Passeggiate de` noantri

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Passeggiate de` noantri
PASSEGGIATE DE NOANTRI
( a cura della classe IV A Tele)
( Danza popolare di Bartolomeo Pinelli 1781-1835)
E’ un pomeriggio come tanti , da Lungotevere ci dirigiamo verso una statua .
Siamo un gruppo di ragazzi ,una prof e un libro .
La prof legge dei Sonetti del Belli .
Sono in romanesco!
Lei è un’altra quando fa così , come in classe quando ha spiegato Parini e “faceva le voci” della
vergine cuccia .
Il pomeriggio è passato subito ,non ce ne siamo resi conto . E’ già il tramonto .
La gente ci guarda , sentiamo di essere strani !!! Non ci siamo mai sentiti così…
Oggi Roma è stata nostra , ci è piovuta addosso, forse è vero che il dialetto aiuta a capire .
Il momento della lettura era sospeso nel tempo, ma poi la prof ha detto :” E’ tardi dobbiamo
andare a casa “.
Un po’ ci dispiace .
“Ciao Macio, ciao Pinolo”.
“Ciao Findus ,ciao Bello
Si , siamo noi i nuovi paini de Roma .
E per una volta siamo stati veramente NOANTRI.
Piazza Giuseppe Gioachino Belli monumento al Poeta
La piazza, situata dinanzi a ponte Garibaldi, deve il suo nome alla memoria del più grande cantore dialettale
di Roma, Giuseppe Gioacchino Belli (1791-1863).
Il monumento è opera dello scultore Tripisciano ed è stato pagato con il denaro di una pubblica
sottoscrizione. L'importo preventivato di 30.000 lire fu raggiunto anche grazie agli incassi di
rappresentazioni straordinarie nei teatri Adriano, Valle e Quirino. Inaugurato il 4 maggio 1913, in esso il
Belli è raffigurato con il cilindro e il bastone; il Poeta poggia la mano destra sulla spalletta di ponte
Fabricio, accanto ad una delle erme marmoree quadrifronti per le quali il ponte viene chiamato dai romani,
ponte Quattro Capi.
Il bastone è attualmente in ferro, fissato con cemento e dipinto di nero a simulare l'ebano, in sostituzione di
quello in legno originale, rubato più volte dai cacciatori di souvenir.
Il monumento presenta la seguente iscrizione:
AL SUO POETA GIUSEPPE GIOACHINO BELLI IL POPOLO DI ROMA MCMXIII
In basso, in rilievo, è rappresentato il fiume Tevere con la Lupa ed i Gemelli. Sul retro è visibile un gruppo
di popolani vicino alla statua di Pasquino. Ai lati del monumento vi sono due fontanelle gemelle, ciascuna
formata da una vasca in marmo, con bordo modanato, con due mascheroni barbuti, che versano un
abbondante getto d'acqua a ventaglio.
ER GIORNO DER GIUDIZZIO
Quattro angioloni co le tromme in bocca
Se metteranno uno pe cantone
A ssonà: poi co ttanto de vocione
Cominceranno a dì: "Fora a chi ttocca".
Allora vierà ssù una filastrocca
De schertri da la terra a pecorone,
Pe ripijà ffigura de perzone,
Come purcini attorno de la biocca.
E sta biocca sarà Dio benedetto,
Che ne farà du' parte, bianca e nera:
Una pe annà in cantina, una sur tetto.
All'urtimo uscirà 'na sonajera
D'angioli, e, come si ss'annassi a letto
Smorzeranno li lumi, e bona sera.
(25 novembre 1831)
ER CAFFETTIERE FILOSOFO
L'ommini de sto monno sò ll'istesso
Che vvaghi de caffè nner mascinino:
C'uno prima, uno doppo, e un antro appresso,
Tutti cuanti però vvanno a un distino.
Spesso muteno sito, e ccaccia spesso
Er vago grosso er vago piccinino,
E ss'incarzeno, tutti in zu l'ingresso
Der ferro che li sfraggne in porverino.
