienti, spesso non
più motivati ad un miglioramento delle loro situazioni lavorative ma ormai indirizzati a cambiare radicalmente attività lavorativa.
DISCUSSIONE
I dati raccolti mostrano come molto eterogenea sia la tipologia di pazienti afferenti all’Ambulatorio, sia per quel che riguarda il loro status lavorativo, sia per quanto concerne i canali di accesso.
Si ritiene che tal situazione sia da correlare con le caratteristiche del
protocollo dell’ambulatorio sopra descritto che fanno sì che l’Ambulatorio sia un servizio sul territorio oltre che in grado di interloquire con la
maggior parte dei soggetti coinvolti nella tutela della salute dei lavoratori, anche capace di rispondere all’esigenza di un primo livello di accertamento di compatibilità con condizioni lavorative avversative e situazioni
di potenziale mobbing.
La valutazione ha consentito, inoltre, di verificare che solo in una minoranza di casi il tipo di malessere psichico rilevato è stress-compatibile,
mentre per la maggior parte dei pazienti il malessere psichico rilevato è
di altra tipologia.
In alcuni casi ciò potrebbe significare che l’accesso all’ambulatorio
avviene in tempi tardivi: il protrarsi per tempi eccessivamente lunghi di
una condizione di possibile disagio potrebbe aver logorato le risorse psicologiche dei lavoratori al punto tale da attivare franche condizioni di patologia psichica, in precedenza latenti, non più inquadrabili in termini di
stress psicologico.
Conseguentemente il servizio offerto dall’Ambulatorio si traduce
spesso in una diagnosi tardiva che non sempre consente l’attivazione degli interventi che avrebbero potuto portare ad un adeguamento della situazione lavorativa e/o personale.
L’unica azione possibile ed intrapresa in questi casi è l’importante lavoro di invio alle strutture e/o servizi territoriali idonei alla gestione ed al
trattamento della patologia rilevata.
A fronte di ciò, si è ritenuto opportuno estendere le attività dell’Ambulatorio, da un lato ad iniziative informative e formative rivolte ai singoli lavoratori ed alle aziende in tema di stress occupazionale, e dall’altro realizzando progetti ad hoc nelle singole realtà di lavoro organizzato
di valutazione e promozione del benessere organizzativo.
In questo modo è possibile sensibilizzare i diversi attori rispetto alle
tematiche concernenti il rischio psico-sociale, e nello stesso tempo, promuovere lo sviluppo di quei fattori e risorse personali e organizzative che
possono risultare protettivi nei confronti dello sviluppo di disagio stresscorrelato o delle diverse forme di avversatività lavorativa.
CONCLUSIONI
L’ambulatorio per la valutazione dello stress occupazionale sembra
essere uno strumento utile per l’approfondimento diagnostico e terapeutico di quei numerosi casi clinici di patologia psicocomportamentale di
non semplice definizione che quotidianamente si presentano al Medico
del Lavoro. La peculiarità di questo Ambulatorio deve necessariamente
essere l’integrazione interdisciplinare delle competenze mediche e di
quelle psicologiche al fine di effettuare una valutazione più adeguata dello stato di benessere/malessere dei lavoratori.
Ad oggi purtroppo l’invio dei pazienti, peraltro eterogeneo nella sua
provenienza, è ancora spesso troppo ritardato rispetto all’inizio della insorgenza dei quadri clinici.
Ciò spesso non consente al paziente di poter cogliere tutte le potenzialità, soprattutto sotto il profilo preventivo, che un tempestivo intervento potrebbe consentire.
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COM-03
ANALISI DI UNA CASISTICA DI LAVORATORI CON PATOLOGIA
DA MOBBING
B. Marinoni1, C.M. Minelli1, B. Franzina1, V. Martellosio1,
F. Scafa1,2, I. Giorgi3, F. Mazzacane4, M. Stancanelli2,
N.V. Mennoia1, S.M. Candura1,2
1Scuola
di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università degli
Studi di Pavia
2Unità Operativa di Medicina del Lavoro, 3Servizio di Psicologia,
4Consulente Psichiatra; Fondazione Salvatore Maugeri, Clinica del
Lavoro e della Riabilitazione, IRCCS, Istituto Scientifico di Pavia
Corrispondenza: Dr. Cristiano Maria Minelli - UO di Medicina del
Lavoro - Fondazione Salvatore Maugeri, Via Maugeri 10 - 27100 Pavia E-mail: [email protected]
RIASSUNTO. Attualmente il mobbing rappresenta una delle maggiori sfide per la Medicina del Lavoro. Abbiamo esaminato durante gli ultimi sette anni 253 pazienti giunti all’osservazione con problematiche
psicopatologiche da essi correlate ad una situazione di mobbing sul posto
di lavoro. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a visita di Medicina del Lavoro, valutazione psicologica (con somministrazione di test di personalità) e visita psichiatrica. Un quadro compatibile con sindrome da mobbing è stato diagnosticato in 37 lavoratori: 2 casi di Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS), 33 casi di Disturbo dell’Adattamento (DA) e
due disturbi d’ansia. A seconda della tipologia di mobbing, abbiamo rilevato 19 casi di mobbing verticale dall’alto, 14 casi di mobbing strategico, 3 casi di mobbing orizzontale (tra colleghi) e un caso di mobbing non
intenzionale. Concludendo, una pura sindrome da mobbing è stata diagnosticata in una proporzione inferiore rispetto a quanto riportato in altre
casistiche. L’approccio multidisciplinare descritto appare utile per la corretta diagnosi, a sua volta essenziale per la prognosi e la terapia, oltre che
per le ricadute medico legali.
Parole chiave: disturbo dell’adattamento, disturbo post-traumatico
da stress, vessazioni.
ANALYSIS OF A CASE SERIES OF WORKERS WITH MOBBING SYNDROME.
ABSTRACT. Mobbing represents nowadays a major challenge for
Occupational Medicine. We examined, during the last seven years, 253
patients who asked medical assistance for psychopathological problems
by them ascribed to mobbing in the working environment. All patients
underwent occupational health visit, psychological counselling
(including personality tests administration), and psychiatric evaluation.
A clinical picture probably due to mobbing was diagnosed in 37 workers:
2 cases of Post-Traumatic Stress Disorder (PTSD), 33 of Adjustment
Disorder (AD), and 2 of anxiety disorder. Regarding mobbing typology,
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we found 19 cases of vertical mobbing (by an employer/manager to
employees), 14 cases of strategic mobbing, 3 cases of horizontal mobbing
(among colleagues), and one non intentional mobbing. In conclusion, a
pure mobbing syndrome was diagnosed in a lower proportion than that
reported by other investigators. The described interdisciplinary approach
appears useful for the diagnostic assessment of suspect mobbing cases,
that in turn is crucial for prognosis and treatment, as well as in relation
to medico-legal issues and work-related compensation claims.
Key words: adjustment disorder, post-traumatic stress disorder,
harassment.
INTRODUZIONE
La violenza psicologica sul lavoro rappresenta un fenomeno antico
quanto le organizzazioni, anche se ha assunto valenza di fattore di rischio
in ambito professionale solo in tempi recenti. Attualmente il fenomeno
“mobbing” non è considerato né una malattia, né un reato, bensì viene incluso tra i fattori di rischio di tipo organizzativo e psicosociale, i cosiddetti fattori “emergenti” (1), in quanto vera e propria persecuzione psicologica sul luogo di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, con ripercussioni sulla salute del lavoratore.
Le diverse tipologie di mobbing (orizzontale, verticale, strategico) si
definiscono in base al rapporto gerarchico esistente tra persecutore e vittima (2).
Una condizione di mobbing che si protrae nel tempo determina nel lavoratore l’insorgenza di disturbi psicosomatici, di manifestazioni emozionali e di alterazioni del comportamento che rientrano nella cosiddetta
“sindrome da mobbing”. Oltre agli effetti negativi sulla salute si verificano conseguenze di tipo sociale: il lavoratore perde il proprio ruolo, manifesta il disagio in famiglia, perde progressivamente interesse per la vita di
relazione. In questi casi la diagnosi è il risultato di un iter multidisciplinare che ha come punto di partenza fondamentale l’anamnesi lavorativa (2).
Il riscontro di una patologia riconducibile a una condizione di mobbing deve essere seguito dalla segnalazione all’INAIL, all’ASL territorialmente competente, all’Ispettorato del Lavoro e all’Autorità Giudiziaria in quanto è ipotizzabile il reato di lesioni personali dolose. Anche se
la Costituzione, i Codici Penale e Civile e il Decreto Legislativo 626/94
tutelano l’integrità psicofisica del lavoratore, in Italia non esiste una legge che riguardi specificamente il mobbing; finora sono stati presentati disegni e proposte di legge che mirano ad un più preciso inquadramento legislativo del fenomeno e prevedono forme di tutela e prevenzione. In
tempi relativamente recenti l’INAIL ha emanato una circolare con indicazioni sulla gestione dell’evento mobbing. Inoltre, l’ultimo elenco delle
malattie per le quali è obbligatoria la denuncia, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 134 del 10 giugno 2004 riporta i “disordini dell’organizzazione del lavoro” tra le patologie da segnalare. È recente una sentenza
della Cassazione penale (29 agosto 2007, n. 33624) che ha escluso la possibilità di configurare il mobbing come reato.
SOGGETTI E METODI
Il nostro gruppo ha esaminato, negli ultimi 7 anni, 253 pazienti ambulatoriali con problematiche psicopatologiche dagli stessi messe in relazione ad una situazione di mobbing. Di questi 148 erano di sesso femminile e 105 maschile, con un’età media 41 anni. Il grado di scolarità era
rappresentato per 40 soggetti dalla laurea, per 115 dalla licenza media superiore, per 94 dalla licenza media inferiore e per 4 da quella elementare;
62 lavoravano presso enti pubblici (17 dipendenti comunali, 8 scolastici,
15 in varie ASL, i restanti presso agenzie tributarie e consorzi), 191 presso aziende private.
I soggetti hanno seguito un percorso diagnostico multidisciplinare
(3, 4), costituito da visita specialistica di medicina del lavoro; una seduta
di counselling psicologico mirato all’area lavorativa, seguita da colloquio
clinico-psicologico e da somministrazione di test di personalità mirati ai
disturbi lamentati (Minnesota Multiphasic Personality Inventory MMPI 2
in forma intera, intervista strutturata per DSM: SCID asse primo e secondo); essi sono stati infine sottoposti a visita psichiatrica.
