Tesi Versino su cinesi a Torino
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Tesi Versino su cinesi a Torino
Università degli Studi di Torino Facoltà di Lettere e Filosofia C.d.L in Comunicazione Interculturale Indirizzo Sociologico Tesi di laurea in: Sociologia delle Migrazioni CINESI DI SECONDA GENERAZIONE A TORINO Candidato: Versino Paola matr. 236770 Relatore: Prof. Sciarrone Rocco Sessione invernale a.a. 2005 - 2006 Indice Introduzione Capitolo 1 La migrazione cinese all’estero 1.1 La situazione della Cina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.8 1.2 Cronologia dell’emigrazione cinese verso l’estero . . . . . . . . . p.11 1.3 L’Europa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.13 1.4 L’Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.18 Capitolo 2 La questione delle seconde generazioni 2.1 Uno sguardo d’insieme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.23 2.2 Problemi di metodo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.27 2.3 Il caso italiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.29 2.4 ’Focus on’: le seconde generazioni cinesi in Italia . . . . . . . . p.32 Capitolo 3 Cinesi a Torino 3.1 Ritratto in breve . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.38 3.2 I dati dell’osservatorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.41 3.2.1 Residenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.41 3.2.2 Il lavoro autonomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.44 3.2.3 La scuola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.47 2 3 Capitolo 4 La ricerca esplorativa 4.1 La (difficile) ricerca dei contatti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.50 4.2 L’importanza della scuola e il lavoro autonomo . . . . . . . . . . p.52 4.3 La competenza linguistica e la comunicazione in famiglia p.56 4.4 I due nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.59 4.5 Gli amici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.61 4.6 Il rapporto con il paese d’origine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.62 4.7 Il processo di attribuzione identitaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.63 4.8 L’associazione e la comunità cinese di Torino . . . . . . . . . . . . p.64 4.9 Strane usanze e divieti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.67 4.10 Un valore ridimensionato: il risparmio . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.70 4.11 Temi politici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.71 Capitolo 5 Considerazioni conclusive 5.1 Prove di associazionismo in rete: associna.com . . . . . . . . . . . p.75 5.2 Tirando le fila . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.79 Bibliografia Introduzione ‘Negli ultimi vent’anni un paese patria di quasi un quarto dell’umanità, la Cina, sta crescendo a ritmi del 10 per cento l’anno. [...] Una crescita tumultuosa, senza precedenti nella storia umana... [...] La Cina sta cercando di entrare nel mondo moderno adeguandosi ad un modello di sviluppo occidentale ma anche portando nuove prospettive e certamente causando uno spostamento dell’equilibrio economico internazionale. Tutto il mondo è trasformato da questo processo di cambiamento... [...] Quello che è certo è che il Mondo dovrà adattarsi alla Cina e la Cina dovrà superare la tentazione di considerarsi un mondo a parte. L’Occidente e l’Europa in particolare devono svolgere un ruolo incisivo per non farsi travolgere e per gestire una transizione che può avvicinare due culture diverse o generare conflitti dagli esiti devastanti...’ Con queste parole si apre l’introduzione di Luca Cordero di Montezemolo all’acuto saggio di Francesco Scisci, corrispondente de La Stampa a Pechino, dal titolo Chi ha paura della Cina1 . Sono d’accordo sul fatto che Occidente e Cina siano due mondi che si stanno avvicinando sempre di più, volenti o nolenti, spinti da forze economiche e sociali a cui non è facile sottrarsi, e credo che questo processo di avvicinamento vada gestito con molta consapevolezza, ‘prendendo in mano il timone’ per non correre il rischio di imboccare rotte dall’approdo incerto. La stessa cosa vale, ancor di più se possibile, per l’Europa e l’Italia in particolare. E i mediatori di questo difficile incontro-scontro con il gigante cinese saranno, necessariamente, i giovani immigrati cinesi. Già oggi gli studenti cinesi 1 L.Cordero di Montezemolo, Prefazione, in F.Scisci,Chi ha paura della Cina, Ponte alle Grazie, Milano, 2006, p.5. 4 5 in Italia sono molto richiesti da aziende, agenzie di viaggio, agenzie di stampa e giornalistiche, ma scarseggiano terribilmente. ‘Nel 2003 gli studenti cinesi erano meno di seicento, un’inezia rispetto alle decine di migliaia presenti in altri paesi europei, per non parlare degli Stati Uniti. Per compensare questo vuoto strutturale si sono fatti dei passi, ma ancora una volta dei passi non strutturali. Si sono messe delle pezze, ma non è stato affrontato il problema principale: le università non hanno incentivi, quindi non sono interessate ad avere un numero maggiore di studenti cinesi. [...] Il problema non è stato affrontato perché tocca molti nervi scoperti del nostro sistema dell’istruzione; e ancora una volta dimostra la strettissima interdipendenza di questioni interne e internazionali. Per arricchirsi [e per stare al passo coi tempi] l’Italia deve andare in Cina; ma per farlo ha bisogno di cinesi che conoscano l’Italia; ma perchè ciò accada occorre modificare il sistema di istruzione universitaria2 .’ Dei passi si sono fatti, certo: ad esempio l’accordo firmato nel 2005 tra Italia e Cina per il riconoscimento dei titoli di studio superiori; oppure la prima istituzione, al Politecnico di Torino come in altre città italiane, di corsi di laurea appositi per studenti stranieri. Di sicuro la strada da fare è ancora molta, e richiede soprattutto una più generale svolta della politica estera italiana verso l’incentivazione dell’immigrazione di alto livello (‘skilled’) rispetto all’attuale manodopera senza alcuna formazione (‘unskilled’). Questo porterebbe dei generali benefici all’Italia, che avrebbe a disposizione persone competenti per i rapporti, politici come economici e culturali, con l’estero; gli italiani comincerebbero a percepire una figura del migrante diversa, degna di rispetto e ammirazione, non solo di carità, e questo gioverebbe in generale a una convivenza pacifica e costruttiva nel nostro paese tra nazionalità diverse. Chissà, forse consentirebbe anche uno sblocco, auspicato da anni, della politica migratoria dai topos della retorica politica, che ne impantanano a oggi i possibili sviluppi più innovativi e realistici. L’idea di svolgere questo lavoro sui cinesi di seconda generazione a Torino 2 F.Scisci, Chi ha paura della Cina, cit., p.89. 6 è nata dal mio forte interesse personale per la Sociologia delle Migrazioni e dalla consapevolezza che il futuro della disciplina e della storia stesse puntando decisamente verso il tema sempre più rilevante delle cosiddette ‘seconde generazioni’, verso le problematiche e le novità che la loro evoluzione presenta. Specialmente in un paese di recente immigrazione come l’Italia. In secondo luogo, la scelta di restringere ancor di più l’ambito di interesse alla nazionalità cinese è dovuta alla spunto datomi dalla lettura di questa frase, sullo stato della ricerca in Italia: ’...brillano alcune assenze, una in particolare: l’Asia. Cinesi, filippini, srilankesi, indiani, pakistani sono tutte nazionalità con una diffusione marcata in Italia. I primi in particolare sono presenti da molto tempo, e mostrano concentrazioni territoriali forti che li rendono migrazioni ben consolidate. Eppure esse risultano nel complesso assai poco studiate, come mostra la rarità di studi su di esse...3 ’ Unita alle evidenti particolarità di questo gruppo nazionale, come il paradosso del buon inserimento economico e dei minimali livelli di inserimento sociale, questa frase definı̀ un’altra parte del mio oggetto di studio. Infine la scelta più ovvia, ovvero quella di svolgere un esercizio di ricerca a Torino, capoluogo con la più elevata presenza nella mia regione di immigrati cinesi. Per quanto riguarda la decisione di utilizzare il metodo qualitativo, e in particolare la tecnica dell’intervista discorsiva, ho ritenuto che fosse il modo più adatto per non spaventare i ragazzi con un’approccio formale (ad esempio un questionario) e per saggiare le loro opinioni ed esperienze in maniera più approfondita e soggettiva. Oltretutto è servito per calarmi per la prima volta nei panni del sociologo di professione, provando sulla mia pelle quanto sia difficile condurre una buona intervista, e le mille insidie che si nascondono dietro a ogni parola. Ho poi deciso di selezionare un ‘range’ d’età, che andasse dai 19 ai 25 anni, entro cui racchiudere i diversi casi. Quel periodo della vita mi sembra infatti particolarmente ricco di fermenti e decisioni cruciali per il futuro della persona: la maggiore età, con il conseguente allargamento della propria 3 A.Colombo e G.Sciortino, a cura di, Assimilati ed esclusi, il Mulino, Bologna, 2002, p.16 7 prospettiva sul mondo; la fine della scuola superiore e la scelta tra il lavoro o la continuazione degli studi universitari, tra le proprie aspirazioni e i propri sogni... Per i giovani figli di immigrati, per di più, è il momento in cui si comincia a selezionare con più decisione i valori da seguire nella vita e gli obiettivi a cui tendere, sempre meno influenzati dalla famiglia, a volte incalzati a risolvere la tensione identitaria anche dalla conquistata cittadinanza e dal conseguente diritto di voto (nel caso si sia nati in Italia). I primi due capitoli di questo testo sono dedicati a un inquadramento teoricostorico degli argomenti chiamati in causa: la migrazione cinese, la questione delle seconde generazioni. Naturalmente ho trattato solo i punti che mi interessavano di più, e comunque in modo non esaustivo: per eventuali approfondimenti rimando ai libri citati a piè di pagina. Il terzo capitolo cerca invece di descrivere, soprattutto attraverso dati statistici, la comunità cinese di Torino e la sua dislocazione occupazionale, scolastica, ecc. I commenti e le riflessioni sulle interviste da me condotte si trovano nel quarto capitolo, e aiuteranno a conoscere meglio, oltre che la situazione dei giovani cinesi di seconda generazione a Torino, anche la comunità cittadina descritta attraverso le loro parole. Infine un piccolo approfondimento su Associna, un sito che cerca di riunire le seconde generazioni italo-cinesi sul web, discutendo dei loro problemi ed esigenze e tentando di dare una maggiore eco alla loro voce nella società. Un interessante esperimento che mostra come sia possibile anche da noi l’espressione seria di una coscienza di gruppo delle seconde generazioni immigrate. Capitolo 1 La migrazione cinese all’estero. 1.1 La situazione in Cina. Il punto di svolta della storia recente della Cina è stato il 1979, con il nuovo corso di Deng Xiaoping e l’abbandono della prospettiva maoista. Il governo da allora si è mosso sempre più esplicitamente verso la costituzione di un’economia di mercato. Inoltre, dopo ben trent’anni di blocco delle migrazioni sia interne sia esterne a seguito della costituzione della Repubblica Popolare Cinese (nel 1949), la popolazione ha ricominciato a circolare dalla campagna verso le grandi città e verso l’estero. La politica migratoria del nuovo governo, che ha cercato di indirizzare i flussi interni verso piccole e medie città per un maggior equilibrio, e di controllare quelli esterni tramite ‘contratti’ con i paesi riceventi, non ha avuto tuttavia la stessa efficacia coercitiva dell’epoca maoista e lascia intravedere sotto i piccoli numeri delle statistiche ufficiali un ben più alto volume di traffico effettivo 1 . Nell’immenso territorio cinese, tuttavia, alcune aree più di altre sono da lungo tempo fonti di consistenti flussi verso l’estero. Il nostro interesse si 1 G.Campani, La diaspora cinese nel nuovo contesto delle migrazioni internazionali, in G.Campani, F.Carchedi e A.Tassinari (a cura di), L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1994, pp.21-22. 8 CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO. 9 concentra in particolare su queste zone, per capire il motivo di quella che sembra apparentemente una grande fuga, ma che è in realtà il risultato di una gamma di opportunità più vasta. Xiang Biao2 traccia un’accurata genesi storica della peculiarità di queste aree, (specialmente dal punto di vista economico) che è all’origine dei loro alti tassi di emigrazione. Durante il periodo maoista le aree di confine rappresentavano la linea di frattura tra il mondo ‘socialista’ e quello ‘capitalista’, oltre che essere zone vulnerabili a possibili attacchi nemici, specialmente dal Kuomingtang di Taiwan. Per questi motivi il governo non investı̀ per lo svilppo economico di province come lo Zhejiang e il Fujian (vicine a Taiwan), causandone l’impoverimento ma anche abituandole a poche interferenze amministrative dal centro. Questa relativa autonomia di fatto venne ufficialmente incentivata con la fine della Rivoluzione Culturale e la creazione, nel 1979, di quattro zone economiche speciali proprio nel sudest del paese. Nel 1984 seguı̀ l’apertura di quattordici città costiere all’investimento estero: in queste città3 l’iniziativa privata commerciale con altri paesi era incoraggiata e beneficiava di poche interferenze burocratiche da Pechino. Tutte le maggiori aree di emigrazione cinese sono proprio vicine a queste città costiere, e le ragioni sono diverse: il debole controllo governativo facilita l’emigrazione, e la lunga tradizione migratoria ha creato nel tempo reti espanse e sicure a cui affidarsi; inoltre è più facile muovere capitali tra luoghi d’arrivo e di partenza (e questo aiuta l’iniziativa economica dei migranti, verso qualsiasi delle due direzioni voglia rivolgersi). Questi sono i maggiori fattori di spinta locali alla base della decisione di emigrare. Senza pretese di esaustività, nel paragrafo sull’Italia4 tratterò sucessivamente di alcuni fattori di attrazione verso il nostro paese, lasciando al capitolo di breve ricerca personale la riflessione, pure indispensabile, sulle variabili micro e meso. 2 Xiang Biao, Emigration from China: a sending country perspective, in International Migration, vol.41 , September 2003, p.24. 3 Tra cui Wenzhou, nella provincia dello Zhejiang, dalla cui municipalità proviene buona parte dei cinesi oggi a Torino. 4 cfr. paragrafo 1.4 L’italia. CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO. 10 Purtroppo la maggior parte della letteratura disponibile sul controllo delle migrazioni è focalizzata sui paesi riceventi. Con poche eccezioni, è stata prestata poca attenzione alle politiche di controllo migratorio nei paesi d’origine. E’opportuno quindi fare un cenno, sempre seguendo Xiang Biao5 , ai trend più recenti della politica migratoria cinese, che possono essere sintetizzati nei seguenti quattro punti: - Il controllo dei passaporti è sempre più basato sul riconoscimento dei diritti individuali dei cittadini. Il governo a quanto sembra vuole trasformare la gestione dell’emigrazione da materia di ‘controllo’ ad area di ‘assistenza/servizio’6 . Questo implica una libertà senza precedenti per i cittadini cinesi. - L’emigrazione dalla Cina è sempre più istituzionalizzata, e avviene attraverso varie agenzie speciali di intermediazione. Il governo ne riconosce il ruolo e ha emanato una serie di norme per regolarne l’attività7 . - Tuttavia le misure non sono ben bilanciate. Il governo ha incoraggiato l’emigrazione e il ritorno di alto profilo culturale (‘skilled’) ma ha prestato poca attenzione all’esportazione di manodopera non qualificata. - Un triplice legame si sta rafforzando: tra le autorità cinesi e le comunità emigrate all’estero, e tra queste ultime e i governi dei paesi riceventi. E’ un avvenimento molto importante, che può portare a una proficua collaborazione reciproca su molte problematiche, tra cui proprio quella della gestione delle migrazioni. Ma ci vuole ancora tempo perchè questo avvenga. 5 6 Xiang Biao, Emigration from China: a sending country perspective, cit., p.37. Come dichiarato alla ‘National Conference on Exit-Entry Administration’, 2001, a Pechino. 7 Ad esempio si sono moltiplicate in questi ultimi anni le agenzie di reclutamento studentesco: ‘More than 160 institutions from 22 countries recently took part in the China International Higher Education Exhibition Tour’( ‘People’s Daily’, 2001). Su questo tema vedi anche F.Laczko, Understanding migration between China and Europe, in International Migration, vol.41, 2003, p.12. CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO. 11 Anche da questi brevi cenni si nota che ‘Study abroad is one of the four main reasons for Chinese emigrating8 ’: la difficoltà di far studiare i figli in Cina9 e le maggiori possibilità di lavoro qualificato all’estero si combinano. Come entrano nei paesi di emigrazione i cinesi? Come la maggior parte degli immigrati provenienti da altri paesi: legalmente. ‘The MPS10 reports that the majority of Chinese go abroad with legal documents, either for tourism, to visit relatives, study, or to work/do business. Many return, but a large, indeterminate number overstay their visas 1.2 11 .’ Cronologia dell’emigrazione cinese verso l’estero. Date queste premesse di ordine generale, una breve cronologia dell’emigrazione cinese verso l’estero negli ultimi due secoli può essere opportuna perchè ci permette di capire quanto cambino nel tempo le motivazioni, la composizione e la meta dei flussi. Non va dimenticato, anche se in questo lavoro l’attenzione è focalizzata sul mondo occidentale, che l’area che ha sempre attratto storicamente (e ancora attrae) la maggior parte dell’emigrazione cinese è quella Asiatica: ad esempio, all’inizio degli anni ’90 i cinesi all’estero si trovavano per l’83,5% nelle altre nazioni asiatiche (in particolare Indonesia), e solo per il 12,5% nelle Americhe, mentre l’Europa raggiungeva appena il 2,2% del totale12 . La situazione da allora è in parte cambiata, e le percentuali relative alle Americhe e all’Europa sono cresciute considerevolmente, senza riuscire però 8 I.Omelaniuk, Best practices to manage migration: China, in International Migration, vol.43, 2005, p.193. 9 Su questo tema vedi F.Scisci,Chi ha paura della Cina, cit., pp.176-183. 10 Chinese Ministry of Public Security. 11 I.Omelaniuk, Best practices to manage migration: China, cit., p.190. 