Inno d`Italia di P. Canata o Mameli?

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Inno d`Italia di P. Canata o Mameli?
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Il Tempietto
Inno d’Italia
di P. Canata o
Mameli?
Damiano Casati
1. Premessa
Intorno agli anni settanta stavo cercando
documenti per la mia tesi di laurea.
L’archivio che al riguardo mi poteva
essere più utile era senza dubbio quello
di Carcare, la casa più antica della
provincia ligure dei Padri Scolopi e
fondata (1621) dallo stesso padre
fondatore, S. Giuseppe Calasanzio.
È qui che rovistando tra volumi, scritti,
corrispondenze dei Padri, mi sono
imbattuto in una lettera particolare,
sconosciuta sino ad allora. Era scritta da
P. Ameri al P. Agostino Moraglia e
parlava di un suo viaggio in carrozza da
Genova in compagnia di un giovane
particolare: Goffredo Mameli. Incuriosito
mi sono dato da fare per sapere di più
anche per i bisbigli che in varie
comunità scolopiche circolavano circa
una possibile (per i Padri sicura)
paternità dell’Inno d’Italia da attribuire a
P. Canata.
In questi giorni (luglio 2010) Alberto
Rinaldini, venuto a conoscenza della mia
tesi, arricchita e pubblicata, mi ha
pregato di stendere un articolo
sull’argomento per la rivista “Il
Tempietto” che avrebbe, alla sua uscita,
trattato del risorgimento. E la cosa gli
interessava.
Gli ho dato risposta affermativa, anche
per dare un mio piccolo contributo al
prossimo anniversario del 150° anno di
unità del nostro paese. Lo scrivo, spero,
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senza spirito di parte né per creare nuovi
steccati ma per far conoscere un
ambiente carico di patriottismo, animato
da forze complesse, sovente volutamente
dimenticate che hanno dato vita ai
tentativi in seguito finalmente riusciti del
nostro divenire stato e per onestà storica.
Gli anni 1840-1850 sono stati quelli di
maggior splendore di questo Istituto,
definito la Montecassino delle Langhe.
La celebrità è dovuta prima al P. Carosio,
il “giansenista” riformatore, poi al P.
Buccelli con le sue riforme scolastiche
(vedi il suo libro “La Ragione della
lingua per le prime scuole esposta da un
individuo delle Scuole Pie), improntate
alle idee pedagogiche degli svizzeri
Pestalozzi e P. Girard, nonché a quelle
italiane del Lambruschini, ora negli anni
quaranta alla poliedrica statura religiosa,
letteraria, pedagogica, politica, estetica
(Trattato di estetica) di P. Atanasio
Canata; tutti e tre capaci (insieme ad
altri confratelli di indiscusso valore) di
dare forma a comunità di insegnanti in
grado di tradurre nella scuola ardite
innovazioni pedagogiche(1). Per questo al
Collegio confluivano giovani della nobiltà
e borghesia ligure, piemontese e
lombarda, mentre la scuola era
accessibile a tutti i giovani della val
Bormida e non, vogliosi di farsi una
cultura o trovarsi un onorevole impiego(2).
È in questo luogo che il 15 settembre
1846 P. Ameri portava in diligenza il
giovane Goffredo Mameli. Perché?
2. Legami di G. Mameli
con i Padri Scolopi
La Sig.ra Adelaide Zoagli Mameli,
familiare di giochi in gioventù con
Mazzini, aveva scelto per la formazione
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dei propri figli le scuole dei Padri
delle Scuole Pie che conosceva
benissimo (specie i PP. Salari e
Bancalari) e che l’avevano avvicinata
alla spiritualità dei “Solitaires”. A
Genova Goffredo ebbe due ottimi
insegnanti nella figura di Padre
Cereseto e di Padre Moraglia(3).
Espletati con ottimi successi gli studi
superiori, si era iscritto all’Università
di Genova prima in filosofia e poi in
giurisprudenza. Non erano anni
tranquilli, soprattutto per i giovani; le
passioni politiche erano accesissime
(carbonari, mazziniani, giolittiani,
un’occhiuta polizia). L’Università era il
luogo ideale per questi dibattiti,
frequenti e spesso degeneranti in
scontri e risse, faticosamente sedate
dai gendarmi. Coinvolto in uno di
questi Goffredo fu sospeso per un anno
dal frequentare l’Università.
