192-200 Rass2 - Vancheri - Recenti Progressi in Medicina

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192-200 Rass2 - Vancheri - Recenti Progressi in Medicina
Vol. 98, N. 3, Marzo 2007
Pagg. 192-200
Dal “quartetto letale” alla “sindrome metabolica”.
Osservazioni sull’importanza clinica di questa sindrome
Federico Vancheri, Antonio Burgio, Rossana Dovico
Riassunto. La sindrome metabolica consiste in un’aggregazione di fattori di rischio per
malattie cardiovascolari e diabete, il cui elemento patofisiologico unificante si ritiene
comprenda soprattutto l’insulino resistenza. Si pensa che l’importanza della sindrome
consista nel rappresentare un semplice strumento clinico per individuare i soggetti che a
lungo termine hanno un elevato rischio di eventi cardiovascolari o di diabete. Tuttavia, le
opinioni sull’importanza clinica della sindrome sono discordanti. Vi sono incertezze sulla
sua definizione, sull’esistenza di un unico elemento patofisiologico comune, sul rischio determinato dalla sindrome nel suo complesso rispetto a quello dei suoi singoli elementi costitutivi, e sulla capacità predittiva rispetto a quella degli algoritmi comunemente utilizzati, come quello di Framingham e il Diabetes Risk Score. Abbiamo esaminato la letteratura corrente. I risultati di questa analisi indicano che tutte le definizioni della
sindrome metabolica sono incomplete oppure ambigue e che – alla base – vi è probabilmente più di un solo meccanismo patofisiologico, anche se la insulino-resistenza e la iperinsulinemia sembrano le più importanti; il rischio associato alla sindrome è inferiore alla somma di quello dei singoli fattori di rischio che la definiscono, e la sua predittività di
futuri eventi cardiovascolari o diabete è inferiore a quella degli usuali algoritmi. Sebbene sia importante per comprendere i meccanismi patofisiologici dell’aggregazione dei fattori di rischio cardiovascolare, il suo impiego come sindrome clinica non sembra giustificato.
Parole chiave. Diabete, fattori di rischio cardiovascolare, insulino resistenza, iperinsulinemia, sindrome metabolica.
Summary. From “deadly quartet” to “metabolic syndrome”. An analysis of its clinical relevance.
The metabolic syndrome denotes a clustering of specific risk factors for both cardiovascular disease and type 2 diabetes, whose underlying pathophysiology is believed to include insulin resistance. It has been widely reported that the syndrome is a simple clinical tool to identify people at high long term risk of cardiovascular disease and diabetes.
However, its clinical importance is under debate. There are substantial uncertainties
about the clinical definition of the syndrome, as to whether the risk factors clustering indicates a single unifying disorder, whether the risk conferred by the condition as a whole
is higher risk than its individual components, and whether its predictive value of future
cardiovascular events or diabetes is greater than established predicting models such as
the Framingham Risk Score and the Diabetes Risk Score. We undertook an extensive review of the literature. Our analysis indicates that current definitions of the syndrome are
incomplete or ambiguous, more than one pathophysiological process underlies the syndrome, although the combination of insulin resistance and hyperinsulinemia are related
to most cases; the risk associated with the syndrome is no greater than that explained by
the presence of its components, and the syndrome is less effective in predicting the future
development of cardiovascular events and diabetes than established predicting models.
Although the syndrome has some importance in understanding the pathophysiology of
cardiovascular and diabetes risk factors clustering, its use as a clinical syndrome is not
justified by current data.
Key words. Cardiovascular risk factors, diabetes, hyperinsulinemia, insulin resistance,
metabolic syndrome.
Unità Operativa Complessa di Medicina Interna, Ospedale S.Elia, Caltanissetta.
Pervenuto il 6 febbraio 2007.
F. Vancheri, A. Burgio, R. Dovico: Osservazioni sull’importanza clinica della “sindrome metabolica”
Introduzione
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ciato alla sindrome sia maggiore della somma dei
suoi componenti e se l’aggregazione degli elementi
che la definiscono abbia un più elevato potere predittivo rispetto ad altre associazioni di fattori.
