La famiglia che uccide

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La famiglia che uccide
PSICOLOGIA E PSICOANALISI
MORTON SCHATZMAN
La famiglia che uccide
FELTRINELLI
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Morton Schatzman
La famiglia che uccide
Feltrinelli Editore Milano
Titolo dell’opera originale
Soul Murder: Persecution in the Family
(Random House, New York)
Copyright
© 1973 Morton Schatzman
Traduzione dall’inglese di
Laura Forti
Prima edizione italiana: novembre 1973
Copyrigh by
©
Giangiacomo Feltrinelli Editore
Milano
Wer über gewisse Dinge den Verstand nicht
verliert, der hat keinen zu verlieren.
(Chi per certe cose non perde il senno, quegli
non ha senno da perdere.)
GOTTHOLD EPHRAIM LESSING, Emilia Galotti
(1772), IV, 7.
Prefazione
Daniel Paul Schreber (1842-1911), eminente giudice tedesco,
a quarantadue anni impazzì, guarì e otto anni e mezzo dopo impazzì nuovamente. Non si sa se mai egli ridivenne perfettamente
sano, nel senso tradizionale del termine. Psichiatri e psicoanalisti
lo considerano un classico caso di paranoia e di schizofrenia. Il
padre Daniel Gottlieb Moritz Schreber (1808-1861), che si occupò della sua educazione, era un noto medico tedesco e uno
studioso di pedagogia. Le sue teorie ebbero grande influenza a
quell’epoca e dopo la sua morte. Egli pensava che i suoi tempi
fossero moralmente “fiacchi” e in “decadenza”, a causa soprattutto della debolezza che caratterizzava l’educazione e la disciplina dei bambini a casa e a scuola. Egli si propose di “combattere”
il “lassismo” della sua epoca con un elaborato sistema educativo
mirante a rendere i bambini ubbidienti e sottomessi agli adulti.
Riteneva che le sue regole, se seguite, avrebbero portato a una
società e a una “razza” migliori. Applicò nell’educazione dei bambini gli stessi princípi fondamentali seguiti dai regimi totalitari,
laici e religiosi. Come loro, pensava che niente è più importante
in un bambino dell’obbedienza e della disciplina. Ebbe due figli;
Daniel Gustav, il maggiore, divenne anch’esso pazzo e si uccise.
Sarebbe importante sapere se è più, meno o ugualmente probabile che i genitori e le società che considerano l’obbedienza e
la disciplina come le mete principali dell’educazione infantile
rendano i figli pazzi che altri genitori e altre società.
Il quadro della vita familiare del dottor Schreber padre riflette, come in una caricatura, le ideologie ampiamente sostenute nell’attuale società “liberale” dell’Occidente: gli adulti maschi
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La famiglia che uccide
devono avere il potere; la sessualità nei bambini e negli adolescenti
deve essere repressa; due adulti (i genitori), per quanto ignoranti,
bigotti o intolleranti siano, devono sorvegliare la moralità dei
figli fino a un periodo che va dalla media alla tarda adolescenza;
i bambini devono imparare presto a sottomettersi, spesso in modo acritico, alla volontà dei genitori.
In questi ultimi anni abbiamo cominciato a preoccuparci maggiormente dei bambini picchiati, trascurati e maltrattati, ma ci
sono delle forme di brutalità più sottili e meno drammatiche
che persistono in molte famiglie. È di queste forme e delle loro
durature conseguenze sui bambini che mi occupo qui e in parte
del mio lavoro quotidiano.
In questo libro collego la straordinaria esperienza di Daniel
Paul Schreber, a causa della quale fu considerato pazzo, ai metodi
di educazione del padre nell’infanzia. Metto in luce e collego
fra loro due gruppi di fatti — le strane esperienze del figlio da
adulto e le tecniche paterne di educazione dei bambini — e faccio delle ipotesi sulle loro possibili connessioni.
Si considerino i metodi di educazione dei bambini adottati
dal padre come un insieme di elementi, e le strane esperienze del
figlio come un altro insieme. Mi propongo di definire le operazioni con cui i metodi del padre sono trasformati in elementi dell’esperienza del figlio. Se una bizzarra esperienza del figlio sembra chiaramente in relazione con un procedimento del padre,
chiamo l’esperienza un’immagine o un trasformato (cioè il prodotto di una trasformazione) di quel procedimento; uso in modo
interscambiabile i termini “immagine” e “trasformato.”
Non tutte le esperienze del figlio sono immagini delle
pratiche paterne. Il giudice Schreber aveva anche una madre, una
nonna che morì quando egli aveva quattro anni e mezzo (Niederland, 1963), un fratello maggiore, tre sorelle e delle bambinaie.
Anche la sua relazione con ognuno di loro, le loro vicendevoli relazioni, la relazione di ognuno con quella di ogni altro con lui,
la sua relazione con le relazioni di ognuno con ogni altro, ecc., probabilmente si presentarono, trasformate, nella sua “malattia di
nervi.” Posso darlo soltanto come possibile, poiché si sa poco della
maggior parte dei membri della sua famiglia di origine e niente
di attendibile sulle scene che si svolgevano fra di loro; né posso
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Prefazione
trovare, nell’insieme delle esperienze del figlio, delle immagini
per ogni elemento dell’insieme di metodi educativi del padre. Lo
scritto del figlio, come ogni scritto, è una versione delle sue esperienze drasticamente ridotta; infatti deve avervi omesso molti episodi avvenuti durante gli anni della sua vita ivi descritti. Inoltre,
la sua mente può avere così profondamente trasformato la sua
esperienza di alcune attività del padre che, anche se ne facesse
menzione, non riuscirei a riconoscerla. Qui mi riferisco soprattutto
alle esperienze del figlio che posso dimostrare essere immagini
della condotta del padre, e alla condotta del padre per la quale
posso trovare delle immagini nell’esperienza del figlio.
Voglio mettere a fuoco non il perché ma il come il giudice
Schreber arrivò a sentirsi perseguitato; non cosa causò le sue sensazioni, ma gli avvenimenti che possono esservi correlati.
Propongo che le esperienze da lui ritenute soprannaturali e considerate dai medici come sintomi di una malattia mentale siano
viste come trasformati del trattamento a cui il padre l’aveva sottoposto. Suggerisco inoltre che il padre gli abbia insegnato, quando
era bambino, dei modelli con cui operare in base alla propria esperienza cosicché, in seguito, egli riteneva proibito (o si proibiva) di
vedere come nella sua straordinaria relazione con Dio rivivesse
la sua relazione infantile col padre. Questo libro illustra e applica
questa tesi.
La mia attenzione qui è rivolta principalmente a due intelletti,
quello del padre e quello del figlio, e alle relazioni tra loro. Le
mie scoperte riguardano molti campi: la pedagogia, l’educazione,
la psichiatria, la psicoanalisi, la psicologia, la religione, la sociologia e altri. Nell’ultimo capitolo considero alcuni possibili legami
tra le teorie del padre sull’educazione dei bambini e il sorgere del
nazismo, e nell’epilogo esamino la somiglianza tra le sue opinioni,
quelle sostenute attualmente dai russi e quelle di B. F. Skinner,
psicologo comportamentista americano.
Dato il nostro stato di ignoranza, posso solo accennare ad altre
questioni. Pare che certi individui considerati pazzi imparino, fin
dalla prima infanzia, strani modelli di esperienza e di comportamento. Gran parte di ciò che viene ritenuto come pazzia può essere visto come una sorta di adattamento a certe situazioni di apprendimento, per quanto maladattato possa essere nel mondo ester11
La famiglia che uccide
no a quelle situazioni. Recenti studi sulle famiglie di origine di
persone etichettate come schizofreniche rivelano che esperienze e
stranezze di alcune di loro possono essere comprese come risposte
a famiglie che inducono la pazzia. Come si può rendere comprensibile l’esperienza e la condotta di altri membri di quelle famiglie? In quali situazioni essi hanno imparato a fare esperienze e ad
agire l’uno nei confronti dell’altro in modo così disturbante? In
che tipo di contesto sociale vivono famiglie con figli pazzi? Non
so rispondere a queste domande; per farlo, è probabilmente necessario esaminare criticamente tutti i nostri modelli di allevamento
dei bambini, di educazione e di vita familiare più radicalmente di
quanto si sia mai fatto finora.
Questo libro deve molto a fonti che non vengono discusse
ampiamente nel testo, specialmente al lavoro pubblicato da Bateson
e dai suoi colleghi sulla schizofrenia e a discussioni precedenti la
stesura del libro con David E. Schecter e R.D. Laing. Un elenco di
tutte le persone che hanno influenzato le idee e la struttura di questo libro coinciderebbe quasi completamente con l’elenco dei miei
colleghi ed amici. Fra coloro che hanno parzialmente o completamente letto il testo desidero ringraziare in particolare per gli
utili consigli Robert Adkinson, Joseph e Roberta Elzey Berke,
Everett Dulitt, Aaron Esterson, Jean Houston, Murray e Ellie
Korngold, R.E.L. Masters, Doris Nagel, Fred Sander, Thomas
Scheff, Alan Tyson e Harry Wiener. Son grato anche a Vicky
Rippere per avere trovato alcune citazioni e per avermi aiutato nella traduzione dal tedesco di alcuni brani.
Alcune parti di questo libro sono state già pubblicate sotto
forma di articolo (Schatzman, 1971) in “Family Process.”
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Capitolo primo
Modelli di pazzia
Fino a poco tempo fa i ricercatori studiavano individui considerati schizofrenici al di fuori del loro contesto sociale. L’attenzione
era rivolta ai “pazienti,” non al comportamento di altre persone
verso di loro; in alcuni ambienti questo atteggiamento permane
immutato. Di conseguenza, il concetto di schizofrenia è stato costruito non su tutti, ma solo su alcuni dei dati che sono necessari
per capire le esperienze di persone considerate schizofreniche.
Alcuni cosiddetti schizofrenici che ho conosciuto parevano descrivere durante la “malattia,” mediante simboli, il loro contesto
sociale, passato e presente. Quanto più venivo a conoscenza della
loro vita, tanto più riuscivo a vedere la verità in ciò che dicevano.
Le loro famiglie, tuttavia, respingerebbero le loro parole come segni o sintomi di malattia e perciò come prive di valore. I loro medici, estranei all’ambiente sociale in cui la “malattia” si è sviluppata,
le respingerebbero anch’essi. L’idea che qualcuno è malato di mente porta facilmente a considerare privo di valore tutto ciò che
dice.
In questo libro mostrerò come un uomo considerato schizofrenico alludesse, durante la sua presunta pazzia, ad alcune dolorose verità sulle proprie esperienze infantili; né gli importanti medici di questo secolo che lo etichettarono come malato di mente,
né alcuno dei suoi conoscenti, afferrò il significato del suo messaggio.
Daniel Paul Schreber cominciò la sua carriera di paziente psichiatrico a quarantadue anni, trascorse tredici dei suoi successivi
ventisette anni in ospedali psichiatrici e vi mori. All’età di sessantun anni pubblicò Denkwürdigkeiten eines Nervenkranken (Me13
La famiglia che uccide
morie di un nevropatico), su annotazioni circa le sue esperienze e i suoi pensieri mentre “soffriva di una malattia di nervi.”
Benché avesse cominciato il suo lavoro in un ospedale psichiatrico senza alcuna idea di pubblicarlo, cambiò poi opinione col progredire di esso. Arrivò a pensare che “le osservazioni del mio caso
personale durante la mia vita sarebbero di un certo valore sia per
la scienza che per la conoscenza della verità religiosa.” Secondo
Ida Macalpine e Richard Hunter, storici della psichiatria e traduttori delle Denkwürdigkeiten di Schreber in inglese (1955), “Schreber è attualmente il paziente più ampiamente citato in psichiatria”
(p. 8).
Schreber attribuiva le sue due prime “malattie di nervi” a un
“eccesso di lavoro mentale.” La prima, insorta mentre era presidente di un Tribunale di contea, fu causata, egli disse, “dalla mia
candidatura al Parlamento” [il Reichstag]; perse le elezioni (Niederland, 1963) e sei settimane più tardi fu ricoverato in una clinica dove rimase sei mesi. Scrive:
Dopo essere guarito... ho vissuto con mia moglie in piena felicità per
otto anni, che furono per me prodighi anche di onori, seppur di tanto in
tanto offuscati per il fatto che la speranza di veder la nostra unione benedetta dalla prole era sempre delusa (Denkwürdigkeiten, p. 36).
Poi, qualche settimana dopo avere assunto il grave “onere di
presidente della Corte d’appello di Sassonia” (ibid., p. 34), “si verificò un evento straordinario.”
Durante parecchie notti in cui non riuscivo ad addormentarmi continui
scricchiolii si potevano sentire nel muro della nostra stanza... più volte mi
svegliarono proprio mentre stavo per addormentarmi. Naturalmente pensammo a un topo. Ma poiché ho udito simili rumori moltissime volte da
allora e ancora li sento sempre intorno a me di giorno e di notte, sono arrivato a riconoscerli senza alcun dubbio come miracoli divini (pp. 37-38).
[I corsivi, qui e in tutti i brani citati in questo libro sono miei, salvo dove è
specificato altrimenti.]
Un mese più tardi fu ricoverato nuovamente in clinica; aveva
cinquantun anni. Questa volta rimase in manicomio per nove anni.
La maggior parte degli episodi che descrive nelle Denkwürdigkeiten,
pubblicate un anno dopo la sua dimissione, avvennero durante que14
Modelli di pazzia
sto secondo lungo ricovero; è a questi episodi che il mio libro
si riferisce. Sappiamo invece molto poco della sua ultima permanenza di quattro anni in un ospedale psichiatrico, che si concluse
con la sua morte.
Tutti i medici che curarono Schreber o che hanno scritto di
lui lo hanno considerato malato di mente. Schreber era di diversa
opinione. Così comincia l’introduzione alle sue Denkwürdigkeiten:
Ho deciso di fare domanda di essere dimesso dal manicomio fra breve
per vivere di nuovo in mezzo alla gente civile e a casa con mia moglie. Tuttavia è necessario dare alle persone che costituiranno allora la cerchia delle
mie conoscenze una idea almeno approssimativa delle mie concezioni religiose, in modo che possano un po’ capire la necessità che mi costringe a
diverse stranezze di comportamento, anche se essi non comprenderanno completamente queste apparenti stranezze.
Questo è il proposito del mio manoscritto; in esso proverò ad esporre
in modo almeno parzialmente comprensibile i fatti soprannaturali, la cui
conoscenza mi è stata rivelata... Non posso certo sperare di venire pienamente compreso, perché tratto di argomenti che non possono essere espressi
nel linguaggio umano; essi superano l’umana comprensione... Di una cosa
sono sicuro, cioè che sono andato infinitamente più vicino alla verità degli
altri esseri umani che non hanno ricevuto la rivelazione divina (pp. 1-2).
Più oltre scrive:
... Riterrei un grande trionfo della mia abilità dialettica se attraverso il
presente saggio, che sembra stia acquistando la dimensione di un lavoro
scientifico, raggiungessi anche soltanto il risultato di far scuotere la testa ai
medici, incerti se dopo tutto non ci sia qualche verità nelle mie cosiddette
illusioni e allucinazioni (p. 132 n.).
Aveva fatto l’esperienza di Dio per la prima volta a cinquant’anni, durante quello che lui chiamava il suo “tempo santo”; altri
hanno considerato questo periodo come la fase acuta di una psicosi. Fu quotidianamente in contatto con i poteri soprannaturali
nei successivi otto anni e forse fino a quando morì, all’età di sessantotto anni. Quando parla della sua “malattia di nervi,” non si
riferisce a un disturbo nevrotico nel senso che noi attribuiamo a
questa espressione, o a una malattia mentale o a qualunque malattia nel comune senso medico o psichiatrico del termine. Nella sua
“malattia di nervi” i suoi “nervi” avrebbero raggiunto “uno stato
15
La famiglia che uccide
di grandissima eccitazione” e “avrebbero attratto i nervi [o raggi] di Dio” (p. 11). Di solito considerava queste esperienze come
“morbose” e spiacevoli. Mentre i suoi “nervi” erano in contatto
con i “raggi” di Dio egli avrebbe raggiunto la conoscenza dei “fatti
soprannaturali.” Ciò che egli riteneva divine rivelazioni i suoi
medici le consideravano illusioni, come farebbero i medici contemporanei.
Il dottor Weber, uno dei medici dell’ospedale di Schreber, in
un rapporto su di lui dice che le sue esperienze religiose danno
un’idea della sua “concezione del mondo patologicamente alterata”
(Appendice alle Denkwürdigkeiten, p. 388). Weber pensa che
una “malattia mentale” sia “senza dubbio presente” (ibid., p. 391).
In risposta Schreber scrive:
Nego assolutamente di essere malato di mente o di esserlo mai stato...
Il referto medico... avendomi riconosciuto come un caso di paranoia (follia),
contiene un insulto alla verità che difficilmente potrebbe essere peggiore
(p. 405).
Afferma che durante la maggior parte del suo soggiorno in
ospedale Weber “conobbe solo il guscio patologico, come amavo
chiamarlo, che nascondeva la mia vera vita spirituale” (p. 424).
Ai nostri giorni una persona che ha delle esperienze straordinarie si trova spesso in difficoltà. Di solito nessuno dei suoi conoscenti ha avuto simili esperienze. Nessuno accetta la sua testimonianza. Anche se altri volessero imparare ad avere un’esperienza del
mondo simile alla sua, cosa che di solito non accade, non saprebbero come fare, né egli sarebbe in grado di insegnarglielo.
Se egli persiste nelle sue strane esperienze e continua a raccontarle,
essi probabilmente lo considereranno malato di mente.
La credenza che alcune forme di malattia mentale causino esperienze e comportamenti insoliti è ampiamente diffusa e radicata. In
quasi tutto il mondo l’opinione ufficiale considera l’esperienza e
il comportamento insoliti di alcune persone come prodotti della
malattia mentale chiamata schizofrenia. Prima dell’età moderna
l’opinione ufficiale riteneva che molte di queste esperienze e di
questi comportamenti fossero di origine soprannaturale. Alcune
persone che continuano a crederlo ai nostri giorni sono etichet16
Modelli di pazzia
tate come schizofreniche proprio a causa di questa convinzione.
Molti dei pensieri di Schreber mentre era considerato schizofrenico erano normali. Tre anni prima che Schreber fosse dimesso
dall’ospedale dove fu ricoverato per nove anni, il dottor Weber
scrive:
... Schreber ora non appare né confuso né inibito: egli non è compromesso in maniera apprezzabile nella sua intelligenza, è assennato, la sua
memoria è vivace, dispone di una larga messe di cognizioni nel campo giuridico e in altri rami del sapere, è capace di esporre ordinatamente il corso
dei suoi pensieri, mostra interesse per gli avvenimenti politici, la scienza,
l’arte ecc., e se ne occupa continuamente... (Appendice alle Denkwürdigkeiten, pp. 385-86).
Il resoconto dell’autopsia (Baumeyer, 1956) non fa menzione
di alcuna lesione cerebrale.
Alcune esperienze vissute da Schreber durante la pazzia assomigliano a quelle descritte da sciamani o da stregoni, cioè da
esperti nell’estasi e nel sacro delle culture “arcaiche” (v. Eliade,
1951 e 1957). Come loro egli è “scelto” da poteri soprannaturali;
il sacro si manifesta attraverso i suoi sensi raffinati; egli impara
i nomi e le funzioni delle anime e degli esseri superiori, il linguaggio degli uccelli e un linguaggio segreto — nel suo caso, la
“lingua fondamentale” (Grundsprache) di Dio. Egli ha visioni e
cade in trance, vede, ascolta e sente avvenimenti nascosti ad altri
uomini. Dice di chiamarsi nel “linguaggio dell’anima,” il “profeta degli spiriti, cioè un uomo che vede e comunica con gli spiriti o
con le anime defunte” (Denkwürdigkeiten, p. 77). Come alcuni
sciamani, Schreber sente aumentare la luce intorno a sé, indossa
vesti femminili e sente di essere bisessuato. Come quasi tutti gli
sciamani, specialmente durante l’iniziazione, sopporta torture corporali e smembramento.
Penso che alcune esperienze di molte persone etichettate come
schizofreniche assomiglino a quelle degli sciamani. Persone molto
lontane quanto a spazio, lingua, cultura e precedenti credenze spirituali hanno avuto esperienze straordinariamente simili. Chiunque può averle? Sono necessari ancora molti studi, non solo per
imparare di più su sciamani e schizofrenici, ma anche sulle
17
La famiglia che uccide
parti della nostra mente di cui solitamente siamo inconsapevoli.1
Altre culture, specialmente quelle che onoravano gli sciamani
e forse anche quella propria di Schreber, parecchie centinaia di
anni prima avrebbero considerato valide le esperienze e le interferenze per cui egli fu considerato pazzo. I suoi racconti delle sue
rivelazioni e le sue discussioni su Dio non persuasero i suoi contemporanei, in parte perché li attribuivano a un diverso paradigma
-- la malattia mentale — in base al quale costruivano le sue esperienze. Gli psichiatri di allora, come farebbero quelli di oggi, spiegarono e trattarono le proprie esperienze della sua stranezza con
un vocabolario, una teoria e un insieme di pratiche ben articolati,
basati sul modello di una malattia interna a lui.
Schreber è considerato un classico caso di paranoia e di schizofrenia; entrambe sono malattie mentali. Eugen Bleuler (1911), che
inventò il termine “schizofrenia” e ne sviluppò il concetto, riteneva che Schreber fosse paranoico, schizofrenico, allucinato, delirante, dissociato, autistico e ambivalente. Bleuler considerava il resoconto di Schreber sulle sue esperienze come generalmente considerava le parole dei pazienti psichiatrici, cioè come materiale o
produzione, come una sorta di liberazione semantica di un processo patologico. Classificò i discorsi di Schreber e ne commentò la
forma e il contenuto, ma non cercò di capirli come messaggi dotati di significato. A. proposito delle persone definite paranoiche
afferma: “Non si può fare nessun affidamento sui discorsi dei pazienti...” (1924, p. 525). I medici di Schreber adottarono verso
di lui un comportamento analogo, come farebbero molti medici
di oggi.
Bleuler, come prima di lui Kraepelin, sulle cui concezioni egli
basò molte sue idee sulla schizofrenia, non era interessato all’educazione ricevuta dai suoi pazienti. Kraepelin (1904), nella sua lezione “Paranoia e follia sistematica progressiva,” descrive a lungo,
dettagliatamente, il caso clinico di un uomo, senza far nessun riferimento alla sua infanzia, alla sua adolescenza o a nessun membro
1
La maggior parte di noi in presenza di un uomo che vive esperienze straordinarie
adotta la posizione della madre di Amleto quando questi le chiede se non vede il fantasma:
AMLETO: Non vedi niente qui? — REGINA: Assolutamente niente; comunque vedo tutto
quello che c’è. — Mi chiedo come sapesse di vedere “tutto quello che c’è.”
18
Modelli di pazzia
della sua famiglia di origine e senza neppure accennare al fatto
che non ne fa menzione.
Freud, a differenza dei suoi predecessori, cercò di comprendere ciò che dicevano i suoi pazienti e di collegare le loro esperienze con avvenimenti della loro infanzia. Così facendo, classificava le persone ora chiamate schizofreniche in diverse categorie
a seconda della malattia di cui presumibilmente erano affette. Freud
non conobbe Schreber, ma ne descrisse il caso basandosi sulle
Denkwürdigkeiten. Il suo studio su Schreber è di cardinale importanza per la teoria psicoanalitica delle psicosi ed ha esercitato
una grande influenza. Infatti esso è alla base dell’opinione, sostenuta dalla maggior parte degli psicoanalisti, secondo cui la paranoia nasce come “difesa” contro un amore omosessuale, cioè
l’individuo paranoico è perseguitato da un amore inconscio, in
particolare per il genitore del suo stesso sesso, che egli (o ella)
vive coscientemente come una persecuzione proveniente dall’esterno.
Gli psicoanalisti, a partire da Freud, si sono interessati all’infanzia dei loro pazienti e hanno tratto i loro dati soprattutto da
quanto essi raccontavano loro. Ma poiché i pazienti, come chiunque altro, non riferiscono le loro esperienze interamente né precisamente, questa informazione non può essere completa e può anzi essere fuorviante. Teorie costruite su dati limitati spesso richiedono una revisione quando nuovi dati vengono alla luce.
L’analisi di Freud su Schreber è l’unica fra i casi da lui studiati in cui esista ancora una fonte di dati “grezzi” sull’infanzia
di Schreber, di cui Freud si è servito. Il padre di Schreber,
medico, ortopedico e studioso di pedagogia, scrisse diciotto libri
e opuscoli, molti dei quali trattano di metodi pedagogici, che
egli applicò ai suoi stessi figli. Benché sapesse del padre di
Schreber, Freud non usò i suoi scritti come dati, anche se i
suoi libri erano stati letti da un ampio pubblico ed erano ancora
reperibili. Bleuler non aveva neppure menzionato il padre di Schreber. Neppure coloro che scrissero su Schreber nei successivi cinquant’anni usarono come dati gli scritti di suo padre. La maggior
parte non esaminò neppure le Denkwürdigkeiten, ma si limitò
a discuterne i passi già citati da Freud.
Tredici anni fa, William Niederland (1959 a), psicoanalista
19
La famiglia che uccide
americano, mise in luce alcune impressionanti somiglianze fra
certi bizzarri pensieri di Schreber e le tecniche usate dal padre per
educare i bambini. Nei seguenti capitoli mi servirò di parecchi
esempi di Niederland. Egli ha studiato per più di vent’anni gli
antenati, l’educazione e la vita adulta di Schreber, traendone notevoli risultati. Il suo scopo è di dimostrare come le sue scoperte
confermino le conclusioni di Freud sui motivi per cui Schreber divenne paranoico; senza rendersi conto che le sue scoperte richiedono ipotesi radicalmente nuove.
Ho letto alcuni scritti del padre e ho trovato:
— che parecchie delle straordinarie esperienze vissute da Schreber,
per cui fu etichettato come paranoico, schizofrenico, alienato, ecc.,
possono essere collegate a specifici procedimenti del padre,
— che i sistemi pedagogici messi in atto dal padre potrebbero disorientare qualsiasi bambino,
— che egli avrebbe vietato a un bambino di rendersi conto come
i suoi metodi fossero disorientanti.
Il mio studio è un tentativo di collegare la mente di un adulto,
considerato pazzo, al comportamento del padre verso di lui quando
era bambino. Non possiamo mai essere sicuri di che cosa sia accaduto realmente fra un genitore e un figlio. Sarebbe così anche se
fossimo stati presenti, poiché possiamo sperimentare il comportamento dell’uno verso l’altro ma non il vissuto che uno ha dell’altro. Ogni resoconto di ciò che è avvenuto tra padre e figlio è
basato, in buona parte, sulle ricostruzioni dell’autore. Questo è
vero, anche se non altrettanto, per le autobiografie.
Non mi occupo qui di eventi traumatici isolati che possono essere accaduti una o due volte nell’infanzia di Schreber, ma di modelli di avvenimenti che si verificarono periodicamente e che possono essere collegati a modelli di avvenimenti da lui vissuti ripetutamente durante la sua “malattia di nervi.”
Benché mi limiti allo studio della mente di Schreber e del
comportamento del padre, le mie scoperte e il metodo con cui vi
sono giunto possono aiutare a comprendere altri individui considerati paranoici o schizofrenici. Le mie scoperte portano alla luce
altri problemi. L’ironia è dovunque. Un eminente studioso di pedagogia ha un figlio psicotico; questo fatto non intacca la sua reputa20
Modelli di pazzia
zione. Freud, avido lettore — così come i suoi successori — trascura i libri di pedagogia scritti da un uomo del cui figlio egli
cerca di dedurre le esperienze infantili. I genitori tedeschi allevano
i propri figli secondo le idee di un uomo che molti oggi considererebbero un sadico o un malato mentale.
Rendiamoci conto di una lacuna delle nostre attuali conoscenze: nessuno ha compiuto ricerche sistematiche sulle connessioni fra
la diversa realtà intuita dagli sciamani, dagli stregoni, dagli schizofrenici e dai pazzi di tipo mistico, e gli avvenimenti della loro
infanzia. Sembra che tutti rivestano le loro rivelazioni religiose nelle forme sociali in cui sono stati allevati: Padre e Figlio,
Madre e Bambino, la Sacra Famiglia, la Città di Dio, il Re e il
Regno e così via. Quando ridurremo tutto ciò a uno stesso denominatore, quando tutto ciò sarà morto, saremo maggiormente in
grado di conoscere Chi si nasconda nelle diverse forme sociali.
Tutti i dati di cui dispongo consistono di parole scritte in lavori pubblicati, in particolare del padre e del figlio. Ci piacerebbe
avere l’impossibile: registrazioni audiovisive delle conversazioni
che avvenivano fra padre e figlio o, meglio ancora, delle registrazioni del figlio stesso, prima e durante la sua “malattia di nervi.”
Inoltre ci piacerebbe sapere di più del suo matrimonio, di cui egli
racconta così poco. Avrei voluto percepire con i miei organi di
senso la sequenza di stimoli emessi dalle persone e dagli oggetti
nella sua prima famiglia, nella seconda e nel reparto dell’ospedale.
E come era stato educato il padre di Schreber? E sua madre? E i
loro genitori? I dati a nostra disposizione sono un minuscolo frammento dell’informazione che ci piacerebbe ottenere. Tuttavia, ciò
che abbiamo è sufficiente al mio scopo.
Lo studio delle parole scritte presenta dei vantaggi. A differenza delle persone, esse non sono influenzate dal fatto di venire
osservate. Chiunque, adesso o fra anni, può ripetere esattamente
il mio rapporto con la situazione da me studiata; inoltre l’autobiografia di Schreber ha il vantaggio di essere più completa di qualunque caso clinico. Essa è, dalla prima pagina all’ultima, ricca di particolari e così finemente elaborata che lo stesso Schreber diceva
che sarebbe stato difficile esprimere oralmente le sue idee (Appendice alle Denkwürdigkeiten, p. 390).
Siamo fortunati ad avere il libro di Schreber. Chi in un ospe21
La famiglia che uccide
dale dei giorni nostri avesse le stesse esperienze e manifestasse
comportamenti analoghi ai suoi verrebbe sottoposto a una batteria completa di trattamenti anti-schizofrenia: forti dosi di tranquillanti, elettroshock o coma insulinici o entrambi e, magari, operazioni al cervello. Questo trattamento gli renderebbe lo scrivere
difficile o impossibile. Nei tredici anni passati in ospedali Schreber
ricevette, per quanto ne sappiamo, solo narcotici e sedativi.
In questo studio mi arrischio in un campo tradizionalmente riservato alla psichiatria; per esempio propongo delle teorie sulle
allucinazioni, sull’ipocondria e sulla paranoia e traggo i miei dati
dal caso di un individuo considerato un paziente psichiatrico
classico. Ma questo libro riguarda anche la politica: la micropolitica dell’educazione dei bambini e della vita familiare e la sua relazione con la macropolitica di gruppi umani più ampi. Mettendo
in discussione il valore del modello della malattia mentale, nella
sua forma classica, come strumento per comprendere individui
come Schreber, sollevo anche alcune questioni riguardanti la politica della psichiatria e della medicina.
Le rivoluzioni politiche cominciano con la sensazione crescente,
spesso limitata a una piccola parte della comunità politica, che le
istituzioni esistenti non sono più adeguate ai problemi posti dall’ambiente che esse hanno in parte creato. Analogamente, le rivoluzioni scientifiche cominciano quando si sviluppa la sensazione,
spesso ristretta a un piccolo numero di scienziati, che un paradigma
dominante non spieghi più a sufficienza alcuni aspetti del mondo su
cui poteva aver fatto luce in precedenza (Kuhn, 1970, pp. 92-93).
Come la decisione di rifiutare le strutture politiche esistenti comporta il bisogno di crearne di nuove, così la decisione di attaccare
un modello scientifico deve implicare la ricerca di nuovi modelli.
Nelle questioni politiche e legali dipendiamo dai nostri governanti; nel nostro modo di pensare e di vedere dipendiamo dalle
nostre premesse. Di conseguenza bisogna sceglierle bene.
Molti ricercatori ritengono che l’individuo considerato schizofrenico sia vittima di eventi la cui origine risiede dentro di lui.
Non pensano che la sua “condizione” sia una risposta alla condotta tenuta nei suoi confronti da chi gli sta attorno; al contrario suppongono che egli si sia tenuto “estraneo” agli altri, magari fin dalla
nascita. Le prove che presento in questo libro tagliano netto con
22
Modelli di pazzia
questo punto di vista. Non che io offra un perfetto modello per la
comprensione degli individui chiamati schizofrenici; è ancora troppo presto: però mi avvio in una direzione in cui il vecchio modello
potrà essere cambiato o potranno esserne trovati di nuovi.
Molte persone sono sconcertate dal comportamento dei cosiddetti schizofrenici. Ritengo che se si incontrassero a un livello
profondo, individualmente e in “famiglia,” come ho fatto io, le
persone che compongono le famiglie di tali individui, esse risulterebbero non meno sconcertanti dei figli cosiddetti psicotici.
Allora sarebbe facile capire, almeno credo, come la capacità di vivere in tali famiglie richieda l’uso di strategie speciali, tortuose e
persino bizzarre.
Nei capitoli seguenti darò particolare risalto alla descrizione
dei pensieri del padre di uno schizofrenico; conoscere le sue opinioni può essere sconcertante. Mi riesce doloroso immaginare di
vivere con lui e terrificante pensare di crescere nella sua casa. Tuttavia egli godette di grande stima presso i suoi colleghi e contemporanei per almeno parecchie decine di anni, e influenzò molta
gente. Ciò dà a questa storia un’importanza che va molto al di là
dei consueti interessi della psichiatria clinica.
23
Capitolo secondo
Il padre
Il dottor Daniel Gottlieb Moritz Schreber, il padre del famoso paziente psichiatrico, era un uomo insolito. Scrisse libri di anatomia e di fisiologia umana, di igiene e di cultura fisica. Si dedicava
alla formazione del fisico mediante la ginnastica: si allenava quotidianamente e aveva fatto costruire in giardino delle parallele;
fondò un’associazione ginnica per la quale fece costruire una palestra e raccomandò con successo alle associazioni studentesche di
incoraggiare i propri iscritti a parteciparvi (vedi Ritter, 1963, pp. 10
e 18). Aggiunse principi morali ai suoi precetti per la salute
fisica, fondendoli in un sistema pedagogico globale per genitori e
insegnanti. Diceva di applicare questi metodi ai suoi stessi figli.
Riteneva che, se i lettori dei suoi libri avessero applicato i suoi
principi alla loro vita quotidiana e a quella dei loro figli, ne sarebbe derivata una razza umana più forte. Dedicò la sua Kallipädie
(1858), da cui trarrò più avanti delle citazioni, “alla salvezza delle
generazioni future.” Il titolo completo del libro è Educazione alla
bellezza mediante una promozione naturale ed equilibrata del normale sviluppo del corpo, di una salute che sia di sostegno alla vita
e di una nobile elevazione mentale, soprattutto con l’uso, se possibile, di speciali mezzi educativi: per genitori, educatori e insegnanti.
Intorno al 1840 il giovane dottore decise di costruire un sanatorio per bambini, ma, nonostante grandi sforzi, non riuscí ad ottenere il permesso dalle autorità (Ritter, op. cit., p. 18). All’età di
trentasei anni divenne direttore medico di un istituto ortopedico di
Lipsia, carica che mantenne fino alla morte avvenuta quando ave24
Il padre
va cinquantatré anni. Alla sua morte, il figlio Daniel Paul, l’autore
delle Denkwürdigkeiten, aveva diciannove anni.
Freud, scrivendo nel 1911, anno della morte del figlio e cinquant’anni dopo la morte del padre, disse di quest’ultimo:
[Egli] non era stato uomo insignificante... il [suo] ricordo, grazie alle
innumerevoli Associazioni Schreber fiorenti soprattutto in Sassonia, è vivo
ancor oggi... I [suoi] sforzi diretti ad uno sviluppo armonico della gioventú,
alla collaborazione dell’educazione familiare con quella scolastica, all’elevazione del livello sanitario dei giovani attraverso la cultura fisica ed il lavoro
manuale, hanno esercitato un’azione duratura sui suoi contemporanei. Della
sua fama quale fondatore in Germania della ginnastica terapeutica testimoniano ancora le numerose edizioni della sua Artzliche Zimmergymnastik
[Ginnastica medica da camera] assai diffuse nei nostri ambienti (Freud,
1911, pp. 394-95).
Le Associazioni Schreber menzionate da Freud sono associazioni per l’esercizio della ginnastica, del giardinaggio e delle attività all’aria aperta; Niederland (1960) dice che nel 1958 contavano più di due milioni di iscritti in Germania. Il dottor Schreber
inoltre diede vita ai Giardini Schreber, piccoli appezzamenti di
terreno alla periferia della città, che gli abitanti possiedono e coltivano durante il week-end; essi sono ancora molto diffusi in Germania e in parte della Svizzera.
Forse il dottor Schreber presentava una faccia al mondo ed
un’altra a coloro con cui viveva. Franz Baumeyer (1956), psicoanalista tedesco, durante il suo incarico in un ospedale vicino a
Dresda dal 1946 al 1949, trovò questa annotazione fra gli appunti
clinici relativi ai ricoveri del figlio: “Suo padre (fondatore dei Giardini Schreber di Lipsia) soffriva di idee ossessive con impulsi omicidi.” Baumeyer pensa che la fonte di questa notizia sia stata un
membro della famiglia Schreber o una persona vicina alla famiglia (Niederland, 1960); il padre era morto trent’anni prima che
quell’annotazione venisse scritta.
Il dottor Schreber aveva due figli. Daniel Gustav, il maggiore,
di tre anni più vecchio del fratello Daniel Paul, si suicidò sparandosi all’età di trentotto anni (Niederland, 1963). La sorella minore
di Daniel Gustav disse che egli aveva avuto una “psicosi progressiva” e che un medico aveva pensato di chiuderlo in un manicomio
25
La famiglia che uccide
(Baumeyer, 1956); una necrologia su un giornale riportava che
era affetto da melanconia (Niederland, 1963). Il nipote di Daniel
Gustav, figlio della sorella maggiore Anna, disse a Baumeyer
(1956) che Daniel Gustav aveva “cominciato a studiare legge e
aveva finito con lo studiare chimica,” ciò che appare in contrasto
con la necrologia, citata da Niederland, secondo cui Daniel Gustav
era un giudice.
Poco si sa della moglie del dottor Schreber, dei loro altri figli
(tre ragazze) o della loro vita familiare. Una delle figlie è etichettata come isterica nelle note dell’ospedale trovate da Baumeyer.
Lo stesso nipote disse a Baumeyer che Sidonie, la sorella immediatamente più giovane di Daniel Paul, rimase nubile e alla fine non
aveva “più la mente molto a posto”; non sappiamo se Sidonie fosse
la sorella “isterica.”
Anna, in una lettera scritta nel 1909, due anni dopo la morte
della madre, ne descrive il ruolo:
Nostro padre discuteva sempre con la mamma ogni cosa; ella prese
parte a tutte le sue idee, decisioni e progetti, lesse con lui le bozze dei suoi
scritti e fu sempre la sua fedele compagna, vicina in ogni momento (Niederland, 1963, p. 203).
Possiamo dedurre dagli scritti del dottor Schreber che tipo di
ruolo avesse la moglie:
Quando l’uomo può sostenere le sue opinioni adducendo una verità
dimostrabile, nessuna moglie di buon senso o di buona volontà vorrà opporsi
alle sue parole decisive (D.G.M. Schreber, 1858, p. 32 n.).
Se si vuole un’educazione pianificata che si basi su principi che le
permettano di svilupparsi, il padre sopra chiunque altro deve tenere nelle
sue mani le redini dell’educazione... La principale responsabilità del risultato complessivo dell’educazione è sempre del padre... (ibid., p. 32).
Secondo il dottor Schreber, c’era un solo essere supremo: Dio,
di sesso maschile. Consigliava di insegnare ai bambini che Dio è
“l’amoroso Padre del mondo” (p. 155).
Cito un’ulteriore relazione di Niederland (1963) sulla lettera di
Anna:
In essa Anna descrive dettagliatamente come ogni cosa in casa Schreber
fosse gottwärts gerichtet (orientata verso Dio), come Dio fosse presente nel
26
Il padre
loro mondo infantile in ogni momento, non solo nelle preghiere quotidiane,
ma in ogni sensazione, pensiero o azione. Conclude la lettera con queste
parole: “Tutto ciò ebbe termine con l’improvvisa morte del nostro amato
padre...” (p. 205).
Secondo la sua opinione e secondo la sua opinione delle opinioni degli altri membri della famiglia, la presenza di Dio in casa
dipendeva dalla presenza del padre.
Data l’idea del dottor Schreber sulla parte che i padri hanno
e devono avere in famiglia, è probabile che egli si arrogasse nella sua
famiglia un potere simile a quello divino. I membri della famiglia,
che collegavano la sua presenza con quella di Dio, probabilmente
rappresentavano il sistema di potere della famiglia in termini cosmici. E il padre, che era visto da loro come Dio e che recitava
il ruolo di Dio, insegnava loro con la sua “divina” autorità che Dio
è Padre.
Il dottor Schreber spingeva i genitori a stimolare, incoraggiare
ed obbligare i bambini ad essere devoti a Dio.
È opportuno che questi giovani imparino a rendersi conto fin dall’inizio
che ogni essere umano è necessariamente costretto ad accettare che ogni cosa
trascendente il regno del suo potere dipenda dalla benevolenza di una Mano
Superiore (1858, p. 244).
Se il padre di un bambino è il suo Dio ed egli impara che
ogni cosa trascendente il proprio potere dipende da quello di Dio,
allora il potere del padre su di lui aumenta ancora di più.
Propongo (come fece Freud) che l’autore delle Denkwürdigkeiten trasformi il padre della sua infanzia nel Dio della sua “malattia di nervi.” Attraverso questo libro mostro dei legami fra il
probabile comportamento del padre verso il figlio e la strana relazione di quest’ultimo con Dio.
Il dottor Schreber riteneva che i genitori dovessero limitare la
libertà dei bambini mediante una dura disciplina, per il bene della
loro salute morale, mentale e fisica. Pare che credesse che i bambini fossero dei criminali o dei malati fin dalla nascita, o che senz’altro lo sarebbero divenuti a meno che non si fossero salvati in tempo. Per esempio, egli propone (1860) di “obbligare” gli insegnanti
con un “regolamento scolastico” ad invitare i genitori a tenere
27
La famiglia che uccide
a scuola regolari riunioni, e fra gli altri adduce questo motivo:
Questo accordo darebbe ai cittadini la possibilità di ascoltare entrambe
le parti e non solo i lamenti e le menzogne degli allievi. I moventi che
sempre più spingono i bambini a desiderare di ingannare l’insegnante, o
i genitori o entrambi sarebbero stroncati sul nascere. Gli allievi, la cui
coscienza sarebbe sotto un controllo uniforme, stretto e duplice, ne sarebbero elevati moralmente... (p. 41).
Gli allievi non dovevano essere invitati.
Il suo modello della mente umana è semplice. I pensieri, i
sentimenti e le azioni o sono buoni, nobili, elevati, giusti e raffinati, o sono cattivi, ignobili, bassi, errati e volgari. Quelli che non
sono né una cosa né l’altra sono “indifferenti.”
Ritiene di sapere cosa è buono, nobile, elevato, giusto e raffinato e cosa non lo è, ma non dice come lo sappia. Le componenti cattive della mente sono “erbacce” da “sradicare” e “sterminare.”
I nobili semi della natura umana germogliano verso l’alto nella loro
purezza per lo più spontaneamente, se quelli ignobili, le erbacce, sono individuati e distrutti in tempo. Ciò va fatto spietatamente e crudelmente. È un
errore pericoloso credere che le macchie nel carattere di un bambino scompariranno da sole. Alcuni particolari possono scomparire, ma la radice rimane,
si mostra negli impulsi corrotti e ha un effetto nocivo sul nobile albero della
vita. Il cattivo contegno di un bambino diverrà nell’adulto una grave mancanza di carattere e apre la via al vizio e alla bassezza (1858, p. 140).
Riteneva che l’umanità fosse assediata da molti nemici, cioè
dalla debolezza, dalla sensualità, dall’indolenza, dalla languidezza
e dalla codardia. Riteneva che fosse
particolarmente importante e cruciale per la totalità della vita e in particolare per il carattere... formare un muro di protezione contro il malsano
predominio del lato emotivo e contro la debolezza della sensibilità — la
malattia della nostra epoca — che bisogna riconoscere come il comune motivo
della frequenza in continuo aumento della depressione, della malattia mentale e del suicidio (ibid., p. 281).
Ironicamente, depressione e malattia mentale afflissero i suoi
due figli, portandone uno al suicidio.
Parlando di “vera nobiltà d’animo,” proclama:
28
Il padre
Una giovane immaginazione è risvegliata nel modo migliore o, se già
infiammata, viene nutrita e orientata mediante esempi in cui si rispecchiano
purezza morale, abnegazione, umiltà davanti a Dio e rispetto per gli uomini,
buon cuore, eroico spirito virile o nobile femminilità, pensieri elevati, assoluto coraggio, maturità intellettuale, inflessibile fermezza di carattere nel
vortice delle tentazioni, coraggiosa determinazione, vigorosa energia, costante
ma misurata perseveranza nella lotta per scopi alti e nobili, fermezza nel
pericolo e nella sofferenza — in breve, tutti gli aspetti della vera nobiltà
d’animo (p. 291).
Ritiene fondamentale cominciare presto questi esercizi. Con i
neonati dai cinque ai sei mesi i genitori devono seguire la “legge
dell’abitudine,” “la legge più generale per l’educazione mentale
del gruppo di questa età”:
Sopprimete tutto nel bambino, tenete lontano da lui tutto ciò che non
dovrebbe fare da solo e guidatelo con perseveranza in tutto ciò a cui egli
dovrebbe abituarsi.
Se abituiamo il bambino al Buono e al Giusto lo prepariamo a compiere
poi il Buono e i Giusto con coscienza e al di fuori della libera volontà...
L’abitudine è solo una necessaria precondizione per rendere possibile e facilitare il giusto fine della autodeterminazione della libera volontà... Se si
lascia che le abitudini sbagliate prendano radice, il bambino viene facilmente
posto in pericolo; anche se poi riconoscerà il Meglio non avrà più il potere
di sopprimere l’abitudine sbagliata... (p. 60).
Un punto dato a tempo ne risparmia cento. Se si fa il proprio
lavoro presto e bene, non se ne ha più da fare, o quasi, dopo.
Si potrà lasciare che i bambini seguano “liberamente” ciò che è
stato loro insegnato.
Si paragoni questo brano a ciò che disse suo figlio anni più
tardi:
L’opinione fondamentale che mi sono fatto intorno alla relazione fra
Dio e la Sua creazione è questa: Dio esercitò il Suo potere miracoloso sulla
nostra terra... solo fino a quando lo scopo definitivo della Sua creazione fu
raggiunto con la creazione dell’essere umano. Da allora in poi Egli lasciò
a se stesso, così com’era, il mondo organico che aveva creato e interferí
direttamente mediante i miracoli solo molto raramente, se non addirittura
mai, in casi del tutto eccezionali (Denkwürdigkeiten, pp. 251-52 ).