In città polemiche a non finire; per
questo il giovane si rivolse ai suoi
maestri di pochi anni prima e P.
Moraglia lo consigliò di lasciare per un
po’ di tempo l’ambiente cittadino,
almeno fino a che il parapiglia non si
fosse calmato. P. Moraglia chiese a P.
Ameri il favore di portarlo a Carcare.
Fu organizzato il viaggio e la mattina
del 15 settembre 1846, in diligenza il
Religioso e il giovane partirono. Con
lettera poi il Religioso ragguaglia il
confratello P.Moraglia sul viaggio
felicemente concluso.
Eccola:
Carissimo P. Agostino Moraglia,
“Partiti da Genova fummo
disturbati da pioggia dirotta tra
Voltri e Cogoeuo che mi fece
sospirare la cara patria più volte e
l’esser restato, e lamentare la spesa
della diligenza.
Ma alla pioggia successe fino a
Savona miglior tempo.
Qua salutati il P.Rettore e Pesante
essendo gli altri in iscuola,
prendemmo ristoro con ottimo
gusto; e scorsa con Mameli Savona
prima di un’ora ci imbarcammo
con i boeuf a Carcare. Sull’alto
Appennino avemmo il saluto di
Giove, al cui fragore successe una
pioggia mista con grandine; ma
questo servì a dissipare il resto di
nuvole e a farne più ridente
l’ameno soggiorno di Carcare in
cui entrammo a cielo sereno
cominciato fin dall’Altare.
Mi è impossibile tornare si presto
come credeva, ma non prolungherò
il mio stare di molto…
Qui si mangia con gusto e i
ragazzi sono tutti in buon
essere…(4)”
P. Ameri delle Scuole Pie
Che le cose fossero andate in quel
modo ce lo conferma una lettera,
trovata nel fondo Barrili, che conferma
il viaggio e come il Mameli venne
accolto e ospitato presso il collegio di
Carcare. È lo stesso Mameli che scrive
all’amico avv. Giuseppe Canale.
Prendo i punti salienti:
Caro,
“alle tre del mattino mi salii sulla
diligenza; il nostro posto era
dinnanzi, io era vicino ad una
signora, finche durarono le tenebre
andò bene, ma quando poi venne
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la luce mi ha messo paura, uh che
robba! Sembrava il demonio
vestito da donna. P.Ameri diceva
l’ufizio e io, tanto per levarmi
quella brutta faccia guardava di
fuori. Finalmente dopo un viaggio
che mi sembrava lunghissimo e che
fu accompagnato da tanta pioggia
giungemmo a Savona, pranzammo
e ci rimettemmo in carrozza e alla
sera giungemmo a Carcare, dopo
cena mi posi a letto, dal sogno
(sonno) che avevo non potea più
tenere gli occhi aperti. Del resto
faccio di tutto per passare il tempo
senza annoiarmi, mi provo a
giocare al pallone e alla palla,
così comincio così finisco il
giorno…
…qui ogni momento si prega, cosa
buonissima ma che guasta le
ginochia. Qui poi non fa quel
freddo che mi dicevano, meno alla
sera, quando si va a letto, poi il
clima a me mi va molto a
gradimento, come pure il luogo,
del quale tralascio di parlarti
avendolo veduto tu stesso…(5)”
Settembre 1846
G. Mameli
Quindi che sia stato a Carcare è
incontestabile e per onor del vero
storici e biografi di Mameli dovrebbero
almeno registrarlo(6).
La questione non si ferma a questo
punto; ce ne sono altri che vanno
trattati: 1) è possibile che a quel
soggiorno sia riconducibile la
redazione dell’Inno (nel 1847 diventò
inno nazionale)?; 2) P. Canata l’ha
ispirato, corretto, oppure ne è l’autore?