Negli ultimi vent’anni alcune ipotesi hanno indicato, spesso con dati robusti, un elemento unificante all’origine delle malattie cardiovascolari. L’ipotesi fetale1 e il disagio socio economico in età inLa storia
fantile 2 sono state proposte per spiegare
Sebbene il concetto di sindrome metabolica sia
l’insorgenza di ipertensione arteriosa e diabete,
relativamente recente, le osservazioni e gli studi
con evoluzione verso gli eventi cardiovascolari in
sull’aggregazione dei fattori di rischio cardiovaetà adulta. Tuttavia, queste ipotesi, per quanto atscolare sono molto più vecchi.
traenti e fondate su accurate osservazioni, hanno
Negli anni ’20 era stata evidenziata l’associaavuto un successo limitato, probabilmente perché
zione di ipertensione, iperglicemia e gotta12 e una
è molto difficile correggere le alterazioni che ne costituiscono la base (sviluppo fetale e condizioni
ridotta sensibilità all’insulina in alcuni pazienti
economiche) e di consediabetici 13, caratteristica
questa che costituì la base
guenza hanno scarso inper osservazioni antropoteresse per le industrie
La ricerca di teorie unificanti per spiegare i
metriche che portarono,
dei farmaci. Viceversa, la
fenomeni fisici e biologici sembra una caalcuni anni dopo, alla
sindrome metabolica deratteristica del pensiero umano. Anche nelidentificazione dei due tive gran parte del successo
la pratica quotidiana tendiamo spesso ad
pi di diabete14.
alla possibilità di preveattribuire i segni e i sintomi a un’unica paIl primo riferimento a
nire l’evoluzione verso le
tologia che possa spiegare le diverse maniun’aggregazione di alteramalattie cardiovascolari
festazioni cliniche. La sindrome metabolica
soddisfa pienamente questa esigenza perzioni metaboliche analoghe
con modifiche dello stile
ché comprende gran parte dei fattori di ria quella della sindrome
di vita, ma anche, sopratschio cardiovascolare e identifica un elemetabolica viene spesso attutto, alla possibilità di
mento unificante costituito dall’insulino retribuito a un articolo pubcostituire l’obiettivo di insistenza.
blicato in Italia alla fine
terventi farmacologici atdegli anni ’6015. In realtà,
traverso la correzione dell’insulino resistenza.
gli autori descrivono sei pazienti con iperlipemia, diabete non chetonurico e
obesità, osservando gli effetti favorevoli di una dieta
a basso contenuto in carboidrati e confermando gli
Attualmente viene qualificata «sindrome metabostretti rapporti tra queste alterazioni metaboliche.
lica» l’associazione di fattori di rischio cardiovaViene anche ipotizzato che in quei pazienti la iperliscolare quali: obesità di tipo centrale, dislipidemia
pemia possa essere legata a insulino resistenza15bis.
caratterizzata da aumento dei trigliceridi e riduSoltanto a metà degli anni ’80 queste osservazione del colesterolo HDL, alterato metabolismo
zioni, assieme ad accurati rilievi epidemiologici,
glicidico e ipertensione arteriosa, che comporta un
vengono unificate e nel 1985 la dottoressa Mielevato rischio di malattie cardiovascolari e diachaela Modan, dell’Università di Tel Aviv, identifibete di tipo 2, e che ha una stretta relazione con la
ca la iperinsulinemia come l’elemento patofisioloresistenza insulinica3-8.
gico comune per spiegare la frequente associazione tra ipertensione arteriosa, obesità e ridotta
tolleranza glicidica16. Tuttavia questo articolo non
ebbe grande rilievo, mentre osservazioni sostanTale aggregazione viene considerata un’entità
zialmente analoghe, pubblicate da Gerald Reaven
patologica autonoma poiché la coesistenza di questi
tre anni dopo, sono ancora oggi considerate la prifattori di rischio in uno stesso individuo è molto più
ma descrizione della sindrome metabolica17. Studi
frequente di quanto accadrebbe se la loro distribu9,10
zione fosse soltanto casuale . Secondo l’opinione
successivi confermarono il ruolo fondamentale delcorrente l’importanza clinica di tale sindrome conl’insulino resistenza come elemento comune a tutsiste nella possibilità di identificare precocemente
ti i principali fattori di rischio coronarico18, anche
i soggetti ad alto rischio di malattie cardiovascolase una diversa lettura degli studi epidemiologici e
ri o diabete, quando ancora è possibile implemenclinici ha portato a opinioni contrastanti19.
11
tare efficaci misure di prevenzione e terapie .
Però, l’aggregazione di resistenza insulinica, alterazioni metaboliche e ipertensione arteriosa apTuttavia, molti problemi connessi con la depariva così strettamente associata alla mortalità
finizione della sindrome, con l’importanza
cardiovascolare da essere denominata «quartetto lerelativa dei singoli componenti e con il ruolo
tale»20, con una chiara connotazione apocalittica. La
dell’insulino resistenza, rendono dubbia la sua
reale patogenesi della sindrome rimaneva ignota e
importanza clinica e la sua esistenza come enper un certo tempo questa associazione di fattori di
tità autonoma. In particolare, non è chiaro se vi
rischio è stata indicata come “sindrome X”21 distinsia una base patofisiologica che giustifichi la scelta
guendola con l’aggettivo “metabolica” dalla sindrodei criteri per la diagnosi, se la sindrome derivi da
me X cardiaca, costituita da una malattia dei piccoun’unica alterazione patologica, se il rischio assoli vasi miocardici.