Il dottor Schreber definisce per i genitori cosa siano “il Buono
e il Giusto” per un bambino. “Abituare” un bambino significa
29
La famiglia che uccide
programmarlo a obbedire alle teorie del dottor Schreber. In questo sistema i genitori determinano doppiamente la personalità
del bambino, imponendogli la regola dell’obbedienza e creando
delle situazioni in cui egli debba metterla in pratica.
Autodeterminazione significa che ognuno di noi, non qualcun
altro, determina il proprio io. Il dottor Schreber vuole indicare
con questo termine (e con “fiducia in se stesso” e “libera volontà”) quello stato in cui uno non ha più bisogno dei genitori per
determinare il proprio io, poiché essi già l’hanno fatto. La sua psicologia è degna di nota: i genitori, per fare in modo che un bambino
si autodetermini, devono prima sottomettere l’“auto-volontà” del
bambino. Non ha nessuna fiducia che un bambino possa imparare
quando e come regolare il proprio comportamento senza esservi
costretto.
Non c’è da stupirsi se il figlio raggiunse esattamente l’opposto
di ciò che si definisce abitualmente come autodeterminazione. Il
dottor Weber, che era sovraintendente dell’istituto in cui Schreber
fu chiuso alcuni anni dopo, scrisse in un rapporto che Schreber
non “possedeva un’indenne autodeterminazione o una notevole
capacità di ragionamento; piuttosto il paziente era completamente
sotto il potere di opprimenti influenze patologiche” (Appendice
alle Denkwürdigkeiten, p. 395).
Il dottor Schreber parla qui dei bambini di età inferiore all’anno:
Il nostro comportamento complessivo nei confronti della volontà del
bambino di questa età consisterà nell’abituarla all’obbedienza assoluta, alla
quale era già stata in gran parte preparata dall’applicazione dei principi
esposti in precedenza... Il pensiero che la sua volontà possa essere sotto
controllo non dovrebbe mai nemmeno passare per la mente del bambino,
ma piuttosto l’abitudine di subordinare la propria volontà a quella dei suoi
genitori o insegnanti dovrebbe essere immutabilmente radicata in lui... Si
crea allora, insieme alla consapevolezza dell’esistenza della legge, la consapevolezza dell’impossibilità di combattere contro di essa; l’obbedienza del
bambino, condizione basilare per ogni ulteriore educazione, è così solidamente costruita per il futuro (1858, p. 66).
I genitori devono avere già stabilito la regola che un neonato
a cinque o sei mesi deve obbedire loro. Ora, finché egli non ha
ancora un anno, devono stabilire la regola che egli non deve mai
30
Il padre
pensare di disobbedire o ritenere possibile farlo. “Educare” un
bambino significa per il dottor Schreber, come vedremo, imporre
una regola su ogni particolare della sua vita. Maggiori sono il
controllo e l’obbedienza, maggiore è “il potere morale della volontà.”
Il potere morale della volontà è la spada della vittoria nell’imminente
battaglia per la vita. Non abbiate paura di queste parole, amorosi genitori.
Il vero scopo elevato della vita umana può essere raggiunto solo attraverso
una nobile battaglia... Non possiamo e non dovremmo risparmiare loro [ai
bambini] questa battaglia che è alla base della vita; senza di essa non ci
può essere trionfo e senza di questo non ci può essere nella vita vera felicità. Ma possiamo e dovremmo equipaggiarli il meglio possibile, con le armi
mediante cui condurre la battaglia con dignità, per raggiungere l’alto successo della vittoria, e questa arma con cui potranno entrare nella vita
con spirito gioioso è appunto il potere morale della volontà (ibid., p. 134).
Il dottor Schreber è in lotta contro parti di se stesso e dei
bambini. Il nemico è all’interno. I genitori, dice, devono allearsi
con i bambini e fornir loro un’arma per la “battaglia.” Per lui
“vittoria” significa la soppressione di possibili esperienze e comportamenti che egli considera pericolosi. Ma in una battaglia che
pone una persona contro se stessa, questa non può vincere senza
anche perdere.
Poi scrive:
Ora non bisogna più cercare le vie e i mezzi per sviluppare e consolidare il potere morale della volontà e il carattere... La condizione necessaria
più generale per il raggiungimento di questo scopo è la incondizionata
obbedienza del bambino (p. 135, corsivo nell’originale).
Il bambino raggiunge questo scopo con l’aiuto presente e
passato dei genitori.
Se il bambino è stato condotto attraverso il primo stadio di sviluppo
[prima che raggiunga l’anno di età] lungo il sentiero che porta ad abituarsi
ad un’obbedienza inconscia, allora adesso [dopo il primo anno] è opportuno
e necessario, per il raggiungimento del nobile scopo dell’educazione, che
questa abitudine sia gradualmente elevata in un atto di libera volontà, cioè
che l’obbedienza sia consapevole. Il fanciullo dovrebbe essere abituato... a
una nobile indipendenza e a un’assoluta forza di volontà. Questo passaggio
è molto facilitato se il bambino vi è stato precedentemente abituato (p. 135).
31
La famiglia che uccide
Il bambino è “abituato” a una “nobile indipendenza,” stato
che le precedenti abitudini all’obbedienza rendono più facile da raggiungere. Il dottor Schreber usa un trucco (probabilmente involontariamente): chiama lo stato di assenza di libertà che il bambino
raggiunge “nobile indipendenza.” Le opinioni del dottor Schreber
sull’argomento sono sempre più contorte:
Il bambino deve gradualmente imparare a riconoscere sempre di più
che egli ha la possibilità fisica di desiderare e agire diversamente, ma che
egli si eleva attraverso la sua stessa indipendenza all’impossibilità morale di
desiderare o di agire diversamente. Si può arrivare a questo in parte con
una breve esposizione delle ragioni, dei precetti e delle proibizioni, finché
ciò è utile e possibile (poiché il bambino deve anche, senz’altro, sottomettersi e obbedire incondizionatamente, nel caso in cui una spiegazione dei
motivi debba essergli nascosta); in parte anche con riferimenti esplicativi
alla libera volontà presente nel bambino: “Potresti agire in modo diverso,
ma un buon bambino non vuole agire in modo diverso...” (p. 135).
Il bambino, ora, diversamente da prima, “fisicamente” libero
di desiderare di disobbedire, e di disobbedire ai genitori, deve imparare l’“impossibilita morale” di queste libertà; cioè diventa libero in potenza ma non in pratica. Il bambino deve pensare che
“si eleva attraverso la sua stessa indipendenza” per raggiungere
questo stato, mentre in realtà è il genitore che ve lo porta. L’affermazione del genitore in questo passo può essere scomposta nelle
sue segrete premesse elementari: “Potresti agire diversamente,
ma ti dico chi sei e dico che sei un bambino che (a) desidera essere buono, (b) è d’accordo con la mia definizione di buono, (c)
non vede come questa definizione sia soltanto mia e (d) non sospetta nessuna premessa segreta in ciò che dico.” Lo scopo è che
il bambino faccia quello che il genitore vuole, pensando di fare
ciò egli egli stesso vuole. La libertà è libera di non essere libera
e di vedere la sua assenza di libertà come libertà; questo è tutto.
Non è libera di vedere come, perché o che è ingannata. Per il
dottor Schreber non c’è nessun inganno finché l’indipendenza è
obbedienza. Quando l’indipendenza è disobbedienza deve essere
schiacciata.1
1
In questi brani il dottor Schreber sostiene delle opinioni compatibili con molte
concezioni del XIX secolo. Molte persone allora ritenevano, e alcune ancora ritengono, che
32
Il padre
Nella vita di quasi tutti i bambini tuttavia, anche dei meglio educati,
ci sono talvolta delle sorprendenti manifestazioni di sfida o di ribellione,
benché, se la disciplina è stata buona, queste dovrebbero capitare solo
raramente — traccia di quella barbarie innata che fa deviare lo sviluppo
della fiducia in se stessi. Questo accade per lo più verso la fine dei secondo
anno di età. Il bambino improvvisamente, e spesso in modo del tutto sorprendente, rifiuta ciò che fino ad ora aveva dato molto volentieri: la sua
obbedienza. Questo fatto può avere diverse cause — la cosa più importante
è che la disobbedienza dovrebbe essere schiacciata fino al raggiungimento
di una completa sottomissione, mediante l’uso di punizioni corporali se
necessario (pp. 136-137).
Egli presuppone che la “fiducia in se stessi” dipenda dal fatto
di non sfidare la disciplina o di non ribellarsi contro di essa; la
fiducia in se stessi dipende dal fatto di non esprimere sfiducia
nel confronto dei genitori. Qui tradisce il suo precedente gioco con
la parola “libertà.” Infatti è dominato da un desiderio di opprimere i bambini o dalla paura di non opprimerli, ma non se ne rende
mai conto.
Un bambino educato con questo sistema, come mostro in tutto
il libro, è sottoposto all’autorità dei genitori, soprattutto a quella
del padre, tutto il giorno, ogni giorno, almeno fino a venti anni.
La guida del dottor Schreber (1858) per un controllo globale
dei bambini riguarda esplicitamente i bambini dalla nascita fino
a vent’anni.
Tutta la pazzia di Schreber è un’immagine della guerra combattuta dal padre contro la sua indipendenza. Egli non è mai libero
dalla coercizione di quelli che egli crede siano dei poteri spirituali
esterni, tuttavia non collega mai la coercizione col padre. Non ne è
capace, probabilmente perché il padre mascherava (forse inconsciamente) l’origine del controllo, definendo lo stato in cui uno è
controllato dai genitori come autocontrollo.
quando la “passione” ci spinge ad agire le nostre azioni non sono libere, dal momento
che è la passione a causarle. Secondo questa concezione dobbiamo e possiamo resistere
alla “passione” con la nostra “volontà”: soltanto la “ragione” o la “coscienza” ci guidano alla vera verità e raggiungiamo la “vera” libertà, distinta dal capriccio o dalla
“falsa” libertà, obbedendo alle leggi morali. Gli hegeliani sono andati oltre e hanno
identificato la legge morale con la legge dello Stato, cosicché “vera” libertà significava
obbedire alla polizia. Bertrand Russell (1961) rileva come questa filosofia o psicologia
fosse basata sulla falsa premessa che la passione è una causa, mentre il desiderio di
essere virtuoso, per qualunque motivo, non lo è (p. 126).
33
La famiglia che uccide
I genitori e gli insegnanti, come gli elaboratori di programmi
per computer, introducono nei loro sistemi (i bambini) certe informazioni in modo più profondo e irreversibile di altre: nel linguaggio tecnico dei calcolatori elettronici essi introducono dei hardprogram.2 Ciò che è programmato mediante hard-program non può
essere cambiato facilmente, per farlo occorrerebbe una drastica
riorganizzazione del sistema. I programmatori (come i genitori o gli
insegnanti) tendono a realizzare hard-program per gli elementi
che non prevedono che dovranno mai essere cambiati e fanno
soft-program per le componenti del programma (o dell’educazione)
che credono debbano essere cambiate in futuro. Nella loro scelta di
cosa programmare mediante hard-program o mediante soft-program
sono guidati da quelle che essi credono saranno le future applicazioni del programma. Generalmente essi cercano di usare hard-program per le istruzioni di tipo più astratto, più generale (ad esempio “Rispetta i genitori” o “Ama Dio”) e soft-program, viceversa,
per gli elementi più specifici, riguardanti particolari contenuti
(“Non mangiare con le mani,” “Pulisciti le scarpe”). Essi stabiliscono hard-program per molte premesse riguardanti le relazioni.
È stata una delle maggiori scoperte della psicoanalisi che modelli di relazione con gli altri programmati per primi nella vita dell’individuo sono i più sottoposti a hard-program. La gente tende a
ripetere “coattivamente” per tutta la vita le forme di relazione
prefigurate nell’infanzia. Il fenomeno del transfert, per cui ognuno
vive il proprio terapeuta e si comporta con lui secondo un modello
risalente alle prime relazioni con persone significative, ne è un
tipico esempio. Wilhelm Reich sembra riferirsi col termine “armatura” alla rivelazione mediante il corpo e nel corpo di hardprogram riguardanti le relazioni sessuali.
Quando il dottor Schreber insiste sulla necessità di soffocare i
bambini di età inferiore all’anno, egli realizza coscientemente e deliberatamente degli hard-program per farli obbedire come degli automi ai genitori per tutto il tempo che sono in contatto con loro.
Suo scopo: l’“obbedienza incondizionata” ai genitori, quale principio astratto generale da applicarsi in ogni contesto di qualsiasi
2
Hard-program e soft-program sono talvolta resi in italiano con “programma duro”
e “programma morbido.” [N.d.T.]
34
Il padre
famiglia. Egli ritiene che un bambino abituato ad obbedire incondizionatamente ai genitori sia “nobilmente indipendente” e probabilmente avrebbe indotto un bambino a crederlo. Mentre insegna a un bambino di fare ciò che vogliono i genitori, gli insegna
invece a ritenere di fare ciò che lui, il bambino, desidera, e
gli rende difficile capire che invece fa ciò che vogliono i genitori,
che potrebbe essere ciò che il bambino non vorrebbe, se fosse in
grado di pensare chiaramente. Il dottor Schreber non sembra consapevole di mascherare la sottomissione sotto forma di libertà;
pare anzi che egli consideri la sottomissione come libertà.
Il sistema del dottor Schreber implica una contraddizione, di
cui egli non sembra rendersi conto, fra lo spazio in cui un bambino è abituato a cercare i propri programmi e quello in cui è abituato a pensare di cercarli. Insegna a un bambino ad aspettare
che sia un’autorità esterna a programmarlo (“l’abitudine a subordinare la sua volontà a quella dei suoi genitori o insegnanti” deve
essere “immutabilmente inculcata in lui”), ma gli insegna anche
ad avere “fiducia in se stesso” e a considerarsi “autodeterminantesi,” cioè origine della propria programmazione.
Poiché Schreber figlio si sarebbe confrontato con questa contraddizione fin da bambino, non avrebbe potuto farvi fronte sfuggendo alla situazione.
Alcune esperienze vissute dal figlio durante la sua “malattia di nervi” possono essere considerate come un abile tentativo
di destreggiarsi in questa contraddizione. Questo modo di considerare le sue esperienze è radicalmente diverso da quello che le ritiene come segni e sintomi di una malattia, secondo la classica interpretazione del concetto di malattia.3
Attraverso i raggi, il Dio del figlio guarda, dirige o condanna
ogni sua azione, tutto il giorno, ogni giorno, più di quanto, pare,
3
I1 concetto di malattia è in evoluzione. Anche malattie classiche, quali la tubercolosi e gli attacchi cardiaci, sono attualmente considerate come il risultato finale di una
lunga e complessa serie di eventi, appartenenti in parte al dominio della psicologia e
della sociologia.
È veramente malato colui che tratta il comportamento disturbante degli altri in modo
tale da farsi etichettare come malato di mente? Questo argomento è ricco di implicazioni
di notevole importanza dal punto di vista pratico, riguardanti l’esistenza degli psichiatri,
dei pazienti psichiatrici e magari di tutti noi. Gran parte della discussione teorica riguarda
l’ampiezza o il limite della definizione di “malattia.”
35
La famiglia che uccide
abbia fatto il padre. Il figlio sente che Dio e i raggi sono contemporaneamente all’esterno e all’interno di lui. Li vede: con l’“occhio
corporeo quando tengo gli occhi aperti” e con 1’“occhio della mente
quando i miei occhi sono chiusi per miracolo o quando li chiudo
volontariamente” (Denkwürdigkeiten, p. 313). In questo modo
egli si sente sottoposto a un’autorità esterna, come infatti gli fu
insegnato a essere, e “autodeterminantesi,” come gli fu insegnato
a considerarsi. Il programmatore esterno della sua infanzia è ora
collocato di nuovo fuori del figlio come Dio ed il figlio è anche
“autodeterminantesi” in un senso speciale: “Percepisco sensazioni
luminose e sonore che sono proiettate dai raggi direttamente sul
mio sistema nervoso interno” (ibid., p. 123 n.).
36
Capitolo terzo
I metodi del padre
Dio in persona stava dalla mia parte nella Sua
lotta contro di me.
DANIEL PAUL SCHREBER, Denkwürdigkeiten, p. 61n.
Alcuni di voi avranno cominciato a capire che il dottor Schreber
gettava le basi di un sistema di persecuzione infantile, non di educazione infantile. Come molti suoi contemporanei, egli riteneva che
il suo sistema fosse in funzione della salvezza del genere umano.
Avrebbe quindi respinto la vostra opinione come priva di valore. Avrebbe potuto ritenerla una prova della vostra “debole
sensibilità,” causata dalla trascuratezza dei vostri genitori nello
sradicare le “erbacce” della vostra natura mentre eravate bambini.
Qui egli dà dei particolari sui suoi metodi:
Bisogna fare attenzione all’umore dei bambini piccoli, che è rivelato
dai loro strilli senza ragione e dai loro pianti... Se si è convinti che non ci
sono bisogni reali, condizioni disturbanti o dolorose, o malattie, si può star
certi che gli strilli sono solo e semplicemente l’espressione di uno stato
d’animo, di un capriccio, la prima apparizione della volontà individuale...
Bisogna procedere con decisione: mediante rapida distrazione dell’attenzione,
parole severe, gesti minacciosi, colpi contro il letto... o quando tutto ciò non
è più possibile — mediante moderati, intermittenti avvertimenti corporali
ripetuti uniformemente fintanto che il bambino non si acquieti o si addormenti... Un tale sistema è necessario solo una o al massimo due volte, dopodiché si è padroni del bambino per sempre. Da quel momento, uno sguardo,
una parola, un solo gesto di minaccia, sono sufficienti a dominare il bambino. Ci si dovrebbe ricordare che così si fa al bambino il massimo favore
in quanto gli si evitano molte ore di tensione che gli impediscono di svilupparsi bene e inoltre lo si libera da tutti quei tormentosi spiriti interni che
37
La famiglia che uccide
molto facilmente col passare del tempo possono trasformarsi decisamente in
più seri e insormontabili nemici della vita (1858, pp. 60-61).
Il dottor Schreber presuppone che lo scopo di un genitore sia
di dominare il figlio. Il figlio deve essere dominato per essere
salvato dall’opinione del dottor Schreber riguardante il sé del bambino. Il dottor Schreber vede “tensioni” e “tormentosi spiriti interni” in un bambino che piange, ed è lui a pensare che questi siano i precursori di “insormontabili nemici della vita.” È così che
giustifica il “salvataggio” del bambino. È lui a giudicare il pianto del bambino come un “pianto senza ragione” perché non
vede in esso una ragione. Il bambino potrebbe piangere perché
si annoia e vuole qualcuno con cui giocare. È lui a considerare
un “capriccio,” in un bambino di cinque o sei mesi, come un
cattivo segno. Non riesce a capire che il desiderio di un bambino
di ottenere una risposta ai suoi capricci potrebbe corrispondere
a un bisogno reale.
Un’interpretazione psicoanalitica sarebbe che il dottor Schreber proietta “tormentosi spiriti interni” dal proprio intimo nel
figlio, ovvero crede di voler dominare il figlio, ma in effetti vuole
dominare le parti “cattive” di se stesso. Molti psicoanalisti hanno insistito sui motivi del soggetto che opera delle proiezioni:
pochi hanno preso in considerazione l’esperienza del soggetto
su cui qualcun altro proietta delle parti di sé, che tenta di dominare “dentro” l’altro soggetto, per ciò che crede sia la salvezza dell’altro. Ecco l’esperienza del figlio:
Dio in Persona era dalla mia parte nella Sua lotta contro di me, cioè io
potevo portare nella battaglia i Suoi attributi e poteri come un’arma
efficace per la mia auto-difesa (Denkwürdigkeiten, p. 61 n.).
Il dottor Schreber parla dappertutto di genitori che cambiano i bambini, non di genitori che imparano dai bambini. Le conseguenze seguono una strada a senso unico. Il bambino educato
secondo il sistema del dottor Schreber troverebbe per lo più impossibile effettuare un cambiamento nel sistema che gli viene
applicato. Il figlio del dottor Schreber, per mutare la situazione,
avrebbe dovuti capire che il padre era assalito da “tensioni,” “tormentosi spiriti interni” e “insormontabili nemici,” perché lo
38
I metodi del padre
fosse, e come aiutarlo a rendersene conto: compito non facile per
un bambino.
Il figlio scrive:
È una questione estremamente difficile anche per me spiegare questa
incapacità da parte di Dio di imparare dall’esperienza (ibid., p. 186).
e
Molto tempo fa formulai l’ipotesi che Dio non può imparare dall’esperienza nei seguenti termini: “Ogni tentativo di esercitare un’influenza educativa deve essere sospeso perché senza speranza”; da quel tempo, ogni
giorno che è passato mi ha confermato la correttezza di questa opinione
(pp. 187-88).
La mente del dottor Schreber è impegnata nella salvezza
dei bambini da ciò che egli vede come pericoli fisici, mentali
e morali. Non sembra preoccuparsi di molte altre cose. Allo stesso modo Dio, durante la “malattia di nervi” del figlio, non sembra
avere altra vita che la Sua relazione con lui. Dio, dice il figlio,
“Si è legato a un solo essere umano...” (p. 359). Il dottor Schreber
non può essere libero di combattere a favore dei bambini. Anzi,
poiché ciò che egli combatte è dentro di lui, come potrebbe essere libero? Il dottor Schreber dice:
Se il bambino viene sollevato dal letto e portato in giro ogni volta che
fa rumore — senza che si sia controllato se c’è davvero qualcosa che non
va — e viene calmato da una qualche moina, spesso possono sopravvenire
manifestazioni emotive di rancore nella vita futura del bambino. Vorrei che
le madri e le bambinaie riconoscessero l’importanza di questo punto!
(1858, p. 61).
Impiega il termine “rancore” per un bambino che rifiuti una
posizione assegnatagli dal genitore. Secondo la sua opinione, il
bambino che mostra rancore è cattivo: il bambino che un genitore
può comandare con “uno sguardo,” “una parola,” “un solo
gesto di minaccia” è buono. Dal momento che non dà alcuna prova
che sollevare un bambino e portarlo in giro quando fa rumore possa portare in seguito a “rancore” — né ne esiste alcuna, per quanto ne sappia —, ritengo che ciò che egli teme sia
la sua fantasia.
39
La famiglia che uccide
Un’altra regola importante: persino i desideri legittimi dei bambini
dovrebbero essere esauditi solo se espressi in una forma amichevole, innocua,
o perlomeno tranquilla, mai se espressi con grida e movimenti incomposti...
persino se causa ne è il bisogno del bambino di essere regolarmente nutrito...
Bisogna tener lontana dal bambino persino la più pallida impressione che
potrebbe, gridando o comportandosi in modo indisciplinato, ottenere qualcosa dal suo ambiente... Il bambino impara ben presto che solo mediante...
l’autocontrollo ottiene ciò che vuole (ibid., p. 62).
Forse che un bambino di cinque o sei mesi è libero di scegliere di esprimere “con calma” i suoi desideri, come sembra ritenere il dottor Schreber? Un bambino di questa età è talvolta
fisiologicamente incapace di specificare alcuni bisogni, specie la
fame, senza gridare o agitare braccia e gambe; una richiesta di
“autocontrollo” lo frustrerebbe e confonderebbe. Se le sue richieste non sono esaudite, può smettere di provare. Il dottor
Schreber dice che “il personale di servizio ha raramente sufficiente comprensione” per condividere queste idee e metterle in pratica. Forse capivano più di lui.
Secondo quest’ultima abitudine il bambino ha già un notevole vantaggio nell’arte dell’attesa ed è preparato per... una ancor più importante,
l’arte dell’abnegazione... Ogni desiderio proibito — che sia o no a svantaggio
del bambino — deve venire fermamente e immancabilmente ostacolato da
un rifiuto incondizionato. Tuttavia il rifiuto di un desiderio non è di per
sé sufficiente; bisogna dare importanza a che il bambino accolga questo
rifiuto con calma e, se necessario, bisogna trasformare questa calma accettazione in ferma abitudine usando una severa parola di minaccia, ecc. Non
devono esserci eccezioni!... Questo è l’unico modo per facilitare nel bambino
il conseguimento della salutare e indispensabile abitudine alla subordinazione e al controllo della volontà... (p. 63).
Perché è “salutare” e “indispensabile” che un bambino impari come subordinare la propria volontà e accetti con calma il
rifiuto all’esaudimento dei propri desideri? Il dottor Schreber non
lo dice. Forse questo è il modo in cui suo padre gli insegnò l’“abnegazione” quando egli era un bambino. O sua madre, o una
bambinaia?
Ecco un esempio che il dottor Schreber prende dalla sua famiglia. Sta discutendo “il comportamento disciplinare verso i
bambini in caso di malattia.” Dal momento che sta parlando di un
40
I metodi del padre
maschietto, potrebbe riferirsi all’autore delle Denkwürdigkeiten:
Uno dei miei figli si era ammalato quando aveva un anno e mezzo e
l’unico trattamento, benché rischioso, che desse una qualche speranza di
salvargli la vita era attuabile solo attraverso la più assoluta sottomissione
del giovane paziente. Ebbe successo, perché il bambino era stato abituato
fin dall’inizio alla più assoluta obbedienza verso di me, altrimenti la vita
del bambino sarebbe stata con ogni probabilità al di là di ogni speranza
di venire salvata (p. 67).
Sarebbe interessante sapere in che modo l’assoluta obbedienza del bambino verso il padre rese possibile l’unico trattamento
in grado di salvargli la vita, e di che trattamento si trattasse. È
probabile che non riusciremo mai a scoprirlo.
La richiesta di un genitore non deve necessariamente avere
un fondamento logico, pensa il dottor Schreber, come dimostra
nel seguente esempio. Il potere dà qualsiasi diritto.
Se si chiede a un bambino di tenere qualcosa in una delle due mani,
e il bambino usa quell’altra, l’educatore intelligente non sarà soddisfatto
finché l’azione non sia compiuta come richiesto e non ne sia allontanata la
causa perversa (ibid., p. 137).
La non pertinenza della richiesta del genitore non è di pertinenza del dottor Schreber. Non considera possibile che un bambino che scelga di disobbedire a un desiderio arbitrario del genitore possa sapere più del suo genitore cosa è meglio per lui.
Dal suo punto di vista, un genitore deve fare qualcosa di più
che controllare le azioni del bambino. Deve controllare i suoi
“sentimenti,” le sue “motivazioni.” L’“esterno” è di minor importanza dell’“interno.”
Dobbiamo sempre trattare il bambino esattamente come i suoi sentimenti, che si specchiano così chiaramente nel complesso del suo essere, meritano... Se i genitori si mantengono fedeli a questo principio, saranno presto
ricompensati dall’insorgere di una meravigliosa relazione in cui il bambino
è quasi sempre comandato da semplici movimenti degli occhi dei genitori
(pp. 137-8).
Sembra che il dottor Schreber voglia dire che se i genitori
fan valere il loro potere sui figli saranno “ricompensati” dalla
41
La famiglia che uccide
possibilità di esercitare un potere ancora maggiore; lo scopo è
che il bambino sia in una sorta di trance in cui viva ogni sguardo
del genitore come un comando. Perché questa relazione è meravigliosa? E per chi?
Il dottor Schreber, sebbene ritenga che il bambino debba
essere ricompensato o punito non solo per le proprie azioni, ma
per i sentimenti che ne stanno alla base, pensa che il bambino
non debba obbedire per ottenere lodi e ricompense. Ritiene che
un desiderio di lode o di ricompensa sia un sentimento “degenerato” e “impuro” e paragona certe ricompense al “veleno” (p. 139).
Né il bambino deve obbedire soltanto per timore della punizione.
E non deve obbedire desiderando segretamente di disobbedire;
questa sarebbe disonestà, un sentimento cattivo. Deve obbedire
perché sa che è giusto obbedire, indipendentemente da quanto
sia capriccioso il desiderio del suo genitore.
Per far coincidere a pennello la propria coscienza con le richieste di questo sistema, un bambino dovrebbe negare, reprimere, dissociare, proiettare, spostare, ecc., gran parte della propria
esperienza. E nel caso ci fosse riuscito, è difficile immaginare come potrebbe pensare qualcosa, in certe situazioni, senza infrangere una regola.
Il figlio nelle sue Denkwürdigkeiten dice che Dio, che egli
vive come irresistibilmente attaccato a lui, è in grado di ritirarsi
da lui solo quando egli, il figlio, smette di pensare. Forse sta ricordando la sua relazione col padre senza rendersene conto, il che
significherebbe pensare qualcosa di proibito. Il padre cercò di
soffocare tanti pensieri nei bambini che suo figlio potrebbe aver
pensato, se gli fosse stato permesso pensarlo, che suo padre lo
avrebbe lasciato in pace solo se avesse smesso di pensare.
Il figlio sente che il suo pensiero e tutto ciò che riguarda se
stesso sono sotto una sorveglianza estranea, di ciò che egli chiama
il “sistema di scrivere”:
Si tengono libri o altre annotazioni, in cui per anni sono stati riportati
tutti i miei pensieri, tutte le mie frasi, tutte le mie necessità, tutti gli articoli in mio possesso o intorno a me, tutte le persone con cui sono venuto
a contatto, ecc... Ritengo che lo scrivere sia opera di creature aventi forme
umane in lontani corpi celesti..., ma prive di ogni intelligenza; le loro mani
si muovono automaticamente, come se ciò avvenisse ad opera di raggi che
42
I metodi del padre
le attraversano per farle scrivere, così che passati i raggi possono di nuovo
vedere ciò che hanno scritto (Denkwürdigkeiten, pp. 126-27).
Il sistema di scrivere... diventò una tortura mentale di cui soffersi
duramente per anni e a cui mi sto lentamente abituando; a causa di esso
ho dovuto sopportare prove di pazienza quali mai nessun essere umano ha
sopportato... (ibid., p. 132).
Più tardi egli decide che “Dio stesso” dovesse “avere dato
inizio a questo sistema di scrivere.”
Clinicamente il “sistema di scrivere” è un delirio paranoico.
Si noti come diventa comprensibile alla luce di questo passaggio di Schreber padre:
Nelle famiglie... un mezzo di educazione molto efficace è una lavagna
delle punizioni, che deve stare attaccata al muro della stanza dei bambini.
In questa lavagna vengono segnati i nomi dei bambini e ogni misfatto da
loro commesso: ogni piccolo segno di negligenza, ogni caso di insubordinazione deve essere annotato con il gesso, con un rimprovero o un’osservazione. Alla fine di ogni mese tutti si dovrebbero riunire a tirare le somme.
A seconda dei risultati dovrebbero essere elargiti rimproveri o elogi. Se uno
dei bambini ha dato prova di sbagli o debolezze ricorrenti, vi viene fatto un
particolare cenno. È veramente sorprendente che effetto morale tale lavagna
abbia sui bambini, anche sui meno discoli e più indifferenti. Ciò avviene
perché la lavagna è sempre di fronte a loro, perché ogni misfatto commesso
rimane come una sorta di permanente ammonimento visibile di fronte ai
loro occhi per un considerevole periodo di tempo. Grazie a questo metodo,
non è necessario applicare molti provvedimenti educativi, ammonimenti,
correzioni e punizioni altrimenti indispensabili che possono essere sostituiti
in un modo molto più efficace (1858-65).
Rivivendo questi episodi, il figlio ne cambia l’ambientazione,
dalla sua famiglia di origine a un contesto celeste; la lavagna delle
punizione del padre è diventata il “sistema di scrivere” di Dio.
Perché lo fece? Se non avesse sostituito “mio padre in persona” con
“Dio in Persona” come origine del “sistema,” avrebbe potuto
evitare di dare ad altri la possibilità di considerarlo pazzo, almeno a questo proposito. È improbabile che egli abbia dimenticato,
a causa della consueta amnesia per gli episodi avvenuti nella prima infanzia, il ruolo svolto dal padre nel “sistema di scrivere”;
il padre infatti raccomanda la lavagna delle punizioni per bambini da sette a sedici anni.
43
La famiglia che uccide
Forse la sua “dimenticanza” potrebbe essere collegata con
l’idea, cosciente o no, che il padre avrebbe considerato “impuri” e
“ostinati” il rancore e la rabbia associati a questo ricordo che
egli, il figlio, avrebbe dovuto sentire per il padre. Mentre il figlio era ancora un bambino, il padre potrebbe aver scritto tali
sensazioni come un “permanente ammonimento visibile” fino
al momento in cui “tirare le somme.” Il figlio, probabilmente ancora “abituato” e dominato dalle precedenti risposte del padre
alla sua ostinazione, deve aver pensato che offendere lui era più
proibito che offendere Dio.
Lo scopo del dottor Schreber è di diventare “padrone del
bambino per sempre,” di “dominare il bambino” anche soltanto
con “uno sguardo, una parola, un solo gesto di minaccia.” È un
“magnifico rapporto in cui il bambino è quasi sempre dominato
semplicemente da uno sguardo del genitore.” La sua concezione
di un buon rapporto genitore-bambino è simile a quella che si
svolge fra un ipnotizzatore e un soggetto in suo potere: un bambino che vive uno sguardo, una parola, un gesto del genitore come
un comando assomiglia a una persona in trance.
R.D. Laing e Aaron Esterson (1964), due psichiatri scozzesi,
paragonano lo stato prepsicotico all’ipnosi:
Il bambino prepsicotico è in un certo senso ipnotizzato dai genitori,
oppure l’ipnosi è un modello di psicosi indotta sperimentalmente, ovvero,
forse più precisamente, un modello di rapporto prepsicotico indotto sperimentalmente? È certo che le psicosi sperimentali simulano certi aspetti del
rapporto genitore-figlio prepsicotico... (p. 73 n.).
Schreber figlio paragona il suo stato, che chiama “assassinio
d’anima,” a quello di un soggetto in stato di ipnosi. In una lettera aperta al suo primo dottore, Flechsig, da lui pubblicata come prefazione alle sue Denkwürdigkeiten, scrive che “le anime
[i raggi]” giudicano
inammissibile che il sistema nervoso di una persona debba essere influenzato da quello di un’altra fino al punto di imprigionare la sua forza di
volontà, come avviene durante l’ipnosi; questo era chiamato “assassinio
dell’anima,” in modo da sottolineare con forza che era un’azione sbagliata
(pp. X-xi).
44
I metodi del padre
Il termine “assassinio d’anima,” dice, è già nell’uso corrente
e si riferisce all’idea “largamente diffusa nella tradizione popolare e nella poesia di tutti i popoli, che sia in qualche modo possibile impadronirsi dell’anima di un’altra persona...” (p. 55).
Ciò che è chiamato psicosi può essere, almeno talvolta, un
tentativo fallito di risvegliarsi dallo stato di trance in cui uno
è stato costretto da bambino. Il padre di Schreber, pare, aveva
addormentato il figlio, in un certo senso, fin dalla prima infanzia.
Il figlio si svegliò in parte a questa consapevolezza mentre era
ritenuto pazzo.
Quando la mia malattia di nervi sembrava pressoché incurabile, raggiunsi la convinzione che un assassinio d’anima era stato compiuto su di
me da parte di qualcuno... (p. 55).
Non può o non vuole, tuttavia, collegare l’assassinio d’anima
col padre. Dapprima sospetta del dottor Flechsig, il medico del
primo ospedale, o dei “nervi” o dell’“anima” di Flechsig come
“istigatori” dell’assassinio d’anima. Poi cambia opinione:
Mi capitò di pensare solo molto più tardi; infatti solo mentre scrivevo
questo saggio mi divenne abbastanza chiaro che Dio in persona doveva
essere a conoscenza del piano per commettere ai miei danni l’assassinio
d’anima, se addirittura non ne era l’istigatore... (p. 59).
Cercando l’assassino della sua anima, Schreber arrivò a vedere
che dietro la figura di Flechsig stava Dio. Se avesse potuto sollevare un altro velo, credo che avrebbe visto suo padre, come primo
“istigatore.” Se lo avesse fatto, è meno probabile che sarebbe
stato considerato pazzo. Ma credo che il padre si fosse reso
suo “padrone per sempre” e non gli avrebbe mai permesso un pensiero così “impuro.” Sembra che una caratteristica dell’assassinio
d’anima fosse di impedire alla vittima di identificare correttamente il suo assassino.
45
Capitolo quarto
Ricordi e allucinazioni
Quel est donc le phénomène de la croyance
délirante? - Il est, disons-nous, méconnaissance, avec
ce que ce terme contient d’antinomie essentielle.
Car méconnaître suppose une réconnaissance, comme
le manifeste la méconnaissance systématique, où il
faut bien admettre que ce qui est nié soit en quelque façon reconnu.
... Il me paraît clair en effet que dans les sentiments d’influence et d’automatisme, le sujet ne reconnaît pas ses propres productions comme étant siennes.
C’est en quoi nous sommes tous d’accord
qu’un fou est un fou. Mais le remarquable n’est-il
pas plutôt qu’il ait à en connaître? et la question
de savoir ce qu’il connaît là de lui sans s’y reconnaître?1
JACQUES LACAN
Nobile figlio: qualunque siano le visioni
spaventose o terribili che ti appariranno, riconoscile
come le tue stesse forme-pensiero.
Libro dei morti tibetano
Schreber sopportò per molti anni, durante la sua “malattia di
nervi,” penose e umilianti esperienze corporali. Pensava che fossero “miracoli” (Wunder), che Dio compiva sul suo corpo attra1
“Cos’è dunque il fenomeno dell’idea delirante? Si tratta, diciamo, di mancato
riconoscimento, con ciò che questo termine contiene di antinomia fondamentale. Perché
mancato riconoscimento implica un riconoscimento, come chiarisce il mancato riconoscimento sistematico, dove bisogna naturalmente ammettere che ciò che è negato sia in qualche modo riconosciuto.
... Mi pare chiaro, in effetti, che nei suoi sentimenti d’influenza e di automatismo,
Il soggetto non riconosca come proprie le sue produzioni. E a questo proposito che siamo
tutti d’accordo che un pazzo è un pazzo. Ma il problema non è piuttosto che lui lo
sappia? E il fatto di conoscere ciò che egli sa di sé senza riconoscervisi?” Propos sur la
causalité psychique (1950), pp. 33-34, citato da Wilden (1968), pp. 96-97.
46
Ricordi e allucinazioni
verso dei “raggi.” Queste esperienze e soprattutto la sua opinione
sulla loro origine lo fecero ritenere pazzo. Egli li descrive in questi termini:
Dai primissimi tempi del mio contatto con Dio fino ad oggi il mio
corpo è stato continuamente oggetto di miracoli divini. Se volessi descrivere
nei particolari tutti questi miracoli potrei riempire solo con essi un intero
libro. Posso dire che a stento un singolo membro o organo del mio corpo
non è stato danneggiato dai miracoli, un singolo muscolo non è stato
tirato dai miracoli, mosso o paralizzato a seconda del relativo proposito.
Anche ora i miracoli cui sono ogni ora sottoposto sono di natura tale da
spaventare a morte qualsiasi altro essere umano; solo con l’abituarmi ad
essi attraverso gli anni sono riuscito a considerare quasi tutto ciò che mi
capita come cose senza importanza. Ma nel primo anno del mio soggiorno
a Sonnenstein [il manicomio] i miracoli erano di una natura così terrificante
che pensavo che avrei dovuto perdere la vita, la salute o la ragione (Denkwürdigkeiten, p. 148).
Questo, come invero tutta la descrizione dei miracoli compiuti sul mio
corpo, suonerà naturalmente molto strano a tutti gli altri esseri umani e
qualcuno potrebbe essere portato a vedere in ciò solo il prodotto di un’immaginazione patologicamente esaltata. Posso solo rispondere assicurando che
non c’è forse un altro ricordo della mia vita più certo dei miracoli raccontati in questo capitolo. Cosa può essere più chiaro per un essere umano di ciò
che egli stesso ha vissuto e provato sul suo stesso corpo? (Denkwürdigkeiten, p. 150 n.).
Queste esperienze gli causavano grande sofferenza e interferivano con tutto ciò che faceva. Qui ci sono cinque “miracoli” da
lui descritti; ad ognuno di essi faccio seguire dei passi tratti dai
libri di suo padre:
FIGLIO:
I miracoli del caldo e del freddo venivano e ancora vengono quotidianamente compiuti contro di me... sempre con lo scopo di ostacolare le sensazioni naturali di benessere corporeo... Durante il miracolo del freddo il sangue
è tenuto lontano dalle estremità, causando così una soggettiva sensazione di
freddo... durante il miracolo del caldo il sangue mi è spinto a forza verso
la faccia e la testa nelle quali ovviamente è la freddezza la condizione generale di benessere. Abituato fin dalla giovinezza a sopportare sia il caldo sia
il freddo, questi miracoli mi disturbavano poco... Io stesso ero stato spesso
costretto a cercare il caldo e il freddo (pp. 171-72).
47
La famiglia che uccide
PADRE:
... a partire da circa tre mesi dopo la nascita la pulizia della pelle del
neonato va eseguita soltanto mediante abluzioni fredde... in modo da rafforzare
fisicamente il bambino (1852, p. 41).
Consiglia bagni caldi per i neonati fino a sei mesi.
Poi si può passare ad abluzioni generali fredde e gelate che dovrebbero
essere fatte almeno una volta al giorno e per le quali il corpo dovrebbe venire preparato da precedenti applicazioni locali di acqua fredda (ibid., p. 40).
Dice che i bagni gelidi sono la regola oltre i quattro o cinque
anni di età. Dal terzo anno in avanti
il risultato della salute, che dovrebbe già ora essere diretto più decisamente
a un progressivo rafforzamento, è ottimamente raggiunto mediante frizioni
fredde del corpo (1858, p. 80).
La stanza da bagno non dovrebbe più assolutamente essere riscaldata
dal sesto al settimo anno in avanti (ibid., p. 80).
Intitolò uno dei suoi libri L’acqua fredda come metodo curativo (1842). Alfons Ritter (1936), che scrisse una tesi di laurea
sul dottor Schreber, dice che nella famiglia che quest’ultimo aveva formato: “Una regola severa era che ognuno si alzasse molto
presto, facesse un po’ di ginnastica, facesse un bagno e nuotasse
prima di cominciare a lavorare. Talvolta in inverno bisognava prima rompere il ghiaccio” (p. 12).
FIGLIO:
I miei occhi ed i muscoli delle palpebre che servono ad aprirli e a chiuderli
erano un bersaglio quasi continuo dei miracoli. Gli occhi erano sempre di
particolare importanza... I miracoli sui miei occhi venivano compiuti da “omuncoli”... Questi “omuncoli” erano uno dei fenomeni più notevoli e anche a me più misteriosi... Quelli che si occupavano dell’apertura
e della chiusura degli occhi stavano sopra gli occhi fra le sopracciglia e
tiravano in su o in giù le palpebre a loro gradimento con filamenti sottili
come ragnatele... Ogniqualvolta mostravo segni di non voler permettere che
le mie palpebre venissero tirate su e giù e mi opponevo, gli “omuncoli”
si arrabbiavano e manifestavano la loro collera chiamandomi “disgraziato”;
se li strofinavo via con una spugna, ciò era considerato come una sorta di
48
Ricordi e allucinazioni
crimine contro il dono divino dei miracoli. In ogni modo lo strofinarseli
via aveva un effetto molto momentaneo, perché gli “omuncoli” venivano
rimessi lì ogni volta... Per impedirmi di chiudere o aprire gli occhi a piacere, il sottile strato muscolare situato nelle palpebre e sopra di esse, indispensabile per il loro movimento, è stato più volte spostato da un miracolo
(Denkwürdigkeiten, pp. 156-59).
Con la stessa frequenza con cui appare... un insetto, un miracolo influenza la direzione del mio sguardo. Non ho menzionato prima questo
miracolo, ma esso mi è stato imposto regolarmente per anni. I raggi dopo
tutto vogliono continuamente vedere ciò che fa loro piacere... I miei muscoli
oculari sono di conseguenza influenzati a muoversi in una certa direzione...
(ibid., p. 243).
PADRE:
Nel suo opuscolo L’affinamento sistematicamente pianificato
degli organi di senso (1859) insiste sugli esercizi oculari per i bambini: per distrarre rapidamente l’attenzione visiva di un bambino, per costringerlo a valutare le dimensioni di oggetti simili
a differenti distanze, per giudicare le varie distanze, ecc. (p. 11).
In un altro libro (1858), in una parte intitolata “Cura, educazione e affinamento degli organi di senso,” raccomanda
il giusto alternarsi del guardare vicino e lontano... Uno dovrebbe abituare
i bambini a riconoscere le prime tracce di stanchezza degli occhi o di quel
noto senso di bruciore o irritazione dovuto ad eccessiva stimolazione: in
questo caso specialmente, oltre al resto, si raccomanda di spruzzare gli occhi
con acqua fredda; esercizi visivi ripetuti consistenti nel guardare aree verdi
moderatamente illuminate fissando con acutezza o precisione oggetti distanti,
a stento riconoscibili... Gli esercizi della visione da vicino sono altrettanto
importanti dell’osservazione particolareggiata e del confronto di piccoli oggetti fra loro... (p. 215).
Raccomanda che nei bambini “le palpebre, le sopracciglia e
le zone temporali vengano trattate quotidianamente con acqua
fredda,” il che egli crede possa affinare la loro vista (D.G.M.
Schreber, 1839, citato da Niederland, 1959 a, p. 387).
FIGLIO:
Descrive un’esperienza dolorosa che chiama “il cosiddetto
miracolo del coccige.”
49
La famiglia che uccide
Si trattava di uno stato estremamente doloroso delle vertebre inferiori,
analogo alla carie. Suo scopo era di rendere impossibile sedersi e persino
distendersi. Insomma non mi era concesso di restare a lungo in una stessa
posizione o di dedicarmi alla stessa attività: mentre camminavo si cercava
di obbligarmi a distendermi e, quando ero disteso, si voleva cacciarmi via
dal letto. I raggi sembravano non apprezzare per nulla che un essere umano
davvero esistente si trovasse da qualche parte... Ero diventato per i raggi
[per Dio] un essere che dava noia, in qualsiasi posizione mi trovassi o a
qualsiasi occupazione mi dedicassi (Denkwürdigkeiten, p. 160).
PADRE:
Raccomanda a genitori ed educatori di combattere la tendenza del bambino di star seduto in modo scorretto perché, dice,
danneggia la spina dorsale.
Bisogna star attenti che i bambini stian sempre seduti diritti e che
si appoggino contemporaneamente su entrambe le natiche... senza appoggiarsi
né sul lato destro né su quello sinistro... Non appena comincino a inclinarsi
indietro... o a piegare la schiena, è giunto il momento di cambiare almeno
per qualche minuto la loro posizione seduta con quella supina, assolutamente immobile. Se non si fa così... la spina dorsale si deformerà... (1858,
p. 100).
...Riposarsi a metà o stando sdraiati o rivoltolandosi non dovrebbe essere
permesso: se i bambini sono svegli dovrebbero essere fatti alzare e stare
in posizioni corrette ed attive e tenersi occupati; in genere ogni cosa che
possa condurre a pigrizia e mollezza (per esempio il divano nella camera
dei bambini) dovrebbe esser tenuta lontano dal loro cerchio di attività
(ibid., p. 150).
