la invidia uccide

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la invidia uccide
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L’invidia uccide
Natale celebra la nascita di Gesù: gli angeli, il Gloria, la bontà, i pastori, la delicatezza, la
tenerezza e l’amore. Il giorno successivo si celebra l’altra faccia del Natale, del nascere.
Nascere, far spazio a Dio, è conflitto, lotta, sangue, martirio. Si celebra Stefano, il primo
martire. Ma perché proprio il giorno dopo Natale? E’ come dire: “Ecco cosa accade quando
Gesù nasce nel cuore dell’uomo; ecco la forza, l’energia e la passione che Gesù infonde, emana,
trasmette, ed ecco fin dove può portare”.
Stefano compie prodigi, parla sapientemente, fa miracoli, guarisce le persone. Allora i
Cirenei, gli Alessandrini e altri della Cilicia e dell’Asia disputano con Stefano. Ma poiché
Stefano è troppo sapiente, poiché non riescono a vincerlo, poiché Stefano è più di loro, dicono
(sentite cosa dicono): “Lo abbiamo udito pronunciare espressioni blasfeme contro Mosè e
contro Dio”. E così sollevano il popolo, gli anziani, gli scribi, gli piombano addosso, lo catturano
e lo trascinano davanti al sinedrio. Presentano quindi dei falsi testimoni che dicono: “Costui
non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge”. (At 6,11-13).
Perché non hanno detto la verità? “Stefano è più sapiente di noi; Stefano è più bravo di
noi; Stefano sa più di noi; Stefano è più innamorato di Dio di noi; Stefano ha doti migliori delle
nostre; Stefano ha una personalità più forte di noi”. E invece no, non accettano che qualcuno li
superi. Sono invidiosi, non ammettono la realtà, la deformano, la girano, e lo accusano di
falsità.
Nella vita dobbiamo accettare che alcune persone abbiano più di noi: perché dovremmo
essere i primi noi? Nella vita dobbiamo accettare che alcune persone siano più dotate o
intelligenti di noi: perché lo dovremmo essere noi? Nella vita dobbiamo accettare che alcuni
siano più fortunati di noi: perché dovremmo esserlo noi? Nella vita dobbiamo accettare che, su
alcuni settori, altri abbiano più di noi. E’ ovvio, è normale. E non per questo siamo da buttare o
facciamo schifo o siamo incapaci.
Vedete cosa produce l’invidia: falsa la realtà e la distorce. Non dicono: “Stefano ci ha
zittiti; Stefano ha ragione; Stefano la sa più lunga di noi”. Siccome vorrebbero essere come
Stefano, e non lo sono, lo accusano di cose che non c’entrano niente.
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L’invidia non porta a niente: invece di sviluppare quello che abbiamo, quello che siamo,
quello che possiamo far crescere, vivere, diventare, noi vogliamo quello degli altri. E ci
sentiamo sfortunati, “sfigati”, delle vittime.
L’invidia è l’atteggiamento di chi non vuole sviluppare quello che ha, perché è faticoso e
guarda sempre gli altri, e li accusa, li attacca.
L’invidioso non crede in sé e se la prende con gli altri. Dice: “Siccome io non riesco ad
alzarmi, abbasso tutti gli altri”.
Chi invidia non si modifica, non vuole cambiare, è arrabbiato solo perché gli altri hanno più
di lui. E, invece, dovrebbe essere arrabbiato con sé, visto che non sviluppa ciò che ha. L’invidia
è una sentenza di morte verso se stessi: “Non valgo niente; potessi essere come gli altri”.
“Non è vero che non vali! Non è vero che non hai niente! Guardati bene…”.
Invidiare gli altri vuol dire ammettere il proprio fallimento. Smettila di guardare gli altri:
guardati dentro e tira fuori quello che sei. Il problema dell’invidioso non è che ha poco, ma che
si sente poco. Non che non ha niente, ma che si sente niente dentro.
E’ così: smettila di guardare gli altri; vivi e sviluppa quello che sei e quello che hai. La donna
bella, agli occhi dell’invidiosa, è un’oca. L’uomo intelligente, agli occhi dell’invidioso, è un
“saputello”. La persona riuscita, agli occhi dell’invidioso, è una che nasconde gli altarini. Il
personaggio che arriva al successo, agli occhi dell’invidioso, è un “paraculato”, uno che ha avuto
“le conoscenza giuste”.