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Recenti Progressi in Medicina, 98, 3, 2007
Ma, poiché non tutti gli elementi della sindrome
I problemi
sono metabolici, è sembrato appropriato anche il
termine di “sindrome da insulino resistenza”22. SiLa possibilità di identificare i soggetti con sindrome metabolica ha notevole importanza pratica per la
no ad allora, tuttavia, questi studi costituivano
prevenzione degli eventi coronarici. Infatti, secondo i
soprattutto un’interessante spiegazione patoficriteri ATP III, più di un quinto della popolazione itasiologica di un fenomeno osservato frequenteliana adulta, in età 35-74 anni, e un terzo di quella
mente, cioè l’associazione di più fattori di rischio
tra 65 e 74 anni, è affetta dalla sindrome (tabella 2)25.
cardiovascolare nello stesso individuo. In quegli
anni, quasi tutti gli studi
Pertanto, gran parte della
di ricerca sulla sindrome
popolazione italiana ha un
utilizzavano propri criteelevato rischio cardiovascoL’interesse per questa sindrome è aumentari per definirla clinicalare e dovrebbe essere sotto notevolmente negli anni. Se si effettua
mente.
toposta a terapia. Per queuna ricerca sul sito PuMed con i termini
sto motivo è importante
“metabolic-syndrome” nel titolo, si osserva
Un importante camchiarire se i parametri utiche nel biennio 1990-91 sono stati pubblibiamento avviene alla filizzati per la definizione
cati soltanto 7 articoli, mentre dieci anni done degli anni ’90, quando
siano in grado di identificapo, negli anni 2000-2001, ve ne sono già 130
un gruppo di lavoro delre correttamente tutti i
e dopo appena cinque anni, nel biennio
l’OMS23 inserisce questi
soggetti con la sindrome
2004-2005, gli articoli assommano a 1384.
dati in una definizione di
metabolica e di distinguersindrome metabolica che
li da quelli non affetti.
può essere utilizzata in
ambito clinico per identificare soggetti ad elevaTabella 2. - Prevalenza della sindrome metabolica
to rischio di eventi cardiovascolari e di diabete.
in Italia.
In tal modo, osservazioni patofisiologiche divengono sindrome clinica. Poco dopo, il NatioEtà 35-74 anni
Età 65-74 anni
nal Cholesterol Education Program, Adult TreatArea
Uomini
Donne
Uomini
Donne
ment Panel III (ATP III), nell’ambito di un’ampia
revisione del rischio cardiovascolare connesso
Nord Ovest
19%
16%
23%
29%
con la dislipidemia, semplifica i criteri della deNord Est
20%
18%
27%
34%
finizione per migliorarne l’utilizzazione nella
pratica clinica3. Anche l’American Heart AssoCentro
24%
22%
29%
41%
ciation e il National Heart, Lung, and Blood InSud e Isole
26%
29%
33%
44%
stitute sostengono l‘utilità dei criteri ATP III4.
Più di recente, l’International Diabetes FederaDa: Atlante Italiano delle Malattie Cardiovascolari, II edizione,
tion (IDF) ha recepito i criteri ATP III con poche
2004. It Heart J 2004; 5 (suppl 3): 49S-92S25.
24
modifiche (tabella 1).
Tabella 1. Criteri clinici per identificare i soggetti con sindrome metabolica.
OMS
ATP III
Diabete, alterata glicemia a digiuno, Almeno tre delle seguenti:
ridotta tolleranza glicidica o insulino circonferenza vita ≥102 cm (uomini)
resistenza (clamp euglicemico) (*)
≥ 88 cm (donne)
trigliceridi ≥ 150 mg/dl
più due delle seguenti:
HDL <40 mg /dl, uomini
obesità centrale
HDL <50 mg /dl, donne
rapporto vita-fianchi >0,9 uomini
PA ≥ 130/ ≥ 85
>0,85 donne
glicemia a digiuno ≥110
e/o BMI >30
trigliceridi ≥150 mg/dl
e/o HDL <35 mg /dl
PA ≥140/90
microalbuminuria (**)
IDF
Circonferenza vita ≥94 cm (uomini)
≥80 cm (donne)
più due delle seguenti:
trigliceridi ≥150 mg/dl
oppure terapia specifica
HDL <40 mg/dl, uomini
HDL <50 mg/dl, donne
oppure terapia specifica
PA sistolica ≥130 oppure
PA diastolica ≥85
oppure terapia antipertensiva
glicemia ≥100 mg/dl
oppure diabete noto
(*) Insulino resistenza definita come captazione di glucosio al di sotto del quartile più basso della popolazione di riferimento; (**) microalbuminuria: escrezione urinaria di albumina >20 μg/min, oppure rapporto albumina /creatinina ≥30 mg/g creatinina urinaria;
WHO: World Health Organization, dati da rif. 23; ATP III: Adult Treatment Panel III, dati da rif. 3; IDF: International Diabetes
Federation, dati da rif. 24
F. Vancheri, A. Burgio, R. Dovico: Osservazioni sull’importanza clinica della “sindrome metabolica”
Chiarire, cioè, se tale sindrome sia un’entità
autonoma con rischio cardiovascolare superiore a quello attribuibile alla somma dei singoli
fattori, e quindi se il suo trattamento debba essere diverso da quello dei singoli elementi che la
compongono.