Questi procedimenti e i seguenti facevano parte del programma del padre per mantenere in ogni momento diritto il corpo dei
bambini, di qualsiasi età essi fossero: quando stavano in piedi o
seduti, quando camminavano, giocavano, si distendevano o dormivano (figg. 1 e 2). Pensava che i bambini dovessero dormire
soltanto in posizione supina, sulla schiena; i neonati sotto i quattro mesi dovevano giacere esclusivamente sulla schiena quando
riposavano. È importante, insegnava, cominciare con i neonati,
in quanto pensava che fosse più difficile abituare i bambini più
grandi. Nel suo libro, Le posizioni del corpo e le abitudini dei
bambini dannose e un’esposizione delle relative contromisure, presentava come dato medico la sua falsa convinzione che se un
50
Ricordi e allucinazioni
bambino giace troppo a lungo sullo stesso fianco il suo corpo da
quel lato ne può risultare danneggiato, “la nutrizione sia ostacolata,” il “fluire del succhi gastrici sia impedito,” ll “sangue si
arresti e si accumuli nei vasi” e i vasi sanguigni “perdano gran
parte della loro tensione vitale” (1853, p. 12). Questo può in seguito portare, sosteneva, (ibid., p. 54), a una paralisi del braccio
e del piede da quel lato.
FIGLIO:
Uno dei miracoli più terribili era il cosiddetto miracolo-della-compressione-del-petto... Consisteva in una tale compressione della cassa toracica, che lo
stato di oppressione causato dalla mancanza di respiro veniva trasmesso a
tutto il mio corpo (Dentkwürdigkeiten, p. 151).
PADRE:
Inventò un congegno chiamato Schrebersche Geradhalter (raddrizzatore di Schreber) per costringere i bambini a stare seduti
diritti. Si trattava di una sbarra di ferro a forma di croce fissata
al tavolo al quale il bambino stava seduto a leggere o a scrivere.
La sbarra esercitava una pressione contro la clavicola e la parte
anteriore delle spalle per prevenire movimenti in avanti o una
posizione curva. Egli sostiene che il bambino non può stare appoggiato a lungo alla sbarra “a causa della pressione esercitata da
questo oggetto duro contro le ossa e della conseguente scomodità;
il bambino ritornerà spontaneamente alla posizione eretta” (1858,
p. 204). “Avevo fatto costruire un Geradhalter che si dimostrò
sempre utilissimo ai miei stessi bambini...” (p. 203).
Dice che anche la sbarra verticale che lo sosteneva era utile
perché impediva ai ragazzini di incrociare le gambe. “Arresti nella circolazione del sangue e altre delicate ragioni” rendevano lo
stare seduti con le gambe incrociate “particolarmente dannoso
per i giovani” (p. 201). (Discuterò le sue opinioni sul piacere
genitale dei bambini nel capitolo 6.)
FIGLIO:
Questo era forse il più abominevole di tutti i miracoli, dopo il miracolo-della-compressione-del-petto; l’espressione usata per definirlo, se ben
51
La famiglia che uccide
Le figure qui riprodotte sono tolte dalla Kallipädie del dottor Schreber
Fig. 1. Il dottor Schreber pensava che un’inclinazione in avanti della
testa e delle spalle del bambino mentre cammina fosse “una chiara
espressione di debolezza, mutismo e codardia.” Escogitò il “ponte,”
un esercizio per “rafforzare i muscoli della schiena e del collo.”
Fig. 2. Per impedire che le spalle dei bambini si “incurvassero in
avanti,” il dottor Schreber raccomandava delle cinghie per le spalle
da portarsi ogni giorno e per tutto il giorno, “finché la cattiva abitudine
fosse domata.” Le parti ombreggiate della cinghia sono molle metalliche che premono sulla parte anteriore delle spalle.
52
Ricordi e allucinazioni
Fig. 3. Il Geradhalter. Sulla sinistra ve ne è uno portatile per uso
domestico. Quello sulla destra era fissato ai banchi di scuola.
Fig. 4. Il Geradhalter in funzione
53
La famiglia che uccide
Fig. 5. Una cinghia per legare al letto i bambini.
Fig. 6. La cinghia in funzione
54
Ricordi e allucinazioni
Fig. 7. Il Kopfhalter.
Fig. 8. La fascia per il mento.
55
La famiglia che uccide
ricordo, era “la macchina-schiacciatesta” [Kopfzusammenschnürungsmachine:
letteralmente, la macchina-che-lega-insieme-la-testa]... I “diavoletti”... mi comprimevano la testa come in una morsa girando una specie di vite, facendo
assumere alla mia testa per un certo tempo una forma allungata quasi a pera.
Aveva un effetto estremamente terrificante, specie perché accompagnato da
un forte dolore. Le viti venivano temporaneamente allentate ma solo molto
gradualmente, cosicché lo stato di compressione di solito continuava per un
certo tempo (Denkwürdigkeiten, pp. 158-9).
Soffro di mali di testa quasi continui di un tipo certamente sconosciuto
agli altri esseri umani e a stento paragonabili ai normali mali di testa. Si
tratta di dolori per cui mi sento strappare e tirare (p. 270).
PADRE:
Inventò un Kopfhalter (reggitesta) per impedire alla testa del
bambino di cadere in avanti o di lato. Il Kopfhalter era una cinghia fissata per un’estremità ai capelli del bambino e per l’altra
alle mutande cosicché gli tirava i capelli se non teneva la testa diritta. Serviva di “promemoria” per tenere la testa diritta: “L’accorgersi che la testa non può venire abbassata oltre un certo
punto diviene presto un’abitudine.” “Questo strumento può essere
ugualmente usato per correggere inclinazioni laterali della testa.”
Ammette che poteva produrre “un certo effetto di indolenzimento
alla testa” e che di conseguenza doveva essere usato solo per un’ora
o due al giorno (1858, pp. 198-9).
Aveva costruito anche una fascia per il mento che era legata
alla testa da un apparecchio a forma di casco che serviva per assicurare la giusta crescita della mascella e dei denti (ibid. pp.
219-20).
FIGLIO:
Ogni parola pronunciata vicino a me o a me, ogni azione umana, per
quanto piccola, unita a qualche rumore, come l’aprire la serratura del mio
corridoio o lo spingere il chiavistello della porta della mia stanza... ecc., è
accompagnata dalla sensazione di un doloroso colpo diretto contro la mia
testa; è come un improvviso strappo all’interno della testa che causa una
sensazione molto spiacevole... che può essere associata alla lacerazione di
parte della sostanza ossea del cranio; almeno mi dà quest’impressione
(Denkwürdigkeiten, p. 204).
56
Ricordi e allucinazioni
Forse, sentendo un rumore, voltava la testa verso l’origine di
esso e riviveva o ricordava lo strappo del Kopfhalter quando, da
bambino, voltava la testa.
Questi paragoni mostrano inquietanti somiglianze. È come se
il padre insegnasse al figlio un linguaggio di stimoli sensoriali
mediante cui prendere coscienza delle diverse parti del proprio
corpo.2
Niederland si domanda se le esperienze vissute da Schreber
come quella di essere costretto e legato dal padre in apparecchi
ortopedici siano all’origine dei “miracoli divini” di essere “attaccato alla terra” e “legato ai raggi.”
Dio è inestricabilmente attaccato alla mia persona attraverso la forza
di attrazione dei miei nervi che talvolta nel passato è stata irresistibile; non
c’è nessuna possibilità che Dio si liberi dai miei nervi per tutto il resto
della mia vita (Denkwürdigkeiten, p. 282).
Il figlio pensa che i “miracoli” si esplichino su oggettivi organi
anatomici del suo corpo. Non vede invece che sta riproducendo il
comportamento del padre nei riguardi del suo corpo.
Schreber soffre di reminiscenze. Il suo corpo incorpora il passato. Egli conserva il ricordo di quello che il padre gli fece da
bambino; benché parte della sua mente sappia che è un ricordo,
“lui” non lo sa. È considerato pazzo non solo a causa della qualità delle sue esperienze, ma anche perché ne fraintende il tono: ricorda, in alcuni casi in modo assolutamente preciso, come il padre lo trattava, ma pensa di percepire episodi che avvengono nel
presente, dei quali immagina che Dio, i raggi, gli omuncoli, ecc.
siano gli agenti. (Non uso il termine esatto quando dico che ricorda: uno ricorda eventi del proprio passato, in senso stretto,
solo se, rivivendoli, crede che si riferiscano al passato.) Secondo
la terminologia di David Hume, il filosofo scozzese del diciottesi2
La seguente citazione di Wilhelm Reich aiuta a chiarire questo concetto: “... Il
processo di corazzamento che avviene nella prima infanzia rende ogni espressione di vita
dura, meccanica, rigida, incapace di cambiamenti e adattamenti alle funzioni e ai processi
vitali. Le sensazioni degli organi vitali, divenute inaccessibili alla percezione dell’individuo, costituiranno d’ora in avanti il regno delle idee centrate attorno al ‘SOVRANNATURALE’. Anche questo è tragicamente logico. La vita è oltre la nostra portata, ‘trascendentale’. Così diventa il centro del desiderio religioso del salvatore, del redentore, dell’‘ALDILÂ’” (L’etere, Dio e il diavolo, pp. 100-101, citato da Higgins e Raphael (1968), p. 82).
Qui Reich si riferisce in generale alla nostra società occidentale.
57
La famiglia che uccide
mo secolo, il figlio sperimenta delle “idee,” ma crede di sperimentare delle “impressioni.”
Schreber sa quasi tutto ciò che deve sapere, ma non sa di
saperlo. Quando chiama le sue esperienze “miracoli,” nega ciò
che sa, nega di negare qualcosa, nega che c’è qualcosa da negare e
nega anche queste negazioni. Qui la sua “dimenticanza,” come nel
caso della “dimenticanza” della lavagna delle punizioni paterna,
non è la consueta amnesia degli episodi della prima infanzia; il padre usava cinghie che traversavano il petto dei bambini, mentre
dormivano, all’età di sette o otto anni, e il Geradhalter e il Kopfhalter dall’età di sette anni fino ai sedici.
È come se una regola impedisse a Schreber di vedere la parte
avuta dal padre nella sua sofferenza, un’altra regola gli impedisse
di vedere che c’è qualcosa che egli non vede ed un’altra regola
ancora gli impedisse di vedere quella regola o che una regola
possa esistere. Per esempio, egli non dice mai che non riesce ad
individuare il significato delle sue esperienze e che non può perché una regola glielo impedisce o che non può sapere e non sa
perché non possa. È sicuro di conoscere il significato delle sue
esperienze; benché ne discuta il significato nei minimi particolari,
non le collega mai al padre.
L’uso della propria mente per cercare di capire il significato
delle proprie esperienze può essere molto difficile. Ross Ashby
(1956) diceva che quando un uomo non riesce a vedere alcune delle variabili di un sistema, il “sistema” rappresentato dalle variabili rimanenti può sviluppare delle proprietà notevoli, anche miracolose (p. 114). Una mente che si osserva è nello stesso tempo
l’osservatore e il sistema osservato; le variabili che non può vedere
possono essere quelle che non vuole vedere, sia o no a conoscenza
del proprio desiderio. Esperienze provenienti da una regione della
mente di cui solitamente non siamo consapevoli possono sembrare derivanti da origini straordinarie e dotate di qualità particolari.
Perché Schreber trasformò dei ricordi in “miracoli”? La mia
ipotesi è che ciò avvenne perché il padre gli aveva impedito di
vedere la verità riguardo al suo passato. Il padre aveva richiesto
che i bambini amassero, onorassero e obbedissero i genitori. Come
dimostro in seguito, egli insegnò ai genitori un metodo esplicitamente elaborato per obbligare i bambini a non sentire rancore
58
Ricordi e allucinazioni
o rabbia nei loro confronti, anche quando i loro sentimenti potevano essere giustificati. Voleva infatti liberare i bambini da
sentimenti così “pericolosi.” Per collegare le proprie sofferenze
al padre, Schreber avrebbe dovuto considerare il comportamento
del padre nei suoi confronti come “cattivo.” Ma suo padre, immagino, glielo aveva impedito. Egli non vuole, oppure è incapace di
violare l’opinione del padre su quale dovrebbe essere la sua opinione del padre. Essendogli proibito di vedere la vera origine
dei suoi tormenti, li chiama miracoli. Analogamente, essendogli
vietato di ricordare la lavagna delle punizioni paterna come tale,
la rivive come “sistema di scrivere” di Dio. Come risultato è considerato pazzo.
Più volte il figlio dice che non ha da fare “lamentele personali” contro alcuno, che non si propone alcun “rimprovero,” non
vuole “fare recriminazioni riguardo al passato,” sollevare “lagnanze riguardo al passato,” ecc. (vedi, ad esempio, Denkwürdigkeiten, pp. VII, 198, 425 e 432). È come se egli continuasse a
ricordare a se stesso e agli altri che egli non prova ciò che vorrebbe provare, ma non può provare, riguardo al suo passato.
Via via che, nella sua “malattia di nervi,” egli torna a modelli
di esperienza e di relazione sperimentati prima nella sua vita
(quantunque lo neghi), si può dire, ricorrendo al linguaggio clinico, che stia regredendo. Ma così facendo annulla in parte la
rimozione.3 Sarebbe importante sapere come e perché Schreber
smise di rimuovere e ricominciò a rivivere le sofferenze della sua
infanzia dopo i quarant’anni, quantunque non sapesse che le stava ricordando.
Il discorso dell’inconscio ha la struttura di un
linguaggio.
JACQUES LACAN
Cosa sono i “raggi,” gli “omuncoli” e le altre allucinazioni che
perseguitano Schreber? Ritengo che Schreber abbia bisogno o desiderio di credere che il pensiero espresso dalla frase “mio padre mi
perseguitava” sia falso e cerchi di dimostrarlo introducendo come
3
R.D. Laing sostenne la stessa teoria nelle conferenze su Schizofrenia: malattia o
strategia? tenute al William Alanson White Institute di New York nel 1967.
59
La famiglia che uccide
persecutori altri agenti che non siano il padre e che sono frutto delle sue allucinazioni. Le immagini, ha detto Sartre, sono definite dalle loro intenzioni. La mia ipotesi è che Schreber inventi delle
immagini per arrivare alla prova che permetta di confutare l’affermazione “mio padre mi perseguitava.”
Le allucinazioni che perseguitano Schreber e le sue immagini-ricordo (rimosse ) della persecuzione a cui fu sottoposto da parte del
padre si riferiscono entrambe, credo, agli stessi fatti: agli atti
persecutori del padre. Le immagini-ricordo delle persecuzioni paterne corrisponderebbero interamente ai fatti, le immagini allucinate no.
Si immagini che uno si presenti o venga presentato con l’affermazione che può essere espressa dalla seguente frase: “il mio
genitore mi perseguitava” e che desideri o abbia bisogno di negarne la validità. Costui potrebbe rifiutare (1) il soggetto, (2) il
verbo o (3) il complemento oggetto della frase e dire:
Il mio genitore non mi perseguitava:
(1) qualcun altro mi perseguitava;
(2) il mio genitore mi liberava, aiutava e amava ecc.;
(3) il mio genitore perseguitava qualcun altro.
Si ipotizzi che le immagini-ricordo della persecuzione a cui fu
sottoposto dal genitore minaccino di sfilare sullo schermo costituito dalla propria mente cosciente e che il soggetto desideri o
abbia la necessità di negare la loro validità. Costui potrebbe formare delle immagini corrispondenti ad ogni affermazione (1),
(2) o (3) in sostituzione delle immagini-ricordo.
Le immagini (“affermazioni-immagine” nella terminologia di
Bertrand Russell) sono necessariamente affermative, cioè possiamo fornire delle immagini solo per rappresentare delle affermazioni espresse da frasi aventi valore affermativo. Si immagini un
uomo che leghi un congegno alla testa di un bambino. Possiamo,
per esempio, cambiare il soggetto della frase “un uomo lega un
congegno alla testa di un bambino” in modo che diventi “degli
omuncoli legano un congegno alla testa di un bambino” e concepire un’immagine che rappresenti la nuova frase. Ma non possiamo
fornire nessuna immagine della semplice frase negativa “nessuno
lega un congegno alla testa di un bambino,” “un uomo non lega
60
Ricordi e allucinazioni
un congegno alla testa di un bambino” o “un uomo lega un congegno a niente.”
Ritengo che Schreber formi delle immagini di affermazioni ottenute trasformando la frase “mio padre mi perseguitava”: egli
annulla il soggetto (“mio padre”) della frase e lo sostituisce con
altri soggetti (“gli omuncoli,” i “raggi,” “le anime,” “Dio,” ecc.).
Avrebbe potuto cambiare il verbo e costruire immagini del padre che mostrava (per esempio) affetto per lui, ma non abbiamo
nessuna prova che lo facesse. Ho conosciuto parecchie persone,
non ritenute paranoiche, i cui genitori, secondo me, le hanno perseguitate, che ripetutamente ricordano (o immaginano di ricordare) un genitore che finge di provare verso di loro ciò che essi
(i figli) ritengono essere amore. Forse essi sostituiscono il verbo
nella frase “il mio genitore mi perseguitava,” così che divenga
“il mio genitore mi amava.” Forse rinnegano il rapporto vissuto
con i loro genitori non meno di quanto faccia Schreber, ma nel
linguaggio comune o nella terminologia psichiatrica non esiste alcun termine per descriverli; forse è per questo motivo che non
sono stati identificati. Ho conosciuto anche alcune persone considerate paranoiche, che ritengo siano state perseguitate dai genitori e che formarono immagini basate, pare, su uno scambio sia
del soggetto sia del verbo della frase “il mio genitore mi perseguitava”: essi, come Schreber, creano immagini di altri agenti
diversi dai genitori, che li perseguitano e rievocano (o immaginano
di rievocare) immagini-ricordo del genitore che li tratta, secondo
l’opinione del figlio, in modo affettuoso.
In teoria Schreber avrebbe potuto anche aver distorto il complemento oggetto nella frase “mio padre mi perseguitava” e aver
immaginato o “ricordato” che il padre perseguitasse qualcun altro; apparentemente non lo fece. Non riesco a pensare a nessun
esempio veramente appropriato di questo tipo di sostituzione
che si verifichi isolatamente. Forse tutti coloro che sentono come proibito pensare a un genitore che li perseguiti sentono anche che è loro proibito pensare al genitore che perseguita qualunque persona. Ritengo che molte persone cambino sia il soggetto
che il complemento oggetto dell’affermazione espressa dalla frase
“il mio genitore mi perseguitava.” Per esempio, nei sogni o mentre si masturbano, essi immaginano una persona più vecchia, non
61
La famiglia che uccide
il loro genitore, che picchia o comunque perseguita un bambino,
non loro. Considero questa immagine come un doppio spostamento dell’affermazione-immagine “il mio genitore mi picchiava
(o mi perseguitava)”.
Si supponga che si verifichi nella mente di qualcuno un evento che contemporaneamente sia proibito da una regola preesistente
che lo proibisca. Questo evento potrebbe in seguito costituire la
base di un’allucinazione, se uno seguisse questa formula:
— Costruire una frase per esprimere questo evento in parole.
— Ritirare la coscienza dall’evento.
— Negare i precedenti passaggi, i seguenti e le negazioni.
— Cambiare il soggetto, il verbo o l’oggetto della frase e formare una nuova frase affermativa.
— Rappresentare la nuova frase con un’immagine.
— Proiettare l’immagine nello spazio percettivo.
Certamente le allucinazioni, come i sogni, non rivelano di essere state create come prodotti di operazioni compiute sulle esperienze passate. Ritengo che chi soffre di allucinazioni neghi quelle
esperienze e le operazioni compiute su di esse.
Forse è per il fatto che scriviamo, leggiamo, parliamo e ascoltiamo parole che si succedono linearmente, ogni parola e ogni
frase prima o dopo un’altra, che talvolta supponiamo che la nostra “linea” di pensiero segua una sequenza, logica o di altro
tipo. Così quando descriviamo un corso di pensieri, presumiamo che proceda per gradi, ognuno dei quali sia dipendente dai precedenti. La nostra opinione sulle modalità in cui pensiamo può,
però, non corrispondere a come, in realtà, pensiamo. Nella formula precedente, l’ultimo grado deve succedere di qualche tempo al
primo, ma tutti gli altri potrebbero avvenire in una sequenza
qualunque, o tutti in una volta, in qualunque momento durante
l’intervallo fra il primo e l’ultimo grado.
Per avere allucinazioni con una certa regolarità, bisognerebbe
applicare questa formula a una serie di eventi avvenuti regolarmente nel proprio passato. Questo può non essere il solo modo
di formare allucinazioni, ma mi sembra che sia uno molto usato.” 4
4
Per avere allucinazioni con una certa regolarità, è necessaria soltanto un po’ di
pratica. Ciò che è chiamato allucinazione può essere considerato una forma di pensiero;
62
Ricordi e allucinazioni
Si può anche servirsi di percezioni e ricordi normali che sostituiscano quelle percezioni e quei ricordi di cui è proibito essere
consapevoli. Un mio conoscente ebreo, ogni volta che vede, sente o ricorda di vedere o di sentire, nella conversazione o in altri
mezzi di comunicazione, dei riferimenti a nazisti, tedeschi, uomini
biondi o di bell’aspetto, trae sostegno da queste esperienze per
confermare la sua credenza più volte espressa che i nazisti perseguitano o perseguitavano gli ebrei o che i nazisti lo perseguitano
o lo perseguitavano. Non ha mai conosciuto un vero nazista,
secondo me era suo padre a perseguitarlo. Mi sembra che il
suo puntare l’attenzione proprio su queste percezioni e su questi
ricordi e il suo fare costruzioni su di esse sostituiscano le percezioni
e i ricordi della persecuzione che il padre mise in atto contro di
lui. Le percezioni, come i ricordi, sono in parte una scelta morale.
Se si collegano così i sentimenti di persecuzione con le percezioni e i ricordi normali, è probabile che uno venga considerato,
secondo il linguaggio psichiatrico, delirante o allucinato. Certo che
uno può sia inventare nuove esperienze percettive (allucinazioni)
sia adattare quelle normali e i ricordi ai propri propositi: può essere così considerato sia allucinato che delirante.5
Ciò che è chiamato allucinazione o delirio può essere un tentativo della mente di rivelarsi a se stessa, data la presenza di una
regola, che essa stessa si impone, che le proibisce proprio di fare
questo. Senza questa regola non avrebbe bisogno né di allucinazioni né di deliri.
lo stesso, secondo Freud, vale per un sogno. La capacità di pensare per immagini,
da svegli, è più diffusa nei bambini che negli adulti, almeno nella nostra società. Molte
persone creative conservano questa capacità, ma la maggior parte delle persone no, aderendo probabilmente al punto di vista generalmente accettato secondo cui tali esperienze
sono indesiderabili o “malate.” Per riacquistare quella capacità è semplicemente necessario
sbloccare l’inibizione.
5
Alcuni aspetti della mia ipotesi assomigliano formalmente alla teoria di Von
Domarus (1944) sul pensiero paralogico, che, secondo lui, caratterizza il pensiero schizofrenico. Von Domarus dice che il pensiero paralogico accetta l’identità basata sull’identità
dei predicati. Scrive: “Se A significa ‘alcuni indiani sono veloci’ e B significa ‘i cervi sono
veloci,’ l’area di intersezione fra A e B simboleggia l’elemento comune della velocità. Ne
segue, secondo il pensiero paralogico, che ‘alcuni indiani sono cervi’ e l’azione sarà direttamente guidata da questa conclusione” (p. 110). Chiarire le differenze e le somiglianze
fra la teoria di Von Domarus e la mia posizione espressa qui richiederebbe alcune pagine
e ci allontanerebbe dalla nostra direzione. La sua teoria non mostra i motivi o gli scopi
che portano al pensiero paralogico. Allo stesso modo, Bleuler trascura di considerare il
fatto che le persone il cui pensiero è, secondo lui, strano potrebbero avere dei motivi o
degli scopi per pensare così.
63
La famiglia che uccide
La parola “allucinare” deriva dalla radice del participio passato del latino allucinari, vagare con la mente, fare discorsi oziosi. Se la mia formula è valida per qualcuno che ha allucinazioni, la sua mente non sta vagando, ma si sta muovendo lungo
sentieri accuratamente tracciati, con degli scopi precisi. Egli non
fa discorsi oziosi, ma anzi rivela, benché in codice, il nucleo del
suo essere.
Ho suggerito che le allucinazioni rappresentino delle affermazioni che possono essere espresse anche con delle frasi. I modelli
di linguaggio parlato o scritto in una data cultura, subcultura o
famiglia potrebbero influenzare le allucinazioni o i sogni dei suoi
membri? I modelli di linguaggio possono influenzare ogni esperienza percettiva, comprese le percezioni normali (vedi Whorf,
1964). Si consideri, per esempio, come si potrebbe vivere diversamente il mondo e noi stessi se la grammatica della nostra lingua
non richiedesse che le frasi avessero dei soggetti e se perciò non
presumessimo che le azioni avessero bisogno di agenti o soggetti.
“La luce balenò” si dice in italiano. Qualcosa deve essere lí per produrre quel balenio; “la luce” è il soggetto, “balenò” il predicato... Un
indiano Hopi... dice Reh-pi — balena — una sola parola per tutta la rappresentazione, nessun soggetto, nessun predicato, nessun riferimento temporale. Spesso leggiamo nella natura di fantasmatiche entità che balenano e
compiono altri miracoli. Forse che le introduciamo noi perché alcuni dei
nostri verbi richiedono che gli sia posto davanti un sostantivo? (Prefazione
di Stuart Chase, in Whorf, 1964, p. viii).
Ammesso che la mia teoria delle allucinazioni di Schreber sia
giusta, se egli fosse un Hopi non avrebbe bisogno di creare fantasmatici esecutori dei “miracoli,” che fossero gli agenti della sua
persecuzione; avrebbe potuto infatti rivivere sentimenti di persecuzione senza inventare persecutori immaginari.
Le allucinazioni consistono in immagini situate in uno spazio
percettivo. Vedere (o sentire, toccare, odorare, gustare ecc.) è
credere. Proverbialmente l’esperienza sensoriale è la meno sottoposta a discussione, è di per sé evidente. Così almeno pensa l’uomo della strada, come del resto anche il fisico, lo psicologo e il
filosofo. Le allucinazioni sembrano reali a coloro che le provano,
64
Ricordi e allucinazioni
spesso più irresistibilmente reali delle altre esperienze percettive.
Gli allucinati non cedono a nessun ragionamento, l’immediatezza
della loro esperienza non lascia loro alcun dubbio.
Schreber afferma in un poscritto alle sue Denkwürdigkeiten,
“Sulle allucinazioni.”
Col termine allucinazione si intende, per quanto ne sappia, la stimolazione di nervi in virtú della quale una persona con una malattia di nervi
crede di avere impressioni di eventi verificantisi nel mondo esterno... che
in realtà non esistono. Pare che la scienza neghi ogni fondamento reale alle
allucinazioni giudicando da quanto ho letto per esempio in Kraepelin...
Secondo me ciò è completamente sbagliato, almeno se così generalizzato...
Seri dubbi devono sorgere in tale atteggiamento razionalistico e puramente
materialistico (se mi concedete questa espressione) nei casi in cui uno ha
a che fare con voci “di origine soprannaturale”... Naturalmente posso parlare con certezza solo di me stesso quando affermo che esiste una causa
esterna di queste sensazioni (pp. 306-7).
Sembra che Schreber si procuri un’esperienza percettiva per
sostenere il suo desiderio di non credere alla persecuzione a cui il
padre l’aveva sottoposto. È come se stesse dicendo: “Non sono
le immagini-ricordo di mio padre a perseguitarmi, ma dei poteri
soprannaturali.” Certamente il fatto di affermare qualcosa a se
stessi non prova che questo sia vero. Si può decidere di considerare valida la prova che delle esperienze abbiano origine al di
fuori del nostro corpo solo se anche altri possono percepire queste esperienze. Nella nostra società occidentale, colui che trae
conclusioni da esperienze percettive che egli inventa per confermare o confutare le proprie credenze è soggetto ad essere considerato pazzo, non scientifico, a seconda del contesto. Insomma,
rompe delle regole fondamentali.
Schreber fu etichettato come pazzo e lo sarebbe oggi. Ma
suo padre? Suo padre, basandosi su premesse false riguardanti
i bisogni fisici e psicologici dei bambini, ne dedusse come i genitori dovrebbero trattare i bambini e trattò il suo in modo strano.
Suo figlio sofferse del comportamento dei padre e più tardi lo
rivisse (senza rendersene conto) e trasse da quanto aveva sperimentato alcune inferenze che a loro volta lo condussero a false
conclusioni sull’ordine spirituale del cosmo.
65
La famiglia che uccide
PADRE
FIGLIO
false premesse
false conclusioni
inferenze
inferenze
strano comportamento
strane esperienze
Se la prova della sanità di una mente fosse la conoscenza della
verità riguardo a se stessa, alle altre menti o al mondo, troverei
difficile stabilire chi è più pazzo in questo caso, se il padre o il
figlio. È assurdo considerare il figlio matto e il padre invece sano
e degno di grande stima.
I resoconti dell’ospedale di Schreber (Baumeyer, 1956) e il
rapporto di Weber (Appendice alle Denkwürdigkeiten) rivelano
che i suoi medici consideravano la sua mancanza di consapevolezza
della malattia come un sintomo di essa. Ma secondo me non c’è
prova che essi avessero capito le sue esperienze meglio di lui, né
altri medici di ospedali psichiatrici potrebbero farlo oggi; la loro
opinione secondo cui la paranoia e la schizofrenia avrebbero origine da processi interni agli individui “malati” interferirebbe con la
loro comprensione di Schreber.
Benché Schreber non connetta esplicitamente il comportamento del padre con tali avvenimenti della sua “malattia di nervi,”
talvolta accenna a dei legami con essa. Per esempio, accusa il dottor Flechsig, suo primo medico in ospedale: “Come molti medici,
lei non ha saputo resistere completamente alla tentazione di usare
un paziente affidato alla sua cura come oggetto di esperimenti
scientifici” (Denkwürdigkeiten, p. X). Gli psichiatri che ebbero
in cura Schreber non arrivarono così vicini alla verità riguardo alla
sua relazione col padre. Schreber dice che il dottor Flechsig “voleva
vincere la mia malattia esclusivamente [!] avvelenandomi con
bromuro di potassio, a causa del quale il dottor R., a S., alle cui
cure ero stato affidato prima, era stato rimproverato” (ibid., p. 35).
E il dottor Weber, uno psichiatra che lo ebbe in cura in seguito,
dice che i “miracoli” di Schreber sono “indubbiamente dovuti a
processi patologici del cervello” (Appendice alle Denkwürdigkeiten,
p. 460).
66
Ricordi e allucinazioni
Evidentemente non capitò mai a Flechsig, a Weber o ad alcun
altro dottore che curò Schreber o che scrisse su di lui negli ultimi
cinquant’anni di collegare le sofferenze di Schreber al comportamento del padre. Forse, anche se Schreber avesse potuto giacere
nudo per mostrare a tutti come i suoi “miracoli” fossero ricordi,
non avrebbe potuto trovare nessuno disposto a capire.
67
Capitolo quinto
Natura e innatura
Nel mio caso la mancanza di sincerità morale
sta nel fatto che Dio Si pone fuori dall’Ordine del
Mondo dal quale Egli Stesso deve essere guidato...
DANIEL PAUL SCHREBER, Denkwürdigkeiten, p. 60.
Alcune persone, fra cui il dottor Schreber, padre di Daniel
Paul, considerano i loro ideali morali come delle leggi naturali.
Ritengono che le azioni, i pensieri e i rapporti che si uniformano
ai loro ideali morali siano naturali, mentre quelli che non vi si
uniformano siano innaturali. Perciò pretendono che i loro ideali
abbiano un’autorità universale, per quanto ristretti ed etnocentrici
possano essere. Molti ritengono che la maggior parte delle possibili forme di rapporto sessuale fra esseri umani non siano naturali,
quali il rapporto buco-genitale, il rapporto fra più di due persone
in una volta, fra due persone dello stesso sesso o di differente
colore, ecc.
Forse è necessario che gli uomini scelgano degli ideali morali
di un qualche tipo. Ma considerare le proprie scelte come naturali e quelle degli altri come innaturali significa negare che i propri
ideali morali siano in parte dipendenti dai propri programmi, che
a loro volta sono influenzati dal proprio contesto sociale, passato
e presente.
Uno dei principali scopi a cui mira il sistema educativo del
dottor Schreber è che l’uomo ponga il suo “mondo sofisticato” in
“armonia con le leggi di Natura che governano ogni cosa e con
l’Ordine del Mondo” (1858, p. 308).
68
Natura e innatura
Un’educazione che segua la Ragione e la Natura dovrebbe dedurre da
questi principi basilari tutti gli altri principi specifici e direttamente pratici
e uniformarli perfettamente ad essi (ibid., p. 27).
Incoraggia i suoi lettori ad “obbedire” alla Natura. A proposito del “nostro sistema scolastico,” afferma:
Tutte le più grandi mancanze derivano dal fatto che non tutte le leggi
e le istituzioni sono basate sulle leggi di Natura e ancor più dal fatto che
i singoli insegnanti non le adottano come guida del loro comportamento
(p. 308).
Se la prende con gli “eccessi di qualsiasi tipo,” che chiama un
“modo di vita innaturale” (p. 235).
Le leggi morali, non quelle di Natura, determinano cosa gli
uomini pensano debba accadere: la Natura (o l’Ordine del Mondo)
determina cosa deve accadere. Ciò che è veramente innaturale
non si verifica né lo potrebbe. Se ciò che il dottor Schreber chiama
Natura fosse veramente Natura, non avrebbe bisogno di spingere
i lettori ad “obbedire,” poiché non potrebbero scegliere altrimenti.
In effetti, tutto ciò che avviene nelle persone e fra loro è, in qualche modo, naturale; ma egli non se ne rende conto. Il figlio compie
lo stesso errore; ritiene naturale ciò che egli considera morale e
innaturale ciò che egli considera immorale:
Il complesso di idee costituenti la moralità può sorgere solo all’interno
dell’Ordine del Mondo, cioè all’interno del vincolo naturale che tiene uniti
insieme Dio e il genere umano; se l’Ordine del Mondo è spezzato, conta
solo il potere e il diritto del più forte è decisivo. Nel mio caso, la mancanza
di sincerità morale sta nel fatto che Dio Si pone fuori dall’Ordine del Mondo
dal quale Egli Stesso deve essere guidato... (Denkwürdigkeiten, p. 60).
Qui il figlio critica il maltrattamento a cui Dio (leggi il padre)
lo sottopone, ma non la premessa del padre riguardo al rapporto
fra la moralità e l’Ordine del Mondo.
Il dottor Schreber padre ritiene che ciò che sono in realtà i
suoi pregiudizi siano fatti “stabiliti dalla natura”:
È stabilito dalla Natura che l’educazione di un maschio è di regola
considerevolmente più difficile e richiede un grado più alto di energia di
quella di una femmina (1858, p. 165).
69
La famiglia che uccide
“Consigli e spiegazioni” riguardo al “pericolo della sensualità”
(che egli considera una “passione innaturale”) devono essere “sia
più circostanziati che più duri quando si tratta di maschietti piuttosto che di bambine” (ibid., p. 251). Può darsi che i suoi figli si
siano sviluppati così a causa della maggiore “energia” che probabilmente dedicò alla loro educazione.
Egli fa significare alla Natura tutto ciò che vuole: per esempio
accenna all’“innaturale pressione per una emancipazione completa
delle scuole dalla Chiesa” (1860, p. 17). Malgrado la mancanza
della minima prova scientifica a favore dei suoi precetti morali e
della maggior parte di quelli pseudo-medici, si oppone al “rozzo
empirismo” dei secoli precedenti con i suoi insegnamenti, presumibilmente superiori, tratti dalla “vita stessa,” dal “Libro della
Natura.”
Il dottor Schreber afferma che un altro dei suoi scopi principali è che le persone “raggiungano quell’elevazione morale che è
il coronamento della legge morale cristiana” (1858, p. 288). Suo
scopo è guidare il bambino “verso una pienezza, una nobiltà, un
calore di sentimenti e verso l’amore più puro in senso cristiano”
(ibid., p. 26).
Non vede nessun conflitto, attuale o potenziale, tra la legge
morale cristiana e ciò che egli chiama “la Natura e l’Ordine del
Mondo.” Ciò che egli considera come moralmente giusto è ciò che
egli considera naturale. Le leggi morali sono così profondamente
radicate in lui che considera le violazioni di esse come innaturali.
Egli crede di applicare la morale cristiana (secondo la sua interpretazione) all’educazione dei bambini e di farlo scientificamente. La teoria e i metodi delle cosiddette scienze sociali possono
essere applicati allo studio della legge morale cristiana (in qualunque modo essa sia compresa o messa in pratica) come uno degli
innumerevoli sistemi effettivi o possibili di legge morale. Ma non
è questo che egli intende col termine di scienza. Ritiene infatti che
la sua applicazione della legge morale cristiana all’educazione dei
bambini sia una scienza. La “scienza dell’educazione,” alla quale
crede che il suo sistema appartenga, è “una delle scienze più
importanti e più ricche fra le discipline intellettuali sorelle” (ibid.,
p. 24). Deplora il fatto che “nessuna università abbia istituito
una cattedra di questa materia” (p. 24). Quando sostiene che i suoi
70
Natura e innatura
precetti morali sono scientificamente validi, rende difficile per i
bambini e per la maggior parte della gente comune sfidare la sua
autorità, dal momento che egli è un medico. Anche oggi pochi si
accorgono che i medici spesso confondono la morale con la scienza.
Gran parte dell’attuale teoria e pratica psichiatrica è basata proprio su una tale confusione.1
Il dottor Schreber afferma di obbedire alle “leggi di Natura,”
ma in realtà si oppone alla Natura:
I nobili semi della natura umana germogliano nella loro purezza per
lo più spontaneamente se quelli ignobili (le erbacce) sono trovati e sradicati
in tempo. Bisogna farlo senza pietà e con energia (1858, p. 140).
La separazione di ogni singola pianta dall’erbaccia è un guadagno
importante per la vita (ibid., p. 162).
Secondo la botanica, le erbacce non appartengono a nessuna
specie in particolare; esse sono tutte quelle piante che crescono
dove un giardiniere non vuole che crescano. Proprio come le erbacce esistono nella mente del giardiniere, si fa per dire, così il dottor
Schreber definisce per conto suo le “erbacce” di cui parla. Sia le
vere “erbacce” sia quelle di cui parla il dottor Schreber crescono
naturalmente. Come può il dottor Schreber schierarsi con la Natura, mentre chiede di “sradicare” le erbacce?
Egli reprime severamente posizioni del corpo e movimenti
naturali (nel senso che non sono costretti), abitudini naturali nel
mangiare, forme naturali di sessualità, ecc. Per esempio, i bambini
non devono mangiare fra un pasto e l’altro:
Conseguenza inevitabile è una formazione del sangue incompleta e malata. Questo sbaglio molto diffuso nell’educazione dei bambini va considerato come la causa fondamentale della salute cagionevole e della debolezza
della nostra gioventù (p. 166).
1
Ho già sviluppato in precedenza questo concetto (Schatzman, 1970). In breve,
questo è il nocciolo della questione: la tradizione della medicina scientifica insegna a un
medico a tenere distinti il suo atteggiamento morale verso le persone malate e il suo
atteggiamento oggettivo, non morale, verso le loro malattie. Ma le opinioni morali dello
psichiatra e della società in cui vive determinano quali persone egli vede, etichetta e
tratta come malati mentali; egli considera “innaturali” alcuni atti come l’omosessualità e
la malattia mentale. Soprattutto se lavora in un ospedale psichiatrico, finisce per diventare
un sorvegliante della morale e un mediatore di regole. Tuttavia parla del suo lavoro con
termini presi a prestito dal modello medico: “sintomo,” “trattamento,” “remissione,”
“cura,” ecc. (Vedi anche Szasz, 1970.)
71
La famiglia che uccide
In termini medici, tutto ciò non ha alcun senso. Ma pare che
egli senta la necessità di sostenere la sua causa, come nelle discussioni riguardanti la posizione del corpo e la sessualità, facendola
passare per un fatto medico.
Inoltre si oppone a che i bambini mangino fra un pasto e l’altro
per una ragione morale: perché devono imparare l’“auto-negazione.” Quando cerca di perseguire i suoi importanti scopi sa essere
sadico. Si consideri questo sistema di abituare i bambini all’“autonegazione” prima che abbiano raggiunto l’anno di età. Nessuno
deve dare al bambino una briciola di cibo all’infuori dei tre regolari pasti quotidiani. La sua bambinaia deve metterlo a sedere sulle
ginocchia mentre lei mangia o beve ciò che vuole. Per quanto il
bambino voglia mangiare o bere, non gli deve dare niente.
Un bambino abituato così starà seduto tranquillo, giocando allegramente
o gingillandosi sulle ginocchia di chi lo sorveglia mangiando, senza dare il
minimo fastidio a causa di ciò... Preoccupatevi di mantenere nel bambino
abitudini solide e buone, facendo frequentemente uso di tali metodi. Se la
persona incaricata di sorvegliare il bambino è stata sufficientemente scrupolosa, ciò risulterà senza dubbio evidente dal comportamento del bambino.
Qualora un bambino mostri di desiderare una cosa o un’altra fuori luogo,
se ne deve certamente dedurre che qualcuno si sia mostrato debole nei suoi
confronti. Sono giunto a questa convinzione attraverso una sufficiente esperienza personale. E anche se tale infrazione è accaduta solo una volta (magari segretamente compiuta dalla bambinaia), apparirà senz’altro manifesta
alla prima opportunità nel comportamento del bambino, che pretenderà di
avere. Perciò non bisogna aver paura di accusare senza ragione l’ambiente
circostante il bambino, che può così essere controllato con facilità e con
sicurezza. Applicando questo metodo, un bambino non può mai ingannarci
(p. 64).
E aggiunge:
Questa è solo un’esperienza di poca importanza presa dalla mia cerchia
familiare. La bambinaia di uno dei miei figli, solitamente una persona molto
dolce, diede una volta a un bambino qualcosa fra un pasto e l’altro, benché
le fosse stato esplicitamente detto di non farlo... Si trattava di un pezzo di
pera che lei stessa stava mangiando... Senza altro motivo fu immediatamente
licenziata, perché avevo perso la necessaria fiducia nella sua incondizionata
correttezza (p. 64 n.).
72
Natura e innatura
La notizia di questo episodio si diffuse fra le bambinaie di
Lipsia e da quel momento, dice, non ebbe “ulteriori problemi di
errori con alcun’altra donna o bambinaia.”
Il metodo del dottor Schreber di insegnare a un bambino
l’astinenza consiste nello stabilire una gerarchia mediante la quale
trasmette il proprio potere alla bambinaia che lo trasmette a sua
volta al bambino. Solo al bambino è negato tutto. È notevole che
Schreber nel corso della sua “malattia di nervi,” molti anni dopo,
abbia vissuto “una gerarchia di poteri nel regno di Dio.” Forse
egli ha rivissuto la gerarchia di poteri nel regno del padre.
Il padre specifica dettagliatamente cosa devono mangiare e bere
ad ogni pasto i bambini fino a sette anni, cosa non devono
mai mangiare e bere, quando è permesso loro di bere acqua e
quando no, e che frequenza e che orario devono avere i pasti. A
giustificazione delle sue regole egli offre una mescolanza di ragioni
morali e pseudomediche: “corretta formazione del sangue,” “considerazioni morali,” “giusta diluizione dei succhi gastrici,” “protezione contro gli eccessi (e perciò contro la preponderanza delle
funzioni animali su quelle spirituali),” giusto “grado di metabolismo,” “costante regolarità,” pericolo di “rimpinzare lo stomaco”
e raggiungimento della “piena forza” da parte del sistema digerente (pp. 74-7, 166).
È indice di debolezza cedere ai gusti o ai capricci dei bambini.
Se un bambino non vuol mangiare il cibo che gli viene dato, bisogna “con molta fermezza” farglielo “finire completamente.”
A questi capricci non bisogna mai cedere fin dall’inizio; non bisognerebbe dare al bambino neanche un solo boccone di un altro cibo, finché
egli non ha completamente mangiato il cibo che aveva rifiutato... Dopo poche
applicazioni decise di questa massima, non ricapiterà più niente di questo
genere al bambino. Anche qui perciò è valido il proverbio: un punto a
tempo ne salva cento (pp. 76-77).
In questo modo ci si prende cura che il bambino non sia
“sovraccaricato da una grande quantità di manie sue proprie che
costituiranno inibizioni di vario tipo per la sua vita futura” (p. 77).
Uno stretto controllo dei genitori su cosa e quando i bambini
mangiano e bevono deve continuare fino all’età di diciassette anni,
è la “partecipazione a pasti esotici e stimolanti” è proibita prima
73
La famiglia che uccide
dei vent’anni (p. 278). Esercizi della posizione del corpo “le spalle
dovrebbero essere tenute indietro e la schiena diritta”) dovrebbero
essere fatti regolarmente due volte al giorno per dieci-quindici
minuti prima della colazione del mattino e della cena; costituiscono
una difesa contro “la sregolatezza e la negligenza” ed è un “buon
modo per ricordarlo ai bambini.” “Se riceverà o no il suo pasto,
sarà determinato dal suo comportamento durante gli esercizi per
la posizione del corpo” (p. 209).
Il padre chiede che un bambino disobbedisca al suo desiderio
naturale di mangiare. Forse il figlio rivive gli attacchi del padre
contro il suo appetito quando dice:
Per un certo periodo i miracoli erano diretti in preferenza contro il mio
stomaco, in parte perché le anime mi invidiavano il piacere dei sensi
connesso con l’ingerimento del cibo, in parte perché si consideravano
superiori agli esseri umani che richiedevano nutrimenti terreni; perciò
tendevano a guardare dall’alto in basso con un certo disprezzo i cibi e le
bevande (Denkwürdigkeiten, p. 151).
Per venire incontro alle richieste del sistema del padre, un
bambino dovrebbe imparare ad ignorare e a dimenticare di stare
ignorando tutti gli stimoli della fame (e anche della sazietà) provenienti dal suo sistema digerente. Effettivamente dovrebbe dimenticarsi, soprattutto fra un pasto e l’altro, di avere uno stomaco.
Scrive Schreber:
Esistevo spesso senza lo stomaco; dicevo esplicitamente all’inserviente...
che non potevo mangiare poiché non avevo stomaco. Talvolta, subito prima
dei pasti, uno stomaco era, si fa per dire, prodotto ad hoc dai miracoli
(ibid., p. 133-34).
Parlava anche dei suoi intestini scomparsi “in modo misterioso” (Baumeyer, 1956, p. 65).