E ll'ommini accusì vviveno ar monno
Misticati pe mmano de la sorte
Che sse li ggira tutti in tonno in tonno;
E mmovennose oggnuno, o ppiano, o fforte,
Senza capillo mai caleno a ffonno
Pe ccascà nne la gola de la morte.
Roma, 22 Gennaio 1833
Giuseppe Gioachino Belli nacque a Roma nel 1791 da Lucia Mazio e da Gaudenzio Belli.. I Belli
lasciarono Roma nel 1798 quando i Francesi occuparono la città, rifugiandosi a Napoli. Ristabilito a
Roma il potere pontificio, tornarono nella loro casa; nel 1800 si stabilirono a Civitavecchia, dove
Gaudenzio Belli aveva ottenuto un impiego ben retribuito al porto della città. Morì però di colera
nel 1802, lasciando in gravi difficoltà economiche la famiglia che ritornò a Roma, stabilendosi in
una casa di via del Corso. Giuseppe Gioachino dovette interrompere gli studi per impiegarsi in brevi
e mal retribuiti lavori di computista e impartendo qualche lezione privata. Ottenne ben presto
salario e alloggio dal principe Stanislao Poniatowsky, ma fu licenziato nel 1813 per contrasti con
l'amante del principe, Caterina Beloch. Aveva intanto cominciato le sue prime prove poetiche e
letterarie. Nel 1805 aveva già scritto La Campagna, un componimento sulla bellezza della natura,
e l'anno dopo una Dissertazione intorno la natura e utilità delle voci.. Altri suoi scritti su alcuni
fenomeni naturali, pur privi di qualunque importanza scientifica, danno testimonianza della sua
curiosità e della serietà del suo spirito di osservazione. Nel 1807 scrisse le Lamentazioni, poemetto
di nove canti in versi sciolti. Nel 1812 Belli entrò, con il nome di Tirteo Lacedemonio
nell'«Accademia degli Elleni», un istituto filo-francese fondato nel 1805 ,che nel 1813 subì una
scissione che portò alla fondazione dell'«Accademia Tiberina»;. La nuova Accademia comprendeva
gli oppositori dell'Impero di diverse tendenze - dai liberali ai clericali - e suoi membri furono nel
tempo il futuro papa Gregorio XVI e il principe Metternich.
Nel 1818 entrò nell'«Accademia dell’Arcadia » con il nome di Linarco Dirceo.
Nel 1816 Belli, che il mese precedente aveva ottenuto un impiego all'Ufficio del Registro dello
Stato Pontificio ,sposò Maria Conti , una vedova benestante, proprietaria di terre , e i due coniugi si
stabilirono a Palazzo Poli, dietro Fontana di Trevi. Libero da assilli economici, poté iniziare una
serie di viaggi che lo portarono a visitare Venezia,Napoli,Milano, qui nel 1827, conobbe Carlo
Porta e comprese la dignità artistica del dialetto e la forza satirica che il realismo popolare era
capace di esprimere.
Morì nel1863. Aveva disposto nel testamento che tutte le sue opere venissero bruciate, ma il figlio
decise di non rispettare la volontà paterna, consentendo così che fossero conosciute. Il pronipote ,
ne racconterà vita e opere in un’opera monumentale di 10 volumi dattiloscritti.
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Li Morti de Roma
Cuelli morti che ssò dde mezza tacca
fra ttanta ggente che sse va a ffà fotte,
vanno de ggiorno, cantanno a la stracca,
verzo la bbúscia che sse l’ha dda iggnotte.
Cuell’antri, in cammio, c’hanno la patacca
de Siggnori e dde fijji de miggnotte,
sò ppiú cciovili, e ttiengheno la cacca
de fuggí er Zole, e dde viaggià dde notte.
Cc’è ppoi ’na terza sorte de figura,
’n’antra spesce de morti, che ccammina
senza moccoli e ccassa in zepportura.
Cuesti semo noantri, Crementina,
che ccottivati a ppesce de frittura,
sce bbutteno a la mucchia de matina.
