1 metodologia di iniezione di stucchi in opere lignee policrome

Transcript

1 metodologia di iniezione di stucchi in opere lignee policrome
VII Congresso Nazionale IGIIC – Lo Stato dell’Arte – Napoli, 8-10 Ottobre 2009
METODOLOGIA DI INIEZIONE DI STUCCHI IN OPERE LIGNEE
POLICROME
Michela Fasce*, Leonardo Borgioli**
*Restauratrice, Genova
** C.T.S. Srl Via Piave 20/22, 36077 Altavilla Vicentina, 336472711, [email protected]
Abstract
In presenza di una lacuna in un’opera lignea un intervento tradizionale è quello dell’inserimento di un tassello di
legno, con caratteristiche simili a quello originale. Non sempre è però possibile intervenire con questo
procedimento, anzi, la maggior parte delle volte si utilizza uno stucco.
Gli stucchi tradizionali si basano generalmente su miscele di inerti con leganti acquosi, ma possiamo affermare
che tutti i prodotti con proprietà leganti e/o filmogene siano stati utilizzati per la creazione di stucchi, e che
l’immissione sul mercato di prodotti polimerici ha spinto i restauratori a cimentarsi in combinazioni tra inerti e
leganti come le resine acetoviniliche a quelle acriliche.
Per gli interventi su statue lignee policrome o su dipinti su tavola sono richieste allo stucco particolari proprietà,
come la rimovibilità, la scarsa resistenza meccanica, la resistenza al degrado ed un certo grado di elasticità,
requisiti tali da portarci a scartare quasi tutti gli stucchi presenti sul mercato.
Le possibilità si restringono ulteriormente se richiediamo allo stucco anche una fluidità tale da poterlo iniettare.
In questo lavoro si presentano i risultati di uno studio volto ad individuare ed ottimizzare una tecnica per
l’iniezione di uno stucco epossidico all’interno di una struttura fortemente degradata dall’attacco di insetti
xilofagi, e la successiva applicazione in una tavola dipinta della fine dell'800. E’ stato valutato il comportamento
reologico, ed il livello di penetrazione, anche a seguito di applicazione di vari livelli di vuoto.
Introduzione: gli stucchi per legno
La stuccatura, ossia il riempimento delle cavità presenti nei manufatti lignei, è una delle operazioni frequenti nel
restauro, ma raramente è stata oggetto di indagini, con l’eccezione dello storico lavoro di Grattan e Barclay [1].
Da sempre è stata condotta con una varietà di prodotti derivanti solitamente dall’esperienza e dalla pratica di
bottega, e solo più recentemente, dall’introduzione sul mercato di prodotti pensati dalle industrie del settore del
mobile o per gli interventi di rinforzo delle strutture lignee.
E’ evidente che questi materiali mal si adattano alle specifiche esigenze del restauro.
Uno stucco (in inglese filler) è un materiale di consistenza pastosa, che acquista durezza in un tempo
ragionevolmente breve, e che deve possedere le seguenti proprietà:
• discreta capacità adesiva
• minimo ritiro con l’essiccamento
• discreta lavorabilità al termine dell’essiccamento
• buone proprietà fisico-meccaniche, che si mantengono nel tempo
• inerzia chimica nei confronti del substrato
Altre proprietà che sono desiderabili, ma non strettamente necessarie, sono:
• facilità di utilizzo
• inattaccabilità da parte dei microrganismi
• facilità di colorazione
• buona definizione nel caso di utilizzo per riproduzioni in stampi in silicone
In presenza di una lacuna nell’opera lignea un intervento tradizionale è quello dell’inserimento di un tassello di
legno, con caratteristiche simili a quello originale. Non è questa la sede per approfondire la questione relativa
alle difficoltà inerenti una buona tassellatura, ma si ricordano solo la necessità di una manualità elevata, la
differente risposta del tassello alle variazioni termoigrometriche, e la inevitabile perdita di materiale originale.