Quando il dottor Schreber permette ai bambini di essere naturali, lo fa per “controllarli” e per imporgli più facilmente le sue
opinioni, cioè per minare la loro naturalezza:
Quando il bambino si trova fra i suoi compagni di gioco, è il momento
in cui la sua piena e spontanea individualità emerge maggiormente. La mancanza di coscienza di sé e di inibizioni apre i recessi più profondi della sua
vita interiore. È a questo punto che il bambino può essere controllato quasi
74
Natura e innatura
completamente... Genitori ed educatori... trovano qui un mezzo di osservazione e di affermazione del loro punto di vista educativo molto fruttuoso
(1858, p. 120).
Aggiunge:
Quella che segue deve essere considerata come la prima regola dell’educazione, con particolare riferimento ai giochi dei bambini: si scelgano esclusivamente quei giochi che danno libero sfogo alla spontaneità del bambino
all’interno dei limiti determinati da ciò che è concesso (ibid., p. 112).
Si noti come egli restringe la “spontaneità” dei bambini: i
genitori (1) scelgono i giochi, (2) stabiliscono quello che è concesso
e (3) decidono se un dato gioco si trova “nei limiti di ciò che è
concesso.” In questo contesto, parlare di “dare libero sfogo alla
spontaneità del bambino” è una mistificazione. Suggerisce anche
altre restrizioni:
Bisogna cercare di stabilire un corretto equilibrio e una giusta alternanza, che si accordino col temperamento del bambino, fra i giochi movimentati e quelli tranquilli (p. 113).
Così un certo numero di caratteristiche insoddisfacenti ed esagerate
della personalità del bambino, che sarebbe difficile correggere successivamente, può ora venire controllato facilmente (p. 113).
Dunque i genitori dovrebbero decidere (4) quali giochi sono
“tranquilli” e quali non lo sono, (5) quali “caratteristiche” sono
“insoddisfacenti ed esagerate,” (6) cos’è “il carattere del bambino”
e (7) qual è il “corretto equilibrio” fra i giochi che “si accorda”
con esso. Allo stesso modo l’uso dei giocattoli da parte dei bambini
è sotto il controllo dei genitori.
Non si permetta al bambino di giocare con più di un giocattolo nello
stesso tempo... Si faccia attenzione che il cambio sia fatto solo dopo che il
bambino ha impiegato sufficiente energia (fisica o mentale) col giocattolo
datogli... Soprattutto i giocattoli offrono la possibilità di trasformare la
pulizia e la cura per la proprietà e l’ordine in regole ben precise (p. 115).
In breve, i genitori hanno la possibilità di manipolare i bambini attraverso i loro giochi. Forse è a questo che il figlio si riferisce quando dice di essere vittima del “maledetto” gioco-con75
La famiglia che uccide
gli-esseri-umani [Menschenspielerei] (Denkwürdigkeiten c. 86).
I genitori, non i bambini, scelgono eventualmente le rappresentazioni teatrali che i bambini possono vedere.
Come semplice mezzo di divertimento o di intrattenimento, le rappresentazioni teatrali, come i drammi o le tragedie, sono dei piaceri raramente
consigliabili e dovrebbero essere concessi solo in occasioni molto limitate e
dopo una scelta molto accurata (1858, p. 259).
Non dice mai perché le rappresentazioni teatrali siano “piaceri
raramente consigliabili.” Forse egli pensava di proteggere la “stabilità psichica” dei bambini:
Un’indulgenza smodata ai piaceri dell’arte o un coinvolgimento troppo
esclusivo della vita nella sfera artistica alla fine esaurisce il sistema nervoso,
produce una sensibilità patologica, ipocondria, isteria e fantasie e ostacola
la stabilità fisica e psichica (ibid., pp. 292-93).
Per ironia i medici di suo figlio pensavano che egli fosse
affetto proprio da quelle sofferenze che il padre gli voleva evitare.
Il dottor Schreber inoltre stabilisce delle regole sul bagno dei
bambini: la temperatura dell’acqua per ogni età, i centimetri di
acqua nella vasca, quanti minuti deve durare il bagno e, in estate,
quanti minuti devono passare all’aperto prima di entrare nella
vasca (pp. 80-1). Specifica quante ore al giorno i bambini sotto ai
dodici anni devono passare all’aperto in ogni stagione. Se un
giorno le “circostanze” riducono il numero di ore, il giorno seguente il bambino deve stare all’aperto un numero maggiore di
ore. Le preferenze del bambino a questo riguardo non sono di
nessuna importanza.
Ho già menzionato i timori del dottor Schreber a proposito
dei danni che possono capitare a un bambino che stia sdraiato
troppo a lungo sullo stesso fianco. Avvertimenti contro “l’unilateralità” sono molto frequenti nei suoi scritti; usa il termine “unilateralità” a proposito del maggior sviluppo fisico di un lato del
corpo, destro o sinistro, rispetto all’altro. In molti casi interveniva
nella vita del bambino proprio per prevenirla. Non c’è neppure
bisogno di dire che i suoi allarmi sono privi di qualsiasi validità
scientifica.
Se un bambino impara a camminare tenuto per mano:
76
Natura e innatura
bisogna osservare un’eguale alternanza della destra e della sinistra, poiché i
muscoli del braccio e della spalla del bambino sono sottoposti a una maggior
attività dalla parte da cui è tenuto... Se questa alternanza fosse trascurata ne
risulterebbe una disuguaglianza nelle abitudini e nello sviluppo delle due
parti del corpo (p. 85).
In un capitolo intitolato “Forma del corpo, portamento e
abitudini” dice (1858), dei bambini fra uno e sette anni:
Un’abitudine molto cattiva consiste nell’appoggiarsi su di un solo piede,
mentre l’altro sta sospeso e sfiora appena il pavimento e tutta la parte superiore del corpo viene ad assumere un portamento irregolare e fiacco... La
posizione orizzontale dei fianchi è disturbata poiché la parte su cui si appoggia il peso del corpo si trova per forza a un’altezza maggiore dell’altra.
Questo provoca un’incurvatura ad S della spina dorsale che causa un portamento spostato e irregolare di tutta la parte superiore del corpo... Solo
attraverso un conseguente e, se necessario, severo rimprovero questa cattiva
abitudine può essere controllata.
Quando salgono [o scendono] le scale... i bambini di età inferiore ai
sei o sette anni non sanno fare un gradino dopo l’altro, a causa delle loro
gambe corte, ma sono obbligati a spingere una gamba dietro l’altra, gradino
per gradino. La maggior parte dei bambini sono abituati a farlo sempre dalla
stessa parte, senza cambiare gamba... Ciò può essere la causa di una formazione disuguale del corpo fragile e flessibile del bambino... Bisogna fare
attenzione che il bambino usi alternativamente entrambe le gambe salendo
le scale (pp. 101-2).
Occupa tre pagine complete nella spiegazione del principio
generale, di cui alcune frasi bastano a spiegare l’essenza:
È molto importante che le membra del bambino si sviluppino e si abituino esattamente nello stesso modo (p. 102; questo brano nell’originale
è in corsivo).
Per rispettare questa regola, che offre un notevole vantaggio pratico per
tutto ciò che concerne la salute e la futura occupazione, è importante che
nessuna parte del corpo sia dimenticata, che nessun braccio o gamba siano
trascurati in ogni movimento o attività... Il bambino deve imparare che
tutto quello che fa con un braccio o con una gamba deve farlo anche con
gli altri, alternandoli regolarmente (pp. 102-3; quest’ultima frase è in corsivo nell’originale).
Bisogna fare “speciale attenzione” che un bambino avente una
età compresa fra uno e sette anni usi alternativamente entrambe le
mani per raccogliere e trasportare le cose. Lo stesso vale per
77
La famiglia che uccide
arrivare... alle maniglie della porta (che sono poste all’altezza degli adulti) che
causa un sollevamento del braccio e della spalla e uno stiramento di tutta
questa parte del corpo (p. 105).
“L’alternanza fra la destra e la sinistra è necessaria” nei giochi,
specialmente della palla, della trottola e dei dadi, [che] richiedono lo sforzo
muscolare di una sola parte del corpo... Le bambine devono tenere in braccio
le bambole sia con la destra che con la sinistra (pp. 105-6).
Le seguenti affermazioni sono tratte da una parte dedicata ai
ragazzi dai sette ai sedici anni: “Nuotare su un fianco... è particolarmente sconsigliabile.” Avverte di non “stare seduti goffamente
(su un solo fianco)”:
In questa posizione, un gomito si appoggia al tavolo mentre l’altro
rimane sospeso. A ciò si accompagna sempre una contorsione più o meno
pronunciata del tronco e un esame più attento di un bambino che stia seduto
così rivelerà sempre che una spalla è più bassa dell’altra... Questa abitudine
difettosa è una delle cause più frequenti... della formazione di curvature della
spina dorsale (p. 200).
Proibisce molti strumenti musicali per evitare l’“unilateralità”:
Anche suonare il clarinetto, il corno o l’oboe potrebbe essere ritenuto
dannoso a questo proposito se non fosse già sconsigliato ai bambini a causa
dello sforzo a cui sarebbero sottoposti i polmoni. D’altra parte suonare
qualunque strumento a corda (compresi l’arpa, il flauto, la cetra e la chitarra)
è ovviamente dannoso per la posizione e lo sviluppo fisico del bambino
(p. 211).
Per la stessa ragione sconsiglia “di portare i bambini più piccoli
con un solo braccio, di portare cartelle pesanti o bidoni d’acqua,
ecc.” (p. 212). Vieta inoltre “di disegnare e dipingere al cavalletto
poiché ciò fa assumere alle spalle una posizione notevolmente
diseguale e non è possibile una reale alternanza” (p. 213).
Per prevenire “l’unilateralità” nelle bambine, critica la forma
delle sottovesti:
È inevitabile che le stringhe, che sono spesso legate senza cura e irregolarmente sopra ai fianchi, siano tirate e stringano più da una parte che
dall’altra, provocando la tendenza a tirare in dentro uno dei fianchi (p. 192).
78
Natura e innatura
A proposito del cucito, del ricamo e delle trecce, dice:
Oltre al fatto che in queste attività, come in tutte quelle che richiedono di stare seduti, bisogna evitare di incurvare la schiena, bisogna ricordarsi che cucire con un filo lungo non è adatto per delle ragazzine, a causa
dei regolare sollevamento del braccio e della spalla di uno stesso lato, che
può facilmente portare a una deformazione della spalla. Per la stessa ragione
il ricamo al telaio non è adatto per le bambine (p. 212).
Le bambine che si intrecciano i capelli devono farlo alternativamente
dalla parte destra e da quella sinistra (p. 213).
Aggiunge molti altri esempi spesso accompagnati da spiegazioni
pseudo-ortopediche, dicendo che non si tratta di una lista esauriente
ma di un’illustrazione dei giusti principi e di una “guida” per tutte
le attività.
In base a un resoconto dell’ospedale (Baumeyer, 1956) dirà, a
proposito della condotta del figlio: “La sua posizione e la sua andatura sono rigide, i suoi movimenti duri e spigolosi” (p. 65). Forse
egli stava cercando di evitare “il portamento irregolare e fiacco,”
“l’incurvatura della schiena,” “la diversità nella posizione delle
spalle,” “l’incurvatura ad S della spina dorsale,” “lo sviluppo unilaterale dei muscoli degli arti” ecc., tutto in una volta.
È divertente notare come il figlio sapeva ostacolare i fini del
padre. Il dottor Weber, nel 1902, quando il figlio aveva sessanta
anni, allude alla “strana posizione” della sua testa (Appendice alle
Denkwürdigkeiten, p. 466). Baumeyer (1970) conobbe recentemente una donna di settantanove anni che era stata adottata all’età di
tredici anni dalla moglie di Schreber figlio ed era vissuta con lui
durante il periodo in cui non era in ospedale dal 1903 al 1907; disse
che aveva sempre la testa inclinata da una parte. Che si trattasse
di una sfida tardiva o di una beffa nei riguardi degli scopi del
padre?
Come abbiamo visto, “l’unilateralità” non è l’unico tipo di
malformazione fisica il cui timore porta il padre a limitare le attività dei bambini, né l’ansietà circa il cattivo sviluppo del corpo è
l’unica ragione per limitarne i movimenti. Quasi tutti i movimenti
che un bambino può fare dalla nascita fino alla vita adulta cadono
sotto una di queste restrizioni, in quanto dovrebbero o essere “equi79
La famiglia che uccide
librati” da movimenti uguali compiuti con l’altro lato del corpo,
o essere proibiti. In queste condizioni suo figlio deve aver pensato
che talvolta fosse meglio non muoversi affatto.
Parte del tempo che Schreber trascorse in ospedale psichiatrico
fece esattamente questo:
La mia vita esterna era estremamente monotona a quell’epoca, i primi
mesi della mia permanenza a Sonnenstein. Ad eccezione delle passeggiate
quotidiane, la mattina e il pomeriggio, in giardino, stavo per lo più seduto
immobile per tutto il giorno su una seggiola al mio tavolo... Anche in giardino preferivo rimanere seduto sempre nello stesso posto (pp. 140-1, corsivo
nell’originale).
Si può considerare la sua immobilità come il “trasformato” di
una posizione che da bambino avrebbe dovuto assumere o temere
di non assumere.
Il dottor Weber dice che Schreber “sedeva per ore completamente rigido ed immobile” (Appendice alle Denkwürdigkeiten,
p. 380). Weber non si rende conto che il comportamento di Schreber poteva essere comprensibile facendo riferimento alla sua educazione o mediante altre considerazioni di carattere psicologico; lo
chiama “stupore allucinatorio.” Il padre di Schreber gli aveva proibito non solo di stare seduto su un fianco ma anche di sedere col
“petto compresso,” con “la parte superiore del corpo piegata molto
in avanti e la testa chinata in giù” e con le gambe incrociate (a causa
di “arresti nella circolazione del sangue e di altre delicate ragioni”)
(1858, p. 200). La posizione seduta del figlio, “rigida e immobile,”
potrebbe essere un tentativo, o il ricordo di un tentativo, di adattarsi a un insieme di ingiunzioni miranti a comandare quasi tutte
le sue posizioni e i suoi movimenti.
Schreber dice, a proposito della propria immobilità: “L’ho conservata spontaneamente per un certo tempo, finché non mi sono
reso conto che era senza scopo.” Dice di essere “convinto” di una
sua necessaria “connessione” “con Dio che non sa come trattare un
essere umano” e con le “idee più o meno assurde” di Dio “che
erano tutte contrarie alla natura umana” (Denkwürdigkeiten, p.
141).
80
Capitolo sesto
Il sesso: padre e figlio
Poche persone sono state educate secondo principi morali così rigidi come me e hanno seguito
durante la loro vita una tale morigeratezza, particolarmente riguardo al sesso, quale io oso esigere
da me stesso.
DANIEL PAUL SCHREBER, Denkwürdigkeiten, p. 281.
Essere libero significa non essere sottoposto a costrizioni. Nessun comportamento, né alcuna esperienza, è casuale; ognuno è in
parte non libero. Ma le persone subiscono diversi gradi di costrizione. Può accadere infatti che le costrizioni riguardino poche libertà,
oppure molte. Quando si definisce qualcuno “rigido,” “inibito,”
“costretto,” “fissato,” “legato,” ecc., si vuole dire che egli evita
possibilità di esperienza e di comportamento che noi ci concediamo.
Si osservi il comportamento di un individuo e si consideri un
insieme di possibilità più ampio di quello messo in atto da questa
persona. Perché il suo comportamento è limitato solo ad alcune
possibilità? Perché questi limiti e non altri? Cosa sono e dove sono
le costrizioni e quale ne è l’origine?
Una costrizione è una sorta di relazione fra due insiemi di
elementi. Quando la varietà in un insieme visibile è minore di
quella in un insieme possibile, ci troviamo di fronte a un caso di
costrizione. Le costrizioni rendono un insieme più piccolo di quanto potrebbe essere. L’insieme più ampio sarebbe presente se
non ci fossero le costrizioni. Teoreticamente è possibile (benché
impossibile in pratica) specificare tutte le costrizioni che regolano
il comportamento di un individuo in una data situazione. Più costrizioni ci sono, meno c’è possibilità di scelta, meno flessibilità.
81
Lafamiglia che uccide
Gli individui sottoposti a una diagnosi psichiatrica sono di
solito severamente costretti. Fra le altre costrizioni, ce ne sono
alcune che impediscono loro di evitare, o di capire come evitare,
di porsi in una situazione in cui uno psichiatra possa affibbiare loro
un’etichetta.
Un “fobico” è chiamato così poiché soffre di una costrizione
per cui non può, per esempio, entrare in un ascensore o in una
metropolitana senza avere paura. Un cosiddetto pervertito sessuale
è chiamato così non solo per le sue azioni o i suoi interessi sessuali,
ma perché si ritiene che sia costretto a non avere una relazione
genitale eterosessuale. Succede più raramente che un individuo
etichettato come schizofrenico o paranoico sia considerato rigidamente costretto. La cartella clinica di tale individuo generalmente
registra ciò che egli dice e fa, quasi mai ciò che trascura di dire
e di fare. Può darsi che qualcuno parli da schizofrenico, perché
sente che non gli è permesso di dire quello che ha da dire in modo
semplice e diretto.
Si può ritenere che gran parte della cosiddetta pazzia di Schreber sia il risultato della somma degli adattamenti alle costrizioni
a cui il padre lo sottoponeva. Ho già mostrato come possa aver
sofferto a causa di una regola che gli impediva di identificare il
padre come suo persecutore.
Schreber, durante gran parte della sua “malattia di nervi,”
non mostrò alcun interesse, per quanto ne sappia, per le normali
attività o sensazioni sessuali. I suoi medici non accennarono mai
a questa assenza. Forse delle costrizioni impedivano loro di notare
che delle costrizioni mantenevano la coscienza di Schreber lontana
dalle sensazioni sessuali. In questo capitolo prenderò in esame la
possibile origine del suo celibato, sia di pensiero e sia di fatto.
Il trionfo dello spirito sulla materia: il dottor Schreber padre
dice più volte che il suo sistema di educazione infantile incarna e
può raggiungere questo scopo.
Secondo l’idea divina della creazione del genere umano... tutti gli sforzi
individuali dovrebbero tendere a raggiungere direttamente o indirettamente
questa meta altissima: la massima elevazione e il massimo rafforzamento
della autoconsapevolezza della morale cristiana che sia umanamente possibile, la vittoria in continua ascensione della natura spirituale sulla natura
82
Il sesso: padre e figlio
corporale [Körper-Natur], l’illuminazione spirituale del genere umano (1860,
p. 11).
La legge del progresso verso il meglio, il più nobile, il più perfetto,
la legge della strenua lotta verso il divino, la legge della vittoria graduale
dello spirito sulla materia... passa attraverso tutta la storia del genere umano
come l’onnipotente spirito di Dio... Ogni nuova generazione ha il compito
di confluire in questa corrente, visibile solo all’occhio spirituale... non solo
di essere uguale ai propri genitori, ma di diventare più perfetta, per affidare
alla generazione futura un patrimonio accresciuto (ibid., p. 15).
Scrive nel linguaggio millenario delle menti più aperte della
umanità. “Lo spirito sopra la materia” è stato anche uno slogan
degli apostoli ben intenzionati che vorrebbero semplicemente soffocare la nostra vita sessuale nel nome della purezza di Dio.
Il dottor Schreber aveva delle opinioni riguardo al sesso che
erano in armonia con lo spirito del suo tempo e che ai nostri giorni
sarebbero ritenute senz’altro strane in molti ambienti, benché non
in tutti, e sostenne le sue opinioni con argomenti morali e con
alcune idee sulla salute fisica e psichica, che scambiò per verità
costituite. Per esempio, egli è contrario a che i vestiti delle ragazze
siano “così scollati da poter facilmente scivolare giù dalle spalle”:
Ciò produce una sensazione di scomodità, che induce un sollevamento
continuo e disuguale delle spalle e un movimento di esse avanti e indietro
che facilmente divengono, col passare del tempo, la causa dell’origine di
permanenti abitudini e posizioni scorrette (1858, p. 189).
Parlando dell’apparire dei “semi della passione” nei bambini
dai sette ai diciassette anni, dice:
Dovremmo applicare qui la regola generale; tutte le ignobili o immorali... emozioni devono essere soffocate al loro primo apparire con un’immediata diversione o una diretta soppressione. Generalmente, questa regola
basilare si riferisce al controllo fisico e morale di tutti gli aspetti fisici della
sensualità nel senso più ampio della parola... (ibid., p. 241).
Il figlio scrive nelle sue Denkwürdigkeiten:
In particolare una notte fu decisiva per il mio collasso mentale; durante
la notte ebbi un numero abbastanza insolito di polluzioni 1 (forse mezza
1
Sia il figlio sia il padre usano questo termine per ciò che chiamiamo “sogno bagnato,” cioè emissione di sperma durante il sonno. Usare la parola “polluzione,” che
83
Lafamiglia che uccide
dozzina). Da quel momento in avanti apparvero i primi segni di comunicazione con i poteri soprannaturali... (p. 44).
Le affermazioni del padre sulle “polluzioni” chiariscono perché
una notte di “polluzioni” fu così “decisiva” per lui.
Il padre ritiene che le “polluzioni” siano la causa o l’effetto
(non è ben chiaro se l’una o l’altro) di “eccessiva tensione nervosa” e di “sovraffaticamento dei nervi”; raccomanda degli esercizi
muscolari come “rimedio” e “cura.” Nel suo libro, Ginnastica
medica da camera, afferma:
L’esercizio muscolare sotto la guida di un medico... può diventare un
rimedio importante o, comunque, un fattore indispensabile per la cura
di tutti i casi di paralisi muscolare, sovreccitamento o fiacchezza del sistema
nervoso, ipocondria del sistema nervoso e isteria, polluzioni malsane e debilitanti, disturbi mentali e alcuni attacchi convulsivi cronici come il ballo di
San Vito, l’epilessia, ecc. (1898, p. 9).
In un capitolo intitolato “Prescrizione contro polluzioni insalutari, debilitanti e frequenti” (ibid., p. 79) suggerisce un regime di
sedici esercizi per prevenire le “polluzioni” o i loro effetti immaginari. Gli esercizi devono essere fatti da quattro a cento volte al
giorno, secondo il tipo di esercizio e secondo l’allenamento. Si
tratta di “roteazione delle braccia,” “sollevamento laterale delle
braccia,” “spinta indietro dei gomiti,” “unire le braccia avanti,
indietro, in alto,” “movimento avanti e indietro,” “battere le
braccia insieme,” “gettare le braccia da una parte,” “mettersi seduti,” “fare il movimento di falciare,” “fregarsi con forza le mani,”
“fare il movimento di spaccare con l’ascia,” “ondeggiamento laterale delle braccia” e “movimento avanti e indietro” (di nuovo).
Egli illustra ogni esercizio con un disegno; specifica se bisogna
fare intervalli “per respirare profondamente” e se bisogna usare
i pesi. Precisa che gli esercizi non devono essere fatti “dopo il
pasto serale.” Nei casi “ostinati,”
È anche consigliabile prima di andare a letto... fare un semicupio a
una temperatura compresa fra i 12 e i 15 gradi, per sei-otto minuti, o un
semplice clistere di acqua alla stessa temperatura che dovrebbe essere tratindica impurità e contaminazione, significa presupporre che sia dannosa. [Il termine inglese
pollution significa fra l’altro “contaminazione,” “inquinamento,” “corruzione.” (N.d.T.)]
84
Il sesso: padre e figlio
tenuto il più a lungo possibile (perciò non troppo abbondante) e durante
la notte, in questo caso come eccezione, invece di dormire sulla schiena —
si consideri quest’abitudine come un’alternativa — dormire su un fianco; e
la mattina, non la sera, si lavino le parti attorno agli organi sessuali e il
perineo con acqua fredda (ibid., p. 80, traduzione purgata).
Come è strano il comportamento del padre! Mi chiedo quale
invenzione della sua immaginazione purificasse con i clisteri, e
dove e come abbia imparato che i clisteri hanno questa funzione.
Con questi procedimenti il dottor Schreber si affida alla magia
per affrontare le sue paure della “polluzione,” ma non si accorge
di affidarsi alla magia. In chiunque fosse stato abituato a farne uso,
questi rituali avrebbero potuto generare delle paure riguardo agli
effetti delle “polluzioni.”
Alcuni uomini mettono in scena dei cerimoniali di tipo ossessivo per evitare la propria ansia. I loro rituali possono indurre ansia
in altri, specialmente in coloro che ne sono testimoni da bambini
e sono educati con questi mezzi. Le pratiche ossessive di un individuo possono creare negli altri un senso di pericolo.
Ritengo che l’elemento “decisivo” del “collasso mentale” del
figlio non fossero le “polluzioni” in quanto tali, ma l’opinione che
le “polluzioni” potessero essere “malsane” e “debilitanti.” I rituali
del padre rappresentavano e comunicavano questa opinione. Il padre, come tutti gli altri suoi contemporanei che cercavano di “curare” coloro che eran soliti avere “polluzioni,” non si rendeva
evidentemente conto che questa paura poteva aver indotto in loro
proprio quegli effetti psicologici che le “cure” dovevano prevenire.
Il padre non approva nessun tipo di attività sessuale in nessuno
dei suoi scritti. Questa omissione è particolarmente sorprendente
nel libro Ginnastica medica da camera, dove incoraggia i lettori,
almeno in linea di principio, ad usare i loro “poteri corporali,” a
non dimenticare “le richieste del fisico” e a “obbedire alla Natura,”
che “punisce coloro che le si oppongono,” spesso “molto violentemente.” “Saranno saggi coloro che comprendono e assecondano al
primo cenno la Natura che reclama i propri diritti...” (p. 16).
In questo libro di 98 pagine egli menziona il sesso solo una
volta (eccetto quando parla delle “polluzioni”) e presenta, sbagliando, “l’esaurimento sessuale” come causa dei
85
Lafamiglia che uccide
disturbi della mezza età — numerosi disturbi intestinali cronici, emorroidi,
arresti del sangue, sintomi di gotta, attacchi di asma, ipocondria, isteria,
melanconia, sintomi di paralisi, attacchi apoplettici e così via (pp. 15-16).
Discutendo nella Kallipädie il valore della ginnastica, afferma,
sempre erroneamente:
L’esercizio di un movimento fisico vigoroso porta a questa età un altro
importante vantaggio e previene uno sviluppo prematuro della maturazione
sessuale, risultato di una vita indolente, molle e dissipata (1858, p. 177).
Proibisce la masturbazione, talvolta senza dire cosa proibisce,
perché la proibisce, perché non dice cosa proibisce o che c’è qualcosa che non dice. Suppongo che, non specificando l’oggetto della
sua proibizione, egli speri di incoraggiare i genitori e gli insegnanti
a trovare il modo di dire a un bambino di non masturbarsi senza
dirglielo esplicitamente; infatti reprimere il comportamento di qualcuno è più facile se costui non sa cosa è represso. Ma il dottor Schreber non dice nemmeno questo. Comunque, non lascia alcun dubbio
sulle sue opinioni a proposito della masturbazione:
Bisogna fare una grande attenzione che i bambini si alzino
immediatamente appena svegli la mattina e non stiano mai a letto svegli o
semi-addormentati... Infatti a ciò è per lo più connessa la tentazione di
pensieri impuri. Le segrete fantasie sessuali dei bambini e delle bambine, ben
note ai medici, ci insegnano che bisogna fare una grande attenzione a questo
punto, già molti anni prima dello sviluppo della pubertà. Proprio per questa
ragione... è assolutamente preferibile che dormano, d’ora in avanti, a meno
che non seguissero questa abitudine già da prima, in una stanza non
riscaldata (ibid., p. 172).
Più avanti scrive:
Il carattere morale del bambino è esposto a seri pericoli derivanti dal
suo stesso corpo. Le conseguenze più ampie di questi pericoli possono esercitare un effetto rovinoso sull’organismo del bambino. Tali sono gli impulsi
collegati allo sviluppo sessuale (p. 256).
Secondo lui queste “spinte” possono sviare un bambino verso
“peccati segreti.” “Bisogna prestare costantemente un’osservazione
molto attenta.”
Il figlio dice che “miracoli molto dolorosi erano diretti” contro
86
Il sesso: padre e figlio
il suo “condotto seminale” (Denkwürdigkeiten, p. 153). Può essere
che il figlio stesse vivendo le espressioni di ansia del padre riguardo
alla masturbazione e all’emissione di sperma come attacchi rivolti
contro il suo condotto seminale.
Il figlio non si masturbava. Riteneva che l’accusa che egli si
masturbasse dovesse meritare una punizione al suo accusatore; questo implica il fatto che egli considerava la masturbazione come un
crimine. Dice:
Il capo-sorvegliante dell’Istituto merita una menzione particolare. Proprio il giorno del mio arrivo le voci dicevano che... [egli aveva] dato delle
prove false contro di me, apposta o per sbaglio, in una pubblica inchiesta,
e, in particolare, mi aveva accusato di masturbazione; come punizione per
questo ora deve essere il mio servo nella forma di un uomo-improvvisatotransitorio (ibid., p. 108).
Suppongo che il motivo per cui Schreber punisce il suo “accusatore” sia questo: Schreber pensa alla masturbazione, ma condanna il pensiero come cattivo, nega che il pensiero sia suo (benché
lo sia), nega la negazione e nega che qualcosa sia negato, nega che
la condanna del pensiero sia sua (benché lo sia) e sposta la condanna su una parte di se stesso (capo-sorvegliante) che separa da se
stesso e immagina che pensi, “falsamente,” che egli (Schreber) si
masturbi. Questa parte di se stesso vede, giustamente, che egli
(Schreber) pensa alla masturbazione, ma lo accusa di masturbarsi.
Per l’“accusatore,” come per Schreber che lo crea, pensare alla
masturbazione è come masturbarsi. Ne deduco che Schreber non
possa tollerare l’accusa perché ritiene così cattivo il pensiero di masturbarsi (o la masturbazione stessa). Per liberarsi completamente
dal “cattivo” pensiero della masturbazione, che diede inizio a questa serie di operazioni, condanna l’accusa (cioè il pensiero del pensiero di essa) come falsa e punisce 1’“accusatore.”2
Sia il padre sia il figlio si comportano come se una regola proi2
Gli “uomini-improvvisati-transitori [flüchtig hingemachte Männer]”, dice Schreber,
sono anime temporaneamente sotto spoglie umane. Sono esseri umani incompleti, improvvisati, transitoriamente-improvvisati, transitori nel loro essere. Dice che questo stato era
“una umiliazione moderatamente insultante [che] doveva essere il destino di coloro che
avevano peccato in vita” (p. 108 n.). La transitorietà della punizione del capo-sorvegliante
potrebbe riferirsi alla transitorietà del pensiero di Schreber sulla masturbazione, e l’improvvisazione del suo stato al fatto che Schreber lo improvvisasse per quest’episodio.
87
Lafamiglia che uccide
bisse di pensare direttamente al piacere della masturbazione. Il
padre descrive come evitare la “tentazione” dei bambini di cadere
in questo pensiero; egli stesso deve avere pensato alla masturbazione; come si può infatti pensare al modo di aiutare altri a evitare
la “tentazione” di pensare a qualcosa senza, in un certo senso, pensarci noi stessi? Il suo genere di pensiero, tipico della società occidentale, non è considerato patologico. Il figlio pensa alla masturbazione e ne fa menzione (benché non al piacere ad essa connesso),
ma nega di essere lui stesso a pensarvi. Inoltre si libera dalla responsabilità di questo pensiero mediante la negazione della negazione,
lo spostamento, la scissione e altre operazioni che insieme formano
un prodotto complesso che è considerato patologico. Ritengo che
etichettare come patologico un insieme di operazioni e non l’altro,
sia semplicemente una convenzione.
Il padre pensa che i genitori devono anche “interrompere”
[abschneiden] le relazioni sessuali di un bambino con altri.
Quando si avvicina per il bambino il passaggio alla vita adulta è un
dovere dei genitori o dei sorveglianti tener lontani i numerosi pericoli del
caso o le conoscenze casuali che comportino relazioni sessuali... L’esperienza
dimostra che di gran lunga la maggioranza di coloro che hanno ceduto alla
lussuria in un modo o nell’altro sono sprofondati in questo stato a causa
dell’ignoranza originaria dei pericoli... Questi consigli esplicativi devono
essere sia più particolareggiati che più pressanti quando si tratta di maschietti
piuttosto che di bambine (1858, p. 251).
Il suo consiglio è di fare appello al “senso dell’onore” del
bambino.
A quale “esperienza” si riferisce come “prova” di “pericoli,”
e di chi? Sembra che egli voglia alludere a un danno morale (“cedimento alla lussuria”) dal suo punto di vista di medico, cioè di
esperto di scienze applicate.
Il figlio, spiegando le sensazioni di “voluttà dell’anima” che
prova anni dopo, mostra gli effetti della sua educazione sui suoi
pensieri.
La semplice bassa sensualità non può... essere considerata un motivo nel
mio caso; se la soddisfazione del mio principale orgoglio fosse ancora possibile, la preferirei di gran lunga; né mai tradirei alcuna lussuria sessuale
a contatto con altre persone (Denkwürdigkeiten, p. 281).
88
Il sesso: padre e figlio
Il padre di Schreber induceva i bambini a temere i sogni sessuali, impediva loro (con delle allusioni) di masturbarsi e tratteneva
i loro desideri sessuali verso gli altri. Col figlio ottenne l’effetto
desiderato:
Poche persone sono state educate secondo principi morali così rigidi
come me e hanno seguito durante la loro vita una tale morigeratezza, particolarmente riguardo al sesso, quale io oso esigere da me stesso.
Le opinioni del padre riguardo al sesso appaiono come immagini negative nell’esperienza del figlio. Il padre non sottoscrive
mai e neppure menziona il piacere sessuale genitale; così fa anche
il figlio, tranne che per negare di averlo provato. Poiché il figlio
descrisse accuratamente le sue sensazioni corporali, ciò che trascurò
di dire è significativo.
Si sa che il figlio si sposò a trentasei anni e non divorziò; non
sappiamo come fosse la sua vita sessuale prima di essere ritenuto
pazzo. Durante la sua “malattia di nervi” ebbe un’unica relazione,
simile a una relazione sessuale, con i “raggi” o i “nervi” di Dio (o
con se stesso). Afferma di sentire “delle strutture a forma di stringa
o di corda” sotto la pelle, per tutto il corpo e specialmente nel
petto (p. 277) e pensa che attraggano i “nervi” o i “raggi” di Dio.
Ritiene che, quando i “nervi” o i “raggi” di Dio si ritirano da lui,
queste strutture
si allontanino per miracolo; ne consegue che le strutture da me chiamate
“nervi di voluttà” sono spinte un po’ sotto la superficie, cioè non sono così
chiaramente palpabili sulla pelle, il mio petto diventa un po’ più liscio, ecc.
Ma quando poco dopo i raggi devono avvicinarsi di nuovo, i “nervi di voluttà”... diventano più manifesti, il mio petto si gonfia di nuovo, ecc. Attualmente questi cambiamenti avvengono in un periodo non più lungo di pochi
minuti (p. 278).
Continua:
Posso provocare la sensazione di voluttà in qualunque momento mediante una leggera pressione di queste strutture. Perciò sono giustificato se
uso l’espressione nervi di voluttà (p. 279).
Dice di esercitare una pressione su questi “nervi” “non per
lussuria sessuale,” ma perché è “assolutamente obbligato a farlo
89
Lafamiglia che uccide
se voglio riuscire ad addormentarmi o proteggermi contro una pena
altrimenti per lo più insopportabile” (p. 277). Questo è probabilmente tutto il “sesso” che il figlio considerava consentito a se stesso,
data la somma delle proibizioni esplicite e implicite con cui egli era
stato allevato.
Strane esperienze sessuali e un altrettanto strano comportamento
possono sorgere da restrizioni imposte nei riguardi di piaceri sessuali spontanei durante i primi anni di vita. Quanto più strani sono
i modelli di comportamento sessuale di un individuo, tanto più è
probabile che altre sue forme di sessualità meno strane siano state
compresse. Il modo insolito con cui una persona raggiunge un
soddisfacimento sessuale (o quasi sessuale) può essere l’unico che
ritiene consentito a se stesso.
Schreber si sente eccitato alla presenza di Dio e chiama questo
stato voluttà dell’anima. Suo padre aveva chiuso o ostruito canali
molto familiari di espressione sessuale nelle persone che controllava.
Ne deduco che la voluttà dell’anima sia una delle poche vie che il
figlio consideri aperte alla sua energia sessuale.
Sia Bleuler che Freud discussero sulla sessualità delle persone
considerate paranoiche. Bleuler (1924) diceva:
Probabilmente non è un caso che in tutti i paranoici osservati da vicino... ho trovato una sessualità particolarmente debole, il che può provocare
un’insufficienza di impulsi in generale... (p. 531, corsivo dell’originale).
Freud riteneva che ciò che egli chiamava la “megalomania” di
Schreber figlio e delle persone come lui fosse basata su un ritiro
della libido, cioè dell’interesse erotico, dalle persone del proprio
ambiente e dal mondo esterno in generale (Freud, 1911, p. 414 e
1914, p. 304).
Né Bleuler né Freud considerarono il fatto che una “debole
sessualità” o un “ritiro della libido” potrebbero essere delle risposte a un’educazione che avesse reso difficile essere o comportarsi
altrimenti.
Dobbiamo a Wilhelm Reich, che fu respinto dai suoi colleghi,
il fatto di aver sottolineato le connessioni fra la repressione sessuale
e il tipo di famiglia che egli chiamava autoritaria. I bisogni sessuali, proprio per la loro natura, richiedono contatti con persone
estranee a se stessi e di solito anche alla famiglia d’origine. Alcuni
90
Il sesso: padre e figlio
genitori, reprimendo ogni atto e sensazione sessuale nei propri figli,
li incapsulano all’interno della famiglia. Tutti i sociologi, orientali
e occidentali, marxisti e capitalisti, hanno trascurato di studiare
questo tipo di famiglia e il possibile rapporto fra il suo prevalere in
una certa società e la forma di governo di quella società. Reich era
sicuro che la famiglia “autoritaria” fosse la matrice dello stato totalitario. Stranamente, nessuno ha cercato di scoprire se aveva
ragione.
Il dottor Schreber, impedendo il libero sviluppo della sessualità
del figlio, gli rese difficile tagliare i suoi legami con la famiglia di
origine e sostituirli con altri. Ostacolò la relazione genitale del
figlio col suo stesso corpo e con altre persone. Il figlio, in seguito
al suo secondo ricovero in ospedale, tornò a vivere con la madre;
egli aveva allora sessant’anni (Baumeyer, 1965, p. 65). E, fatto
ancor più significativo, durante la sua “malattia di nervi,” nella sua
relazione con Dio, rivela di essere ancora incastrato nella forma di
rapporto che aveva avuto col padre da bambino.
91
Capitolo settimo
Il linguaggio del corpo
Il discorso dell’inconscio ha la struttura di un
linguaggio. L’inconscio è il discorso dell’Altro.
JACQUES LACAN
La prossima rivoluzione dell’uomo nel suo concetto di sé può
venire da alcune conclusioni della scienza della linguistica. Forse
la rivoluzione è già cominciata.
Recentemente alcuni hanno cercato di prendere in considerazione i vantaggi di considerare gli strani comportamenti e le strane
esperienze di certi individui che finora sono rientrati nel dominio
della psichiatria come prove non di malattia, ma di un modo insolito
di parlare con gli altri e con se stessi. Jacques Lacan, psicoanalista
francese, ha riesaminato i casi clinici originali di Freud in questa
prospettiva e ha affermato che “il sintomo stesso ha la struttura
di un linguaggio” (Wilden, 1968, p. 32) e che il linguaggio fornisce
una “grammatica” che governa ciò che Freud chiamava l’inconscio.
Lacan considera linguaggio l’Ordine, la Legge che i genitori, arruolati dalla società, impongono su ogni bambino come su una recluta.
In America, Thomas Szasz (1961), psichiatra e psicoanalista,
ha paragonato “la cosiddetta malattia mentale” ai linguaggi:
Benché il concetto di psichiatria come analisi della comunicazione non
sia una novità, non tutte le implicazioni dell’idea che le cosiddette malattie
mentali possano essere considerate come linguaggi, non già come malattie
somatiche, risultano abbastanza esplicite... Noi siamo abituati a pensare che
le malattie abbiano “cause,” che comportino “trattamenti” e siano suscettibili di “cura.” Se, tuttavia, un individuo parla una lingua che non è la
nostra, di solito noi non ci mettiamo alla ricerca della “causa” del suo
particolare comportamento linguistico. Sarebbe sciocco e, va da sé, inutile,
92
Il linguaggio del corpo
occuparci dell’“eziologia” del fatto di parlare francese; per comprendere il
comportamento relativo, dobbiamo pensare in termini di apprendimento e di
significato...
Se un cosiddetto fenomeno psicopatologico è più affine a un problema
di linguaggio che a una malattia, ne consegue che non possiamo parlare
sensatamente di “trattamento” e “cura.” Per quanto sia ovvio che, in determinate circostanze, può essere desiderabile, per un individuo, passare da
una lingua all’altra — ad esempio, smettere di parlar francese e cominciare
a parlare inglese —, tale mutamento di solito non è formulato in termini
di “trattamento.” Parlare di apprendimento anziché di eziologia dà modo
di constatare come ognuna delle diverse forme di comunicazione abbia la
sua propria raison d’être... (pp. 15-16).
Alcuni ritengono che ciò che viene chiamato oggi malattia mentale possa un giorno appartenere non al dominio dei medici ma a
quello dei linguisti e degli studiosi di comunicazione. In questo
capitolo cerco di collegare alcune esperienze considerate segni e sintomi di una malattia mentale con modelli di linguaggio. Non sono
il primo a fare questo tentativo, ma il mio modo di affrontare il
problema si scosta in parte dai precedenti. Passo qui dai dati alle
inferenze che ne traggo. Inoltre do qualche indicazione per la costruzione di una teoria che colleghi il linguaggio a quelle che sono
state chiamate allucinazioni somatiche.
Alcune delle strane esperienze di Schreber possono essere viste
come trasformanti dei modelli di linguaggio del padre. Le espressioni del padre sono basate sulla struttura della lingua tedesca del
diciannovesimo secolo. Alcuni discorsi del padre, che hanno luogo
in questo contesto, hanno uno stile che gli è tipico; spesso egli
sceglie delle frasi insolite parlando dell’educazione religiosa di un
bambino e della sua relazione con Dio (e con i “raggi”). Ritengo
che la sua scelta del linguaggio non sia accidentale, né senza significato o senza effetto sul figlio. Esistono dei paralleli fra certe parole
usate da lui e alcuni eventi che si verificano nel corpo del figlio,
che quest’ultimo costruisce come una sua diretta esperienza di Dio
(e dei “raggi”).
Il padre pensava che i bambini dovessero essere in intimità
con Dio:
Mediante pro-memoria ripetuti frequentemente in modo gentile bisognerebbe abituare il bambino a inchinarsi davanti a Dio alla fine di ogni
93
La famiglia che uccide
giorno da solo e nella sua mente... per riflettere la sua interiorità nei puri
raggi del concetto di Dio (dell’amoroso Padre Universale) ed essere ricompensato da una forza di volontà affinata. Un simile sguardo pieno di serenità,
di gioia e di gratitudine dovrebbe essere rivolto la mattina verso il cielo
(1858, p. 249).
Il figlio, durante il suo “tempo santo” e in seguito, percepisce
le anime, Dio e i “raggi” di Dio mediante ciò che egli chiama
“vedere con l’occhio della mente” (Denkwürdigkeiten, p. 123 n.).
La sua esperienza rispecchia le parole del padre:
Siamo abituati a pensare che tutte le impressioni che riceviamo dal
mondo esterno sono mediate dai cinque sensi, in particolare che tutte le
sensazioni luminose e acustiche sono mediate dall’occhio e dall’orecchio.
Questo può essere vero in circostanze normali. Tuttavia, nel caso di un
essere umano che come me sia entrato in contatto con i raggi e la cui testa
sia, di conseguenza, per cosi dire, illuminata dai raggi, questo non è tutto.
Ricevo sensazioni luminose e acustiche che sono proiettate direttamente dai
raggi sul mio sistema nervoso interno; per percepirle non sono necessari gli
organi esterni della vista e dell’udito (ibid., p. 123 n.).
Si notino le somiglianze:
Lo scopo del padre è che il figlio “si rifletta interiormente” nei
“puri raggi del concetto di Dio.”
Il “sistema nervoso interno” del figlio è “illuminato” dai “raggi” di Dio.
Ancora, il padre chiama Dio “Padre.”
Il padre, come molti genitori, condannava le sensazioni sessuali
legate alle cose terrene; voleva che i fanciulli fossero penetrati da
Dio e si unissero a lui:
Non bisogna che la parola della religione aderisca semplicemente all’orecchio e alla bocca, ma il suo senso profondo, lo spirito della parola dovrebbe penetrare nell’anima della persona e unirsi a lei. La rivelazione esterna
e quella interna (la ragione nelle sue forme di sviluppo più alte) sono i due
raggi [Strahlen] che più confluiscono, più sono purificati da tutto quanto
di umano gli era stato attaccato, finché arrivano alla fine a uno stesso punto,
il punto della completa fusione (1858, p. 254).
Scrive il figlio:
In questo libro ho fatto spesso dei riferimenti alla stretta relazione che
esiste fra la voluttà e la Beatitudine eterna... Per non essere frainteso, devo
94
Il linguaggio del corpo
precisare che quando parlo del mio dovere di coltivare la voluttà, non
intendo mai alcun desiderio sessuale verso altri esseri umani (femminili) e
meno di tutto alcun rapporto sessuale, ma il fatto che devo immaginare me
stesso come un uomo e una donna in una persona sola che abbiano un
rapporto con me o almeno abbiano ottenuto con me un certo eccitamento
sessuale, ecc., ciò che forse potrebbe essere considerato immorale in altre
circostanze, ma che non ha niente a che fare con alcuna idea di masturbazione o con alcunché dl simile (Denkwürdigkeiten, p. 282, corsivo dell’originale).
Qui il figlio collega esplicitamente la masturbazione con l’immoralità. Questa sua straordinaria esperienza di tipo quasi sessuale
può essere vista come una funzione della proibizione paterna riguardante altre relazioni sessuali.
Si noti ancora la somiglianza fra lo scopo del padre e l’esperienza
del figlio:
Scopo del padre: una “completa fusione” di “due raggi,” “purificati da alcunché di umano.”
Esperienza del figlio: immagina di avere dei rapporti come
di due persone con lui stesso e dice che non intende “mai”
“desiderio sessuale verso altri esseri umani.”
Il padre dice di volere che la “vera religione” “penetri” e
“riempia” i bambini (1858, p. 241). Il figlio parla dei “raggi divini”
e dei “nervi” di Dio che “entrano” nel suo corpo (Denkwürdigkeiten, pp. 180, 279, 282, ecc.) e del suo corpo che viene “riempito” dai “nervi di voluttà attraverso il continuo influsso dei raggi
o dei nervi di Dio” (ibid., p. 279). Il padre e il figlio usano la
stessa parola, Strahlen, tradotta qui con raggi.
Un motto tratto dalla prima pagina di un libro del dottor
Schreber comincia così: “Ricorda che Dio vive nel tuo corpo...”