RISULTATI
Un quadro verosimilmente riconducibile a mobbing è stato individuato in 37 pazienti, ossia nel 15% dei soggetti esaminati: 2 casi di Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS), 33 di Disturbo dell’Adattamento (DA), 2 disordini d’ansia (fig. 1). Altri 4 casi di DA sono risultati
legati all’attività lavorativa ma non riconducibili a mobbing; in 15 casi
355
Figura 1. Diagnosi formulate nei soggetti con patologia da mobbing
Figura 2. Distribuzione delle tipologie di mobbing
una correlazione del quadro clinico con l’attività era possibile ma difficile da dimostrare a causa di fattori stressogeni concomitanti; in 93 soggetti erano identificabili patologie psichiatriche preesistenti, mentre in 95 casi era presente un’alterata dinamica delle relazioni interpersonali con i
colleghi; 9 pazienti non hanno completato l’iter previsto. Nei 37 casi ritenuti compatibili in senso causale con una situazione di mobbing, è stata effettuata segnalazione ai sensi dell’art. 365 del codice penale (obbligo di referto) alla Procura della Repubblica, all’ASL di competenza, all’Ispettorato del Lavoro e all’INAIL.
Nella gruppo di 37 pazienti nei quali è stata individuata una patologia da mobbing, la diagnosi più frequente è stata dunque quella di DA
(89.2%), mentre al 5.4% dei soggetti è stato diagnosticato un DPTS e al
5.4% un serio disturbo d’ansia (fig. 1). A seconda delle tipologie di mobbing, si sono individuati 19 casi di mobbing verticale (dall’alto), 14 casi
di mobbing strategico, 3 casi di mobbing orizzontale, un caso di mobbing
senza intenzionalità dichiarata (fig. 2). Il gruppo aveva un’età media
complessiva di 42 anni, con una differenza tra uomini e donne (età media
maschi: 46 anni, età media femmine: 37 anni); queste ultime sono presenti in proporzione superiore (73%) rispetto agli uomini (27%). Si tratta di soggetti con scolarità prevalentemente medio-elevata; infatti il titolo di studio era rappresentato per 6 pazienti dalla laurea (16.2%), per 19
dalla licenza media superiore (51.3%), per i restanti 12 dalla licenza media inferiore (32.4%), per nessuno dalla licenza elementare. Per quanto
concerne il settore d’impiego, 32 soggetti (86.4%) lavoravano nel settore
privato, i rimanenti 5 (13.6%) nel settore pubblico; le mansioni interessate erano assai varie, prevalentemente a carattere impiegatizio.
Molto variabile è risultata essere la durata delle vessazioni (da un minimo di 6 mesi ad un massimo di 15 anni). È interessante notare che 27
soggetti (73%) assumevano psicofarmaci già prima di giungere alla nostra osservazione, su prescrizione del medico di base o dello specialista;
un soggetto abusava di alcool.
Infine 3 pazienti erano invalidi civili per patologie d’organo.
DISCUSSIONE
Al termine dell’iter diagnostico, una situazione di mobbing è stata effettivamente identificata, con ragionevole grado di probabilità, solo nel
15% dei pazienti. Pertanto, la nostra casistica è in primo luogo un richiamo alla prudenza nell’etichettare come “sindrome da mobbing” situazioni cliniche che tali non sono. In proposito, è sicuramente rilevante l’elevato riscontro (in circa un terzo dei casi) di patologie psichiatriche indipendenti dall’attività lavorativa e -in un altro terzo dei casi- di una situazione di alterata dinamica delle relazioni interpersonali coi colleghi.
Per quanto riguarda il campione di pazienti in cui è stato riscontrato
un quadro clinico riconducibile a mobbing -e come tali segnalati alle
competenti Autorità-, la diagnosi è stata probabilistica in quanto il giudizio era limitato alla compatibilità tra la condizione riportata e la sintomatologia lamentata. D’altro canto, il fatto che i dati siano stati raccolti in
un contesto ospedaliero ne aumenta l’affidabilità; la valutazione clinica è
356
stata formulata non solo in base ad un protocollo diagnostico, ma anche
al giudizio sull’attendibilità della persona, a cui hanno contribuito più figure professionali.
Pur con i limiti dell’esiguità numerica, appare evidente come il fenomeno possa riguardare tutti, uomini e donne, di diverse età, professioni e settori lavorativi, pur se emergono alcune differenze. Il fatto che le
donne siano più rappresentate nel campione può avere molteplici ipotesi
esplicative: secondo alcuni stereotipi culturali le donne sarebbero più
passive e quindi più facilmente attaccabili; un’altra ipotesi è che siano più
propense degli uomini a chiedere aiuto in caso di difficoltà, per esempio
rivolgendosi ad un servizio pubblico. Infine, dal momento che le donne
meno frequentemente ricoprono incarichi dirigenziali, sarebbero più a rischio di vessazioni in quanto il mobbing è un fenomeno esercitato prevalentemente dai superiori nei confronti dei subalterni (5). La letteratura a
tale proposito appare discorde: alcuni autori non rilevano differenze di
genere significative (6, 7), altri rilevano una netta prevalenza del sesso
femminile (5, 8).
A proposito dell’età dei soggetti i nostri risultati risultano sovrapponibili ad altri studi (5, 6, 9) in cui emerge un basso numero di giovani e
una prevalenza di persone in fascia di età più alta.
Interessante la differenza di età media tra uomini e donne, da attribuire forse al fatto che, come già detto, gli uomini quarantenni occupano
posizioni manageriali e le donne trentenni vanno incontro a gravidanza.
Infatti, quando una donna è appena rientrata dal periodo di maternità o ha
bisogno di allontanarsi con una certa frequenza dal lavoro, può correre il
rischio di essere isolata o colpevolizzata per la situazione creatasi a causa delle sue assenze.
Pur essendo interessati diversi ambiti lavorativi, le figure professionali più coinvolte sono quelle a carattere impiegatizio, mentre gli operai
sembrano meno colpiti, probabilmente per il tipo di attività svolta. Per gli
impiegati infatti i rapporti interpersonali e la comunicazione fanno parte
integrante del lavoro, con risultati non sempre facilmente tangibili e misurabili, a differenza degli operai (5).
Il dato sul titolo di studio, prevalentemente medio-elevato, è verosimilmente legato al fatto che prevale la professione impiegatizia oppure
che le persone con maggior grado di istruzione abbiano una maggior consapevolezza -o una soglia di allarme più bassa- rispetto alla situazione negativa, ovvero abbiano più informazioni sull’esistenza di centri specializzati per i loro disturbi (5).
La variabilità della durata delle vessazioni e l’utilizzo di psicofarmaci già al momento della visita ambulatoriale conferma i risultati di studi
precedenti (5).
Un’opera di prevenzione rappresenta lo strumento che può arginare
il mobbing: affinché l’azione abbia successo, è importante la collaborazione di professionisti della salute, manager e rappresentanti dei lavoratori. Ciò che principalmente occorre è la promozione di comportamenti
etici atti a creare un clima di fiducia, tolleranza e rispetto nei luoghi di lavoro. La prevenzione del mobbing si basa infatti sulla possibilità di attuare un cambiamento culturale nelle relazioni interpersonali, nei valori,
negli atteggiamenti (9).
Una cultura della prevenzione del rischio mobbing diffusa sul territorio rappresenta il mezzo più efficace per contrastare il dilagare del fenomeno. In tale ambito, il medico del lavoro ha il compito di diffondere
la conoscenza del fenomeno in riferimento ai rischi organizzativi e agli
effetti negativi sulla salute, sensibilizzando le parti sociali al progetto di
prevenzione, promuovendo iniziative aventi lo scopo di rilevare situazioni di mobbing e segnalando i casi di patologia riconducibili a mobbing alle Autorità competenti.
Come è previsto dal D.L.vo 626/1994, il medico competente deve
collaborare con il datore di lavoro e con il Servizio di Prevenzione e Protezione al fine di adottare tutte le misure necessarie a tutelare la salute e
l’integrità psicofisica e la dignità dei lavoratori. Deve individuare tutti gli
elementi relativi alla tipologia di organizzazione del lavoro e alla qualità
dei rapporti interpersonali, essendo essi necessari ad una valutazione
esaustiva delle condizioni del lavoro stesso. In proposito, si sottolinea il
ruolo fondamentale dei Servizi di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro (SPSAL) -istituiti presso le ASL- che, dopo l’emanazione delle direttive comunitarie e l’applicazione del D.L.vo 626/94, è senza dubbio quello di esploratore e regolatore di sistemi aziendali.
Oltre che con il medico competente, è auspicabile la costruzione di
un rapporto integrato tra le Aziende Sanitarie, la Regione e l’Università
per promuovere, rafforzare e sviluppare la qualità delle figure professio-
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nali, sia tra i dirigenti sia tra i tecnici dei Servizi di Prevenzione. Come
ogni indagine attivata dal Servizio PSAL, in caso di sospetta malattia professionale, si potrà procedere ad effettuare: un sopralluogo in azienda per
oggettivare quanto dichiarato dal lavoratore, la presa visione del documento di valutazione dei rischi, i rilievi fotografici atti ad evidenziare
anomalie visibili della postazione di lavoro (“sindrome della scrivania
vuota”) e dell’ambiente (talvolta inadeguato o addirittura insalubre), la
raccolta delle informazioni testimoniali dei colleghi di lavoro (indicati
come persone informate sul fatti specifici) e di altri lavoratori presi, con
metodo casuale, dall’organigramma aziendale.
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COM-04
STUDIO DI UNA POPOLAZIONE ESPOSTA A STRESS
OCCUPAZIONALE: CORRELAZIONE TRA TESTS PSICOMETRICI
E PARAMETRI BIOCHIMICO-IMMUNOLOGICI
M. Amatia, M. Tomasettia, L. Mariottia, L. M. Tarquinia, M. Ciuccarellia,
M. Poiania, M. Baldassarib, A. Copertaroc, L. Santarellia
aDipartimento di Patologia Molecolare e Terapie Innovative, Medicina
del Lavoro, Università Politecnica delle Marche, Ancona.
b Ufficio Medico Competente, Azienda Ospedaliero-Universitaria
Ospedali Riuniti Umberto I - G.M. Lancisi - G. Salesi, Ancona.
c ASUR Territoriale 7, Ufficio Medico Competente, Ancona.