L’accenno a questa tecnica ci serve solo per introdurre il doppio aspetto del tassello: una massa, che va a
riempire la cavità, ed un adesivo che tiene vincolato il tassello al manufatto originale.
Questi due aspetti coesistono negli stucchi, che devono contemporaneamente fornire la “massa” e rimanere
ancorati al manufatto, e quindi possedere una certa capacità adesiva.
1
La composizione di uno stucco riflette questa esigenza, suddividendo i compiti tra degli inerti (bulking agents),
che devono semplicemente riempire lo spazio, mentre il compito di tenere il tutto insieme è affidato a dei leganti
(binders), con proprietà adesive.
Gli stucchi tradizionali (riportati ampliamente dal Turco [2]) si basano su miscele di inerti (carbonato di calcio,
gesso di Bologna, caolino,…), con leganti acquosi (colla di pelle, caseina, colla d’ossa), oppure con altri leganti
come l’olio di lino cotto.
In generale possiamo affermare che tutti i prodotti con proprietà leganti/filmogene siano stati utilizzati per la
creazione di stucchi, dalla gommalacca alle copali, a volte anche associati a cere.
Nel tentativo di realizzare stucchi leggeri si è poi cercato di utilizzare inerti come farine di legno o altre fibre
cellulosiche.
L’immissione sul mercato di prodotti polimerici ha spinto i restauratori a cimentarsi con combinazioni tra inerti e
leganti di vario tipo, dalle dispersioni acetoviniliche a quelle acriliche.
Nella selezione di uno stucco deve essere valutata attentamente la possibilità che il legno stuccato sia sottoposto
in futuro a movimenti, che porteranno ad uno stress sull’interfaccia della stuccatura.
Contemporaneamente dovrà essere valutata la resistenza meccanica del manufatto.
Infatti uno stucco molto rigido e tenace, inserito in un oggetto fragile e destinato a muoversi, porterà ad una
rottura del manufatto stesso. In questo caso è meglio orientarsi su di uno stucco elastico e sicuramente poco
adesivo, cosicché al momento del movimento si abbia un analogo movimento dello stucco, o al limite un suo
distacco, al quale si potrà sempre ovviare, senza causare però danni al manufatto originale. Si parla in questo
caso di stucco non-strutturale. Si tenga però sempre presente che il confine tra stucco strutturale e non-strutturale
è molto labile, e dipendente dalla resistenza del legno su cui si va ad operare.
Si ricorda che le nuove fessurazioni indotte dalla presenza di stucchi rigidi si presentano sempre parallelamente
alla fibra, e mai perpendicolarmente. Infatti le resistenze a trazione longitudinali sono sempre molto più elevate
di quelle traversali, e per dare un’idea delle forze in gioco si riportano questi due valori relativamente a due
tipologie comuni di legno.
Specie
Abete
Douglas
Resistenza a trazione
longitudinale (N/mm2)
139
138
Resistenza a trazione
trasversale (N/mm2)
2,6
2,9
Considerati i prodotti presenti sul mercato Grattan e Barclay concludevano in chiave pessimistica “...tutti gli
stucchi possono danneggiare il legno, perché tutti hanno l’abilità di aumentare l’ampiezza di una fessurazione,
o di crearne una nuova. Si può quindi arguire, seguendo un’etica rigorosa, che è meglio non stuccare le
fessurazioni.” [1, pag.83]
Come primo passo nella valutazione degli stucchi per legno è quindi necessario definire se lo stucco ha solo una
funzione estetica oppure tendenzialmente strutturale (quindi possiede la capacità di sostenere un peso, tenere
uniti due pezzi, ecc...).
Alcuni stucchi sono infatti meramente estetici, quali ad esempio gli stucchi a cera, molto usati per la chiusura di
piccole lacune. Tutti gli stucchi a cera, oltre a non avere resistenza meccanica, hanno il difetto di causare una
variazione tonale nella zona circostante l’integrazione, per migrazione del legante [1].