Roma 23 Gennaio 1833
I Sonetti
« Io ho deliberato di lasciare un monumento di quello che oggi è la plebe di
Roma.
In esso sta certo un tipo di originalità: è la sua lingua, i suoi concetti, l'indole, il
costume, gli usi, le pratiche, i lumi, la credenza, i pregiudizi, le superstizioni, tutto ciò
insomma che la riguarda, ritiene un'impronta che assai per avventura si distingue
da qualunque altro carattere di popolo. Né Roma è tale, che la plebe di lei non
faccia parte di un gran tutto, di una città cioè di sempre solenne ricordanza... »
« Non casta, non pia talvolta, sebbene devota e superstiziosa, apparirà la materia
e la forma: ma il popolo è questo e questo io ricopio... »
« Io qui ritraggo le idee di una plebe ignorante, comunque in gran parte
concettosa ed arguta, e le ritraggo, dirò, col concorso di un idiotismo continuo, di
una favella tutta guasta e corrotta, di una lingua infine non italiana e neppur
romana, ma romanesca... »
L'opera del Belli, principalmente nota per la produzione dei suoi sonetti in dialetto,
rappresenta con felice sintesi la mentalità dei popolani della Città Eterna, lo spirito
salace, disincantato, a tratti furbesco è tipico della plebe, come egli stesso la
individua, rendendo con vivezza una costante traduzione in termini
ricercatamente incolti di tutte le principali tematiche della quotidianità del tempo.
L'aspetto ierocratico della Roma dei Papi, della Roma del "Papa Re", che incrocia
le vicissitudini del popolano nelle ritualità religiose e nelle liturgie giuridiche,
nell'immanenza politica come nella sacralizzazione del pratico, è sempre, in ogni
verso svolto nell'ottica del vulgus, che sue proprie conclusioni trae secondo
quanto di sua percezione.
Da un punto di vista letterario, si tratta infatti della produzione più corposa della
poesia dialettale italiana, si tratta di un documento di inestimabile valore sulle mille
possibili articolazioni del romanesco, di cui isola un tipo oramai classico, mentre il
tempo trascorso ha già provveduto a farlo evolvere.
Al Belli che di fatto componeva un'opera “etica”, senza uso dei limiti e senza
rispetto delle inibizioni "morali" della letteratura ufficiale, per di più con
l'aggravante di essere egli stesso censore ufficiale dell'arte per ragioni di pubblica
moralità, non si riconobbe se non sottovoce, quasi clandestinamente, il valore
letterario, almeno sin quando la cultura ufficiale non prese atto dell’importanza
del vernacolo.
I sonetti, più di 2.200 ,sono accostati ai proverbi , poiché nel loro complesso
dipingono con ampiezza di dettaglio la filosofia dei Romani del tempo,
costituendone impercettibilmente, come dall'Autore stesso dichiarato, un
"monumento".
E FORA?
Tu che ssei stato a Spaggna a cconcià ppelle,
È vvero che Ppariggi è un gran locale,
Dove pe ddì mojje, tutt'uno, e ssale,
Se disce fame, sette galli, e sselle?
Ce sò llà ll'osterie, le carrettelle?
Pissceno com'e nnoi nell'urinale?
Le case pe annà ssù ccianno le scale?
Cala la luna llà? ssò assai le stelle?
Li muri sò de leggno o ssò de muro?
Va a Rripetta er carbone o a Rripagranne?
L'acqua de Trevi, di', ffuma llà ppuro?
Chi Ppapa sc'è?... Li gobbi hanno la gobba?
Se troveno a Ppariggi le mutanne?
Ggira pe Rroma llà ttutta la robba?
7 dicembre 1831
BELLI E IL ROMANTICISMO
L’educazione classicista fu per Belli una scuola di disciplina severa dell’intelligenza e del
gusto; egli seppe però superarne i limiti retorici e scoprire tesi personali più valide proprio a
contatto e in polemica con i romantici. Il Nostro insiste su due concetti fondamentali :
il solo mezzo “per copiare” la natura è l’osservazione e l’analisi assidua e
scrupolosa;
- diffidare dall’immaginazione e ,a volte, dalla stessa verità naturale quando sembra
inverosimile.