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Stabilito che fu a Carcare per vari
mesi, che era molto caro a convittori
ed alunni, che aveva particolare
feeling con P.Canata (quei lunghi e
interminabili colloqui tra i due lungo i
viali del Collegio), passo ad affrontare
la questione “Inno”. Al riguardo mi
sembrano significative le date. È
giusto a Carcare a metà settembre e ci
rimase mesi (nulla trapela sull’Inno);
questo, già musicato da Michele
Novaro, veniva cantato dal popolo in
Genova già nel novembre 1847. Tra il
soggiorno carcarese e l’echeggiare
delle note e delle parole dell’Inno in
Genova nel novembre 1847 non
passano molti mesi (scriverlo,
mandarlo a musicare, divulgarlo, sulla
bocca del popolo: per tutto questo ci
vuole del tempo). Mi sembra quindi
abbastanza logico che l’Inno sia stato
scritto proprio in periodo Carcarese.
Ispirato dal P. Canata, o da lui
aggiustato o, secondo altri, steso da lui
e dato al giovane (era per Mameli più
facile diffonderlo piuttosto che un
prete!). Sono tutti dubbi legittimi che
esigono una risposta (per quanto
possibile esauriente).
3. Aldo Mola
Al riguardo mi servo di alcune chiose
tratte dal volume di Aldo Mola “Storia
della monarchia in Italia, Bompiani,
Mi, pagg. 367-369”; Lo storico dice:
1. A proposito della data di
composizione non è sufficiente la
data, novembre 1847, apposta da
Mameli alla trascrizione dell’Inno,
per stabilire quando il testo fu
composto. L’Inno rimanda ad
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avvenimenti del 1846. Sottolinea
l’adesione al “primato degli
Italiani” di Gioberti e all’unione
dietro una bandiera . La citazione
di Balilla si collega al convegno
degli scienziati a Genova dal 15 al
29 novembre 1846; da quel
momento il Balilla venne evocato
come simbolo di rivolta.
2. Lo storico ricorda anche altri
particolari: P. Canata era un patriota,
sostenitore dell’unità, ma devoto di
Gioberti, Rosmini e Pio IX. In una
poesia anticipò la patria chiamava
severa, come più tardi L’Italia chiamò
del canto degli Italiani.
3. Aggiunge ancora: quando l’Inno
divenne famoso P. Canata non protestò,
lasciò scritto il suo risentimento:
“A destar quell’alme imbelli
meditò robusto un canto
ma venali menestrelli
si rapian dell’arpe il vanto”
(Il Vate)
Chi saranno?
E nel componimento “Gazza letterata”
vibrò un’altra staffilata:
“E scrittore sei tu? Ciò non ti
quadra…una gazza sei tu garrula
e ladra…”.
4. E continua: quando Ulisse Borrino
consegnò il testo al musicista Novaro,
gli disse:
“Toh, te lo manda Goffredo e…
non è di Goffredo”. C’è una bella
differenza.
Che G. Mameli abbia vergato il “Canto
nazionale” (titolo originario dell’Inno)
è fuor di dubbio.
Ma è altrettanto indubbio che proprio i
manoscritti pongono interrogativi
insoluti. Nella copia conservata al
Museo nazionale del Risorgimento si
legge che i figli d’Italia si chiaman
Ballilla (sic).In una variante, vergata
sullo stesso foglio, con altra grafia, il
canto inizia con “Evviva l’Italia dal
sonno s’è desta…”, anziché “Fratelli
d’Italia, l’Italia s’è desta”. Più sotto si
legge “sangue Polacco”(sic). Una
scrupolosa perizia calligrafica e un
confronto col manoscritto conservato al
Museo del risorgimento di Genova,
manifestamente d’altra mano, restano
da fare. Di certo le differenze
prevalgono sulle somiglianze.
Il religioso ha composto molti
componimenti poetici inneggianti ai
“fratelli”, all’unione, all’amore (termini
della pastorale ecclesiastica)
Lo storico conclude senza esitazione:
l’Inno di Mameli è un frullato del
linguaggio di Padre Canata(7).
4. Giuseppe Cesare Abba
Sul P. Canata è opportuno lasciare la
parola agli alunni che lo ebbero
maestro. Giuseppe Cesare Abba(21)
sulla Rassegna settimanale del 1882
scrive di lui in questi termini
nell’articolo titolato Due cari morti:
"Il collegio fioriva in quei tempi
popolato di gioventù vigorosa della
Liguria e d’ogni parte del
Piemonte. I frati erano tutte
persone di valore; e vi insegnava
lettere, grande svegliatore
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d’ingegni e di cuori, il Padre
Atanasio Сanata da Lerici, nato
artista, fattosi frate, vissuto
cattedra e libri tutta la vita. Aveva
allora passati di poco i 40 anni;
serbava tutto il fuoco della
gioventù che doveva essere stato un
vulcano; uomo da dipingere con la
spada in pugno come S. Paolo.