12 Secondo lo studio di Live (si veda G.Campani, La diaspora cinese nel nuovo contesto delle migrazioni internazionali, cit., p.13). CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO. 12 a scalzare dal primo posto l’Asia. Questa cronologia è tratta da un saggio di Giovanna Campani13 : • Nel XIX secolo la migrazione cinese si è principalmente diretta (al di là dello storico sbocco del Sudest Asiatico) verso le Americhe, in quanto vi necessitavano contingenti importanti di manodopera non qualificata e a basso salario. I cinesi erano impiegati soprattutto nelle miniere e nella costruzione della ferrovia transamericana. Proprio l’accettazione di condizioni di lavoro difficili e malpagate portò però in California al conflitto con i lavoratori autoctoni e alla conseguente messa in atto di politiche di stop: la Legge d’Esclusione Cinese (1882), durata fino alla Seconda Guerra Mondiale, ridusse rapidamente i flussi in ingresso e diede forma alle Chinatown d’America (luoghi segreti e chiusi proprio in conseguenza delle pressioni ostili della popolazione locale). • Dal 1850 circa anche l’Australia, con l’inizio della corsa all’oro, attrae manodopera cinese per il lavoro nelle miniere. Ma già dal 1880 introduce anch’essa politiche restrittive e di regolazione degli ingressi, che si protrarrano, anche in questo caso, fin dopo la Seconda Guerra Mondiale. • L’Europa rimane una destinazione marginale per i migranti cinesi fino alla Prima Guerra Mondiale, quando un gran numero di lavoratori, originari della provincia dello Zhejiang, vengono reclutati dalle forze alleate per lavorare nelle fabbriche e soprattutto per scavare le trincee sulla frontiera nord, tra la Francia e le Fiandre. Alla fine della guerra sarebbero tutti obbligati a tornare in Cina, ma alcune migliaia di loro rimangono in Francia. L’attività economica a cui si dedicano in un primo momento, il commercio ambulante, favorisce la dispersione. Nel periodo tra le due guerre piccole comunità si costituiscono cosı̀ nelle grandi città europee, e nel secondo dopoguerra saranno punti di riferimento per i flussi migratori provenienti dallo Zejiang. 13 G.Campani, La diaspora cinese nel nuovo contesto delle migrazioni internazionali, cit., pp.15-18. CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO. 13 Come nota giustamente Francesco Carchedi14 , ‘a queste grandi aree di insediamento, cioè America Settentrionale e Australia, Sudest asiatico ed Europa, corrispondono altrettanti grandi zone di esodo: nel primo caso dal Fujian (la regione situata di fronte a Taiwan), nel secondo caso dal Guandong e da altre regioni del sud, e nel terzo caso da Canton e dallo Zhejiang’. 1.3 L’Europa La cronologia delle migrazioni cinesi in Europa richiede un ulteriore passo avanti, scandendo il periodo dal secondo dopoguerra a oggi15 : • Dal 1949 al 1975, nonostante il blocco delle emigrazioni, il flusso di cinesi verso l’Europa non si arresta. Anzi, è soprattutto dopo la Guerra d’Indocina e la conquista dell’indipendenza da parte del Vietnam, del Laos e della Cambogia, nel primo quinquennio degli anni settanta, che l’intera collettività cinese in Europa acquista maggiore significatività. I governi dei paesi sopracitati decretarono infatti la fuoriuscita di una parte considerevole delle comunità cinesi presenti, perché considerate ‘capitaliste’16 , e parte dei cacciati si orientò verso l’emigrazione, considerandosi e acquisendo in maggioranza lo status di rifugiato politico. • Dal 1975, con il nuovo corso di Deng Xiaoping, riprendono con maggiore slancio le migrazioni sia interne che esterne e con esse i contatti tra le comunità della diaspora insediate in Europa e le regioni di origine. Con la creazione di quattro zone economiche speciali nella Cina meridionale, dove è ammessa l’iniziativa privata e vengono favoriti gli 14 F.Carchedi, La presenza cinese in Italia. Direzionalità dei flussi, dimensioni del fenomeno e caratteristiche strutturali, in L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia, cit., p.43. 15 Cfr. G.Campani, La diaspora cinese nel nuovo contesto delle migrazioni internazionali, cit., pp. 18-21; e F.Carchedi, La presenza cinese in Italia. Direzionalità dei flussi, dimensioni del fenomeno e caratteristiche strutturali, cit., pp. 44-46. 16 I paesi sopracitati erano collocati nell’area di influenza sovietica e quindi si trovarono in una posizione conflittuale con gli interessi di politica estera della Cina, orientata a trovare spazi di equidistanza dalle due superpotenze di allora. CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO. 14 investimenti stranieri, il processo di riforma economica investe progressivamente il Fujian e lo Zhejiang. Queste, come già detto, sono aree di emigrazione in particolare verso l’Europa. Volendo tracciare uno schema d’insieme, ricordo con Carchedi17 che le zone storiche di maggior esodo dell’emigrazione cinese verso l’Europa sono: Canton in direzione della Gran Bretagna e, in misura minore, verso la Francia; lo Zhejiang in direzione di Olanda, Francia e Italia. Ma negli ultimi anni la situazione sta cambiando: ‘Chinese migrants are arriving in Europe from a wider range of source regions in China. [...] An increasing number [...] now come from North- Eastern China18 .’ Inoltre, per quel che riguarda i paesi di arrivo (e si veda a maggiore conferma la Figura 1.1): ‘there has been a significant increase in Chinese migration to some of the new immigration countries of southern and central Europe [...], particularly Italy and Spain19 .’ Interessante è vedere perchè questo avviene. Il numero speciale di International Migration del Settembre 2003 presenta un ampia panoramica di saggi raccolti sotto il titolo Understanding Migration between China and Europe. E’ l’effetto della tragedia di Dover del Giugno 200020 , che ‘immediatly made policy makers much more aware of the rise in Chinese migration to Europe. [...] Since the Dover tragedy, cooperation between EU21 17 F.Carchedi, La presenza cinese in Italia. Direzionalità dei flussi, dimensioni del fenomeno e caratteristiche strutturali, cit., p.44. 18 F.Laczko, Understanding migration between China and Europe, cit., p.8. 19 F.Laczko, op.cit., p.8. 20 Ecco in breve cosa accadde: ‘Il 19 Giugno 2000, nel porto di Dover, ispezionando un tir proveniente dal Belgio, furono scoperti sessanta corpi di clandestini di origine cinese. Solo due di loro respiravano ancora, gli altri erano tutti deceduti per asfissia. L’autista venne arrestato e messo sotto interrogatorio [...]. Le forze dell’ordine inglesi compresero quindi, di trovarsi di fronte a quello che si suol definire commercio di esseri umani. L’avvenimento ebbe una grande risonanza in Cina e lo stesso ministro degli esteri dell’epoca condannò fermamente le organizzazioni criminali che gestiscono questo turpe commercio.[...]’ Da: www.cinaoggi.it 21 European Union. CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO. 15 Figura 1.1: Numero dei cittadini cinesi nei paesi europei, 2000-2001 eccetto per la Francia (1991). Fonte: F.Laczko, Understanding migration between China and Europe, in International Migration, vol.41, 2003, p.13. Member States and China on measures to combat irregular migration has improved22 ’; ma ancora nei documenti della Comunità Europea ‘there is virtually no discussion of the links between migration and other areas of policy such as trade, education, or development23 .’ La messa a fuoco in Europa del problema è dunque cominciata, ma è ancora troppo ristretta e lascia sfocate, sullo sfondo, le connessioni tra questo e il resto della società (di arrivo come di partenza). Infatti ci sono molte ragioni per l’aumento dell’immigrazione cinese in Europa24 . Soprattutto in Europa meridionale, l’accettazione di fatto di un gran numero di lavoratori immigrati irregolari e l’esistenza di molte opportunità occupazionali nell’economia informale sono fattori importanti. I cinesi inoltre si possono inserire in nuove nicchie occupazionali. In Europa Occidentale il settore della ristorazione è diventato sempre più saturo negli anni novanta, ma non sembra che l’imprenditoria cinese abbia trovato nuovi sbocchi. Al contrario, i cinesi in Europa meridionale e orientale sono 22 F.Laczko, Understanding migration between China and Europe, cit., pp.5-7. F.Laczko, op.cit., p.5-7. 24 F.Laczko, Understanding migration between China and Europe, cit., pp.11-12. 23 CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO. 16 spesso occupati in attività di import-export con la madrepatria e anche nella manifattura ( ad es. proprio l’industria della pelle e delle borse in Italia). Un’altra concausa potrebbe risiedere nel recente aumento del numero di studenti cinesi in Europa. Non è chiaro però se questo rappresenti un vero cambiamento nella gerarchia di scelta o se sia un semplice riflesso dell’incremento generale degli studenti cinesi all’estero25 . Di certo le istituzioni educative dell’Europa occidentale stanno rapidamente esplorando questo nuovo redditizio mercato, impiantando in Cina centinaia di agenzie di reclutamento studentesco. Figura 1.2: Cittadini della Repubblica Popolare Cinese in percentuale, sul numero totale di migranti regolarizzati. I dati sono del 1990-2000 eccetto per la Francia (1997-98). Fonte: F.Laczko, Understanding migration between China and Europe, in International Migration, vol.41, 2003, p.13. 25 Cfr. Paragrafo 1.1 La situazione in Cina. CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO. 17 Per quello che riguarda l’immigrazione irregolare in Europa, per tentare una stima seppur a grandi linee del fenomeno prendiamo in esame l’indicatore statistico del numero di persone che hanno fatto domanda per provvedimenti di amnistia o regolarizzazione per migranti irregolari. Ci sono state alcune importanti sanatorie nel corso degli anni ’90, prevalentemente in Europa meridionale. In diversi paesi, i cinesi sono stati tra le cinque maggiori nazionalità ‘regolarizzate’ dai provvedimenti. La figura 1.2 mostra che la Francia, l’Italia e la Spagna hanno regolarizzato più di sessantamila cinesi dal 1990. Questi dati suggeriscono che gran parte dell’aumento nella migrazione cinese verso l’Europa sia avvenuta (e ancora avvenga) all’ombra della legge, nell’irregolarità. Naturalmente questo rientra negli effetti perversi di una politica migratoria basata su una quasi totale assenza di opportunità d’ingresso legale e su una continua, ma non pianificata, regolarizzazione a posteriore dei migranti. I dati sulle richieste d’asilo (Fig. 1.3) confermano questa visione: scarse e quasi inesistenti in Europa meridionale, dove l’immigrato irregolare sa che potrà trovare abbastanza facilmente opportunità di lavoro nero e, prima o poi, arriverà una sanatoria a regolarizzare la sua posizione. In Europa è la Gran Bretagna il maggior paese di destinazione per i richiedenti asilo cinesi26 . Figura 1.3: Fonte: Understanding migration between China and Europe, in International Migration, vol.41, 2003, p.13. 26 F.Laczko, Understanding migration between China and Europe, in International Migration, vol.41, 2003, p.13-14. CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO. 1.4 18 L’Italia In Italia quella cinese è una delle più ‘anziane’ nazionalità immigrate. Sulla sua origine e sui primi decenni di insediamento si sa poco, dati i tempi: la situazione economico-politica del paese e la mancanza di un interesse disciplinare sull’argomento lo impedivano. Tuttavia si può ricostruire una cronologia a grandi linee27 : • Dagli anni ’30 prende avvio il flusso che ha determinato la formazione della collettività cinese in Italia. All’emigrazione direttamente dalla madrepatria si aggiunge, a partire dagli anni ’80, lo spostamento di individui provenienti già da altri paesi europei (in particolare la Francia): questi ultimi si dirigono verso l’Italia secondo modalità interne alla diaspora e non certo attirati dal mercato del lavoro italiano che, all’epoca, non necessita di manodopera straniera ed è anzi ad alta disoccupazione. I cinesi si ritagliano abilmente spazi di attività, attraverso il lavoro autonomo, l’impresa familiare, l’occupazione all’interno del gruppo etnico. I primi insediamenti avvengono a Milano, per poi riprodursi a Bologna e Firenze e dopo la seconda guerra mondiale anche a Roma. Ma comunque fino agli inizi degli anni ’70 la presenza cinese non supera alcune centinaia di unità ed è pertanto ‘fisiologica’. • Il gruppo etnico acquista man mano visibilità e consistenza con le prime sanatorie del 1986 e del 1990 e soprattutto nel corso degli anni novanta, per una serie di fattori: avvengono i primi ricongiungimenti familiari; il trattato italo-cinese del 1985 fa sı̀ che cresca il numero delle aziende a conduzione cinese nel paese; i gusti alimentari degli italiani cominciano ad avvicinarsi alla cucina orientale, e questo dà una forte spinta ai settori dell’importazione e della ristorazione. Già nel 1993 la collettività cinese si attesta al sesto posto della gra27 Cfr. F.Carchedi, La presenza cinese in Italia. Direzionalità dei flussi, dimensioni del fenomeno e caratteristiche strutturali e G.Campani, La diaspora cinese nel nuovo contesto delle migrazioni internazionali: in L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia, cit., p. 20 e 48-49. CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO. 19 duatoria complessiva delle presenze straniere, con il 2,3% del totale. In Italia gli immigrati dello Zhejiang rimangono per lungo tempo l’unica comunità cinese presente, in contrasto con altri paesi europei come la Francia, la Gran Bretagna, l’Olanda, dove i cinesi provengono da diverse zone della Cina e dell’Asia Orientale. Solo nei primi anni ’90 cominciano ad arrivare nel nostro paese significativi gruppi di migranti dal Fujian e poi, alla fine del decennio, anche dalle regioni del Nord-Est della Cina (per esempio la Manciuria)28 . 1.4.1 Entità del fenomeno Il numero degli immigrati di origine cinese in Italia - come per gli immigrati da altri paesi - è cresciuto esponenzialmente dagli anni ’80 ad oggi; la figura 1.4 mostra la progressione di due decenni, per darne un’idea. Ma ‘data collected at the local level seems to cast some doubt on the reliability of the national data29 ’. Chiaramente, un certo numero di cinesi vive in situazione irregolare in Italia. Stime del 2000 dicono che potrebbero rappresentare dal dieci al quindici per cento del numero totale delle presenze cinesi. Numeri non indifferenti, insomma30 . La nazionalità cinese è infatti al quarto posto, alla fine del 2005, tra le più consistenti immigrate in Italia, dopo l’Albania, il Marocco e la Romania. E in meno di quattro anni ha più che raddoppiato la sua consistenza: da 47.000 a 112.000 unità dal 2001 al 2005 (incrementi maggiori sono solo quelli delle nazionalità ucraina, rumena e albanese)31 . Inoltre il rapporto tra sessi è sempre più equilibrato, e il numero dei minori sta crescendo32 : tutto questo indica che la presenza cinese in Italia sta diventando sempre più stabile e radicata. 28 A.Ceccagno, New Chinese migrants in Italy, in International Migration, vol.41, 2003, p.197. 29 A.Ceccagno, op.cit., p. 195. 30 A.Ceccagno, op.cit., p.197. 31 Istat, Statistiche in breve, La popolazione straniera residente in Italia al 1◦ Gennaio 2005. 32 A.Ceccagno, New Chinese migrants in Italy, in ‘International Migration’, cit., p.197. CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO. 20 Figura 1.4: Fonte: A.Ceccagno, New Chinese migrants in Italy, in International Migration, vol.41, 2003, p. 196. 1.4.2 Distribuzione territoriale Nel 2005, secondo l’Istat33 ,in Italia c’erano circa 128.000 residenti provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese, distribuiti per la maggior parte al Nord-Ovest (41.459 presenze), seguito dal Centro (34.920) e dal Nord-Est (34.002), mentre il Sud rimane molto distanziato (12.506). Nella graduatoria regionale al primo posto troviamo la Lombardia (30.335 presenze), seguita dalla Toscana a una certa distanza (22.992), dal Veneto (16.418) e dall’Emilia-Romagna (14.942); in coda il Piemonte (8.840) e il Lazio (6.390). Le aree di insediamento maggiormente interessate sono i grandi centri urbani, in correlazione alle attività occupazionali classiche legate alla ristorazione. Le città con una maggiore concentrazione cinese sono Milano (17.442), con molto stacco rispetto alle altre, seguita da Firenze (11.021) e Prato (9.423), poi di nuovo staccate Roma (5.772), Treviso (5.074) e Torino (4.869). 33 Istat, Cittadini stranieri, popolazione residente per sesso e cittadinanza al 31 Dicembre 2005. CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO. 21 Tali concentrazioni sono l’effetto delle catene migratorie (comuni anche nelle altre collettività immigrate), ma soprattutto della peculiare forte propensione dei cinesi all’auto-occupazione. Le aziende a base etnica, gestite da connazionali che danno lavoro a connazionali, rispondono a esigenze di solidarietà e ascesa occupazionale, ma fungono anche da polo di rafforzamento identitario. Ne parlerò diffusamente più avanti. La presenza di città minori come Prato e Treviso, non capoluoghi di regione, indica ‘the redrawing of the geography of the Chinese presence in Italy [...]’ (also) ‘determined by increasing work opportunities outside the historical centres of settlement such as Milan, Rome, Florence. [...] New productive sectors in a growing number of areas are also acctracting Chinese business, for example, the shoe-making industry along the Brenta Riviera (close to Venice) or the production of curtains and sofas in Varese or Brianza (Lombardy)34 ’. Tuttavia la Toscana detiene ancora il primato nazionale delle presenze in rapporto al totale delle collettività extracomunitarie dell’intera regione, con il 10,7% a fronte del 5,1% del Veneto e del 4,5% della Lombardia. E a Prato ben il 40% della popolazione immigrata residente è cinese35 . 1.4.3 Il lavoro I dati sui permessi di soggiorno rilasciati per motivi di lavoro al 1◦ Gennaio 2004, elaborati dall’Istat36 , ci sono molto utili. La maggior parte di quelli cinesi (ben il 75%) sono permessi per lavoro subordinato, mentre una percentuale comunque molto alta (20%), uno su cinque, è rilasciata per lavoro autonomo. Nel nostro paese l’accesso al lavoro autonomo è stato negato per molto tempo, dal 1990 al 1998, agli immigrati provenienti da paesi con cui l’Italia non aveva siglato degli accordi di reciprocità, e questo ha frenato lo sviluppo di 34 35 A. Ceccagno, New Chinese migrants in Italy, in International Migration, cit., p.199. Istat, Statistiche in breve, La popolazione straniera residente in Italia al 1◦ Gennaio 2005. 36 Istat, Permessi di soggiorno per motivi di lavoro, area geografica e principali paesi di cittadinanza, per sesso, al 1◦ Gennaio 2004. CAPITOLO 1. LA MIGRAZIONE CINESE ALL’ESTERO. 22 alcuni gruppi immigrati a forte vocazione imprenditoriale, come i cinesi37 . Ma oggi la situazione si è sbloccata del tutto, e nel 2005 i cinesi sono al secondo posto (con l’11%) nella graduatoria nazionale degli imprenditori nati all’estero, preceduti solo dai marocchini (con il 17,5%). Prato è la provincia con la più solida vocazione multietnica, con il 18,8% delle ditte di immigrati (quasi una su cinque), per la stragrande maggioranza provenienti proprio dalla Cina38 . Per quel che riguarda i settori di inserimento lavorativo, i principali sono ovviamente quelli del lavoro autonomo, che consentono un reclutamento etnico dei dipendenti. ‘Il settore tradizionale della ristorazione sul finire degli anni ottanta ha raggiunto un limite alla propria capacità espansiva, liberando cosı̀ risorse da reinvestire in altri settori39 ’. In Toscana, in particolare nell’area fiorentina e pratese, si è affermato un sistema di imprese nel settore pelli e cuoio e, più recentemente, nell’abbigliamento, che per le particolari caratteristiche di inserimento rappresenta un caso unico nel panorama non solo nazionale40 . Infine l’import-export era, ed è ancor oggi, senza dubbio uno dei settori più ambiti dai cinesi, ma anche uno che richiede ‘exchange networks with the homeland and a great capacity for interaction with the local environment41 ’. Per questo motivo, all’inizio il settore fu occupato per lo più dai cinesi di Milano e Roma che erano arrivati prima della grande ondata migratoria degli anni ’80; solo recentemente è anche diventato un campo di investimento per alcuni degli uomini d’affari arrivati dopo42 . 