PMI, UN affare DI FAMIGLIA
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PMI, UN affare DI FAMIGLIA
o n a i p o prim Baroni rgherita A Ma ■ Pregi e difetti del capitalismo famigliare Pmi, un affare di famiglia l’ Italia presenta un tessuto economico costituito da Pmi fondate e guidate da famiglie che, di generazione in generazione, si passano il testimone. Ma l’impresa famigliare non è certo una caratteristica esclusiva del nostro Paese. Quel che stupisce, piuttosto, è la sua pervasività in molti settori dell’economia nazionale, e quindi anche nell’industria grafica e cartotecnica. In quest’ambito troviamo condensati tutti i tratti del capitalismo famigliare nostrano: dimensioni d’impresa ridotte e coincidenza quasi adesiva tra la figura del proprietario, spesso anche fondatore, e quella del manager. Un bene o un male? Di certo il comparto risente dei contraccolpi della crisi mondiale, rivelando le difficoltà di un sistema basato sull’intrapresa personale e sulla scarsa replicabilità delle condizioni di partenza. Perché, questo è il nodo, l’impresa nel crescere prevede due fattori di produzione Una realtà talvolta accusata di scarso dinamismo e arretratezza, ma che, per altri versi, gode di rivalutazioni positive in ragione del grado di efficienza spesso dimostrato. Ecco un bilancio ragionato su ciò che caratterizza limiti e pregi dell’imprenditorialità del nostro Paese. Con uno spaccato del settore grafico editoriale. cruciali che non sempre la famiglia può garantire nel tempo, ovvero le capacità gestionali e le risorse finanziarie. Chiamate alla prova del ricambio generazionale e della trasmissione di saperi e conoscenze, le imprese grafiche italiane devono oggi fare i conti con un’estesa e minacciosa congiuntura economica. Ecco perché la governance familistica accende curiosità e interrogativi. Ed ecco perché è interessante interpellare chi vive professionalmente questa esperienza. Di padre in figlio Juri Camoni, direttore generale di Legatoria Pgm. 10 italiagraFica febbraio 2009 Se la penuria di capacità gestionali tende a verificarsi in concomitanza con la successione nella conduzione aziendale, non è impossibile instradare un processo virtuoso di deleghe graduali e continuative. Non esistono ricette, ma diverse best practice interessanti. È il caso di Legatoria Pgm [www.pgmlegatoria.it], realtà fondata dalla famiglia Camoni nel 1985, che oggi vede due generazioni, padre e figlio, al timone. «Io rappresento la seconda generazione», spiega Juri Camoni, direttore generale della società, «sono figlio unico e affianco mio padre, amministratore delegato, a un livello più operativo. Il mio ingresso in azienda è stato anticipato rispetto a quanto inizialmente previsto in modo da poter convivere con mio padre per un periodo sufficientemente lungo affinché acquisissi esperienza e l’azienda non vivesse cambi traumatici. Oggi posso dire che il mio ruolo si sta sempre più avvicinando a quello di amministratore delegato, e ciò avviene nella maniera più pacifica possibile, senza stress o attriti. Certo, il rischio reale è che la generazione dei “padri” non riesca completamente a delegare ai successori. Questo, parlo anche del caso di Legatoria Pgm, non accade solo nei confronti del figlio ma anche verso i collaboratori. Da poco tempo noi abbiamo introdotto un direttore di produzione, una professionalità esterna e neutrale per quanto riguarda l’organizzazione e la programmazione della produzione, ma che soprattutto rappresenta l’ago della bilancia tra la mia funzione e quella di mio padre. L’inserimento di questa figura, primo caso di delega a una persona esterna alla nostra famiglia, sta dando esiti interessanti: ci permette di implementare al meglio le nostre idee, ma anche di evitare la continua esposizione dell’imprenditore in tutte le questioni. Il che, a livello organizzativo e a livello di crescita complessiva, è un bene. Del resto sono convinto che un’azienda famigliare acquisti valore quando riesce a spersonalizzarsi, qualora superi l’associazione stretta con l’imprenditore o la famiglia (che certamente può rimanere azionista o mantenere ruoli aziendali) e quando trovi il giusto equilibrio con il mercato». Family business: cambiare pelle per sopravvivere In un momento espansivo dell’economia, la presenza di piccole imprese è sicuramente un motore importante di sviluppo di un Paese, poiché questi attori dimostrano capacità decisionale dinanzi agli stimoli del mercato superiore rispetto a quella dei player medio-grandi. È certo, però, che in una fase di crisi economica in un settore, come quello grafico editoriale, in sovracapacità produttiva, queste particolarità positive della piccola e media impresa non sono sufficienti. «Anzi, nel caso dell’industria grafica», continua Camoni, «la presenza di imprese piccole a conduzione famigliare può rappresentare addirittura un limite