Cassazione civile Sentenza 11.09.2009, n. 19624

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Cassazione civile Sentenza 11.09.2009, n. 19624
Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza 11 settembre 2009, n. 19624
Svolgimento del processo
1.1. Il 1° marzo 2005 è notificato alle intimate autorità tributarie un ricorso della Società per la
cassazione della sentenza descritta in epigrafe, che ha parzialmente accolto l'appello della Società
contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale (CTP) di Milano n. 27/41/2001, che
aveva parzialmente accolto il ricorso della Società contro l'avviso di accertamento n. 608442/99
dell'IVA 1994.
1.2. L'11 aprile 2005 è notificato alla Società il controricorso delle intimate autorità tributarie.
2. I fatti di causa sono i seguenti:
a) la dichiarazione IVA 1994 della Società espone un credito IVA di lire 385.837.000, di cui si
chiede il rimborso e che viene rimborsato;
b) successivamente è adottato nei confronti della Società un avviso di rettifica parziale dell'IVA
1994, con il quale si accerta un debito d'imposta di lire 409.760.000 e si applicano sanzioni per lire
512.200.000, oltre ad interessi, perché: 1) non sarebbero state assoggettate ad IVA (aliquota 9%)
fatture per presunte prestazioni alberghiere di imponibile per lire 1.904.717.375, qualificate dalla
Società come operazioni esenti ex art. 10 DPR 26 ottobre 1972, n. 633, in quanto relative a pure
locazioni immobiliari; 2) il contratto stipulato dalla Società con la Silvana Prima srl avrebbe la
natura, non di locazione immobiliare, ma di affitto d'azienda e la Società non l'avrebbe autofatturato
per lire 1.184.862.000; 3) non sarebbe stata regolarizzata una fattura emessa dalla Rita Sarda srl per
una locazione d'immobili, ritenuta invece affitto d'azienda;
c) il ricorso della Società è parzialmente accolto dalla CTP, che determina l'imposta in lire
381.453.000;
d) l'appello della Società è, poi, parzialmente accolto dalla CTR con la sentenza ora impugnata per
cassazione, nel senso che si determina in lire 891.877.510, pari ad euro 460.616,29, l'imponibile
della contestata mancata autofatturazione di quanto corrisposto alla Silvana Prima srl e si conferma
nel resto la sentenza di primo grado.
3. La sentenza della CTR, oggetto del ricorso per cassazione, è così motivata:
a) «i rapporti negoziali che stanno alla base della controversia vanno interpretati tenendo conto della
reale volontà delle parti»;
I) quanto al rapporto contrattuale instaurato con la Silvana Prima S.r.l.:
b) «rileva la Commissione, non limitandosi al senso letterale delle parole, come dispone l'art. 1362
c.c., che, nonostante che il contratto sia denominato “contratto di locazione”, esso non possa essere
inteso come destinato a far godere ad una delle parti una o più cose mobili o immobili (art. 1571
c.c.), ma vada oltre, prevedendo espressamente a carico di quale delle parti sia l'organizzazione dei
servizi offerti agli ospiti ..., e prevedendo inoltre la messa a disposizione di un alloggio per i
soggetti abilitati ad effettuare gli incassi, l'impegno della Silvana Prima ad assumere persone in
grado di assicurare l'efficienza dei servizi..., l'impegno della Silvana Prima a ricevere i clienti e a
consegnare gli appartamenti, l'impegno della Silvana Prima a tenere in funzione bar, ristorante, ...