37 A.Ceccagno, New Chinese migrants in Italy, in International Migration, cit., p.201. Probabilmente il fatto è da mettere in relazione anche con il congelamento di poco precedente, nel 1989, del trattato italo-cinese in seguito ai fatti di T’ien-an-men. 38 Dal 39◦ Rapporto annuale Censis sulla situazione sociale del paese,2005. 39 F.Carchedi, La presenza cinese in Italia. Direzionalità dei flussi, dimensioni del fenomeno e caratteristiche strutturali, in L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia cit., p.64. 40 Su questo tema vedi A.Tassinari, L’immigrazione cinese in Toscana, in L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia, cit., pp. 105-124. 41 A.Ceccagno, New Chinese migrants in Italy, in International Migration, cit., p.199. 42 A.Ceccagno, op.cit., p.199. Capitolo 2 La questione delle seconde generazioni 2.1 Uno sguardo d’insieme ‘L’integrazione delle seconde generazioni rappresenta non solo un nodo cruciale dei fenomeni migratori, ma anche una sfida per la coesione sociale e un fattore di trasformazione delle società riceventi. [...] L’immigrato diventa il simbolo più eloquente delle difficoltà che le società avanzate incontrano nel costruire nuove forme di legame sociale e di appartenenza a un destino comune...1 ’ I paesi occidentali stanno vivendo un momento di transizione, sotto più aspetti: economico, religioso, valoriale... Socialmente sta di fatto tramontando l’epoca in cui l’idea di stato-nazione si fondava sul principio cinquecentesco ‘Cuius regio, eius religius’: su un’uniformità etnica, linguistica e religiosa della popolazione data per scontata e senza eccezioni. La base su cui si potrà costruire il futuro dell’esistenza delle comunità nazionali, perlomeno europee, è tutta ancora da inventare e costruire (se possibile, consapevolmente e responsabilmente)2 . Le seconde generazioni sono un fenomeno multisfaccettato in base a molti 1 M.Ambrosini, Il futuro in mezzo a noi, in M.Ambrosini e S.Molina (a cura di), Seconde generazioni, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 2004. Pag. 1, 5. 2 M.Ambrosini, op.cit., p.5. 23 CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI 24 fattori (età, provenienza, contesto e momento di arrivo, situazione socioeconomica dei genitori, ecc.), e di conseguenza difficile da cogliere nella sua unità. E’ bene per questo accennare ad alcuni processi3 che accomunano i percorsi di vita di molti di questi ragazzi, non perdendo di vista tuttavia l’unicità di ogni singolo caso, che evita si possa parlare di esiti scontati: - In primo luogo, un diverso sistema di aspettative distingue in genere i figli degli immigrati dai loro genitori. La frequentazione della scuola e di ambienti sociali più o meno diversi da quelli del paese d’origine fa sı̀ che fin da piccoli acquisiscano molti interessi, stili di vita e desideri in comune con gli autoctoni. Oltre a divergenze con i genitori, questo può causare frustrazioni e problemi se mancano sufficienti opportunità di mobilità sociale e occupazionale. - La ricerca di identità è poi un passo obbligato per i giovani di seconda generazione, che devono trovare un loro personale equilibrio nella terra di mezzo del sentirsi contemporaneamente ‘uguali e diversi’. Il periodo cruciale della vita in cui questo avviene è ovviamente quello di passaggio tra l’adolescenza e l’età adulta, tra vicinanza e allontanamento dalla famiglia, tra mimesi familiare ed emancipazione individuale. Da questo difficile cammino di confronto e mescolanza, scoperta e paura, possono nascere crisi a diversi livelli, dall’individuale al sociale passando per l’ambito familiare. Naturalmente questi passaggi obbligati possono benissimo essere gestiti dal soggetto come parte di una traiettoria di maturazione equilibrata, ma non sempre questo avviene. I giovani di origine immigrata si trovano infatti spesso di fronte a delle ‘dissonanze’ tra quadri cognitivi, aspettative e risorse accessibili, che possono portarli a subire frustrazioni e delusioni pericolose per una buona integrazione nella società ricevente4 : - Una dissonanza occupazionale, innanzitutto, ovvero uno squilibrio tra aspettative lavorative e possibilità di soddisfarle: gli alti livelli di 3 M.Demarie e S.Molina, Le seconde generazioni. Spunti per il dibattito italiano, in Seconde generazioni, cit., pp. XIV-XV. 4 M.Demarie e S.Molina, op.cit, pp.XV-XVIII. CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI 25 disoccupazione che ancora si registrano per le seconde generazioni nei paesi europei di vecchia immigrazione ne sono un sintomo evidente. Le ragioni possono essere molte, non ultima la discriminazione, ma l’esito è comunque un incapsulamento in comparti o posizioni lavorative prive di ogni prospettiva. - La seconda è una dissonanza generazionale, vissuta tra le pareti di casa nel difficile compito di conciliare e mediare i rapporti tra culture, valori e costumi spesso molto distanti tra loro. - Terza e ultima, una dissonanza di tipo politico-civile, che investe la dimensione della cittadinanza: inseriti di fatto nella realtà sociale e culturale del paese, i figli degli immigrati hanno aspettative di partecipazione piena alla vita politica e ai diritti civili; un accesso alla cittadinanza troppo difficile o vissuto come una magnanima concessione dall’alto può minare l’autoidentificazione nella comunità nazionale. E’dunque realistico pensare che ‘...la fenomenologia secondo-generazionale sembra caratterizzata da nonlinearità. [...] In altre parole, inserimento economico, adesione culturale, partecipazione sociopolitica non sono di per sè necessariamente coesistenti e coerenti, non vanno sempre di pari passo. Anzi, [...] possono prodursi scompensi e sbilanciamenti. Talvolta apparentemente paradossali...5 ’ Come ad esempio proprio nel caso di popolazioni di origine cinese6 . Nel dibattito internazionale degli ultimi anni sui percorsi e le modalità di inclusione dei giovani di origine immigrata si confrontano visioni diverse7 ma che che si oppongono tutte, pur nella loro eterogeneità, alla vecchia idea di assimilazione intesa come processo inevitabile e/o auspicabile. Le visioni strutturaliste, particolarmente diffuse in ambito europeo, sottolineano la persistente discriminazione sofferta dalle seconde generazioni; mentre le visioni neoassimilazioniste, più tipiche dei contesti extraeuropei sviluppati, 5 M.Demarie e S.Molina, op.cit., pp.XVIII-IX. Cfr. paragrafo 2.3 Il caso specifico: le seconde generazioni cinesi in Italia. 7 M.Ambrosini, Sociologia delle Migrazioni, il Mulino, Bologna, 2005, pp.170-174. 6 CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI 26 rilevano come i processi di assimilazione di fatto avvengano anche senza progettarlo esplicitamente. La prospettiva più interessante e innovativa è però, a mio parere, quella dell’assimilazione segmentata, basata sul differente successo delle diversi componenti nazionali. Nata in riferimento all’ambiente americano per sottolineare le diverse alternative a un assimilazione rapida e totale, può essere esportata con successo anche in molte situazioni europee8 . Quattro fattori vengono considerati decisivi9 : 1) la storia della prima generazione; 2) la velocità di acculturazione tra genitori e figli; 3) le barriere, culturali ed economiche, che la seconda generazione incontra nella ricerca di un inserimento soddisfacente; 4) le risorse familiari e comunitarie, a cui essa si può appoggiare per superare tali barriere. Le reti etniche possono quindi essere pensate come una forma di capitale sociale, che può influenzare l’integrazione dei giovani nella società ricevente con azioni tanto di sostegno quanto di controllo. Il concetto corollario a quello di assimilazione segmentata è quello di acculturazione selettiva. Molti genitori immigrati di oggi non vogliono più che i figli adottino indiscriminatamente e acriticamente gli stili di vita dei coetanei autoctoni. Molte minoranze incoraggiano dunque, in diverse forme, questo tipo di acculturazione, che consiste ‘...nell’apprendere la lingua del paese di residenza in maniera corretta e fluente, nonchè altri elementi positivi della cultura del luogo, pur mantenendo dimestichezza con la lingua dei genitori e continuando a rispettare norme, valori e legami derivanti dai contesti familiari di provenienza. Questa forma di acculturazione non conduce, secondo Portes, alla frammentazione culturale temuta dai critici, bensı̀ a un’integrazione più efficace [...], idonea a proteggere la seconda generazione dalla discriminazione esterna e dalla minaccia della downward assimilation...10 ’ Aiuta inoltre i giovani a costruirsi più facilmente un’identità nuova, personale, ma equilibrata: tra il passato tradizionale, il presente in un nuovo 8 D. Thranhardt, Le culture degli immigrati e la formazione della seconda generazione, in Seconde generazioni, cit., pp.160-164. 9 M.Ambrosini, Il futuro in mezzo a noi, in Seconde generazioni, cit., p.30. 10 M.Ambrosini, Sociologia delle Migrazioni, il Mulino, Bologna, 2005, p.176. CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI 27 contesto e un futuro che rimane aperto a possibili ridefinizioni identitarie in base all’esperienza. Il bilinguismo delle seconde generazioni11 è un buon indicatore di questo percorso, ed è molto utile per due ragioni: - fa sı̀ che si mantenga viva la comunicazione tra le generazioni; - offre ai giovani sia un modo di conoscere meglio il paese d’origine e la loro storia, sia una preziosa lingua straniera grazie a cui possono veder aprirsi nuove prospettive occupazionali e di vita. Nel chiudere questa panoramica veloce sul tema notiamo che in tutto ciò che riguarda le seconde generazioni rivestono sempre una grande importanza la famiglia e la scuola, ovvero le principali agenzie di socializzazione nonchè istituzioni mediatrici nel processo di integrazione dei giovani. La costruzione delle mie interviste discorsive ne riconosce pienamente la centralità12 . 2.2 Problemi di metodo Il tema delle seconde generazioni è, come abbiamo visto, un tema difficile e multisfaccetato, ambiguo in molti casi. Già a partire dalla sua stessa definizione. Vi sono a questo proposito tre importanti questioni di metodo, che sarebbe bene avere sempre presenti nel trattare l’argomento13 : • PLURALITA’. E’opportuno usare il concetto di ‘seconde generazioni’, al plurale, per dare meglio conto di una situazione complessa, dove sono normalmente presenti contemporaneamente fasi diverse di flussi migratori diversi. L’ampio insieme delle 2G va infatti frammentato in sottoinsiemi, secondo almeno tre caratteristiche: epoca storica della 11 Cfr. su questo tema A.Portes, P.Fernandez-Kelly e W.Haller, L’assimilazione segmen- tata alla prova dei fatti, in Seconde generazioni, cit., pp.70,71; M.Ambrosini, Sociologia delle migrazioni, cit., p.176. 12 Cfr. Capitolo 4. 13 M.Demarie e S.Molina, Le seconde generazioni. Spunti per il dibattito italiano, in Seconde generazioni, cit., p.XI-XIV. CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI 28 prima migrazione, origine etnico-nazionale dei flussi migratori, ambito nazionale o addirittura regionale di destinazione. Se non si segue questa avvertenza si rischia di muoversi in un ambito troppo ampio e maldefinito di indagine. • LESSICO. Nella ricerca internazionale su questo tema non esiste ancora un vocabolario minimo condiviso: ogni termine utilizzabile si porta dietro una serie di implicazioni storiche, ideologiche, anche emotive, spesso difficilmente rintracciabili; esse variano inoltre facilmente a seconda del contesto linguistico di riferimento. Ad esempio gli inglesi parlano senza difficoltà di ‘relazioni di razza’ (race relations), un’espressione che tradotta suona inaccettabile nella maggior parte delle altre lingue europee: in italiano si preferisce chiamarle solitamente ‘relazioni etniche’. Anche se questi problemi non si possono evitare, è bene tuttavia aver presente la questione; ad esempio nel citare altri testi sul tema. • IDENTIFICARE STATISTICAMENTE L’OGGETTO DI STUDIO. Le modalità statistico-analitiche utilizzate nelle ricerche sulle seconde generazioni oscillano sempre tra due rischi opposti. Da un lato c’è il rischio di perdere la tracciabilità statistica delle seconde generazioni adulte e naturalizzate, soprattutto a causa di sistemi statistici basati solo sulla nazionalità. Dal lato opposto c’è invece il rischio di attribuire una capacità esplicativa esaustiva al luogo di nascita dei genitori, finendo per soffocare cosı̀ l’originalità e la particolarità dei percorsi individuali. Ambrosini ricorda poi un altro importante nodo problematico, relativo al momento dell’arrivo: fino a che età è lecito parlare di ‘seconda generazione’ ? Se è ovvio includere nella categoria i bambini nati all’estero e arrivati già nei primi anni di vita in un nuovo paese, più controversa è l’appartenenza a essa per i ragazzi immigrati nell’adolescenza, tra i 15 e i 18 anni ad esempio, specialmente quando non sono accompagnati dai genitori ma raggiungono altri parenti meno stretti. Questi ultimi sono infatti al margine CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI 29 anche con la categoria dei ‘primo-migranti’. Rumbaut14 ha tentato di risolvere questa difficoltà introducendo una visione graduata, ‘decimale’, delle seconde generazioni: - GENERAZIONE 1,25: emigra tra i 13 e i 17 anni. - GENERAZIONE 1,5: ha comiciato la socializzazione con i pari e quindi la scuola primaria nel paese d’origine, ma ha poi proseguito l’educazione scolastica in quello d’arrivo. - GENERAZIONE 1,75 o NATIVA: si è trasferita all’estero in età prescolare. C’è in altri termini, nelle situazioni reali, ‘una sorta di continuum, scandito da situazioni socioculturali e problematiche educative diverse, tra il soggetto nato nel paese ricevente da genitori stranieri, e quello che arriva intorno alla maggiore età, dopo aver ricevuto una prolungata socializzazione nel paese d’origine15 . Sono questi i principali problemi di metodo che insistono sul tema delle seconde generazioni, e cercherò di tenerli presenti nel mio esercizio di ricerca. 2.3 Il caso italiano. ‘Quale sarà il futuro delle seconde generazioni in Italia? Il cantiere, per cosı̀ dire, è stato appena aperto e non è facile anticiparne gli esiti. I paesi europei di più antica immigrazione offrono diversi approcci, non necessariamente modelli da imitare. Tutti sembrano ancora alla ricerca di una strada. [...] In ogni caso, sembra essere il paradigma nazionale nella sua complessità irriproducibile - a spiegare larga parte degli esiti dell’integrazione; è vero però che molto dipende dalle risorse individuali e familiari, dall’appartenenza a un gruppo etnico, dal genere. Esisterà un paradigma nazionale italiano virtuoso? L’Italia si presenta oggi ai nostri stessi occhi ambigua...16 ’ 14 Si veda M.Ambrosini, Sociologia delle migrazioni, cit., pp.165-166. M.Ambrosini,op.cit., p.165 16 M.Demarie e S.Molina, Introduzione a Seconde generazioni, cit., p.XXII-XXIII. 15 CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI 30 In breve tempo, poco più di due decenni, l’Italia si è trasformata da paese di emigrazione a paese di immigrazione. Proprio per questo, forse, la politica e la società stessa non sono state in grado di accorgersi del cambio di rotta per lungo tempo. Nella memoria di molti italiani c’è ancora l’immagine di un paese povero e sovrappopolato, che ha poco da offrire già alla gente del luogo... figuriamoci a chi viene da fuori!17 Dal canto suo la politica, che dovrebbe governare i cambiamenti in atto, fatica invece ancora a guardare in faccia il tema ‘immigrazione’. Piuttosto di affidarsi ad analisi serie di esperti del settore si preferisce spesso indulgere in provvedimenti e discorsi demagogici, che a poco servono se non a condizionare i sentimenti della gente (in senso buonista o nazionalista ma comunque controproducente), e a rimandare una adeguata soluzione dei problemi. I media contribuiscono con la consueta spettacolarizzazione degli eventi: prova ne sia il rilievo dato a notizie rituali, come lo sbarco di clandestini sulle coste italiane (importante ma decisamente marginale nel panorama del fenomeno dato che la maggior parte dei clandestini entra in Italia molto più banalmente con visto turistico18 ). L’insediamento degli immigrati nel nostro paese è poco programmato e mal governato all’ingresso, ma legalizzato periodicamente da ripetute sanatorie a posteriori che vangono fatte passare come misure di emergenza. Questo crea una situazione in cui è di fatto accettato e non ostacolato il primo inserimento dei migranti nell’economia sommersa, nel lavoro nero, soddisfando la sete di manodopera a basso costo di molte attività produttive senza tuttavia riconoscerla apertamente. Oggi in Italia gli immigrati svolgono infatti soprattutto i cosidetti ‘lavori delle cinque P19 ’: pesanti, precari, pericolosi, poco pagati, penalizzati socialmente; lavori che la manodopera autoctona non vuole più svolgere. Questo sistema di inclusione basato di fatto sull’integrazione subalterna giova all’accettazione dell’immigrazione nel breve periodo ma non prepara un futuro sereno. Se infatti non si creeranno, in futuro, occasioni lavorative di 17 18 M.Ambrosini, Il futuro in mezzzo a noi, in Seconde generazioni, cit., p.11 Appunti del Corso di Sociologia delle Migrazioni di R.Sciarrone, Università di Torino, a.a. 2005/06. 19 M.Ambrosini, Il futuro in mezzo a noi, in Seconde generazioni, cit., p.14 CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI 31 più alto contenuto professionale e prestigio sociale ed economico aperte anche alle seconde generazioni, si potrebbero generare situazioni esplosive20 . Ovviamente questo non potrà comunque avvenire senza discriminazioni e paure che oggi l’inserimento lavorativo dei migranti di prima generazione, subalterno e non concorrenziale, non suscita ancora. Condivido ad ogni modo l’idea che l’integrazione debba essere prima di tutto perseguita sul piano economico, e non culturale. L’altra questione chiave nel panorama italiano è quella della cittadinanza: il nostro codice è uno degli ultimi in Europa (insieme a Grecia e Lussemburgo) a basarsi sulla preminenza dello ‘ius sanguinis’ per l’attribuzione della nazionalità21 . Negli ultimi tempi una riforma si è invocata da più parti, ma i passi compiuti negli ultimi anni sul tema non sono confortanti: ai discendenti degli italiani all’estero è stato attribuito il diritto di voto (2001) dopo che già si era facilitato per loro il recupero della cittadinanza degli avi; mentre sul fronte del diritto di voto agli immigrati un interessante dibattito (2006) politico, il cui epicentro era proprio Torino, non ha portato ad alcuna apertura, nemmeno a livello locale. ‘Sembra insomma che per vari aspetti le istituzioni italiane preferiscano guardare indietro, al lascito del nostro passato di paese di emigranti, anziché progettare il futuro, destinato inevitabilmente ad aprirsi verso scenari multietnici22 .’ La situazione appare dunque difficile sul piano nazionale, ma non bisogna dimenticare le profonde differenze territoriali e regionali, che insieme alla presenza di appartenenze subculturali altamente differenziate a livello locale suggeriscono ad Andall23 la pertinenza della teoria dell’assimilazione segmentata per l’Italia. E quindi la presenza di semi anche positivi per il futuro. 20 M.Ambrosini, op.cit., pp.20-21 M.Ambrosini, op.cit., p.12 22 M.Ambrosini, op.cit., p.12. 23 J.Andall, Italiani o stranieri? La seconda generazione in Italia, in G.Sciortino e 21 A.Colombo (a cura di) Stranieri in Italia. Un’immigrazione normale, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 2003 CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI 2.4 32 ‘Focus on’... Le seconde generazioni cinesi in Italia. Nel nostro paese, come abbiamo visto, il tema delle seconde generazioni ha cominciato ad essere esplorato solo di recente. Per esso si può dire oggi la stessa cosa che alcuni anni fa si diceva dell’immigrazione in generale: ‘In Italia gli studi e le ricerche sul fenomeno immigratorio si sono principalmente orientati nell’esplorazione e nell’inquadramento delle caratteristiche generali dello stesso, occupandosi in maniera marginale delle singole e specifiche collettività. [...] Questo tipo di approccio, che potremmo definire ’generalista’ [...] riflette, in qualche modo, le diverse tappe evolutive della presenza straniera in Italia e le necessità conoscitive che da essa scaturivano. [...] Necessità che acquistano rilevanza soprattutto per l’attivazione di politiche e di interventi finalizzati al governo e alla regolamentazione del fenomeno...24 ’ Per questo le ricerche sulle seconde generazioni di una nazionalità specifica sono ancora molto rare. La mia breve indagine tramite interviste discorsive25 si focalizzerà sulle seconde generazioni cinesi di un ambito anch’esso specifico: Torino e provincia. Fare una breve ricognizione in ambito nazionale mi è utile per poter in seguito tentare una riflessione, per quanto poco esaustiva (data la consistenza numerica veramente esigua delle interviste), tra somiglianze e differenze. All’interno delle diverse nazionalità rappresentate dalle seconde generazioni 24 F.Carchedi, La presenza cinese in Italia., in L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia, cit., p.41. 25 Cfr. Capitolo 4. CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI 33 in Italia, il caso dei giovani cinesi di origine immigrata è uno dei più interessanti per diverse peculiarità del gruppo nazionale 26 : - la migrazione avviene per nuclei familiari, spesso ampi, con una rilevante presenza di minori: rispetto alla situazione generale italiana, caratterizzata da una notevole polverizzazione delle presenze minorili, si ha in questo caso un impatto forte sulle scuola e in genere sulle strutture educative e di servizio per l’infanzia e l’adolescenza; - le famiglie attribuiscono alla scuola una grande importanza; anche in assenza di dati precisi sull’evasione, la frequenza è molto alta. - il ruolo del minore di seconda generazione è rilevante all’interno della famiglia, perchè rappresenta un canale di comunicazione importante con l’ambiente sociale esterno conoscendo bene, grazie alla frequentazione della scuola, la lingua del paese di arrivo. Questo accade anche per altre nazionalità immigrate, ma a maggior ragione per quella cinese date le peculiari grosse difficoltà degli adulti nell’imparare la nuova lingua; - la popolazione cinese lavora spesso in una situazione di economia etnica, il che favorisce una coesione sociale ambivalente: da un lato accresce la costrittività del gruppo sull’individuo, dall’altro rafforza il senso di appartenenza alla comunità rendendo più difficili le comunicazioni con l’ambiente sociale circostante. A seconda del momento d’arrivo le seconde generazioni si adattano più o meno facilmente alle costrizioni di questo ambiente; - infine, come in ogni vicenda migratoria, si deve tener conto del progetto che guida le persone e le famiglie lontane dal loro paese: non siamo di fronte a una popolazione che fugge condizioni di vita o eventi disastrosi, ma che persegue un progetto di autoaffermazione centrato su valori economici ai quali si dedica totalmente. I giovani li recepiscono e li rielaborano in modo diverso in rapporto alle loro esperienze di vita. 26 N.Barancani, La seconda generazione nella migrazione cinese in Toscana: scuola e integrazione sociale, in L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia, cit., p. 127-128. CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI 34 Inquadrare statisticamente l’entità delle seconde generazioni cinesi in Italia non è per niente facile. Infatti non esiste, nelle statistiche nazionali, un indicatore ‘seconda generazione’; per questo motivo sono rintracciabili con sicurezza solamente i minori, che ancora conservano per la legge italiana la nazionalità dei genitori (se entrambi stranieri come nella maggioranza dei casi). Dopo la maggiore età la tracciabilità statistica si perde, per la possibilità di acquisire la cittadinanza italiana e la confusione nelle statistiche con i primo-migranti della stessa coorte d’età. Guardando perciò solo alla fascia d’età 0-18, la Cina è comunque il paese d’origine di un alto numero di minori stranieri in Italia: secondo il rapporto Caritas Unicef del 200527 è inserita nella fascia delle nazionalità ‘ad alto tasso di minori’, perché il 30,8% delle presenze cinesi nel nostro paese è costituito appunto da minori; superata solo, ma di poco, da Pakistan (31,5%), Bosnia Ertzegovina (31,7%), Jugoslavia (32,6%) e Macedonia (34%). Se è vero che la presenza dei minori rappresenta uno degli indicatori più significativi di un’immigrazione stabile, i cinesi sembrano essere fortemente votati ad un insediamento familiare in Italia. E’ anche vero che solo adesso le prime seconde generazioni italiane iniziano ad entrare nel mondo del lavoro, che sarà un campo di prova cruciale per la loro integrazione. Per questo finora le indagini più interessanti e produttive si sono svolte nell’ambito scolastico, focalizzando l’interesse sul delicato momento dell’adolescenza e sull’istituzione mediatrice più importante nella prima fase della vita dei ragzzi, oltre alla famiglia. I dati del Ministero della Pubblica Istruzione28 ci dicono che sono circa 430.000 gli allievi con cittadinanza non italiana nell’anno scolastico 2005/06, con un incidenza di quasi il 5% rispetto alla popolazione scolastica complessiva. La presenza è molto più elevata nelle aree del Centro e del Nord del paese, ed investe non solo le grandi città ma anche i piccoli centri (in accordo 27 Uscire dall’invisibilità, Primo rapporto UNICEF-Caritas sulla condizione dei minori stranieri in Italia, 2005. 28 Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale per i sistemi informativi, Alunni con cittadinanza non italiana. Scuole statali e non statali., Anticipazione dei principali dati, anno scolastico 2005-2006. CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI 35 con la concentrazione degli immigrati nella penisola). Al quarto posto tra le cinque cittadinaze più rappresentate troviamo appunto la Cina, con il 6,2% sul totale degli alunni stranieri. Sappiamo inoltre che per gli studenti stranieri il percorso scolastico si presenta più difficile che per gli studenti italiani. Questo è dovuto al fatto che spesso i bambini arrivano in età superiore ai sei anni, e a causa delle difficoltà linguistiche non possono essere inseriti nello stesso anno di corso dei loro coetanei; in più, procedono comunque con più difficoltà all’interno di tutto il percorso scolastico. Tuttavia una recente ricerca29 ha riscontrato che a parità di condizione sociale bassa, la percentuale di studenti con valutazioni scolastiche scadenti è più alta fra gli italiani (30%) che fra gli stranieri (23%). Questo sembra confermare i risultati di numerose ricerche internazionali. La principale spiegazione di questi risultati positivi per gli stranieri va ricercata nelle aspirazioni educative più forti espresse dalle famiglie immigrate rispetto a quelle autoctone dotate del medesimo livello di risorse materiali e culturali. La stessa ricerca ha evidenziato alcune particolarità interessanti degli alunni cinesi (spesso però la categoria è confusa e sovrapposta con quella degli asiatici): - i cinesi risultano fortemente sovrarappresentati (come anche gli studenti immigrati dall’Est europeo) fra quanti vivono con entrambi i genitori; - tra le motivazioni segnalate della frequenza della scuola, vi è la necessità di imparare l’italiano, soprattutto per gli asiatici; - a livello descrittivo, a parità di estrazione sociale, medio-alta, e considerando unicamente gli immigrati che hanno frequentato la scuola media in Italia, gli asiatici risultano sovrarappresentati fra quanti hanno ottenuto delle ‘buone’ valutazioni (non ‘ottime’), seguiti dagli studenti latinoamericani; 29 L.Fischer e M.G.Fischer, Scuola e società multietnica. Modelli teorici di integrazione e studenti immigrati a Torino e Genova, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 2002, pp. 92-93. CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI 36 - rispetto al livello di integrazione con i coetanei, l’unica provenienza geografica decisamente negativa è quella asiatica (mentre fortemente positiva è quella dell’Europa dell’Est); - all’opposto, la provenienza asiatica facilita il buon rapporto con gli insegnanti (e, sempre all’opposto, provenire dall’Europa dell’Est - o dall’America Latina - ha un’influenza decisamente negativa); - è piuttosto basso il numero di ragazzi stranieri che preferirebbe frequentare istituti riservati a ragazzi della medesima etnia (23%) o della stessa religione (29%). Ma tra questi sono soprattutto i marocchini e gli asiatici a desiderare di non doversi mischiare con coetanei di altra origine e religione. Sconcerta in particolare l’elevato numero di originari dell’Asia che preferirebbero frequentare scuole riservate ai correligionari: probabilmente la loro scelta è dovuta a un forte desiderio di frequentare scuole esclusivamente cinesi, dove poter mantenere le proprie tradizioni culturali e dove non sia richiesta un’integrazione, poco gradita, con coetanei di origine diversa. Coloro che esprimono questa preferenza sono comunque soprattutto maschi, di bassa estrazione socioculturale, con valutazioni scolastiche di non buon livello e che non intendono continuare gli studi; - per quanto riguarda l’atteggiamento dei genitori nei confronti dell’istituzione scolastica, particolare è la situazione dei genitori asiatici, che nel 51% dei casi non sono mai andati a parlare con i professori delle figlie (ma, d’altra parte, un terzo di loro non si è mai neppure preoccupato di contattare i docenti dei figli maschi). Questa situazione è facilmente spiegabile con il diverso investimento parentale nella carriera scolastica dei propri figli: infatti i cinesi, in larga prevalenza, particolarmente a Torino, progettano di inserirli in attività commerciali per le quali l’assolvimento dell’obbligo è considerato sufficiente. In conclusione dell’analisi, nella ricerca citata viene creata una tipologia, dividendo gli studenti immigrati in tre tipi: - abbastanza integrati di estrazione medio-bassa (comprende il 47% degli immigrati); CAPITOLO 2. SECONDE GENERAZIONI 37 - fortemente integrati di estrazione alta (comprende il 29% degli immigrati); - poco integrati di estrazione bassa (comprende il 24% degli immigrati). Il terzo tipo è formato prevalentemente da studenti, soprattutto ragazze, che provengono dall’Africa mediterranea e dall’Asia. Un dato che è bene ricordare per il mio sucessivo esercizio di ricerca: in questo gruppo prevalgono gli studenti immigrati a Torino. Pur evitando accuratamente di generalizzare i risultati di un’indagine cosı̀ circoscritta (solo bambini frequentanti la terza media, questionario e nessuna intervista in profondità, nove città in tutta Italia ecc.), tuttavia alcune osservazioni si ripetono nel discorso internazionale accademico ma anche di senso comune, e le approfondiremo nel capitolo 4, rielaborandole alle luce delle interviste discorsive condotte. Capitolo 3 Cinesi a Torino. 3.1 Ritratto in breve. La maggior parte degli immigrati cinesi che vivono a Torino, cosı̀ come in tutta Italia, proviene dalla Cina sud-orientale, in particolare dalla provincia di Zhejiang. Situata nel sud-est della Cina e bagnata dal Mar cinese orientale, la provincia dello Zhejiang si estende su 100 mila kmq (quasi un terzo dell’Italia e quattro volte il Piemonte) ed è tra le aree più popolate del paese. Il 70% del suo territorio è costituito da un’area montagnosa, dove le coltivazioni sono state storicamente impiantate con grandi sforzi e assumono forme intensive per utilizzare al meglio gli appezzamenti ‘a terrazzo’. Il resto è occupato dagli altopiani e dalla pianura, formata dal fiume e dal suo estuario1 . 1 F. Carchedi, La presenza cinese in Italia. Direzionalità dei flussi, dimensioni del 38 CAPITOLO 3. CINESI A TORINO. 39 Il clima è molto mite e consente di coltivare il riso come maggior prodotto cerealicolo, il tè, il cotone, le arance e la canna da zucchero. Le risorse ittiche sono anche abbondanti. Inoltre la provincia è una delle principali produttrici di seta della Cina: l’allevamento dei bachi da seta qui ha una storia millenaria, e questo tessuto è sempre stato un’importante merce di esportazione. Il turismo è vivace, attratto da stupendi paesaggi e siti storici. Infine e soprattutto, la zona è anche uno dei centri chiave per l’industria leggera del paese, con oltre tremila imprese operanti2 . Lo Zhejiang è, in conseguenza di tutto ciò, una delle regioni più ricche della Cina, e allora perché l’emigrazione? Ci dice Carchedi che le zone di maggior esodo in direzione dell’Italia non sono quelle montagnose (più povere e depresse), ma quelle dell’altipiano e della pianura facenti parte della municipalità di Wenzhou (e di altre realtà urbane minori), cioè quelle zone che appaiono, nel loro insieme, maggiormente dinamiche dal punto di vista economico-produttivo. In effetti la maggior parte delle famiglie cinesi a Torino, emigrate da questa regione, provengono anche dalle vicinanze di questa città. Per la sua collocazione, Wenzhou è considerata, dal punto di vista economicocommerciale, un’area strategica in quanto fa parte - insieme ad altre tredici città cinesi che si affacciano sul mare - delle cosiddette ‘città costiere aperte3 . Nello Zhejiang un contado e una classe media prospera possiedono quindi le risorse finanziarie e le capacità d’impresa necessarie allo sviluppo delle attività artigianali e industriali, e questo grazie a due fattori concomitanti: l’afflusso delle rimesse degli immigrati in quanto risorse da reinvestire nelle attività produttive e commerciali e le politiche di liberalizzazione commerciale, apertura dei mercati e modernizzazione della produzione4 . La lingua usata per la comunicazione tra cinesi a Torino e provincia è quindi il dialetto locale; solo pochi, i più acculturati, conoscono anche la fenomeno e caratteristiche strutturali, in L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia., cit., p. 46. 2 Da ‘CriOnline:enciclopedia cinese’: http://italian.cri.cn/ 3 Su questo tema vedi il capitolo 1, par. 1.1 4 F.Carchedi, La presenza cinese in Italia. Direzionalità dei flussi, dimensioni del fenomeno e caratteristiche strutturali, in L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia, cit., pp. 46-48. CAPITOLO 3. CINESI A TORINO. 40 lingua ufficiale, il Mandarino, utile per comunicare con i connazionali provenienti da altre provincie. Buona parte degli adulti primo-migranti non conosce bene l’italiano, ma non per un rifiuto pregiudiziale a impararlo, dettato da una presunta chiusura culturale (come tanti pensano), bensı̀ per un’oggettiva difficoltà di apprendimento. Il cinese è infatti una lingua molto lontana da quelle occidentali: non è una lingua alfabetica, ha suoni molto diversi dai nostri e una struttura grammaticale e sintattica particolare5 . Per questo la barriera linguistica è forte e consistente, e se può essere superata dai bambini o dalla seconda generazione di immigrati resta un ostacolo quasi insormontabile per molti adulti, anche se in Italia da molti anni. Un secondo fattore, che rende possibile ai cinesi sopravvivere a lungo in un paese straniero senza conoscerne quasi per niente la lingua, è l’usanza dell’auto-occupazione o economia etnica. 5 Cfr.su questo tema R.Pisu, Cina. Il drago rampante., Sperling&Kupfer, Milano, 2006, pp.3-12. CAPITOLO 3. CINESI A TORINO. 3.2 41 I dati dell’Osservatorio Interistituzionale sugli Stranieri in Provincia di Torino. Per dare un’idea della consistenza numerica della comunità cinese a Torino e per fornire una base di dati affidabili alla riflessione, ho utilizzato i Rapporti annuali dell’Osservatorio Interistituzionale sugli Stranieri in Provincia di Torino. Sono riuscita a reperire i Rapporti dal 1999 al 2005, sufficienti a creare un profilo abbastanza dettagliato della situazione attuale, senza perdersi troppo indietro nel tempo6 . Le tabelle sono quasi sempre mie elaborazioni, focalizzate sulla nazionalità cinese ed escludenti le altre, se non nei casi dove è utile un confronto diretto. In alcuni casi ho riscontrato una certa difficoltà a comparare i dati da un anno all’altro, essendo cambiati nel frattempo i criteri di raccolta o i metodi di esposizione. In particolare nell’ambito scolastico la confusione regna sovrana, tra categorie che cambiano (oggi Asia, poi Cina, poi Asia Orientale...), tra dati precisi o campionati in ambiti diversi (solo Torino, Torino e Provincia insieme; scuola pubblica o pubblica e paritaria insieme...), ecc. Ho tentato di fare del mio meglio. In altri casi, invece, come per esempio per il Registro Imprese o l’Albo Artigiani, i dati sono molto dettagliati e analizzati sempre nella stessa maniera, facilitando cosı̀ il mio compito. Gli ambiti a cui ho voluto fornire una base statistica sono quelli più interessanti ed indagati: la dislocazione in città e la composizione del gruppo nazionale, l’imprenditoria e la scuola. 3.2.1 Residenti. Come ben si vede dalla Tabella 3.1, il rapporto di genere si va sempre più equilibrando, verso il raggiungimento del pareggio quantitativo tra uomini e donne. Il progressivo assottigliarsi della forbice tra i generi è d’altronde un fenomeno che investe in generale tutta la popolazione immigrata italiana: nei primi anni Novanta il numero degli uomini era quasi il doppio di quello delle donne! Nel 2004 le nazionalità a preponderante presenza maschile in 6 I dati percentuali nelle tabelle sucessive si riferiscono tutti a questa fonte. CAPITOLO 3. CINESI A TORINO. 