Si considerino due uomini di 64 e 62 anni, non fumatori. Il primo ha pressione arteriosa 160/95, glicemia a digiuno 92 mg/dl, trigliceridi 185 mg/dl, colesterolo totale 205 mg/dl, colesterolo HDL 42 mg/dl
e circonferenza addominale 90 cm. Nel secondo, la
pressione arteriosa è 155/90, glicemia 98, trigliceridi
190, colesterolo totale 198, HDL 38 e circonferenza
addominale 92. L’entità del rischio cardiovascolare
di entrambi è eguale (sulla base delle carte del rischio italiane – www.cuore.iss.it – il loro rischio di
eventi cardiovascolari maggiori a dieci anni è tra 15
e 20%). Eppure, soltanto il secondo paziente soddisfa
i criteri della sindrome metabolica (tre criteri ATP
III: pressione arteriosa >130/85, trigliceridi >150
mg/dl, HDL <40 mg/dl). È evidente, però, che – sulla
base del rischio cardiovascolare – tutti e due i soggetti andrebbero trattati allo stesso modo. In questo
caso, l’identificazione della sindrome metabolica non
modifica l’approccio terapeutico. L’utilità clinica della diagnosi è quindi dubbia. D’altra parte, un soggetto iperteso di 65 anni, fumatore e con glicemia a
digiuno 135 mg/dl, senza altre alterazioni, ha un elevato rischio cardiovascolare (>30%), ma non rientra
nella definizione di sindrome metabolica.
Tali incertezze e ambiguità derivano probabilmente dal metodo utilizzato per identificare i criteri che definiscono la sindrome. Si è trattato infatti di una scelta basata sul consenso tra esperti
e non su specifici studi prospettici. In termini di
medicina basata sulle prove di efficacia, questo
metodo comporta un livello di evidenza 4, e le raccomandazioni che ne derivano sono di grado D: i livelli più bassi di evidenza scientifica26.
La definizione di sindrome metabolica richiede
la contemporanea presenza di almeno tre criteri
tra quelli indicati in ciascuna definizione. In maniera inconsapevole questo numero contribuisce a
dare un carattere magico (o teologico) alla sindrome. Non è chiaro, infatti, perché i criteri necessari per la diagnosi non siano due o quattro oppure tutti e cinque.
Vi sono, inoltre, importanti differenze tra i criteri più frequentemente utilizzati, quelli OMS e
quelli ATP III. In particolare, tra i primi il valore
soglia della pressione arteriosa è più elevato rispetto ai criteri ATP III, e quindi un minor numero di soggetti sarà incluso nella definizione. Inoltre, i criteri OMS non fanno distinzione tra alterazione dei livelli di trigliceridi e di colesterolo HDL.
Entrambi i gruppi che hanno prodotto le definizioni riconoscono che vi sono molti altri componenti della sindrome metabolica, oltre quelli compresi
nelle definizioni. Per il gruppo ATP III, i fattori generali che compongono la sindrome sono molteplici
195
e vengono definiti come “di base” (obesità addominale, inattività fisica e dieta aterogena), “maggiori”
(fumo, ipertensione, aumento del colesterolo LDL,
riduzione di quello HDL, familiarità per cardiopatia ischemica prematura) ed emergenti (ipertrigliceridemia, LDL piccole, resistenza insulinica, ridotta tolleranza glicidica e condizione proinfiammatoria e protrombotica) 4. Tuttavia, soltanto
cinque di questi elementi fanno parte dei criteri che
definiscono la sindrome e non è stato dichiarato con
quale metodo siano stati scelti27.
Infine, non vi è alcuna regola per stabilire quale associazione di criteri utilizzare per la diagnosi.