Corrispondenza: Dott. Monica Amati, Università Politecnica delle
Marche, Dipartimento di Patologia Molecolare e Terapie Innovative,
Clinica di Medicina del Lavoro, Via Tronto 10/a, 60020 Torrette (AN),
tel. 071-2206064/60, fax 071-2206062, e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. Abbiamo condotto uno studio prospettico longitudinale sullo stress lavorativo per capire quanto possa modificare alcuni parametri biochimico-immunologici e per validare un metodo nuovo e semplice per individuare soggetti ad alto rischio. Il campione comprendeva
101 infermieri provenienti da varie strutture sanitarie. I soggetti si sono
sottoposti ad un prelievo ematico e hanno compilato alcuni questionari al
tempo T0 e ai successivi tempi (T1) a 4 mesi, (T2) a 8 mesi, (T3) a 12
mesi. I questionari erano: Scala per la Valutazione Rapida dello Stress
(VRS), General Health Questionnaire a 12 items (GHQ-12), Scala Mul-
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tidimensionale del Supporto Sociale Percepito (MSPSS) e un questionario sulla soddisfazione lavorativa (SOD). Per ogni soggetto sono stati determinati: emocromo, glicemia, omocisteina, cortisolo, tipizzazione
linfocitaria (CD4, CD8, CD19, NK CD56, NK CD57), dosaggio di alcune citochine infiammatorie, valutazione dell’attività NK. Alti livelli plasmatici di omocisteina e cortisolo sono stati riscontrati in soggetti con
stress rilevato dalle risposte ai questionari. È stata riscontrata una risposta immunitaria alterata in soggetti con stress psicofisico valutato con il
VRS ed il GHQ-12. I risultati suggeriscono che i tests psicometrici rappresentano dei buoni strumenti per una valutazione rapida dello stress
psicofisico e da lavoro.
Parole chiave: test psicometrici, stress occupazionale, soddisfazione
lavorativa
STUDY OF A POPULATION EXPOSED TO OCCUPATIONAL STRESS: CORRELATION
PSYCHOMETRICS TESTS AND BIOCHEMICAL-IMMUNOLOGICAL
AMONG
PARAMETERS
ABSTRACT. A longitudinal study was carried out to evaluate the
effect of psycho-physical and occupational stress on some biochemical
and immunological parameters. The study was aimed to the identification
of new and reliable method for the identification of subjects at high risk
of occupational stress. 101 nurses which were working at several
departments were enrolled. A blood sample was collected from all
subjects after have filled the questionnaires at the time T0 and at the
followed time points of 4 months (T1), 8 months (T2) and 12 months (T3).
The self-reported questionnaires were: Rating Scale for Rapid Stress
Assessment (VRS), General Health Questionnaire to 12 items (GHQ-12),
Multidimensional Scale of Perceived Social Support (MSPSS) and a
questionnaire on the occupational satisfaction (SOD). Haemachrome,
glycaemia, homocysteine, cortisol, lymphocyte numbers and their
subtypes (CD4, CD8, CD19, NK CD56, NK CD57), NK activity and
inflammatory cytokines were evaluated. A high reliability has been found
between the psychometric tests. Correlations between biochemical and
immunological variables were performed by Pearson coefficients and
multiple regression analysis. Subjects with elevated value of stress
evaluated as VRS and GHQ-12 score showed an altered immune
response. A reduction of NK CD57 and IL-6 content better characterize
the occupational satisfaction.
Key words: psycometrics test, occupational stress, occupational
satisfaction
357
MATERIALI E METODI
Su un campione di 101 infermieri è stata effettuata una valutazione
iniziale (T0) e tre valutazioni di follow-up a 4, 8 e 12 mesi (T1, T2, T3)
dello stress soggettivo e di parametri biochimico-immunologici stresscorrelati: 58 infermieri lavoravano negli Ospedali di Loreto e Osimo: 17
in sala operatoria, 19 in Chirurgia generale, 3 in Pneumologia, 3 in Hospice per malati terminali, 7 in Medicina interna, 8 in una Residenza sanitaria per anziani e 1 presso il Medico competente. 43 infermieri erano
collocati nella SOD di Rianimazione dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti Umberto I - G.M. Lancisi - G. Salesi, Ancona.
Gli infermieri, in apparente stato di buona salute, rispettavano i seguenti parametri di inclusione: età minore di 65 anni, anzianità lavorativa
maggiore di 2 anni, non erano affetti da disturbi psichiatrici, né da
HIV/AIDS e/o altre patologie croniche infettive, non assumevano terapia
farmacologica in grado di alterare le funzioni immunitarie. In tutti i tempi, i soggetti sono stati sottoposti a prelievo ematico a digiuno e in astensione tabagica ed alcolica prima dell’inizio dell’attività lavorativa, per
l’effettuazione delle seguenti indagini: esame emocromocitometrico di
routine, glicemia, cortisolemia, omocisteinemia e tipizzazione linfocitaria
(CD4+, CD8+, CD19+, CD56+, CD57+, NK), valutazione dell’attività
delle cellule NK, dosaggio di alcune citochine (IL-1?, IL-6, IFN-?, TNF?). Oltre ai prelievi ematici, sono state consegnate una scheda per la raccolta dei dati generali e i seguenti tests psicometrici di autovalutazione:
• VRS (Scala per la Valutazione Rapida dello Stress): test che aiuta a
comprendere se nel soggetto sono presenti gli effetti dello stress cronico; elevati valori di VRS corrispondono a maggiore stress.
• GHQ-12 (General Health Questionnaire a 12 items): test sulle condizioni generali di salute dell’individuo che può mettere in evidenza disordini mentali non psicotici; elevati valori di GHQ-12 corrispondono
ad alta probabilità di insorgenza di disturbi psichiatrici non psicotici.
• MSPSS (Scala Multidimensionale del Supporto Sociale Percepito)
riguarda l’aiuto e il sostegno che è possibile ricevere dai rapporti interpersonali (familiari, amici, coniuge); elevati valori di MSPSS corrispondono ad un maggiore stato di benessere.
• SOD (Questionario sulla Soddisfazione Lavorativa); elevati valori di
SOD corrispondono a un maggior benessere lavorativo.
RISULTATI
In Tabella I sono riassunte le caratteristiche demografiche dei soggetti presi in esame.
I tests psicometrici ed i parametri biochimico-immunologici valutati
ai quattro tempi (T0, T1, T2, T3) non risultavano statisticamente diversi
gli uni dagli altri; pertanto le analisi di correlazione sono state eseguite
considerando un’unica popolazione ottenuta da 4 prelievi per ciascun
soggetto, per un totale di 404 campioni (n = 4x101).
In Tabella II sono mostrate le correlazioni tra i 4 tests psicometrici
valutate mediante coefficiente di Pearson; la loro attendibilità è stata de-
INTRODUZIONE
Lo stress venne per la prima volta definito dal fisiologo cecoslovacco
Hans Seyle, nel 1926, come “Risposta fisiologica aspecifica dell’organismo
sottoposto a prestazioni particolarmente impegnative”(1). Quando lo stimolo negativo è prolungato c’è una diminuzione delle capacità di risposta e di
adattamento, che può predisporre l’organismo a malattie psicosomatiche e
problemi psicologici anche gravi. Una delle cause principali di stress protratto nel tempo è il lavoro, definito dal NIOSH nel 1999 come: “danno fiTabella I. Caratteristiche dei soggetti
sico e risposta emotiva che interviene quando le caratteristiche del lavoro
non corrispondono alle capacità, risorse o bisogni dei lavoratori”.
Età (anni)
36.7±7.5
Sebbene la suscettibilità individuale non possa essere ignorata, l’eviSesso (M/F)
26/75
denza scientifica suggerisce che determinate condizioni lavorative sono
Anzianità
lavorativa
(anni)
11.6±8.8
stressogene per la maggior parte delle persone: lavoro in strutture malgestite, inadeguata retribuzione, mal organizzazione del lavoro, mansioni
Turnista (SI/NO)
74/27
frustranti o inadeguate alle proprie aspettative, insufficiente autonomia
Tabagismo
(SI/NO)
60/41
decisionale, limitate prospettive di carriera, sovra o sotto carichi di lavoro, orari insostenibili, condizioni ambientali sfavorevoli etc. I soggetti più
Alcool (SI/NO)
35/66
colpiti sono coloro che hanno un intenso coinvolgimento emotivo sul lan° = 101
voro: medici, psicologi, infermieri, insegnanti, assistenti sociali (2). Diversi studi hanno dimostrato il coinvolgimento dell’asse
Tabella II. Correlazioni della attendibilità dei tests psicometrici
ipotalamo-ipofisi-surrene nello stress psico-fisico a lungo
termine con alterato livello di cortisolo e modifiche immunitarie, come l’aumento del numero dei linfociti NK,
aumento dei linfociti citotossici (CD8), riduzione dei
linfociti helper (CD4) ed aumento delle citochine pro-infiammatorie (3,4).
L’obiettivo dello studio è stato di valutare l’effetto
delle variabili psicometriche sul sistema immunitario allo
scopo di sviluppare una metodologia rapida, attendibile e
valida per l’individuazione di soggetti a maggior rischio
di effetti dannosi correlati allo stress occupazionale.
358
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terminata sulla base della costante α-Cronbach. Da tale
Tabella III. Correlazione tra test psicometrici e parametri immunologici
analisi è stato osservato che alti valori di GHQ-12, che
corrispondono ad un minor benessere psicofisico, erano
associati ad alti valori di VRS, che definisce lo stress somatico del soggetto. I due tests risultavano concordanti
tra loro con una costante di α-Cronbach di 0.702, p<0.01.
Tra i tests psicometrici analizzati solo il VRS correla
positivamente con l’omocisteina ed il cortisolo, rispettivamente R=0.144 e R=0.126, p<0.05. I tests GHQ-12 e
VRS correlano positivamente con il numero dei linfociti
T citotossico-suppressor CD8 e con il numero dei linfociti NK CD57; il GHQ-12 correla negativamente con il rapporto CD4/CD8. I valori di SOD correlano negativamente sia con la percentuale dei linfociti T helper CD4, che
con il rapporto CD4/CD8 e la percentuale dei linfociti
NK CD57. I valori del test MSPSS correlano negativamente con il numero dei linfociti NK CD56, CD57 e con
la loro attività litica (Tabella III).
Una correlazione negativa è stata riscontrata tra il
SOD e l’IL-6 (R= -0149, p<0.05) ed una positiva tra il
GHQ-12 ed il TNFα (R=0.120, p<0.05).
Allo scopo di determinare le variabili biochimicoimmunologiche che meglio definiscono i test psicometrici utilizzati è stata eseguita l’analisi della regressione
multipla, che considera solo quei parametri che influenzano fortemente i
Tabella IV. Regressione multipla
valori dei test. La Tabella IV evidenzia che l’incremento dei linfociti T citotossico-suppressor CD8 ed dei livelli ematici del TNF? meglio definiscono il valore di stress psicologico in base al risultato ottenuto dal test
GHQ-12 (p=0.001). Lo stress definito dal test VRS è significativamente
correlato con l’aumento dei linfociti NK CD57 (p=0.0001).