Il padre parla ripetutamente di penetrare un bambino; in settantacinque pagine di un libro (1858) raccomanda esplicitamente per
dieci volte di penetrare (dringen o eindringen) un bambino.
Credo che le parole del padre rivelassero degli atteggiamenti
verso il figlio che egli poteva avere attuato anche con altri mezzi
che non con le parole. Per esempio: trattava le “polluzioni” con
un clistere, collegando così nella mente del bambino il piacere
sessuale con la penetrazione.
Un bambino, quando si trova nella posizione che assume per
95
La famiglia che uccide
essere penetrato, ha la parte che attualmente, nella vita sessuale
adulta, è svolta da una donna. Si noti l’effetto dei raggi figlio:
“I raggi... hanno il potere di produrre il miracolo dell’evirazione
[Entmannung]” (Denkwürdigkeiten, p. 54). Più oltre il figlio
scrive: “A causa dei miracoli diretti contro di me, avevo tra le
gambe una cosa che difficilmente poteva assomigliare a un organo
maschile di forma normale” (ibid., p. 58 n.). Le relazioni dell’ospedale dicono che egli affermava di essere “una ragazza spaventata da assalti indecenti” (Baumeyer, 1956, p. 62).
Il figlio scrive spesso di essere stato o di essere “evirato.”
Sentiva l’“evirazione” come un chiaro insulto (Denkwürdigkeiten,
p. 127) e un’ignominia minacciosa” (ibid., p. 128). L’“evirazione” consisteva in parte nel fatto che “i genitali maschili (esterni)
(scroto e pene) erano ritratti nel corpo...” (p. 53). Il padre deve
avere “evirato” il figlio, in un certo senso, molto prima che il
figlio lo potesse real-izzare.1
Nel brano seguente sembra che il padre stia parlando di eccitare sessualmente una donna; egli afferma invece di star parlando
dell’educazione dei bambini:
Il terreno da coltivare deve essere morbido, recettivo, penetrabile, pieno
di energia e di forza, se un seme di grano [Samenkorn] deve essere piantato
e crescere (1860, p. 33).
Samenkorn ha delle associazioni col sesso, in quanto Samen
significa seme, sperma.
1
È possibile intendere la “ritrazione” dei genitali del figlio in modo diverso, anche
per quanto riguarda il comportamento del padre. Il padre mise nei suoi libri parecchie
illustrazioni del corpo umano in una grande varietà di posizioni e di esercizi fisici. Niederland (1959) ha messo in evidenza che per la maggior parte si tratta di illustrazioni di
corpi umani maschili privi di genitali e che pochi disegni appartenenti alla sezione che
tratta delle funzioni urinarie dell’uomo mostrano i genitali, ma come una sezione separata
dell’anatomia umana. Ritter (1936, p. 11) dice che il padre stesso fece i modelli di tutte
le illustrazioni del suo Pangymnastikon (1862). Le allucinazioni negative del figlio, relative
al fatto che aveva perso o che perdeva i genitali, possono essere collegate alla sua (possibile) opinione dell’opinione che suo padre aveva del corpo del proprio padre. Possiamo
qui parlare di identificazione col padre.
Sottolineiamo che il figlio, come la maggior parte di coloro che appartengono alla
tradizione occidentale, i quali pure considerino Dio come un maschio, non fa mai menzione del Suo pene.
Una sindrome chiamata koro (Yap, 1965) si verifica negli abitanti della Cina meridionale e di altre zone dell’Asia sud-orientale; essi ritengono erroneamente che il loro
pene si ritiri nell’addome. Non conosco nessuno che abbia tentato di collegare il koro con
l’educazione e i modelli di vita sociale e di linguaggio degli uomini di questa cultura.
96
Il linguaggio del corpo
Nel suo rapporto con Dio il figlio assume un ruolo di donna,
non perché lo desideri ma perché deve farlo. È suo “dovere,”
dice, “coltivare sensazioni femminili” (Denkwürdigkeiten, p. 281).
“Dio richiede una gioia costante... È mio dovere fornirgliela sotto
forma di voluttà dell’anima altamente sviluppata...” (ibid., p. 283).
Esiste una “stretta relazione” “tra voluttà e Beatitudine eterna”
(p. 208).
Questo stato di Beatitudine è per lo più uno stato di gioia voluttuosa
che richiede, per il suo sviluppo completo, la fantasia di essere o di volere
essere un essere femminile, che naturalmente non è di mio gusto (p. 337).
Considero quel “coltivare sensazioni femminili” del figlio in
relazione a Dio come un’immagine, una versione adulta, un’espressione travestita degli episodi che le parole del padre potrebbero
avere suscitato nel suo corpo molti anni prima.
Secondo l’opinione del padre, un bambino è come una donna
di Dio anche per un altro motivo; riceve infatti da Dio “semi”
che crescono dentro di lui.
Fin dalla più tenera età bisogna preparare il terreno perché riceva il
seme [Keim] più nobile dello spirito umano (ibid., p. 154).
Il presentimento della Devozione, la lieve consapevolezza di Dio è il
seme [Keim] più nobile dello spirito umano (ibid., p. 154).
È compito dei genitori indirizzare correttamente i nobili semi [Keime]
[del bambino]... Questi semi [Keime] sono la dote dell’uomo (p. 23).
Keim (al plurale Keime) ha delle connotazioni di carattere
sessuale. È un sostantivo maschile che significa seme, germe,
gemma. Come sostantivo femminile Keim vuole dire gonade e
Keimzelle significa cella germinale.
La metafora della dote, usata spesso dal padre, trasforma il
figlio in sposa di Dio. Se il padre avesse vissuto più a lungo, sarebbe stato stupito (e sbigottito) di vedere come “avesse preparato” veramente bene il “terreno” per il “seme della Beatitudine”
nel corpo del figlio. Il figlio dice che sentiva in sé un’
animazione simile ai primi segni di vita che compaiono in un embrione
umano: per un miracolo divino i nervi di Dio corrispondenti al seme
maschile sono stati gettati nel mio corpo (Denkwürdigkeiten, p. 4 n.).
97
La famiglia che uccide
Il figlio dice che una “conseguenza dell’evirazione” è la “fecondazione ad opera dei raggi divini” (ibid., p. 177). Il padre chiama
l’educazione “la seconda procreazione” (1860, p. 10).
Il dottor Schreber istruiva (implicitamente) il figlio a compiere l’operazione di “assimilare” le parole nell’esperienza del
corpo.
Perfino nei linguaggi umani delle culture più elevate, una parola che
serva ad indicare condizioni puramente spirituali, sensazioni o concetti astratti, immateriali o figurativi, raggiunge il concetto che si suppone debba esprimere in modo approssimato, mai completo; la parola non può comunicare
il concetto in una forma completamente incorporata [verkörpert] da un uomo
a un altro; piuttosto, si richiede l’attività indipendente dell’altro uomo per
rendere il concetto afferrabile dalla sua comprensione individuale al fine di
estrarre il concetto dalla parola... Ogni concetto più elevato è, rispetto alla
sua parola, come lo spirito al corpo... Come una sonda introdotta nel corpo
non può nutrirlo direttamente, ma piuttosto lo fa quando la sostanza subisce
i processi della digestione, della formazione del sangue, ecc., e in questo
modo è assimilata, cosi avviene anche per la parola, specialmente per quelle
che indicano dei concetti astratti (1858, p. 253. Il dottor Schreber usa il
corsivo in tutto questo brano.).
Abbiamo le prove che il figlio “incorporò” veramente le parole
del padre, benché non secondo le modalità previste dal padre.
Mi chiedo come e con che frequenza alcuni genitori insegnino
ai bambini a incorporare le parole e se i genitori di bambini con
disturbi somatici lo facciano in modo particolarmente efficace.
Coloro che parlano una lingua indoeuropea, come l’inglese
o il tedesco del diciannovesimo secolo, per esprimere fatti che si
verificano nell’intelletto e nelle relazioni fra intelletti, spesso usano
parole e espressioni che alla lettera indicano fatti che avvengono
nei corpi e nelle relazioni fra corpi (Whorf, 1964). In italiano si
dice che uno è un po’ tocco, o toccato di mente, che ha il cervello
in acqua, che ha il cuore grosso o il cuore spezzato, che ha o non
ha fegato o spina dorsale, che si sente rivoltare lo stomaco o
scoppiare la testa, ecc. Suppongo che questi termini indichino e
riflettano dei fatti che si verificano quasi contemporaneamente,
di solito al di fuori della consapevolezza, nel corpo di coloro che li
usano. Se io dico che qualcosa ti ha toccato il cervello, che qualcuno
ti ha spezzato il cuore ecc., posso creare degli eventi nel tuo corpo.
98
Il linguaggio del corpo
Certe parole udite, specie se di frequente e nell’infanzia,
possono essere codificate o trasformate, immagazzinate e più tardi,
sotto altra veste, recuperate e rivissute. Penso che ognuno di noi
qualche volta, e qualcuno quasi sempre, abbia periodicamente
vissuto nel proprio corpo o col proprio corpo il significato letterale
di certe espressioni che abbiamo udito ripetere spesso nell’infanzia. Cioè, si ritraducono di nuovo le parole nelle stesse modalità
di esperienza corporale da cui le trassero coloro che introdussero
quelle espressioni nel linguaggio, avendole vissute nel proprio
corpo. Possiamo dire che questo sia un “immaginare” di trasporre
il linguaggio parlato in altre modalità di esperienza e vivere il
linguaggio così trasposto.
Alcuni, forse tutti, riecheggiano nel corpo le parole pronunciate da altri, scolpiscono dentro di sé i trasformati delle parole,
li immagazzinano e in seguito li rivivono. Alcune persone che
compiono questo tipo di operazioni spesso e volentieri non sembrano esserne consapevoli. Penso che coloro che sono chiamati
ipocondriaci siano più dotati in queste operazioni (e siano inconsapevoli di esserlo) o abbiano udito più discorsi “fisicalistici” che
la maggior parte della gente nella propria infanzia o che entrambe
le cose siano vere. I medici di Schreber lo consideravano ipocondriaco.
Forse la prevalenza di certe sofferenze fisiche in una determinata cultura è connessa con il tipo di linguaggio che le è proprio.
Per esempio, il mal di schiena e i dolori dorsali sono molto diffusi
negli Stati Uniti e in Inghilterra. Gli americani o gli inglesi usano
espressioni del tipo: stare sul gobbo a qualcuno, esser pugnalato
alla schiena, rompersi l’osso del collo, essere privo di spina dorsale, raddrizzare la schiena a qualcuno, aver la schiena rotta, parlare male alle spalle di qualcuno e vari composti del termine back,
schiena. Gli americani e gli inglesi esprimono un gran numero di
sollecitazioni interpersonali in un linguaggio che mi sembra possa
rispecchiare e produrre delle sensazioni alla schiena. Forse ai
nostri giorni si può parlare di malattia linguosomatica o psicosemantica piuttosto che psicosomatica.
In teoria è facile dimostrare o confutare il fatto che i genitori,
attraverso il linguaggio, possano più tardi indurre nei figli strane
esperienze fisiche. Si ascoltino i discorsi dei genitori e si facciano,
99
La famiglia che uccide
se possibile, delle congetture sulle strane esperienze corporali che
potrebbero verificarsi nei figli. Si interroghino i figli qualche anno
più tardi sulle loro esperienze. Si confrontino le congetture con
i dati ottenuti. La mia impressione, basata sulla profonda conoscenza di molte famiglie (compresa la mia), è che con queste ricerche si possano ottenere un’alta percentuale di congetture giuste
a proposito di alcune famiglie. Uno studio di questo tipo non è
stato fatto, ragione per cui devo considerare la teoria che espongo
qui come provvisoria.
In questo libro mi sono in generale limitato a fare delle illazioni sul comportamento del padre di Schreber verso i figli. Solo
occasionalmente gli ho attribuito determinate esperienze, ma non
ho usato queste attribuzioni come dati primari, né intendo farlo
qui. Tuttavia vorrei far notare che il padre, col suo linguaggio e
col suo comportamento, implicava che poteva aver desiderato di
penetrare i bambini. Forse viveva i figli, almeno in parte, come
donne e in qualche modo comunicava loro questa idea. Sarebbe
interessante sapere come fosse la sua vita sessuale.
Mentre sembra che il padre stia dando degli ordini ai bambini,
forse sta riferendo nello stesso tempo dei fatti che si verificano
nel suo corpo, pur senza rendersi conto di farlo. Forse l’autore
delle Denkwürdigkeiten lo capiva e, quando attribuiva a Dio
certi desideri e certi moventi nei suoi confronti, ricordava i desideri e i moventi che una volta aveva attribuito al padre.
Il padre di Schreber, parlando delle relazioni fra figli adolescenti e genitori, scrive:
Una volta che la mente infantile sia completamente penetrata dall’amore,
dal rispetto e da tutti i caldi raggi che sgorgano fuori da loro, la volontà del
bambino è governata sempre più da questa prospettiva ed è condotta gentilmente verso mete pure e nobili (1858, p. 235).
Il contesto di questo brano chiarisce come siano i genitori a
dover “penetrare completamente,” in qualche modo, i bambini
— maschi e femmine — con i “caldi raggi” che “sgorgano.”
L’adolescente, udendo queste parole del padre, potrebbe supporre
“coscientemente” o no che esse contengano e riflettano dei fatti
sperimentati dal padre nel suo pene. Il ragazzo potrebbe anche
100
Il linguaggio del corpo
vivere esperienze corrispondenti, reciproche, nel suo corpo, soprattutto se gli è stato detto di trasformare le parole in esperienze
del corpo.
In campo clinico l’opinione corrente sostiene che coloro che
sono considerati schizofrenici sono più consapevoli dell’“inconscio” degli altri di quanto non avvenga di solito. Forse sono più
sensibili e ricettivi nei confronti di messaggi che chiunque altro
vive nella loro stessa posizione, ma da cui solo pochi sarebbero
colpiti o addirittura di cui pochi sarebbero in grado di rendersi
conto.
Se il padre di Schreber trasmetteva messaggi di tipo sessuale
ai suoi bambini, lo faceva di nascosto, non esplicitamente. Suppongo inoltre che lo avrebbe negato di fronte a tutti gli altri e
perfino a se stesso. Considerato l’atteggiamento repressivo ufficiale della famiglia Schreber e della società della sua epoca nei
confronti del sesso, sembra probabile che il padre e i figli avrebbero tenuto segreta a se stessi e ognuno nei confronti dell’altro
sia l’emissione dei messaggi sessuali sia la loro ricezione.
Se i sentimenti del padre verso il figlio sono soltanto impliciti e non sono mai riconosciuti apertamente, il figlio potrebbe
trovare difficile collegarli con qualsiasi effetto potessero avere su
di lui.
L’opinione di un bambino sui sentimenti dei suoi genitori
verso di lui (siano essi espliciti oppure no) di solito è, o diviene,
una dimensione critica dell’opinione che il bambino ha di se
stesso.
L’opinione che i genitori hanno di noi durante la prima infanzia può influenzare il modo in cui ci vediamo per tutta la
nostra vita.
Si può rifiutare di sostenere il ruolo che un genitore ci assegna, per quanto ciò possa riuscire difficile, ma non si può evitare
il fatto che i genitori ci assegnino quella posizione, specialmente
se ciò avviene spesso. Se un bambino sente che il padre lo considera come qualcuno da penetrare, coltivare o seminare, questa
può diventare la sua forma di rapporto personale col desiderio di
sentirsi, o sentirsi e desiderare di non sentirsi, penetrato, coltivato o seminato.
101
La famiglia che uccide
Ecco uno schema del mio insieme di inferenze:
Vissuto corporeo del padre in relazione al figlio
Vissuto corporeo del figlio (probabilmente dimenticato e ricordato
solo molti anni più tardi)
|
|


Percezione delle parole del padre
Parole del padre indirizzate al figlio  da parte del figlio
Ciò che disse il linguista americano Edwin Sapir può applicarsi
a questa situazione: “La parola, come ben sappiamo, non è solo
una chiave, può essere anche una catena.” È come se i suoni delle
parole del padre, che intrappolano il corpo del figlio e contemporaneamente ne sono intrappolati, parlassero silenziosamente. Essi
appaiono trasformati di nuovo in parole nel resoconto che il figlio
fa delle esperienze che vive nel suo corpo. Il corpo del figlio parlava, ma nessuno lo ascoltava.
Forse, per liberarsi dal suo strano rapporto con Dio, il figlio
può aver avuto bisogno di riconoscere che certe sensazioni del
corpo erano i trasformati delle parole del padre e che egli obbediva
ai desideri del padre di trasformarle così.2 (In tedesco udire [hören] o
ascoltare [horchen] hanno la stessa radice di obbedire [gehorchen].) Non avrebbe avuto bisogno di ricordarsi a memoria quali
fossero quelle parole; esse si trovavano in libri diffusi in tutta la
Germania. Né lui, né i suoi dottori, né alcun altro pensarono
di andare a guardare lì dentro.
Noi usiamo parecchi canali conosciuti per riferire fatti che si
verificano nel nostro stesso corpo e, ritengo, per dare origine a
certi fatti nel corpo di altri. Per esempio, le persone non parlano
2
Nella tradizione yoga si suppone che un mantra, cioè la formula di un suono
mistico, dia origine a una vibrazione distinta mediante la quale colui che lo pronuncia
può fare apparire la cosa o la divinità che vibra secondo quella frequenza. “Secondo la
Scuola Mantrayana [Sentiero del Mantra], una particolare intensità di vibrazione... è associata ad ogni oggetto ed elemento della natura e ad ogni creatura organica, sub-umana,
umana e super-umana, compresi gli ordini più alti di divinità. Se essa fosse conosciuta
e formulata come suono in un mantra e usata sapientemente da un perfetto yogi... si
ritiene che egli sarebbe capace... nel caso di esseri spirituali, di costringere le divinità
superiori ad emettere telepaticamente la loro divina influenza sotto forma di raggi di
grazia” (Evans-Wentz, 1928, p. 37 n.). Di solito si usa il suono mantrico per fare apparire a se stessi la divinità e i suoi raggi di grazia. Credo che i suoni del dottor Schreber
abbiano fatto apparire Dio al figlio. Non conosco nessuna parola nella tradizione mantrica
o in qualunque altra tradizione per indicare questa manovra.
102
Il linguaggio del corpo
solo con le parole, ma con il ritmo, il tono e il volume del loro
discorso, con suoni paralinguistici (borbottii, colpi di tosse, respiri
rumorosi, ecc.) e con posizioni e movimenti del corpo. Possiamo
anche usare canali chimici sconosciuti: Harry Wiener (1966),
fisico americano, avanza la probabilità di emettere e ricevere
messaggi mediante “messaggeri chimici esterni” (l’espressione è
sua) contenuti nel sudore, nell’orina, nella saliva, nelle lacrime,
nel respiro e in altri rifiuti del corpo. Usiamo parole per rafforzare,
negare e nascondere i messaggi che comunichiamo, spesso contemporaneamente, mediante altri canali.
Ray Birdwhistell (1970), antropologo americano, dice che se
due esseri umani fossero messi in un elaboratore per registrare
tutte le unità di segnali e di informazioni — “cambiamenti appena
percettibili del flusso dei suoni, della luce e degli odori” — che
essi emetterebbero e potrebbero ricevere potenzialmente,
forse occorrerebbero gli sforzi di tutta una vita di circa la metà della popolazione adulta degli Stati Uniti per classificare le unità registrate in un
nastro nel corso di un’ora di interazione fra i due soggetti! (pp. 3-4).
Certo non potremo mai recuperare questo tipo di informazioni
dalla famiglia di origine di Schreber. Indico delle vie lungo le
quali è già cominciato lo studio del linguaggio della follia e della
sanità.
In molti resoconti autobiografici di esperienze religiose, sembra che il soggetto descriva ciò che è in pratica un’esperienza sessuale; il partner “sessuale” è presente spiritualmente, non in
carne ed ossa. La Chiesa cattolica ha fatto santi alcuni soggetti di
questo tipo, in parte a causa delle loro esperienze spirituali (o quasi
sessuali).
Forse che tutte le esperienze religiose, siano o no di tipo quasi
sessuale, dovrebbero essere considerate soltanto come trasformati
di episodi interpersonali avvenuti nell’infanzia dei soggetti? È
questo tutto ciò che rivelano le “rivelazioni”? Jung pensava che
l’esperienza religiosa non ricalcasse gli eventi post-natali, ma fosse
parte del nostro patrimonio trans-individuale. (Conosceva le Denkwürdigkeiten di Schreber e dice [1952, p. 296 n.] che vi attirò
l’attenzione di Freud; comunque non menziona gli scritti del
103
La famiglia che uccide
padre.) Alcuni studiosi hanno cominciato a classificare le diverse
varietà di esperienza religiosa. Quali di queste sono basate su
ricordi dell’infanzia rimossi? Se non lo è nessuna, cosa (o Chi) sta
alla loro origine?
104
Capitolo ottavo
L’analisi di Freud
Spetta al futuro decidere se nella mia teoria
ci siano più allucinazioni di quanto non voglia ammettere, o se ci sia più verità nelle allucinazioni di
Schreber di quanto gli altri non siano ancora preparati a credere.
Coloro che furono più cauti di me nel dare
interpretazioni, o che furono in contatto con la
famiglia di Schreber e di conseguenza più informati
a proposito della società in cui si muoveva e dei
piccoli episodi della sua vita, troveranno facile risalire dai numerosi particolari delle sue allucinazioni
alla loro fonte e scoprirne così il significato...
SIGMUND FREUD
Freud elaborò una teoria globale dell’Homo psychologicus.
Tuttavia, per capire come le persone si influenzano a vicenda, è
necessario modificare il sistema teorico fornitoci da Freud e dai
suoi seguaci.
Gli psicoanalisti dicono che i loro pazienti (e tutte le persone)
sono in relazione con oggetti, interni ed esterni. Col termine oggetti intendono quasi sempre persone o parti di persone — non
cose — che sono gli oggetti delle azioni o dei sentimenti dei loro
pazienti (e di altre persone). Quando gli psicoanalisti definiscono
una persona “oggetto,” si tratta di un tipo di persona che non è
e non potrebbe essere viva. Per esempio, l’oggetto, nella teoria
psicoanalitica, non agisce né ha esperienze; non può influenzare
né essere influenzato da nessuno; non può vedere, sentire, conoscere, progettare, desiderare, sperare o agire. Gli psicoanalisti
usano questo termine per rappresentare una persona, ma la persona
rappresentata non è reale.
105
La famiglia che uccide
L’evoluzione di un individuo avviene nel contesto delle sue
relazioni con gli altri, e da queste l’individuo può venire definito.
Nella realtà gli altri sono agenti come noi stessi. Se voglio capire
qualcuno, devo presumere che sia vissuto tra persone impegnate
nello stesso genere di attività che attribuisco a lui. Certamente gli
psicoanalisti sanno che altre persone agiscono sui loro pazienti e
che alcune persone che hanno avuto a che fare con i loro pazienti
da bambini li hanno ampiamente influenzati con il loro comportamento. Ma, finché essi parlano di relazioni oggettuali, la loro teoria
non spiega sufficientemente questa influenza.
Le teorie delle relazioni oggettuali hanno raggiunto la loro
forma attuale molto tempo dopo lo studio di Freud su Daniel
Paul Schreber, del 1911, ma alcune parti dell’analisi freudiana di
Schreber possono essere viste come precorritrici di queste teorie.
Freud scelse come dati alcune esperienze coscienti di Schreber,
per spiegare le quali egli attribuiva alla mente di Schreber dei processi di cui egli stesso era inconsapevole. Freud trascurò gli scritti
del padre come dati.
Egli definì Schreber paranoico. Nel suo scritto su Schreber
disse: “Questa fantasia omosessuale di amare un uomo costituisce
il centro del conflitto della paranoia dell’uomo...” (Freud, 1911.,
p. 406).
Freud riteneva che l’uomo paranoico nascondesse il suo amore
omosessuale odiando l’oggetto del suo desiderio:
“Io non l’amo — io l’odio.” Questa contraddizione, che nell’inconscio
non potrebbe suonare altrimenti, non è suscettibile tuttavia di divenire in
questa forma cosciente nel malato. Il meccanismo di formazione del sintomo
nella paranoia esige che i sentimenti, le percezioni interiori siano rimpiazzati da una percezione proveniente dall’esterno. Cosicché la proposizione
“Io l’odio” si trasforma grazie a un meccanismo di proiezione nell’altra
“Egli mi odia (perséguita) e ciò giustifica il mio odio contro di lui.” In tal
modo il sentimento interiore, che è l’autentica causa, si presenta sotto
l’aspetto di conseguenza di una percezione esterna: “Io non lo amo affatto.
Io lo odio perché EGLI MI PERSEGUITA” (ibid., p. 406, corsivo dell’originale).
Per parafrasare Freud, se un uomo ama un altro uomo e sente
che questo gli è proibito, nega il suo amore e lo cambia nel suo
opposto; “Io lo amo” diventa per negazione e conversione “Io
106
L’analisi di Freud
lo odio”. Se si sente ingiustificato nel suo odio, lo cambia nel suo
inverso: “Io lo odio” diventa per proiezione “Egli mi odia.”
Questo tipo di proiezione, benché non tutti i tipi, può essere considerato come un’inversione sintattica: il soggetto e l’oggetto
della frase “Io lo odio” si scambiano il posto.
Un uomo che si ritiene perseguitato arriva a quella posizione
mediante tre operazioni compiute sul suo amore omosessuale:
negazione, conversione e proiezione. Questi tre passaggi gli tolgono la consapevolezza dei suoi pensieri “cattivi.” Egli non è
cosciente di amare un uomo, dei passaggi che fa per mantenere
quest’amore inconscio e, penso, dei motivi che ha per mantenerlo
inconscio e per mantenere inconsci i passaggi che compie per mantenerlo inconscio.
Ritengo che ognuno possa usare la stessa sequenza di operazioni — negazione, conversione e proiezione1 — in relazione ad
ogni desiderio che uno si proibisca.
Nell’analisi di Freud su Schreber, il padre non è un agente.
Secondo Freud, egli è un oggetto verso il quale è diretto il desiderio del figlio. Ma egli (o esso) non stabilisce in nessun modo,
non determina, non limita, non ostacola, non sopprime, non teme,
non incoraggia, non infiamma, non sostiene, non riconosce né conosce il desiderio del figlio verso di lui; lo stesso avviene per qualunque desiderio il figlio possa mai avere. Benché la teoria di Freud
che spiega perché Schreber si sentisse perseguitato concordi con
1
Recentemente alcuni affascinanti studi hanno confermato in gran parte la teoria
di Freud sulla mente. Herman A. Witkin e Helen B. Lewis (1967), due psicologi americani, hanno studiato in laboratorio il sonno e il sogno e, in particolare, il modo in cui
la mente trasforma (l’espressione è loro) le esperienze diurne, come guardare un film, in
sogni. I loro risultati sono compatibili con la teoria di Freud riguardante il tipo di operazioni che la mente compie durante la sua “attività onirica.” Queste operazioni assomigliano al tipo di trasformazioni che Freud ipotizza che ognuno applichi a certe esperienze
infantili.
Stanislav Grof (1970), psichiatra cecoslovacco attualmente negli Stati Uniti, ha curato
più di cinquanta persone, comprese in “tutte le più importanti categorie diagnostiche
psichiatriche,” con una serie di sedute di LSD, da quindici a ottanta per persona, accompagnate da psicoterapia attuata senza l’uso di droga. Ha trovato che le esperienze delle
prime sedute (benché non delle ultime) “si situano nel contesto freudiano e sono spiegate
da esso... Molte delle esperienze di questo stadio potrebbero essere per lo più considerate
una prova ‘di laboratorio’ dei concetti freudiani basilari” (p. 61). Grof trovò che gli
scritti di Otto Rank, di Carl Jung e degli studiosi di esperienze mistiche si adattavano
meglio di quelli di Freud alle fasi più inoltrate della terapia. Né Witkin e Lewis né
Grof menzionano nei loro studi la teoria di Freud sulla paranoia.
107
La famiglia che uccide
la mia opinione che il padre di Schreber debba avere segretamente
eccitato sessualmente il figlio, la sua teoria non tratta del probabile comportamento del padre.
Ogni relazione fra padre e figlio è unica. Per capire una relazione data è meglio partire da un minimo di presupposti e conoscere il maggior numero possibile di fatti. Se si vuole accertare
un dato campo di relazioni, come i sentimenti del figlio verso
il padre, sarebbe utile avere un’idea di come questo genitore percepisce e tratta il figlio. Per capire i sentimenti di Schreber verso il
padre reale o verso la figura paterna interiorizzata, è utile conoscere
quali sentimenti, in particolare il comportamento del padre, avrebbe potuto risvegliare in lui.
Il padre di Schreber, infatti, continuò a lungo a insegnare ai
genitori come persuadere, istruire, lusingare e convincere con
l’inganno i loro figli ad amarli cominciando “molto presto... molto
prima dello sviluppo del linguaggio” (1858, pp. 131-4). Più importante è il fatto che egli, come abbiamo visto nell’ultimo capitolo, ha anche, probabilmente senza volerlo, eccitato i suoi figli
sessualmente.
Considerato ciò che può essere ragionevolmente dedotto dal
comportamento del padre verso i figli in altre circostanze, è probabile che essi lo avrebbero odiato se avessero potuto (e si fossero sentiti giustificati nel loro odio). Il padre insegnava ai genitori ad impedire ai bambini di sentire “rancore,” “rabbia” e
“amarezza” verso i genitori; questi sentimenti possono essere
classificati come odio. Perciò i suoi figli possono avere avuto
bisogno di preoccuparsi di come non odiare il padre. Karl Menninger (1942), riferendosi all’analisi di Freud su Schreber, scrisse:
Colui che si sente perseguitato ovviamente non si difende tanto contro
l’amore per qualcuno quanto contro il suo odio per qualcuno, qualcuno che
il persecutore rappresenta. Si difende dicendo: “Non sono io che l’odio,
ma è lui che odia me” (p. 262 n.).
La conclusione a cui egli giunge, attraverso un ragionamento
diverso dal mio, è compatibile con le mie scoperte.
Certamente, secondo l’opinione di Freud, odiare o amare qualcuno significa odiare e amare quella persona. Forse che Schreber
temeva il suo amore per il padre? Forse si; tuttavia non trovo
108
L’analisi di Freud
che ci sia alcun bisogno di fare questa supposizione per spiegare
il suo senso di persecuzione dal momento che esso può essere
spiegato benissimo come trasformato della persecuzione reale a
cui fu sottoposto.
Freud aveva già stabilito che la paranoia nasceva come una
“difesa” contro un amore omosessuale prima di studiare il caso
Schreber. Scrisse: “Posso... dimostrare, con la testimonianza di
uno dei miei amici e colleghi, che avevo costruito la mia teoria
della paranoia prima di conoscere il libro di Schreber” (op. cit.,
p. 423). Scelse come dati quei brani delle Denkwürdigkeiten che
pensava confermassero la sua tesi. Certo ogni scienziato prende
come dati una parte, di solito un minuscolo frammento, della
realtà; quelli che di solito vengono chiamati dati, potrebbero forse
essere chiamati “capti,” cioè presi. È raro, specialmente in psicologia e nelle scienze sociali, che uno studi qualcosa senza scegliere
dalla realtà soprattutto il materiale che confermi l’opinione già
sostenuta. Freud non si occupa dei “miracoli” di Schreber, benché
quest’ultimo affermi che essi sono la fonte maggiore della sua
sofferenza. Va detto a onore di Freud che nell’introduzione alla
sua discussione su Schreber egli chiede ai lettori di leggere le
Denkwürdigkeiten almeno una volta prima di iniziare la lettura
della sua analisi (ibid., p. 354).
Alcuni dati di Freud si accordano con la sua teoria solo se si
presuppone che sia la sua costruzione sui dati che la sua teoria
siano vere. Gli stessi dati, se costruiti differentemente, potrebbero
sostenere altre teorie. Si consideri per esempio questo brano di
Freud:
… riteniamo di potere fin da ora attribuire la causa dell’infermità di
Schreber all’esplosione di impulsi omosessuali. Con questa premessa si accorda un notevole particolare della storia del malato che non troverebbe
altrimenti spiegazione plausibile. Un nuovo collasso nervoso, decisivo per
il decorso del male, si manifestò nel paziente allorché sua moglie prese un
breve periodo di vacanza per riposarsi. Essa aveva fino allora trascorso quotidianamente parecchie ore in compagnia del marito ed era stata sua commensale. Rientrando dopo un’assenza di quattro giorni, trovò che Schreber
aveva fatto un così triste cambiamento da non volerla neppure vedere.
“Decisiva per lo sfacelo della mia mente fu una certa notte nella quale io
ebbi un numero esagerato di polluzioni [almeno una dozzina]” (Denkwürdigkeiten, p. 44). È ben comprensibile che la semplice presenza di questa donna
109
La famiglia che uccide
spiegasse un’influenza protettiva contro il fascino che sul paziente esercitavano gli uomini che lo circondavano; ora, se ammettiamo che negli adulti
una polluzione non possa prodursi senza partecipazione psichica, siamo
autorizzati a porre quelle polluzioni in connessione con fantasie omosessuali
inconsce (pp. 388-89).
Questo insieme di fatti “si accorda” con l’“ipotesi” di Freud
che attribuisce “la causa dell’infermità di Schreber all’esplosione
di impulsi omosessuali” solo se supponiamo che (a) le polluzioni
di Schreber fossero accompagnate da “partecipazione psichica” e
(b) la presenza della moglie “esercitasse un’influenza protettiva”
contro i suoi desideri omosessuali. Entrambe le supposizioni si
basano sull’ipotesi che Schreber avesse desideri omosessuali. Freud,
in questa parte del suo saggio, cerca prima di stabilire l’omosessualità di Schreber e offre questi dati quali prova evidente. Ma
questi dati traggono la loro forza come testimoni a favore della
premessa di Freud dalla premessa che Freud suppone essi sostengano. La sua interpretazione di questo episodio fa parte della prova
della teoria sulla quale poggia la sua interpretazione. Questa particolare debolezza logica nell’uso che Freud fa dei dati non è insolita nei suoi scritti. È un esempio di ciò che i logici chiamano
petitio principii: l’errore di prendere per garantita, in una successione di argomentazioni, una premessa che dipende dalla conclusione.
Questo brano delle Denkwürdigkeiten non rimane senza “spiegazione plausibile,” se si usano gli scritti del padre di Schreber
come dati. Per esempio, ho già collegato il verificarsi del “collasso
nervoso” di Schreber, dopo una notte caratterizzata da molte polluzioni, con la campagna anti-polluzioni del padre. Forse la presenza della moglie l’aveva protetto fino a questo momento dalla
influenza dei decreti del padre contro il sesso. Forse, durante la
sua assenza, si ricordò delle paure del padre riguardo alle polluzioni
e degli editti del padre rivolti anche contro altre forme di sessualità. E forse è per questo motivo che non voleva più vederla.
Freud riconosce di non sapere niente dell’infanzia di Schreber.
Eppure dice di Schreber:
La minaccia paterna maggiormente temuta, e cioè quella della castrazione, ha fornito materia alla fantasia erotica avente per oggetto la trasfor110
L’analisi di Freud
mazione in donna, fantasia originariamente combattuta ma infine accettata
(p. 399).
Qual è la prova fornita da Freud? Penso che Freud arrivi a
pensare questo a proposito di Schreber perché ritiene che la paura
della castrazione sia praticamente universale.
Da dove viene questa paura? Freud afferma forse che i figli
immaginino che i padri li minaccino di castrazione anche se i padri
non lo fanno? Se è così, i figli, secondo l’opinione di Freud, sono
paranoici. Forse egli ritiene che i padri minaccino i figli di castrazione? Letteralmente o metaforicamente? Solo i figli o anche le
figlie? Tutti i padri o solo alcuni? Se lo fanno, perché lo farebbero? E se lo fanno, letteralmente o metaforicamente, perseguitano i loro figli? Se è così, perché Freud lo ignora nella sua teoria
della paranoia? Si ricordi: Schreber pensava di essere stato “evirato.” Se Freud avesse ritenuto che Schreber padre aveva minacciato il figlio di castrazione, non avrebbe forse potuto convenirgli
di cercarne degli accenni negli scritti del padre? O pensava che
Schreber avrebbe temuto “naturalmente” la castrazione, non importa cosa suo padre pensasse o facesse?
Ci occuperemo di questi argomenti introducendoli nel contesto di (i) alcune opinioni di Freud riguardo allo sviluppo della
mente, (ii) le credenze dei medici e dei genitori del diciannovesimo secolo riguardo alla masturbazione e i relativi metodi di
trattamento da essi usati e (iii) il caso clinico del “Piccolo Hans”
studiato da Freud.
(i)
Freud riteneva che tutti gli uomini e tutti i bambini temessero la castrazione, per quanto rimossa fosse questa paura. Egli
chiamò questa paura “complesso di castrazione.” Lo collegò con
un gruppo di sensazioni che chiamò complesso di Edipo. Pensava:
“Il complesso edipico è ritenuto, a ragione, il nucleo delle nevrosi” (1917, p. 304). Dal suo punto di vista, esso è anche il
“complesso nucleare” delle persone non nevrotiche. Supponeva
che i padri, sia nel complesso di castrazione sia in quello di Edipo,
111
La famiglia che uccide
giocassero il ruolo del “nemico temuto” che minaccia la castrazione.
Ognuno, afferma Freud, è destinato fin da prima della nascita
a sopportare ed affrontare il complesso di Edipo durante l’infanzia: ognuno ama il genitore del sesso opposto e teme e odia il
genitore dello stesso sesso. Inoltre ognuno è sottoposto, di solito
con minor intensità, a un complesso di Edipo “invertito”: cioè
ama il genitore dello stesso sesso e teme e odia il genitore del
sesso opposto; Freud suggerisce che questo stato prevalga nei
bambini che più tardi diventeranno omosessuali e ritiene che
porti un bambino o un uomo ad augurarsi la perdita dei suoi
genitali maschili.
Freud pensava che
a sostegno di questa conoscenza l’antichità ci ha trasmesso un materiale
leggendario... Intendo la leggenda del re Edipo e l’omonimo dramma di
Sofocle.
Edipo, figlio di Laio re di Tebe e di Giocasta, viene esposto lattante
perché un oracolo ha predetto al padre che il figlio non ancora nato sarà
il suo assassino. Edipo viene salvato e cresce come figlio di re in una corte
straniera, sinché, incerto della propria origine, interroga egli stesso l’oracolo
e ne ottiene il consiglio di star lontano dalla patria, perché sarebbe costretto
a divenire l’assassino di suo padre e lo sposo di sua madre. Sulla strada che
lo porta lontano dalla presunta patria, incontra il re Laio e lo uccide nel
corso di una repentina lite. Giunge poi davanti a Tebe, dove risolve gli
enigmi della Sfinge che sbarra la via; per ringraziamento i Tebani lo eleggono
re e gli offrono in dono la mano di Giocasta. Per lungo tempo regna pacifico
e onorato, genera con la madre a lui sconosciuta due figli e due figlie, finché
scoppia una pestilenza che induce ancora una volta i Tebani a consultare
l’oracolo. Qui comincia la tragedia di Sofocle. I messi portano il responso
che la pestilenza avrà fine quando l’uccisore di Laio sarà espulso dal paese.
Ma dove si trova costui?
E dove
potrà scoprirsi l’indistinta traccia
che testimoni della colpa antica?
Ora, l’azione della tragedia non consiste in altro che nella rivelazione
gradualmente approfondita e ritardata ad arte — paragonabile al lavoro di
una psicoanalisi — che Edipo stesso è l’assassino di Laio, ma anche il figlio
dell’assassinato e di Giocasta. Travolto dalla mostruosità dei fatti commessi
inconsapevolmente, Edipo si acceca e abbandona la patria. L’oracolo si è
avverato (1899, pp. 100-1).
112
L’analisi di Freud
Freud pensa che l’accecamento di Edipo, come generalmente
l’accecamento nelle fantasie e nei miti, stia al posto della castrazione.
Se il re Edipo riesce a scuotere l’uomo moderno non meno dei Greci
suoi contemporanei, la spiegazione può trovarsi soltanto... nella peculiarità
del materiale... Deve esistere nel nostro intimo una voce pronta a riconoscere la forza coattiva del destino di Edipo... E realmente, nella storia di
Edipo è contenuto un momento determinante di questo tipo. Il suo destino
ci commuove soltanto perché sarebbe potuto diventare anche il nostro, perché prima della nostra nascita l’oracolo ha decretato la medesima maledizione
per noi e per lui. Forse a noi tutti era dato in sorte di rivolgere il primo
impulso sessuale alla madre, il primo odio e il primo desiderio di violenza
contro il padre: i nostri sogni ce ne danno la convinzione. Il re Edipo,
che ha ucciso suo padre e sposato sua madre Giocasta, è soltanto l’appagamento di un desiderio della nostra infanzia... Portando alla luce nella sua
analisi la colpa di Edipo, il poeta ci costringe a prendere conoscenza del
nostro intimo, nel quale quegli impulsi, anche se repressi, sono pur sempre
presenti (1899, p. 244).
Freud dice che il “destino” di Edipo “ci mostra il soddisfacimento dei nostri desideri infantili.” Che cosa ci mostra il comportamento di Laio? In alcune versioni del mito, inclusa quella accolta
da Sofocle, Laio, temendo che il figlio appena nato volesse ucciderlo, lo strappò dalle braccia della nutrice, gli forò i piedi con
un chiodo, legandoli assieme, e lo abbandonò alla morte (Graves,
1960, vol. 2, p. 9). Edipo significa “piede gonfio.”
Laio era stato prima un attivo omosessuale. George Devereux
(1953), antropologo americano, scrive:
Numerose fonti e frammenti greci rivelano che Laio era ritenuto l’inventore della pederastia. In gioventi, prima di sposare Giocasta e di generare
Edipo, Laio si innamorò violentemente di Crisippo, figlio del re Pelope... Decise di rapirlo... Adirato Pelope... lanciò su Laio la maledizione
che suo figlio l’avrebbe ucciso e poi avrebbe sposato sua madre. Seguendo
una versione più tarda, è per... decisione di Zeus che Laio sarebbe stato
ucciso dal figlio per punizione del rapimento di Crisippo. Questa maledizione
sembra suggerire che la tradizione greca collegasse Edipo a Crisippo, deduzione che è inoltre confermata da un’altra versione del mito, secondo la
quale Era fu così fortemente adirata per il rapimento di Crisippo che mandò
la Sfinge a devastare Tebe, per punire i Tebani che avevano tollerato l’avventura omosessuale di Laio. L’Edipedeia è ancora più precisa nel collegare
i destini di Crisippo e di Edipo. Secondo questo poema epico, Edipo fu
113
La famiglia che uccide
esposto come sacrificio propiziatorio, per placare la collera di Era causata
dalla vicenda omosessuale di Crisippo. In altre parole, Era fece perdere a
Laio non solo il giovane compagno di letto Crisippo, ma anche il figlio
Edipo (p. 133).
Freud quasi certamente conosceva questa parte del mito. Otto
Rank, suo allievo e stretto collaboratore per molti anni, lo riferiva (1912). Tuttavia Freud non ne fa menzione in nessun luogo
discutendo il mito o il complesso di Edipo.
Se la sensazione di persecuzione di un figlio può essere ritenuta una difesa contro un amore omosessuale, secondo le stesse
regole di inferenza, anche la persecuzione paterna del figlio può
essere ritenuta una difesa contro un amore omosessuale.
L’analisi freudiana del mito di Edipo trascura la persecuzione
di Laio verso Crisippo e Edipo. Tuttavia Freud avrebbe potuto
applicare il suo schema per paragonare Schreber a Laio con la
stessa validità:
Il centro del conflitto di Laio è la fantasia omosessuale di amare un
ragazzo...
Laio contraddice il suo amore per il ragazzo col perseguitarlo (“Io non
lo amo — io lo ucciderò”) e sostituisce “percezioni - sentimenti interni”
con “percezioni esterne.”
Di conseguenza l’affermazione “Io lo ucciderò” si trasforma per proiezione nell’altra “Egli mi ucciderà (mi perseguiterà) e ciò giustifica che io lo
uccida.” In tal modo il sentimento interiore, che è l’autentica causa, si presenta sotto l’aspetto di conseguenza di una percezione esterna: “Io non lo
amo affatto. Io lo ucciderò perché EGLI DESIDERA UCCIDERMI (PERSEGUITARMI).”
Come Schreber sposta il suo “oggetto” dal padre, all’inizio
dello schema, a Dio, alla fine, così. Laio sposta il suo “oggetto” da
Crisippo a Edipo.
Dice Devereux: “È sorprendente notare come la teoria psicoanalitica riservi un’attenzione veramente troppo scarsa a certi
complessi che, in effetti, completano il complesso di Edipo”
(1953, p. 132). Egli afferma che gli studiosi di psicoanalisi generalmente trascurano le componenti sadiche ed omosessuali di quello che, secondo lui, “può essere chiamato il complesso di Laio”
e ritiene che la mancata considerazione del “complesso di Edipo
complementare”
114
L’analisi di Freud
sia radicata nel profondo bisogno dell’adulto di ricondurre ogni responsabilità al complesso di Edipo del bambino e di ignorare, finché possibile,
certi atteggiamenti dei genitori che in realtà stimolano le tendenze edipiche
infantili. Questa intenzionale scotomizzazione ha probabilmente le sue radici
nella atmosfera autoritaria, caratteristica della vita familiare del diciannovesimo secolo... (ibid., p. 132).
Molti fra i primi pazienti che Freud diagnosticò come isterici
(la maggior parte sarebbero ora ritenuti schizofrenici) gli raccontavano che degli adulti li avevano sedotti durante l’infanzia. Dapprima Freud credette loro e pensò che i loro sintomi isterici derivassero dal ricordo di queste esperienze; in seguito arrivò a non
prestare loro fede; più tardi ancora giunse a pensare che i suoi
pazienti non stessero ricordando delle seduzioni reali, bensì le loro
fantasie di seduzione. Paragonò queste fantasie alle “produzioni
immaginarie, divenute coscienti sotto forma di deliri della paranoia” (1906, p. 220).
Forse i suoi pazienti stavano riportando alla memoria le fantasie sessuali dei genitori verso di loro espresse attraverso giri di
frase (del tipo usato dal dottor Schreber), occhiate, espressioni del
volto e simili.
(ii)
L’elenco dei medici convinti che la masturbazione danneggiasse
la mente, il cervello o il fisico, comprende i più famosi psichiatri
del 1800.2 Ho compilato questa lista (che è solo un esempio)
delle conseguenze che si supponeva derivassero da un “abuso di sé,”
traendole dagli scritti dei medici più importanti, soprattutto psichiatri, del secolo scorso:
Apatia, disperazione, irascibilità, malumore, opacità dei sentimenti, perdita del rispetto di sé, ossessioni, azioni coatte, presunzione, carattere dispettoso, pigrizia, eiaculazione precoce, impotenza, frigidità, avversione al coito,
ipocondria, agitazione, melanconia, isteria, nevrastenia (cioè debolezza di
nervi), deliri, allucinazioni, mania, catatonia, pazzia, tendenze omicide e
suicidio;
2
La straordinaria storia degli atteggiamenti e dei comportamenti della medicina e
della psichiatria verso la masturbazione negli ultimi duecento anni è stata riveduta da
R.A. Spitz (1953), E.H. Hare (1962), J. Dulfy (1963), A. Comfort (1967) e T. Szasz
(1970); vedi anche gli articoli di Lea, Sturgis e Sutor in R.E.L. Masters (1967).