Nelle due categorie che seguono un problema comune è il veicolo del legante, ossia l’acqua, che in generale
sarebbe da evitare, sia per i movimenti che questa può indurre in una struttura lignea fragile, sia perché gli
stucchi a base acquosa presentano un ritiro eccessivo.
Gli stucchi a base proteica (quindi i tradizionali stucchi a gesso e colla animale), presentano il problema di un
elevato ritiro in fase di presa. Inoltre la rigidità di questa tipologia di stucco (colla forte o di coniglio che sia, con
inerti come gesso, caolino o altro), assieme ad una scarsa adesione al supporto, fa sì che con il movimento del
legno si creano distacchi o crettature dello stucco.
Inoltre non deve essere trascurata la laboriosità della preparazione, dato che è necessaria la solubilizzazione a
caldo della gelatina.
Tra gli stucchi polimerici è opportuno escludere quelli a base vinilica: il polimero in emulsione acquosa è
intrinsecamente legato ad un elevato ritiro.
Infine vale la pena ricordare che le colle viniliche miscelate con gesso o polvere di legno danno origine a stucchi
plastici che si irrigidiscono nel tempo, oltre a rilasciare acido acetico, che innesca un degrado nella fibra
cellulosica [3].
Tra i prodotti che invece sono a base solvente abbiamo gli stucchi acrilici, con resine come il Paraloid B-72,
variamente caricate. Il vantaggio di lavorare in assenza di acqua è in parte controbilanciato da una separazione
degli inerti dalla miscela, e dal ritiro a seguito dell’evaporazione del solvente. Questo tipo di stucco è stato
2
utilizzato per il riempimento delle cavità dovute ad un attacco di termiti di un sarcofago egizio policromo [4].
Anche uno studio comparativo sovvenzionato dalla Università dei Paesi Baschi [5] ha evidenziato il problema
dell’eccessivo ritiro.
I polimeri acrilici sono comunque ottimi adesivi, oltre che consolidanti, e dovranno essere presi in
considerazione soprattutto nella loro funzione di strato di interposizione tra lo stucco e l’originale.
La presenza di uno strato di interposizione può essere opportuna nel caso si voglia ridurre la penetrazione di
parte del legante dello stucco all’interno della fibra del legno, come ampliamente descritto da Ciocchetti e Munzi
[6]. Infatti connaturato al meccanismo dell’adesione è l’imparentamento, più o meno profondo, tra il legante
dello stucco ed il substrato ligneo. Un’eccessiva penetrazione può rendere la stuccatura del tutto irreversibile, ed
è per questo che si può ridurre l’adesione saturando la porosità con un materiale, caratterizzato da una elevata
reversibilità, così da facilitare le operazioni di distacco dello stucco stesso.
Un prodotto di questo tipo solitamente ha anche funzione di consolidante, e questo permette di ottenere così
anche l’effetto di rendere l’area adiacente all’interfase più resistente alle tensioni.
Una procedura ormai adottata frequentemente è quella di associare ad una stuccatura o ricostruzione con resine
epossidiche irreversibili, uno strato di interposizione con Paraloid B-72, che rimane solubile in alcuni solventi
anche dopo invecchiamento.
Gli stucchi poliestere presentano come noto una resistenza meccanica troppo elevata, appaiono “vetrosi” e si
frantumano nelle operazioni di intaglio, e infine sono difficili da colorare. Nonostante questi difetti lo stucco
poliestere Sintolegno è molto diffuso nel mercato italiano, e precedenti studi comparativi [1,5] fanno riferimento
a prodotti di questa tipologia, commercializzati negli Stati Uniti ed in Spagna (Belzona Molecular Wood,
Betaresin e Norsodyne).
Infine devono essere ricordati gli stucchi siliconici, ottenibili caricando con inerti le gomme siliconiche. Questi
stucchi presentano l’interessante proprietà di essere elastici, e di conseguenza di non innescare in legni degradati
stress da tensione, come evidenziato da Grattan e Barclay [1]. Questi stucchi presentano però altri limiti, come
una scarsa adesione, di non essere carteggiabili né intagliabili, e risultano pressoché impossibili da colorare in
superficie, così come effettuare altre finiture come dorature o argentature.