alla crescita del comparto. Molto spesso infatti un mercato in contrazione offre opportunità che l’impresa di famiglia non vuole cogliere o sfruttare. Mi riferisco alle integrazioni o agli accorpamenti per raggiungere massa critica, operazioni che permettono la permanenza sul mercato ma che appaiono all’imprenditore fondatore come un ridimensionamento della propria centralità all’interno dell’azienda. Del resto sono convinto che il mercato farà il suo corso e provvederà alla selezione. La Germania fa da esempio: su 60mila aziende grafiche, circa 20mila sono state eliminate perché non concorrenziali e non in grado di stare sul mercato in maniera efficiente. Credo che in Italia avverrà qualcosa di simile: da una parte assisteremo a una moria di aziende che non hanno sbocco in alcun senso, dall’altra osserveremo veri e propri accorpamenti e costituzioni di gruppi di filiera. Certamente gli imprenditori a capo di imprese famigliari possono rallentare questo processo, ma non arrestarlo. Quando la capacità produttiva è in eccesso e la domanda si contrae, alle aziende tocca la scelta: lasciare gli impianti di produzione completamente fermi o trovare il modo per sostenere la domanda, aumentando lavoro e fatturato. In questo caso, a mio modo di vedere, le strade possono essere solo due. Si può svolgere una forte azione commerciale, anche se il mercato grafico editoriale ha una marginalità talmente bassa da non permettere una rete commerciale che va a incidere sensibilmente sul costo del prodotto. Inoltre tutti gli attori di questo settore hanno finora giocato sulla leva del Interest coverage: l’indice di interest coverage (risultato operativo/oneri finanziari) determina il numero di volte in cui il risultato operativo copre gli interessi netti. Indica quindi la capacità del risultato della gestione ordinaria di coprire adeguatamente gli esborsi per oneri finanziari. Leverage: è il rapporto di indebitamento (passività/capitale proprio) che misura la proporzione fra il capitale proprio e quello di terzi nelle risorse utilizzate per finanziare gli impieghi. Governance (corporate governance): l’insieme di regole che disciplinano la gestione dell’impresa. La governance include anche le relazioni tra i vari attori coinvolti (gli stakeholders, cioè chi detiene un qualunque interesse nella società) e gli obiettivi per cui l’impresa è amministrata. Path dependency: la teoria economica designa come «path dependency» (dipendenza dal cammino) la tendenza molto rischiosa a replicare comportamenti di routine che si sono dimostrati vincenti in passato. Vincenzo Boccia, direttore generale di Arti Grafiche Boccia. prezzo, utilizzando una spinta minima a livello commerciale. Che adesso, al contrario, sarebbe necessaria., ancorché difficile da praticare. L’altra via percorribile è quella rappresentata dalla crescita per acquisizioni. In questo caso sono chiamate in causa le piccole-medie imprese eccellenti della propria nicchia di riferimento o della propria fase di filiera. Ed è in questo senso che Legatoria Pgm si sta muovendo, diventando su Milano una realtà aggregante nella nicchia di fascia alta del cartonato. Inglobare fatturato con questo tipo di operazioni, quando possibile, può essere un ottimo viatico per la crescita di un’azienda in un mercato saturo come il nostro». Nuove consapevolezze avanzano Ma quali sono, oggi, le competenze richieste a chi subentra alla guida di un’impresa famigliare? Perché, se anche la famiglia dei proprietari continua a esprimere i talenti gestionali necessari, il patrimonio familiare può non essere più sufficiente a finanziare la crescita dell’impresa. Ricorso al credito e impiego di strumenti finanziari evoluti, diventano così requisiti fondamentali. Che, però, non sempre sembrano sposarsi con la natura della gestione famigliare. «Molte aziende grafiche», spiega Camoni, «stanno utilizzando male la leva debitoria. Poiché la redditività del settore è bassa e, di contro, i tassi di interesse alti, il ricorso al debito va centellinato. Sicuramente le nuove generazioni subentrate ai padri febbraio 2009 italiagraFica 11 o n a i p o prim nella conduzione aziendale sono più propense al rischio finanziario, ma allo stesso tempo in molti casi non hanno tenuto conto che il costo del debito ha eroso i margini positivi. Purtroppo il nostro settore non permette ampi spazi all’indebitamento: un’azienda grafica è sana se gode di una forte patrimonializzazione grazie un patrimonio netto importante e se lavora poco con le banche perché i costi dell’accesso al credito non sono gestibili con i redditi del settore. Ora, il capitalismo famigliare lungimirante, quello cioè che ha saputo collocare a patrimonio i redditi generati in periodi storici più favorevoli di questo, oggi ha le risorse per sostenere i momenti critici, mentre le famiglie che hanno distratto i redditi altrove, si