115
La famiglia che uccide
troppa (e troppo poca) circolazione di sangue nel cervello, esaurimento
nervoso, stupore, paralisi, tabe dorsale, deterioramento della vista, epilessia,
vertigini, perdita della memoria, debolezza di mente, idiozia, imbecillità,
demenza;
asma, dispepsia (cioè cattiva digestione), disuria (cioè orinazione difficile
o dolorosa), tubercolosi, disfunzioni cardiache, cancro, emorragia uterina, leucorrea (cioè perdite vaginali), abbassamento dell’utero, arresto della crescita,
debolezza, deperimento, marasma (cioè deterioramento del corpo) e morte.
La masturbazione era anche considerata conseguenza della
pazzia: chiunque valutasse così poco la sua salute mentale da
masturbarsi non poteva essere stato sano fin dall’inizio.
E. H. Hare (1962), psichiatra inglese, delinea la storia del sorgere e del venir meno della credenza che la masturbazione fosse
una causa importante dei disordini mentali:
C’erano danni più subdoli. Si riteneva che ogni giovane che si masturbasse danneggiasse la vitalità dei suoi futuri bambini; per duecento anni il
temibile fantasma della decadenza della razza errificò medici ed educatori
del mondo occidentale... I medici si ritennero i guardiani della civiltà;
affermavano che fosse un dovere dei genitori e degli insegnanti impedire
con ogni mezzo l’abitudine della masturbazione nei giovani; ritenevano inoltre che, se per gli adolescenti poteva essere sufficiente un appello alla ragione
o il quadro della futura malattia, per i bambini il metodo di prevenzione
più soddisfacente era la minaccia di una punizione immediata ed allarmante
(pp. 16-17).
Dottori, insegnanti e genitori prescrivevano, minacciavano ed
applicavano trattamenti per impedire la masturbazione a masturbatori sospetti o confessi di ogni età, specialmente bambini ed adolescenti. Poiché i medici ritenevano che molti divenissero malati
di mente o rimanessero tali a causa della masturbazione, imposero
loro rimedi antimasturbazione. I metodi usati per entrambi i sessi
includevano:
Castrazione; circoncisione; cinture di castità accuratamente chiuse; punizioni corporali; faradizzazione (cioè applicazione di elettricità) alla spina
dorsale; cauterio alla spina dorsale e ai genitali; inoltre, prima di andare a
dormire, si legavano le mani o si rinchiudevano in sacchetti e si legavano
sacchi di ciottoli alla schiena per impedire la posizione supina.
116
L’analisi di Freud
Contro uomini e ragazzi:
Chiusura del pene in bende; infibulazione (cioè applicazione di fili di
metallo o anelli attraverso il prepuzio per impedirne la ritrazione oltre il
glande); resezione dei nervi dorsali del pene per impedirne le sensazioni e
l’erezione; applicazione di un vescicante al prepuzio; rivestimento notturno
del pene mediante anelli spinati o dentati che lo pungessero in caso di
erezione.
Contro donne e ragazze:
Ovariectomia (cioè asportazione di un’ovaia); clitoridectomia (cioè
rimozione del clitoride); infibulazione del prepuzio e delle grandi labbra;
separazione chirurgica del cappuccio del prepuzio dal clitoride; applicazione
di un vescicante al prepuzio, alla vulva e all’interno delle cosce; inoltre,
prima di andare a dormire, si costringevano le gambe in stecche o si legavano
ognuna a una sponda dcl letto.
René Spitz (1953), psicoanalista americano che ha ampiamente
esaminato la letteratura sulla masturbazione, dice che “...fra il
1850 e il 1879 il trattamento chirurgico era consigliato píú spesso
di ogni altro rimedio...” (p. 120). Un presidente del Royal College
of Surgeons, James Hutchinson (1891), raccomandava la circoncisione per i masturbatori e diceva: “Misure più radicali della
circoncisione sarebbero... una vera gentilezza verso molti pazienti
di entrambi i sessi “ (citato da Hare, 1966, p. 22). Alex Comfort
(1967), scrittore e biologo inglese, dice che nell’ultima parte del
diciannovesimo secolo
ci fu veramente un notevole aumento di ciò che può essere definito solo
come sadismo da fumetti. La difesa di queste bizzarre terapie non era limitata agli eccentrici. Verso il 1880 coloro che desideravano per motivi inconsci legare, incatenare o infibulare i bambini attivi sessualmente o i malati
mentali — i due tipi di prigionieri più facilmente disponibili —, adornarli
con applicazioni grottesche, rinchiuderli in solfato di calcio, cuoio o gomma,
picchiarli, spaventarli o perfino castrarli, cauterizzare o privare delle innervazioni i genitali, potevano trovare un’autorità medica umanitaria e rispettabile per fare tutto ciò in buona coscienza. La follia masturbatoria esisteva
realmente, colpiva la stessa classe medica (pp. 103-4).
Paul Emil Flechsig (1847-1929), eminente neuroanatomista e
psichiatra, fu il medico di Schreber durante il primo attacco della
117
La famiglia che uccide
“malattia mentale” e le prime fasi del secondo, fu il direttore della
clinica dove Schreber fu curato. Per curare i loro disordini nervosi
e psicologici, sottopose a castrazione (1884) almeno tre degenti
della clinica. Flechsig, riferendo il “successo” ottenuto nella terapia di questi casi e passando in rassegna la letteratura corrente sul
valore della castrazione in psichiatria, conclude: “Io penso che ci
siano validi motivi per giustificare l’uso della castrazione come
trattamento sicuro contro nevrosi e psicosi” (p. 468).3
Bloch (1908) dice che i medici, per curare la masturbazione,
“apparivano davanti al bambino armati di lunghi coltelli e di forbici e minacciavano di sottoporlo a una dolorosa operazione o
perfino di tagliargli via i genitali” (citato da Hare, op. cit., p. 23).
Alle bambine veniva anche detto che sarebbero state loro amputate le mani. Hare scrive:
È certo che nella seconda metà del diciannovesimo secolo i bambini (e
anche le bambine) comunemente erano sottoposti alla minaccia dell’amputazione dei genitali e possiamo dedurne che la frequenza con cui i primi
pazienti di Freud ricordavano questa minaccia era il riflesso dell’importanza
che i genitori di solito attribuivano al divieto della masturbazione (ibid., p.
23).
Dati i procedimenti messi in atto contro i masturbatori e i
malati mentali, le minacce di castrazione erano credibili.
Struwwelpeter (Pierino-Porcospino) è un famoso libro per
bambini del 1800. Fu scritto in tedesco nel 1845 dal dottor Heinrich Hoffman, pediatra di Francoforte, e fu ristampato numerose
volte e tradotto in molte lingue. Eccone un brano intitolato “La
storia del bambino che si succhia i pollici.”
3
Molte esperienze e azioni di pazienti di ospedali psichiatrici, considerati dallo staff
come sintomi di un “processo” patologico, possono essere viste anche come risposte dei
pazienti al comportamento dello staff; per un esempio di ciò si veda Schatzman, 1970.
Non credo che il rapporto di Schreber con Flechsig e con i suoi inservienti fosse originariamente la causa dell’“evirazione” di Schreber, ma quei rapporti potrebbero avere
contribuito. Schreber collega spesso Flechsig o 1’“anima” di Flechsig con la sua “evirazione”; per esempio: “Piccole parti dell’anima di Flechsig... erano solite esclamare come
se fossero meravigliate: ‘Non è ancora evirato?’” (Denkwürdigkeiten, p. 127). È probabile
che Schreber sapesse che Flechsig usava la castrazione come trattamento. Negli ospedali
psichiatrici, i pazienti vengono a sapere presto quali terapie sono usate. Inoltre Schreber
potrebbe aver letto il resoconto di Flechsig su questo argomento: i pazienti di un medico
famoso spesso ne leggono gli scritti e Schreber fece molte letture in campo psichiatrico.
Schreber potrebbe aver detto: “Io sono già evirato o mi stanno evirando; perciò Flechsig
non ha alcun bisogno di evirarmi.”
118
L’analisi di Freud
Dice la mamma: “Mio buon Corrado,
Per pochi istanti io me ne vado,
Vo’ che tu sia studioso e buono,
Non far disordine, non far frastuono.
E guai se il pollice succhiar vorrai!
In modo orribile ten pentirai.
Tu non l’aspetti, ma, di soppiatto,
Entrerà il sarto tutto ad un tratto,
Taglierà il pollice col forbicione,
Come se panno fosse o cartone.”
La mamma appena la soglia ha tocca,
Ed ecco il pollice è nella bocca!
S’apre la porta ed il sartore
Entra a gran salti pien di furore.
Col forbicione, zig zag, recide
Al bimbo i pollici; il bimbo stride,
Invan, ché il sarto se n’è già andato
Col forbicione insanguinato!
La mamma attonita e sbigottita
Vede Corrado senza due dita,
E quei due pollici, così tagliati,
Mai più a Corrado son rispuntati.
La storia è illustrata con figure a colori che mostrano l’amputazione dei pollici. Mentre Corrado succhia il pollice c’è un volto
corrucciato sullo sfondo; quando i suoi pollici non ci sono più
il viso è sorridente. La storia presenta, in forma attenuata, la castrazione come punizione (o trattamento) della masturbazione,
trasformata nel taglio dei pollici come punizione per coloro che
sono soliti succhiarseli.
Questo dunque era il contesto sociale in cui Freud osservò il
“complesso di castrazione” nei suoi pazienti arrivando a ritenerlo
universale. In tempi diversi, Freud avanzò opinioni diverse sul
rapporto tra minaccia di castrazione nell’infanzia e timore di castrazione nella vita adulta. Ecco due esempi tratti dai suoi scritti:
Così, ad esempio, non è affatto raro che al figlioletto maschio che
prende il vizio di giocare con il suo membro e non sa ancora che si deve
nascondere tale occupazione, venga fatta la minaccia, dai genitori o da chi
ha cura di lui, che gli si taglierà il membro o la mano che ha commesso
il peccato. Interrogati, i genitori confessano spesso la loro persuasione di
aver agito, con tale intimidazione, in modo assai opportuno; alcuni soggetti
hanno un ricordo preciso, cosciente di tale minaccia, particolarmente quando
119
La famiglia che uccide
è stata subita in età un po’ più avanzata. Se è la madre o un’altra persona
di sesso femminile a profferire la minaccia, essa abitualmente ne deferisce
l’esecuzione al padre o al... medico... È tuttavia altamente improbabile che
la minaccia di evirazione sia fatta ai bambini tanto spesso quanto risulta
nelle analisi dei nevrotici. Su questo punto ci basti sapere che il bambino
si compone nella fantasia una simile minaccia in base ad allusioni, con l’aiuto
della conoscenza che il soddisfacimento autoerotico è proibito, e sotto l’impressione della scoperta del genitale femminile (1917, p. 334).
Freud pensava che i maschietti provassero orrore per la mancanza del pene nelle bambine e nelle donne, mancanza che, egli
afferma, i bambini e le bambine adducono come prova di una precedente castrazione delle bambine. Così, egli pensava, i bambini
che sanno che le donne sono prive del pene sono pronti a credere
alle minacce di castrazione dei loro genitori. Egli suggerisce anche
un’altra base del complesso di castrazione: dice che è una “dote
ereditaria,” un’“eredità filogenetica.” Pensa che
il bambino ricorre a questa esperienza filogenetica quando la sua esperienza
personale è insufficiente. Egli colma le lacune della verità individuale per
mezzo della verità preistorica, rimpiazza la sua propria esperienza con quella
dei progenitori... (1918, p. 272).
Freud pensava che le tribù preistoriche avessero praticato la
castrazione ed i loro discendenti consciamente l’avessero dimenticata ma inconsciamente la ricordassero, e le paure di castrazione
dei suoi pazienti e di tutte le altre persone fossero ricordi ereditati.
Se fosse così, saremmo tutti filogeneticamente destinati ad essere
paranoici, specialmente se siamo maschi.
In mancanza di sufficienti prove a sostegno della castrazione
preistorica o dei ricordi trasmessi per via filogenetica, la teoria
di Freud, benché interessante, è incerta. Essendo disponibili dei
dati riguardo alla castrazione minacciata e reale al tempo di Freud,
la teoria freudiana è una spiegazione gratuita delle paure di castrazione dei suoi pazienti e di altri; per la stessa ragione trovo
superflua la sua teoria per cui il timore di castrazione dei maschietti
deriverebbe dalla scoperta dei genitali femminili.
La psicoanalisi inoltre spiega la paura del bambino di essere
castrato dal padre come proiezione del desiderio del bambino di
castrare il padre, cioè il bambino nega il suo desiderio e lo trasfe120
L’analisi di Freud
risce sul padre. Questo modello non considera la possibilità che il
desiderio inconscio del bambino di castrare il padre sia una risposta al comportamento paterno verso di lui.
Marx distingueva negli esseri umani tendenze “costanti” o
“fisse” e tendenze “relative.” Pensava che le tendenze costanti
esistessero in ogni condizione sociale, mentre quelle relative si
manifestassero solo in alcune. Forse i “complessi” della psicoanalisi, come le tendenze relative, sono possibilità umane innate, che
si realizzano solo in determinati contesti sociali.
Il “complesso di castrazione,” secondo me, può essere scisso
in due componenti: un “complesso di castrare” e un “complesso
di essere castrato.” Dubito che “l’essere castrato” possa esistere
senza “il castrare.” Ma Freud considera solo “l’essere castrato”
come oggetto adatto per l’analisi. Sembra dare per scontate le minacce di castrazione da parte di medici e genitori come un dato
universale, che rientra nell’ordine naturale delle cose e non richiede
quindi un’analisi. Per quanto deplori o metta in ridicolo un certo
comportamento dei genitori e dei suoi colleghi, lo accetta come
una norma.
(iii)
Si consideri il resoconto di Freud del caso del “Piccolo Hans,” 4
un bambino di cinque anni che egli analizzò. Hans si rifiutava di
uscire in strada perché aveva paura dei cavalli e in particolare
temeva che un cavallo lo mordesse.
Freud attribuisce al padre di Hans (un medico) e alla madre
delle qualità che i fatti da lui presentati contraddicono ampiamente. Freud dice:
I genitori, ambedue miei ferventi seguaci, avevano deciso di comune
accordo di allevare il loro primo bambino [Hans] senza sottoporlo a una
costrizione maggiore di quanto fosse assolutamente necessario... Il bambino
cresceva... l’esperimento di allevarlo senza restrizioni e senza minacce progrediva soddisfacentemente (1909, p. 45).
Il piccolo Hans ci viene definito dai suoi genitori un fanciullo sereno
4
Per una critica più completa dell’analisi freudiana del caso del “Piccolo Hans”
secondo linee simili alla mia, vedi Erich Fromm e altri, 1968.
121
La famiglia che uccide
e sincero, effetto immancabile di un’educazione intesa soprattutto ad evitare
i difetti abituali dei nostri sistemi educativi (ibid., p. 135).
Nei fatti i genitori costringevano Hans con la violenza e spesso
gli mentivano.
Durante una visita allo zoo, Hans e il padre trovarono l’ingresso del recinto delle pecore bloccato da una corda. Hans disse
che sarebbe stato abbastanza facile passarvi sotto; il padre gli fece
osservare che “le persone per bene non si infilano sotto le corde,”
inoltre “un guardiano avrebbe potuto vedere e portare il colpevole in
prigione” (ibid., p. 75).
Il padre di Hans fece delle annotazioni riguardo al figlio e le
discusse con Freud. Riportando questo materiale, Freud scrive che
Hans
un’altra volta sta a guardare, tutto interessato mentre la mamma si spoglia
per andare a letto.
MAMMA: Che cosa guardi così?
HANS: Guardavo solo se anche tu hai il pipi. [Wiwimacher nell’originale, cioè pene.]
MAMMA: Naturale. Non lo sapevi? (ibid., pp. 47-48).
I due genitori sostennero questa bugia parecchie volte. Più
tardi, quando il padre disse a Hans che la madre e la sorellina non
avevano il “pipi,” senza spiegargli che o perché i suoi genitori gli
avevano precedentemente mentito, Hans si rifiutò di credere alle
nuove informazioni del padre (p. 67). Freud spiega l’incredulità
di Hans in base al fatto che la nuova verità aveva necessariamente
“fatto sorgere il complesso di castrazione” (p. 70). Penso sia più
semplice ritenere che le affermazioni dei genitori lo avevano confuso e spaventato e che Hans trovava difficile ammettere che sua
madre non avesse il “pipi,” perché questo significava che entrambi
i genitori gli avevano mentito. A quattro anni non aveva ancora
visto i genitali dei suoi genitori.
Quando era nata la sorellina, egli aveva tre anni e mezzo.
Freud riferisce che il padre, il giorno del parto, scrisse:
Naturalmente nei giorni precedenti gli era stato spesso detto che la
cicogna avrebbe portato un bambino o una bambina; ora egli collega molto
giustamente quei gemiti insoliti coll’arrivo della cicogna (p. 48).
122
L’analisi di Freud
Freud scrive a proposito di Hans:
A tre anni e mezzo viene sorpreso dalla madre con la mano sul pene.
Essa minaccia: “Se fai questo faccio venire il dottor A. che ti taglia il pipi.
Con che cosa farai pipì poi?” (p. 46).
La madre di Hans lo minacciò di abbandonarlo prima dei quattro anni perché era “cattivo” (p. 78). Questo passo tratto dagli
appunti del padre si riferisce a un episodio successivo:
HANS: Ma io non lo tocco più il pipi.
[!!]
io: Però ne avresti sempre voglia.
HANS: Si, è vero, però “voglia” non è “fare” e “fare” non è “voglia”.
E per non farti venire la voglia, stasera ti mettiamo a dormire dentro un
sacco (p. 66).
Freud attribuisce la fobia di Hans a:
la paura della minacciata evirazione... La sua paura che il cavallo lo morda
può capirsi benissimo e senza sforzo: è paura che il cavallo gli morda via
il genitale, che lo eviri (1926, p. 46).
Egli sembra presumere che il “complesso di castrazione” di
Hans si sarebbe sviluppato anche senza le minacce di castrazione
quando dice: “Il bambino si fabbrica questo pericolo” (1909,
p. 46 n.).
Freud non rivolge la sua attenzione né alle minacce dei genitori (eccetto a quella di castrazione) o alle loro bugie né li considera
nella sua formulazione del problema di Hans.
Non abbiamo dati sufficienti, credo, per riuscire a costruire
su solide basi una nuova teoria per spiegare perché Hans aveva
paura di essere morso dai cavalli. Ma ne abbiamo abbastanza per
vedere che Freud trascura di considerare almeno alcuni comportamenti dei genitori di Hans che potrebbero spaventare e confondere
un bambino.
Le ideologie sono idee che servono come armi per difendere
degli interessi sociali. Le credenze, le minacce e le pratiche di castrazione che ho illustrato qui rappresentano il punto culminante
delle ideologie familiari del diciannovesimo secolo. Esse riflettono
123
La famiglia che uccide
e difendono la struttura di potere esistente: i padri in cima, le
donne e i bambini molto al di sotto. E nessuno deve masturbarsi.
Masturbandosi un bambino prova piacere con, in, da e per se stesso
(o se stessa). Egli (o ella) si sente libero (o libera) per un attimo
fugace dal bisogno di un’autorità esterna. Perciò può essere, come
ha detto Sartre, un atto pericoloso. Forse è per questo che l’epoca
vittoriana e bismarckiana lo temevano così fortemente.
Il terreno su cui si riproducono le ideologie familiari è la
famiglia. La famiglia del diciannovesimo secolo (come molte di
oggi) era una fabbrica di ideologie autoritarie; essa imponeva ai
suoi membri i propri schemi di rapporti come se fossero schemi
mentali.
La psicoanalisi,5 con ciò che ha trascurato di dire riguardo alla
masturbazione, alla posizione delle donne e dei bambini e alla persecuzione dei bambini da parte dei genitori, ha inconsapevolmente
contribuito alla conservazione delle ideologie del suo tempo; ha
accettato certi aspetti dello status quo della società. Fino ad oggi
la masturbazione non è ancora stata inequivocabilmente liberata
dallo stigma di essere, specialmente nei bambini, un segno di nevrosi. Precedentemente la psicoanalisi aveva considerato la masturbazione come possibile causa delle nevrosi.
Quanto alla persecuzione dei bambini da parte dei genitori,
Freud non la vede (Schreber) o la vede ma non la vede come tale
(Piccolo Hans) o non vede il bisogno di studiarla (Laio, il “complesso di castrare”) o di sfidarla (il “complesso di castrare”).
È diventato di moda in alcuni ambienti criticare Freud per
non avere chiamato in causa la famiglia autoritaria e le strutture
politiche del suo tempo e del suo paese. E i suoi seguaci? Il movimento psicoanalitico, soprattutto nei suoi istituti di training,
riflette ancora in gradi diversi nei differenti paesi europei la struttura patriarcale della famiglia della borghesia mitteleuropea del
diciannovesimo secolo. Alcuni psicoanalisti originariamente giustificarono questo fatto con un’opportunità politica: un piccolo
nucleo agguerrito di audaci pensatori in mezzo ad ambienti ostili
5
Quando parlo di psicoanalisi o di movimento psicoanalitico non mi riferisco a persone quali Erich Fromm, Karen Horney, R.D. Laing e Harry Stack Sullivan; essi hanno
diffuso opinioni compatibili con quelle qui espresse.
124
L’analisi di Freud
necessitava di una struttura solida, fortemente autoritaria. Io non
credo che una tale roccaforte sia necessaria adesso (dubito che lo
sia stata mai). E il prezzo pagato per questo in perdita di idee e di
pensatori radicali è alto.
Gli schemi mentali e i modelli di sviluppo del bambino, come
i sistemi economici o politici, non possono essere capiti se le loro
origini sociali sono trascurate. Gli stati mentali corrispondono,
benché non esattamente, al loro contesto sociale, le teorie sugli
stati mentali al loro contesto sociale e le teorie sulle relazioni fra
gli stati mentali e i contesti sociali al loro contesto sociale. Ciò di
cui tutti gli individui, compresi i teorici della mente, sono coscienti, è in parte determinato da ciò di cui il loro ambiente sociale
permette loro di essere coscienti.
Fin dall’inizio, la psicoanalisi e la psichiatria, ad ogni livello,
in teoria e in pratica, hanno demistificato, respinto e protetto e
accettato le diffuse ideologie imperanti.
Ritengo che la psicoanalisi sia generalmente più consapevole
e più critica verso le ideologie largamente diffuse delle altre forme
di psicoterapia.
Nessun gruppo di individui, dilettanti o professionisti che siano, sono immuni dalle influenze ideologizzanti del proprio contesto
sociale. La famiglia autoritaria e patriarcale del diciannovesimo
secolo era una delle condizioni sociali in cui la psicoanalisi si sviluppò e che talvolta essa sembrò incorporare. La psicoanalisi ha
avuto la tendenza a non criticare certe tirannie a cui questa famiglia ha dato origine.
La cosmologia di Schreber — un Dio di sesso maschile in cima
alla gerarchia composta di complici, delegati e servi — sembra
essere una proiezione celeste della sua famiglia di origine e di molte
famiglie del suo tempo. Nessuno che sia cresciuto in questo tipo
di famiglia e che abbia imparato a vivere felicemente con le sue
regole e i suoi ruoli, le sue premesse e le sue pratiche, potrebbe
considerarla come origine del senso di persecuzione di qualcuno.
Forse è per questa ragione che per cinquant’anni dopo la pubblicazione delle Denkwürdigkeiten di Schreber nessuno pensò a collegare le sue sofferenze con gli atteggiamenti del padre verso i
bambini.
Ho collocato la teoria freudiana della paranoia all’interno di
125
La famiglia che uccide
ciò che ritengo il suo contesto ideologico, ho mostrato che la teoria
evita la questione della persecuzione dei bambini da parte dei
genitori e ho messo in dubbio la relazione fra alcuni dati di Freud
e le sue conclusioni. Questo non significa che non ritenga valide le
sue conclusioni. Al contrario, credo che la sua teoria abbia un
grande potere chiarificatore, considerando i dati di cui si serve,
ed abbia contribuito alla comprensione di alcune zone della mente
di molti. Inoltre gli allievi di Freud hanno modificato la sua teoria
della paranoia per renderla più flessibile e per permetterle di spiegare più modelli di pensiero considerati paranoici (Si veda, per
esempio, Melanie Klein, 1948, pp. 282-310, Robert Waelder,
1951, W.R.D. Fairbairn, 1956 e molti altri). Ma le revisioni
della teoria originale freudiana non considerano, né possono considerare senza essere rivedute esse stesse, i dati tratti dagli scritti
del padre di Schreber. Questo avviene perché, nel loro linguaggio
e nelle loro idee, sono interessate ai rapporti fra oggetti o strutture, non fra persone: un “oggetto parziale” sadico o un “SuperIo” punitivo non sono un padre crudele o il suo ricordo trasformato.
126
Capitolo nono
La persecuzione della Cosa
Un passo avanti molto importante della teoria della personalità negli ultimi venticinque anni è stato, secondo me, la progressiva consapevolezza che nessuno può essere compreso adeguatamente se isolato dal suo contesto sociale. L’esperienza e il comportamento di ognuno, sia egli considerato sano o pazzo, sono
comprensibili, almeno in parte, come risposte al comportamento
passato o presente di altri verso di lui e intorno a lui.
Ciononostante, il linguaggio e le etichette usati dagli psichiatri
sono ancora orientati verso la definizione di individui “malati”
o “devianti.” La nosologia psichiatrica classifica i pazienti degli
psichiatri come disturbati, ma non possiede categorie per etichettare le situazioni interpersonali che possono disturbarli. Abbiamo
bisogno di linguaggi appropriati, di schemi e di modelli con cui
pensare agli effetti causati sulle persone dal contesto sociale — famiglie, scuole, chiese, fabbriche e circoli — e alle relazioni fra
piccoli gruppi microsociali e relativo contesto macrosociale: la
Società nel suo insieme.
La psicoanalisi presuppone, almeno in teoria, che il senso di
persecuzione di una persona sia in parte o totalmente causato da
fantasie determinate dall’istinto o filogeneticamente. Certo molti
psicoanalisti sanno che le storie di persecuzione infantile raccontate dai loro pazienti sono vere. Ma questo, sebbene valido, non
è soddisfacente, se essi non hanno una teoria con cui spiegare come
la persecuzione avvenuta nel passato possa in seguito dare origine
a certe strane esperienze.
In questo capitolo discuterò delle connessioni fra eventi che
si verificano all’interno di una persona e fatti che avvengono nelle
127
La famiglia che uccide
relazioni tra persone. Passerò dal livello intrapersonale a quello
interpersonale e viceversa, senza deviare molto dal caso Schreber.
Ciò che dirò qui può fare luce su situazioni di altre persone diverse
da Schreber, considerate come paranoiche o schizofreniche. Inoltre
suggerisco alcune modalità di collegamento fra modelli di esperienza e di comportamento di singoli individui e modelli di eventi
della loro famiglia di origine.
Si consideri un individuo che ritenga certi eventi verificantisi
nella sua mente (pensieri, sentimenti, percezioni, ricordi, ecc.)
come cattivi, pazzi, osceni, impuri, sporchi o pericolosi. Se egli
desidera considerarsi buono, sano, decente, puro, pulito e sicuro,
ha bisogno di adottare certe tattiche mediante le quali affrontare
quegli eventi, quando gli appaiono alla coscienza o prima del loro
apparire. Si possono sfuggire i pericoli o gli elementi “cattivi” del
mondo che ci circonda; basta allontanarsene. Ma in questo caso
la fuga non è attuabile, non si può ritirare la nostra mente da se
stessa.
C’è una scappatoia possibile e spesso usata; fingere che certi
eventi non si verifichino nella nostra mente, cioè escluderli dal
campo della coscienza. Ma fuori dalla coscienza non significa fuori
dalla mente; è solo un’apparenza. Come gli oggetti del mondo
esterno non scompaiono quando voltiamo loro la schiena, così gli
eventi della nostra mente non cessano di verificarsi per il fatto
che ci distogliamo da loro. E, anche fuori dalla consapevolezza,
essi sono spesso sottoposti a mutamenti.
Freud usava parecchi termini per indicare le operazioni con
cui allontaniamo o manteniamo lontani dalla consapevolezza determinati eventi, per esempio rimuovere (verdrängen), rinnegare
(verleugnen) e rifiutare (verwerfen); e alcuni per indicare una inconsapevolezza parziale, per esempio condannare (verurteilen) e
negare (verneinen). René Laforgue, psicoanalista francese, usò un
termine tradotto in italiano con scotomizzare, cioè rendere qualcuno cieco a qualcosa; molti psicoanalisti parlano di ripudio o
negazione di eventi. Tutti questi termini rappresentano dei mezzi
mediante i quali ci si priva di alcune possibilità della nostra mente.
Uso questi termini in modo intercambiabile, dal momento che
trovo difficile distinguere in pratica le singole operazioni a cui si
riferiscono. Qui, per comodità, mi riferisco a uno di questi, alla
128
La persecuzione della Cosa
rimozione. Attraverso lo strumento della rimozione la mente cerca
di espropriare da se stessa degli elementi che ritiene inappropriati;
cambia cioè il “me-cattivo” nel “non-me.”
La rimozione è probabilmente una manovra complessa, che
implica delle operazioni verificantisi contemporaneamente, che
(i) definiscono certi pensieri come cattivi, (ii) condannano questi
pensieri, (iii) spingono e mantengono questi pensieri fuori dalla
consapevolezza e (iv) spingono e mantengono (i), (ii) e anche
(iii) fuori dalla consapevolezza. Per una maggiore elaborazione di
questi passaggi si veda Laing (1971, pp. 97-9, 104-16). John
Lilly (1970) esprime un’idea simile nel linguaggio dei computer
quando dice che gran parte del “materiale immagazzinato” e dei
“programmi” della nostra mente ci sono invisibili; suggerisce che
un programma possa richiedere che tutto o parte del materiale
immagazzinato sia alterato prima di apparire alla coscienza o possa
essere del tutto nascosto alla coscienza. E un altro programma
può alterare o nascondere quel programma.
Questa può essere la ragione per cui alcuni, che ritengono che
non hanno, hanno avuto o potrebbero avere “cattivi” pensieri,
di solito ritengono anche di non avere, avere avuto o potere avere
bisogno di regole che impediscano loro di avere quei pensieri.
Pensano di pensare in modo giusto proprio “naturalmente.”
La rimozione fa parte di una serie di operazioni, forse anzi
ne è la più importante, che compiamo sulla nostra esperienza per
normalizzarla, cioè per costringerla a modificare la nostra opinione
e la nostra opinione delle opinioni degli altri di ciò che è sano,
pulito, decente, puro, sicuro, buono, ecc. Gli psicoanalisti chiamano questo insieme di operazioni “difese.” Le difese sono volte
contemporaneamente in due direzioni: esse sono usate come difese
da qualcosa e come difese di qualcosa.
1. Le difese della coscienza difendono la coscienza dai “cattivi”
pensieri.
2. La difesa dei “cattivi” pensieri li difende dalla coscienza.
Il termine “difesa” usato nelle due frasi si riferisce allo stesso
insieme di operazioni considerato secondo due diversi punti di
vista. Le difese, mantenendo la coscienza e i “cattivi” pensieri
lontani gli uni dagli altri, tendono a proteggerli gli uni dagli altri.
Le difese di cui parlano gli psicoanalisti sono operazioni che
129
La famiglia che uccide
si compiono sulla propria esperienza. Però queste operazioni spesso
non sono sufficienti per garantire la purezza. Supponiamo che io
voglia tenere certe mie possibilità, di cui ho paura, lontane dalla
coscienza; sarebbe per me utile, forse necessario, eliminarne i ricordi nel comportamento degli altri. Tu devi smettere di comportarti in un modo che mi ricorda i miei desideri impuri. Così
devono fare anche gli altri, perché io possa avere il mio spazio.
Se tu non smetti o gli altri non smettono di disturbarmi, dovrò
togliere di mezzo te, loro o me stesso.
Chiamerò l’insieme di atti con cui ognuno agisce sul comportamento e sull’esperienza degli altri per difendersi contro eventi
“cattivi” verificantisi nella propria mente difese transpersonali;
così facendo uso un termine e un concetto già evidenziati da Laing
(1965, p. 370 e 1971, p. 13).
Le nostre difese sono collocate in profondità. Se voglio nascondere a me stesso un “cattivo” pensiero, di solito nascondo
questo pensiero, l’atto di nasconderlo, la regola secondo la quale
viene nascosto e la consapevolezza di nascondere qualcosa. Se
voglio eliminare dal comportamento e dall’esperienza di altri delle
tracce di ciò che nascondo a me stesso e se voglio anche tenere
nascosto a me stesso di nascondere qualcosa, posso supporre di
agire sugli altri non per la mia salvezza, ma per la loro. Così trasferisco il luogo in cui voglio conseguire il “miglioramcfto” dal
mio interno all’interno degli altri; i miei sforzi sono volti solo al
loro bene.
Perciò adesso mi trovo in questa posizione: dovunque io veda
“cattiveria,” devo distruggerla, pensando di farlo per il bene degli
altri. Dal momento che ciò che cerco di distruggere negli altri è
in realtà il mio materiale represso, le mie possibilità irrealizzate,
che rimarranno tali fino alla mia morte, il mio lavoro dura tutta
la vita. Il prezzo richiesto dall’inconsapevolezza è un’eterna vigilanza.
Per mantenerci invisibili i “cattivi” pensieri presenti nella
mente degli altri, bisogna eliminare dal comportamento degli altri
le tracce di questi eventi. Il comportamento riflette l’esperienza;
perciò se abbiamo bisogno o desiderio di sentirci più sicuri, bisognerà imporci sugli altri perché non sappiamo neppure che tali
eventi si verificano, si sono verificati o addirittura potrebbero
130
La persecuzione della Cosa
verificarsi nella loro mente. È meglio abituare le persone alle
“buone” abitudini mentali quando sono giovani. Un grammo di
prevenzione è più utile di un chilo di cura.
Il dottor Schreber consiglia spesso i genitori di rendere i
bambini inconsapevoli della loro stessa esperienza, se è del genere
che egli ritiene cattiva, e dice ai genitori di organizzare questa
messa in scena con i bambini di età compresa fra i tre e i cinque
anni, come esercizio formativo dopo ogni punizione; lo scopo è
di far sorgere nei bambini i sentimenti che egli ritiene debbano
provare.
È generalmente salutare per i sentimenti se il bambino, dopo ogni
punizione, dopo che si è rimesso, è gentilmente stimolato (preferibilmente
da una terza persona) a offrirsi di stringere la mano di chi l’ha punito come
richiesta di perdono... Da quel momento in avanti bisognerebbe dimenticare
ogni cosa.
Dopo che il bambino è stato così stimolato un po’ di volte, spontaneamente si accosterà a chi l’ha punito, ritenendo che ciò sia suo dovere.
Questo assicura contro la possibilità di sentimenti di rancore o di amarezza
e fa da mediazione fra il pentimento (che è il successivo scopo della punizione) e il beneficio che ne risulta e generalmente dà al fanciullo la salutare
impressione di essere ancora debitore di qualcosa verso chi l’ha punito, e
non il contrario, anche se per caso una parola o un colpo più del necessario
sia stato inferto al bambino. In genere, ogni richiesta di amore deve venire
dal bambino, e solo dal bambino... Se ci si dimentica di questo processo
di pentimento si rischia sempre che lo scopo principale di ogni punizione,
un sincero e serio senso di pentimento, non venga raggiunto, ma al contrario
un seme di amarezza si annidi nelle profondità del cuore dei bambini. Se
si omette completamente questo procedimento si rischia di concedere al
bambino punito il diritto di essere arrabbiato contro chi l’ha punito, il che
non è certamente coerente con un intelligente approccio pedagogico (1858,
p. 142).
Chiarire tutte le premesse implicite in questo passo del dottor
Schreber e altre premesse che queste richiedono, ci porterebbe
lontano dalla nostra strada. In breve, ne enumero poche evidenti:
Punire un bambino è prova della sua colpevolezza.
Benché la punizione possa essere eccessiva, non può mai essere
ingiustificata. Suo scopo è chiarire un riconoscimento di colpa, che
egli chiama pentimento.
È un dovere del bambino, non una scelta, chiedere perdono.
Soltanto chi punisce può perdonare un bambino punito.
131
La famiglia che uccide
Si agisce alla luce di ciò che si vede. Ognuna di queste premesse è una costrizione in base alla quale il dottor Schreber limita
la sua visione. Costringe l’opinione del bambino a coincidere con
la sua opinione di ciò che dovrebbe essere l’opinione del bambino.
Ogni “rancore,” “amarezza” o “rabbia” che il bambino provi
verso chi l’ha punito deve venire rimosso.
La rimozione, da un punto di vista psicoanalitico, è una difesa
intra-personale costruita per respingere un male reale, immaginario
o fantastico. Freud diceva che una persona rimuove un’esperienza
se teme che possa portarlo ad agire secondo modalità per le quali
egli ricordi (o immagini, o fantastichi) di essere stato punito, o
per le quali egli sappia (o immagini, o fantastichi) che sarà punito.
La rimozione può anche essere una manovra trans-personale. Sto
distinguendo l’operazione di un soggetto sull’esperienza di un
altro (trans-personale) dalla operazione di un soggetto sulla propria (intra-personale).
Una persona (spesso un genitore) ordina a un’altra persona
(spesso un bambino) di dimenticare pensieri, sensazioni o azioni
che la prima persona non può, o non vuole, permettere si verifichino nell’altra. Questa è la prassi normale in alcune relazioni
(specialmente in famiglie con un figlio schizofrenico). Se lo scopo
della prima persona è di proteggersi da un’esperienza che teme
che l’altra possa ricordarle, qualora l’altra la vivesse troppo intensamente, il comando serve da difesa transpersonale. Una difesa
transpersonale può essere un attacco contro l’esperienza di un’altra
persona, la quale può a sua volta avere bisogno di costruire una
difesa contro di essa.
Il dottor Schreber raccomanda la rimozione come manovra
transpersonale per indurre la rimozione in un bambino. Questa
manovra avrebbe potuto servirgli da difesa transpersonale se avesse temuto i suoi sentimenti di non-“pentito” nei confronti dei suoi
genitori. Suo figlio pensava che qualcuno potesse pensare che Dio
potesse ricorrere a ciò che chiamo difese transpersonali:
Chiunque si sia preso la briga di leggere con attenzione quanto è scritto
qui può avere spontaneamente creduto che Dio in persona deve essere stato
o essere in posizione precaria, se la condotta di un solo essere umano può
metterlo comunque in pericolo e persino se Egli stesso, seppure in rare
132
La persecuzione della Cosa
occasioni, può venire attirato in una specie di congiura contro gli esseri
umani che sono fondamentalmente innocenti (Denkwürdigkeiten, pp. 29-30).
In seguito dice che “è diventato un pericolo per Dio stesso”
(p. 56) e che “Dio stesso agisce verso di me in atteggiamento difensivo” (p. 177 n.). In un poscritto al suo libro fa questa annotazione:
Dio è un Essere vivente e sarebbe Egli stesso governato da motivazioni
egoistiche, se esistessero altri esseri viventi che potessero metterlo in pericolo
o in qualche modo risultare di danno ai suoi interessi (p. 358).
Non sta forse ascrivendo alla mente del padre delle operazioni
per spiegare il comportamento del padre, senza farne il nome?
Forse molte o addirittura tutte le difese di cui parla la psicoanalisi si sono formate originariamente nell’infanzia contro gli
attacchi degli adulti che temevano che i bambini gli ricordassero
le loro proprie possibilità represse.
Si chiami individuo paranoidogenico colui che genera negli
altri degli stati paranoici. Ritengo che si tratti di qualcuno che
perseguita o è perseguitato (è difficile distinguere la forma attiva
da quella passiva) dalle possibilità del suo stesso essere che ritiene
cattive e cerca di distruggere “negli” altri. Eccone una ricetta:
Si consideri una parte di noi stessi, la Cosa, come cattiva (o
pazza, oscena, impura, sporca, pericolosa, ecc.).
Si tema che la Cosa ci distrugga se noi non distruggiamo la
Cosa.
Si distrugga la Cosa in noi stessi negando che la Cosa sia parte
di noi stessi.
Si neghi la negazione che qualcosa è negato, e la negazione
della negazione.
Si scopra la Cosa in altre persone.
Si tema che la Cosa contenuta in esse le distrugga, distrugga
gli altri o noi stessi se la Cosa non è distrutta.
Si adottino delle misure per distruggere in esse la Cosa, anche
se ciò implica la distruzione delle persone in cui la Cosa è scoperta.
Per essere effettivamente validi quali persone paranoidogeniche
è meglio avere potere sulla nostra vittima, in modo che essa non
possa facilmente sfuggire: l’inquisitore sull’eretico, lo psichiatra
133
La famiglia che uccide
dell’ospedale sul paziente psichiatrico coatto, il genitore sul bambino.
Ritengo che il dottor Schreber sia un tipico esempio di persona
paranoidogenica.
(Il termine Cosa, da me usato, è distinto dall’Es di Georg
Groddeck e dall’Es di Freud. L’Es di Groddeck [1961] è una
“entità prodigiosa che dirige” nell’uomo “ciò che egli fa e tutto
ciò che gli accade.” È ciò da cui l’uomo è “vissuto” [pp. 14-15].
L’Es [1951] è “la natura più profonda e la forza dell’uomo. Realizza tutto ciò che accade con l’uomo, attraverso di esso e in esso”
[p. 40].
Freud dice a proposito dell’Es:
Lo chiamiamo un caos, un calderone di eccitamenti ribollenti. Ce lo
rappresentiamo come aperto all’estremità verso il somatico, e che ivi accolga
in sé i bisogni personali, i quali trovano cosa la loro espressione psichica...
Non ha un’organizzazione, produce solo lo sforzo per procurare soddisfacimento ai bisogni pulsionali [1933, pp. 479-80].
L’Es di Groddeck e l’Es di Freud, diversamente da ciò che
io chiamo la Cosa, non sono socialmente determinati nel loro
essere. Essi esistono prima della vita sociale, benché le forze sociali
li urtino. Tutte le società trattano come Cosa, nel senso in cui la
uso io, certe espressioni sia dell’Es di Groddeck che dell’Es di
Freud, ma ciò che una data società tratta come Cosa subisce variazioni.)
I sentimenti e gli atti omosessuali possono essere la Cosa e
spesso lo sono stati nella società occidentale almeno durante gli
ultimi quindici secoli. Gli omosessuali sono stati condannati a
morte come gli eretici. Freud collegava il senso di persecuzione
con l’amore omosessuale; egli può avere correttamente notato che
essi sono spesso connessi. Ma sarebbero collegati così spesso o
completamente in una società che approvasse apertamente e valorizzasse l’amore omosessuale? Considerato il modo in cui gli omosessuali attivi e sospetti sono stati e sono perseguitati, non è sorprendente che degli omosessuali “latenti” temano delle persecuzioni. Potremo così parlare di una società paranoidogenica.
Se uno si sente perseguitato da desideri omosessuali, può ricordare o percepire persecuzioni reali o minacciate contro i suoi
134
La persecuzione della Cosa
desideri, sia che egli sia a conoscenza o no dei suoi desideri, o di
sentirsi perseguitato da essi e perché. Molti adulti ebbero da bambini l’esperienza di persone dello stesso sesso verso le quali avevano espresso i propri desideri sessuali, che reagirono con rabbia
o disprezzo, probabilmente a causa dei timore che i loro stessi
desideri omosessuali potessero svegliarsi.
Possiamo porci una domanda che sembra senza risposta: se
la maggior parte di noi ha imparato a rimuovere i propri desideri
omosessuali durante l’infanzia, perché i più non si sentono perseguitati?
L’omosessualità, la persecuzione e la cosiddetta paranoia possono insinuarsi diabolicamente. Ho conosciuto un uomo così terrorizzato, dall’idea che altri uomini pensassero che egli volesse
sedurli sessualmente che scelse di smettere di parlare e di muoversi. Così nessuno avrebbe potuto “accusarlo” di un’inflessione
di voce seducente o di un modo di camminare “ancheggiante.”
I suoi genitori, irritati dal fatto che “non fosse socievole,” lo condussero in un ospedale psichiatrico dove fu rinchiuso come paziente coatto. Fu etichettato schizofrenico paranoico e catatonico e
gli furono somministrati elettroshock, sempre contro il suo volere.
I membri dello staff, per lo più di sesso maschile, avevano stabilito
che egli voleva “realmente” che un uomo lo violentasse e che se
un medico di sesso maschile “lo avesse eccitato” elettricamente
e gli avesse causato degli accessi convulsivi (una “sorta di orgasmo”) egli avrebbe contemporaneamente soddisfatto sia i suoi
desideri erotici “inconsci” sia la punizione che “inconsciamente”
desiderava. Mi domando in quante società un individuo può cacciarsi ed essere cacciato in tali pasticci a causa di un amore omosessuale.
Gli omosessuali, collocati in posizioni “sicure ed importanti”
al governo o in grandi aziende, soprattutto prima di questi ultimi
dieci anni, erano talvolta perseguitati in modi strani. Se il loro capo
scopriva che erano omosessuali, poteva chiedere loro di lasciare
il lavoro per il fatto che costituivano dei “rischi alla sicurezza”
in quanto erano considerati suscettibili di ricatto da parte di qualcuno che minacciasse di rivelare che erano omosessuali. Potevano
infatti essere ricattati soprattutto con la minaccia che avrebbero
perso il lavoro se la loro omosessualità fosse stata scoperta, mentre
135
La famiglia che uccide
rischiavano di perdere il lavoro a causa della supposta possibilità di
essere sottoposti a un ricatto.
I pensieri omosessuali costituiscono una classe di eventi mentali che possono dare origine a persecuzione (e paranoia). Ogni
possibilità della mente che essa sceglie di condannare come cattiva
e di distruggere può essere la Cosa. Il desiderio di masturbarsi fu
la Cosa in gran parte dell’Occidente per centocinquanta anni e ancora lo è in certi ambienti. L’“abuso di sé” è ancora causa sia di
persecuzione che di paranoia. Il dottor Schreber padre e forse
anche il figlio sembravano considerare la collera verso un genitore
come la Cosa.
Molte persone, per mantenere il proprio equilibrio mentale,
cercano di controllare eventi verificantisi in una mente che non sia
la loro.1 Ma certe persone, non necessariamente considerate come
psicotiche in sensu clinico, per mantenere il loro equilibrio stabiliscono dei parametri con cui governare stati mentali altrui così
ampiamente e in modo tale che gli altri non possono rimanere sani.
Infatti costoro perseguitano altri, spesso senza rendersi conto della
persecuzione insita nei loro atti. Una delle analogie preferite di
Gregory Bateson, etnologo americano, è questa: una macchina è
guasta sia perché non può più muoversi sia perché, muovendosi,
asfissia l’automobilista che si trova dietro con le esalazioni del
tubo di scarico. Questo secondo tipo di “guasto” sembra essere
tipico dei genitori di alcuni individui considerati pazzi.