Per le problematiche associate a tutte le classi viste sopra hanno conosciuto una sempre maggiore diffusione gli
stucchi epossidici, e tra questi il prodotto capostipite e maggiormente diffuso è la Araldite SV 427 (Araldite
Madera in Spagna) della Ciba, ma esistono sul mercato altri prodotti analoghi (EPO 127 della C.T.S.).
Una prima proposta di materiale che unisse all’elasticità anche buone proprietà adesive è stata presentata in un
recente lavoro di integrazione di giunture di un Cristo ligneo snodabile da processione [7], basato su di una
formulazione epossidica elastica (EPO 155 della C.T.S.).
In un recente studio, pubblicato sul Bollettino ICR [6], è stato valutato lo stucco Balsite®(Nota 1), per uno scopo
ben preciso: realizzare copie di manufatti artistici colandolo in stampi di resine siliconiche. Questo stucco
epossidico bicomponente è estremamente leggero, non particolarmente tenace, addittivabile con pigmenti o terre
per ottenere un colore simile a quello del legno da integrare.
La Balsite è stata proposta per integrazioni di statue lignee policrome e dorature dipinti su tavola ed altri
manufatti di pregio.
A mali estremi…..
Desideriamo qui esporre i risultati di una serie di prove volte a mettere a punto una metodologia applicativa della
Balsite, al fine di poterla iniettare in manufatti di elevato pregio, come tavole o statue lignee policrome,
particolarmente degradati a seguito di attacchi di insetti xilofagi o per effetto di attacchi microbiologici.
Infatti possono presentarsi talvolta casi estremi in cui gran parte del supporto si presenta in condizioni di degrado
tale da non risultare più funzionale, fino a rendere necessaria la sua sostituzione con un nuovo supporto. Per le
tavole lignee si procede con un trasporto del colore, intervento sempre rischioso e che richiede, oltre ad una
grande capacità operativa, anche un attento studio della nuova tavola su cui si effettua il trasporto, dato che in
passato tavole non perfettamente stagionate hanno causato, con il loro movimento di assestamento, danni allo
strato pittorico.
Nelle statue lignee l’intervento è ancora più problematico, dovendo inserire tasselli e consolidanti che creano un
notevole stress fisico al manufatto.
L’idea da cui siamo partiti era quella di utilizzare uno stucco leggero, non rigido, rimuovibile senza eccessiva
azione meccanica, e modificarne composizione e modalità applicative in modo da poterlo iniettare all’interno di
manufatti ormai ridotti a “spugne”. Lo stucco, una volta indurito, avrebbe dovuto fornire il sostegno agli
eventuali strati pittorici sovrastanti, senza però imparentarsi con essi.
Dato che il prodotto che meglio rispondeva a queste esigenze così particolari era la Balsite, che si presenta però
con la consistenza di un gelato, non iniettabile, al fine di renderla più fluida sono stati testati alcuni solventi a
diversa polarità, quali l’alcool etilico, il butile acetato, il white spirit e l’essenza di petrolio.
3
Nel corso del nostro studio siamo stati confortati dalla pubblicazione dell’articolo di Ciocchetti e Munzi, che
hanno determinato sia il solvente che la percentuale ottimale (alcool etilico al 10%), per rendere fluida la Balsite
senza comprometterne le proprietà, in linea con quanto da noi osservato.
Descrizione delle prove
L’idea per la nostra sperimentazione era quella di trasferire una metodologia frequentemente utilizzata per
l’applicazione di consolidanti in soluzione: avvolto l’oggetto in una bolla di film poliestere, si applica un
sottovuoto rimuovendo così l’aria dalle zone vuote (nel nostro caso gallerie di xilofagi).
Poi si procede all’iniezione del fluido tramite siringhe, perforando quindi il film poliestere stesso.
