1 il processo conoscitivo nel lavoro sociale
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1 il processo conoscitivo nel lavoro sociale
IL PROCESSO CONOSCITIVO NEL LAVORO SOCIALE di Rita Andrenacci L’Aquila 01 ottobre 2011 Per capire chi siamo: alcune definizioni di servizio sociale. Colaianni (2004) sostiene che la disciplina nella sua globalità fa esplicito riferimento a principi e fondamenti inerenti la centralità della persona e all’autonomia personale. Ciò comporta un’attenzione verso una comprensione della persona e del suo disagio, delle sue difficoltà non in termini eziologici, quanto invece in funzione di attivazione di cambiamenti. L’analisi del passato e del presente come propedeuticità rispetto al futuro: nel lavoro sociale il focus dell’osservazione e dell’azione di aiuto è verso la ricostruzione e l’interpretazione del presente in vista dell’azione di cambiamento e non verso la storia della persona per una spiegazione causale di ciò che è successo.”L’analisi della situazione che costituisce un problema – analisi che deve necessariamente esserci e in certi casi anche molto accurata – non coincide con una ricostruzione dei perché e delle motivazioni in base alle quali si è arrivati al problema. Come e perché il passato abbia operato in un certo modo interessa relativamente al lavoro sociale come pratica.” Folgheraiter sostiene che il servizio sociale studia il prodotto o ciò che ripara l’incapacità di azione, quella socialmente inaccettabile. Infatti, egli afferma “che la gran parte dei problemi che attengono in via specifica al lavoro sociale nasce non da deficit dell’umano o da deficit del sociale presi in se stessi, come fonti separate di difficoltà di vita, ma come un prodotto della loro interazione. In molte situazioni pratiche, un deficit umano (ad esempio, l’incapacità di capire, un senso di confusione, ecc.) può non produrre di per sé un problema oggettivamente rilevante se non combinandosi con una caratteristica esterna – ad esempio. L’oggettiva complessità della situazione, mancanza di supporti o facilitazioni, ecc – e viceversa.” Nell’attuale sistema italiano dei servizi sociali e sanitari l'assistente sociale è chiamato ad agire azioni professionali di cooperazione, collaborazione con tutti gli attori sociali che possono e debbono giocare ruoli di aiuto e solidarietà. Il concetto alla base di tale mandato è quello che il disagio sociale, anche nella dimensione individuale, in tanto in quanto nasce e si sviluppa in una specifica rete, debba e possa trovare uno specifico sostegno e talvolta soluzione nella stessa rete, mediante i legami che la caratterizzano. L'assistente sociale lavora prevalentemente con i nodi della rete, con le persone che compongono la rete ed hanno o possono avere legami tra loro e con la persona utente, non solo in termini di destinatari dell'intervento, ma quali attori del processo di aiuto e capaci di sostenere; produce inoltre raccordi tra le reti e gli stessi nodi, produce reti, sia in relazione all'opera di connessione che di promozione, elabora progetti di rete. In modo particolare lavora in rete integrandosi, coordinandosi e collaborando con altri professionisti che operano all'interno e all'esterno del suo servizio, giocando il ruolo di guida relazionale, nel senso che è un facilitatore della ricerca di una soluzione del problema 1 individuale per e attraverso la rete. Il concetto di guida relazionale presuppone una definizione della relazione di aiuto diversa da quella classica intesa come situazione in cui l’assistente sociale e l’utente si determinano e influenzano reciprocamente nella costruzione della propria identità e nella ricerca del proprio senso. La diversità tra assistente sociale e utente è determinata dal sistema di conoscenze, competenze, ruolo e compiti che ognuno di loro utilizza e mette a disposizione dell’altro per il raggiungimento dell’obiettivo generale di aiuto. La posizione dei due attori è non solo diversa, ma talvolta anche di tipo conflittuale, tra un aiutante e un aiutato, tra un forte e un debole, tra chi sa e chi deve imparare. È evidente che se il focus metodologico è centrato sulla capacità d’azione, l’ipotesi di relazione di aiuto dalla quale si parte è basata sull’idea che l’utente e l’assistente sociale “siedono contemporaneamente di qua e di là: l’utente oltre ad essere nella classica condizione di chi non sa e ha bisogno di aiuto, è anche nella posizione dell’esperto. Contemporaneamente l’operatore, oltre ad essere nella canonica condizione di chi sa, è un po’nella posizione dell’utente: di chi non sa, e deve farsi aiutare” Nel senso che all’utente va riconosciuto il potere della conoscenza della sua problematicità; egli possiede informazioni e potenzialità sconosciute all’operatore, che si pone in posizione di ascolto e apprendimento. Per