È difficile illustrare con esempi tratti dalla vita vissuta o con
casi clinici la teoria che sto qui delineando, dal momento che si
basa su supposizioni riguardanti eventi mentali inconsci. Non si
può fare un’esperienza diretta di eventi verificantisi nella mente
di altre persone. Si può osservare il comportamento di un individuo ma non il vissuto o le operazioni compiute su questo vissuto
che si può supporre siano alla base di questo comportamento. Se
queste operazioni non sono evidenti alla persona nella cui mente
si verificano, essa non può parlarcene.
Non conosco nessun criterio sicuro mediante il quale accertare
1
Gli individui considerati ossessivi cercano di raggiungere lo stesso scopo organizzando “in modo corretto” degli eventi verificantisi nel mondo materiale. Un individuo
che è o ossessivo o paranoidogenico può essere entrambe le cose, benché non necessariamente.
136
La persecuzione della Cosa
il verificarsi di un’operazione di rimozione (quale operazione intrapsichica). È invisibile; la sua presenza può essere dedotta solo dall’assenza dell’esperienza cosciente degli eventi sui quali presumibilmente opera. Si può divenire consapevoli della sua esistenza dentro di noi solo dopo averla annullata.
Lo stesso avviene per tutti i meccanismi di difesa della psicoanalisi, per i passaggi intrapsichici della mia “ricetta” per la paranoidogenicità e per tutti gli elementi contro i quali queste operazioni sono costituite. Non ho mai sentito (né mi aspetterei di
sentire) nessuno dire che insegna ai propri bambini ad essere “buoni” perché lui possa rimanere sano di mente, dal momento che teme
che se essi fossero “cattivi” gli ricorderebbero i “cattivi” elementi
rimossi in se stesso che, se sottratti alla rimozione, minaccerebbero
la sua sanità mentale. Alcuni di questi passaggi, o forse tutti, sono
rimossi essi stessi.
Fornendo inferenze e costruzioni, posso trasformare delle
prove disponibili riguardanti il dottor Schreber padre in illustrazioni della mia teoria della paranoidogenicità. Mi sembra impossibile dimostrare una teoria che dipende in parte dall’attribuzione
alla mente di un individuo di certe operazioni di cui egli è inconsapevole.
Ecco un possibile esempio della Cosa per il dottor Schreber:
gli attacchi di melanconia. Niederland (1960) ha trovato in un
libro del dottor Schreber
un breve caso clinico intitolato “Confessioni di un individuo che è stato
pazzo” (Geständnis eines Wahnsinnig Gewesenen). Questo resoconto che
Schreber attribuisce a una conoscenza casuale fatta durante i suoi primi
viaggi è pieno di vaghe allusioni ad attacchi di melanconia, meditazioni
morbose e tormentosi impulsi criminali. Nel suo linguaggio velato il racconto suona come autobiografico... (p. 494).
Niederland conclude che il padre “durante l’adolescenza... era
un giovane piuttosto disturbato.”
Si consideri l’opinione del dottor Schreber riguardante il “cattivo carattere, l’atteggiamento mentale scontroso o imbronciato”
dei bambini in età fra i due e gli otto anni:
Una volta che il cielo si sia coperto di nubi, la nube è più difficile da
rompere. Una parola dura al momento giusto, un lampo minaccioso da lon137
La famiglia che uccide
tano, che colpisce se necessario, schiarisce di nuovo il cielo molto in fretta.
È molto importante e costituisce la base della disposizione verso la vita il
fatto che il bambino consideri come qualcosa di proibito ogni accenno di
cattivo umore senza motivo, ogni atteggiamento scontroso ed imbronciato...
Viceversa se si dà libero sfogo a questo stato mentale e si aspetta passivamente che cessi di infuriare, la sua forza cresce, finché diventa invincibile.
Ma tutti noi sappiamo che genere di demonio dannoso per la vita sia il
carattere originariamente innocuo nelle sue fasi di sviluppo che progrediscono furtivamente (1858, p. 130).
A proposito delle “sensazioni depressive” dei ragazzi aventi
un’età compresa fra gli otto e i sedici anni:
Dovremmo applicare qui la regola generale: tutte le sensazioni ignobili e
immorali, come altre sensazioni depressive (in particolare la tristezza immotivata e la rabbia, l’acrimonia e la gravità), devono essere soffocate subito
quando sono ancora in germe con un’immediata diversione o una diretta
soppressione... Dobbiamo prestare un’attenzione speciale al carattere sgarbato o irritabile di alcuni bambini, che si manifesta come il risultato non
solo di una sensazione fisica temporaneamente disturbata ma come un veleno
che si infiltra nell’anima. Questo richiede all’inizio un tipo di trattamento
più gentile, come tenere tutto il cibo lontano dal bambino... Più pericolose
e fortunatamente più rare sono la rabbia e la tristezza, silenziose, mordaci
e tenaci... Bisogna estrarre il marcio, fornendo un intenso aiuto, altrimenti
esso continua la sua azione divoratrice e le radici diventano cosi forti che
questo processo continuerà indefinitamente. È importante che nessuna traccia
di ciò rimanga in profondità perché tutte le erbacce dell’anima, anche le
più profondamente quiescenti, prima o poi nella vita diventeranno pericolose, se riceveranno nuovo nutrimento per infestare in ogni direzione. I
manicomi per alienati ne fornirebbero molte prove se si potessero seguire
le storie individuali delle sofferenze di quegli infelici fino alle ultime tracce
della loro origine (ibid., p. 241).
Ritengo probabile che il padre temesse il “marcio” nella sua
stessa anima. Forse le “erbacce profondamente quiescenti” avevano una volta minacciato la sua opinione di sé come individuo
sano di mente. Egli non poteva, suppongo, ammettere di averle
mai temute o di temerle, perché ammettere la paura voleva dire
ammettere la possibilità che la Cosa fosse in lui stesso, ed era proprio ciò che lui temeva. Egli ritira la sua consapevolezza dal suo
“veleno che si infiltra” e perciò arriva a credere che “nessuna
traccia di ciò rimanga in profondità” in lui stesso. E nega di ritirare così la sua consapevolezza.
138
La persecuzione della Cosa
Il suo slancio verso alti ideali morali può essere ritenuto il
modo suo proprio di negare o di evitare la minaccia delle sue
“sensazioni depressive”; così facendo egli mette in atto, secondo
il linguaggio di Melanie Klein e Donald Winnicott, due psicoanalisti inglesi, una “difesa maniacale” (vedi Winnicott, 1958,
pp. 129-44).
Ciò che egli teme gli ricompare sotto la forma di una possibile minaccia alla salute degli adolescenti, non alla sua. Deve
distruggere la Cosa contenuta in essi mediante un’“immediata
diversione o una diretta soppressione” della loro coscienza oppure facendoli morire di fame, “tipo di trattamento più gentile.”
Poiché egli può essere stato soggetto, durante l’adolescenza, alla
abitudine di rimuginare, è logico che siano gli adolescenti quelli
la cui salute mentale ritiene ne sia analogamente affetta.
Misteriosamente, in questo senso ottenne con i figli proprio
ciò che desiderava evitare. Uno dei resoconti dell’ospedale sul
figlio (Baumeyer, 1956) dice che egli soffriva di “profonde depressioni emotive” e che era “molto di malumore”; parlava
spesso di suicidio e alcune volte lo tentò. Inoltre un altro figlio,
il maggiore, si uccise. Non sappiamo come il padre sviluppasse
nei figli proprio ciò che temeva, ma lo possiamo immaginare.
Forse i suoi figli lo vedevano depresso o in lotta contro la depressione, e imitavano il suo stato mentale o vi si identificavano.
Forse, il padre divenne effettivamente pazzo. Alfons Ritter,
che scrisse una dissertazione sul padre, dice:
Verso la fine del 1850 [avrebbe dovuto avere circa cinquant’anni]
Schreber ebbe un incidente grave e increscioso — una pesante scala di ferro
gli cadde sulla testa in palestra --- che gli lasciò dei mal di testa cronici
[non fu possibile ottenere una diagnosi medica esatta], che spesso lo costringevano a casa per mezza giornata. Egli... visse con la paura costante della
pazzia... la questione se le sue sofferenze furono causate dalla caduta della
scala o da un forte collasso nervoso... fu il soggetto di una discussione a
quell’epoca (1936, p. 14).
I matematici definiscono “ereditaria” una proprietà di una
data serie, se appartiene ad ogni elemento della serie e anche ogni
elemento successivo la possiede. (Ogni proprietà ereditaria posseduta dallo zero deve appartenere a tutti i numeri finiti; ogni
139
La famiglia che uccide
proprietà ereditaria posseduta da Adamo deve appartenere a tutti
gli uomini. L’uso che i matematici fanno del termine “ereditario”
è logicamente più fondato dell’uso fattone dai biologi.) Pensieri
o stati mentali “cattivi” possono essere ereditari, in questo senso,
in certe stirpi familiari, almeno in periodi di tempo limitati. Se
i genitori perseguitano ciò che ritengono essere dei “cattivi” pensieri o dei “cattivi” stati mentali nei figli, poiché i loro genitori
perseguitarono la stessa “cattiveria” in loro durante l’infanzia, e
se i loro figli, una volta divenuti adulti, faranno lo stesso con i loro
bambini, quella “cattiveria” può essere considerata come ereditaria in quella discendenza familiare. La “cattiveria,” come i cattivi geni, ha un’esistenza transindividuale, essendo trasmessa,
spesso inconsapevolmente, dai genitori ai figli.
Ciò che è chiamato paranoia o ciò che potrebbe essere chiamato paranoidogenicità (la condizione di indurre o causare la paranoia in altri) può essere “ereditato,” non attraverso i geni, ma
attraverso l’insegnamento, di ogni generazione alla successiva, a
temere certe possibilità della mente. Lo studio dei mezzi di trasmissione dei pensieri e degli stati mentali “cattivi,” di come le
linee di trasmissione spontaneamente comincino o abbiano fine e
come possano deliberatamente essere interrotte da interventi
esterni è appena cominciato.
Siamo tutti vittime o beneficiari, secondo i diversi punti di
vista, dei programmi stesi da esseri umani vissuti molto prima di
noi. Ottenere dei cambiamenti nel sistema complessivo di premesse
che regolano la sua esperienza e quella del suo gruppo sociale può
essere altrettanto difficile per un dato individuo quanto alterare
la grammatica della sua lingua natale.
140
Capitolo decimo
Paranoia e persecuzione
Dobbiamo ricordarci che ogni sintomo “psichico” è un velato grido d’angoscia. Contro cosa?
Contro l’oppressione, o ciò che il paziente vive
come oppressione. Gli oppressi parlano in un milione di lingue... Fanno uso di tutti i linguaggi ben
sperimentati di malattia e di sofferenza e costantemente aggiungono lingue create apposta per occasioni speciali. Hanno bisogno di questi espedienti
linguistici meravigliosamente complicati, poiché a
ogni singolo colpo devono rivelarsi e nascondersi.
Cosa dire dello psichiatra o degli altri che
desiderano aiutare un tale individuo? Devono forse
ampliare il dissenso e aiutare gli oppressi a gridarlo
ben forte? Oppure devono strozzare quel grido e
opprimere di nuovo lo schiavo fuggitivo? Questo
è il dilemma morale del terapeuta psichiatrico.
THOMAS SZASZ (1968)
Molti si sentono perseguitati, ma nessuno si sente paranoico.
La paranoia non è un’esperienza; è un’attribuzione che una persona fa sul conto di un’altra. È il giudizio che il senso di persecuzione di questa persona non si riferisce ad alcunché di reale. Colui
che si sente perseguitato ritiene che ciò da cui si sente perseguitato
sia reale. Certamente chiunque può dire di se stesso “Sono paranoico,” ma così facendo adotta una posizione che è di altri in
relazione alla sua propria esperienza. Diventa come se fosse sia
un’altra persona che guarda e giudica la sua esperienza “oggettivamente,” sia un oggetto guardato e giudicato.
L’opinione che il senso di persecuzione di qualcuno, magari
anche il proprio, non sia fondato può essere errata. Penso che
molte persone definite paranoiche dagli psichiatri siano persegui141
La famiglia che uccide
tate o lo siano state e lo sappiano, ma non riconoscono i loro persecutori reali o il modo in cui sono state perseguitate. Chiamarle
paranoiche, il che presuppone che non siano realmente perseguitate ma soltanto lo immaginino, è falso e sviante.
Si consideri uno schema con due colonne e due file, che dia
quattro possibilità:
Un tale non è perseguitato e
———————————————————————————————————————————————————————————————————————————————————————
———————————————————————————————————————————————————————————————————————————————————————
Un tale è perseguitato e
lo sa
non lo sa
——————————————————————————————————————————————————————————————————
(1)
(2)
Questo stato è con- Un tale crede di essesiderato normale.
re perseguitato mentre in realtà non lo
è. Gli psichiatri ritengono che gli individui che essi chiamano paranoici si
trovino in questo
stato.
—————————————————————————————————————————————————————————————————
——————————————————————————————————————————————————————————————————
(3)
(4)
È una vittima consa- Questo stato non ha
pevole.
nome.
Il primo caso è “normale.” Il secondo è attribuito dagli psichiatri a delle persone che essi chiamano paranoiche. E gli altri
due, specialmente il quarto?
Non c’è un termine nell’uso psichiatrico, o nel linguaggio corrente, per colui che “è perseguitato senza saperlo.” Dal momento
che questa condizione non ha nome, uno può soffrirne senza rischiare di venire etichettato. Credo che questa sia la condizione
prevalente. Ritengo che molti dei fratelli “sani” di individui considerati paranoici o schizofrenici sopportino questa condizione.
(Si noti: quando dico “è perseguitato” intendo anche è stato
perseguitato. Alcuni soggetti, perseguitati dai genitori nell’infanzia,
sono da loro perseguitati anche da adulti. Certuni involontariamente ritengono che altri li perseguitino, o inducano altri a perseguitarli, spesso in modo notevolmente simile alle loro esperienze
infantili. E molti, come Schreber, sono perseguitati dai ricordi della
persecuzione subita in passato.)
Ciò che è clinicamente definito come paranoia è spesso la par142
Paranoia e persecuzione
ziale presa di coscienza — appannata, come attraverso un vetro —
che si è stati o si è perseguitati. Uno può non essersene mai accorto
prima. I pensieri “paranoici” possono essere immagini di eventi
che in origine, giorni o decenni prima, furono visti, uditi, toccati,
annusati o assaggiati.
William James, filosofo e psicologo americano, era solito dire
che bisognava porsi questa domanda a proposito di ogni teoria:
che differenza pratica farebbe il supporre che fosse vera? Molti
psicoanalisti e alcuni psichiatri pensano che alcuni individui diventino schizofrenici o paranoici come risultato di un indebolimento
della rimozione. Ma rimozione di cosa? Di un amore omosessuale,
dei ricordi di essere stati perseguitati da altre persone, di entrambe le cose, di nessuna delle due cose, di qualcos’altro? Fa differenza quello che uno crede. Molti terapeuti esplicitamente tendono
col trattamento a un aumento o a un ripristino della rimozione,
non a un suo indebolimento. Se la mia teoria è giusta, ripristinare
la rimozione potrebbe voler dire spostare i soggetti dalla categoria
di coloro che sono perseguitati e lo sanno, a quella di coloro che
sono perseguitati senza saperlo. Mi chiedo se i terapeuti vorrebbero aumentare la rimozione dei pazienti se pensassero che questo
è il tipo di rimozione di cui si tratta.
Alcune persone non sanno identificare i loro persecutori o i
metodi di persecuzione, perché i loro persecutori non gliel’hanno
permesso. I persecutori possono persuadere o forzare le loro vittime a considerare la loro persecuzione come amore, specialmente
se i persecutori sono i genitori, i fratelli, i coniugi o i figli delle
vittime. I persecutori possono mentire più facilmente se essi stessi
credono alle loro menzogne. Se considerano anche la loro persuasione o la loro costrizione come amore, possono cercare di convincerne anche le loro vittime.
Per aumentare la propria paranoidogenicità, cioè la propria
capacità di indurre la paranoia in altri, sono particolarmente utili
alcune regole: si consideri la propria persecuzione come amore.
Se le proprie vittime considerano la propria persecuzione come
tale, si consideri la loro opinione come prova del loro bisogno del
nostro amore. Si consideri la resistenza delle nostre vittime alla
nostra persecuzione come un’espressione della Cosa, come l’eresia, la malattia mentale (per esempio la paranoia) o, per dirla con
143
La famiglia che uccide
il dottor Screber, come l’ostinatezza o la caparbietà. Di fronte
alla resistenza, si sostenga la propria persecuzione (o “amore”) con
maggior zelo. Eccovi uno schema più semplice di quanto mai lo
sia la vita familiare in vivo:
Il genitore perseguita il bambino.
Il genitore vede la propria persecuzione come amore.
Il bambino vede la persecuzione del genitore come persecuzione.
Il bambino può capire o no che il genitore intende la propria
persecuzione del bambino come amore; di solito però non lo capisce.
Il genitore vuole che il bambino ami, onori e obbedisca il genitore per il bene del bambino. Se il bambino non lo fa, il genitore
deve forzare il bambino a farlo, per il bene del bambino.
Quanto più il bambino vede la persecuzione del genitore come
persecuzione, tanto più il genitore perseguita il bambino e vede
la propria persecuzione come amore.
Il bambino cerca di nascondere il fatto che egli vede la persecuzione del genitore come persecuzione e di nascondere il fatto di
nascondere qualcosa. Il genitore dice al bambino: “La disonestà è
un male. Perciò ti punisco per il tuo bene se mentisci.”
(Una variante può essere: “Tu non puoi nascondermi i tuoi
sentimenti.” Sto distinguendo: “Non dovresti nascondermi i tuoi
sentimenti” da “Non puoi nascondermi i tuoi sentimenti.” La prima
affermazione è un ordine, la seconda è un’attribuzione che
maschera un ordine. La seconda è come l’induzione di un ipnotizzatore ed è una tecnica di controllo più efficace, probabilmente
perché il coniando è nascosto. Per una più ampia dissertazione su
questo punto si vedano Laing 1971, pp. 78-81 e Haley, 1963,
pp. 20-40.)
Il bambino si accorge che il genitore lo perseguiterà soprattutto se il genitore vedrà che il bambino vede la persecuzione del
genitore come persecuzione e lo nasconde e nasconde che c’è qualcosa che nasconde.
Il bambino nasconde a se stesso che vede il genitore perseguitarlo e nasconde a se stesso che c’è qualcosa che nasconde.
Se questo schema, o uno simile, riassumesse una parte di ciò
che si è verificato fra alcuni “paranoici,” quando erano bambini,
144
Paranoia e persecuzione
e i loro genitori, chiarirebbe perché essi diffidano così degli altri.
Questo spiegherebbe anche la scoperta di Robert Knight (1940)
che l’attribuire desideri omosessuali a un paziente “paranoico,”
“non solo non aiuta il paziente ma spesso lo rende più paranoico
che mai” (citato da Macalpine e Hunter, 1955, p. 23).
Dal mio studio delle idee di Schreber padre deduco che fra il
padre e il figlio esisteva questo tipo di situazione o una simile.
Nessuna teoria può essere sottoposta a tutte le prove rilevanti
possibili. Di una teoria è meglio non chiedersi se è giusta, ma quali
probabilità ha, alla luce delle prove disponibili, e che potere chiarificatore può esplicare per sostenerne la validità. I filosofi della
scienza hanno ripetutamente mostrato come ci si possa costruire
più di una teoria servendosi degli stessi dati. Dovendo scegliere fra
due opposte teorie, dovremmo chiederci: “Quale si adatta meglio
ai fatti?” La mia teoria sul senso di persecuzione di Schreber e
quella di Freud non si escludono l’un l’altra. Credo però che la
mia teoria si serva di un numero maggiore di fatti disponibili di
quanto non faccia quella di Freud.
Gli scritti del padre e del figlio mostrano che ciò che il padre
considerava come amore, il figlio lo vedeva come persecuzione.
Si noti l’opposto valore che ognuno attribuisce ai “raggi.” Ho già
citato in un altro contesto il seguente brano del padre:
Una volta che la mente infantile sia completamente penetrata dall’amore, dal rispetto e da tutti i caldi raggi che sgorgano fuori da loro, la
volontà del bambino è governata sempre più da questa prospettiva ed è
condotta gentilmente verso mete pure e nobili (1858, p. 235).
Il figlio dice:
Di per sé deve essere considerata contraria all’Ordine del Mondo una
situazione in cui i raggi servono soprattutto ad infliggere delle pene al corpo
di un singolo essere umano o a giocargli degli scherzi con gli oggetti con
cui è occupato: tali innocui miracoli sono divenuti particolarmente frequenti ultimamente (Denkwürdigkeiten, pp. 148-49).
Naturalmente mi riferisco solo al mio caso personale, cioè a un caso
in cui Dio entrava continuamente in contatto, mediante i raggi, con un
singolo essere umano, contatto che non poteva più essere interrotto e che
perciò era contrario all’Ordine del Mondo (ibid., p. 185).
145
La famiglia che uccide
Di nuovo, il padre e il figlio usano la stessa parola, Strahlen,
tradotta qui con “raggi.”
Schreber si sente tormentato dall’attrazione di Dio verso di sé
e vorrebbe che Dio si ritirasse da lui, un desiderio perfettamente
comprensibile alla luce del comportamento del padre verso di lui
quando era bambino. Egli non è attratto da Dio, come pensava
Freud; egli è attraente e vorrebbe non esserlo. Non è “Io lo amo”
che lo disturba, bensì “Egli mi ama.” Baumeyer (1956), riportando
le relazioni dell’ospedale dove era stato internato Schreber, dice
che quest’ultimo “dichiarava spesso di dover opporre una forte
resistenza contro ‘l’amore omosessuale di alcuni individui’” (p. 63).
Il seguente brano del padre mostra come un abile persecutore
controllasse le sue vittime nel nome della verità, della generosità
e del coraggio, e illustra gli ultimi passaggi del mio schema.
... Se non si assicura l’attaccamento alla verità nel cuore del bambino,
imprimendo un sacro terrore per ogni accenno di menzogna, come ci si può
stupire che più avanti nella vita, quando migliaia di tentazioni di mentire
continuamente richiedono tutto l’impegno per resistere, il dominio della
menzogna diffonda la propria autorità, essendo già stato preparato in gioventù... Il fanciullo dovrebbe essere permeato dalla sensazione dell’impossibilità di tenervi nascosto qualcosa del suo cuore, intenzionalmente e permanentemente. Senza questa incondizionata apertura dell’anima, ogni educazione
sarà priva di solide fondamenta. Ma, per raggiungere questo risultato, deve
essere soddisfatta un’ulteriore condizione. Bisogna venire in aiuto del bambino così che egli possa procurarsi e mantenere il coraggio spesso necessario
per attenersi strettamente alla verità; questo significa che nel caso di una
confessione di colpevolezza offerta spontaneamente, aperta e completa, la
colpa deve essere giudicata e punita in modo chiaramente più mite, tenendo
conto della sincerità, mentre nel caso opposto, se la colpa è punita una
volta, la bugia ad essa connessa è punita dieci volte (1858, pp. 144-45)
Il Grande Fratello si incarnò molto prima che Orwell scrivesse
1984.
Molti psichiatri e psicoanalisti hanno detto che i soggetti definiti schizofrenici soffrono di un’incapacità a distinguere l’“Io” dal
“non-Io” e sono privi dei “confini dell’Ego.” Ritengo che ad alcuni
di costoro sia stato insegnato dalle loro famiglie che non devono
o non possono vivere con un “Io,” come il padre di Schreber ha
evidentemente insegnato a suo figlio. Si noti che il dottor Schreber
non dice che i bambini non dovrebbero tenere qualcosa nascosto
146
Paranoia e persecuzione
ai genitori; dice che dovrebbero essere “permeati dalla sensazione
dell’impossibilità” di farlo, cioè devono sentire di non potere.
Benché su questo punto diverga dalle principali teorie sulla
paranoia, la mia posizione trova delle risonanze in altri autori.
O.H. Mowrer (1953), psicologo americano, scrisse:
Sembrerebbe più naturale e certamente più semplice interpretare i deliri
paranoici come proiezioni di una coscienza dissociata, piuttosto che come
proiezioni di un’omosessualità rimossa (pp. 88-89).
Dovrei quindi sostituire “i ricordi o le percezioni di persecuzione” alla “coscienza.”
W. Ronald D. Fairbairn (1956), psicoanalista scozzese, che
espresse la sua analisi di Schreber figlio nel linguaggio delle relazioni oggettuali, implica che Schreber può avere avuto un “Super-io
sadico,” composto di numerosi “oggetti cattivi” “interiorizzati”
che, quando Schreber impazzi, “si disintegrarono” in quegli “oggetti parziali” “con la conseguente liberazione di una moltitudine
di persecutori interni,” che egli “proiettò per difendersi nel mondo
esterno” (p. 119). Avrei preferito parlare di ricordi di persecuzione reale da parte di altri o di trasformati di questi ricordi piuttosto che di “oggetti parziali.”
Sono d’accordo con Harold Searles (1958), psicoanalista americano, quando scrive:
Il delirio così frequente nel paziente schizofrenico di essere magicamente “influenzato” da forze esterne [radar, elettricità o qualsiasi altra cosa]
trae in parte origine dal fatto che egli reagisce ai processi inconsci della
gente intorno a lui, gente che, essendo inconsapevole di questi processi,
non potrà aiutarlo a rendersi conto che l’“influenza” deriva da una forza
interpersonale, non di origine magica (p. 192).
Ritengo che molte delle azioni che il dottor Schreber compiva
verso i bambini fossero una forma di persecuzione, e oggi lo riterrebbero in molti. Ma egli non lo capi né, per quanto ne sappiamo,
lo capirono i suoi contemporanei o molti che vissero dopo di lui.
Pensava che fosse l’amore a motivare la sua condotta verso i bambini. Dice ai genitori:
147
La famiglia che uccide
Ogni vostro comportamento verso il bambino, ogni vostra influenza su
di lui devono essere fondati sull’amore, cioè sull’amore vero, puro e sensibile. Non è amore se fate questo o quello per il bambino, se intraprendete
questo o quello con il bambino, e un’osservazione più attenta rivela che
questo ha origine esclusivamente dal vostro amore per voi stessi, dal vostro
capriccio, dalla vostra vanità o dalla vostra tendenza ad intrattenervi e a
divertirvi per mezzo del bambino o da altre intenzioni subordinate (1858,
p. 131).
Il dottor L.M. Politzer (1862), suo collega di professione,
dice del dottor Schreber, in un necrologio, che egli ebbe “un cuore
pieno dell’amore più devoto, pronto a vivere e morire per il suo
dovere” (p. 2). Politzer riecheggia probabilmente l’opinione che
il dottor Schreber aveva di se stesso. Alfons Ritter (1936) descrive
il dottor Schreber come “mosso dall’etica filantropica di un grande
essere umano” e da un “amore per gli altri” (p. 17); afferma che
il dottor Schreber era “pieno di amore” (p. 23). Parlando della
casa del dottor Schreber, Ritter scrive: “I bambini non avevano
mai la sensazione di essere continuamente rimbrottati. Tutto si
svolgeva in un’atmosfera di libertà e perciò di fiducia indiscussa”
(p. 14).
Se il dottor Schreber ed altri considerano come amore ciò che
il figlio considerava come persecuzione, si pone un’altra
domanda: siamo proprio sicuri che ciò che consideriamo amore
o persecuzione sia amore o persecuzione? I concetti di amore e
di persecuzione sono indeterminati. La decisione di considerare
certe forme di comportamento come manifestazioni di amore o
di persecuzione non è un tipo di decisione che si possa prendere,
mi sembra, con l’aiuto dei metodi della scienza attuale. La decisione è soggettiva e largamente influenzata da ciò che potremmo
chiamare la sensibilità personale, che a sua volta è il frutto della
precedente programmazione di ognuno. Un uomo lega un bambino a un letto: è persecuzione o amore?
Ciò che vediamo verificarsi con una data persona o con un
dato rapporto fra persone non dipende solo da ciò che si verifica
ma dal modo in cui percepiamo e interpretiamo un dato evento.
Ci sono pochi criteri validi, se pure ve n’è alcuno, per decidere
quale parere sia più “corretto” in una situazione sociale, quando
le varie opinioni individuali sono diverse.
148
Paranoia e persecuzione
Ho avanzato l’idea che l’individuo considerato paranoico possa non immaginare di essere perseguitato; forse egli è stato o è
in realtà perseguitato da altri. Questa ipotesi richiede una revisione: egli vive come persecuzione ciò che egli stesso aveva precedentemente vissuto in modo diverso e che altri, compresi i persecutori e le altre vittime, per esempio i fratelli e i medici, spesso
non vivono come persecuzione. Costoro possono considerare il
suo senso di persecuzione come ingiustificato. Egli può inoltre
vivere questa invalidazione dei suoi sentimenti come una forma
di persecuzione essa stessa.
Ciò potrebbe complicare una ricerca che avesse come scopo
quello di verificare la validità delle mie ipotesi; ciò che un dato
ricercatore vede verificarsi in una data situazione interpersonale
dipende in parte dalla sua abilità di vedere cosa si verifica, cioè
da ciò che si potrebbe definire vagamente come la sua capacità
percettiva.
L’individuo considerato malato può vedere ciò che si verifica
attorno a lui diversamente da come lo vedono tutti gli altri. Il
fatto che gli altri non siano disposti a riconoscere che la sua visione
potrebbe essere valida può essere un elemento necessario, benché
non sufficiente, a scatenare la sua cosiddetta paranoia. Se diciamo
che egli è l’unico uomo che vede nel paese dei ciechi — per quanto
vaga e indistinta possa essere la sua visione — mentre gli altri dicono che è pazzo, chi ha “ragione”? Essi dicono che egli è meno
cosciente di loro della “realtà”; quella è la sua “malattia”, essi
dicono. Dostoevskij disse una volta: “Vi giuro, signori, che l’essere
troppo coscienti è una malattia, una vera e totale malattia.”
Martti Siirala, psichiatra finlandese, sostiene che morti dei
cosiddetti sintomi della schizofrenia potrebbero essere causati da
una predisposizione ereditaria, non del paziente, ma di coloro che
lo circondano, a combattere le strane tendenze da lui manifestate
che disturbano la loro concezione della realtà (1961, p. 73). Se
Siirala avesse ragione, gli studiosi di genetica dovrebbero rivedere
le loro premesse su ciò che si verifica nelle famiglie di schizofrenici.
Le concezioni di Siirala sono solo delle ipotesi e sarebbero difficili
da dimostrare. Ne faccio menzione solo per mettere in luce l’inesattezza di alcune assunzioni troppo rigide e facili.
Paranoia (para, accanto, al di là + nous mente) significa lette149
La famiglia che uccide
ralmente lo stato di essere accanto alla nostra mente o fuori da
essa. Quando ero bambino, mi capitò di arrovellarmi intorno alla
espressione “uscito di mente.” Mi chiedevo infatti dove fosse colui
che era uscito dalla sua mente e dove fosse quella mente che si
trovava fuori di lui. Il significato letterale della frase è assurdo.
Si può diventare coscienti di parti della propria mente di cui non
siamo mai stati coscienti prima, e viceversa perdere la coscienza
di parti di cui si è stati coscienti. Ma non si può mai divenire
coscienti di eventi che non siano situati nella nostra mente. Si
possono provare delle percezioni perché e solo perché gli eventi
verificantisi fuori di noi danno origine a eventi nella nostra mente.
Perfino le esperienze “esterne al corpo,” in cui si vede il proprio
corpo da una posizione vantaggiosa apparentemente esterna ad esso,
devono corrispondere a eventi nella mente di chi le prova.1
Nel linguaggio corrente, dire che qualcuno è “uscito di mente”
significa che egli è “fuori” o inconsapevole di quegli elementi della
sua mente che si adattano a certe opinioni predominanti di razionalità, ed è preoccupato da quegli elementi che non si adattano.
Essere razionale significa percepire la realtà e trarre corrette illazioni da essa. La nostra cultura definisce la “realtà” diversamente
da altre e, anche all’interno della nostra cultura, gli schemi ufficiali di definizione sono cambiati drasticamente. Alcuni “eretici”
di epoche precedenti (come Galileo) sono ora degli eroi. Altri
individui, perseguitati durante la vita e in seguito fatti santi dalla
Chiesa, ora sono considerati psicotici. Ai nostri giorni molti considererebbero valido il senso di persecuzione di Schreber, se collegato alla sua infanzia. Ma è impossibile che molti, se mai qualcuno
ci fu, lo avessero ritenuto tale quando era in vita. Pensare che egli
fosse nel giusto quando diceva di essere perseguitato (senza sapere
da chi o come) voleva dire supporre che egli fosse parzialmente
“nella” propria mente. L’etichetta di “paranoia” sarebbe, in questo senso, una definizione parzialmente inappropriata. È ironico
che un individuo possa essere considerato dai suo contemporanei
1
Qui la questione è tautologica. Il termine “mente,” come è generalmente usato
ai nostri giorni, è semplicemente il nome di un fascio, una raccolta, una classe di eventi
che si presuppone siano “mentali.” Un fatto mentale si verifica “nella mente” nello stesso
modo in cui un gatto rientra “nella” classe di tutti i gatti. Dalla definizione di mente
segue perciò necessariamente che un evento che non sia ritenuto mentale non si verifica
nella mente.
150
Paranoia e persecuzione
“uscito di mente” o malato proprio per il fatto di emergere da
qualcosa che tre generazioni dopo sarebbe stato considerato come
uno stato di profonda ignoranza in cui si trovavano ancora immersi
coloro che gli stavano intorno.
Gran parte della discussione sulla paranoia, così come gran
parte della discussione sulla schizofrenia, e in realtà una discussione sulla definizione di questo termine. Forse, non dovrebbe essere usato del tutto. Se il suo significato fosse preso alla lettera, potrebbe applicarsi validamente ad alcuni individui che vivono accanto a coloro ai quali è applicato attualmente.
151
Capitolo undicesimo
Il contesto, il “background” e l’eredità
1. Il contesto
Il dottor Politzer, parlando di Schreber padre, dice: “Ogni
epoca produce il suo uomo che ne esprime lo spirito, come se col
potere della Provvidenza... la generazione del nostro secolo richiedesse e creasse un uomo come Schreber” (1862, p. 2).
Quasi chiunque abbia studiato famiglie di persone etichettate
come paranoiche o schizofreniche è d’accordo sul fatto che l’irrazionalità dello schizofrenico trova la propria razionalità nel contesto
sociale della sua famiglia originaria. In che contesto questo contesto familiare trova la propria razionalità? Qual è la rete di relazioni sociali che circonda la famiglia di uno schizofrenico e quali
ne sono le proprietà? (Vedi Speck 1966 e Speck e Attneave 1970.)
A cosa si riferiscono gli schemi di pensiero, di parola e di azione
dei genitori di un figlio pazzo? Sarebbe saggio, ritengo, confessare
che non lo sappiamo.
Un uomo noto come grande studioso di pedagogia — Freud
disse che le attività del dottor Schreber “esercitarono una durevole
influenza sui suoi contemporanei” — ha due figli. Uno si suicida
e l’altro impazzisce. In che contesto sociale il sistema educativo del
dottor Schreber può trovare la sua razionalità? Perché il suo sistema veniva tanto stimato?
Schreber figlio trasformò il suo ricordo del padre in Dio. Si
ricordi che anche la sorella Anna aveva collegato il suo ricordo
della presenza di Dio in casa Schreber col padre; perciò teneva il
passo con le opinioni di altri su suo padre. Politzer, che ne scrisse
un elogio che fu pubblicato un anno dopo la sua morte in una
152
Il contesto, il “background” e l’eredità
rivista medica tedesca, dice che “la nostra devozione per lui deve
essere imperitura” e lo paragona a un “emissario della Provvidenza.”
Freud, che scrisse cinquant’anni dopo la morte del padre, afferma che quest’ultimo “non era stato un uomo insignificante”
(1911, p. 394). “Un tale padre non era certamente inidoneo, nel
tenero ricordo del figlio..., a diventare oggetto di trasfigurazione
divina” (ibid., p. 395). Freud riflette certamente l’opinione corrente sul dottor Schreber.
Il figlio era stato allevato ed aveva continuato a vivere in un
ambiente sociale in cui altri collegavano suo padre a Dio. Le opinioni di un ampio gruppo di persone possono avere influenzato
l’operazione con cui egli sostituì Dio al padre. Ma perché stimavano
così altamente il padre?
Politzer esaltò il dottor Schreber come “osservatore,” “psicologo pratico con la più ampia conoscenza della fisiologia” e “medico, insegnante, dietologo, antropologo, esperto di ginnastica e
terapeuta del fisico.” Politzer, dopo aver descritto ciò che egli
considerava come la “degenerata decadenza” spirituale e fisica dell’“epoca,” dichiarò: “Un uomo adatto doveva essere creato per
una tale epoca, e tale uomo fu Schreber” (1862, p. 2): “ciò che la
nazione tedesca e tutta l’umanità hanno perso con lui è stato proclamato a tutto il mondo con parole eloquenti, in giornali di tutte
le tendenze” (ibid., p. 1).
Pensava che il dottor Schreber avesse avuto sulla sua epoca
un “effetto duraturo, fruttuoso e formativo.” I libri del dottor
Schreber, scrisse, “che furono riprodotti in diverse edizioni e tradotti in quasi tutte le lingue in un breve periodo di tempo, sono
la testimonianza più lampante che le sue dottrine e i suoi metodi
sono stati adottati dalla maggioranza...” (p. 5). La Ginnastica medica da camera del dottor Schreber vendette quasi quaranta edizioni e fu tradotta in sette lingue. Il suo comportamento si è perciò
inserito in un contesto veramente enorme.
Il figlio dice: “Dio non comprese veramente l’essere umano
vivente...” (Denkwürdigkeiten, p. 55, corsivo nell’originale). Ritiene che “le azioni [di Dio] sono state praticate contro di me per
anni con un’estrema crudeltà e noncuranza, come solo una fiera
tratta la sua preda” (ibid., p. 359).
153
La famiglia che uccide
Se egli avesse sostituito Dio col padre, avrebbe detto la semplice verità sulle sue esperienze infantili. Ma se egli avesse detto
la verità, non avrebbe trovato nessuno, mentre era ancora in vita
e per molti anni dopo la sua morte, che lo avrebbe creduto.
Molti studi sono stati dedicati alla comprensione di Schreber,
ma fino a poco fa tutti quanti trascurarono di usare come dati gli
scritti del padre. Perché? Perché coloro che scrissero su Schreber
dopo Freud ignorarono la negligenza di Freud riguardo ai libri del
padre?
Il padre di Schreber era una figura chiave nella cospirazione
di certi genitori tedeschi contro i loro bambini. I cospiratori non
si consideravano come tali. Forse trattavano i loro figli come i loro
genitori li avevano trattati.
Edwin Lemert (1962), sociologo americano, che ha studiato
le relazioni interpersonali che si svolgono attorno agli individui
considerati paranoici, ha trovato che
l’idea generale che l’individuo paranoico si fabbrichi simbolicamente la
cospirazione contro di sé è, a nostro giudizio, scorretta o incompleta.
Né possiamo convenire che manchi di introspezione, come si afferma così
di frequente. Al contrario, molti paranoici si rendono perfettamente conto
di essere stati isolati ed esclusi da un’interazione concertata o di essere stati
manipolati. Tuttavia non sanno giudicare precisamente o realisticamente le
dimensioni e la forma della coalizione schierata contro di loro (p. 14).
Schreber nacque all’interno di una cospirazione organizzata
contro di lui. Coloro che cercarono, mentre era ancora in vita e
dopo la sua morte, di rendere comprensibile la sua esperienza,
non riuscirono a vedere la congiura. Non riuscendo a vedere la
congiura, la sostennero involontariamente. Abbiamo bisogno di
sapere come rendere comprensibile questa loro lacuna.
2. Il “background”
Come arrivò il dottor Schreber padre a sostenere le sue
opinioni? Che tipo di persone erano suo padre, sua madre e i loro
genitori? Chi furono i suoi insegnanti? Vorremmo sapere più di
154
Il contesto, il “background” e l’eredità
quanto possiamo scoprire. Non siamo neppure sicuri di chi furono
gli scrittori che lo influenzarono.
Ritter dice di lui:
Sarebbe affascinante per il biografo di Schreber tracciare il suo sviluppo
intellettuale nei minimi particolari. Ma a questo proposito tutte le fonti sono
estremamente carenti, i suoi libri di studio sono persi, la lista dei suoi
libri o di quelli presi a prestito non è mai stata reperibile e perfino...
l’Università di Lipsia... non riuscì a fornire nessuna informazione sugli
insegnamenti di Schreber. Siamo perciò interamente in balia delle nostre
supposizioni (1936, p. 24).
Le opinioni del dottor Schreber riguardo all’educazione dei
bambini e ad altri argomenti quali Dio, la storia e la nazione tedesca sono simili a quelle di Johann Gottlieb Fichte (1762-1814),
filosofo ed educatore tedesco. Fichte è considerato un filosofo precorritore del nazismo. Sia lui sia il dottor Schreber ritenevano che
lo scopo fondamentale dell’educazione fosse il raggiungimento della
vera religione. Non posso essere sicuro che il dottor Schreber conoscesse le sue idee o avesse letto i suoi libri; è probabile che lo
abbia fatto dal momento che l’influenza di Fichte sul pensiero
tedesco era forte negli anni in cui il dottor Schreber era stato educato. Il dottor Schreber aveva sei anni quando Fichte mori. Nella
mia breve discussione su Fichte voglio chiarire come il dottor
Schreber non fosse solo nelle sue opinioni, ma fosse al contrario,
come affermò Ritter, un “figlio del suo tempo.”
Fichte pensava che “il regno del cielo è una teocrazia... per la
credenza cieca di tutti” e affermava:
Come si può concepire un tale sistema sulla terra e nel mondo attuale
e sotto queste leggi? Quello è il problema (1813, p. 273).
L’uomo è soggetto alla volontà di Dio... senza l’obbedienza egli non è
niente e in realtà non esiste del tutto. Ora questa è l’opinione del cristianesimo o della filosofia, che sono sinonimi in questa connessione. [ ! ] Perciò
l’educazione deve necessariamente possedere l’arte di portare tutti gli uomini
senza eccezione infallibilmente a questa credenza... (ibid., p. 273).
Qui Fichte proietta sul “cielo” uno scenario terreno (che deriva dalla sua famiglia di origine? dal suo ambiente sociale? Dalla
sua chiesa?) e adotta quella proiezione come un ideale che gli
uomini devono seguire. La storia della filosofia politica occidentale
155
La famiglia che uccide
abbonda di simili tentativi volti a giustificare il dispotismo: si
predica un dispotismo “lassù” che è in realtà un modello di quelli
di “quaggiú,” e dal canto suo serve come modello che renda apparentemente legittimi quelli di quaggiù.
Nei suoi scritti sull’educazione Fichte sottolinea come vorrebbe migliorare la società. La prima cosa che il bambino deve
imparare è la soggezione a qualcuno. I genitori devono usare la
“costrizione” sui bambini cosicché i bambini siano “liberi solo
all’interno dello spazio in cui cessa la costrizione e questa libertà
va considerata come il risultato dell’azione dei genitori” (1798,
p. 129). I bambini devono avere qualche libertà perchè senza
libera scelta essi non potrebbero divenire “morali,” il che è un
altro scopo di Fichte. Chiama “libertà” l’“obbedienza volontaria”
del bambino:
Questa volontaria obbedienza consiste nel fatto che i bambini fanno
volontariamente, senza costrizione e senza paura di costrizione, ciò che i
genitori comandano e si astengono volontariamente da ciò che essi proibiscono, per il fatto stesso che essi l’hanno proibito o comandato. Infatti,
se i bambini stessi sono convinti della bontà e dell’opportunità di ciò che
è comandato e sono così convinti che la loro stessa inclinazione già li spingeva in quella direzione, allora questa non è obbedienza bensì introspezione.
Nel sistema di Fichte, come in quello del dottor Schreber,
libertà significa obbedienza all’autorità e nient’altro; in entrambi
i sistemi il bambino fa quello che i genitori vogliono che faccia,
pensando però che sia ciò che egli stesso vuole. Fichte ritiene che
l’opinione del bambino della “bontà” deve provenire dai genitori.
Se il bambino pensa che provenga da se stesso (benché in realtà
provenga da loro), Fichte chiama ciò “introspezione.”
Fichte dice che “se nient’altro prova la bontà della natura umana, lo fa quest’obbedienza”: la “fiducia infantile nella più alta
saggezza e bontà dei genitori in generale,” cioè non importa
quanto stupidi o limitati possano essere i genitori. Collega l’“obbedienza infantile” all’“amore o alla partecipazione della moglie.”
Fichte, come il dottor Schreber, paragona un padre a Dio:
Come un uomo colto si comporta secondo la legge morale in generale
e secondo il suo esecutore, Dio, così il bambino si comporta secondo i
comandi dei genitori. Nella religione cristiana Dio è rappresentato con l’im156
Il contesto, il “background” e l’eredità
magine del Padre. Ciò è magnifico... Si pensi... alla nostra doverosa obbedienza verso di Lui e alla sottomissione infantile alla Sua volontà... Lo
sviluppo di questa obbedienza è il solo mezzo con cui i genitori possono
produrre direttamente una disposizione morale nel bambino... (ibid., p. 130).
In uno scritto successivo, I discorsi alla nazione tedesca, uno
dei più importanti documenti del nazionalismo tedesco, propone
una “educazione nazionale dei tedeschi, cosa affatto nuova e di
cui non ci fu traccia presso nessun popolo mai” (1808, p. 44).
“La nuova educazione consiste appunto nel distruggere completamente la libera volontà sul terreno che essa intraprende a coltivare...” (p. 45). Se vuoi influenzare un bambino, “devi fare assai
di più che rivolgergli dei bei discorsi, devi foggiarlo e foggiarlo
così che egli non possa volere altrimenti di come tu vuoi che voglia”
(p. 46).
E chi ha influenzato Fichte? Egli riconosce, così come fanno
anche altri educatori tedeschi dell’800, soprattutto l’influenza di
Martin Lutero. Fichte dice che Lutero “è modello a tutte le generazioni future e ha compiuto per noi tutti una definitiva conquista” (p. 115). Lutero aveva conquistato la “libertà,” scrive Fichte, per i “figli di Dio.” Lutero aveva detto tre secoli
prima:
Nulla è migliore che obbedire e servire a tutti quelli che sono nostri
superiori. Per questa ragione la disobbedienza è peccato maggiore di qualsiasi altro: dell’omicidio, dell’impudicizia, del furto, della disonestà (citato
da Sabine, 1937, p. 288).
