Terenzio Cozzi Valli su Cina e India Il libro di Valli su Cina e India

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Terenzio Cozzi Valli su Cina e India Il libro di Valli su Cina e India
Terenzio Cozzi Valli su Cina e India Il libro di Valli su Cina e India tratta di due importanti casi di rapido sviluppo economico a cavallo del 200 e 210 secolo. Ne tratta con vera maestria sia nell’analisi di ciascun caso sia nel loro confronto. Il libro ha avuto una lunga gestazione nel corso della quale è cambiato moltissimo nell’evoluzione mondiale dei sistemi economici, politici, sociali, militari, ecc.. Basti pensare che al tempo della prima visita di Valli in Cina nel 1982 non era ancora caduto il muro di Berlino; non c’era stata l’unificazione tedesca; era da pochi anni iniziata la corsa delle tigri asiatiche; il processo di globalizzazione e internazionalizzazione stava grandemente rafforzandosi e incominciava a riguardare, sia pur in misura ancora limitata, Cina e India; la Cina aveva appena raggiunto il livello di reddito pro capite dell’India e in entrambe dominava l’assoluta povertà. Tutto dunque stava rapidamente cambiando e imponeva la necessità di accumulare dati e informazioni sull’evoluzione del vecchio e sull’introduzione del nuovo. Non si trattava solo di dati e informazioni di natura strettamente economica ma di natura molto più ampia, come si addice alle trattazioni di political economy oggi malauguratamente trascurate a favore delle analisi di economics che spesso non sono altro che elucubrazioni matematicamente raffinate che non possono assolutamente dar conto della complessità dei processi di evoluzione economica e sociale. La documentazione raccolta con grande impegno e acribia da Valli riguarda, oltre agli aspetti economici, quelli relativi all’evoluzione storica, politica, militare, sociale, demografica, di genere, di gruppi etnici, di inquinamento, di corruzione, ecc.. Vittorio riesce nel non facile compito di tenere assieme una mole così ampia di informazioni e dati, facendoli 1 interagire tra loro per ottenere alla fine un quadro valutativo ordinato e coerente. Il volume inizia con una rapida, ma ben meditata, introduzione sull’evoluzione dell’economia mondiale dal secondo dopoguerra a oggi. Di tutti i principali paesi vengono esaminate le caratteristiche evolutive essenziali, i rapporti di causa ed effetto, i cambiamenti di quantità e qualità delle diverse variabili così da far emergere quanto di positivo e quanto di negativo abbia caratterizzato l’effettivo processo di sviluppo. L’introduzione gli fornisce anche l’occasione di illustrare alcuni aspetti di teoria che gli saranno utili nella trattazione successiva. Mi riferisco alla definizione rigorosa di ascesa economica relativa o di declino economico relativo, dei vantaggi dell’arretratezza economica teorizzati da Gerschenkron, del modello di crescita fordista, della globalizzazione economica e finanziaria. L’aggiunta della guida della teoria all’ampia mole di informazioni e dati atti a permettere analisi di economia politica per periodi lunghi, avvicina la metodologia della trattazione a quella che Hicks indicava come teoria della storia. Sono curioso di sapere se Vittorio, che ha conosciuto Hicks anche per tradurne in italiano Capital and Growth, si ritrovi in questo mio avvicinamento del suo libro al criterio hicksiano di teoria della storia. Passo ora al capitolo 2 che tratta della Cina. Dopo la presa del potere da parte di Mao nel 1949, per oltre un quarto di secolo la crescita economica ha avuto alti e bassi. Sono state determinanti le vicende politiche: dopo i buoni risultati ottenuti con l’iniziale conduzione economica lungo linee di pianificazione di tipo sovietico, si ebbe il disastro del periodo 1958‐60 detto del “grande balzo in avanti”. La ripresa e il riaggiustamento successivo, politicamente meno condizionati per l’avvenuto indebolimento di Mao, furono nuovamente arrestati dalla “rivoluzione culturale” (1966‐69). Ripresero soltanto con il ritorno a una programmazione di tipo normale che arriva fino al 1977 con 2 l’eliminazione della “banda dei quattro” e la riabilitazione di Deng Xiaoping. Per illustrare gli aspetti principali dell’evoluzione politico‐sociale del periodo, Valli elabora il concetto di triplice mix. Si è passati da un ruolo prevalente del mercato, dell’imprenditoria privata e delle decisioni economiche decentrate a una economia pianificata, con prevalente proprietà pubblica e con decisioni centralizzate. Anche per l’India, negli stessi anni della Cina, l’evoluzione politica è stata determinante. Dall’immediato dopoguerra fino al 1964, Nehru dovette affrontare grandi difficoltà nella conduzione politica con anche alcuni episodi bellici. Politicamente