Il pensiero della bellezza 1 Che cos`è il bello? Quali sono le cose

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Il pensiero della bellezza 1 Che cos`è il bello? Quali sono le cose
Il pensiero della bellezza 1
Che cos’è il bello? Quali sono le cose belle e quale è, in che cosa consiste l’esperienza che
procurano? Il pensiero occidentale fin dalle sue origini si è posto questo interrogativo,
intuendo di avere a che fare, ponendoselo, con qualcosa di molto, molto importante per
l’uomo e per la comprensione della condizione umana.
La bellezza di Elena è stata - secondo il mito – la causa di una lunga guerra sostenuta dagli
Achei e della distruzione di Troia. I Troiani, a loro volta, hanno affrontato addirittura il
pericolo – poi avveratosi – di essere annientati pur di non dovervi rinunciare.
Si è disposti a morire per ciò che è necessario per vivere. Dunque – si può dire – la bellezza
è qualcosa di essenziale e “culminante” nella vita, a cui non si può rinunciare senza
perdere con questo la possibilità di coglierne l’essenza. Così dovevano pensare Greci e
Troiani, quando mettevano a repentaglio la loro vita e la loro stessa città per la bellezza.
“Ti kalliston?” Si chiede un detto pitagorico (che cosa c’è di più bello?). E si risponde:
“harmonia”.
Il bello per i Pitagorici è esattamente questa perfezione di una cosa, che consiste
nell’armonia (“connessione”, il verbo “ harmottein”, da cui viene “harmonia”, vuol dire
connettere) delle sue parti.
Platone chiama “kallipolis” (città bella) il suo progetto di città e intende indicare con ciò
che è ben congegnata, ben costruita e armonizzata nelle sue parti.
Il concetto di armonia ha avuto un ruolo enorme nello sviluppo della nostra civiltà: per la
prima volta l’uomo ha cominciato a pensare all’ordine non come dominio assoluto e
schiacciante di una parte sulle altre, ma come equilibrio di parti che si può considerare
per se stesso. L’esperienza della sua bellezza si fa con la con - templazione, con
l’osservazione dell’universo, nella totalità (cum) della sua “stanza” celeste, del suo
“tempio” (cum - templum).
L’armonia dell’universo, la simmetria, cioè le misura appropriate tra le parti, e l’euritmia,
cioè ritmo esatto e dalle corrette proporzioni, comunicano in chi le percepisce un senso
di perfezione il cui consiste il senso del bello. Il bello è dunque il perfetto (téleion).
La concezione antica del bello rimane sostanzialmente questa per tutta l’antichità. Alla
contemplazione della bellezza si giunge per gradi, perché inizialmente l’uomo si fa
attrarre dalla prima cosa bella che incontra:_
“…ma in seguito deve comprendere che la bellezza di un qualsiasi corpo è sorella a quella
di ogni altro e che, se deve perseguire la bellezza sensibile delle forme, sarebbe insensato
credere che quella bellezza non sia una e la stessa in tutti i corpi. Convinto di ciò, deve
diventare amoroso di tutti i bei corpi e allentare la passione per uno solo, spregiandolo e
tenendolo in poco conto. Dopo di ciò giunge a considerare che la bellezza delle anime è più
preziosa di quella del corpo, cosicché, se qualcuno ha l’anima buona ma il corpo fiorisce di
poca bellezza, egli ne sia pago lo stesso, lo ami, ne sia premuroso, e produca e ricerchi
ragionamenti tali da rendere migliori i giovani e per essere spinto poi a contemplare la
bellezza nelle attività umane e nelle leggi..” 1
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Platone “Simposio” 210, a – c.
Alberto Madricardo – Il pensiero della bellezza 2016-2017
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La bellezza è diversa dalle cose belle, pur essendo presente in esse. L’uomo che non è
educato alla perfezione non sa cosa sia la bellezza ed è attratto ora da questa ora da quella
cosa bella, ma vedendosela poi mutarsi tra le sue mani. Nessuna cosa bella è bella sempre
ed in ogni condizione. Solo la bellezza in sé - il su éidos (la sua idea) - è per Platone sempre
bella.
Aristotele condivide e precisa le condizioni per cui una cosa può essere definita bella:
Ciò che è bello, sia un animale sia ogni altra cosa costituita di parti, deve avere non soltanto
queste parti ordinate al loro posto, ma anche una grandezza che non sia casuale; il bello
infatti sta nella grandezza e nell’ordinata disposizione delle parti”2
Se percepire cose belle è facile, l’apprendimento della bellezza richiede un’educazione
lunga e difficile. Dall’iniziale desiderio di possesso della cosa bella si passa alla quieta
contemplazione della bellezza in sé, che, se è in un corpo o in una cosa particolare, non
s’identifica mai con essi. L’uomo educato vede nella cosa bella la bellezza.
Allora si può dire che mentre nessuna cosa bella è necessaria, soltanto la bellezza in sé lo
è per la vita.
Per i Greci bontà e bellezza indicano ancora circa la stessa cosa, anche se non sono
sinonimi (originariamente non c’era distinzione tra buono e bello, e anzi il termine “bello”
viene da un antico diminutivo di buono3).
I Greci chiamavano “kaloi kai agathoi” (belli e buoni) gli uomini tra loro più riusciti e
ammirevoli, e non per esempio, “bruni e gentili”, o “forzuti e sorridenti”, ecc. perché
ritenevano che quella della bellezza e della bontà fossero le qualità cruciali in un uomo.
Ma già riguardo alla figura di Elena si fa strada il dubbio che essa, per quanto bella, non
fosse anche buona. Ha inizio quella divaricazione tra bene bello che porta l’uno verso la
moralizzazione, l’altro verso l’estetizzazione.
Lo sviluppo del concetto di buono dal senso relativo di “utile a qualcuno o qualcosa” verso
il suo significato morale (buono è ciò che compie il bene non per altro che per se stesso,
come dirà Kant), va di pari passo con la concezione del bello, inteso in senso estetico, nel
senso cioè in cui lo intende S. Tommaso d’Aquino: “pulcrum est id cuius aprehensio placet”
(“è bello ciò la cui percezione suscita piacere”).
Ma è interessante rilevare che il significato dei due termini si è via via differenziato, specie
in età moderna.
Che cosa sia il bello è per noi difficile da afferrare che cos’è, da definire. Bello è una parola
jolly, si può mettere dappertutto, può avere infinite sfumature di significato. Qualcuno ha
cercato di enumerare i vari significati possibili di bello4.
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“Poetica”
Bello viene dal diminutivo di un antichissimo termine usato per definire il buono (duenus duenulus).
4 Vedi scheda allegata, tratta da Ogden e Richards “Il significato del significato”, Mondadori, Il
Saggiatore, Verona 1966, p. 168.
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