Da ultimo, il fatto che il contratto non è un puro contratto di locazione, sarebbe confermato
dall'esistenza della clausola compromissoria, del tutto insolita nei contratti di locazione e, per
contro, abituale nei contratti di cessione o di affitto di azienda. Mentre, in definitiva, in un normale
contratto di locazione, non si prevede altro obbligo, in capo al locatore, se non quello di garantire al
conduttore il godimento della cosa locata, nel contratto in esame si prevede una serie di obblighi,
che si inquadrano in un contratto atipico, che, tale essendo, va disciplinato secondo quanto previsto
per le fattispecie tipiche più affini. Né a diversa conclusione si può pervenire esaminando il dépliant
prodotto dalla ricorrente in primo grado, dove si leggono anche condizioni per “Formula mezza
pensione”, che, lungi dal confermare la natura di contratto di locazione nel rapporto in esame,
sembrano confermare trattarsi di un rapporto di ben diversa natura. Né, ancora, a diversa
conclusione porta la transazione intervenuta a seguito del fallimento della Silvana Prima, poiché, se,
da un lato, è vero che l'adempimento, da parte della procedura, degli obblighi assunti con l'odierna
appellante presupporrebbe l'autorizzazione del curatore all'esercizio provvisorio dell'impresa, è,
d'altra parte, vero che la transazione dà atto che la Silvana Prima non ha provveduto
all'adempimento dei propri obblighi contrattuali (che, evidentemente, erano altri, rispetto a quello di
consentire il godimento degli immobili), ed autorizza le Orizzonti Gestioni ad effettuare per proprio
conto i pagamenti necessari per la gestione del villaggio. Appare quindi fondato, in linea di
principio, il rilievo circa la mancata autofatturazione, e pertanto condivisibile, sul punto, sempre in
linea di principio, la decisione di primo grado, anche sotto il profilo dell'esclusione dall'imponibile
della somma riconosciuta a titolo di risarcimento danni: esclusione che, comunque, resta sottratta
all'esame di questa Commissione, perché non oggetto di gravame»;
c) «non è invece condivisibile per quanto riguarda l'imponibile da fatturare, in quanto non viene
detratto da esso l'importo di lire 144.000.000, che è stato oggetto di autonomo accertamento al
punto 3 dell'atto impugnato. Sul punto, pertanto, la decisione impugnata va confermata
limitatamente a lire 891.877.510»;
II) quanto alle fatture emesse senza addebito dell'IVA:
d) «è ... interamente condivisibile la decisione del primo Giudice ... Sussistono infatti elementi
presuntivi gravi, precisi e concordanti, in ordine al fatto che le prestazioni oggetto delle fatture di
cui si tratta siano da ricondurre a quanto è oggetto del contratto ora esaminato. Si deve infatti
ritenere che la SPES abbia fatturato ai propri clienti quel complesso di servizi che, a sua volta, le
furono assicurati dalla Silvana Prima; né la contribuente ha fornito, in proposito, alcuna prova
contraria»;
III) quanto alla contestata omessa regolarizzazione della fattura emessa dalla Rita Sarda srl:
e) «è ben vero che non sussiste, a carico del cessionario, alcun obbligo di sindacare le valutazioni
giuridiche espresse dall'emittente delle fatture, ma è anche vero che esso deve supplire alle
mancanze commesse dall'emittente in ordine all'identificazione dell'atto negoziale, che gli è ben
nota».
4. Il ricorso per cassazione della Società è sostenuto con due motivi d'impugnazione e si conclude
con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione, anche in
ordine alle spese processuali
5. Le intimate autorità tributarie resistono con controricorso e concludono per il rigetto del ricorso,
con vittoria di spese.
Motivi della decisione
6. Il primo motivo d'impugnazione
6.1. La rubrica del primo motivo d'impugnazione
Il primo motivo d'impugnazione è presentato sotto la seguente rubrica: «Violazione dell'art. 360 n. 5
c.p.c. - Insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Difetto
di motivazione in relazione alla qualificazione del contratto e violazione dell'art. 1362 c.c. e segg.
1344 c.c. e violazione degli artt. 1414-1415 c.c.».
6.2. La motivazione del primo motivo d'impugnazione
La società ricorrente premette che «occorre in primo luogo riportare quanto già sostenuto nell'atto
di appello e nella memoria illustrativa che si devono qui ritenere integralmente trascritti».