puntò al rafforzamento del regime democratico, economicamente su una economia mista con qualche elemento di socialismo. Era molto elevato il peso delle imprese private con caratteristiche tipiche dell’economia informale. Fu attuata una politica protezionistica per favorire la sostituzione delle importazioni; ci fu un inizio di riforma agraria che però non migliorò di molto le condizioni degli agricoltori più poveri; la programmazione economica fu caratterizzata da eccessi burocratici; la crescita complessiva può essere considerata decente. Dopo la morte di Nehru, per un paio d’anni prevalse l’instabilità politica e l’economia andò molto male. Con il governo di Indira Gandi, si tornò a impostare alcune delle politiche di Nehru e l’economia ritornò a una crescita decente. L’economia di entrambi i paesi è stata dunque fortemente condizionata dall’evoluzione politica. Né l’uno né l’altro paese ha potuto realizzare le condizioni per soddisfare il criterio dell’ascesa relativa. Ma la Cina ha fatto meglio dell’India avendola raggiunta e superata in termini di reddito pro capite. Un regime comunista ha battuto un regime democratico, con buona pace di Tabellini. Ostacoli di vario genere, come ad es. l’eccesso di burocrazia e di regolamentazione per le imprese di grande e media dimensione, hanno presumibilmente impedito alla 3 democrazia di portare frutti benefici. Ma rimane il fatto che il maggior dirigismo cinese ha portato a risultati migliori. È una riprova del fatto che in situazioni diverse la stessa variabile (economica o meno) può operare in modo diverso e portare a conseguenze diverse. A questo proposito, mi viene in mente che nel maggio del 2008, la Commission on growth and development, finanziata dalla World Bank e da molti governi, ha presentato il suo Growth Report dove si legge: “Non conosciamo le condizioni sufficienti per la crescita. Possiamo indicare le caratteristiche delle economie che hanno registrato successi nel periodo post bellico, ma non possiamo indicare con certezza i fattori che ne hanno suggellato il successo e quelle che, se assenti, non lo avrebbero precluso”. Dalla fine degli anni 70 per la Cina e dalla seconda metà degli anni 80 per l’India ha preso avvio la fase dell’ascesa relativa che dura fino ai giorni nostri. Che cosa è cambiato rispetto a prima? Il triplice mix cinese ha incominciato a operare in modo contrario a prima: è aumentata l’importanza del mercato, quella della proprietà privata e quella delle decisioni decentrate. Sono dunque state attuate alcune riforme che hanno in una certa misura avvicinato il sistema a condizioni di economia di mercato. Non c’è invece stato alcun sensibile cambiamenti in senso democratico. Come in Cina, anche in India sono state introdotte alcune riforme che hanno reso il sistema economico un po’ più libero con qualche regolamentazione in meno. Il regime politico è rimasto democratico. Per entrambe le economie l’evoluzione viene descritta e interpretata dal modello di crescita fordista. Le nuove forme della organizzazione del lavoro, della produzione, delle relazioni industriali ecc. hanno l’effetto di far crescere la produttività in misura tale da consentire cospicui aumenti di salari e profitti assieme a riduzioni dei prezzi di beni di consumo, con effetti particolarmente favorevoli sulla crescita. Ancora una volta la Cina ne ha beneficiato più dell’India, non solo per più lungo 4 tempo. Il gran peso dell’economia informale ha giocato a sfavore dell’India; ma forse non è stato il solo aspetto negativo. L’ingessatura delle imprese grandi e medie derivante dall’eccesso di regolamentazione ha avuto decisamente un ruolo di freno. Sono mancate le riforme di liberalizzazione e di governance atte a dare alle imprese maggior dinamismo. Questa mancanza sembra aver avuto effetti più deleteri del dirigismo del piano cinese. È un qualcosa che ci fa pensare ai danni che abbiamo in Italia per la mancata liberalizzazione di molte attività di servizio, un aspetto che viene regolarmente denunciato dalla Banca d’Italia oltre che dall’autorità antitrust. La Cina ha fatto meglio dell’India anche sul terreno dei benefici che un paese arretrato (come si diceva una volta invece di paese in via di sviluppo) può ottenere proprio a causa della sua arretratezza. Un primo beneficio deriva da un effetto di composizione: il passaggio di un lavoratore da un settore caratterizzato da produttività molto bassa (tipicamente agricoltura) a uno a produttività molto più elevata (industria o certe attività di servizio) fa crescere notevolmente il livello medio della produttività. Un secondo beneficio riguarda la possibilità di importare le tecnologie più avanzate che fanno fare alla produttività un salto