La soddisfazione lavorativa definita dal SOD è caratterizzata da alti
livelli di linfociti NK CD56, bassi livelli di linfociti NK CD57 e di IL-6
(p=0.0001). Infine il supporto sociale in base al test MSPSS è definito da
bassi livelli di linfociti citotossico-suppressor CD8, linfociti NK CD56, e
linfociti NK CD57 (p=0.0001).
Sulla base del GHQ-12, considerando un valore di cut-off di 4 (5,6),
Tabella V. Caratteristiche dei due gruppi GHQ-12
sono state identificate due popolazioni di individui: i “non-casi GHQ-12”
con uno score <4 considerati in buona salute psicofisica e liberi da stress
psicologico, e i “casi GHQ-12” con un valore ≥4 con una probabilità superiore all’80% di avere disturbi psichiatrici quali ansia e depressione (5)
(Tabella V).
Nel gruppo dei casi con valore di GHQ-12 ≥4 è stato osservato un ridotto rapporto CD4/CD8 e un aumento dei linfociti NK CD57.
DISCUSSIONE
Nell’ambito della ricerca sulla salute dei lavoratori, lo stress occupazionale ha assunto nel corso degli anni un ruolo di priorità rispetto ad altri tipi di rischi presenti nelle varie realtà lavorative (6,7).
Mettendo in relazione lo stato di stress psicofisico e la soddisfazione
lavorativa con i parametri biochimico-immunologici si è evidenziato che
lo stato di stress è associato ad un pattern immunologico definito come
“pattern a rischio-immunologico” caratterizzato da un aumento dei linfociti NK (CD56 e CD57), riduzione dei linfociti T helper (CD4), aumento
dei linfociti T suppressor/citotossici (CD8) con conseguente riduzione del
rapporto CD4/CD8. Inoltre abbiamo visto che soggetti con livelli di VRS
più elevati, quindi più stressati, avevano anche alti livelli di cortisolo e
omocisteina. Questi risultati suggeriscono che i tests psicometrici utilizzati nel nostro studio, rappresentano dei buoni strumenti attendibili, sensibili e di facile applicabilità per una valutazione rapida dello stress psicofisico e di quello legato al lavoro.
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359
COM-05
DIFFERENZE SESSO-SPECIFICHE DELLA RISPOSTA FISIOLOGICA
ALLO STRESS MISURATO CON IL CORTISOLO SALIVARE
G. Maina1,A. Palmas1,M. Bovenzi2,F. Larese Filon2
1Dipartimento
di Traumatologia Ortopedia e Medicina del LavoroUniversità degli Studi- Torino
2 UCO Medicina del Lavoro -Università degli Studi- Trieste
Corrispondenza: Giovanni Maina, Dipartimento di Traumatologia
Ortopedia e Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Torino, Via
Zuretti, 29, 10126 Torino, e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. La cronica disregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisisurrene è considerata il meccanismo psicofisiologico alla base della relazione tra stress ed effetti avversi alla salute. In questo studio sono state analizzate le relazioni tra percezione di stress e risposta neuroendocrina in 46 operatori di call-centre utilizzando il cortisolo salivare quale indicatore biologico di attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. La percezione di stress,
valutata con il Job Strain Model, era positivamente correlata con secrezione
di cortisolo salivare al risveglio. Il cortisolo al risveglio presentava sistematiche differenze sesso-specifiche: le femmine presentavano valori significativamente più elevati dei maschi [AUCt: coeff. (IC 95%)=16.2(5.3-27.1);
AUCi: coeff. (IC 95%)=8.3 (2.4-14.2); MnInc: coeff. (IC 95%)=5.2 (1.68.9)]. Queste differenze nell’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene,
qualora stabilizzate nel tempo, potrebbero essere associate alle differenze di
prevalenza osservate per alcune malattie autoimmuni.
Parole chiave: asse ipotalamo-ipofisi-surrene, cortisolo salivare,differenze sesso-specifiche.
SEX
SPECIFIC DIFFERENCES IN PHYSIOLOGIC RESPONSE TO STRESS
gica allo stress, di interesse anche nella ricerca in medicina occupazionale per le sue potenziali applicazioni nella valutazione della risposta fisiologica in popolazioni che eseguono attività lavorative considerate ad elevato carico di stress6.
I risultati ottenuti negli ultimi anni dalla ricerca psicoeuroendocrinologica indicano che numerosi fattori di confondimento (sesso, età, aderenza al protocollo di raccolta dei campioni, ora di risveglio, durata e qualità
del sonno, giorno della settimana) sono alla base dei contraddittori risultati degli studi sulla relazione stress lavorativo- attivazione dell’asse IIS.
Scopo di questo studio è la valutazione delle differenze sesso-specifiche nella risposta fisiologica allo stress misurata mediante il cortisolo
salivare in un’attività lavorative ritenuta altamente stressante quale quella di lavoratori di call-centre.
MATERIALI E METODI
46 volontari (20 femmine e 16 maschi) hanno raccolto tre campioni di
saliva a tempi sincronizzati con il risveglio (al risveglio, + 30 minuti, + 60
minuti) e successivi quattro campioni nell’arco della giornata di due giorni
lavorativi ed di un giorno di riposo (756 campioni totali). Il cortisolo salivare libero è stato dosato con metodo RIA (LOD = 1.59 nmol/l; intra ed inter
CV = 12%, e 15%, rispettivamente). La risposta del cortisolo salivare al risveglio (CRR) e l’escrezione del cortisolo nella restante parte della giornata
sono state quantificate separatamente utilizzando diversi parametri: quantità
totale di cortisolo salivare (AUCt) e quantità di incremento rispetto al 1°
campione (AUCi e MnInc) per CRR7; altri parametri (AUCGday e Diurnal
cycle) quantificano l’escrezione durante l’intera giornata. Il questionario
JCQ di Karasek (nella versione ridotta ad 11 items8) è stato utilizzato come
misura psicometrica dello stress percepito. La relazione tra stress percepito
e misure ripetute di escrezione di cortisolo è stata analizzata mediante regressione multipla utilizzando le equazioni generalizzate di stima inserendo
come covariate fattori sociodemografici (età, sesso, stato civile, scolarità) e
fattori situazionali (ora di risveglio, durata e qualità del sonno, giorno della
settimana, aderenza al protocollo di raccolta dei campioni di saliva).
EVALUATED BY MEANS OF SALIVARY CORTISOL
RISULTATI
Abstract. The psychophysiological mechanism behind the
Solo la quantità di cortisolo totale secreta durante il risveglio (AUCt)
development of stress-related diseases includes a long-term both increase
è risultata significativamente associata alla percezione di stress (Tab. I).
and decrease in circulating cortisol levels, leading to an allostatic disregulation of the hypothalamic -pituitary-adrenal (HPA)
axis. This research explores the relationship between
Tabella I. Coefficienti di regressione (IC 95%) per i fattori sesso, giorno della
perceived stress (assessed by means of the Job Strain
settimana, percezione di stress ed aderenza al protocollo di raccolta dei campioni
Model) and neuroendocrine response quantified by means
of repeated measures of salivary cortisol in 46 call-centre
operators. Job strain influenced the total amount of
cortisol response to waking, but not the cortisol excretion
in the remainder of the day. The cortisol response to
waking showed gender-specific differences, women
excreting greater cortisol than men [AUCt: coeff. (IC
95%)=16.2(5.3-27.1); AUCi: coeff. (IC 95%)=8.3 (2.414.2); MnInc: coeff. (IC 95%)=5.2 (1.6-8.9)]. In long run
the gender-specific differences of the dis-regulation of the
hypothalamic -pituitary-adrenal (HPA) axis can be related
to differences on prevalence of autoimmune diseases.
Key words: hypothalamic-pituitary-adrenal axis,
gender differences, salivary cortisol.
INTRODUZIONE
Benché ci sia un generale accordo in letteratura che lo
stress lavorativo sia associato ad effetti sulla salute (in particolare a malattie cardiovascolari1, alterazioni del profilo
immunitario2, disturbi metabolici3, disturbi del comportamento4), molte incertezze rimangono in merito ai meccanismi etiopatogenetici che sono alla base di tali associazioni. Evidenze sperimentali e cliniche identificano nella
cronica disregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene
(IIS) uno dei meccanismi psicofisiologici implicati nella
relazione stress-effetti avversi sulla salute5. Il cortisolo,
prodotto finale della stimolazione dell’asse IIS, può essere misurato in modo non invasivo ed affidabile nella saliva rendendo il dosaggio del cortisolo salivare uno strumento adatto per eseguire misure ripetute in condizioni
naturalistiche. Il cortisolo salivare è pertanto considerato
un promettente marcatore biologico della risposta fisiolo-
AUCt = area sotto la curva rispetto allo “zero” durante il CRR; AUCi = area sotto la curva rispetto al
primo campione durante il CRR; MnInc = incremento medio durante il CRR; AUCGday = area sotto
la curva rispetto allo “zero” (campioni 4-7); DC = area sotto la curva rispetto allo “zero” (campione
1 e campioni 4-7); Sesso: il sesso di confronto è quello femminile; Giorno della settimana: il giorno
di confronto è quello non lavorativo; High strain, Active work, Passive work: il gruppo di confronto
è “low strain”; Aderenza al protocollo: il gruppo di confronto è quello degli aderenti.
360
Nessuna relazione tra livelli di cortisolo salivare ed età, stato civile, scolarità, ora di risveglio, durata del sonno, qualità del sonno è stata osservata. I fattori sesso, giorno della settimana ed aderenza al protocollo di
raccolta dei campioni influenzano la risposta del cortisolo salivare al risveglio. Le femmine presentano valori di tutti gli indici di CRR più elevati dei maschi [AUCt: coeff. (IC 95%)=16.2(5.3-27.1); AUCi: coeff. (IC
95%)=8.3 (2.4-14.2); MnInc: coeff. (IC 95%)=5.2 (1.6-8.9), per femmine vs maschi].
CONCLUSIONI
In accordo con i dati di letteratura9,10,11, i nostri risultati rivelano
la presenza di sistematiche differenze sesso-specifiche della secrezione del cortisolo salivare al risveglio: tutti i parametri che quantificano
l’attivazione dell’asse IIS sono significativamente più elevati nel sesso femminile.