Rimasto al secolo, l’Italia l’avrebbe
visto morire in qualcuno dei moti
dal 31 in poi, esule si sarebbe fatto
sentire come una tromba di guerra;
chiuso in quel collegio era venuto
su insegnando, educando, finchè
nel 1848 esplose da solo come
legione... venuti i dì neri, ritiratosi
Pio IX, сadute le speranze della
patria, incrociô le braccia, stette a
vedere con la fronte corrugata; e
tra sacerdote e cittadino, brancolò
come un uomo improvvisamente
accecato. Ma il giorno che intese
la rotta di Novara, entró in iscuola
pallido, tremante; con la voce
strozzata annunciò ai giovanetti
scolari suoi, la grande sventura
della patria, cadde sulla sedia e
pianse! Che soffio di vita sopra
quella scolaresca! Se ne parló fino
al ‘59... II 59 lo trovó in cattedra
rifatto l’uomo di prima; il sessanta
lo rese pensoso, gli anni di poi, tra
la sua fede di cattolico e il grande
ideale dell’Unità Italiana, tornò a
smarrirsi, e nel 67 moriva in una
notte di primavera sul suo lettuccio
di frate, nella cameretta dove
centinaia di noi che fummo figli
dell’anima sua, lo vedemmo
invecchiare, tra libri, quadri e
fiori, natura dolce e leonina. Oh
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quell’aureola di capelli bianchi,
intorno a quella faccia ispirata,
sincera, paterna, chi potesse
vederla ancora una volta!"(22).
Non possiamo dimenticare la pagina
ben più conosciuta del capolavoro
dell’Abba, Da Quarto al Volturno:
“O frate calasanziano maestro
mio; cosa fai, in questo momento,
nella tua cella, donde, in quello
scoppio del quarantotto che noi
sentimmo appena da
fanciulli,l’anima tua di trovatore
si lanció fuori ebra di patria?
E quasi voleva andarsene dalla
terra, quel giorno del
quarantanove orrendo, quando
dalla cattedra dicesti ai tuoi
Scolari: Fummo vinti a Novara!
Ci narravano i più grandi, che il
padre maestro, dicendo così, era
caduto sfinito: e noi mirandolo per
i corridoi del collegio, rapido,
sempre agitato, fronte alta, capelli
bianchi all’aria, e l’occhio in un
mondo ch’egli solo vedeva, ci
sentivamo mancare le ginocchia e
pensavamo a Sordello di cui,
leggendoci Dante, ci voleva
infondere la gentilezza, la forza e
lo sdegno”(23).
4. Conclusione
Il Presidente della Repubblica Carlo
Azeglio Ciampi molto ha fatto per
incoraggiare gli Italiani a impararlo e
cantarlo e ha voluto una sua integrale
pubblicazione. Gli autori che hanno
steso la pubblicazione non dicono una
parola su tutto ciò che in questo
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articolo andiamo trattando, mentre si
dimostrano sicuri della paternità del
“Canto nazionale”. Questa ostentata
sicurezza invece non pare esserci.
Termino con altre osservazioni
illuminanti dei fatti.
La vulgata scolopica, lungo gli anni,
ha sempre tramandato che l’autore
dell’Inno è P. Canata e non Mameli.
Come spiegare questo? Non potevano
dare documentazione al riguardo?
Perché bisbigliarlo all’interno delle
comunità anziché pubblicizzarlo?