dimensionale. Una parte rilevante del divario a favore della Cina e negativo per l’India si può spiegare con la partenza ritardata di quest’ultima. Ma, ancora una volta, mi sembra si debba tirare in ballo anche un minor dinamismo industriale indiano, un più debole animal spirit di cui almeno io non so trovare spiegazione. È un problema di istruzione, di casta, o di che cosa? Vittorio, puoi soddisfare questa curiosità. Se non mi ricordo male, quando Gerschenkron introduceva il concetto dei vantaggi dell’arretratezza economica, trattava anche ampiamente di un requisito necessario a far partire il processo che poi avrebbe potuto realizzare quei vantaggi. Il requisito era quello 5 dell’accumulazione originaria. Presumibilmente, questo problema non si è posto per la Cina dove c’è sempre stato un livello molto elevato della propensione al risparmio. Ma per l’India la situazione era diversa fin dall’inizio e tale è rimasta anche dopo. Certamente non è riuscita a investire con lo stesso ritmo della Cina ma ha comunque investito parecchio. Molto capitale deve essere venuto dall’estero. Sono aumentati gli investimenti diretti dall’estero ma deve anche essere aumentato, e non di poco, il debito estero. L’importazione di capitali dura da molto tempo, da prima che prendesse avvio il processo di crescita rapida. Perché allora l’innesco della crescita non si è verificato prima? L’ovvia risposta è che non erano ancora state introdotte le riforme che avrebbero sbloccato il sistema. Ma, di per sé, le riforme non fanno aumentare la produzione; facilitano e rendono possibile l’aumento che però, per realizzarsi, ha bisogno di qualcos’altro ad es. del traino della domanda. In India la domanda c’era: lo dimostra il continuo e consistente disavanzo di parte corrente della bilancia dei pagamenti. Se volessimo trarre un insegnamento per l’Italia di oggi dovremmo dire che le riforme auspicate dalla UE e dalla BCE per essere appieno utili debbono essere accompagnate dall’eliminazione o almeno da un forte contenimento della politica di austerità. Ai notevoli effetti positivi della rapida crescita di Cina e India si sono contrapposti anche diversi effetti particolarmente negativi. È decisamente peggiorata la distribuzione del reddito e della ricchezza che ha raggiunto e superato in iniquità quella della gran parte dei paesi industrializzati e anche degli Stati Uniti. È aumentato il divario delle condizioni di vita tra città e campagna. È aumentato l’inquinamento e il deterioramento dell’ambiente. Le politiche di welfare e la sicurezza sul lavoro sono rimaste in condizioni particolarmente deplorevoli. Su questi aspetti, pessimi per entrambi, la Cina ha fatto molto peggio dell’India. La corruzione rappresenta un grande problema per ambedue i paesi. Il valore degli indicatori riportati da Valli gli fanno affermare che la Cina sta 6 marginalmente meglio dell’India. Ho qualche dubbio. L’acquisto per 170 milioni di dollari del quadro di Amedeo Modigliani il nudo sdraiato da parte di un ex taxista mi fa pensare molto male. Inoltre, un paio di settimane fa, chiacchieravo di Cina con Romano Prodi che mi diceva che, dopo alcuni scandali che avevano coinvolto anche un primo ministro, le prenotazioni e gli acquisti di Ferrari in Cina erano di colpo andate a zero. Ma, continuava anche dicendo che la ripresa delle vendite sarebbe ritornata nel giro di qualche mese. Per quel che riguarda la demografia, la politica del figlio unico sta già mettendo in difficoltà la Cina che infatti ha ora deciso di cambiarla. Il rapido invecchiamento della popolazione minava infatti alla radice non solo il welfare ma anche le prospettive di crescita. L’India non ha invece il problema dell’invecchiamento. Ne ha però altri che derivano dalle differenze etniche e dalle divisioni in classi. E ha notevoli difficoltà per la grande diffusione dell’occupazione precaria e per il gran numero di persone in condizioni di povertà assoluta. Completamente diverse tra le due nazioni rimangono le istituzioni politiche: in India c’è la democrazia, in Cina no e niente fa pensare che la situazione possa cambiare in tempi ragionevolmente brevi. Che prospettive ci sono? L’incertezza è molto grande. Valli molto tentativamente prevede un possibile rallentamento dei ritmi di crescita, prima per la Cina e poi per l’India. Per il resto, vale a dire per la qualità della vita e per la soluzione dei più evidenti problemi che hanno caratterizzato in senso negativo il lungo periodo della rapidissima crescita, tutto è avvolto nell’incertezza. Valli indica molto bene quello che sarebbe opportuno accadesse. Ma non può fare previsioni attendibili sull’effettivo accadimento e deve limitarsi solo agli auspici. E io sono in pieno accordo con lui. 7