Sono pochissimi i giudizi critici che ha lasciato:
-
una circostanziata valutazione de I Promessi sposi del Manzoni
“ Cavata da tutte le parti una sostanza, e da essa un’idea, io dico: è il primo libro
del mondo”;
- un rifiuto drastico della poesia sepolcrale e della “letteratura cadaverica” ne Il
Goticismo;
- un ostracismo delle “ sregolatezze della fantasia”,intesa come puro spazio
d’invenzione.
L’interesse del Poeta che emerge dalla vastissima opera dei Sonetti è di altra natura.
-
Egli predilige alcuni scrittori stranieri: Shakespeare,Scott,Moliere,Byron,Balzac…
E solo pochi tra gli italiani: Boccaccio,Aretino,Foscolo,Leopardi, Pellico, Guerrazzi…
Utilizza la letteratura come strumento per conoscere l’uomo,la realtà,la storia. Per
questo s’inserisce nel dibattito romantico sul romanzo storico ,muovendosi dalla prosa
alla poesia , che chiamerà il suo “dramma”e dichiarando la novità del suo disegno e
la verità della sua testimonianza.
La scelta del vernacolo romanesco , che presenta come un vero e proprio saggio di
fonologia, diviene materia di una condizione storicamente definita, visione imparziale
di un’epoca nella sua totalità, “un’epoca che non produce Catoni”.
Nei suoi versi Belli fotografa una situazione oggettiva:
a Roma l’atteggiamento della plebe, verso le prime forme repubblicane, era stato di
assoluta passività o di sanguinosa ostilità. La cultura italiana del 1700 aveva invidiato a
Londra e Parigi la condizione di “città capitale , questo è uno dei temi che animano il
pensiero e la lotta politica italiana,dalla stagione delle società segrete a quella della fine
del governo del Papa Re.
Al popolo, dunque, e per il popolo romano, che si avvia verso
Roma Capitale, Belli dedica e “declina” il suo verbo, in
“distinti quadretti”, salvando i lettori dal tedio di una lettura
troppo unita, lunga e monotona .
LA MESSA PAPALE
“Nei giorni di cappella papale contro questa parete vien messo un arazzo del Barroccio rappresentante
l’Annunciazione; davanti all’arazzo vien sistemato l’altare.
In Francia sicuramente non si sarebbe tanto barbari.
Il papa fa il suo ingresso dal fondo della cappella e si siede alla sinistra del pubblico, su una poltrona
dallo schienale alto, un vero trono sormontato dal suo baldacchino.
Nel 1827 Ingres ha esposto un quadretto che dava un ‘ idea perfetta della cerimonia della cappella
Sistina.
Lungo il muro, a sinistra, siedono i cardinali, i vescovi e i preti, tutti vestiti di rosso. Di fronte al papa, a
destra dello spettatore, prendono posto i diaconi, che sono in numero limitatissimo. La messa papale è il
grande appuntamento di tutti i cortigiani dello stato pontificio; anche un’enorme quantità di frati ha
diritto ad assistervi, ed essi approfittano della concessione. Sono i generali degli ordini, i “procuratori”,
i “provinciali”, tutti costoro sono separati dal pubblico da una cancellata di noce alta cinque piedi.
Per uno straniero intraprendente non è affatto difficile intavolare una conversazione con uno di loro.
Se poi il turista vuol proprio divertirsi, cerchi di esternare al suo interlocutore una sfegatata
ammirazione per i Gesuiti: vedrà la maggior parte dei monaci, specialmente quelli vestiti di bianco, come
il cardinale Zuria, tradire immediatamente una vivissima antipatia per i discepoli del Loyola.