trovano a operare con le banche e risultano soffocate dal cosiddetto interest coverage (l’incidenza dell’interesse sul reddito operativo, nda). Come membro del comitato tecnico di Confidi Province Lombarde [www.confidiprovincelombarde.it], l’ente di garanzia consortile che sostiene le imprese nell’accesso al credito, ho sotto mano ogni mese le pratiche di piccole e medie imprese sottocapitalizzate che bruciano i propri margini utilizzando male il leverage. Questo accade perché manca in molti casi una cultura finanziaria adeguata, non solo da parte degli imprenditori più anziani, ma anche da parte dei loro figli». Evoluzione della specie Il problema dell’evoluzione delle competenze all’interno dell’impresa di famiglia dinanzi al cambiamento del mercati è sentito anche da un altro protagonista dell’ambito grafico editoriale, Vincenzo Boccia, direttore generale dell’azienda di famiglia, Arti Grafiche Boccia [www.artigraficheboccia.com]. «Si dice solitamente che la prima generazione crea, la seconda consolida, la terza distrugge. Ironia a parte, è purtroppo facile constatare le difficoltà nell’ereditare un’impresa in salute e condurla alla crescita in contesti mutevoli. Bisogna ammettere però che 12 italiagraFica febbraio 2009 Andrea Colli, docente di storia economica all’Università Bocconi di Milano. sono gli stessi fondatori, in molti casi, a non agevolare il cambiamento perché intendono l’azienda come un sogno proprio. Questa concezione patriarcale preclude l’apertura alle istituzioni finanziarie, all’ingresso di nuovi soci o al semplice ricambio generazionale. Nel caso della mia azienda, oggi alla seconda generazione, devo riconoscere che ci sono stati alcuni problemi nel passaggio di testimone. Attualmente la famiglia non ha più deleghe operative, la direzione è affidata a manager esterni e questa per noi rappresenta una soluzione vincente: negli ultimi otto anni Arti Grafiche Boccia ha incrementato del 300% il fatturato, con un livello di export nei mercati di Francia e Inghilterra pari al 30%. Ma, al di là della governance scelta, molte imprese grafiche in Italia continuano ad avere la mentalità di chi un tempo le ha fondate. Ciò che caratterizza le aziende famigliari di questo settore, infatti, è l’esclusiva e verticale attenzione agli aspetti tecnici della produzione senza un’opportuna visione trasversale del mercato, dei suoi andamenti e delle sue ciclicità. Tuttavia le nuove generazioni, come i giovani imprenditori di Assografici [www.assografici.it], hanno una mentalità aperta al confronto e certamente più curiosa. Anche perché i processi innovativi in un settore maturo come il nostro non sono legati al prodotto, quanto all’organizzazione aziendale e alla propensione al servizio». L’arte dell’equilibrio «Come mostrano questi esempi», spiega Andrea Colli, docente di storia economica all’Università Bocconi di Milano [www.unibocconi.it] e autore del libro Capitalismo famigliare edito da il Mulino, «forzare in un’unica definizione il concetto di impresa famigliare darebbe effetti insoddisfacenti. Sia che la famiglia mantenga ruoli operativi, sia che rimanga azionista e deleghi a un management esterno la conduzione dell’azienda, si tratta, in ogni caso, di family business. Ancora più complesso, a mio avviso, è il tentativo di assegnare un giudizio di merito: la cultura dell’impresa famigliare è innanzitutto il risultato delle aspirazioni dei fondatori e dei loro successori. In un mondo in continuo cambiamento, valori forti e solidi sono certamente elementi utili a fronteggiare l’incertezza. Ma è anche vero che questi stessi valori possono finire per generare un atteggiamento di ripiegamento più che di apertura, di avversione al mutamento. Non dimentichiamoci che mai come nel caso del family business è rilevante il concetto di path dependency, una sorta di determinismo nelle scelte, per cui si tende a ripercorrere o perpetrare le scelte fatte storicamente dall’azienda anche dinanzi a contesti modificati. Se da una parte, dunque, si assiste a un certo difetto adattivo, è pur vero, di contro, che l’impresa famigliare è da sempre considerata il campo di indagine privilegiato per lo studio dei cosiddetti costi di transizione, laddove esiste una maggiore informalità (e oralità) nei processi aziendali. In definitiva quindi sarebbe semplicistico estrarre una morale conclusiva da un bilancio così complesso tra i “più” e i “meno”. Tuttavia penso che in un periodo di crisi come quello attuale, in cui gli operatori si trovano ad agire in settori a domanda complessa e variabile, le imprese a guida famigliare e il commitment che sviluppano al loro interno possono risultare vincenti. Flessibilità, rapidità decisionale, strategie prevalentemente rivolte alla personalizzazione più che alla standardizzazione costituiscono forse i tratti migliori che meritano di superare lo snodo generazionale». g