Anche se è dimostrato che alcuni dei fattori di rischio che compongono la sindrome hanno una
maggiore importanza predittiva28, ai fini diagnostici tutti hanno il medesimo peso e ciascun elemento è indipendente dagli altri. Questo determina una notevole variabilità delle aggregazioni di
fattori di rischio che portano alla diagnosi. Infatti, combinando i vari criteri si può ottenere
una diagnosi di sindrome metabolica in undici modi diversi quando si utilizzano le variabili dell’OMS, in sedici modi con le variabili ATP III e in sei con quelle IDF.
Non è noto se tutte queste combinazioni comportino il medesimo rischio cardiovascolare. Sebbene sia bene documentato che in termini generali il rischio aumenta progressivamente e in misura significativa all’aumentare del numero di
alterazioni dei fattori di rischio29,30, nel caso della
sindrome metabolica la definizione richiede soltanto un numero minimo di criteri. Può accadere,
quindi, che un soggetto che presenta soltanto tre
alterazioni metaboliche sia considerato affetto da
sindrome metabolica e con un livello di rischio analogo a quello di un soggetto con alterazioni di tutti i cinque fattori di rischio.
Tutti i parametri che definiscono la sindrome
sono variabili biologiche continue, eppure vengono
valutate come se fossero variabili dicotomiche. Ciò
limita notevolmente la possibilità di definire la gravità del rischio cardiovascolare nel singolo paziente31. Questo, infatti, dipende oltre che dalla presenza del fattore di rischio, anche dall’entità della sua
variazione28,32-34. Un soggetto in modesto sovrappeso, con glicemia a digiuno 115 mg/dl e pressione
140/90, è affetto da sindrome metabolica così come
un soggetto francamente obeso, diabetico e iperteso. Tuttavia il rischio di un futuro evento coronarico o cerebrovascolare è più elevato in quest’ultimo.
Questo aspetto è particolarmente importante perché uno degli argomenti a favore della sindrome metabolica è la possibilità di identificare in fase ancora
preclinica i soggetti ad alto rischio cardiovascolare.
La presenza di alterazioni anche modeste dei fattori
che costituiscono la sindrome indicherebbe già un rischio elevato a lungo termine, cioè oltre i dieci anni11.
In realtà, i livelli borderline dei fattori di rischio sono
responsabili soltanto di un piccolo numero di eventi,
appena il 10%, mentre il 90% si verifica nei soggetti
con alterazioni più marcate35. Ciò sottolinea l’importanza della valutazione quantitativa del rischio.
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Altre considerazioni rendono dubbia l’importanza della sindrome per identificare
precocemente, sulla base di elementi clinici,
individui ad alto rischio di malattie cardiovascolari e diabete.
Infatti, le variabili che definiscono la sindrome
non hanno un limite superiore e vengono quindi
compresi anche i pazienti con diabete (WHO e
IDF) oppure questi non sono esclusi esplicitamente (ATP III). Nei pazienti diabetici, il rischio cardiovascolare è così elevato che non vi è nessuna
differenza di mortalità rispetto a quelli che hanno
anche la sindrome metabolica36. Pertanto, diagnosticare in un paziente diabetico una sindrome metabolica non modifica né il suo livello di rischio, né
la strategia terapeutica per prevenire gli eventi
cardiovascolari. Inoltre, i criteri che definiscono la
sindrome metabolica includono soggetti che comunque hanno già condizioni prediabetiche, come
alterata glicemia a digiuno o ridotta tolleranza glicidica, che spesso progrediscono verso il diabete37
determinando un elevato rischio di eventi cardiovascolari32, 38-40. Pertanto la sindrome metabolica
che dovrebbe predire le malattie cardiovascolari e
il diabete, in parte le include nella definizione.
Tra i criteri clinici che definiscono la sindrome
vi sono poi alcuni problemi non risolti che possono generare valutazioni disomogenee da parte di
osservatori diversi e ridurre la sensibilità e specificità diagnostica. Nelle due definizioni usate più
frequentemente (WHO e ATP III), non è chiaro, ad
esempio, se il valore di pressione arteriosa
>130/85 debba intendersi come sistolica e diastolica entrambe al di sopra di quei valori, oppure è
sufficiente che sia elevata soltanto l’una o l’altra.
Analogamente non è specificato come considerare
il paziente che aveva un’alterata glicemia a digiuno e che adesso ha raggiunto un buon controllo glicemico dopo aver perduto peso, oppure come classificare il paziente iperteso con normali valori
pressori durante terapia. Alcuni di questi problemi sono stati risolti nella nuova definizione IDF.
Anche la misurazione della circonferenza addominale, che è un criterio comune a tutte le definizioni, pone problemi, poiché il metodo non è standardizzato e piccole differenze nei punti di repere possono provocare una notevole variabilità di risultati41.