L’osservazione che il sesso femminile presenta una iperreattività dell’asse IIS e, conseguentemente, una condizione di relativo
(rispetto al sesso maschile) ipercortisolismo al risveglio, viene interpretata come effetto della particolare sensibilità alla percezione di
stress ed alla sua anticipazione che le femmine presentano rispetto
al sesso maschile10. Secondo il modello teorico di McEween 12, l’esaurimento funzionale della risposta fisiologica è la conseguenza
della cronica iperstimolazione dell’asse IIS: è quindi attesa una condizione di ipocortisolismo quale effetto a lungo termine dello stress
cronico. È di interesse notare che l’iporeattivita dell’asse IIS è associata a numerose patologie autoimmuni che presentano chiare prevalenze nel sesso femminile: LES (9:1); Artrite reumatoide (3:1); Fibromialgia (10:1); Sclerosi multipla (2:1). Studi longitudinali multidisciplinari dovranno esplorare la possibile relazione tra stress cronico e risposta immunitaria mediata dall’attivazione/esaurimento
dell’asse IIS, dove il cortisolo salivare si propone come marker biologico di grande interesse.
BIBLIOGRAFIA
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G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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COM-06
METODOLOGIA DI VALUTAZIONE DEI RISCHI PSICOSOCIALI
IN AMBIENTE DI LAVORO: UN PROGETTO TOSCANO
DI AREA VASTA
R. Buselli1, G. Galli1, A. Cristaudo1, F.Franco1, A. Possemato1,
R. Ansuini1, D. Taddeo1, S.Battaglia1, M.G. Roselli1, M.G. Leoni1,
A. Reali1, D. Parducci1, R.Degaetano1, F. Fani1, M.T. Boccuzzi1,
M.G.Cassitto2
1AUSL
Area Vasta Nord-Ovest Toscana
del Lavoro “L.Devoto” -Milano
2Clinica
Corrispondenza: Dott.Rodolfo Buselli, Email: [email protected], U.O.Medicina Preventiva del Lavoro, Azienda
Ospedaliero Universitaria Pisana, Via S. Maria 110- 56100 Pisa
RIASSUNTO. Pur essendo i rischi psicosociali una delle principali
cause di alterazione della salute psicofisica nei luoghi di lavoro, risultano
ancora evidenti le carenze di conoscenza sull’argomento da parte degli
operatori della prevenzione.
Il progetto dell’Area Vasta Nord Ovest della Regione Toscana, ha posto come prioritari gli obiettivi di accrescere le conoscenze degli operatori della prevenzione nei luoghi di lavoro sulle caratteristiche dei rischi
psicosociali e di definire un percorso per la valutazione routinaria di tali
rischi, ispirato ad un approccio analitico oggettivo facilmente praticabile.
La proposta prevede una valutazione a tre fasi, che attraverso la combinazione di criteri ottenuti con il rilievo di alcune caratteristiche dell’azienda e di alcuni aspetti gestionali e organizzativi, possa fornire l’indicazione a procedere ad un ulteriore approfondimento sulla base della
maggiore probabilità di un significativo rischio lavorativo. Nella fase della valutazione vera e propria si prevede di combinare i risultati di un approccio soggettivo del rischio, attraverso il JCQ di Karasek, con un approccio oggettivo, che prevede una valutazione con un metodo derivato
da quello delle congruenze organizzative di Maggi, le cui criticità sono
pesate mediante un grado di rilevanza che emerge dagli elementi raccolti attraverso alcune figure aziendali di riferimento.
Parole chiave: valutazione del rischio, rischi psicosociali, stress occupazionale
RISK ASSESSMENT METHOD FOR PSYCHOSOCIAL FACTORS AT WORKPLACE: A
TUSCANY AREA PROJECT
ABSTRACT. The rising awareness of psychosocial risks at workplace
means that it is ever more important to prepare methods to assess
psychosocial factors in occupational environment. This project of north
west tuscany area has the aim to realize an instrument for a gradual risk
assessment for this kind of factors without the support of specialists. A
decisional flow chart helps to approach the risk assessment step by step on
the basis of company features, management and organization problems
and company symptoms of stress. The final assessment combines the
evaluation of perceived risks with job analisys realizing a matrix
containing 5 risk levels, which suggests the priority of preventive
measures. The intermediate level (level three) represents the activation
level for the medical surveillance. This experience means a proposal for a
quantitative assessment of psychosocial risks at workplace.
Key words: risk assessment, psychosocial risks, occupational stress
NORD WEST
INTRODUZIONE
I rischi psicosociali, al di là delle incertezze giuridiche circa la loro
definizione, sono oggi individuati come una delle principali cause di alterazione della salute fisica e psichica nei luoghi di lavoro. Tuttavia l’attenzione a questo fattore di rischio è stata fino ad oggi molto limitata soprattutto in ambito preventivo. Risultano evidenti le carenze di conoscenze
sull’argomento da parte degli operatori privati e pubblici chiamati a promuovere e gestire la prevenzione nei luoghi di lavoro ed evidenti le difficoltà che essi incontrano nell’approcciarsi correttamente ad essi. Le caratteristiche dei rischi psicosociali sul lavoro ne rendono molto difficoltosa
l’individuazione e, soprattutto, la valutazione e gli strumenti di indagine
necessari al loro studio non sono ancora sufficientemente definiti. Anche i
criteri per la diagnosi dei possibili danni per la salute ad essi correlati non
sono diffusamente conosciuti e sufficientemente omogenei.
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Il Progetto dell’Area Vasta Nord Ovest promosso dalla Regione Toscana ha colto la necessità di colmare queste carenze ponendo come prioritari i seguenti obiettivi:
a) Accrescere, attraverso un adeguato percorso formativo, le conoscenze degli operatori pubblici e privati addetti alla prevenzione nei luoghi di lavoro sulle caratteristiche dei
rischi psicosociali, sui danni per la
salute che possono produrre, sui riferimenti normativi e assicurativi che
ne richiamano gli obblighi di prevenzione per i datori di lavoro, sugli
elementi utili alla loro valutazione e
sui criteri utili alla diagnosi dei danni da essi prodotti.
b) Definire un percorso per la valutazione routinaria dei rischi psicosociali in ambito lavorativo ispirato ad
un approccio analitico oggettivo facilmente praticabile dagli operatori
pubblici e privati della prevenzione
senza la necessità di far ricorso in
maniera sistematica a consulenze
specialistiche.
361
La prima fase del progetto ha previsto l’applicazione, sullo stesso
campione su cui sarà sperimentata la metologia descritta, anche di un metodo (questionario ICCL Marano-Possemato) per la valutazione e il miglioramento della vita lavorativa su un gruppo di lavoratori della sanità
addetti a servizi domiciliari e di un laboratorio di analisi cliniche.
DESCRIZIONE DEL PROGETTO
La proposta prevede un approccio
valutativo a tre fasi (Fig.n°1) che, attraverso la combinazione di criteri ottenuti
con il rilievo di alcune caratteristiche dell’azienda e di alcuni aspetti gestionali e
organizzativi, possa fornire l’indicazione
a procedere ad un ulteriore approfondimento sulla base della maggiore probabilità della presenza di un significativo rischio lavorativo. I criteri sono classificati in maggiori o minori a seconda del peso che possono avere sulla salute dell’organizzazione aziendale. La presenza di
due criteri maggiori, di un maggiore e
due minori o di tre criteri minori indica la
necessità di procedere ad un ulteriore
step valutativo.
La seconda fase prevede l’individuazione di elementi indicativi di rischio,
combinando il rilievo di carenze gestionali e organizzative aziendali con la presenza di sintomi aziendali compatibili
con stress. Questo livello di approfondimento può riguardare tutta l’azienda, solo alcune delle sue aree omogenee oppure una professionalità trasversale a più
aree omogenee secondo quanto emerso al
primo livello di approfondimento.
Nella fase della valutazione vera e
propria si prevede di combinare i risultati Figura 1. Diagramma per la valutazione dei rischi psicosociali
di un approccio soggettivo del rischio, effettuato attraverso il JCQ di Karasek, con un approccio oggettivo che prevede una valutazione effettuata attraverso un metodo derivato da quello
delle congruenze organizzative di Maggi (Fig.n°2), le cui criticità sono pesate attraverso un grado di rilevanza che emerge dagli elementi raccolti attraverso alcune figure aziendali di riferimento (datore di lavoro, dirigenti,
lavoratore esperto, RLS). L’integrazione dei rilievi sulla presenza di criticità organizzate e percezione del rischio stress dei lavoratori consente di
stratificare il rischio in cinque fasce attraverso la creazione di una matrice: rischio non significativo, rischio basso, rischio medio, rischio elevato,
rischio molto elevato (Fig.n°3). La soglia decisionale che consente di procedere agli adempimenti preventivi, compresa la sorveglianza sanitaria, è
quella del rischio medio, mentre il rischio elevato e molto elevato richiederanno priorità di intervento sull’organizzazione aziendale
Il secondo e il terzo livello di valutazione non prevedono un abbandono definitivo della stessa ma suggeriscono di ripetere la valutazione
Figura 2. Matrice di Rischio
con una periodicità di 5 anni per il secondo step e di 2 anni per il terzo.
362
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Figura 8. Livelli di rischio
DISCUSSIONE
L’esperienza di applicazione di un metodo orientato alla valutazione
soggettiva della qualità della vita lavorativa ci consentirà di confrontarne
i risultati con quelli della proposta valutativa con approccio mirato alla
individuzione e alla misura di rischi per la salute dei lavoratori.
Uno dei vantaggi del metodo proposto è l’approccio graduale che
può consentire, anche ad aziende di dimensioni contenute, di procedere
alla valutazione, almeno preliminare, di questo tipo di rischi. Inoltre, sia
per gli strumenti utilizzati che per le informazioni raccolte, è possibile per
gli operatori del settore, dopo un adeguato percorso di formazione, procedere alla gestione di questo protocollo, anche senza il supporto di consulenza specialistica specifica. Integrando le metodologie di approccio
soggettivo e oggettivo è possibile inoltre compensare gli svantaggi del loro uso separato, come ad esempio quantificare il rischio e non semplicemente individuare condizioni di rischio. La proposta possiede alcuni
aspetti suscettibili di miglioramento: nel suo insieme presenta qualche
aspetto ripetitivo; l’elenco dei criteri scelti nella fase preliminare non è
certamente esaustivo, ma, per avere uno strumento di pratica gestione, ci
è sembrato importante cercare di limitare il numero di informazioni da
raccogliere, soprattutto in una fase di screening. La sperimentazione pratica e il confronto con altre esperienze condotte sull’argomento potrà consentire di migliorare questi aspetti.
BIBLIOGRAFIA
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10) Maggi B. “Lavoro organizzato e salute”. Torino,Tirrenia stampatore
1991.
COM-07
MISURAZIONE DEGLI EPISODI DI VIOLENZA NEI LAVORATORI
DELLA SANITÀ: UN METODO DI INDAGINE
E.
Nan1,
E. Albini1,
S.
Zoni1,
R.