Tutte queste conversazioni si svolgono prima del inizio del servizio divino, mentre si attende l’arrivo del
papa. Uno dopo l’altro arrivano i cardinali. A mano a mano che entrano nella cappella, ciascuno di loro va
a genuflettersi su un inginocchiatoio sistemato davanti all’altare e, per tre o quattro minuti, rimane
assorto nella più fervida preghiera: molti di loro compiono la cerimonia con molta dignità e compunzione.
Fra i più devoti di questa mattina abbiamo notato il Gran Penitenziere cardinal Castiglioni e il bel
cardinale Nicara, generale dei cappuccini, che porta ancora la barba e l’abito del suo ordine, come tutti i
cardinali che vengono dai frati, riconoscibili perché portano lo zucchetto rosso.
Fra i cortigiani abbiamo notato due frati elegantissimi, tutti vestiti di bianco. Sono stati loro ad
indicarci i cardinali a mano a mano che entravano nella cappella. La cura del vestire è di capitale
importanza: i buoni monaci mostravano molta curiosità per le decorazioni e le croci e sembravano non
apprezzare nessuno se non dall’abito.”
(Roma, ottobre 1828 “ Passeggiate romane” Stendhal)
LE CAPPELLE PAPALI
La cappella papale ch’è successa
Domenica passata a la Sistina
Pe tutta la quaresima è l’istessa
Come e stata Domenica matina
Sempre er papa viè fora in portantina:
Sempre quarche eminenza canta messa;
E, quello che più a tutti j’interessa
C’è sempre la su predica latina
Li Cardinali ce stanno ariccorti
Cor barbozzo inchiodato sul breviario
Come tanti cadaveri de morti.
E nun ve danno più segno de vita
Finche nun je s’accosta er caudatario
A dije: ”eminentissimo è finita“.
14 Aprile 1831
Palazzo Poli
Palazzo Poli è un edificio storico di Roma,su cui poggia la costruzione della Fontana di Trevi
Il palazzo è il risultato di diverse fasi costruttive,attuale sede dell'Istituto Nazionale per la
Grafica.
Il nucleo più antico, di fronte a Piazza di Ceri, terminato nei primi anni del XVII secolo, fu fatto
costruire dal duca di Ceri, che nel 1566 aveva acquistato Palazzo Del Monte, ubicato in
quella stessa area. L'incarico di costruire il nuovo edificio inglobando anche proprietà vicine,
fu dato all'architetto Martino Longhi. Dopo ulteriori ingrandimenti effettuati dalla famiglia
Borromeo, erede della proprietà Ceri, il palazzo fu acquistato nel 1678 da Lucrezia Colonna
sposa di Giuseppe Lotario Conti Duca di Poli , da cui trae nome il palazzo. A lui (fratello di
Papa Innocenzo XIII) si devono altri importanti ampliamenti e l'acquisto degli edifici su
piazza di Trevi.
Nel 1888 il Comune di Roma espropriò la parte ancora integra della costruzione per
salvaguardare la Fontana di Trevi, e l'edificio fu destinato ad ospitare degli uffici. Nel 1939 fu
ceduto a dei privati come pagamento per la costruzione del Governatorato. Con
l'acquisto da parte dell' Istituto S. Paolo di Torino nel 1978, lo storico palazzo ,è divenuto
proprietà del demanio dello Stato Italiano.
ER PAPA
Iddio nun vò cch'er Papa pijji mojje
Pe nnun mette a sto monno antri papetti:
Sinnò a li Cardinali, poveretti,
Je resterebbe un cazzo da riccojje.
Ma er Papa a ggenio suo pò llegà e ssciojje
Tutti li nodi lenti e cquelli stretti,
Ce pò scommunicà, ffà bbenedetti,
E ddacce a ttutti indove cojje cojje.
E inortr'a cquesto che llui ssciojje e llega,
Porta du' chiave pe ddacce l'avviso
Che cqua llui opre e llui serra bbottega.
Quer trerregno che ppoi pare un zuppriso
Vò ddì cche llui commanna e sse ne frega,
Ar monno, in purgatorio e in paradiso.
26 novembre 1831