l’implementazione del processo di aiuto è necessaria la conoscenza del problema. Inoltre in tal modo si configura un processo metodologico centrato sulla capacità d’azione, in cui l’assistente sociale non ha un target da colpire, un soggetto da modificare, in sintesi non ha uno schema d’azione predefinito, segue delle piste operative che orientano l’intervento, consentendo massima flessibilità (l’oggetto dell’aiuto è un soggetto). Per capire cosa facciamo: alcune riflessioni sul processo di aiuto. La persona portatrice di un disagio sociale si trova in una situazione di difficoltà derivante dall’incapacità di gestire il problema in modo autonomo (motivo per cui si rivolge ai servizi) è quindi molto importante per lei apprendere come fronteggiare la propria situazione, piuttosto che ricevere prescrizioni comportamentali. In sintesi agire una relazione di aiuto fuori da specifici protocolli, procedure standardizzate, in cui tutti gli attori si collocano in una posizione di co-apprendimento, in cui non è possibile esplicitare considerazioni in merito all’adeguatezza/inadeguatezza, collaborazione/non collaborazione dell’utente. Il processo di aiuto è un insieme complesso di attività, interventi, prestazioni. È finalizzato alla realizzazione di un cambiamento in termini di soluzione, riduzione, contenimento di un problema sociale. Le attività del Processo di aiuto sono messe in atto da un professionista in relazione ad una richiesta di aiuto da parte di un utente (individuo, gruppo, comunità) in condizioni di problematicità sociale. Il termine processo evoca il concetto di movimento e di evoluzione della successione di tappe e quindi di singole azioni che possono essere individuate nella loro singolarità e nella compartecipazione al movimento complessivo. • È un percorso a spirale, non di tipo lineare caratterizzato dall'intervento e dalla relazione assistente sociale-utente-servizio-reti. 2 • • È percorso di apprendimento sociale finalizzato al raggiungimento dell’autonomia della persona utente in funzione dell'esperienza realizzata. Nel corso del processo di aiuto la persona utente impara anche una modalità di porsi di fronte alle difficoltà, alle regole di esplorazione e ricerca di fronte al reale: analizza ciò che si frappone tra lui e la “soluzione” del problema, considera gli ostacoli, ricerca le risorse, segmenta la situazione, definisce dei piani e li realizza. Dalla conoscenza della situazione all’individuazione del problema bersaglio L’azione dell’assistente sociale nel processo di aiuto è molto collegata al mandato istituzionale, al mandato professionale e alla situazione esistenziale della persona. Porre attenzione a questi fattori significa che qualsiasi scelta, intervento, azione messa in campo dall'assistente sociale deriva dall'analisi comparata che li mette in relazione tra di loro. In pratica costantemente, l’assistente sociale si pone queste domande: Qual è il problema? Che cosa chiede? Che cosa posso fare? Che cosa so fare? Cosa mi chiede di fare il mio servizio? Cosa mi chiede di fare la comunità professionale? In sintesi si può decodificare, comprendere, una situazione problematica, una domanda di aiuto attraverso l’implementazione di un processo conoscitivo che consenta di mettere in relazione il problema con la persona, con il suo contesto relazionale, con il servizio o meglio la rete dei servizi, ed infine con le competenze, il ruolo e le funzioni dell'assistente sociale. Il lavoro sociale è in gran parte un lavoro conoscitivo: per aiutare è necessario conoscere, comprendere dal di dentro. Non basta rilevare informazioni “strutturali” (nome cognome età professione titolo di studio situazione familiare, relazioni sociali, condizioni economiche, ecc.). Questi dati vengono frequentemente e costantemente rilevati nei servizi ……………basti pensare alle cartelle sociali, alle schede di accoglienza………………, ma cosa ce ne facciamo, come li utilizziamo per intervenire? Spesso nell’operatività ci rendiamo conto di avere tante informazioni, ma ugualmente non riusciamo a capire. Non sono sufficienti neanche i racconti e le registrazioni dei racconti. Le persone raccontano la loro rappresentazione la loro versione dei fatti, per comprendere è importante entrare nella situazione. Spesso la comprensione avviene attraverso l’implementazione di specifiche azioni /interventi promossi dall’assistente sociale. Si apprende dall’esperienza, dalle azioni messe in campo dall’operatore e dalle reazioni, dalle 3 risposte della persona utente che ci aiutano a capire come si posiziona, come si muove come vive la relazione con il problema e con l’operatore. L’azione, l’iniziativa dell’operatore va pensata non esclusivamente riferita all’aiuto e successiva alla conoscenza, ma quale strumento di conoscenza. Lo schema conosco, agisco azioni di aiuto, va