Benché molti, forse i più, degli educatori tedeschi dell’epoca
non avrebbero messo in discussione questi principi, alcuni avanzarono punti di vista diversi. Friedrich W.A. Froebel (1782-1852),
che apri il primo Kindergarten dandogli il suo nome, nel 1826,
scrisse che per mettere in evidenza il “divino” che è nei bambini
bisogna lasciarli “indisturbati,” si opponeva a “ogni forma di educazione e di istruzione attiva, dittatoriale, rigida e interferente mediante costrizione”; riteneva che l’educazione infantile dovesse
essere “passiva,” non “prescrittiva,” per permettere ai bambini
di spiegare i loro poteri. Ho l’impressione che solo una minoranza
degli educatori abbia adottato il suo punto di vista.
157
La famiglia che uccide
Il dottor Schreber padre rispecchiava e incoraggiava il clima
del suo tempo, ma egli era solo uno dei tanti; infatti la maggior
parte degli studiosi di pedagogia suoi colleghi ne condividevano
le premesse.
Idee simili a quelle di Fichte e del dottor Schreber erano largamente sostenute nel diciannovesimo secolo anche nei paesi di
lingua inglese. Riporto due fantasiosi brani inglesi di letteratura
per bambini dell’epoca vittoriana:
Non avete udito che castighi tremendi veramente
Saranno minacciati dal Signore Onnipotente,
A colui che rompe le leggi del padre
O inganna la parola della madre?
Quali gran colpe su di lui peseranno!
Come il suo nome sarà maledetto!
I corvi gli occhi gli strapperanno
E le aquile ne faranno lor banchetto.
(ISAAC WATTS, Divine and Moral Songs for Children, 1715)
Non può apparire manifestazione peggiore nel carattere di un bambino
della disponibilità a parlare con leggerezza dell’autorità di un genitore. Dio
onnipotente, che creò il cielo e la terra e può rendere buono tutto ciò che
dice, guarda alla disobbedienza verso i genitori come a uno dei più gravi
peccati che un bambino può commettere e pronuncia una maledizione terribile contro di lui.
(ANONIMO, The Children’s Friend, 1868)
Molti di coloro che in seguito trattarono o scrissero di Schreber figlio, senza collegare la sua “malattia di nervi” alle attività
del padre, non riuscirono a far valere una più alta o più ampia
razionalità con la quale misurare certi elementi presenti in quella
dominante.1 Forse essi sono stati educati con gli stessi principi
autoritari e patriarcali messi in pratica da Schreber padre. Quei
principi impedivano di sfidarli, di volerli sfidare, di provare rancore per esserne governati e perfino di essere consapevoli di esserlo. Forse avere riconosciuto il senso di persecuzione di Schreber come valido, in un certo modo, avrebbe potuto voler dire per
1
Molti enunciano fattori o cause di questo o di quel genere per spiegare ciò che è
considerato come devianza, ma ritengono che nessuno di essi sia necessario per comprendere l’accettazione delle norme largamente sostenute.
158
Il contesto, il “background” e l’eredità
loro infrangere le regole che governavano la loro stessa mente.
Al contrario, essi consideravano le sue proteste solo come sintomi
di un processo patologico; così facendo, lo invalidavano. Forse
anche in molte delle loro famiglie il Padre era Dio. Ma essi erano
discreti a questo proposito, Schreber fu indiscreto.
I teorizzatori della mente umana, che vissero in questo clima
e le cui opinioni hanno ancora influenza, ritenevano che ogni
“desiderio” o “bisogno” di essere governati da un’autorità esterna
derivasse dalle “tendenze” o dagli “istinti” individuali. Mi domando se le “tendenze” o gli “istinti” avrebbero assunto questa
forma se gli adulti non avessero persuaso e forzato i bambini a
credere che è bene avere tali desideri e tali bisogni ed è male non
averli.
Spesso la filosofia, la religione e la letteratura hanno approvato la cieca sottomissione a un potere esterno come il massimo
bene e condannato la disobbedienza come un male. Ciò può parzialmente spiegare perché molti, ai nostri giorni, pensano che la
colpa associata a certe azioni spaventose sia minore se sono compiute per ordine di qualcun altro. Poiché la società occidentale
attualmente ritiene che gran parte di ciò che considerava come
malvagio sia una prova di malattia mentale (vedi Szasz, 1970, che
elabora questo concetto), ciò può spiegare in parte perché alcuni
genitori e alcuni insegnanti ritengano che ogni bambino disobbediente abbia bisogno di un trattamento psichiatrico.
3. L’eredità
La via per il rinnovo dell’essenza tedesca e della forza tedesca implica
necessariamente il riconoscimento del sangue e della terra. Solo un’intima
alleanza col suolo tedesco crea una fede eroica nel paese dei nostri padri,
fede che non si preoccupa molto del beneficio personale quanto dell’interesse
della Nazione: una fede politica ed una volontà assolutamente metafisiche.
È nostro dovere in questo presente momento — che si è risvegliato
a nuova vita — ricordare con gratitudine colui che fu uno dei primi a
chiedere questo ritorno alla terra dei nostri padri. Strade e giardini portano
il suo nome, ma chi ne sa più di tanto su di lui? Questo breve saggio svela
all’epoca presente la ricchezza che è nascosta sotto il nome di Schreber.
ALFONS RITTER (1936, p. 3)
159
La famiglia che uccide
Il dottor Schreber voleva che il suo sistema pedagogico avesse
degli effetti macrosociali durevoli. Dedicò la Kallipädie, da cui ho
tratto molte citazioni, “alla salvezza delle generazioni future.”
Spingeva i “governi” a “occuparsi direttamente” della formazione dei bambini “in un modo molto più serio di quanto non sia
accaduto finora” (ibid., p. 25). Diede i seguenti titoli a tre dei
suoi libri: La ginnastica da un punto di vista medico e come preoccupazione dello Stato (1843), Sull’educazione della nazione e l’aggiornamento del suo sviluppo mediante l’elevazione della professione di insegnante e l’unione di scuola e casa (1860) e L’amico
della famiglia come pedagogo e guida [Führer] alla felicità familiare, alla salute nazionale e alla coltivazione degli esseri umani:
per i padri e le madri della nazione tedesca (1861a). Diceva:
“Accanto all’educazione della persona bisogna volgersi all’educazione del futuro cittadino” (1858, p. 165).
Nel 1843 si rivolse all’Assemblea della Dieta del regno di
Sassonia per chiedere l’introduzione generale della ginnastica da
parte dello stato. Diceva che in questa sua azione si considerava
come l’“umile esponente di una voce generale,” come il rappresentante di molte persone “che lo desideravano vivamente” (Ritter,
1936, pp. 18-19).
Voleva che lo stato garantisse, per la “conservazione delle
menti limpide della gioventù,” “la severità più completa nella
attività scolastica e la severità nella disciplina”; era favorevole a “un
rigore militare appena modificato” in tutte le scuole per mantenere
“la nobile mente piena di interessi sempre in continuo movimento”
(1860, p. 36).
Pensava che i governi dovessero dirigere i propri cittadini,
come i genitori dovevano fare con i propri figli,
verso l’ideale della creazione, che è implicita nella natura umana; verso una
totale concezione [Urbilde] dell’uomo programmato e desiderato da Dio...;
verso una realizzazione ancora migliore del piano divino della creazione umana, come questo piano è rivelato sia dalla filosofia sia dallo spirito della
storia universale, sia dallo spirito del cristianesimo... (ibid., p. 4).
Qui egli accampa l’autorità divina, filosofica e cristiana a conferma delle opinioni limitate ed etnocentriche sue e dei suoi colleghi sull’educazione, che desidera siano incoraggiate dai governi.
160
Il contesto, il “background” e l’eredità
Dice che è responsabilità del medico, più che del politico o
del filosofo, “ricercare le condizioni di natura su cui si basa la
vita e il benessere dell’organismo umano (fisico e spirituale), sia
dell’organismo individuale sia dell’organismo dello stato...” (p. 3).
Il suo stato nazionale, come il Leviatan di Thomas Hobbes, è
un “organismo” che deve essere governato da “leggi naturali.”
Il dottor Schreber, applicando allo stato un’analogia con la biologia (Mac Murray, 1957 e Laing e Esterson, 1964), cerca di annettere, mediante una sorta di imperialismo medico, la provincia
della politica nazionale al dominio della medicina e al suo. Ritiene,
falsamente, che la medicina possegga una conoscenza scientifica
del benessere dello stato. Considerare lo stato o qualunque gruppo
di persone come un’unità biologica non aggiunge niente alla nostra
conoscenza né della biologia né della dinamica dei gruppi.
John Mac Murray (1957), filosofo inglese, potrebbe avere ragione quando afferma che “Finché il nostro concetto più adeguato
è quello organico, la nostra pianificazione sociale può dare luogo
soltanto a una società totalitaria” (p. 83).
Il dottor Schreber considerava coloro che non seguivano i
suoi ideali morali come malati o come malattie. Riteneva che, se
le “classi inferiori” non erano educate a “una vita più nobile in
armonia con la ragione e la natura, mediante il potere morale,”
erano come dei “tumori nel corpo dello stato” (1860, p. 14). Considerava gli elementi “privi di vitalità,” “marci” e “nocivi” dello
stato come “malsani” e come “erbacce”: essi non possono “trovare alcun nutrimento” dove il “cuore dello stato è sano.”
L’idea che degli individui o gruppi di individui siano malattie
non ha alcun senso, benché possa essere pericolosa, se è largamente sostenuta. Le opinioni del dottor Schreber sono precorritrici di
quelle sostenute ottant’anni dopo dai nazisti, che uccisero molte
persone per l’“igiene” e la “salute” della “razza.”
Politzer, un contemporaneo del dottor Schreber, scrisse:
Le generazioni seguenti raccoglieranno ciò che egli ha seminato, persone
a lui vicine per mente e spirito continueranno a lavorare il terreno da lui
preparato e spianato (1862, p. 4).
Se ogni paese avesse molti uomini come Schreber, il genere umano non
dovrebbe preoccuparsi del futuro (ibid., p. 7).
161
La famiglia che uccide
Si ricordi che Hitler e i suoi seguaci furono allevati quando i
libri del dottor Schreber, che predicavano un totalitarismo familiare, erano molto popolari.
Non sono il solo ad intuire un possibile legame tra il dispotismo microsociale della famiglia Schreber e il dispotismo macrosociale della Germania nazista; Elias Canetti, romanziere e sociologo, fece questo collegamento nella sua discussione (1962) sulla
paranoia e sul potere. Non menziona però il padre di Schreber,
ma pensa al legame con il nazismo usando come unici dati le Denkwürdigkeiten. A proposito dell’opinione del figlio sul sistema di
potere di Dio afferma: “Troveremo in Schreber un sistema politico che susciterà l’impressione di essere già noto e inquietante”
(1962, p. 487). Secondo lui Schreber figlio ci dà
un’immagine chiarissima di Dio: egli non è altro che un potente. Il suo
regno ha province e partiti. Come s’è visto brevemente e chiaramente, “gli
interessi di Dio” sono rivolti all’accrescimento del suo potere... Egli spazza
via gli uomini molesti. Non si può negare che questo Dio stia come un
ragno al centro della tela della sua politica (p. 488).
Di nuovo riferendosi alle “rivelazioni” del figlio, Canetti dice:
Non si potrà negare che il suo [di Schreber figlio] sistema politico
sia assurto ad alti onori qualche decennio più tardi. In una forma alquanto
più rozza, meno “colta,” divenne il credo di un grande popolo, e... portò
alla conquista del continente europeo e ad un filo dalla sovranità mondiale.
Così le pretese di Schreber sono state involontariamente soddisfatte dai
suoi ignari discepoli. Non ci si può aspettare che anche noi facciamo la
stessa cosa. Tuttavia l’incontestabile ampia coincidenza fra i due sistemi
deve servire quale giustificazione del molto spazio dedicato a un singolo
caso di paranoia... (p. 490).
Ritter, scrivendo su Schreber padre nel 1936, vedeva in lui un
precursore spirituale del nazismo. Ritter ammirava sia il dottor
Schreber che Hitler.
Chiunque desideri comprendere la “struttura” del carattere
tedesco nel periodo nazista, può trarre grande profitto dallo studio
dei libri del dottor Schreber.
Ci sono molti brani del Mein Kampf di Hitler (1925-27) che
sostengono opinioni simili a quelle di Schreber. Hitler, come il
162
Il contesto, il “background” e l’eredità
dottor Schreber, detesta ciò che chiama “debolezza,” “codardia,”
“pigrizia,” “mollezza” e “indolenza.” Come il dottor Schreber,
parla della “decadenza fisica e morale” del suo tempo (p. 45).
Hitler, come il dottor Schreber, richiede che ci si conformi
a quelle parti della sua stessa mente che chiama “la Volontà divina” e la “Natura”; la Natura, per Hitler, è la “spietata Regina
della Saggezza” (p. 124). Hitler condanna la società prenazista per
avere commesso dei peccati “contro l’immagine di Dio” (p. 42).
Hitler e il dottor Schreber spingono ad obbedire a ciò che essi
devono sperimentare come poteri opprimenti. “Dio,” il “Fato,”
la “Necessità” e la “Storia.” Queste astrazioni indeterminate sono,
in realtà, i nomi dei programmi che governano la loro mente.
Hitler e il dottor Schreber, fingendo di derivare da essi l’autorità
sugli altri, vi si sottomettono loro stessi. Il controllo che impongono sugli altri è il controllo che controlla loro stessi.
L’atteggiamento di Hitler verso le “masse” è simile ai sentimenti impliciti nel dottor Schreber verso i bambini, ma è molto
più cinico:
La psicologia della massa non è adatta che alle mezze verità. Come la
donna, la cui sensibilità non è determinata da argomenti di natura astratta,
ma piuttosto da una indefinita e sentimentale nostalgia per una forza che
la completi, e che quindi si piega tanto più volentieri davanti al forte... così
anche la massa cede al padrone piuttosto che a colui che prega, e si
trova interiormente più soddisfatta di una dottrina che non ne ammette
altre vicino a sé, che non dell’accettazione di una libertà tollerante; di
questa, essa non sa che farne, se ne sente per così dire abbandonata. La
vergogna di quel terrore spirituale non arriva alla sua coscienza, e neppure la
manomissione rivoltante della libertà umana, dacché essa non intuisce minimamente la intima stoltizia di quella dottrina. Così essa stessa coglie soltanto la brutalità delle sue affermazioni precise, a cui sempre si piega
(vol. 1, p. 45).
Wilhelm Reich non discute, per quanto ne sappia, di Schreber
figlio e non menziona mai il padre di Schreber, ma coglie perfettamente il segno. In Psicologia di massa del fascismo dice:
In primo luogo vi si riflette la posizione statale ed economica del padre
nel suo rapporto patriarcale con il resto della famiglia. Lo stato autoritario
è rappresentato in ogni famiglia dal padre che ne fa lo strumento più prezioso di potere dello stato stesso.
163
La famiglia che uccide
La posizione autoritaria del padre riflette il suo ruolo politico e rivela il
rapporto della famiglia nei confronti dello stato autoritario. La stessa
posizione che il superiore assume nei confronti del padre nel processo produttivo viene assunta da quest’ultimo all’interno della famiglia. Ed egli
riproduce nei suoi figli, specialmente nei maschi, la propria sottomissione
nei confronti dell’autorità. Da questo rapporto scaturisce l’atteggiamento
passivo, sottomesso degli individui piccolo-borghesi nei confronti del Führer.
Hitler, senza sospettarne la profondità, faceva leva sugli atteggiamenti delle
masse piccolo-borghesi quando scriveva: “Il popolo, nella sua maggioranza,
è eminentemente femmineo; i suoi pensieri e le sue azioni sono determinati
non tanto da sobrie considerazioni, quanto da una sensibilità emotiva...”
Non si tratta di una “inclinazione,” ma di un tipico esempio di riproduzione di un sistema sociale autoritario nelle strutture dei suoi membri
(1933, pp. 86-87).
Certamente. Il dispotismo ad ogni livello — stato, fabbrica,
scuola, chiesa, famiglia, individuo — richiede dispotismo a tutti
i livelli.
Più avanti Reich scrive:
Il fascismo tedesco era nato dall’irrigidimento e dalla mutilazione biologica della precedente generazione tedesca. Il militarismo tipicamente prussiano è la massima espressione di questo irrigidimento, nella disciplina
meccanica, nella marcia da parata, ed esagera persino l’irrigidimento nel vero
senso della parola con lo slogan “pancia in dentro, petto in fuori!”... Quindi
è chiaro: La libertà sociale e l’autogoverno sono impensabili in uomini irrigiditi e meccanizzati (1933, pp. 404-5; corsivo dell’originale).
Alcuni soldati prussiani sono stati formati fin dall’infanzia
dagli esercizi per l’obbedienza e per una posizione eretta ideati dal
dottor Schreber.
Hitler parla dell’educazione dei bambini a una posizione eretta: “Nello Stato nazionale, l’esercito non insegnerà più a marciare
e a star fermi...” (1927, p. 56). L’esercito non dovrà più farlo
perché le famiglie e specialmente le scuole l’avranno già fatto
prima.
Il prezzo richiesto da una precoce formazione dei soldati, che
abbia inizio fin dalla prima infanzia, può essere questo: che alcuni
neonati in seguito impazziranno. Una faccenda che può essere
considerata buona o cattiva, a seconda della valutazione individuale.
164
Epilogo
Le società totalitarie, da Sparta alla Russia sovietica, hanno
messo in pratica i principi di educazione infantile predicati dal
dottor Schreber, in particolare per quanto riguarda l’enfasi
posta sull’obbedienza e la disciplina. Il dottor Schreber avrebbe
confermato molti dei loro atteggiamenti. Si consideri un manuale
russo autoritario, Genitori e figli, preparato dall’Accademia di
Scienze Pedagogiche e pubblicato nel 1961. Il suo scopo è “di
aiutare i genitori ad educare correttamente i bambini cosicché essi
possano crescere e diventare degni cittadini della nostra nazione
socialista” (citato da Bronfenbrenner, 1970, pp. 9-10). In un capitolo sulla disciplina si dice che: “Il bambino deve soddisfare le
richieste provenienti dai genitori: questa è la prima cosa da
insegnare al bambino. Il bambino deve soddisfare le richieste di
coloro che sono più anziani di lui” (ibid., p. 10).
L’obbedienza negli adolescenti e negli scolari più anziani è l’effettiva
espressione del loro amore, della loro fiducia e del loro rispetto verso i
genitori ed altri membri adulti della famiglia, un desiderio cosciente di
riconoscere la loro esperienza e la loro saggezza. Questo aspetto è molto
importante per la preparazione dei giovani alla vita in una società comunista
(pp. 10-11).
Ma l’obbedienza non è sufficiente, il bambino deve sviluppare
anche l’autodisciplina:
È necessario sviluppare al più presto possibile nei bambini piccoli una
relazione attiva e positiva nei confronti delle richieste degli adulti, un desiderio di agire in armonia con queste richieste e di compiere ciò che è
necessario. Qui sta il grande significato dei nostri sforzi volti allo sviluppo
165
La famiglia che uccide
di un’autodisciplina cosciente, anzi i suoi elementi essenziali. Ognuno, compresi gli scolari più giovani, soddisferà meglio, più rapidamente e più
gioiosamente, le richieste e le regole una volta che ne abbia il desiderio
(p. 10).
Le scuole russe si propongono di educare il carattere (vospitanie); il loro scopo è di sviluppare una “moralità comunista”
(p. 26). Le opinioni russe ufficiali sull’educazione dei bambini
rispecchiano nello spirito alcune idee sostenute più di cento anni
prima dal dottor Schreber, benché siano meno sconcertanti delle
sue; egli infatti chiamava l’obbedienza libertà. Inoltre egli avrebbe
sostituito il termine “comunista” con “cristiano.”
In Russia l’educazione non ha successo con tutti. Ai nostri
giorni gli psichiatri russi trattano come malati alcuni individui
adulti che sono privi di “un desiderio cosciente” di riconoscere
l’“esperienza e la saggezza” di coloro che governano la Russia.
Gli psichiatri considerano le cosiddette “idee riformiste” come un
sintomo di malattia mentale. Considerano molte persone che presentano questo “sintomo” come paranoiche, cioè esse immaginano
di essere perseguitate, mentre in realtà non lo sono, perciò le trattano in conseguenza.
Nella utopistica società pianificata dipinta (1962 e 1971) da
B.F. Skinner, psicologo di Harvard, il controllo di ogni essere
umano fin dall’infanzia è così “scientifico” che non potrebbe verificarsi il caso di nessun dissidente dall’ordine stabilito:
Possiamo raggiungere una sorta di controllo tale per cui coloro che ne
sono controllati, benché seguano un codice molto più scrupoloso di quanto
sia mai stato quello nel vecchio sistema, tuttavia si sentono liberi. E fanno
quello che vogliono fare, non quello che sono obbligati a fare. Questa è
l’origine dell’immenso potere del rafforzamento positivo: non c’è nessuna
costrizione e nessuna rivolta. Attraverso un attento programma culturale,
controlliamo non il comportamento finale, ma l’inclinazione da cui dipende
il comportamento: le motivazioni, i desideri, le aspirazioni.
Il fatto curioso è che in quel caso la questione della libertà non si
solleva mai (Skinner, 1962, p. 262).
Di recente le opinioni di Skinner hanno avuto una grande
pubblicità. Come il dottor Schreber e i russi, Skinner vuole ottenere un miglioramento della società attraverso una programmazione tale dei bambini che li porti a percepire e ad agire secondo
166
Epilogo
certe modalità. Chiama i sistemi che adotterebbe “condizionamento” o “rafforzamento positivo”; il dottor Schreber chiamava
i suoi sistemi “abitudine.” Come il dottor Schreber, Skinner nasconde le sue idee sull’uomo, la mente e la società sotto una retorica di tipo scientifico; tuttavia Skinner ha poche prove scientificamente valide per sostenere la sua tesi e non ne ha nessuna per
giustificare i suoi scopi.
Skinner ritiene di saperne abbastanza per cominciare a creare
individui e culture migliori; anche il dottor Schreber la pensava
così. Il dottor Schreber pensava che il suo sistema avrebbe costituito una prevenzione contro la malattia mentale. Si ricordi il
rispetto accordatogli dalla società in genere, medici compresi.
Chi può garantire per gli “esperti”? Si supponga che esista,
mentre in realtà non esiste, la tecnologia scientifica per “modellare”
(il termine è di Skinner) i bambini: e se i “modellatori” fossero
essi stessi modellati in modo tale da modellare dei bambini che
da adulti diventassero pazzi? E se una tale società rendesse pazzi
specialmente quei bambini che sarebbero stati i suoi critici potenziali? Costoro potrebbero essere gli unici a vedere come persecuzione ciò che gli “esperti” vedrebbero come “rafforzamento positivo” o “amore.”
Una delle tesi di questo libro è che individui considerati paranoici vivono come persecuzione ciò che gli altri intorno a loro vivono in modo diverso. Il senso di persecuzione non è meno prevalente
nella società occidentale che altrove, per quanto ne sappia. Perciò
sarebbe un errore ritenere che ciò che ho detto si applichi solo
a Loro — la Germania del dottor Schreber, i nazisti, la Russia sovietica o l’“utopia” di Skinner — e non a Noi.
Propongo un esperimento che potrebbe avere luogo in questa
società: si faccia l’ipotesi che in casi di “paranoia,” in cui non sia
presente nessuna intossicazione o malattia organica, l’individuo
che si sente perseguitato risponda al comportamento passato o presente di altri che sono o sono stati vicini a lui. Partendo da questo
punto di vista, si inviti ogni membro del suo ambiente sociale a
ricercare l’origine del suo senso di persecuzione.
Penso che questa sorta di spostamento dell’attenzione potrebbe illuminare (benché anche spaventare) tutti gli interessati. Potrebbe mettere in luce e in discussione alcune premesse nascoste
167
La famiglia che uccide
della vita familiare “normale” che i più condividono e la riluttanza, che essi stessi condividono, a vedere o a mettere in discussione queste premesse. A causa di questa riluttanza, è molto più
facile ideare un esperimento simile che portarlo avanti. Parte del
lavoro che ho svolto in questi ultimi otto anni riguardava la liberazione di alcune famiglie o di alcuni gruppi sociali dalla riluttanza
ad intraprendere progetti proprio di questo tipo.
Le questioni che ho portato avanti in questo libro toccano
molti argomenti riguardanti certi sistemi umani macrosociali e
microsociali. Forse non si può fare niente a questo proposito. Psicologia e psichiatria, in Oriente ed in Occidente, sostengono e amministrano lo stato di cose esistente; è più facile per l’Occidente
vederlo fare all’Oriente, piuttosto che vederlo fare a se stesso. Se
la psicologia e la psichiatria non mettono in questione lo status
quo, c’è qualcun altro che possa farlo? Non so, forse noi, voi ed
io, dilettanti e professionisti, siamo le risposte. Per parafrasare
un detto che alcuni attribuiscono a Confucio: “Se vuoi correggere
il tuo regno, devi correggere prima la tua provincia; per correggere la tua provincia, devi correggere prima la tua città; per
correggere la tua città, devi correggere prima la tua tribù; per
correggere la tua tribù, devi correggere prima la tua famiglia, e
per correggere la tua famiglia, devi correggere prima te stesso;
poi...”
168
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175
Indice analitico
Abitudini, 29-30
abnegazione, 40
abuso di sé, vedi masturbazione
adolescenti, 100, 139, 165
allucinazioni, 22, 59-65, 96
ambidestro, 78
amore, 143-4, 147-8, 167;
tori per i bambini, 61;
le, 19, 144; per i genitori, 19
anima, 28
ansietà, castrazione, 119
antimasturbazione, rimedi, 116-7
antischizofrenia, trattamento, 22
apparecchi ortopedici, 51-58
Ashby, Ross, 58
assassinio d’anima, 44-5
assenza di libertà, 32
Associazione Schreber, 25
autocontrollo, 33, 40
autodeterminazione, 29-30, 35
autorità, 34-6, 90-1, 159,
padre, 33, 70
autoritarismo, 90-1, 123-5, 158-9
Birdwhistell, Ray, 103
Bleuler, Eugen, 18, 90
bontà, 136, 156
Buono, il, 29-30
Canetti, Elias, 162
dei geniomosessua- caldo, 47
camminare, 77
carattere, 75
castrazione, 116, 117, 119-21; minaccia della, 111, 118-20, 122-3; paura della, 110-1, 120-1
cattiveria, 129-30, 133, 136, 138-9
cattivi pensieri, 129-31, 140
cattivo carattere, dei bambini, 137
celibato, 82
Chase, Stuart, 64
classi inferiori, 161
clistere, 84-5, 95-6
colpevolezza, 146
163; del
Comfort, Alex, 116, 117
complesso, 121; di castrazione, 111,
119-23, 124; di Edipo, 111-4; di
Laio, 114
comportamento, 11, 13, 17, 81, 128,
bagni, 48, 76, 84; dei neonati, 48
130, 152; del padre, 84-5, 96, 100,
bambini, 29-30, 34, 38-9, 50-1; de131-2; del padre verso i bambini,
pressi,
138;
di
cattivo
carattere,
20-1, 57, 65-7, 100-1; di origine so137; loro dominio, 38; relazione genitoreprannaturale, 16; sessuale, 89-90
bambino,
10,
20,
30-6
37-45,
100-2,
107-19,
143-5,
148, compressione del petto, 51, 52
154-7, 163-4; scontrosi, 137; vedi Confucio, 168
anche neonati
conversione, 106
Bateson, Gregory, 136
corpo, linguaggio del, 92-104
Baumeyer, Franz, 17, 25, 26, 66, 74, Cosa,
la,
133-4;
persecuzione
della,
79, 91, 94, 139, 146
127-40
177
Indice analitico
coscienza, 128-30, 138-9
cosmologia, 125
costrizione, 81-2, 156
credenza delirante, 46
delirio, 63
Denkwürdigkeiten (D.P. Schreber), 13-6, 1922,
38-40,
42,
44,
47-9,
51, 52, 56-7, 59, 65, 66, 68-9, 75,
79-80, 81, 83-4, 86-7, 103, 109-11,
125, 132-3, 145
depressione, 28; emotiva, 139; nei bambini,
138
desideri, 106-7; omosessuali, 108-10; proibiti,
107;
rifiuto
di,
40;
sessuali, 95, 134-5
Devereux, George, 113-4
dietilamide dell’acido lisergico (LSD),
107
difese, 129-30, 132-3, 136; intrapersonali, 132; maniacali, 139; trans-personali,
130, 132-3
dimenticanza, 58
Dio, 15, 16, 18, 34, 36, 42-4, 48, 57,
69, 73, 80, 82-3, 89-91, 93-7, 125,
132-3, 145, 155-7, 160; e il padre,
156, 159, 163; e l’uomo, 155; relazioni con, 10, 16, 26-7, 29, 38-9,
42-4, 46-7, 57, 93-8, 102, 145-6,
162
disciplina, 9, 27, 34, 41-2, 160, 1656; durante la malattia, 40-1
disobbedienza, 31-2, 42
dispotismo, 156, 162, 164
dormire, 50, 51, 58, 86, 107
Dostoevskij, Fjodor, 149
ebrei, 63
Edipo, complesso di, 111-4
educazione,
9-12,
20-1,
22,
27-35,
37-45, 68-70, 71, 82, 98, 121,
152-3, 156-7, 160, 165-6; aspetti
fisici della, 46-58; carattere, 1656; e sesso, 81-2; scopo della, 155
erbacce, 37, 71, 138, 161
ereditarietà, 139-40
Es, 134
esercizi fisici, 84, 96; per la posizione, 73-4
178
esperienze religiose, 102-4
estasi, 17
Esterson, Aaron, 44, 161
eventi, 127-8; cattivi,
di, 129
evirazione, 96, 98
130;
negazione
Fairbairn, W.R.D., 126, 148
famiglie, 11-2, 20-2, 100-1, 103, 128,
148; autoritarie, 90-1, 123-5, 1589; brutalità nelle, 10; di paranoici,
152;
di
schizofrenici,
13,
22-3,
132, 152; ideologie, 123-5
fantasie, 127; sessuali, dei genitori,
115
fascismo, 163-4
Fichte, Johann Gottlieb, 155-8
fiducia in se stessi, 30, 33
Flechsig, Paul Emil, 44-5, 66-7, 117-8
fobici, 82
fobie, 123
freddo, 47-8
Freud, Sigmund, 19-21, 63, 90, 92,
104, 105-26, 128, 134, 145, 154;
citato, 25, 105-6, 109, 111-3, 11923, 134, 153
Froebel, Friedrich W.A., 157
Fromm, Erich, 124
Galilei, Galileo, 150
genitali, 91, 96, 112, 116-21
genitori,
10,
20-1,
27-36,
99-102,
120-3; amore per i, 19; collera
verso i, 136; fantasie sessuali dei,
115; richieste dei, 41; vedi anche
madri, padri
Germania, 155-7, 159, 162, 164, 167
Giardini Schreber, 25
Ginnastica medica da camera (D.G.M.
Schreber), 84-5, 153
giocattoli, 75
giochi, 75-6, 78
Giusto, il, 29-30
governi, 160-1
Groddeck, Georg, 134
Grof, Stanislav, 107
Indice analitico
Haley, J., 144
Hare, E.H., 115-8
Hitler, Adolf, 162-4
Hobbes, Thomas, 161
Hoffman, Heinrich, 118
Homey, Karen, 124
Hume, David, 63
Hunter, Richard, 14, 145
Hutchinson, James, 117
ideali, morali, 68
ideologie, 124; familiari, 124-5; occidentali, 9
immaginazione, 29
immagini, 10, 60-3
immagini-ricordo, 60
inconscio, 59
indiani, 63
indipendenza, 32-3
individualità, 75-6
infanzia,
19-21,
34;
corazzamento
della, 57; esperienze, 13, 20; persecuzione nella, 142
inibizione, 73; mancanza di, 74
insegnanti, 25, 27, 34, 69
ipnosi, 44-5
ipocondria, 22
ipocondriaci, 99
isteria, 26
isterici, 115
James, William, 143
Jung, Carl, 103, 107
Kindergarten, il primo, 157
Klein, Melanie, 126, 139
Knight, Robert, 145
Kraepelin, Emil, 18, 65
Lacan, Jacques, 46, 59, 92
Laforgue, René, 128
Laing, R.D., 44, 59, 124, 129,
144, 161
Laio, complesso di, 114
lavagna delle punizioni, 42-3, 58-9
legge dell’abitudine, 29
179
legge di natura, 68-71
legge morale, 69-70
Lemert, Edwin, 154
Lewis, Helen B., 107
libera volontà, 29-30, 32, 157
libertà, 32-3, 35, 81, 148, 156-7
libido, ritiro della, 89-91
Lilly, John, 129
linguaggio, modelli di, 64,
corpo, 92-104 lode, 41
Lutero, Martin, 157
93;
del
Macalpine, Ida, 14, 145
MacMurray, John, 161
madri, 26, 91, 121
malattia, 66, 140, 161; concetto di,
35; di nervi, 14, 15, 35, 39, 46,
66, 73, 82, 91, 158; disciplina durante la, 40-1; mentale, vedi malattia di nervi, pazzia; psicosomatica, 99-100
mal di testa, 56
mancanza di coscienza di sé, 74
mangiare fuori dai pasti, 73
Mantra, 102
Marx, Karl, 121
masturbazione, 86-8, 95, 115-9, 123-4
matrimonio, 14, 21, 89
medici, 17, 161
medicina, 161
melanconia, 137
Menninger, Karl, 108
mente, 28, 58, 128-9, 136-7, 149-50,
158-9, 163; buone abitudini della,
131; stati della, 124-5; sviluppo
della, 111-5
miracoli, 36, 46-52, 57-9, 64, 66,
96, 109
miracolo del coccige, 49-50
modelli di linguaggio, 64, 93
moralità, 69
Mowrer, O.H., 147
130, Natura, 68-71; legge di, 68-71; obbedienza alla, 71, 85; umana, 28
nazismo, 11, 63, 155, 162-3
negazione,
106-133;
autonegazione,
72; di eventi, 129-30
Indice analitico
neonati, 29, 30, 48, 30, 164; inse- pensare, 43, 61
gnamento dell’auto-negazioune, 72; percezione, 63-5
picchiati, 10
persecuzione, 11, 37, 59-63, 66, 82,
nervi, 57, 89, 96
106-8, 114, 124, 167-8; della Cosa,
127-40; paranoia e, 141-51
nevrosi, 124
pervertito sessuale, 82
nevrotici, 119
Niederland, William, 20, 25, 26, 49, piangere, 37-8
57, 96, 137
“Piccolo Hans,” 124; resoconto di
Freud, 121-3
normalità, 141, 167
Politzer,
L.M., 148, 152-3, 162
nuotare, 78
polluzioni, 83-5, 95, 110
posizione, 50-1, 71, 73, 79, 164
dei genitori, 41-2; vedi anche
obbedienza, 9, 30-5, 42, 156, 163-4, potere
autorità
165-6; alla natura, 68, 85; inconpotere maschile, 9-10
dizionata, 34, 41
potere morale della volontà, 31-2
occhi, 48-9
Occidente, 9, 57, 66, 87, 90, 136, poteri soprannaturali, 16-7
155, 159, 168
pregiudizi, 70
oggetti, 105-6, 114; relazione con gli, proiezione, 38, 106-7, 114
105, 147
psichiatri, 18, 66, 71, 81-2, 92, 107,
117, 127, 1.42-3, 149
omosessualità, 106-15, 134-6, 143, 147
psichiatria, 14, 22, 71, 93, 115, 117,
Ordine del Mondo, 68-9, 145
125
Orwell, George, 146
psicoanalisi, 19, 34, 38, 120, 124-5,
ospedali psichiatrici, 13-6
127, 133, 137
ossessioni, 25
psicoanalisti,
19-20,
38,
92,
105-6,
114, 124-5, 127, 143, 147
ossessivi, 136
psicologi, 107, 143, 147, 166
ostinatezza, 30, 44, 144
psicologia delle masse, 163
psicosi, 16, 19, 44; progressiva, 25
padri, 120-3; autorità dei, 35, 70; psicoterapia, senza droga, 107
come Dio, 152-4, 156-7, 159; com- psicotici, 20, 23, 137
portamento dei, 84-5, 96-7, 100, punizione, 33, 43, 131-2, 146
132; modelli di linguaggio, 93-4;
ruolo dei, 26-7, 43-5, 57
raddrizzatore, 51
paranoia, 18-20, 66, 106, 108-9, 1256, 128, 134-5, 140, 151, 162, 167; ragione, 68
definizione della, 149-50; e perse- rancore, 39
cuzione, 141-51
Rank, Otto, 107, 114
paranoici, 82, 106, 111, 115, 135, razionalità, 150, 158
141-3, 144-5, 154
realtà, 21
paranoidogenicità,
133-4,
136,
137,
recriminazione, 59
140, 143
reggitesta, 56-7, 60
passione, 83-4
paure, 120, 123, 133-4, 138, 146; di regressione, 59
Reich, Wilhelm, 34, 57, 91, 163-4
castrazione, 110-1, 120, 123
relazioni, 132; con oggetti, 105, 147;
pazienti psichiatrici, 13, 22
fra padre e figlio, 10-1, 20-1, 2636,
37-45,
100-2,
107-8,
143-4,
pazzia, 9, 11-2, 13-6, 18, 20, 28, 33,
148, 154-7, 163-4; sessuali, 34, 68,
44-5, 47, 65-6, 71, 82, 93, 139,
87-91,
94-5;
sociali,
127
164, 167; vedi anche malattia di
religione, 21, 26-7, 93-5, 155, 160
nervi
180
Indice analitico
richieste dei genitori, 41
ricompensa, 42
ricordi, 46-59, 147
ricordi-immagine, 60
rimozione, 59, 128-30, 132-3, 137,
143
Ritter, Allons, 48, 96, 139, 148, 155,
159-60, 162
rivoluzioni politiche, 22
rivoluzioni scientifiche, 22
Russell, Bertrand, 60
Russia, vedi Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche
sessualità, 71, 91, 94; sottomissione
della, 10, 82-3, 90
Siirala, Martin, 149
sistema di scrivere, 42-3
situazioni sociali, 13
Skinner, B.F., 11, 166-7
società, 158; miglioramento della, 156
sofferenze fisiche, 99
soggezione, 156
sogni, 62-4, 107
soppressione, 29, 34-5
sottomissione, 35, 41
Speck, R.V., 152
sperma, 86, 96
spirito sulla materia, 82-3
sadismo, 21, 72, 114, 117
Spitz, René, 116, 117
salute, 24, 27, 48, 83; mentale, 83;
stato prepsicotico, 44
minacce alla, 162-3
stimoli sensoriali, 57
sanità, 66, 103
Struwwelpeter (Hoffman), 118-9
Sapir, Edwin, 102
subordinazione, 40-1
Sartre, Jean-Paul, 60
schizofrenia, 17-9, 66, 128, 149, 152; suicidio, 28, 139
concetto di, 13
Sullivan, Harry Stack, 124
schizofrenici, 13, 17-21, 23, 82, 101, sviluppo del carattere, 31
142, 147, 152; catatonici, 135
Szasz, Thomas, 71, 92-3, 115, 141,
Schreber, Anna, 26, 152
159
Schreber,
Daniel
Gottlieb
Moritz,
9-11, 19, 24-35, 68; background tedeschi, vedi Germania
di, 155-9; citato, 26-33, 37-45, 4851, 52, 68-80, 82-8, 93-8, 100, tendenze, 120-1
131, 137-8, 145-8, 158, 160-1; ere- tensione, 37
dità di, 159-64; libri di, 160
tormento interiore, 37
Schreber, Daniel Gustav, 9, 25-6
totalitarismo, 9, 91, 162, 165
Schreber, Daniel Paul, 9-11, 13-4, 24, transfert, 34
42; analisi di, 19-20, 105-26; citato, 14-6, 29, 36, 38-9, 42-5, 47- trasformati, 10-1, 93, 99
56, 59, 65, 66-7, 68-9, 73, 75-6, trauma, 20
80, 81, 83-4, 86-7, 88-9, 94-7, 109,
132-3, 145, 153-4
umanità, 28
Schreber, Sidonie, 26
unilateralità del corpo, 76-9
sciamani, 17-8
Unione
delle
Repubbliche
Socialiste
scienze sociali, 70
Sovietiche
(U.R.S.S.):
e
l’educaSearles, Harold, 147
zione
infantile,
165-6;
psichiatri,
166; scuole, 165-6
sedersi, 78-80
uomo
e Dio, 155
seduzione, 115
utopia, 167
sensazioni femminili, 97
sensualità, 69
sentimenti di amore e odio, 106-9
sesso, 81-91, 100-1, 110
181
voluttà, 88-90, 94, 97
Von Domarus, 63
Indice analitico
Waelder, Robert, 126
Whorl, B.L., 6.1, 9
Watts, ls... , 158
Wiener, Harry, 103
Weber, dottor, 16, 17, 30, 66-7, 79- Winnicot, Donald, 139
80
Witkin, Herman A., 107
182
Indice
Pagina
9
13
Prefazione
Capitolo primo
Modelli di pazzia
24
Capitolo secondo
Il padre
37
Capitolo terzo
I metodi del padre
46
Capitolo quarto
Ricordi e allucinazioni
68
Capitolo quinto
Natura e innatura
81
Capitolo sesto
Il sesso: padre e figlio
92
Capitolo settimo
Il linguaggio del corpo
105
Capitolo ottavo
L’analisi di Freud
183
127
Capitolo nono
La persecuzione della Cosa
141
Capitolo decimo
Paranoia e persecuzione
152
Capitolo undicesimo
Il contesto, il “background” e l’eredità
165
Epilogo
169
Bibliografia
177
Indice analitico
_______________________________________________________
Finito di stampare nel mese di novembre 1973 dalla Edigraf s.r.l. - Segrate (MI)
184
Nella stessa collana
205.
JACQUES GUILLERMAZ,
206.
207.
W. A. LEWIS, Teoria dello sviluppo economico
ERICH AUERBACH, Lingua letteraria e pubblico nella tarda anti-
208.
209.
210.
211.
212.
213.
214.
215.
216.
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220.
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236.
237.
1949)
Storia del Partito comunista cinese (1921-
chità latina e nel Medioevo
ALBERTO ARBASINO, Sessanta posizioni
ERNST BLOCH, Ateismo nel cristianesimo
P. P. WIENER e A. NOLAND (a cura di), Le radici del pensiero
scientifico
F. ALEXANDER, S. EISENSTEIN, M. GROTJAHN, Pionieri della psicoanalisi
ELEONORA FIORANI, Friedrich Engels e il materialismo dialettico
ARTHUR M. WILSON, Diderot: gli anni decisivi
E. J. DIJKSTERHUIS, Il meccanicismo e l’immagine del mondo.
Dai Presocratici a Newton
E. GORDON CRAIG, Il mio teatro. L’Arte del Teatro. Per un nuovo
teatro. Scena
MICHEL FOUCAULT, Scritti letterari
JEAN DUBUFFET, I valori selvaggi. Prospectus e altri scritti
MAX JAMMER, Storia del concetto di forza. Studio sulle fondazioni
della dinamica
PAOLO ROSSI, I filosofi e le macchine (1400-1700). Edizione riveduta
PAUL A. BARAN, Il “surplus” economico e la teoria marxista dello
sviluppo
PIERRE DOCKÈS, Lo spazio nel pensiero economico dal XVI al
XVIII secolo
JOHN C. GREENE, La morte di Adamo. L’evoluzionismo e la sua influenza sul pensiero occidentale
ERWIN PANOFSKY, Rinascimento e rinascenza nell’arte occidentale
THEODORE BESTERMAN, Voltaire
VARI, Operai e stato. Lotte operaie e riforma dello stato capitalistico tra rivoluzione d’Ottobre e New Deal
THOMAS S. SZASZ, I manipolatori della pazzia. Studio comparato
dell’Inquisizione e del Movimento per la salute mentale in America
BENJAMIN HIGGINS, Lo sviluppo economico. Principi, problemi e
politiche
ANATOLE KOPP, Città e Rivoluzione. Architettura e urbanistica sovietiche degli anni Venti
BERTRAND GILLE, Leonardo e gli ingegneri del Rinascimento
CONRAD STEIN, L’immaginario. Strutture psicoanalitiche
L. FERRARI BRAVO e A. SERAFINI, Stato e sottosviluppo. Il caso
del Mezzogiorno italiano
GÉZA RÓHEIM, Origine e funzione della cultura
MARSHALL CLAGETT, La scienza della meccanica nel Medioevo
GIULIANO DELLA PERGOLA, La conflittualità urbana: saggi di sociologia critica
ERIK H. ERIKSON, La verità di Gandhi. Sulle origini della nonviolenza militante
IRING FETSCHER, La filosofia politica di Rousseau. Per la storia del
concetto democratico di libertà
FRANK C. HIBBEN, L’uomo preistorico in Europa
238.
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240.
241.
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256.
257.
258.
PIER ALDO ROVATTI, Critica e scientificità in Marx
A. RUPERT HALL, Da Galileo a Newton (1630-1720)
GEORGE P. RAWICK, Lo schiavo americano dal tramonto all’alba.
La formazione della comunità nera durante la schiavitù negli Stati
Uniti
EUGENIA SCABINI, Ideazione e psicoanalisi
DARCY RIBEIRO, Il processo civilizzatore. Tappe dell’evoluzione socioculturale
CRISTIANO CAMPORESI, Il marxismo teorico negli USA 1900-1945
MARIE BOAS, Il Rinascimento scientifico 1450-1630
RÓSZA PÉTER, Giocando con l’infinito. Matematica per tutti
PHILIPPE SOLLERS, Sul materialismo
GIULIO CERRETI, Con Togliatti e Thorez. Quarant’anni di lotte
politiche
NICOLA TRANFAGLIA, Dallo stato liberale al regime fascista. Problemi e ricerche
JACQUES GUILLERMAZ, Il Partito comunista cinese al potere (1° ottobre 1949 - 1° marzo 1972)
GIORGIO BONOMI, Partito e rivoluzione in Gramsci
GENNIE e PAUL LEMOINE, Lo psicodramma. Moreno riletto alla luce di Freud e Lacart
ZINO ZINI, La tragedia del proletariato in Italia. Diario 19141926
ROBERT CECIL, Il mito della razza nella Germania nazista. Vita
di Alfred Rosenberg
RONALD L. MEEK, Studio sulla teoria del valore-lavoro
IAN GIBSON, La morte di Federico Garcia Lorca e la repressione
nazionalista di Granada del 1936
CESARE MILANESE, Luca Ronconi e la realtà del teatro
ROSA LUXEMBURG, Lettere a Leo Jogiches
ATHOS LISA, Memorie. In carcere con Gramsci
La famiglia che uccide è lo studio di un uomo considerato
schizofrenico, che nella sua cosiddetta pazzia espresse le
sofferenze che dovette subire durante l’infanzia. Tuttavia sia
coloro che lo conobbero sia alcuni importanti medici del nostro
secolo - compreso Freud, che gli dedicò il suo famoso saggio
“Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia” - non
afferrarono questo messaggio. Partendo da un ampliamento e
da una revisione critica del tradizionale discorso psicoanalitico,
Schatzman tocca numerosissimi campi: dalla religione alla
pedagogia, dalla sociologia alla psicologia, dalla psichiatria
all’analisi storica, gettando le basi per un’indagine sulla
struttura familiare con i suoi meccanismi patogenici e, in
particolare, “paranoidogenici”.