Inoltre, se l’obiettivo della sindrome metabolica è la valutazione del rischio cardiovascolare,
non è chiaro perché i criteri che definiscono la
sindrome non comprendano elementi con riconosciuta importanza come fattori di rischio, quali: età, pregresse malattie cardiovascolari e fumo
di sigaretta42.
L’elemento che caratterizza l’aggregazione dei
fattori di rischio della sindrome è la loro stretta
associazione con l’insulino resistenza43 che di
per sé è un importante elemento predittivo di
eventi cardiovascolari44. Tuttavia, né l’insulino
resistenza né l’iperinsulinemia fanno parte dei
criteri per definire clinicamente la sindrome, con
l’eccezione di quelli dell’OMS. Ciò perché la determinazione diretta della resistenza insulinica è
laboriosa e poco pratica, mentre l’insulinemia,
spesso utilizzata in alternativa, ha soltanto una
modesta relazione con la resistenza insulinica45.
È quindi importante stabilire se i criteri clinici
che definiscono la sindrome metabolica siano in
grado di identificare correttamente i soggetti con
insulino resistenza e, di converso, quanti soggetti con insulino resistenza rientrano nella definizione di sindrome metabolica. Queste relazioni
possono essere ricavate dai risultati di uno studio
su 443 soggetti non diabetici46, valutati per la
presenza di sindrome metabolica, secondo i criteri ATP III, e sottoposti a determinazione della resistenza insulinica con il clamp euglicemico. Tra
i 91 soggetti con sindrome metabolica, 69 (76%)
avevano anche un’elevata resistenza insulinica e,
tra i 149 soggetti con elevata resistenza insulinica, 80 (53%) non rientravano nella definizione di
sindrome metabolica (tabella 3). Questi dati indicano che un quarto dei soggetti con i criteri clinici per la sindrome metabolica non presenta resistenza insulinica. Inoltre, più di metà dei soggetti in cui è dimostrabile insulino resistenza non
soddisfa i criteri della definizione di sindrome
metabolica. Complessivamente, i criteri clinici
ATP III hanno una bassa sensibilità per individuare i soggetti con insulino resistenza, poiché ne
identificano meno di un terzo47.
Tuttavia, i rapporti tra insulino resistenza e
sindrome metabolica sono complessi e coinvolgono
anche l’iperinsulinemia. Questi sono stati studiati in un ampio gruppo di soggetti, non diabetici, di diversa età e massa corporea, utilizzando la
tecnica del clamp euglicemico48. Poco meno di metà
dei soggetti erano insulino resistenti e iperinsulinemici. Di questi, un quarto mostrava soprattutto
insulino resistenza con lieve o iperinsulinemia, e
altrettanti, invece, iperinsulinemia con modesta
insulino resistenza. Entrambi i gruppi comprendevano soggetti con sindrome metabolica ma con
caratteri fenotipici differenti, particolarmente nella distribuzione della massa corporea, nel livelli
dei trigliceridi, del colesterolo HDL e della pressione arteriosa.
Tabella 3. - Relazione tra diagnosi di sindrome metabolica (criteri ATP III) e resistenza insulinica (clamp
euglicemico) in 443 soggetti non diabetici.
Sindrome
metabolica
Presenza
di insulino
resistenza
Assenza
di insulino
resistenza
Totale
Presente
69
22
91
Assente
80
272
352
Totale
149
294
443
Da Cheal KL, 2004 (rif. 46), modificato.
F. Vancheri, A. Burgio, R. Dovico: Osservazioni sull’importanza clinica della “sindrome metabolica”
Tali risultati indicano che la resistenza insulinica e l’iperinsulinemia, per quanto spesso associate, non sono manifestazioni esattamente speculari, e che la base patofisiologica
della sindrome metabolica non è soltanto
l’insulino resistenza, né soltanto l’iperinsulinemia, ma una combinazione di queste.
Per valutare se l’insulino resistenza sia realmente l’alterazione centrale della sindrome, oppure soltanto uno degli elementi che la costituiscono, è stata
utilizzata anche l’analisi fattoriale, cioè un metodo di
correlazione multivariata che spiega il rapporto tra
un gruppo di variabili osservate (i quadri clinici della sindrome), con un più piccolo gruppo di variabili “di
base” non direttamente misurate (eziologie), denominate fattori. Questi ultimi, anche se non direttamente misurati, sono gli elementi che danno origine alle
variabili cliniche. In tal modo si può stabilire se l’associazione di un gruppo di fattori di rischio cardiovascolare, osservata con una frequenza superiore a
quella dovuta al caso, possa essere in relazione con
un unico fattore oppure ve ne siano molteplici. Se i
fattori di base sono più di uno, allora l’eziologia è più
complessa. Altre volte non è possibile spiegare tutta
la variabilità clinica della sindrome. Tuttavia, questo
tipo di analisi comporta notevoli problemi metodologici che rendono difficile l’interpretazione dei risultati49. In termini generali, è probabile che vi sia più di
un elemento eziologico connesso con la sindrome. La
maggior parte degli studi, infatti, mostra almeno due
e spesso tre o quattro fattori alla base della correlazione tra i fattori di rischio, anche se l’insulino resistenza e l’obesità sembrano quelli più importanti50-54.