capovolto: conosco- agisco ( prendo delle iniziative che facilitino una risposta, una reazione extra narrativa da parte dell’utente,) –comprendo- Aiuto . Tale schema è dinamico e di tipo circolare. conosco agisco interventi di aiuto agisco iniziative Comprendo È molto importante riflettere, analizzare i ritorni delle azioni messe in campo : fare attenzione ad essi significa elaborare le informazioni partendo proprio dall’esperienza, non solo quella vissuta e raccontata dall’utente, ma quella vissuta dall’operatore all’interno della relazione e del disagio, del problema. In tal senso emerge anche la specifica competenza dell’operatore che non è data solo dal sapere , dal saper fare ma dall’essere e dalla capacità di apprendere dall’esperienza . La conoscenza del problema avviene ponendo l'attenzione su alcuni specifici fuochi : 1 la richiesta, sia per quanto concerne i contenuti specifici sia il soggetto che la esprime; 2 la segnalazione intesa in termini generali come la modalità con cui il soggetto che esplicita la domanda ha saputo di quello specifico servizio, ovvero attraverso quali canali informativi. Ciò contribuisce a definire quali immagini la persona ha elaborato e conseguentemente quali aspettative ha rispetto alla risposta; 3 la contestualizzazione della richiesta, in ordine al soggetto portatore del disagio e alla rete di appartenenza; 4 le azioni intraprese dalla persona o dalle reti prima di esplicitare la richiesta e quali ipotesi di soluzione sono state eventualmente costruite; 5 le intenzioni e le aspettative della persona portatrice del disagio e del richiedente rispetto all'aiuto. Questo processo è fondamentalmente caratterizzato da: individuazione degli obiettivi conoscitivi, ovvero cosa si intende conoscere; scelta delle variabili utili per la conoscenza del problema in relazione e coerentemente con gli obiettivi conoscitivi. L'assistente sociale non procede verso una conoscenza "totale" o indiscriminata, senza filtro. Non si conosce in virtù dell'ampia quantità di informazioni rilevate, ma al contrario in virtù delle informazioni giuste, opportune, adeguate, coerenti al cosa si può e si vuole conoscere, dato un certo contesto operativo e problematico. In sintesi, utilizzando metaforicamente l'azione del fotografo, la conoscenza, la foto, non avviene utilizzando il 4 grand'angolo, ma uno zoom che mette a fuoco una parte specifica e definita della situazione ; accoglienza intesa in termini di predisposizione di un contesto relazionale di ascolto, di disponibilità a prendersi cura, di attenzione in cui la persona possa sentirsi in una situazione non di disagio;l’operatore si pone di fronte all’utente con una mentalità ospitale1 esplicitazione della domanda; azioni inerenti la comunicazione verbale e non verbale, l'informazione, l'ascolto, la restituzione, la sintesi, la chiarificazione, l'elaborazione. La comprensione della domanda e della situazione problematica consente di individuare l’area bersaglio, ovvero il/i problemi o porzioni di essi, rispetto ai quali l’assistente sociale ipotizza di poter agire, di poter avviare percorsi di cambiamento. In sintesi l’area bersaglio si configura come l’oggetto dell’azione di cambiamento. Questa definizione di area bersaglio scaturisce dalla constatazione che le condizioni esistenziali delle persone utenti, nell’attuale contesto sociale italiano, sono generalmente caratterizzate da complessità e multiproblematicità. In altri termini bisogna circoscrivere il problema e conseguentemente, l’aiuto in base ad un’analisi di fattibilità, ovvero di ciò che realmente è possibile cambiare. La definizione della problematicità, del disagio sociale individuale, comporta una definizione dell'ambito e dell’oggetto dell'intervento. In particolare si ritiene che “nessun problema sociale esiste in se stesso: è necessario un atto di valutazione per renderlo tale.” La comprensione della situazione e quindi della problematicità comporta un'analisi delle variabili caratterizzanti la/situazione generale della persona e della sua problematicità Tale analisi è orientata da una logica ecologica, ovvero consente la messa in relazione delle variabili tra loro e soprattutto con: 1 il mandato istituzionale 2 il mandato professionale, 3 la disponibilità della persona, 4 l'accessibilità della persona, cosa è in grado di fare la persona 5 le opportunità e/o utilità sociali, 6 la disponibilità delle reti nonché la loro accessibilità, (cosa è in grado di fare la rete) 7 l'offerta del sistema locale dei servizi sociali e sanitari. Lavorare per e con le persone significa inevitabilmente conoscere insieme. In questa prospettiva la persona che si trova in una condizione di problematicità, di disagio e che incontriamo nei servizi è anch’essa coinvolta nella conoscenza di ciò che vive, che sente, che sperimenta2, è in poche parole uno dei parteners della relazione di aiuto. Ogni persona ha infatti una parte attiva, nel senso di 1 Vedasi Camus l’Ospite in “l’esilio e il regno” Bompiani 1963 2 CODICE DEONTOLOGICO ASSISTENTE SOCIALE TITOLO 2 Principi 7.