42 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 848 917 1.011 1.117 1.269 1.457 1.675 maschi 53,4% 53% 53,2% 53% 51,9% 51,6% 52,1% 740 889 1.178 812 991 1.369 1.541 femmine Totale 46,6% 47% 46,8% 47% 48,1% 48,5% 48% 1.568 1.900 2.447 1.729 2.108 2.826 3.216 Tabella 3.1: Residenti cinesi a Torino. Rapporto di genere e confronto annuo. città erano quelle Nordafricane (Senegal, Tunisia, Egitto, Marocco), con percentuali dal 60 al 90% di uomini. A presenza marcatamente femminile, invece, soprattutto le provenienze da Perù e Nigeria, ma anche da Moldavia e Brasile (dal 70 al 60% donne). I motivi sono ovviamente legati in primo luogo alla richiesta di certe tipologie di lavoro nel mercato italiano; e in secondo luogo al formarsi di nicchie occupazionali (il cosiddetto ‘incapsulamento’). In questo senso, l’emigrazione cinese è tradizionalmente a base familiare anche per lo stretto rapporto tra gruppo parentale e impresa (lavoro autonomo). 1998/99 1999/00 2000/01 2001/02 2002/03 2003/04 1998/2004 +8,9% +102,5% +9,89% +10,9% +16,1% +15,5% +13,8% Tabella 3.2: Residenti cinesi a Torino. Incremento annuo e del periodo 1998-2004. La Tabella 3.2 mostra l’incremento annuo della popolazione cinese a Torino. Sono tutti incrementi uniformi, tra il 10 e il 14%, tutti al di sotto della media complessiva. Indicano il superamento della fase delle grandi ondate di arrivo, e per questo si ritrovano solitamente nei gruppi nazionali CAPITOLO 3. CINESI A TORINO. 43 di più antica immigrazione: oltre ai cinesi, anche marocchini, peruviani ed egiziani. circoscrizione 1999 2000 2001 2002 2003 2004 7 380 404 489 640 812 925 6 219 269 299 359 448 607 3 264 316 312 315 331 338 1 346 307 311 313 327 338 Tabella 3.3: Distribuzione dei residenti cinesi nelle circoscrizioni cittadine. Prime quattro per concentrazione ed evoluzione nel quinquennio. Nella tabella 3.3 si vedono le circoscrizioni a maggior concentrazione di cinesi in città, e l’evoluzione demografica-territoriale del gruppo negli ultimi anni. Le aree di maggior insediamento della comunità cinese in città non sono cambiate nel periodo. Con qualche variazione di ‘peso’ demografico, sono sempre la circoscrizione 7, la 6, la 3 e la 1. Tuttavia le circoscrizioni 6 e 7 sono quelle dove si sono diretti maggiormente i nuovi arrivati: la popolazione cinese è aumentata di quasi due terzi in entrambe. La circoscrizione 7 (al suo interno la zona marcatamente problematica di Porta Palazzo-Borgo Dora) rimane, anche in generale, la zona di Torino a maggior concentrazione di stranieri: 16,7% degli stranieri nel 1999; 16,1% nel 2004. CAPITOLO 3. CINESI A TORINO. 3.2.2 44 Il lavoro autonomo. 1999 2000 2001 Francia 15,8% Francia 13,4% Marocco 11,5% Germania 7,2% Marocco 8,9% Francia 11,3% Tunisia 5,9% Germania 6,6% Romania 5,8% Svizzera 5,6% Tunisia 5,1% Germania 5,6% Marocco 4,8% Svizzera 4,8% Tunisia 5,4% Argentina 4,7% Cina 4,5% Svizzera 4,6% Cina 4,5% Cina 4,5% 2002 2003 2004 Marocco 12,4% Marocco 14,2% Marocco 15,4% Francia 10,9% Francia 10% Romania 13,1% Romania 6,3% Romania 8,8% Francia 8,4% Germania 5,8% Cina 5,6% Cina 5,6% Cina 5,2% Tabella 3.4: Cittadini stranieri iscritti al Registro Imprese per stato di nascita, prime nazionalità sul totale degli iscritti stranieri. Confronto annuo dati percentuali. Dati dal Registro Imprese. I cinesi sono oggi al terzo posto tra le nazionalità dell’imprenditoria extracomunitaria, dopo marocchini e rumeni (Tab. 3.4). Le donne vanno da 1/3 a quasi 2/5 degli iscritti cinesi (Tab 3.5). Una frazione significativa del rapporto di genere, che si riscontra in poche altre nazionalità a vocazione imprenditoriale, soprattuto europee. Purtroppo i Rapporti dell’Osservatorio non consentono un analisi delle cariche sociali ricoperte (titolare, amministratore, socio...) per nazionalità e genere, ma sarebbe interessante indagare i ruoli ricoperti dalle donne cinesi nelle imprese, a prevalente gestione familiare. CAPITOLO 3. CINESI A TORINO. Maschi 1999 211 45 Femmine 121 (4◦ dopo Francia, Germania e Svizzera) 2000 252 151 (3◦ dopo Francia e Germania) 2001 258 127 (5◦ dopo Francia, Germania, Nigeria e Svizzera) 2002 365 214 (2◦ dopo Francia) 2003 421 236 (3◦ dopo Francia e Nigeria) 2004 475 290 (3◦ dopo Francia e Nigeria) Tabella 3.5: Cittadini Cinesi iscritti al Registro Imprese per sesso. Confronto annuo. 1999 Settori Numero 2000 Settori occupati Numero 2001 Settori occupati Numero occupati H 149 H 190 H 136 D 78 G 87 G 124 G 54 D 83 D 97 K 21 K 26 K 17 2002 Settori Numero 2003 Settori occupati Numero 2004 Settori occupati Numero occupati H 242 H 252 G 355 G 193 G 249 H 262 D 97 D 105 D 99 H 25 K 30 K 25 Tabella 3.6: Cittadini cinesi iscritti al Registro Imprese, per attività economica (classificazione ATECO - vedi sotto). Confronto annuo. CAPITOLO 3. CINESI A TORINO. 46 Classificazione ATECO H albergi e ristoranti. D attività manifatturiere. G commercio all’ingrosso e dettaglio, riparazione di autoveicoli, motocicli e di beni personali e per la casa. K attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, altre attività professionali ed imprenditoriali. Grazie alla Tabella 3.6 possiamo invece esaminare la suddivisione delle imprese nei vari settori. Il settore commerciale (G) ha visto aumentare il numero dei suoi occupati, lentamente ma gradualmente, arrivando a essere nel 2004 la prima attività economica delle imprese cinesi. La ristorazione (H) perde invece punti, probabilmente per la saturazione del mercato, annunciata già da tempo e a cui i cinesi in Italia avevano tentato di ovviare, in un primo tempo, con il decentramento nei centri urbani più piccoli. Tabella 3.7: Anno Numero iscritti 1999 79 2000 80 2001 95 2002 93 2003 103 2004 125 2005 94 Cittadini cinesi iscritti all’albo artigiani (settore D: attività manifatturiere). Confronto annuo, dati dall’Albo Artigiani. Per quanto riguarda l’artigianato, il settore D (attività manifatturiere) è praticamente l’unico in cui sono presenti i cinesi artigiani a Torino. Ma, come si vede dalla Tabella 3.7, il numero degli occupati ha avuto negli ultimi anni un incremento molto modesto. CAPITOLO 3. CINESI A TORINO. 3.2.3 47 La scuola. a.s.1997-98 a.s.1998-99 a.s.1999-00 Maghreb 27,7% Maghreb 27,1% Maghreb 27,3% Centro Sud 16% Centro Sud 15,2% Centro Sud 15,6% America Ex America 9% Cina Yugoslavia Cina America 9,1% Romania 10,9% Albania 9,5% Cina 8,1% (418) 7,8% (289) (473) Tabella 3.8: Alunni con cittadinanza straniera nelle scuole (materne, elementari, medie, superiori) di Torino e Provincia, statali e paritarie. Maggiori aree geografiche di provenienza, percentuali sul totale degli alunni stranieri. Confronto anni scolastici. Per gli anni scolastici dal ’97 al 2000 (Tab 3.8) i rapporti dell’Osservatorio riportano i dati suddivisi per aree geografiche di provenienza, e non per stati. Tuttavia la Cina è considerata a parte, e questo ci consente di avere dei numeri confrontabili con quelli degli anni sucessivi. E’ invece negli anni scolastici 2000-01 e 2001-02 che il ‘buco’di dati è irrisolvibile: il riferimento questa volta è l’Asia, un’area statistica troppo vasta e frammentata per poter essere d’aiuto, e le cittadinanze più rappresentate vengono conteggiate su un campione (5000 alunni, non in scuole materne per di più). I nostri confronti possono perciò riprendere solo con l’anno scolastico 200203, proseguendo poi (senza ulteriori bizze di costruzione dati) fino al 2005 (Tab 3.9). CAPITOLO 3. CINESI A TORINO. a.s.2002-03 a.s.2003-04 48 a.s.2004-05 a.s.2005-06 Romania 22,9% Romania 30,6% Romania 35,7% Romania 37% Marocco 18,5% Marocco 19,4% Marocco 16,8% Marocco 17% Albania 9% Albania 8,7% Albania 7,6% Albania 7,6% Perù 7% Cina 5,9% Perù 5,7% Perù 5,6% Cina 4,5% Cina 4,8% (851) Cina 5,3% (580) (833) (1002) Tabella 3.9: Alunni con cittadinanza straniera nelle scuole (materne, elementari, medie, superiori) di Torino e Provincia, statali e paritarie. Maggiori aree geografiche di provenienza, percentuali sul totale degli alunni stranieri. Confronto anni scolastici. Scuole serali e CTP. I CTP (Centri Territoriali Permanenti per l’istruzione e la formazione in età adulta) sono stati istituiti per legge, in Italia, nel 1997. La loro utenza è sempre più frequentemente costituita da adulti immigrati, con esigenze di inserimento lavorativo e integrazione attraverso l’apprendimento della lingua italiana. Dal Rapporto 2004 l’Osservatorio ha cominciato a analizzare separatamente i dati sulla frequenza straniera provenienti dai CTP e dai corsi serali delle secondarie di 2◦ grado. Il successo dei CTP è stato enorme a Torino, considerati i numeri degli stranieri che li frequentano (Tab 3.10); numeri molto maggiori di quelli dei corsi serali delle secondarie di 2◦ grado. Le ragioni sono molte, ad esempio il fatto che nelle serali sono richiesti titoli di studio pregressi riconosciuti, e che bisogna frequentare tutto il ciclo per poter avere in mano un attestato, mentre nei CTP i corsi sono molto più brevi. Questo significa comunque che la formula funziona, e che c’è una domanda di istruzione e conoscenza della lingua da parte degli adulti stranieri non indifferente. Che questo esprima il tentativo di uscire dallo status vigente di manodopera non qualificata e a basso costo, dal ruolo di ‘emarginati’ della società, per CAPITOLO 3. CINESI A TORINO. 49 acquisire dignità e benessere? Lo spero vivamente. a.s.2004-05 a.s.2005-06 469 550 CTP 6.856 7.309 Totali 7.325 7.859 Secondaria 2◦ gr. Serale Tabella 3.10: Presenze allievi stranieri nelle scuole secondarie di 2◦ grado serali e CTP, di Torino e Provincia. Anni scolastici 2004-05/2005-06. La Tab 3.11 segnala le componenti nazionali più coinvolte nel successo dei CTP. La Cina è la quarta. Colpisce il divario, ancora più grande che per le altre nazionalità, tra i grandi numeri delle frequenze cinesi ai CPT e quelli davvero esigui (addirittura sotto la decina) delle frequenze alle serali. a.s. 2004 Cittadinanze CTP a.s. 2005 Secondarie Cittadinanze CTP 2◦ gr.Serali Secondarie 2◦ gr.Serali Marocco 2.032 91 Marocco 2.112 69 Romania 739 92 Perù 762 148 Perù 674 131 Romania 743 141 Cina 482 6 Cina 641 9 Tabella 3.11: Maggiori cittadinanze per numero allievi CPT e secondarie di 2◦ grado serali, Torino e Provincia. Confronto anni scolastici 2004-05/2005-06. Capitolo 4 La ricerca esplorativa. 4.1 La (difficile) ricerca dei contatti. Quando ho iniziato, mesi fa, a cercare contatti all’interno della comunità cinese di Torino, pensavo di stare peccando di anticipo. Non immaginavo certo quanto sarebbe stato difficile e lungo trovare quei pochi ragazzi che mi serviva intervistare... In un primo momento ho tentato la via ufficiale, quella più ovvia a prima vista, tramite l’associazionismo cinese che immaginavo esistesse in città. Dopo essermi informata, ho scoperto che esistono due associazioni cinesi a Torino: - l’Associazione di Cinesi e Italiani di origine cinese: la più vecchia e la più nota sia tra i cinesi di Torino e provincia, sia dalle autorità (Comune, Provincia) quando devono organizzare eventi multiculturali; ha a capo un presidente e un consiglio di soci, tutti grandi proprietari di ristoranti cinesi; anche le riunioni si tengono sempre in uno dei loro ristoranti. - l’A.I.C.U.P, Associazione Immigrati Cinesi Uniti in Piemonte: più recente e formatasi, sembra, in seguito alla separazione dell’odierno presidente, parente di quello della prima associazione e ricco uomo d’affari, per divergenze di opinioni non meglio definite. Fonti attendibili me ne hanno parlato come di un paravento e insieme cartellone pubblicitario per le attività imprenditoriali e immobiliari 50 CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 51 del suo presidente; un’associazione ‘fantasma’ quindi, poco legata al gruppo che dovrebbe rappresentare. In effetti non sono riuscita a contattarla, trovando su internet e altrove recapiti e numeri telefonici sempre diversi, ma a cui non rispondeva invariabilmente nessuno. Tuttavia devo dire, a onor del vero, che non sono riuscita a contattare con i metodi tradizionali (e-mail, telefonate) nemmeno la prima associazione; tramite il passaparola ho parlato alla fine con uno dei soci, che tuttavia mi ha aiutato solo fornendomi, dopo molte insistenze, il recapito della figlia del presidente per intervistarla (cosa che ho fatto). Le spiegazioni a questo fatto potevano essere solo due: o non c’era l’intenzione di aiutarmi, oppure anche la prima associazione aveva solo deboli legami con la popolazione cinese di Torino. Come spiegherò meglio più avanti, opto per una concomitanza di entrambe le motivazioni, anche se le interviste riveleranno maggiormente la fondatezza della seconda. Dopo essermi trovata davanti a un vicolo cieco percorrendo la strada ufficiale (l’unico contatto fornitomi dalla ragazza avrebbe poi rifiutato l’intervista), ho tentato una seconda via informale e immagino inusuale, scoprendo su internet un sito di ragazzi di seconda generazione cinesi in Italia: www.associna.it. Mi sono iscritta e ho cosı̀ potuto partecipare alle discussioni del forum, nonchè ‘postare’ direttamente un messaggio in cui spiegavo gli scopi della mia modesta ricerca e chiedevo se ci fosse qualcuno di Torino disposto a farsi intervistare. Il sito in sè mi è parso molto interessante, un esperimento ben riuscito di comunità online che dà voce ai problemi e alle esigenze dei giovani cinesi in Italia, e più in generale delle seconde generazioni: lo descrivo meglio più avanti1 . Purtroppo la maggior parte degli utenti di Associna si trova in Lombardia, e ci sono ben pochi torinesi, ma i ragazzi che ho conosciuto erano molto disponibili e ho ricevuto una netta impressione di apertura, opposta alla chiusura dei vecchi soci dell’associazione torinese. Tramite questo canale ho trovato altre due persone da intervistare. Infine ho provato a contattare le mediatrici culturali cinesi che operano a Torino, tramite le associazioni e le cooperative presso cui lavorano, e 1 Vedi Capitolo 5 CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 52 dopo parecchia attesa, ma anche molta disponibilità dato che non rientrava in alcun modo nei loro compiti professionali, ho ricevuto un altro paio di nominativi e recapiti. Queste sono state in breve le mie peripezie, durate mesi, per trovare pochi soggetti da intervistare. Infatti, nonostante asseriscano che a Torino si conoscono tutti tra di loro, nessn ragazzo è riuscito a reclutare, tra le sue amicizie e conoscenze, qualcun’altro adatto a sua volta per l’intervista. Naturalmente la difficoltà nel reperire contatti potrebbe essere dovuta anche ad altro. E’ stato ad esempio osservato da qualche operatrice delle associazioni mediatrici che solo pochi ragazzi in città si trovano nell’età da me segnalata; se avessi scelto di intervistare persone con qualche anno di meno o di più avrei trovato maggiore disponibilità. Inoltre potrei non aver scelto un buon metodo di reclutamento, data la mia inesperienza. I giovani che sono riuscita ad intervistare sono ovviamente un campione non rappresentativo della loro categoria a Torino, anche perchè non conoscendo il cinese ho dovuto porre come clausola una sufficiente conoscenza dell’italiano, e la totale gratuità e volontarietà dell’intervista mi ha probabilmente portato a individuare soggetti con una buona istruzione e un interesse di qualche tipo su questi argomenti. Come età, due di loro sono 19enni, una ha 23 anni e un altro 24. Solo uno è laureato, mentre tutti hanno la licenza superiore2 . 4.2 L’importanza della scuola e il lavoro autonomo. E’ uno stereotipo diffuso, soprattutto fuori dall’Europa e in America, l’idea che i giovani cinesi considerino la scuola molto importante e ottengano solitamente risultati brillanti, molto più dei ragazzi appartenenti ad altre mi2 In dettaglio, le interviste realizzate sono dunque quattro, indicate con a lettera iniziale del nome: C.: femmina, 23 anni, diplomata, sposata e con due bambini piccoli. Arrivata in Italia all’età di sei anni. Y.: maschio, 24 anni, laureato. Arrivato in Italia all’età di diciassette anni circa. M.: maschio, 19 anni, diplomato. Nato in Italia. V.: femmina, 19 anni, frequenta l’ultimo anno della scuola superiore. Nata in Italia. CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 53 noranze etniche3 . In Italia questa idea di senso comune non sembra essere diffusa per ora, e i risultati scolastici effettivi sembrano essere nella media rispetto agli altri alunni stranieri4 . Di certo la scuola è, con la famiglia, la più importante istituzione sociale mediatrice nel processo di integrazione dei giovani, la linea di incontro tra i ragazzi immigrati e la società d’accoglienza. Solo tramite la frequentazione della scuola si può imparare una lingua fino a farla propria e mimetizzarsi cosı̀ abbastanza bene tra gli autoctoni. I genitori cinesi lo sanno e per questo la frequenza dei minori del gruppo nazionale è alta5 . Inoltre la scuola in Cina è molto importante. Oggi si cominciano ad aprire spazi di ascesa sociale poco legati all’educazione, come l’imprenditoria, ma per lungo tempo la scuola è stata l’unico canale praticabile per diventare qualcuno nella società cinese. Per centinaia di anni, prima della Rivoluzione Culturale, ha funzionato il principio della selezione meritocratica dei funzionari e dei burocrati6 . Per questo C. dice che: ”...la scuola in Cina è molto pesante, più dura che qua. Molto! Lı̀ infatti ci son tanti ragazzi che pur di andare bene a scuola...cioè, non mangiano...non hanno tempo. Cioè, li vedi che son sempre lı̀...i secchionisecchioni, in Cina son proprio quelli con gli occhiali, sempre lı̀... [...] I pochi che vengono scelti...perchè loro per fare l’università non è come qua che uno qualsiasi, anche con l’insufficienza, può andare... Lı̀ no, lı̀ ci son dei punti. Tipo, se c’hai 350 punti...anzi, ogni anno cambia: quest’anno è 365, se riesci a fare un totale di 365 ti prendono. E invece se non riesci a fare quel punteggio lı̀ sei già via.” La dura selezione scolastica si combina con la politica del figlio unico, a formare un mix esplosivo. La maggior parte dei giovani cinesi sono figli unici, e le aspettative, i sacrifici, le attenzioni e le speranze di quattro nonni e due genitori sono tutti su di loro, che devono ripagarle con il successo a 3 Cfr. ad esempio V.Louie, Second generation pessimism and optimism: how Chi- nese and Dominicans understand education and mobility through ethnic and transnational orientations, in International Migration, vol.40, 2006. 4 Cfr. Par. 2.4 ’Focus on’: le seconde generazioni cinesi in Italia. 5 Cfr. Par. 2.4 ’Focus on’: le seconde generazioni cinesi in Italia. 