Tuttavia, almeno un terzo della variabilità della sindrome non è spiegata dai fattori considerati, suggerendo quindi che la struttura della sindrome metabolica sia più complessa di quanto possa essere analizzabile con questo metodo.
Queste osservazioni pongono alcuni dubbi
sul ruolo dell’insulino resistenza come unico
elemento alla base della sindrome. Ciò indica che la trasformazione di alcuni meccanismi patofisiologici, ancora non bene definiti, in una sindrome clinica è probabilmente prematura55.
Molte osservazioni, concordemente, indicano
che i soggetti con sindrome metabolica, rispetto alla popolazione normale, hanno una più elevata incidenza e mortalità per eventi cardiovascolari, e
un maggiore rischio di ictus e diabete tipo 230,56-61.
Queste conclusioni sono però abbastanza prevedibili, considerando che gli elementi che compongono la sindrome comprendono fattori di rischio cardiovascolari e soprattutto condizioni prediabetiche. Pertanto, quando questi elementi sono
contemporaneamente presenti, il rischio di eventi
diviene particolarmente elevato62.
Ciò che importa realmente definire è, invece, se la sindrome comporti un aumento
del rischio superiore a quello determinato
dalla presenza dei singoli componenti.
197
Soltanto in questo caso sarebbe clinicamente
importante trattare la sindrome piuttosto che i
singoli elementi di rischio.
I risultati sono contrastanti.
In uno studio, la contemporanea presenza dei
fattori di rischio che definiscono la sindrome metabolica sembra aumentare l’aterosclerosi carotidea, espressa come spessore medio intimale, più
di quanto ci si aspetterebbe dalla somma dei singoli elementi63. L’effetto più intenso si verifica
quando tra i fattori di rischio sono compresi l’ipertensione e la ipertrigliceridemia. Tuttavia,
non è chiaro quale sia il reale significato clinico
della variazione morfologica osservata, perché si
tratta di un surrogato degli eventi cardiovascolari. Inoltre, un incremento analogo dell’aterosclerosi carotidea si rileva quando ad alcuni componenti della sindrome metabolica viene aggiunto il
fumo di sigaretta, un fattore di rischio cardiovascolare non compreso tra quelli della sindrome.
Altri studi hanno valutato direttamente il rapporto tra presenza della sindrome e cardiopatia coronarica, analizzando il contributo dei singoli fattori di rischio. È stato osservato che la sindrome metabolica è associata a una maggiore prevalenza64 e
incidenza60,65 di cardiopatia coronarica, che in termini di rischio relativo-corrisponde a più del doppio
rispetto alla popolazione normale. Tuttavia, l’analisi multivariata indica che tale associazione dipende
in gran parte dai singoli fattori, particolarmente
dalla pressione arteriosa e dal colesterolo HDL. Infatti, il loro inserimento nell’analisi attenua notevolmente il ruolo della sindrome sugli eventi coronarici. Anche per la mortalità cardiovascolare, o l’insorgenza precoce di malattie coronariche la
sindrome metabolica non è un elemento predittivo
indipendente dai singoli fattori di rischio66, 67.
Questi dati indicano che la sindrome non comporta un rischio cardiovascolare superiore a quello della somma
dei suoi componenti.
Uno degli aspetti clinici della sindrome metabolica ritenuto più importante è la capacità di
identificare soggetti asintomatici da sottoporre a
misure di prevenzione che altrimenti non riceverebbero. Non è definito con sicurezza, però, se tale
capacità di identificazione sia superiore a quella
degli altri metodi utilizzati correntemente, in particolare all’algoritmo di Framingham (Framingham Risk Score30) e al Diabetes Risk Score68.
In soggetti inizialmente senza diabete né malattie cardiovascolari, seguiti per circa 8 anni, la sensibilità dell’algoritmo di Framingham per gli eventi
cardiovascolari, cioè la probabilità che questo gruppo di fattori di rischio identifichi correttamente un
soggetto che dopo un certo tempo va incontro a un
evento cardiovascolare, è superiore a quella della
sindrome metabolica definita secondo i criteri ATP
III (tabella 4)60,69. Quando poi i criteri di Framingham vengono utilizzati in associazione con quelli
della sindrome metabolica, la sensibilità non migliora. Ciò indica che i criteri ATP III non aggiungono alcunché alla sensibilità di quelli di Framingham.