Perché quando io non sono felice, non posso sopportare chi lo è. Quando io non sono
realizzato, non posso accettare quelli che lo sono: “Loro sì che sono fortunati! Anch’io al loro
posto! Se avessi io quello che hanno loro!”.
La frustrazione, la rabbia di questi uomini diventa “cattiva”, uccide. L’incapacità di questi
uomini di accettare la personalità più saggia, più felice, più libera di Stefano, produce morte.
Chi invidia, uccide! E Dio ci chiamerà a rendere conto di tutto ciò che abbiamo detto a vanvera
per ferire intenzionalmente gli altri, per metterli in cattiva luce, per infangarli, per
“sputtanarli”.
Perché io sono responsabile delle mie parole. Di tutte le mie parole. Una parola detta è
detta; è come un sasso tirato: chi colpisce, colpisce. E’ come un colpo di fucile: se colpisce
qualcuno lo uccide. Non si può più tirare indietro.
In un paese c’è un uomo molto ricco. Siccome tutti ne sono gelosi, si è sparsa la voce che
sia un mafioso. Perché non dire la verità: “Oh, piacerebbe anche a noi avere così tanti soldi.
Non li abbiamo. Beato lui che li ha!”.
Più dentro di me c’è insoddisfazione per la mia vita, più invidierò quella degli altri. Più la
invidio e più gli odio. Più gli odio e più gli attacco, mettendo in luce tutto ciò che non va. Ma il
problema non è nell’altro è dentro di me.
Gli uomini vi potranno dire un sacco di cose, ma voi non dimenticatevi mai questa regola: più
l’uomo ha paura e meno è certamente radicato in Dio. E più l’uomo è radicato in Dio e meno ha
paura.
Allora, dicono gli Atti: “proruppero in grida altissime turandosi gli orecchi”. Quante volte
succede così! Chi ti accusa non ti ascolta, non gli interessano le tue ragioni, le tue motivazioni,
non gli interessa la tua verità, la tua posizione, quello che hai da dire. Neppure ti ascoltano!
Molte persone ti dicono: “Dì quello che vuoi tanto si fa come dico io; tanto ho ragione io;
tanto tu non capisci niente”. La maggior parte della gente non ti sta ad ascoltare: vuole solo
convincerti, vuole vincere, discute non per capirsi ma per dimostrare che ha ragione. C’è chi
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prende e se ne va. C’è chi non dice una parola. C’è chi ti urla sopra. C’è chi si chiude e non ti
ascolta più: ecco il “turarsi le orecchie”.
La maggior parte delle persone ha già deciso chi sei e si è già turata le orecchie: niente la
smuove. Se fai una cosa bianca non va bene, ma se la fai nera non va bene neppure. C’era una
canzone che diceva: “Se sei buono ti tirano le pietre; se sei cattivo ti tirano le pietre”.
E poi lo lapidano, si scagliano con tutta la violenza e l’odio e gli scaricano addosso le pietre.
Tutto l’odio che covavano dentro lo scaricano addosso a Stefano.
Chi sono quelli dello stadio se non persone fortemente frustrate che si scaricano? Chi sono
quelli che dicono male di tutti se non persone fortemente frustrate che scaricano le loro
pietre addosso agli altri?
Ogni qualvolta che noi non ci prendiamo cura di noi, del nostro malessere, della nostra
sofferenza, delle nostre ferite, queste finiscono “scaricate” addosso a qualcuno: ai figli, ai
colleghi, ai dipendenti, agli amici, alle figure che hanno autorità. In ogni caso feriamo e
uccidiamo.
Quello che noi facciamo o diciamo, parla sempre di noi. Chi parla male degli altri sta
parlando di sé e del suo negativo. Chi bestemmia, parla della sua frustrazione che ha dentro.
Chi urla, parla delle sue urla (silenziose, non ascoltate) che ha dentro. Chi spettegola e sparla
degli altri, parla della sua mancanza di fiducia di sé. Chi vede solo marcio, è perché lui dentro
è marcio. Dentro di sé è invidioso, anche se non vorrebbe vedere tutto questo, e per
nascondersi questo suo lato si è indurito, è diventato una persona rigida, dura, secca.