Lucchini1
1Cattedra di Medicina del Lavoro- Università degli Studi di Brescia. Brescia
Corrispondenza: Eleonora Nan, Via della Congrega, 12 Brescia, e-mail:
[email protected]
RIASSUNTO. Al fine di registrare la prevalenza degli episodi di
violenza subiti da un gruppo di operatori sanitari, sono stati utilizzati due
metodi di valutazione (diretto e indiretto). Il metodo diretto è costituito
dalla Violent Incident Form (VIF), una checklist di 16 items, che riassume gli aspetti chiave degli episodi di violenza, identificando circostanze
spaziali e temporali, aggressore, tipo di violenza e conseguenze. Il metodo indiretto è rappresentato dall’osservazione delle denunce effettuate,
attraverso la consultazione di tre fonti: il Servizio di Prevenzione Protezione (SPP), l’Ufficio Relazioni con il Pubblico ed il posto di blocco della Polizia all’interno del Pronto Soccorso. Gli strumenti utilizzati, sebbene non confrontabili tra loro, hanno entrambi evidenziato un numero piuttosto elevato di episodi di violenza subiti dagli operatori sanitari (metodo
diretto: 25 soggetti, 8,5% del totale; metodo indiretto: 34 denunce, nel periodo 2002-2006); nella maggioranza dei casi tali episodi sono perpetrati
da un paziente, e dirette contro soggetti di sesso femminile, in prevalenza con la mansione di infermiere. Le forme più riportate di violenza sono: calci, percosse; colpi (metodo indiretto) e aggressioni verbali/minacce (metodo diretto). L’indagine evidenzia come i fenomeni di violenza
costituiscano un importante fattore di rischio e dunque la necessità di attuare misure di prevenzione.
Parole chiave: violenza, operatori sanitari
A METHOD
FOR THE MEASUREMENT OF WORKPLACE VIOLENCE IN HEALTH
CARE WORKERS
ABSTRACT. Aiming to register workplace violence in health care
workers, we adopted two evaluation methods: direct and indirect. The
direct method is represented by the Violent Incident Form (VIF), a 16
items checklist, which resumes the key aspects of violence events,
identifying spatial and temporal circumstances, aggressor, type of
violence and consequences. Indirect method is constituted by the
observation of injury reports, through three sources: the Prevention and
Protection Service (SPP), the Public Relation Office and the Police
Position of the First Aid Unit. Although the instruments adopted, thus not
comparable each other, pointed out a rather high number of violence
events suffered by health care workers (direct method: 34 reports in the
period 2002-2006; indirect method: 25 subjects, 8.5% of total); in most
cases, the events were perpetrated by a patient, and directed against
female of nurses. The most reported types of violence were: kicking,
beating, hitting (indirect method) and verbal assault/threats (direct
method). The study pointed out that workplace violence is an important
risk factor, and therefore it is necessary to consider it for preventive
intervention.
Key words: workplace violence, health care workers
INTRODUZIONE
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) ha definito il termine di Workplace violence come “episodi in cui i lavoratori sono oggetto di abusi, minaccia o aggressione in circostanze correlate al loro lavoro, incluso il tragitto da e per il luogo di lavoro, comportanti un rischio
diretto o indiretto per la loro sicurezza, benessere o salute” (1). Il settore
sanitario sembra essere quello maggiormente a rischio: Elliot (2) ha calcolato che il rischio che gli operatori sanitari subiscano un episodio di
violenza è 16 volte maggiore di quello calcolato per gli altri lavoratori.
La misurazione degli episodi di violenza può avvenire attraverso vari strumenti: l’analisi della percentuale di attacchi fisici (reports, indagini
retrospettive, osservazione diretta), l’osservazione delle richieste di indennizzo, la somministrazione di questionari autocompilati: VIF (Violent
Incident Form), SAVE (Scale of Aggressive and Violent Experiences),
POPAS (Perception of Prevalence of Aggression Scale), OAS (Overt Aggression Scale), SOAS (Staff Observation Aggression Scale), DOS (Direct Observation Schedule).
Al fine di registrare la prevalenza degli episodi di violenza subiti da
un gruppo di lavoratori afferenti a diverse Unità degli Spedali Civili di
Brescia, sono stati utilizzati due metodi di valutazione (diretto e indiretto).
MATERIALI E METODI
L’indagine, condotta presso gli Spedali Civili di Brescia, ha valutato
un gruppo di operatori sanitari (medici, infermieri, ausiliari) afferenti a
diverse subunità relative ai reparti di Medicina Generale. Per la registrazione degli episodi di violenza è stato somministrata la Violent Incident
Form (VIF) (3), uno strumento pratico sviluppato allo scopo di registrare
le varie forme di aggressione e di comportamento minaccioso rivolte con-
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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363
tro i lavoratori del settore sanitario. Lo strumento utilizza un’ampia definizione di violenza che comprende aggressioni verbali e minacce. Una
checklist, composta da 16 items, riassume gli aspetti chiave degli episodi di violenza, identificando le circostanze spaziali e temporali in cui è
avvenuta la violenza, l’aggressore, il tipo di violenza, e le conseguenze.
In parallelo è stata effettuata una valutazione indiretta degli episodi di
violenza, attraverso l’osservazione del numero di denunce di infortunio
lavorativo, attraverso tre fonti: il Servizio di Prevenzione Protezione
(SPP), l’Ufficio Relazioni con il Pubblico ed il posto di blocco della Polizia all’interno del Pronto Soccorso. I dati ricavati fanno riferimento al
periodo ’02-’06.
RISULTATI
Metodo diretto
La Violent Incident Form è stata consegnata a 294 soggetti ed è stata compilata da 25 soggetti (8,5% del totale). Il campione di chi ha subito una forma di violenza è composto da infermieri (60%), medici (20%)
e ausiliari (20%); il 68% è di sesso femminile e l’età media è di 37 anni.
L’aggressore é un maschio nel 60% dei casi e costituito da un paziente
(38%), un familiare del paziente (35%), un collega (4%) o altro (23%)
(Fig. 1). L’età dell’aggressore è compresa nella fascia d’età 31-50 nel
36% dei casi e maggiore di 65 anni nel 32% dei casi.
L’evento è avvenuto prevalentemente durante una visita/trattamento
(40%), nella fascia d’orario compresa tra le 15-18, nella stanza del paziente (44%) o nel corridoio (40%). Nel 60% dei casi la vittima riferisce
di aver percepito l’imminente verificarsi dell’evento. La tab. I riporta le
forme di violenza subite, mentre la tab.II le conseguenze provocate dall’episodio (in entrambi i quesiti alcuni soggetti hanno fornito risposte
multiple).
La vittima per lo più stava operando in solitudine (84%) durante l’episodio. Nella maggior parte dei casi sono intervenuti altri in aiuto alla
vittima, o perché da lei stessa chiamati o attivati da un allarme (24%) o
per volontà personale (28%); nel resto dei casi la vittima ha gestito la situazione da solo (36%) oppure non è stata necessaria alcuna azione
(16%). Nessuno tra i soggetti vittima dell’aggressione ha effettuato una
formale denuncia.
Tabella II. Conseguenze dell’episodio
Conseguenze
%
Rabbia
28
Paura
24
Danno fisico
20
Irritazione
20
Senso di impotenza
20
Umiliazione
16
Disappunto
16
Nessuna reazione
8
METODO INDIRETTO
Dall’analisi del numero di denunce di infortuni lavorativi è emersa la
segnalazione di 34 episodi di violenza fisica subita nel periodo esaminato (2002-2006) (Fig. 2); la maggior parte (59%) dei soggetti interessati
sono di esso femminile. Lo studio della distribuzione temporale dimostra
che l’andamento delle aggressioni è stato piuttosto costante negli anni,
mentre nel ’06 si è riscontrato un aumento sensibile dei casi.
La qualifica dei soggetti maggiormente interessata è quella degli infermieri professionali seguita da ausiliari, OTA e ASA (Fig. 3).
L’analisi per classe d’età evidenzia come i soggetti più colpiti siano
compresi nelle classi di età 25-30 anni e 37-42 anni.
Il reparto più a rischio e che si discosta dalla percentuale degli altri
reparti è il Pronto Soccorso. La fonte di aggressione principale è risultata essere il paziente (32 casi), un parente (1 caso) ed un collega (1 caso).
Analizzando le modalità di aggressione si osserva come nella maggior
parte dei casi il personale viene aggredito con colpi, calci e percosse al
volto o all’arto superiore. La prognosi media è stata di 3,7 giorni (range
0-15 giorni).
Figura 2. Numero aggressioni/anno suddivisi tra femmine e maschi
Figura 1. Tipologia dell’aggressore
Tabella I. Tipologia di violenza (%)
Forma di violenza
%
Minacce/aggressioni verbali
76
pugni
32
Calci
28
Graffi/pizzicotti
24
Morsi
12
spintoni
12
Colpi/schiaffi
12
Sputi
8
strattoni
4
altro
4
Figura 3. Mansione dei soggetti che hanno subito violenza
364
CONCLUSIONI
I due metodi utilizzati, sebbene non confrontabili tra loro, si sono rivelati entrambi utili per la registrazione degli episodi di violenza in ambito sanitario. Il metodo indiretto ha il vantaggio di essere oggettivo e
quindi non influenzato da distorsioni; ha però lo svantaggio di rilevare solamente i casi denunciati, con la possibile conseguenza di un underreporting del fenomeno osservato. Il metodo diretto ha il vantaggio di essere
più completo, definendo ed inquadrando dettagliatamente gli episodi di
violenza, anche di lieve entità; il limite in questo caso è costituito dal fatto di essere uno strumento soggettivo. Gli strumenti utilizzati hanno evidenziato un numero piuttosto elevato di episodi di violenza subiti in ambito lavorativo; nella maggioranza dei casi tali episodi sono perpetrati da
un paziente, ai danni di soggetti di sesso femminile, in prevalenza con la
mansione di infermiere. Tali dati sono in accordo con la letteratura (4).
L’indagine effettuata evidenzia come i fenomeni di violenza costituiscano un importante fattore di rischio, soprattutto nelle professioni sanitarie,
e dunque la necessità di porre in atto misure di prevenzione, che prevedano interventi a livello organizzativo, individuale, sull’ambiente di lavoro nonché attività di tipo formativo.
BIBLIOGRAFIA
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working conditions in health sector reforms: Report for discussion at
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Sectoral activities Programme (1998).
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Conclusioni: Il turno notturno sembrerebbe più stressogeno. In nessuno dei 4 gruppi sembrerebbe esserci insulino resistenza.