6 F.Scisci, Chi ha paura della Cina, cit., pp.106 e 176. CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 54 scuola e nella vita. Tutto questo per un ragazzino è un peso morale enorme, che porta spesso a gesti disperati come il suicidio7 . Lo rivediamo nelle parole di C.: ”E quelli che non riescono a raggiungere il punteggio, invece di andare a dire ai genitori ’Non ho superato...’, ci son certi che si danno al suicidio! Non ce la fanno a dire ai genitori...perchè la scuola costa, in Cina, più di qua, e ci sono magari delle famiglie, quei genitori che hanno un figlio soltanto, che danno TUTTO TUTTO [sottolineato con il tono di voce]...: tiran fuori, mettono l’ipoteca...insomma, tutto per lui che deve andare a studiare e magari sognano che in futuro lui abbia un buon impiego...per loro, ecco, questo è un investimento. [...] Se li deludi loro non hanno più la faccia... Cioè, si sentono questi alunni un peso nelle spalle che non ti dico! Cioè, se uno non è portato per gli studi, qua può entrare nel mondo del lavoro. Lı̀ no!” L’idea della scuola come trampolino di lancio per un futuro migliore sembra essere ancora molto presente nei genitori dei ragazzi cinesi di seconda generazione; come accenna V. parlando della sua indecisione se continuare o meno, dopo il liceo, con l’Università: ”E poi i miei genitori sarebbero contentissimi! Per i cinesi la scuola è...aaah!![molto sottolineato con la voce: intende ’il non plus ultra’] Perchè pensano che ti dà più lavoro, che ti dà questo e quello... [...] Sono molto condizionata... Dai miei genitori... [...] Però mi piacerebbe, dare una soddisfazione davvero ai miei genitori! Perchè nella famiglia di mia madre sono arrivati alla licenza media...è bello avere qualcuno della famiglia che sia laureato!” Tuttavia spesso non hanno poi i mezzi, linguistici e culturali, per poter seguire da vicino la carriera scolastica dei figli. M: ”Un aspetto positivo è il fatto che loro [i genitori], non capendo bene la lingua alcune cose le fanno passare. Io nell’ultimo anno ho tagliato molto, e i miei genitori non han mai saputo, perchè quando li facevo firmare gli dicevo che era per un’uscita, cose cosı̀...” E, dato il mutato contesto di riferimento e la loro esperienza personale, non sono sicuri che renda per il futuro nello stesso modo che in patria. Cosı̀ 7 F.Scisci, Chi ha paura della Cina, cit., pp. 177-183. CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 55 preferiscono spesso indirizzare i figli sulla strada sicura di aprire un’attività, come ha fatto la maggior parte di loro a suo tempo8 . Y. ad esempio, arrivato qua tardi, a 16 anni, ci riporta le posizioni dei suoi, che pur avendo una buona istruzione hanno dovuto adattarsi in Italia a fare lavori manuali ed umili, e probabilmente anche per questo non volevano che il figlio studiasse a lungo: ”Mio papà si è laureato...e insegnava a scuola. Mia madre ha la scuola superiore. [...] Mi dispiace dire, però [qua] fa operaio... In Cina gestiva la scuola, era direttore... [...] Però comunque si è pentito adesso. Parlando cosı̀...si è pentito parecchio. [...] Mia madre fa la sarta...a lei piace. Comunque tutti i giorni sta a a casa a cucire le camicie...[tono di voce dice: ’non è un gran lavoro’]. [...] Fa questo lavoro per un’azienda. [...] Io all’inizio, quando sono arrivato in Italia...maggiori ragazzi sono andati a fare camerieri, nei ristoranti cinesi, cosı̀... Io ho detto: ’No, voglio studiare e voglio finire la laurea’. Per loro [i genitori] è sbagliata la strada. Hanno detto che ’Studi bene italiano, interrompi e vai ad aprire un ristorante’. [...] Però io ho scelto una strada diversa...” Cosı̀, alla fine sono in pochi a continuare a studiare all’Università. Forse con più pragmatismo di noi italiani, dato che nel nostro paese avere una laurea vuol dire spesso guadagnare comunque meno di un idraulico o di un elettricista, decidono consapevolmente di seguire le orme dei genitori e aprire un’attività di qualche genere. O comunque, l’opzione ‘ristorante’ è sempre un porto sicuro in cui potersi rifugiare se i desideri di realizzazione non dovessero avverarsi. Y: ”Sono l’unico che sono andato avanti a studiare![ride]” - Non conosci nessun altro che è andato avanti a studiare? ”No, tra tutti quelli miei amici no...” M: ”Loro [i genitori] pensavano di lasciarmi studiare...se riuscivo a lavorare col mio titolo di studio è una buona cosa, già. Se no poi mi lasciano il ristorante.’ 8 Cfr. le osservazioni sugli studenti cinesi della ricerca di L.Fischer e M.G.Fischer, Scuola e società multietnica, cit., p. 67. CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 56 Ma anche quando pensano a un’attività autonoma per il futuro, soprattutto i ragazzi nati qua (sia V. che M.) rifiutano certi stereotipi che porta spesso con sè il cinese imprenditore: V:”Oppure mi vorrei aprire un’attività mia, sempre riguardo a un locale. Ristorazione no. Un ristorante no! Tutti i cinesi, no?, ristoratori, c’hanno un orario massacrante che io...no! Io che son nata e cresciuta qua ho una mentalità più aperta, un’altra generazione...la penso già in modo diverso. Non ce la farei mai a fare... [...] No, no...prima penso A ME [sottolineato col tono di voce] e poi...” M: ”Più che altro pensavo una pizzeria. O un bar o una pizzeria...’ 4.3 La competenza linguistica e la comunicazione in famiglia. I primi immigrati cinesi arrivati in Italia negli anni venti e trenta non conoscevano per niente la lingua, ma dovettero impararla in fretta per poter vivere e svolgere i loro piccoli commerci rivolti alla popolazione autoctona. Lo sviluppo poi dei primi laboratori artigiani, in cui lavoravano molti dipendenti italiani, e i matrimoni con donne del posto accelerarono il processo di apprendimento della lingua. I cinesi arrivati dopo gli anni cinquanta hanno invece trovato ad accoglierli comunità ben organizzate, dove ognuno aveva compiti precisi, compreso quello delle relazioni con l’esterno che spettava ai pochi individui che conoscevano bene la lingua, mentre la maggior parte dei membri della comunità intratteneva relazioni solo con i propri connazionali, isolandosi cosı̀ dalla società circostante. La forte propensione all’auto-occupazione aggravava ancor di più il problema, e oggi ne è la principale causa9 . Infatti la situazione oggi è cambiata con la nascita delle seconde generazioni, che portano necessariamente i genitori ad imparare almeno un po’ di italiano, ma l’auto-occupazione continua a trattenere nell’isolamento almeno coloro 9 S.Galli, Le comunità cinesi in Italia: caratteristiche organizzative e culturali, in L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia, cit., pp.92-93 CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 57 che sono arrivati da poco: specialmente se irregolari, sono quasi costretti a rivolgersi a datori di lavoro cinesi. Y: ”Poi non so perchè, ci sono tanti che vivono da più di dieci anni in Italia e non sanno neanche una parola di italiano [Il tono della voce dice: ’E’una cosa grave!’]. Ci sono, tanti... [...] Secondo me hanno provato una paura talmente grande, sia di fronte alla lingua sia di fronte alla cultura, che non sanno proprio uscire da questo cerchio di difficoltà.” C: ”Il datore di lavoro cinese va bene per chi non ha un alloggio, per chi non ha...cioè, stenta a...” - Perchè ti dà una mano in più? ”No! Perchè mangi da loro, vivi da loro. E allora risparmi tanto. Per noi che abbiamo già la casa, la macchina e tutto...cioè, anche un lavoro italiano va bene.[...] Invece quello italiano è il lavoro normale, secondo me, che gli orari sono regolari e tutto...Il contratto è quello...cioè, la busta paga è quella che prendi. Non il minimo...” La difficoltà linguistica è comunque una delle principali cause per cui le collettività cinesi in Italia sono strette nel paradosso di una sostanziale e ben riuscita integrazione economica, a cui non corrisponde però un analogo inserimento sociale10 . Le istituzioni italiane dovrebbero perciò favorire la creazione di corsi di lingua appositamente studiati per gli immigrati, in orari compatibili, per quanto possibile, con le loro esigenze lavorative. D’altra parte è auspicabile che i giovani di seconda generazione non abbandonino del tutto la lingua d’origine, ma adottino un sostanziale bilinguismo, segeuendo un processo di acculturazione selettiva11 , per facilitare la comunicazione intra-generazionale che sembra invece spesso mancare, soprattutto nel caso di ragazzi nati qui (come V. e M.): M:”Un problema mio personale, e anche di molti altri ragazzi cinesi che sono nati qua, è il fatto che non riescono a comunicare con i genitori in modo serio, facendo un discorso...più profondo. E quindi ci sono molti contrasti. [...] Loro hanno la loro mentalità...quella che è, mentre noi ne abbiamo un’altra e quindi le idee si scontrano. [...] Eeh...per 10 F.Carchedi, La presenza cinese in Italia, in M.Ambrosini e S.Molina, Seconde generazioni, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 2004, p. 71. 11 Cfr. Capitolo 2, par. 2.1, p.3-4. CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 58 le comunicazioni è un po’ difficile parlare con i miei. Perchè il mio dialetto non è proprio...è un discorso semplice poi alla fine. Quindi devo metterci anche un po’ di italiano, perchè non sapendo come si dice una parola...la devo espremere cosı̀. E dalla loro parte è già difficile capire la parola in italiano, e quindi...” Inoltre imparare la lingua cinese è un’opportunità davvero importante per i ragazzi che hanno studiato qui, perchè, come abbiamo detto all’inizio12 , la Cina sta diventando una potenza economica e in Italia mancano gli intermediari per realizzare proficui commerci tra i due paesi. Questa è la motivazione più importante che spinge i giovani intervistati a voler imparare il Mandarino (o cinese ufficiale), ma mentre alcuni di loro lo sanno già parlare, scriverlo è molto più difficile: V: ”Sono andata a scuola...due mesi...per scriverlo. E’ troppo difficile!! ...adesso, basta... Parlarlo... Però scriverlo è una cosa pazzesca. [...] Oppure vorrei andare in Cina a studiare un anno. Il Cinese. Tradizionale: scritto, letto...” M: ”Poi adesso conosco molte persone, ad esempio anche qualche mio ex compagno, che stanno studiando il cinese perchè li affascina la Cina, perchè dicono che sarà un paese in sviluppo, fra un po’ di anni parleranno tutti cinese...” (e sta seguendo un corso di cinese all’università, mentre quest’estate dovrebbe andare n Cina un paio di mesi a impararlo da sua zia). Al momento tuttavia il loro è un bilinguismo solo parziale (in famiglia quasi tutti parlano un misto di dialetto dello Zhejiang e italiano), ma i genitori si affidano comunque a loro nelle occasioni più importanti di comunicazione con l’esterno (andare dal medico, dal commercialista, alla questura...), incaricandoli di tradurre senza capire che il compito è molto arduo. O addirittura delegando a loro compiti da adulti, causando quasi un’inversione di ruoli (come nel caso di C., si noti il lapsus significativo). V: ”Sanno [i genitori] le parole povere, cioè...! [...] Anche se sono da tanto tempo qui...infatti portano me o mio fratello. Tipo...dal commercialista, di qua e di là...quando bisogna fare le cose importanti. E 12 Cfr. l’Introduzione e il Capitolo 1. CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 59 poi non si sanno manco esprimere bene. Però non è manco cosı̀ facile tradurre! E infatti, però...quando non riusciamo a tradurre ai genitori, ci prendono come ignoranti...di questo. Visto che siamo nati e cresciuti qui non sappiamo manco... [...] Anche se l’hai capito non lo sai spiegare, oppure...è complicato. [...] Ci prende male questo, sai? [detto con partecipazione] Proprio i genitori ti stressano: ’Ma tu, sei qui...non servi a niente... Alla fine non andare a scuola se non impari niente...’, eccetera.” C: ”E invece le mie sorelle sapevano l’italiano... Alle assemblee di classe andavo io, come genitor...cioè, da parte di mia mamma, no? E io lı̀ a rimproverarle, sempre dietro. [...] Perchè essendo la maggiore ti fanno sentire..cioè, hai una responsabilità maggiore, che... [...] Per loro [le sorelle] ero come una seconda mamma! Mia mamma sı̀, c’era, però non la sentivano cosı̀ tanto. Ero io che mi occupavo di loro: facevo il bagnetto, si andava a giocare fuori, le portavo di qua e di là, accompagnavo a scuola...” Infine bisogna notare che io non ho trovato nessuno, tra gli intervistati, che abbia sofferto di una vera e propria discriminazione dei compagni a scuola o che mi abbia parlato di qualche esperienza simile subita da altri bambini cinesi. E l’unico caso in cui ci sono state prese in giro e simili è stato proprio a causa della scarsa conoscenza della lingua, non certo dell’aspetto o del colore della pelle: C: ”Poi c’erano, va beh, a scuola quelli che ti prendevano in giro...perchè non parlavo bene, non reagivo quando mi prendevano in giro, e... [...] Quando sei nato qua e parli già, dal primo impatto diciamo, con loro in lingua italiana, non ti prendono per straniera cosı̀ totale! 4.4 I due nomi. Nella traccia dell’intervista ho inserito, dopo una breve chiaccherata preliminare con C., una domanda su un fatto di cui cominciai ad accorgermi contattando i ragazzi: quasi nessuno aveva il nome cinese, quasi tutti sembravano invece avere un nome italiano, ma questo era molto strano dato che diversi di loro non erano nati in Italia. CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 60 Incuriosita da questo fatto ho cosı̀ scoperto che i bambini nati in Italia hanno quasi sempre due nomi, ma mentre quello ufficiale è il cinese (registrato all’anagrafe), l’italiano viene attribuito durante il battesimo. Un battesimo che oltretutto sembra avere l’unico scopo di uniformarsi agli usi e costumi della popolazione del luogo d’arrivo, dato che i genitori non sono religiosi (come quasi tutti i cinesi atei o tutt’al più risentono di influenze buddiste e confuciane). E il nome italiano, a sua volta, sembra serva per facilitare i rapporti con la società ospite e far percepire di meno la propria diversità, anche se finisce per essere usato da tutti, genitori compresi. V: ”Battezzata V., io son stata battezzata. Il mio nome è ....(nome cinese) [...] Si, sui documenti si. [...]Visto che siamo italiani, è più facile anche per voi italiani chiamarci.” - Ma tu...tra i tuoi amici, quasi tutti fanno cosı̀? ”Si si...” - Ma quello cinese lo usi o...? Fammi capire... ”No, come ti chiama uno ti chiamano gli altri. A me mi chiamano V. tutti...anche i miei genitori.” M: (idem come sopra, sia genitori che amici lo chiamano con il nome italiano) ”C’è mio nonno che mi chiama col nome cinese. [...] Sarà una cosa di usanza, tradizione... Perchè...mia madre quando è venuta qua conosceva un italiano, che poi mi ha fatto da padrino, e quindi mi ha dato questo nome italiano scegliendolo fra di loro... Forse anche per un fatto di...magari di integrazione o qualcosa di più...” Nel caso in cui invece il bambino arrivi dalla Cina, si verifica la semplice attribuzione di un nome italiano, scelto da un parente prossimo o a volte da un amico di famiglia, spesso in maniera del tutto casuale. C: ”Mi hanno dato il nome...non so, un signore che lavorava con mio papà...a mio babbo gli diceva ’Guarda, C. è un bel nome, chiamala C...’. Cioè, nel senso...neanche ’Chiamala C.!’: un giorno mi son ritrovata che ero per le scale, e questo signore che ci portava la roba a mia madre per cucire...sento chiamare ’C.!’, diverse volte ’C., C.!’. E dicevo: ’ Ma chi è questa persona che non risponde, maleducata, madonna questo a squarciagola urla...’, mi giro ’Te!’, e io ’Te che?!’. Non so, me l’hanno buttato cosı̀, e da lı̀... [...] A me hanno sempre chiesto di..di dare CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 61 un nome italiano a uno. Cioè, mi si presenta il figlio di questo e mi si dice ’Dagli un nome!’...appena arrivato dalla Cina...’Dagli un nome italiano!’...”. Certo, per chi ha delle difficoltà di relazione con i coetanei a volte può essere una facilitazione identitaria, per sentirsi più simile a loro: C: ”Avevo sette anni quando mi han dato il nome. Ed ero cosı̀ felice quando son andata a scuola...! Che la mia maestra non riusciva mai a chiamare il mio nome cinese... [...] E io stavo lı̀ e dicevo ’Ma chiamami col mio nome!’. Poi un giorno son andata a scuola: ’Maestra, mi hanno dato il nome! Chiamami C..’ E da lı̀ sempre C. ...” Per i ragazzi che arrivano qui già vicini alla maggiore età la cosa è a loro discrezione: c’è chi si sceglie un altro nome e chi mantiene il vecchio. Il nome cinese viene probabilmente mantenuto dai genitori anche nell’eventualità che il figlio ritorni in Cina, paese che sentirebbe ancora meno suo con un nome ’straniero’ addosso; può darsi faciliti anche le pratiche laggiù ed eviti qualche controllo. 4.5 Gli amici. Le amicizie sono abbastanza eterogenee per questi ragazzi di seconda generazione: solitamente hanno due gruppi, uno di amici italiani e uno di amici cinesi, che per qualcuno si incontrano e mescolano in certe occasioni, per altri rimangono ben definiti. A volte il gruppo degli italiani si riduce a duetre amicizie sparse, ma che sembrano comunque importanti nel panorama relazionale del soggetto. In tutti e due i soggetti nati in Italia si sono attraversate diverse fasi, in cui alternativamente si avevano solo amicizie di una nazionalità o dell’altra, per approdare a un momento più maturo di compresenza delle due opportunità amicali. V: ”...a 13 anni uscivo solo con cinesi, a 15 solo con italiani, a 17 solo cinesi... [...] Non lo so perchè... Oppure perchè quando avevamo il ristorante cinese in Via S., quando io facevo le elementari, le medie... facevamo cucina anche tipica, solamente cinese, quella del posto...allora venivano sempre i cinesi a mangiare, no? Allora da lı̀... Poi abbiam CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 62 venduto, mi son persa...e solo italiani uscivo.” - Forse non sei mai riuscita a mettere insieme un gruppo misto...”Noo, ma penso che non si riesca sai? Con i miei amici italiani ormai...c’ho la loro mentalità eccetera... penso che si sentirebbero a disagio sai? [...] E poi gli italiani, no?...non c’ho un gruppo di italiani, c’ho delle amiche separate, e boh... [...] Poi è anche questione di culture, eccetera...” M: ”Con i cinesi ho iniziato a girare solo negli ultimi due anni! Prima ero sempre con gli italiani. [...] Perchè...non so. Conoscendo una persona, conoscendone un’altra...poi ci presentiamo, perchè tra i cinesi tutti si conoscono, tutti i ragazzi sanno chi sei, cosa fai. Però presentando presentando ora ho sia la compagnia cinese che la compagnia italiana. [...] No, ma si uniscono. C’è un mio amico ad esempio che è sempre con noi che siamo solo cinesi..” I genitori non si intromettono molto nelle amicizie, anche se da Y. arriva la ‘soffiata’ di un comportamento vigile e a tratti proibitivo di alcuni genitori di quattordicenni cinesi: ”Sai che i genitori cinesi pensano che i ragazzi italiani sono influenzati tantissimo dalla televisione, eccetera. Praticamente secondo i genitori cinesi i ragazzi come noi, che vivono in Italia, sono abbastanza maleducati, tra vigolette... [...] Si sono preoccupati quando fanno uscire i loro figli insieme ai ragazzi italiani. [...] Si tratta di quei ragazzi che hanno quattordici anni. [...] Secondo me è un comportamento malissimo nel confronto alla crescita di questi figli. Perchè non possono integrarsi completamente nella comunità. I genitori vogliono farli integrare, però non sanno quale modo è adatto a far crescere i figli.” 