Il consolidante viene così “spinto” negli spazi vuoti, e la penetrazione è funzione di vari parametri tra i quali la
viscosità del fluido, la pressione esercitata e la tipologia del materiale.
Nel nostro caso abbiamo utilizzato tavolette piatte, appoggiate sul piano di una tavola a bassa pressione con
umidificazione modello NSD 1120.
Dopo alcune prove con vari solventi di diversa polarità e volatilità (Nota 2), necessarie per mettere a punto la
procedura, sono state preparate due miscele:
• 50 gr di Balsite + 5 ml di alcool (10%)
•
50 gr di Balsite + 5 ml di essenza di petrolio (10%)
I provini sono stati scelti tra diverse specie di legno antico, precisamente legno di pero, di noce e di abete rosso,
che presentavano un importante attacco di insetti xilofagi.
Questi campioni sono stati tagliati in tavolette di 20x5 cm e 2,5 cm di spessore, e per evitare fuoriuscite laterali
si è applicato sui lati del normale nastro adesivo.
I fori di sfarfallamento erano ben visibili sulla superficie lignea, mentre lateralmente erano osservabili le gallerie
(fig. 1).
Figura 1_ Gallerie sul bordo delle tavolette
Al fine di valutare gli effetti delle diverse pressioni e delle diverse miscele sullo stesso tipo di legno, si sono
effettuate due iniezioni su ogni tavoletta, marcandole in due metà in modo da poter intervenire con le iniezioni di
stucco sulle due parti, e di poter effettuare le valutazioni per confronto, essendo impossibile determinare un
valore assoluto.
Le tavolette sono state appoggiate sulla tavola a bassa pressione, interponendo del tessuto non tessuto tra il
provino e la tavola stessa, quindi sono state coperte con un film poliestere che permetteva di individuare la
marcatura centrale, e si è proceduto ad applicare il vuoto.(fig. 2).
4
Figura 2_ Tavolette sottovuoto, facce superiori
In questa fase si sono utilizzate entrambe le miscele precedentemente preparate.
Per ogni tavoletta si applicava prima una pressione di 60 Pa, ed una delle due miscele di Balsite veniva iniettata,
sulla parte sinistra, nei fori di sfarfallamento superficiali, fino a che non fuoriusciva la resina sul film poliestere.
Dopo aver riempito tutti i fori visibili si lasciavano i campioni per un'ora in tavola, e quindi si procedeva
aumentando la pressione a 120 Pa, e sempre utilizzando la stessa miscela di Balsite, con lo stesso solvente, si
effettuavano le iniezioni sulla parte destra. Anche in questo caso si manteneva la pressione per un’ora.
Durante l'iniezione della Balsite con essenza di petrolio con la pressione maggiore si è notato che questa
fuoriusciva addirittura dalla parte inferiore del provino, finendo aspirata all’interno del piano della tavola.
Al termine del procedimento di iniezione i provini sono stati lasciati asciugare per 48 ore e segati lungo il lato
corto a intervalli di circa un centimetro, ottenendo delle listelle che ci permettevano di valutare la profondità e la
distribuzione del materiale iniettato.
L'osservazione dei campioni così trattati ha rivelato che la Balsite era riuscita a raggiungere le gallerie degli
insetti xilofagi riempiendole totalmente.
Per entrambe le miscele i solventi utilizzati erano completamente evaporati e non avevano lasciato aloni sui
nostri provini.
Applicazione su un caso reale
Si è quindi proceduto all'applicazione su di un caso reale, una tavola dipinta della fine dell'800 (fig. 3), di
spessore di circa 0,5 cm, che presentava sfondamenti da gallerie di insetti xilofagi.
In questo caso è stata utilizzata una miscela di Balsite con alcol etilico e la pressione esercitata è stata di 60 Pa; si
è scelto la pressione minore perché con una pressione maggiore si rischiava lo schiacciamento della sottile
tavola.
Da un esame della superficie si può osservare come la Balsite abbia completamente occupato le gallerie, e nelle
zone dove non risulta visibile, a livello tattile si nota un riempimento e il colore non presenta più sfondamenti.