Parole chiave: lavoro notturno, stress, ipertensione
CARDIOVASCULAR AND HORMONAL STRAIN IN WASTE COLLECTION WORKERS
EMPLOYED IN AMSA SPA, MUNICIPALITY OF MILAN, IN PERMANENT DAY AND
NIGHT WORK
ABSTRACT. Aim of the study is to explore in shiftworkers: a) blood
pressure and hormonal variations; b) dyslipidemia and blood glucose
levels; c) insulin resistence syndrome.
We have assessed 48 male workers employes in Amsa SpA, a large
municipal enterprise in charge of street cleaning and domestic waste
collection, in permanent day and night work as hand sweepers, motor
sweepers and delivery tricar drivers. 24 of those workers (daily and
nightly) were normotensive and 24 were hypertensive. Our medical
checks were: physical examination: BMI; laboratory findings (blood):
glucose, total cholesterol, triglycerides, endothelin, insulin, FFA, HOMA
S, HOMA B, HOMA R; assay of salivary cortisol and urinary cortisol in
24 h; 24 h pressure monitoring.
Results: Nightly hypertensive: increased consumption in wine and
coffee, weight and BMI, total cholesterol and FFA and endothelin.
Nightly normotensive: increased consumption in cigarettes and salivary
cortisol.
Daily hypertensive: increased total cholesterol; 24 h pressure
monitoring showed more pronounced variations of pressure in night
workers both normotensive and hypertensive in working time.
Conclusions: Night shiftwork looks like more stressfull than day
shiftwork. Insuline resistance isn’t noticed in all four groups
Key words: nightwork, stress, hypertension
SCOPO DEL PRESENTE STUDIO, condotto su di un gruppo di lavoratori operanti presso un’’azienda comunale di nettezza urbana, con orario di lavoro fisso diurno o notturno, è quello di valutare: a) se esistono delle variazioni circadiane della pressione delle 24 ore correlabili con le variazioni
ormonali cui il turnista è sottoposto: b) l’assetto lipidico e glucidico; c)
l’eventuale presenza di sindrome da insulino resistenza tra i lavoratori
considerati.
COM-08
VALUTAZIONE DELLO STRAIN CARDIOVASCOLARE ED
ORMONALE IN OPERATORI ECOLOGICI DEL COMUNE
DI MILANO IN TURNO FISSO DIURNO E NOTTURNO
N. Biggi, (a), D. Consonni, (b), G. Fragasso, (c), G. Lattuada, (c),
GL. Perseghin, (c, d), R. Verga, (e), G. Costa, (b,d)
a) Servizio Sanitario Amsa SpA, Milano
b) IRCCS Ospedale Maggiore di Milano, Fondazione Mangiagalli e
Regina Elena, Milano
c) Istituto Scientifico San Raffaele, Milano
d) Università degli Studi di Milano
e) Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università degli
Studi di Milano
RIASSUNTO. Scopo dello studio: a) esistenza di variazioni pressorie delle 24 ore ed ormonali nel turnista b) valutazione dell’assetto lipidico e glucidico, c) presenza di sindrome da insulino resistenza.
Sono stati considerati 48 lavoratori maschi operanti presso un’azienda comunale di nettezza urbana, con orario di lavoro fisso diurno o notturno, che svolgevano mansioni di spazzino, conducente e motocarrista,
24 normotesi (diurno/notturno) e 24 ipertesi (diurno/notturno). In tutti i
lavoratori sono stati effettuati: calcolo del Body Mass Index, dosaggio
venoso a digiuno di glicemia, colesterolo totale, trigliceridi, endotelina,
insulinemia, FFA, indici di sensibilità insulinica (HOMA S, HOMA B,
HOMA IR); dosaggio del cortisolo salivare e del cortisolo urinario delle
24 ore: monitoraggio pressorio delle 24 ore.
Risultati: Ipertesi notturni: aumento del consumo di vino e caffè, del
peso e BMI, del colesterolo totale e FFA, di endotelina. Normotesi notturni: maggiore consumo di sigarette, e del cortisolo salivare. Ipertesi
diurni: aumento del colesterolo totale. Monitoraggio pressorio delle 24
ore: variazioni più marcate di pressione nei lavoratori notturni sia normo
che ipertesi durante le ore di lavoro.
MATERIALI E METODI
Lo studio ha interessato 48 lavoratori maschi di età media 51.06 anni, con anzianità lavorativa media di 20,6 anni e di turno di 13,79 anni che
svolgevano mansioni di spazzino, conducente e motocarrista. I soggetti
sono stati divisi in due gruppi (24 diurni e 24 notturni) opportunamente
bilanciati in base allo stato pressorio: 24 normotesi (12 per gruppo) e 24
ipertesi (12 per gruppo), e all’attività lavorativa: 6 spazzini, 2 motocarristi e 4 conducenti in ciascuno dei 4 gruppi (normotesi/diurni, normotesi/notturni, ipertesi/diurni, ipertesi/notturni). Ogni lavoratore ha compilato un questionario derivato dallo Standard Shiftwork Index (Barton et al.
1995.). In tutti i lavoratori sono stati effettuati: calcolo del Body Mass Index, dosaggio venoso a digiuno di glicemia, colesterolo totale, trigliceridi, endotelina, insulinemia, FFA, indici di sensibilità insulinica (HOMA
S, HOMA B, HOMA IR); dosaggio del cortisolo salivare e del cortisolo
urinario delle 24 ore: monitoraggio pressorio delle 24 ore.
ANALISI STATISTICA
Per valutare l’effetto del Turno (T) e dell’Ipertensione (I) sulle diverse variabili di effetto ematochimiche (y) è stata utilizzata la tecnica
della regressione multipla (assimilabile ad una analisi della varianza a 2
vie). Nei modelli di regressione è stato sistematicamente inserito un termine di interazione fra le due variabili (TI) perché l’interesse primario era
di valutare loro eventuale effetto congiunto Per alcune variabili di effetto
con distribuzione asimmetrica sono state effettuate trasformazioni (logaritmiche, reciproco, radice quadrata, reciproco della radice quadrata o cubica). Le analisi statistiche sono state effettuate con il pacchetto statistico
Stata (versione 10)
RISULTATI
Variabili descrittive: la popolazione selezionata è composta da 48 uomini divisi in 4 gruppi di 12 soggetti ciascuno (ipertesi diurni e notturni
e normotesi diurni e notturni) operanti presso 2 sedi AMSA (Olgettina e
Primaticcio) ipertesi e normotesi di età media di 51,06 anni. L’anzianità
lavorativa media presso AMSA è di 20,6 anni con una specifica di turno
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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di 13,79 anni. I soggetti che lavorano nello stesso turno da più anni sono
gli ipertesi diurni con 19,5 anni - DS 9,7. Esame obiettivo: si evidenzia
un’altezza media di 172,18 cm ed un peso medio di 79,60 kg con un peso medio marcatamente più elevato riscontrato nei soggetti ipertesi notturni (84 kg; DS 7,8). Il BMI rispecchia questo andamento con un valore
medio di 28,78 (DS 2,4) riscontrato negli ipertesi notturni ed una media
tra i 4 gruppi di 26,88. La pressione basale rilevata nei lavoratori evidenzia un aumento più marcato di pressione sistolica tra gli ipertesi notturni
rispetto ai diurni (156,67 - DS 12,5); anche con la pressione diastolica si
ha lo stesso andamento con un valore medio tra i soggetti ipertesi notturni di 92,92 (DS 7,8). I valori di FC sono più elevati nei soggetti ipertesi
diurni con un valore medio di 78,7 (DS 9,8)
ESAMI ORMONALI
Il cortisolo salivare, si è rivelato marcatamente più elevato (valori
normali delle ore 23/24 = 0,6-1,62 ng/ml) nei normotesi notturni con un
valore medio di 2,43 (DS 1,8); negli ipertesi notturni invece il valore è ai
limiti superiore della norma (1,63 DS 1,4); i valori dei lavoratori operanti nel turno diurno sia normo che ipertesi registrano un valore normale rispetto al periodo considerato (valori normali delle ore 7/8= 2,53 - 7,17)
con valori rispettivamente di 1,5 (DS 1,1) e di 2 (DS 1,1). Esiste una correlazione statistico legata al turno e alla pressione arteriosa (p = 0,07).
Considerando invece il cortisolo urinario delle 24 ore si nota che i valori
sono nella norma in tutti e 4 i gruppi considerati senza dimostrare una associazione né con il turno che con la pressione. I valori di endotelina, pur
rientrando nel range di normalità, sono lievemente più alti negli ipertesi
notturni (1,88 - DS 1,9) e in quelli diurni (1,22 DS 0,4) con una significatività statistica legata alla pressione (p = 0,02). Il valore di insulinemia
rientrano tutti nella norma. Tra i 4 gruppi considerati i valori tendenzialmente più alti si riscontrano nei soggetti diurni con 7,12 (DS 4,7) e 7,95
(DS 7,1). Gli indici HOMA hanno mostrato una maggiore funzionalità
cellulare delle cellule beta pancreatiche (HOMA β) nei soggetti ipertesi
notturni con un valore di 134,96 (DS 45,6); una maggiore sensibilità di
queste cellule nei lavoratori normotesi notturni (149,08 DS 91,7) ed un
indice di insulinoresistenza (HOMA IR) negli ipertesi diurni (1,15 DS 1).
π
ESAMI EMATOCHIMICI
La creatinina è nella norma in tutti e 4 i gruppi (0,81 DS 0,1), (0,90
DS 0,1), (0,71 DS 0,2), (0,74 DS 0,2). Esiste una correlazione statisticamente valida (p =0,01) con la pressione arteriosa. I valori glicemici sono risultati più elevati nei soggetti ipertesi diurni (87,78 - DS 17,6), pur
rientrando nel range di normalità in tutti e 4 i gruppi. All’analisi statistica questi valori sono risultati correlati significativamente con il turno lavorativo (p =0,10). Le transaminasi erano nella norma in tutti e 4 i gruppi. L’assetto lipidico ha evidenziato un aumento degli acidi grassi liberi
(FFA) (0,79 DS 0,4), (0,70 DS 0,2), del colesterolo totale (210 DS 25,3),
(208,75 DS 39,5) e dei trigliceridi (153,5 DS 57,5), (143,67 DS78,7) nei
lavoratori ipertesi notturni e diurni. La significatività statistica si è avuta con la pressione arteriosa per gli FFA (p= 0,01) ed il colesterolo totale (p= 0,04). Non si è avuta invece nessuna correlazione significativa per
turno ed ipertensione arteriosa con i trigliceridi. I valori della pressione arteriosa sistolica in tutti i 4 periodi considerati nell’arco della giornata (24 ore, lavoro, sonno, tempo libero) in tutti e 4 gruppi studiati. I
valori più elevati si riscontrano solo negli ipertesi notturni (135,13 DS
15,22) durante l’attività lavorativa, correlati statisticamente con il turno
lavorativo (p =0,01). Nella norma i valori pressori sistolici negli altri 3
gruppi considerati durante i vari periodi della giornata I valori di pressione diastolica. (elevato un valore di diastolica di 90 mmHg): valori
patologici nei lavoratori notturni ipertesi con 95,04 DS 12,35 correlati
statisticamente con il turno lavorativo (p= 0,01) e nei lavoratori normotesi notturni con 92,62 DS8,79. La frequenza cardiaca (patologica se >
80 bpm):è elevata durante il turno lavorativo nei lavoratori normotesi
diurni e notturni (81,58 DS 7,59), (85,25 DS 8,82) e negli ipertesi diurni (87,72 DS 10,88) correlati con il turno lavorativo (p= 0,01). In quest’ultimo gruppo si ha un’aumento della frequenza cardiaca anche durante il tempo libero (82,16 DS8,59) correlato statisticamente con la
pressione arteriosa (p=0,07). La pressione arteriosa media in tutti i 4
gruppi considerati è risultata nella norma.