4.6 Il rapporto con il paese d’origine. Il rapporto che questi ragazzi intrattengono con la Cina è molto variabile, a seconda in primo luogo dell’età di arrivo. Ad esempio C. è tornata per la prima volta dopo ben dieci anni dall’arrivo in Italia, e ormai sente che non potrebbe più vivere là: - Ti piace come paese? ”Per vacanza.” CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 63 - Ma come mentalità, ad esempio, ti piace di più là...qua...? ” Qua. Perchè di là...io che non so la lingua...non sono spigliata come loro...! La mentalità è che loro sono più...svegli. Cioè, se io vado là...mi mangiano! Tipo, un vestito che costa...200, noi siamo abituati a tirar fuori 200. Invece là no.[...] Se vado con mia mamma, o mia suocera, stanno lı̀ a discutere[...]...cioè, è un’asta! [...] Qua mi sento più...casa mia. Cioè, mi sento più a mio agio. Di là...mi sentirei fuori.” Y. invece, arrivato qua tardi a seguito dei genitori (16 anni circa), ha molta nostalgia per il suo paese e vorrebbe tornare a viverci, anche se si concede il beneficio del dubbio: ”A me piace l’idea di andare a vivere in Cina. Mi trovo bene [qua in Italia]. Però comunque è la mia patria... Lı̀ io...mi è piaciuta tantissimo la vita. Però comunque vedrò... Poi comunque posso scegliere...” Inoltre i due ragazzi nati qua mettono tra le possibilità future l’ipotesi di andare a vivere per un periodo in Cina, ma solo in grandi città dove i costumi e le usanze sono quelli occidentali, e non nei paesini d’origine. M: ”Alla fine se io andassi a vivere in Cina...andrei a vivere in una grande città, quindi differenze non ne troverei.” E’ vista comunque da tutti come una cosa positiva il fatto di avere due sbocchi, due paesi tra cui è possibile muoversi a piacimento e considerarli alternative concrete. M: ”Sarebbe sempre un’esperienza. [...] Cioè, adesso sono in bilico, 50 e 50. Però penso sia una buona cosa il fatto che...ho un’altra scelta”. 4.7 Il processo di attribuzione identitaria. E’ molto interessante vedere come ognuno di loro si definisce in termini di identità nazionale, in fin dei conti dovendo tirare le somme delle molteplici facce e caratteristiche personali. Le tre possibilità enunciate da me erano: cinese; italiano; italo-cinese. Oppure si poteva cercare di spiegare con parole proprie una posizione intermedia tra queste. Nessuno di loro accetta di definirsi pienamente ‘italiano’, nemmeno quelli nati qui che optano per una soluzione intermedia vicina all’ ‘italo-cinese’ : CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 64 V: ”Io mi definirei: cinese, come nazionalità. [notare che ha la cittadinanza italiana] Perchè alla fine è la patria e tutto... Però come mentalità e come...usanze: italiana.” - Capito. Quindi più un’italo-cinese diciamo... ”Sii...si si.” M: ” E’ una cosa che è andata a fasi questa. Prima mi definivo cinese, da piccolo; iniziando le scuole mi son definito italiano; e adesso penso...italo-cinese.” C: ”Ecco, non mi sento nè totalmente italiana nè totalmente cinese.” - Però ti senti...più nel tuo paese qua, o più nel tuo paese là? - ”Qua. Qua mi sento più...casa mia. [...] Quando sono in Cina mi sento sı̀ cinese, però [...] una cinese turista, che va lı̀, però... [...] Però se non era per l’aspetto mi sento più italiana. ” Questo è significativo perchè vuol dire che non c’è stata una completa assimilazione, nemmeno per V. che pure a detta di Y. è nota nella comunità di Torino come ‘molto italiana’. Solo Y., arrivato molto tardi in Italia, si definisce comprensibilmente ‘cinese’, contrapponendo quasi nel parlare ‘noi’ a ‘voi’: ”No, io son sempre cinese. Ma io so perfettamente la cultura italiana. Perchè vivo qua... Effettivamente so le vostre abitudini, so anche comunicare bene... [...] No, mi sento cinese. Non vorrei comportarmi come la maggior parte dei ragazzi italiani...” Il bilancio è quindi positivo, giudicando il mio piccolo campione: si stanno formando nella società italiana personalità ibride, ‘col trattino’, che cercano un equilibrio nuovo e stabile tra l’identità della generazione precedente e la loro esperienza di vita. 4.8 L’Associazione e la comunità cinese di Torino. L’Associazione cinese di Torino (la più vecchia, per intenderci, tra le due) è conosciuta in qualche modo da quasi tutti i ragazzi, ma solo perchè o il padre o un parente ne fanno parte in quanto proprietari di ristoranti cinesi. Insomma, più che un associazione che rappresenti e aiuti i cinesi presenti CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 65 a Torino sembra un’associazione di categoria, che sottolinea il nesso tra ‘cinesi’ e ‘ristoranti’ (d’altronde non errato, confrontando i dati del Registro Imprese sui settori occupazionali) e lascia fuori dalla sua gestione tutte le altre espressioni del gruppo, anche se minoritarie, i giovani e le donne. Inoltre le parole degli intervistati mostrano opinioni negative sul suo operato (che sembra limitarsi all’organizzazione annuale del Capodanno Cinese, peraltro sempre meno grandioso ogni anno che passa) e una diagnosi severa dell’esclusione e disinteresse delle giovani generazioni cinesi. Y: ”Secondo me se fosse un giovane a...[ad avere la presidenza]... cambierebbe. La generazione sucessiva. ” M: - E con l’associazione, tu la conosci? ”Si, mio padre è socio.” - E cosa ne pensi? - ”Ma...boh! Mio padre non è che ne parla molto... [...] I giovani la conoscono solo perchè organizza il Capodanno. [...] L’anno scorso hanno organizzato dei corsi pomeridiani per i ragazzini per imparare il cinese. Però sempre nell’ambito tra cinesi...” C. invece ha un’opinione molto decisa sull’associazione, e questo fa pensare che l’opinione sia diffusa. Arriva anche a sospettare scorrettezze nella gestione del Capodanno cinese: ”Loro gestiscono...dicono di gestire. Ma secondo me è una cosa cosı̀... un’assemblea di vecchi! Non servono a niente.” - Non aiutano...? Cioè, tu non sai che abbiano aiutato qualcuno...? ”Ma quando?! Mai.” - Mi dicevi che organizzano il Capodanno... ”...se facessero qualcosa di buono! No, prendono i soldi [per la lotteria] e poi vincono chi? Quelli dell’associazione. [...] O il figlio di quello dell’associazione. Non noi che... [...] Fanno karaoke ma...chi conosce quelli dell’associazione fanno vincere quello. [...] ...non lo sentiamo, ecco. Dicono che è un’associazione per i cinesi, ma non lo sentiamo. Non serve a niente!” V., pur essendo la figlia di un socio importante, ne sa meno degli altri. Ma cerca di evitare, comprensibilmente, di darne un giudizio negativo, chiamandosene fuori per il poco interesse. CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 66 ”Non so cosa fa sinceramente. Perchè penso, visto che mio padre è..., che le persone...boh, non so niente!” - E cosa organizza l’associazione di tuo padre? ”Ehm...” - Cioè, cosa fa in sintesi? ”Ehm...” - Organizzano il Capodanno? [suggerito da me!]”Si, eventi e...anche quando qualcuno viene di importante dalla Cina mio padre lo fa girare...non so, l’Italia... Comunque boh, fanno anche molte riunioni...” - Ho capito. Quindi non sei molto addentro alla... ”Io?! Io di ’ste cose...no, zero! Cioè...non interessa a me. Se no me lo direbbero, figurati. Penso ad altro!” Sulla comunità in generale, invece, i giudizi sono diversi a seconda dei punti di vista. Vediamoli comunque. Y. è quello più deciso nel criticarne la chiusura: forse anche perchè essendo in città solo per studiare e avendo i genitori a Ivrea può osservare più chiaramente la situazione da una posizione privilegiata, dall’ esterno. Inoltre è laureato, e più riflessivo degli altri su questi argomenti. Y: ”Però è un mondo chiuso. Per esempio quando dico ’Esco con i miei amici’ e i miei genitori pensano subito ’Sono quegli amici cinesi’, mi hanno già detto i nomi... Loro non pensano che ho anche amici italiani. Cioè, capisci? [La comunità cinese è molto] chiusa perchè praticamente si aiutano tra di loro, e non cercano l’appoggio degli italiani; lavorano per conto loro dentro comunità, e non...non fanno per esempio degli scambi importanti tra la comunità e quella presente nel territorio. Secondo me è un pensiero sbagliato...” C. ha un termine di paragone, la comunità cinese di Firenze che è molto più ampia e vivace e in cui ha vissuto per anni. Azzarda addirittura una spiegazione a partire dalle origini regionali diverse. Ma a dire il vero il fatto che lei sia una ‘nuova’ qui a Torino (è venuta ad abitare in città subito dopo il matrimonio, nel 2000) può far pensare che non sia riuscita, mancando anche la rete parentale, a farsi accettare e a conoscere molta gente C: - E con il resto della comunità cinese di Torino come ti trovi? ”Chiusa, molto più chiusa rispetto a Firenze. Cioè, non si sente! Non CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 67 la sentiamo perchè...i cinesi che sono qua sono di Whenzun, vicino al mio paese, quei posti là [di campagna]... e le persone di là sono molto più...come dici te, per il risparmio. Allora escono di meno, hanno le macchine un po’ più [rovinate],... [...] E invece Prato e Firenze sono più Whenzounesi [di città]...e i Whenzounesi amano molto la faccia.” Invece i due ragazzi più giovani e nati qua puntano l’attenzione sulla forte atmosfera ‘di paese’ che si respira all’interno della comunità, dove tutti sanno tutto di tutti e quindi è difficile tenere per se qualcosa. Probabilmente questo aiuta però anche i genitori ad avere un maggior controllo sulle relazioni dei figli, e ad evitare che si mettano su cattive strade: V: ”Comunque è importante non uscire tutti i giorni. Perchè i cinesi pensano molto alla...come si dice?...alla reputazione. Per i cinesi è davvero importantissima. Dicono ’Ma quella ragazza non fa mai niente!’, i cinesi, pettegoli!...Poi sembriamo tanti, ma alla fine le voci girano. Sempre tra i cinesi...” M: ”Tutti i cinesi grandi si conoscono tra di loro. Quindi magari se il figlio combina qualcosa, o comunque succede qualcosa in famiglia, tutte le altre famiglie iniziano a parlarne e si fanno certe idee...rimane un chiodo fisso, poi alla fine. Mentre qua, penso, in Italia...qualcosa si lascia anche passare... [...] Loro sono abituati, essendo nativi di un paesino piccolo...tutti si conoscevano, tutti sapevano di tutti, e allora anche qua hanno mantenuto...” 4.9 Strane usanze e divieti. Mi ha molto stupito scoprire, durante la mia prima intervista a V., che i suoi genitori fin da piccola le avevano proibito di avere un ragazzo italiano, o peggio sposarlo. Certo, non è a quanto sembra un divieto assoluto, che prevede il ripudio, e non ha motivazioni religiose (la maggioranza dei cinesi è atea), ma sembra basarsi solo sulla paura del ‘diverso’ linguisticamente e culturalmente da dover introdurre in famiglia. I genitori che esprimono la loro disapprovazione per queste relazioni dicono a volte di farlo ‘a fin di bene’, per evitare che il matrimonio ‘si spacchi’ sui problemi di convivenza CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 68 di due culture diverse. Comunque sembra essere un fenomeno diffuso, a giudicare dal mio piccolo campione (che ovviamente non ci permette di fare delle generalizzazioni), soprattutto tra i ragazzi di seconda generazione nati in Italia (M. e V.). Questo riduce di molto la valenza della scusante ‘a fin di bene’ e fa invece nascere il sospetto che i genitori temano l’allontanamento definitivo dei figli dalle tradizioni e dalla cultura d’origine, essendo già ora cosı̀ diversi (e distanti) da loro... V: ”[I miei] hanno la mentalità chiusa, riguardo ai matrimoni italianicinesi...Ma anche i miei zii...tutti, tutti! Non vogliono...più che altro perchè hanno avuto esperienze, riguardo a dei cinesi che si sposavano italiani...sempre andati male. Ma sempre! ..neanche uno ne è rimasto in piedi! Per quello dicono ’No, guarda, tu...!’, hano constatato da delle altre persone. [...] Si, si, [per paura] che vada male. E poi è anche questione di cultura, penso, di lingua... [...] Per me no, però nel senso che...entra nella famiglia! [...] [A bassa voce...] No, comunque ho avuto italiani. Però non...non lo sanno. E’tutta una cosa mia...” - E invece tu pensi che ti troveresti bene con un italiano? ”Io...non ci credo più. Perchè a Giugno mi son lasciata col ragazzo, da tre anni e mezzo. [...] Infatti andavo contro tutto, ogni cosa che dicevano i miei genitori ’Noo! Ma voi non capite...!’ Dopo che questo mi ha lasciata, zitta e muta son stata! [...] Invece prima proprio mi buttavo...con dieci parenti che mi urlavano addosso! Tipo ’Tu, con italiano ti sposerai, poi piangerai sempre...non venire da noi!’... [...] Mio padre me lo metteva già da bimba! Perchè diceva ”Già che adesso sono in tempo per dirtelo...ti dico che non vorrei un ragazzo italiano’...” M: ”Me n’hanno parlato, mi han detto che...cioè loro preferiscono che io mi sistemi con una ragazza cinese piuttosto che con una italiana. Però...discorsi seri non ancora. [...] Nel mio caso, non trovo differenza... Nel loro caso penso sia più un problema di...sia di comunicazione che di... [...] Magari si capiscono di più, essendo la ragazza cinese e il ragazzo cinese...hanno avuto bene o male le stesse esperienze, i genitori qui in Italia, hanno lavorato e tutto...per loro ci potrebbe essere più feeling. [...] Comunque conosco gente che si è sposata con persone italiane, sia ragazze che... [...] Sono accettati dai genitori...” CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 69 La seconda ’usanza’ che mi è parsa peculiare, ma è probabilmente diffusa anche in altre nazionalità immigrate, è quella di riportare i bambini, dopo la nascita qui o comunque nei primi anni di vita, a vivere con i nonni in Cina. Nel caso i genitori del bambino siano di seconda generazione, i nonni sono i primo-migranti della famiglia: venuti e rimasti in Italia per lavorare, quasi sempre appena cessano l’attività tornano in Cina, dopo aver accumulato i soldi per costruire una bella casa e passare una vecchiaia agiata e serena. Per diversi anni i genitori vanno a trovare i bambini piccoli dai nonni una volta all’anno o anche meno, data la distanza tra i due paesi. Le motivazioni che ho rintracciato sono tante: in primo luogo il fatto di dover lavorare duramente, entrambi nella coppia, per cercare di avere successo e aprire un’attività. Una volta ‘sistemati’, i bimbi torneranno, e potranno avere tutte le attenzioni che gli sarebbero mancate prima... In secondo luogo il fatto di considerare migliore un’educazione di tipo cinese, dovuto alla paura di veder crescere bambini problematici come gli italiani, dopo aver visto tanti casi in televisione. In ultimo luogo, il desiderio dei nonni, che si trovano in Cina, di accudire i nipotini. C. ha due bambini, e ha portato entrambi in Cina poco dopo la nascita. Sentiamo cosa dice a proposito: ”Questa responsabilità sui figli la sento di più dalla parte di qua, italiana, che da quella cinese... Io, no?, ora che devo portare il figlio in Cina...per una mamma italiana è... [...] non se lo immagina... Però noi, purtroppo, abbiamo questa usanza...usanza! Abbiamo questa strada qua che si può, insomma, far crescere i figli lontani... A me non piace! Però son costretta perchè...voglio dire, non avendo i genitori qua...è difficile mandare avanti...guadagnando i soldi. [...]Anche questo. L’educazione di là verso i bimbi... Poi, i miei genitori mi hanno dato un’educazione che è una dei migliori! Perciò stando con i miei genitori...i miei figli secondo me dò a loro una cosa positiva. [...] Ora che non ho un’attività, devo pensare a guadagnare i soldi, devo pensare a...a come poter cominciare un’attività. ” Nonostante abbia subito da piccola a sua volta il trauma di crescere con i nonni, e di non riconoscere più dopo nei genitori le figure paterna e materna, non avere confidenza con loro... nonostante questo sta ripetendo la stessa cosa con i figli. Lei dice che sono piccoli, ‘dimenticano facilmente e si CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 70 affezionano facilmente’, ma... Sia Y., che pure è qui in Italia da soli otto anni (ma può darsi faccia molto la differenza il suo livello di istruzione, universitario), sia i due ragazzi nati qua, pensano invece che i figli debbano stare dove sono i genitori, con loro...non li manderebbero mai in un altro paese per anni. Certo, le condizioni economiche di cui godono oggi sono migliori di quelle dei genitori all’epoca, e questo magari fa cadere tutte le altre motivazioni ‘educative’ che forse sono solo, per chi mantiene questa pratica, giustificazioni per addolcire la dura necessità di una separazione e sentire meno i sensi di colpa. La sussistenza di questa pratica, che quindi non dev’essere poi cosı̀ residuale, mi è stata confermata da Y., che ne ha parlato prima che io gliene facessi cenno, in questi termini: ”Gli anziani si occupano dei bambini. Per esempio, quelli che lavorano qua, no?, appena praticamente son nati i bambini i genitori li portano in Cina. Li fanno curare da... Nooo! [Non approva] [...] Però comunque in questo modo fanno imparare il cinese. Poi sai, se fanno crescere qua non sanno niente del cinese.” - Beh, si può comunque farglielo imparare anche qua il cinese. Fargli seguire una scuola, un corso... ”Si, ma qua la comunità cinese secondo me è un po’ chiusa. Secondo me, personalmente... Che c’è a Torino... [...] Diciamo i genitori non sono molto istruiti...cioè, secondo loro non è importante studiare il cinese mentre vivono qua in Italia, no? E quindi... Secondo me è per questo che...” 4.10 Un valore ridimensionato: il risparmio. In tre casi su quattro (l’eccezione è Y., arrivato in Italia molto più tardi degli altri) i ragazzi intervistati hanno dichiarato di sentire come esagerata l’attenzione al risparmio dei genitori, e di non voler seguire in questo campo il loro esempio. Vediamo come esprimono le loro idee C. e V: V: ”I miei pensano, come tutti quelli della prima generazione...che gli italiani siano più spendaccioni! [ride] ” - Ma cosa pensi tu? - CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 71 ”...Praticamente penso che, boh, una persona si merita una vacanza...anche se spende un po’ di soldi per andarsene in vacanza, ma penso che sia normale...cioè, un’esigenza normale, di andarsene in vacanza, in estate... [...] [I Miei] Come tutti i cinesi, pensano ‘Quando sarò...’...pensano più al dopo, che al presente. Invece gli italiani più al presente. E visto che io c’ho la mentalità italiana penso che non sia sbagliato nè uno nè l’altro, comunque sia...” C: ”Io e mia zia abbiamo un concetto diverso... Tipo: io guadagno soldi, basta che mi mantenga per mangiare, per dormire, cioè nel senso passabile...io posso spendere i soldi! Non esageratamente, però una vacanza, tipo ’Domani piglio, vado lı̀!’ me lo posso permettere! Perchè non sai cosa succede domani. Fai caso, domani mi succeda qualcosa...toh! E i soldi?! [...] E...mia madre dice: ’Si può risparmiare su tutto, tranne il mangiare’...” Sembra quindi che, venuto a mancare il progetto migratorio e le aspettative di mobilità sociale dei genitori, l’attenzione si concentri sul presente per questi ragazzi, ottimisti e più tutelati della generazione precedente sul futuro. 