Si sostiene, poi, che «nel ricorso avverso l'avviso di rettifica parziale era stata sollevata la questione
della possibilità da parte dell'Ufficio di procedere ad una “riqualificazione” dei contratti
validamente stipulati snaturando la loro struttura così come esattamente individuata tra le parti». La
decisione della CTR di identificare «nel contratto, non una prestazione di locazione, ma una
concessione ad una delle parti del diritto di far godere una serie di cose mobili ed immobili ex art.
1471 c.c.» è contestata, affermando che «la SILVANA PRIMA gestiva il villaggio costituito non
solo da appartamenti ma anche da tutta una di strutture turistiche che ha continuato a gestire anche
per i propri clienti», che «occorre chiarire come una struttura contrattuale si identifichi nella
prestazione prevalente che in questo caso è pacificamente la locazione di immobili. In caso
contrario l'Ufficio IVA avrebbe dovuto scorporare dal canone di locazione un importo da
determinare in funzione dei servizi ed applicare all'importo scorporato l'addebito IVA effettuando la
necessaria determinazione. Non si può ritenere che in un contratto in cui il corrispettivo della
locazione di un immobile costituisce oltre quasi il 99% del valore del contratto si possa assoggettare
ad IVA l'intero corrispettivo della locazione trasformando il contratto stesso in un affitto di azienda
con stravolgimento di tutti criteri ermeneutici di interpretazione dei negozi giuridici. La sentenza
impugnata non ha fornito alcuna argomentazione per giustificare come dall'esistenza di servizi
accessori si possa stravolgere la qualificazione di un contratto avente pacificamente come oggetto
una prestazione largamente prevalente a contenuto locatizio trasformandolo in un contratto di affitto
di azienda che richiede necessariamente delle specifiche caratteristiche e l'adempimento di
specifiche obbligazioni anche di carattere amministrativo e fiscale».
6.3. La valutazione del primo motivo da parte della Corte
Il motivo è inammissibile, perché l'interpretazione del contratto, che sia effettuata dal giudice di
merito con motivazione logicamente ineccepibile e conforme alle norme sull'interpretazione, è
insindacabile nel giudizio di legittimità, se non sotto il profilo dell'invalidità della motivazione e
della violazione delle norme civilistiche sull'interpretazione contrattuale.
Nel caso di specie, la motivazione addotta a sostegno della censura è inammissibile per la sua
genericità sotto entrambi i profili: a) sotto il profilo della violazione di legge, non si specifica quale
delle norme sull'interpretazione contrattuale sarebbe stata violata; b) sotto il profilo dell'invalidità
della motivazione, non si specifica sotto quali profili la lunga e complessa motivazione della
sentenza impugnata sarebbe invalida.
7. Il secondo motivo d'impugnazione
7.1. La rubrica del secondo motivo d'impugnazione
Il secondo motivo d'impugnazione è presentato sotto la seguente rubrica: «Violazione dell'art. 41 V
Comma lettera B) e 21 del DPR 26.10.72 n. 63 e dell'art. 6 del Dlg 18.12.97 n. 471».
7.2. La motivazione addotta a sostegno del secondo motivo d'impugnazione
Secondo la Società ricorrente «l'Amministrazione Finanziaria ha ritenuto che la ORIZZONTI
GESTIONI attualmente SPES in Liquidazione avrebbe dovuto applicare il disposto dell'art. 6 del Dl
18.12.97 n. 471 in base al quale il cessionario di un bene od il committente di un servizio ricevendo
una fattura irregolare è tenuto a regolarizzare l'operazione con la presentazione di un documento
integrativo contenente tutte le indicazioni prescritte dall'art. 21 e con il versamento dell'imposta
dovuta». La giurisprudenza sarebbe orientata a ritenere «che la disposizione in base alla quale il
committente di un servizio è tenuto a regolarizzare l'operazione comporta unicamente l'obbligo di
integrare i vizi formali della fattura, quali le mancanze di elementi essenziali per l'identificazione
dell'atto negoziale o di altri fatti fiscalmente rilevanti». Di conseguenza, sarebbe chiaro «come una
fattura nella quale il soggetto che la emette dichiari che l'operazione non rientra fra le operazioni
imponibili non permette a chi la riceve di applicare criteri di valutazione critica che sono
esclusivamente di pertinenza degli Uffici Finanziari».