Figura 3_ Tavola su cui è stata applicata la metodologia di iniezione
5
Conclusioni
Da queste semplici sperimentazioni si è rilevato che la Balsite può essere utilizzata laddove esistano problemi di
sfondamento della pellicola pittorica dovuti alla presenza di gallerie di insetti xilofagi.
La pressione che si deve usare è in funzione dello spessore del nostro supporto; infatti si ottengono ottimi
risultati con una pressione bassa in manufatti sottili, mentre la pressione va aumentata per raggiungere le gallerie
più interne quando si hanno spessori importanti, avendo l'accortezza di controllare sempre la pellicola al fine di
non provocare uno sfondamento della stessa. Dall'osservazione dei campioni segati si è visto come le parti
trattate con le due pressioni differenti, pur utilizzando la stessa miscela, con la stessa percentuale di solvente,
presentassero una diversa disposizione della resina all'interno delle gallerie . Le parti trattate con la pressione a
120 Pa avevano tutte le gallerie occluse (soprattutto dove si era usato l'essenza di petrolio) fino alla base
inferiore del campione, mentre quelle trattate a 60 Pa presentavano la Balsite solo nelle zone superiori.
Per quel che riguarda l'utilizzo dei solventi si è notato che l'alcol etilico, evaporando molto velocemente, può
essere usato tranquillamente per spessori lignei sottili (minori di 1 cm), mentre se ne sconsiglia l'uso in spessori
maggiori, dove per effetto del vuoto l'alcol etilico può essere separato dalla miscela, portando ad un aumento di
viscosità e conseguente blocco della Balsite, che non riesce quindi a riempire totalmente la galleria.
Per spessori maggiori del legno conviene quindi usare l'essenza di petrolio il cui minor tempo di evaporazione
rispetto all’alcool permette un miglior livello di penetrazione.
Note
1_Balsite® è commercializzata da C.T.S. Srl di Altavilla Vicentina.
2_Pur esulando dalla metodologia di applicazione a iniezione, oggetto di questa comunicazione, riteniamo utile
aggiungere un comportamento della Balsite che ne permette l’utilizzo nelle ricostruzioni.
Miscelati i due componenti, dopo l’aggiunta di piccole (3%) quantità di white spirit, la Balsite viene fatta
catalizzare per circa 30 minuti. Al termine di questo periodo la miscela si presenta più plastica e facilmente
modellabile.
Le ricostruzioni risultano particolarmente utili nel caso si voglia effettuare una doratura a guazzo: infatti dopo
una leggera carteggiatura la superficie dello stucco si presenta porosa, e risulta semplice applicare il gesso per
doratori, il bolo, e infine dorare e brunire con oro zecchino in foglia. Le stuccature inoltre non sono sensibili
all’acqua.
Bibliografia
1) Grattan D.W.; Barclay R.L.; “A study of gap fillers for wooden objects” Studies in Conservation, (1988),
Vol.33, n°2, 71-86.
2) Turco A.; “Coloritura, verniciatura e laccatura del legno” (1995), Ed.Hoepli, Milano.
3) Castelli C.; Santacesaria A.; “Il restauro dei supporti lignei” in Dipinti su tavola, Ed.Edifir, Firenze (2007).
4) “Hatchfield P.; “Note on a fill material for water sensitive objects” Journal of American Institute for
Conservation, (1986), Vol.25, n°2, 93-96.
5) Barandiaran M. et al. “Estudio de materiales de relleno”. Restauración & Rehabilitación, 70-75
6) Ciocchetti C., Munzi C.; “La Balsite: un nuovo materiale per il risanamento dei supporti lignei” Bollettino
ICR – Nuova serie - n°15 (2007)
7) Panvini R., Nucera G.C., Gabbriellini C., Rossi F., Borgioli L.; “Il Cristo morto di Mazzarino. Un singolare
caso di applicazione di resine epossidiche su un’opera polimaterica” Progetto Restauro n.45 (2008), 17-25.
6