4.11 Temi politici. Le opinioni dei ragazzi intervistati sui temi dell’immigrazione nel dibattito politico italiano (cittadinanza, permesso di soggiorno, diritto di voto, ecc.) sono ristrette, riguardano la loro esperienza personale o quella di amici e parenti, le modalità pratiche di rinnovo del permesso di soggiorno, ecc.; lo sguardo non si allarga più in là, verso le posizioni politiche, le leggi o il confronto internazionale... Questo è soprattutto vero per V. e M., che pure sono nati in Italia e hanno da poco acquisito la cittadinanza. Ciò è probabilmente dovuto, a mio parere, oltre che alla giovane età anche alla mancata partecipazione politica. Anche quando il diritto di voto (potente incentivo) viene finalmente ottenuto in seguito alla conquista della cittadinanza, passa in secondo piano davanti alle semplificazioni burocratiche e ai benefici pratici a cui questa permette l’accesso, e viene vissuto più come una concessione risicata che come un diritto guadagnato. CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 72 Y: ”Secondo me [i politici italiani] son chiusi, anche. Verso gli immigrati. [...] Hanno tanta paura di dare una importanza agli immigrati, diciamo. Però a parte questo qua, secondo me la burocrazia è un problema. Però si è migliorato tantissimo in questi anni: adesso c’è il...rinnovo di permesso di soggiorno con sms.” V: ”Io penso... [ride perchè si vede che non sa cosa dire] Io penso...che sia giusto.” - Cosa? ”Come l’Italia...da quanto ne sappia io, eh!, da quanto ne conosco io...un po’ ignoranza... Da quanto ne sappia io...di come lo Stato si rapporta con gli stranieri. ” C: ”Allora...sull’immigrazione sono favorevole per quelli che lavorano e mantengono le loro famiglie. Non è giusto per quelli che vengono qua a delinquere... [...] Cioè, le leggi uguali per tutti, ecco...io non sono per questo. Perchè non è giusto neanche per quelli che sono qui da una decina d’anni, che lavorano e stentano a pagare le tasse...e magari è uguale a quello che è appena venuto! Capito?...” M: ”Non so...io ho chiesto la cittadinanza italiana e l’ho ottenuta subito. E...[i Miei] hanno... la carta di soggiorno, penso...” L’abitudine a non ragionare in termini nazionali e generali, ma solo personali e locali, si intuisce anche nella proposta di soluzioni difficili da mettere in atto, ma che mostrano tuttavia un forte desiderio di distinguersi da quegli immigati che con il loro comportamento gettano cattiva luce sull’intera categoria. Y, sul diritto di voto agli immigrati: ”Secondo me questo sarebbe una cosa...secondo me è il migliore, cosı̀ anche gli immigrati si sentono come cittadini del...del paese in cui vivono. Secondo me è una cosa importante, se venisse approvata. [...] Alle persone che hanno idea, hanno cultura per votare.” - Eh, ma tu non puoi...non possono dire ’ Solo a quelli che hanno cultura diamo il diritto di voto’. O a tutti o a nessuno. La democrazia... ”Allora forse è anche meglio evitare. Perchè ci sono delle persone che non conoscono niente del paese, come fanno a votare? [...] Secondo me possono attivare dei corsi...Cioè, ci sono dei corsi gratuiti di italiano CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 73 verso i cittadini stranieri. Secondo me dentro questi corsi di italiano possono anche praticamente inserire delle cose di cultura, di storia, di queste cose...in modo da far sapere ai cittadini stranieri.” C: ”Io ti dico, quando abbiamo aperto nel ’93 il ristorante, la gente faceva la fila per entrare a mangiare... [...] Eravamo...i secondi, sı̀. [...] Poi son cominciati a venire cinesi dappertutto. Infati ora Prato è come San Francisco di là, insomma Chinatown... Ed è diventato brutto! Cioè, secondo me hanno portato non il bello dei cinesi, ma il brutto. Perchè c’era più delinquenza, poi...le brutte usanze... [...] Arrivare a un’età, tipo quanttordici-quindici anni, quando tu vuoi dimostrare agli altri che fai parte di un popolo ben educato, rispetto per gli altri, di una cultura che ha dei valori...vedere che questa gente, tutte bruttezze...ti senti la vergogna!” La maggior parte dei loro commenti però si appunta spontaneamente sul tema della cittadinanza. Quelli nati qui l’hanno già ottenuta, al compimento della maggiore età, ma spiegano perchè molti cinesi preferiscono non farne richiesta, e mantenere o chiedere solo quella cinese: la doppia cittadinanza infatti non è ammessa dal governo della Repubblica Popolare Cinese, anche se sembra che con alcuni sotterfugi si riesca ad ottenerla (ad esempio prima ottenendo quella cinese e solo in un secondo tempo facendo richiesta di quella italiana. Se non ci sono controlli...). C: ”Noi che siamo qua da anni, cinesi...credo che pochi chiedano la cittadinanza. Diciamo solo quelli nati in Italia, loro chiedono la cittadinanza. Però per noi, fino alla mia generazione, diciamo che...non abbiamo questa cosa qui della cittadinanza perchè...serve solo per facilitare i documenti, si quello sı̀. Però come ’sentire la cittadinanza italiana, sentirsi italiani’, non credo... Anche perchè se vai in Cina devi fare il visto, e quello è una cosa...non è positivo.” M: ”Qua in Italia mi hanno detto, quando ho chiesto la cittadinanza...io volevo chiederla sia italiana sia cinese...qua in Italia mi hanno detto: ’Si, tu puoi chiederla però devi sapere cosa la Cina pensa di questo’. E m’hanno detto che comunque la Cina non accetta il fatto di avere due cittadinanze, ne vuole una sola. Cosı̀ m’hanno detto... Quindi io ho chiesto quella italiana.” CAPITOLO 4. LA RICERCA ESPLORATIVA. 74 In generale si sente comunque un po’ la mancanza di una coscienza politica comune, del gruppo nazionale o delle seconde generazioni in particolare. Cosa che, come vedremo nel prossimo capitolo, associazioni per ora ‘virtuali’ stanno cercando di far nascere a poco a poco. Capitolo 5 Considerazioni conclusive 5.1 Prove di associazionismo in rete: associna.com Prima di concludere, vorrei fare un cenno a una scoperta che ho fatto su internet durante la mia ricerca e che ci proietta verso una possibile evoluzione futura delle seconde generazioni italiane. I ragazzi da me intervistati, come abbiamo visto1 , non nutrono molta fiducia e aspettative nei confronti dell’associazione cinese di Torino, guidata da persone mature e anziane che conducono una politica centrata solo sui propri interessi e che esclude i giovani dalla partecipazione. Credo che questa situazione si riproduca in molte altre comunità cinesi nel paese, dato che è pressochè inevitabile che a gestire gli organi di rappresentanza siano i primi arrivati e i più anziani, quelli che hanno una maggiore esperienza e maggiori conoscenze nel gruppo (anche nella politica italiana d’altronde è ancora cosı̀...). I giovani, da parte loro, sentono però il bisogno di una gestione più dinamica e innovativa dei rapporti con le istituzioni e la società italiana, cercano risposte ai loro nuovi problemi di identità miste e di realizzazione piena nell’ambito lavorativo come politico. Le vie percorribili dalle seconde generazioni per esprimersi sono allora principalmente due: riuscire ad entrare nelle ‘stanze dei bottoni’ delle associazioni tradizionali, obiettivo più difficile e lungo da perseguire; oppure organizzarsi da soli in associazioni alternative, per far sentire la propria voce con i mezzi 1 Cfr. Capitolo 4, Par. 4.8 L’associazione e la comunità cinese di Torino. 75 CAPITOLO 5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 76 e le capacità ‘moderne’ che posseggono. La ‘scoperta’ di cui parlavo prima mi avrebbe confermato la direzione presa. Tempo fa, navigando sulla rete in cerca di notizie sulle seconde generazioni cinesi, mi sono imbattuta in questo sito: www.associna.com Il sottotitolo ha subito risvegliato la mia attenzione: ‘Associazione Comunità Cinese - seconda generazione -’. Tramite questo sito e la sua rete di utenti avrei trovato aiuto per la mia ricerca, e molta disponibilità ad accogliermi.... Esplorando il sito ho capito che Associna era l’embrione web del futuro associazionismo in Italia delle seconde generazioni cinesi: un importante passo, per un paese di recente immigrazione come il nostro. Il sito è infatti una sorta di ‘comunità immaginata’, che aspira ad essere espressione politica e sociale nonchè referente per il dialogo con le istituzioni italiane. Gli scopi della futura associazione sono infatti questi2 : 1) fare da mediatori per incrementare il dialogo tra cinesi ed italiani; 2) promuovere la convivenza pacifica e l’immagine della comunità cinese; 3) tutelare i diritti degli immigrati; 4) informare ed essere informati su tutto quello che riguarda i cinesi e la cultura cinese. Scopi seri, quasi grandiosi se paragonati alla portata odierna di questo sito; ma Associna è un sito giovane, nato nel 2004, e da allora è già cresciuta tanto come numero di utenti e di visitatori, il che fa ben sperare. Nella dichiarazione d’intenti3 viene esplicitata anche l’intenzione di differenziarsi dalle numerose associazioni cinesi, solitamente localiste e formate da primo-migranti : ”Sappiamo che qua e la, vi sono varie associazioni nostrane, ma spesso, i loro soci sono delle persone poco integrate nella società italiana. Noi vogliamo riunire quelle persone che sono, tanto per capirci, della ’seconda generazione’... [...] Cresce in noi, una coscienza politica e sociale sempre più forte, coscienza che richiama la nostra voglia di integrarci e di non esser ingiustamente ostacolati in tale processo.” Mi sembra di sentir echeggiare in queste opinioni quelle dei ragazzi torinesi intervistati da me... 2 3 Fonte: Chi siamo, in www.associna.com Scopo di Associna in www.associna.com CAPITOLO 5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 77 Interessante è l’apertura del sito (e della futura associazione quindi?) anche ai non-cinesi: l’unico requisito è l’interesse per le tematiche trattate. Il cuore del sito è il forum: molto frequentato e pieno di sezioni, dove si può scrivere veramente di tutto e su tutto a patto di non scadere nella volgarità (il controllo sui messaggi postati viene fatto con sistematicità). Qualche esempio dei titoli delle sezioni: arte e cultura, pensieri, storia, sfoghi, diritti dell’immigrato, richieste di aiuto, quattro chiacchere in cinese, poesie, news... Una domanda sorge però spontanea: un conto è chiaccherare su internet con altri ragazzi cinesi, un altro è impegnarsi attivamente per creare un’associazione reale. C’è da sperare che, quando arriverà il momento di realizzarla, il sito e i suoi gestori avranno guadagnato abbastanza credibilità e conoscenze tra i ragazzi cinesi di seconda generazione per farcela. I due meeting organizzati annualmente hanno avuto un discreto successo, e questo è sicuramente positivo. D’altronde sfogliando la lista utenti si vede che rispecchia bene la geografia delle comunità cinesi in Italia (anche se non tutti hanno indicato la località d’origine): la maggior parte sono di Roma e Milano, ma ci sono presenze anche da Torino, Padova, Prato, Firenze, Modena, Cesena, Ferrara, Cagliari, Bari, ecc. Questo vuol dire che non rispecchia interessi localistici e che gli argomenti che tratta interessano trasversalmente i ragazzi appartenenti a diverse comunità cinesi d’Italia. Accanto al forum la parte del sito più interessante e vivace è quella degli articoli. Sono scritti dagli utenti su argomenti vari, solitamente sulla situazione italiana più che su quella cinese (cronaca, ricerche, politica, immigrazione, ecc.), e visionati e selezionati dagli autori prima di essere pubblicati sul sito. La particolarità sta nella possibilità di commentarli e leggere i commenti altrui, cosı̀ da rendere anche l’attualità ‘interattiva’. Molti articoli protestano contro gli stereotipi negativi sui cinesi, diffusi dai media italiani spesso senza curarsi troppo della loro fondatezza; un buon numero poi sono sulla questione della cittadinanza, su discriminazioni varie e mancanza di diritti in entrambi i paesi. Ogni utente può anche proporre dei sondaggi, per conoscere le opinioni o CAPITOLO 5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 78 le abitudini della comunità. Pur non essendo per niente rappresentativo di tutti i cinesi di seconda generazione in Italia, vi propongo i risultati di uno4 , postato mesi fa, che chiedeva a ogni utente se frequentava amici di nazionalità diversa dalla propria. I risultati sono ad oggi questi: il 45% si è identificato nell’ opzione ‘Spesso, sono i miei migliori amici’; il 35,6% in ‘A volte, ma frequento anche amici connazionali’; il 15% asseriva di farlo ‘raramente; mentre il 4,6% di non farlo ‘mai’. La presunta chiusura della comunità cinese sembrerebbe svanire, se fossero confermati risultati simili su una scala maggiore, nel momento in cui si restringe il campo alle seconde generazioni. Tra i link si trovano occasioni di approfondimento sulla multietnicità e i diritti degli immigrati, ma anche il collegamento al sito italiano più generalista: www.secondegenerazioni.it Anch’esso è un esperimento associativo sul web, e sta dando buoni frutti: ad esempio da poco un cortometraggio realizzato da una regista con i ragazzi del sito ha vinto il ‘Premio Moustafà Souhir per la multiculturalità nei media’5 . Tuttavia, come Associna, deve allargare ancora molto la propria presenza sulla scena... Insomma, sembra proprio che le seconde generazioni italiane abbiano trovato nel web, spazio non colonizzato dalle generazioni precedenti, il terreno fertile per metter a dimora e far crescere i semi dell’associazionismo e della partecipazione sociale e politica futura, in attesa che si trasformino in una rete reale e non solo virtuale di collegamento tra loro. Hanno infatti tutte le capacità (a differenza spesso dei primo-migranti) e tutto i diritti di far sentire la loro voce nel dibattito politico, essendo spesso italiani a piano titolo o volendo diventarlo, o comunque vivendo nel nostro paese regolarmente da una vita. Sono i primi a vedere, perchè le hanno vissute sulla loro pelle, le difficoltà e le modalità dell’inserimento in Italia, e a poter dare un contributo proficuo per migliorarlo. Mi auguro quindi che questo processo non si arresti e prosegua con successo. 4 5 Fonte: Sondaggi, in www.associna.com Fonte: www.secondegenerazioni.it CAPITOLO 5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 5.2 79 Tirando le fila... Questa tesi vorrebbe essere, per quanto modesta, un ‘punto della situazione’ su un argomento, i cinesi di seconda generazione, che ha visto per ora poche ricerche monografiche in Italia. A diversità di altri gruppi nazionali, infatti, i cinesi sono ‘silenziosi6 ’ e poco appariscenti nel panorama composito degll’immigrazione italiana: non sono coinvolti in attività illegali ‘in vista’, come la prostituzione o lo spaccio, che rendono certi gruppi noti all’opinione pubblica tramite i media7 ; non sono solitamente occupati in lavori alle dipendenze di italiani o in concorrenza con essi, e questo evita tensioni (escluso il caso del distretto manifatturiero di Prato, dove la forte concentrazione è un fattore scatenante) e smorza l’interesse nei loro confronti. Inoltre, nonostante siano una delle componenti di più antica presenza sul territorio, non si sono organizzati per far sentire la loro voce nella società italiana, e la solidarietà molto alta all’interno delle comunità fa sı̀ che la maggior parte dei problemi venga di solito risolta al loro interno. L’unica loro tendenza che potebbe provocare paure e pregiudizi nel senso comune è quella manifestatasi in altri paesi a vivere vicini, concentrati in zone a seconda della provenienza geografica e isolati dalla società circostante, nonchè quasi autosufficienti economicamente. La tendenza a formare delle ‘enclave etniche’, le Chinatown americane per intenderci. In Italia niente di simile si è ancora realizzato8 , anche se è indubbio che esistano nelle grandi città come Milano o Roma dei quartieri marcatamente cinesi. Le seconde generazioni rappresentano invece un interesse disciplinare recente in Italia, e le ricerche sono comprensibilmente orientate a dare una visione olistica del fenomeno. Tuttavia uno sguardo comparatisticamente 6 Cfr. titolo di: Campani, Carchedi e Tassinari, a cura di, L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia., cit. 7 Anche se in alcuni casi si è parlato della presenza di organizzazioni criminali cinesi, riconducibili o collegate alle cosiddette ‘triadi’. I risultati delle attività investigative di forze dell’ordine e magistratura hanno tuttavia finora ridimensionato la portata di questo allarme 8 Il caso che più si avvicina all’esperienza americana è forse quello di Prato, anche se le peculiarità di distretto industriale lo rendono unico. CAPITOLO 5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 80 orientato, non solo al confronto tra paesi diversi di immigrazione ma anche a quello tra le diverse componenti nazionali, può aiutare a non cadere nelle trappole della generalizzazione ‘macro’ mantenendo il contatto con la dimensione ‘meso’, se non ‘micro’. Nonostante l’esiguità numerica, infatti, le interviste presentate in questo lavoro hanno mostrato l’importanza dell’ambiente familiare e della storia personale dei soggetti per spiegare molte loro scelte. Il futuro della seconda generazione è molto condizionato dalla discendenza dalla prima, anche se per fortuna ovviamente non incatenato da essa. La possibilità concreta di poter vivere dignitosamente in questo paese, dove sono nati o cresciuti e a cui sentono di appartenere come e più che a quello d’origine, farà la differenza nelle prospettive future dei giovani di seconda generazione. Il desiderio di sentirsi pienamente italiani, unito alla diversità che li arricchisce e ne amplia le vedute, sono all’origine di un nascente desiderio di partecipazione e intervento nella società che sta dando origine alle prime forme di associazionismo secondo-generazionale e che va incentivato perchè porta a un’integrazione positiva anche delle generazioni future. L’Italia deve prendere coscienza di essere ormai un paese di immigrazione, e smettere di pensare in termini di ‘stato d’emergenza’ se vuole davvero realizzare politiche utili e durature in materia. I giovani immigrati, non solo cinesi, sono una forza economica e sociale che può essere sapientemente conquistata e valorizzata dallo Stato italiano oppure ignorata, condannandola a un futuro incerto e fonte di sicuri problemi. Bibliografia ANDALL, J. [2003] Italiani o stranieri? La seconda generazione in Italia, in G.Sciortino e A.Colombo (a cura di) Stranieri in Italia. Un’immigrazione normale, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino. AMBROSINI, M. [2004] Il futuro in mezzo a noi, in M.Ambrosini e S.Molina (a cura di) Seconde generazioni, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino. - [2005] Sociologia delle migrazioni, il Mulino, Bologna. AMBROSINI, M. e MOLINA, S. (a cura di) [2004] Seconde generazioni. Un’introduzione al futuro dell’immigrazione in Italia, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino. BARANCANI, N. [1994] La seconda generazione nella migrazione cinese in Toscana: scuola e integrazione sociale, in G.Campani, F.Carchedi e A.Tassinari (a cura di) L’immigrazione silenziosa. 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