Se un uomo vende i suoi ideali per i soldi, per la paura, per il compromesso, per il quieto
vivere, ma che uomo è? Perché un uomo vale non per ciò che dice di credere, di professare, ma
per quanto è disposto a pagare per ciò che vive e dice di credere. Se non sei disposto a pagare
niente vuol dire che non ti interessano.
La vita di Gesù non fu affatto né semplice, né facile, né lineare, né tutta casa e chiesa. Fu
sempre una lotta, uno scontro, un conflitto, a volte duro come una guerra.
Gesù, e lo avete sentito nel vangelo, viveva giorno e notte in mezzo al conflitto, senza
risparmio di colpi. Gesù fu tradito da uno dei suoi; abbandonato dagli apostoli; lasciato solo nel
momento della difficoltà; in tutti i modi tentavano di metterlo alla prova e cercavano di
sottolineare ogni suo errore.
Lui, sapeva bene come sono gli uomini, per questo diceva a tutti: “Guardatevi bene dagli
uomini”. (Nel versetto prima dice: “Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”
10, 16). Perché non sono così puri, limpidi e semplici come a volte pensate. A volte sono falsi,
doppi, hanno le maschere e si prendono gioco di voi.
La festa di S. Stefano mette in luce proprio questo aspetto. Accogliere Gesù non è solo
bello, come ieri, un bambino dolce, tenero, simpatico e affettuoso. Accogliere il bambino è
molto esigente, è una lotta, è un’ardua battaglia. Essere cristiani non vuol dire vivere in pace
con tutti, andare d’accordo, farsi tanti sorrisi. Essere cristiani vuol dire vivere in mezzo ai
conflitti, alle lotte, ai contrasti, alle difficoltà come Stefano.
Molti di noi quando parlano del cristianesimo immaginano il Gesù di Zeffirelli: i tramonti, le
stelle, un mondo di pace, di bontà, d’amore, un paradiso terrestre, un mondo materno dove
tutti sono buoni. Per molti di noi il modello è il monastero dove si crede che tutti si amino e
che non esistano le guerre. Ma tutto questo non esiste e non ci sarà mai. E’ un’illusione della
nostra mente. E’ la nostra difficoltà a vivere in questo mondo reale e conflittuale. L’Eden, il
Paradiso, è perduto, non c’è mai stato e non ci sarà mai più su questa vita.
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Volersi sottrarre alla lotta è volersi sottrarre a questo mondo. Io sono chiamato a nascere
qui, in questo mondo e tra questa gente che è così. Questa è l’altra faccia del Natale: qui deve
nascere. Dobbiamo insegnare che le contraddizioni, che il conflitto, che la lotta, fa parte della
vita cristiana.
Pochi versetti più sotto Gesù dirà: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla
terra; non sono venuto a portare pace ma una spada” (Mt 10, 34).
Nel campo di concentramento scappa un uomo. Per ogni uomo che tentava la fuga, dieci
dovevano venire uccisi. Tra questi dieci c’è anche un padre di famiglia con dieci figli. Implora i
nazisti che non lo scelgano, ma la scelta è fatta. Allora si offre al suo posto un uomo, padre
Massimiliano Kolbe, un prete polacco. E l’uomo ne ha salva la vita. Quand’era ragazzo padre
Massimiliano fece un sogno. Gli apparve una signora con in mano due mazzi di fiori: uno bianco,
che indicava la bontà; e uno rosso che indicava il martirio. E gli disse: “Massimiliano, quale
vuoi?”. E lui non sapeva quale prendere. Allora la signora gli chiese ancora: “Massimiliano
scegline uno”. E siccome lui era molto indeciso su quale prendere, li scelse tutti e due.
Se Gesù nasce, l’uomo sceglie entrambi i mazzi di fiori. Ieri il Natale, la dolcezza, un
bambino, la tenerezza, la bellezza e la bontà. Oggi Santo Stefano: la passione, il fuoco, il
sangue, la lotta, il coraggio, la presa di posizione.
Un pensiero per voi:
Il cervello non conosce che se stesso.
Tutto ciò che dici degli altri forse parla di loro
ma di certo parla di te.
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