DISCUSSIONE
L’età media dei lavoratori considerati è stata di 51,06 anni. Si è scelto questa particolare fascia di età perché vari studi hanno ipotizzato una
365
relazione tra lavoro a turni e malattie cardiovascolari, (Boggils H. et al
1999). Il consumo di caffè e di bevande alcoliche risultato più elevato tra
i lavoratori notturni, può essere spiegato dal fatto che le bevande a base
di caffeina e teina (ricche di metilxantine) allungano il tempo di addormentamento (l’effetto della caffeina può arrivare a 6 ore) perché riducono la sensazione di sonnolenza ed aumentano lo stato di vigilanza e di
attività (Costa G, 2003; Reinberg et al 1979) bevande ad azione eccitante È stata inoltre rilevata una correlazione diretta tra ipertensione arteriosa, malattie ischemiche cardiache ed introito di etanolo (Fujino Y et
al, 2006). Anche il consumo di sigarette, più marcato nei pazienti normotesi notturni (41%), può essere motivata dal fatto che vengono utilizzati come stimolanti per contrastare la sonnolenza. Relativamente all’obiettività i lavoratori, in base al valore di BMI sono considerati in sovrappeso. L’aumento di peso è considerata un fattore di rischio di ipertensione (Karlsson B, 2004). Tale valore potrebbe essere ascrivibile però
anche “all’effetto notte”. Infatti i lavoratori turnisti modificano gli orari
dei pasti oltre che quelli del sonno. (Costa G, 2003) In particolare i lavoratori considerati nel nostro studio, non disponendo del servizio mensa serale in azienda, consumano il pasto serale a casa in netto anticipo rispetto all’ora consueta in relazione ai tempi del pendolarismo. Successivamente, finito il turno notturno, verso le 5 del mattino, consumano un
piccolo spuntino sottoforma di snack, cibi preconfezionati disponibili ai
distributori automatici. I dosaggi ormonali eseguitifanno rivale che: i valori del dosaggio del cortisolo salivare, che vari studi considerano avere
uguale attendibilità diagnostica del cortisolo plasmatico (Lovas K. Et al,
2007; Aardal E. et al 1995), mostrano valori elevati nei lavoratori notturni normotesi (2,4 - DS 1,8); negli ipertesi notturni i valori sono ai limiti superiori della norma (1,63 DS 1,4): questi dati avvalorano l’ipotesi che il ritmo circadiano del cortisolo subisce in questi soggetti un adattamento al turno. (Henning J. et al, 1998). La produzione di endotelina,
come confermato da vari studi condotti in questi anni (Perez del Villar
Cet al, 2005), è sensibilmente più elevata nel gruppo degli ipertesi sia
notturni che diurni pur rientrando ancora nella norma correlata statisticamente con l’effetto pressione (p=0,02). Insulina: I valori di insulinemia sono nella norma per tutti e 4 i gruppi. HOMA β: attività beta cellulare (più sensibile il lavoratore notturno iperteso), HOMA S: sensibilità insulinica (più alto nel notturno normoteso), HOMA IR: insulino resistenza (valori più alti nei diurni). Questi indici hanno, al momento una
scarsa affidabilità nel singolo individuo; non vengono infatti utilizzati
nella comune pratica clinica. Sono invece utilizzati nell’ambito di studi
epidemiologici (Caro J, 1991) per fornire indicazioni sullo stato pancreatico ed insulinico. I valori di glicemia sono nella norma con una correlazione positiva con il turno lavorativo (p= 0,10). Gli FFA (aumentati
negli ipertesi) possono contribuire all’aumento della pressione arteriosa
attraverso diversi effetti che possono essere così riassunti: a) aumento
del tono del sistema simpatico (Grekin RJ et al.,1996); b) aumento della
reattività vascolare α- adrenergica (Stepniakowski KT et al, 1995); c) riduzione della vasodilatazione dell’endotelio, legata alla ridotta formazione di ossido nitrico (Davda RK et al, 1995) o all’aumentato flusso di
calcio con attivazione della proteina- chinasi C o all’alterata risposta mitogena delle cellule muscolari lisce dei vasi (Lu G. et al., 1996 - Toborek M. et al, 1996); d) effetto inibente sull’enzima Na +, K+- ATPasi che
è implicato nella regolazione della pressione arteriosa (Swarts HGP et al,
1988- Kelly RA et al, 1986). L’ipertensione arteriosa sembrerebbe inoltre associata ad una ridotta sensibilità degli FFA plasmatici ad essere
“soppressi” (cioè ad essere abbassati) dall’azione insulinica (Egan BM
et al, 1996). Gli FFA sono immagazzinati nel tessuto adiposo come i trigliceridi. In risposta allo stress la lipolisi rilascia FFA e glicerolo nel plasma. I parametri ematochimici di routine hanno fatto rilevare che per
quanto riguarda le transaminasi i valori dell’ALT e dell’AST pur rientrando nei limiti di normalità per i 4 gruppi considerati, mostrano un valore più elevato nei lavoratori notturni sia normotesi che ipertesi associato al maggiore consumo di sostanze alcoliche durante il periodo notturno: si ha infatti una correlazione positiva sia con il turno notturno legato al consumo maggiore di vino ed ad una dieta scorretta, che con la
pressione arteriosa (Guarnieri G, 1998). Colesterolo e trigliceridi: in vari studi si sono evidenziati nei lavoratori notturni un’aumento di colesterolo totale (Theorell T. et al, 1976- Ha M et al, 2005), e dei trigliceridi
(Karlsson BH et al, 2003- Lund J. et al, 2001). Considerando questi lavoratori si evidenza un aumento del colesterolo totale negli ipertesi diurni e notturni; in particolare il colesterolo totale è correlato alla pressione
arteriosa ma non con il turno lavorativo. Valori pressori: relativamente
366
alla pressione arteriosa sistolica in tutti i 4 gruppi suddivisi nel lavoro,
sonno, tempo libero e 24 ore, i valori più elevati (135,13 DS 15,22) sono presenti nei lavoratori notturni ipertesi solo durante il turno lavorativo (p = 0,01). Lo stress lavorativo si è dimostrato associato ad un aumento dei livelli di pressione arteriosa (Pickering TG et al, 1996). Il lavoro svolto durante la notte sembrerebbe incidere sull’aumento della
pressione: infatti i lavoratori ipertesi diurni non mostrano alcun aumento pressorio. La pressione diastolica esaminata sui 4 gruppi ha evidenziato valori patologici nei lavoratori notturni ipertesi correlati statisticamente con il turno lavorativo (p= 0,01) ed i lavoratori normotesi notturni con 92,62 DS8,79. Anche in questo caso i lavoratori notturni sembrano essere maggiormente penalizzati rispetto ai diurni che mostrano valori ancora nella norma. Questo innalzamento può essere spiegato con il
fatto che l’ipertensione essenziale è ritenuta essere il prodotto di una
combinazione tra predisposizione genetica ed esposizione a fattori ambientali quali stress cronico, assunzione di alcool, e sale, eccessi dietetici ed inattività fisica. Tutti questi fattori sembrano favorire l’inclinazione ad una iperattività simpatica che contribuirebbe al “resettamento” dei
barocettori aortici e carotidei su valori più elevati (Pickering TG, 1997).
Sembrerebbe che la pressione arteriosa diastolica sia quella maggiormente sensibile alle variazioni legate allo stress lavorativo. In uno studio
si è visto inoltre che i lavoratori notturni hanno una qualità del sonno alterata e che questo può essere un ulteriore fattore di rischio di aumento
di pressione arteriosa. (Tanigawa T. et al; 2006). I valori più alti di frequenza cardiaca sono presenti, in tutti i lavoratori considerati, durante il
periodo lavorativo correlati sia al turno lavorativo che all’ipertensione (p
= 0,01). Da uno studio eseguito da Barbic F et al nel 2006 su turnisti a
rotazione e a turno fisso si è evidenziato che le variazioni più marcate di
frequenza cardiaca si sono trovate durante l’attività lavorativa e le più
basse durante il sonno. Anche nel nostro gruppo di studio si è giunti agli
stessi risultati.
CONCLUSIONI
I risultati ottenuti dello studio condotto sui lavoratori presenti in
AMSA hanno in parte confermato che il turno notturno risulta essere
maggiormente fonte di stress rispetto agli altri turni. Infatti il ritmo circadiano del cortisolo subisce nei lavoratori un adattamento al turno notturno. Si è evidenziato un maggiore consumo di vino, un aumento del BMI,
un aumento di colesterolo totale nei lavoratori ipertesi notturni. Non si è
riscontrata nessuna interferenza sull’assetto glucidico (glicemia ed insulinemia nella norma). Nessuno dei lavoratori sembra avere segni di franca insulino resistenza anche se sono presenti, nei lavoratori notturni ipertesi più fattori di rischio cardiovascolare rispetto ai lavoratori diurni. I risultati più innovativi e poco studiati al momento hanno riguardato il monitoraggio pressorio delle 24 ore in cui si è evidenziato un aumento dei
valori sisto/diastolici nei lavoratori impegnati a svolgere la propria attività durante la notte, periodo nel quale, come si legge in vari studi, il “fattore” stress sembra essere maggiore. A conferma di ciò i lavoratori ipertesi diurni non mostrano alcun aumento pressorio. In tutti i gruppi si è notato che, mentre i valori pressori rientrano nella normalità durante quella
parte della giornata in cui non viene svolta l’attività lavorativa, per alcuni diventano poi patologici (>130/80) durante il turno lavorativo. Si è evidenziato una fisiologica caduta dei valori pressori (sistole, diastole, FC,
MAP) durante il sonno in tutti e 4 i gruppi.
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