Non si è lontani dal vero, come
sostiene l’attuale archivista della
provincia scolopica ligure P. Luciano
Giacobbe, nel dire che i Padri, così
come il Barrili, giornaliero
frequentatore dell’Istituto e amicissimo
di vari di loro, abbiano taciuto
pubblicamente il fatto e per non
offuscare la memoria del patriota
martire e perché soddisfatti della sua
morte religiosa? (lo stesso P. Ameri, il
medesimo dell’inizio del nostro
articolo, era in quei giorni giunto a
Roma perché eletto assistente
generale; chiamato dal giovane
morente, né ascoltò la confessione e lo
confortò con i Sacramenti della fede
cattolica). Era mazziniano, ma sotto
sotto era un vero credente cattolico
come molti altri che combatterono qui
a Roma e più tardi in Sicilia con
Garibaldi. Sapevano di stinguere fede
e politica. Così avevano imparato(8).
Quell’infuocato clima politico (18481849) vide perciò la partecipazione di
tanti gruppi per idelologia
profondamente divisi, ma fra questi è
indubbio che ci fossero molti cattolici
militanti in sponde diverse.
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Note
(1) L’Avv. Michele G. Canale (1808-1890),
studioso, dotto, storico insigne della sua
Genova, amicissimo del Mameli, dice di
lui:” fu mandato alla scuola dei generosi figli
del Calasanzio (gli Scolopi) e qui l’ingegno
che avea precoce e gagliardo rapidamente si
svolse. In due o tre anni, balzate le classi fu
in rettorica; a lui i maestri singolarmente
volgevansi, meravigliando l’acume e la
potenza dell’intelletto”. Era consuetudine
degli Scolopi di Genova e di altrove,
proclamare alla fine di ogni anno scolastico
Principi dell’Accademia Scholarum Piarum,
i due ottimi della scuola, i quali compiuto il
loro corso di studi, ne uscivano. Con una
solenne cerimonia venivano scoperti i loro
ritratti a olio a grandezza naturale, che
restavano appesi in una delle due aule ad
perpetuam memoriam. Questo onore toccò al
Mameli, che ogni anno era stato
immancabilmente dei primi premiati, come
da irrefragabili documenti, stati anche in
mano mia. Pasquale Vannucci, Mameli a
Roma, estratto dalla rivista “l’Urbe, anno
XXIV n.4 pag.9, nota 1.
(2) Ecco alcuni nomi: G. Benza, F. Borrello,
E. Celesia, G. Dom. Buffa, A. Rebora, G.
B. Mameli, G. Sapeto, C. Abba, B.
Borrelli, G. Briano, B. Cananti, V. Brandi,
S. Dapino, E. Morin, C. Astengo, A.
Frascara…. (Carcare: ASPL, Elenco dei
convittori, Ms.)
(3) Genova, ASPL, Cartella Moraglia: la sua
corrispondenza è con élites culturali e
politiche italiane ed europee: Taparelli
d’Azeglio (gesuita), Rosmini, Buffa,
(4)
(5)
(6)
(7)
(8)
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Lambruschini (il pedagogista), Joseph e
Robert de Maistre, Margotti, Gioberti,
Cavour.
Genova, ASPL, cart. 4, lettere del 15 e 24
settembre 1846
La seconda lettera denota lo spirito ironico
di Goffredo. Gli errori di ortografia (per
noi), forse allora non erano considerati tali.
Lo sostiene con vivacità il Prof. Lorenzo
Chiarlone che della zona Val Bormida è
storico appassionato e intelligente
A. Mola: Storia della monarchia in Italia,
Bompiani, Mi, pagg. 367-369
Ecco cosa dice P. Canata in un saggio dei
giovani a fine anno “Religione e Patria”:
Consiste in una breve introduzione scritta
dal Canata, in cui viene messo in evidenza
lo scopo del Saggio, cioè “formare ne’
giovani l’intelletto ed il cuore, attivarne le
forze inventive, prepararne saviamente gli
animi alla gran famiglia del mondo”, e
l’importanza dell’argomento trattato:
“l’argomento che loro [ai giovani] veniva
per quest’anno assegnato fu Religione e
Patria, ossia le due cose che aver si
debbono più care quaggiù, le due cose, alle
quali informare degnamente l’animo dei
giovani ci obbliga il nostro calasanziano
ministero: il quale argomento ci parve
altresì dovesse comunicare più di vita alla
solenne distribuzione dei premii, quali
riportano quegli Alunni che, meglio che gli
altri ornati il cuore e la mente di verace
pietà e di buone lettere, più liete speranze
inspirano di se alla nostra Religione
santissima, alle rispettive loro famiglie,
alla Patria”.