198
Recenti Progressi in Medicina, 98, 3, 2007
Tabella 4. - Confronto tra la capacità predittiva della
sindrome metabolica e l’algoritmo di Framingham.
2758 soggetti senza diabete né malattie cardiovascolari
Capacità predittiva
per malattie
cardiovascolari
Sensibilità
(%)
Sindrome metabolica
67,3
Framingham Risk Score
81,4
Framingham Risk Score
e sindrome metabolica
81,4
Da Stern PM, 2004 (rif. 69), modificato.
Analogamente, per la identificazione dei soggetti che sviluppano il diabete tipo 2, il Diabetes
Risk Score è più sensibile della sindrome metabolica (tabella 5). Anche in questo caso, combinando
i due criteri la sensibilità non migliora.
Tabella 5. - Confronto tra la capacità predittiva della
sindrome metabolica e il Diabetes Risk Score.
1879 soggetti senza diabete né malattie cardiovascolari
Capacità predittiva per il diabete
Sensibilità
(%)
Sindrome metabolica
66,2
Diabetes Risk Score
75,9
Diabetes Risk Score
e sindrome metabolica
75,9
schio sia in rapporto con gli eventi. L’area della
curva ROC per l’algoritmo di Framingham è 0,81
e tale valore non viene modificato aggiungendo i
criteri della sindrome metabolica. Anche per il
Diabetes Risk Score il valore dell’area è 0,81 e
quando viene combinato con la sindrome metabolica vi è soltanto un minimo, non significativo, incremento a 0,8269.
Complessivamente, questi dati indicano
che i criteri di Framingham identificano
con maggiore accuratezza i soggetti a rischio di
eventi cardiovascolari, rispetto ai criteri ATP
III della sindrome metabolica, e che il Diabetes
Risk Score è più accurato nella identificazione
dei soggetti a rischio di diabete tipo 2. Pertanto, porre la diagnosi di sindrome metabolica
non aggiunge alcunché alla valutazione del rischio che può essere effettuata con gli altri
usuali criteri.
È stato sostenuto che l’identificazione dei soggetti a rischio utilizzando i criteri della sindrome
metabolica non è un’alternativa all’algoritmo di
Framingham, ma consente una valutazione del rischio globale su tempi più lunghi rispetto ai dieci
anni di quest’ultimo11. Questa affermazione non è
però confermata da studi che dimostrino nel lungo
termine la superiorità predittiva dei criteri della
sindrome metabolica rispetto a quelli di Framingham.
Da Stern PM, 2004 (rif. 69), modificato.
Conclusioni: i punti chiave
Come è prevedibile, la capacità predittiva della
sindrome metabolica per il diabete è superiore a
quella dell’algoritmo di Framingham30. Quest’ultimo, infatti, non comprende quei fattori di rischio
per il diabete (circonferenza addominale e iperglicemia) che fanno parte invece della sindrome metabolica. A conferma dell’importanza di questa differenza, se si escludono l’obesità e l’iperglicemia
dai criteri della sindrome metabolica, la sua predittività per il diabete si riduce a poco più della
metà.
Poiché, diversamente dalla sindrome metabolica, sia l’algoritmo di Framingham sia il Diabetes
Risk Score comprendono variabili continue, la loro capacità di discriminare correttamente i soggetti che sviluppano eventi dagli altri, è stata valutata anche calcolando l’area all’interno delle
curve ROC (Receiver Operating Characteristic
curve). Per comprendere tali funzioni si deve ricordare che un valore di 0,5 indica che non vi è
nessuna capacità discriminante e che le differenze nella incidenza di eventi sono dovute al caso,
mentre un valore di 1,0 indica la perfetta capacità
discriminante. Pertanto, quanto più i valori dell’area sono vicini all’unità, tanto maggiore è la
probabilità che un certo gruppo di fattori di ri-
1. I criteri che definiscono la sindrome metabolica sono ambigui e probabilmente incompleti.
2. Non sono chiari i motivi della inclusione o
esclusione di alcuni fattori di rischio.
3. L’importanza della resistenza insulinica come fattore unificante è dubbia.
4. L’impiego dei fattori di rischio come variabili dicotomiche è fuorviante e non definisce
adeguatamente il livello di rischio del singolo soggetto.
5. Non è dimostrato che la sindrome sia associata a un livello di rischio più grave di quello determinato dalla somma dai singoli componenti.
6. Il trattamento della sindrome nel suo complesso non è diverso da quello dei singoli elementi che la compongono.
7. L’importanza clinica della diagnosi di sindrome metabolica è dubbia.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Federico Vancheri
Corso Vittorio Emanuele, 101
93100 Caltanissetta
E-mail: [email protected]