Quanto all'obbligo addossato alla Società di sostituirsi al soggetto cedente, si sostiene che «con
l'introduzione della riforma del sistema sanzionatone attuata con il D.L.gs 471/97 si è tornati al
principio della responsabilità autonoma del cessionario committente che, in caso di omessa o
mancata regolarizzazione della fattura, risponde autonomamente della propria violazione senza che
però sia tenuto al pagamento dell'imposta che grava unicamente in capo al cedente. L'entrata in
vigore dell'art. 6 comma 8 del sopra citato D.Lgs 471/97 riferentesi alla responsabilità autonoma del
cessionario acquirente ha sancito in modo definitivo la natura meramente sanzionatoria della
suddetta responsabilità essendo stato eliminato l'obbligo di corrispondere il tributo. Il nuovo regime
ha stabilito che, per quanto attiene [al]la violazione di autofatturazione per l'acquisto di beni o
servizi, qualora l'illecito non abbia comportato nelle risultanze delle liquidazioni periodiche o in
sede di dichiarazione annuale, ai fini dell'applicazione del principio del favor rei occorra verificare
le diverse sanzioni che si sono succedute nel tempo dal momento della commissione a quello
dell'accertamento. Per quanto riguarda l'obbligo del pagamento dell'imposta se questo venisse
considerato una sanzione impropria risulterebbe travolto dall'applicazione della sanzione più
favorevole».
7.3. La valutazione della Corte del secondo motivo d'impugnazione
Il motivo è infondato, perché, come ha già avuto modo di stabilire questa Corte nella sentenza 8
marzo 2000, n. 2603, adottando un orientamento dal quale il Collegio non ha motivo di discostarsi,
anche in mancanza di specifiche argomentazioni della Società idonee a rettificarlo, «l'art. 41, quinto
comma, lett. b) del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (riformulato dal d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24 e
dal D.L. 2 marzo 1989 n. 69, convertito in legge 27 aprile 1989 n. 154, poi abrogato dal D.Lgs. 18
dicembre 1997 n. 471 e sostituito dalle disposizioni dell'art. 6 di quest'ultimo), in base al quale il
cessionario di un bene od il committente di un servizio, ricevendo fattura irregolare, è tenuto a
“regolarizzare l'operazione”, con la presentazione di un documento integrativo contenente tutte le
indicazioni prescritte dall'art. 21 e con il versamento dell'imposta dovuta, restando soggetto, in caso
di omissione, anche a sanzione pecuniaria, implica il solo obbligo di supplire alle mancanze
commesse dall'emittente in ordine alla identificazione dell'atto negoziale ed alla notizia dei dati di
fatto fiscalmente rilevanti, e non invece anche quello di controllare e sindacare le valutazioni
giuridiche espresse dall'emittente medesimo allorché quest'ultimo, in una fattura recante l'esatta
annotazione di tutti i suddetti estremi, inserisca (eventualmente in modo erroneo) l'esplicita
dichiarazione di non debenza dell'imposta (dichiarazione prevista dal sesto comma di detto art.
21)».
8. Conclusioni
Le precedenti considerazioni comportano il rigetto del ricorso.
Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la Società ricorrente al pagamento delle spese processuali
relative al giudizio di cassazione per euro 3.600,00, di cui euro 3.500,00 per onorari, oltre alle spese
generali e agli accessori di legge.