- L’assistente sociale pone la persona al centro di ogni intervento. Considera e accoglie ogni persona portatrice di una domanda, di un bisogno, di un problema come unica e distinta da altre in analoghe situazioni e la colloca entro il suo contesto di vita, di relazione e di ambiente, inteso sia in senso antropologico - culturale che fisico. 5 capacità nel riprodurre le condizioni del proprio benessere. Tale capacità può essere esplicita o implicita, consapevole o inconsapevole, inoltre orienta l’agire della persona e definisce l’autonomia personale. Dal riconoscimento di tale capacità d’azione in favore del benessere soggettivo ne consegue un riconoscimento del potere di fare agli interessati non sostituirsi a loro. Inoltre il riconoscimento di tale potere conferma la tesi per cui la condizione di disagio non è una condizione deprivante rispetto ai diritti umani e alle capacità ed attitudini soggettive, nel senso che vi è una diretta correlazione tra la capacità d’azione ed il diritto di autodeterminazione. La relazione di aiuto è tra soggetti conoscenti. La conoscenza avviene per opera di tutti gli attori che entrano in gioco nel processo di aiuto, quindi si tratta di un processo di co-costruzione della conoscenza. È quindi fondamentale: riconoscere che nel contesto ci sono più soggetti/attori (nodi delle reti formali ed informali) collegati al problema. decostruire le proprie routine collaudate (prassi/protocolli operativi/procedure) per poter incontrare, riconoscere e valorizzare, modalità di intervento proposte e praticate da altri, non ultimo il modo o l’aspettativa di soluzione implicitamente o esplicitamente espressa dalla persona utente. spostare l'attenzione dal confronto sulle cose da fare (Azioni) alle ipotesi-concezioni implicite nelle azioni immaginate o previste. passare dalla molteplicità di prescrizioni autodefinite alla ricerca di qualche ipotesi relativamente aperta a confrontata, condivisa tra i soggetti coinvolti." (Manoukian 2005 ) Mettere insieme i diversi saperi di ciascun attore significa anche: 1. uscire dall'equivoco del copia e incolla. 2. decostruire i propri attaccamenti (uscire dai propri attaccamenti - scomporre il mandato sociale/il mandato professionale.....) 3. uscire dai modelli comunicativi centrati sul cosa fare per il problema urgente? 4. negoziare le diverse rappresentazioni del problema per poter definire obiettivi ed interventi In sintesi condividere i saperi attraversi il confronto sulle ipotesi di conoscenza del problema. La pista del confronto delle ipotesi mette sostanzialmente in crisi il concetto “conoscenza oggettiva della realtà, della verità” implica una certa consapevolezza della polivalenza della conoscenza e della inconoscibilità Cade anche il concetto della conoscenza intesa come fotografia della realtà (conoscere tutto) ed entra in crisi il concetto dell’operatore in grado di controllare tutto, ed anche il bisogno degli operatori sociali di ridurre il disagio individuale a uno schema precostituito (una sorta di impossibile semplificazione della realtà sociale complessa ed in continuo divenire). I principali steps della co-costruzione della conoscenza sono: oggettivare prefigurare aprirsi verso l’inedito 6 Bibliografia ANDRENACCI R., Il lavoro per progetti nei servizi sociali circoscrizionali del comune di Roma: l'applicazione della delibera del Consiglio comunale n. 154 del 29.07.199” in “Rassegna di Servizio Sociale”, 3, 2001 ANDRENACCI R., La valutazione del disagio Sociale : analisi di alcuni strumenti valutativi secondo un approccio di analisi della rete sociale in “La Rivista di Servizio Sociale”, 2, 1992 ANDRENACCI R., la valutazione di fattibilità in “Qualità e innovazione……. è possibile! L'esperienza dell'USSM di Roma. Ministero della Giustizia, Scuola di Formazione del Dipartimento della Giustizia Minorile”, Roma 2001 ANDRENACCI R, La valutazione multidimensionale dell'anziano in “Rassegna di Servizio Sociale”, 1, 1994 ANDRENACCI R., L'elaborazione del progetto in “Qualità e innovazione……. è possibile! L'esperienza dell'USSM di Roma Ministero della Giustizia, Scuola di Formazione del Dipartimento della Giustizia Minorile”, Roma 2001 ANDRENACCI R., Un progetto di Lavoro di Rete nell'ambito di un Centro di Salute Mentale in “Documentazioni Interprofessionali nei Servizi Socio-Sanitari”, 2, 1994. ANDRENACCI R., SPROVIERI S., Il lavoro sociale individuale, Fanco Angeli, Milano 2004 ANDRENACCI R., Il servizio sociale penitenziario nell’attuale quadro operativo e formativo, in “Frudà L. 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