Assistenti familiari in Alto Adige. Volti della cura e welfare territoriale
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Assistenti familiari in Alto Adige. Volti della cura e welfare territoriale
SYNERGIA Sistemi di conoscenza e di gestione del cambiamento ASSISTENTI FAMILIARI IN ALTO ADIGE Volti della cura e welfare territoriale Scheda di focus Indagine coordinata dall’Osservatorio Provinciale sulle Immigrazioni della Provincia Autonoma di Bolzano con il sostegno del Fondo Sociale Europeo e realizzata dalla società di ricerca Synergia di Milano. Il lavoro di ricerca è stato realizzato sotto la direzione scientifica di Luigi Mauri, Chief Executive di Synergia. La redazione del rapporto di ricerca è frutto del lavoro comune di Francesco Grandi, Paolo Borghi e Alessandro Pozzi. Bolzano, 2008. SYNERGIA srl Milano (20124) - Via mauro Macchi, 44 Tel. 0272093033 - Fax 0272099743 - e-mail: [email protected] C.F. e P.IVA 09570410150 Introduzione La presente indagine ha analizzato le dinamiche relazionali e lavorative che intercorrono, nel contesto del lavoro di cura in territorio altoatesino, tra anziano accudito, assistente familiare e famiglia dell’anziano, tramite una ricerca sul campo che ha individuato due gruppi complementari di testimoni così composti: 34 testimoni privilegiati (scelti tra professionisti a vario titolo informati su ciò che accade nel contesto del lavoro di cura) che hanno contribuito a delineare l’evoluzione e le caratteristiche del lavoro di cura sul territorio della Provincia Autonoma di Bolzano, fornendo utili valutazioni sui servizi esistenti e sui possibili scenari futuri. 18 casi studio (assistenti familiari, assistiti e caregiver), che hanno fornito una valutazione soggettiva e quindi hanno contribuito ad individuare le criticità e le potenziali soluzioni del delicato contesto che coinvolge il lavoratore e la famiglia coinvolta. L’incremento della domanda sociale d’assistenza generato dal progressivo processo di invecchiamento della popolazione residente in Alto Adige ha trovato una prima modalità di risposta nel ricorso alle prestazioni di care fornito da lavoratori e lavoratrici immigrati. In Alto Adige, l’evoluzione delle presenze di lavoratori domestici stranieri e la loro distribuzione territoriale tra aree urbane e periferiche è coerente con quanto evidenziato dall’andamento nazionale e nel 2007 i dipendenti stranieri nel settore domestico si attestano a 1282. I profile delle lavoratrici In termini generali, a partire dalla documentazione empirica raccolta, è stato possibile tre profili principali di lavoratrici, prendendo in considerazione alcuni tratti distintivi dei sistemi migratori in cui sono inserite, delle strategie di family formation e dai bisogni di conciliazione tra lavoro e proprie reti familiari. Le lavoratrici immigrate con famiglie monoparentali, che in forza della loro giovane età, sembrano descrivere percorsi “esplorativi”, caratterizzati da una maggiore volontà di riscatto e di ricerca di opportunità, anche al fine di perseguire progetti di riunificazione familiare o di nuove formazioni familiari nel contesto di insediamento. Tratti simili a questo profilo sono condivisi dalle donne con famiglia già insediata nel contesto d’immigrazione e quindi maggiormente sollecitate dal problema della conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di cura dei figli e della famiglia. Anche questo profilo appare dinamico, disponibile alla professionalizzazione e alla qualificazione, più attento alle dinamiche di regolarizzazione e riconoscimento dei diritti. Le assistenti familiari più anziane che propongono profili più statici, risultano meno propense a cercare opportunità di formazione e professionalizzazione che possano creare i presupposti di una diversificazione di inserimento lavorativo e ritengono la scelta di intraprendere il difficile percorso di riconoscimento dei titoli di studio una fatica “fuori tempo massimo”. Vivono la loro condizione come necessitata e immodificabile, ma a tempo parziale, procrastinano i propri progetti individuali e investono su un progetto migratorio che scommette sul miglioramento delle condizioni per figli e nipoti e, in alcuni casi, per i genitori. Spesso però i tempi che si immaginano ridotti, di concentrazione del sacrificio al presente per poterne godere in tempi lunghi poi, si allungano lentamente da un lato nella percezione che permane un deficit di risorse che va costantemente colmato, dall’altro che alcune condizioni della vita in immigrazione sono comunque migliori di quelle nel proprio paese, dove la pensione non basterebbe a pagare un tenore di vita adeguato alle proprie aspettative. 2 Il contesto di lavoro Il settore dell’assistenza familiare in Alto Adige è risultato caratterizzato da alcune peculiarità, prima tra tutte l’ampia fascia di irregolarità che lo contraddistingue, con una percentuale di lavoro nero pari al 37%. Inoltre, si è riscontrato come l’arrivo in Italia delle assistenti familiari sia sempre mediato dalla presenza di familiari o connazionali già inseriti nel contesto italiano, e come siano proprio le formule di organizzazione semi-strutturate, principalmente tra soggetti provenienti dallo stesso paese di origine, a consentire l’inserimento lavorativo di un elevato numero di persone. Ancora, le traiettorie migratorie descritte nelle interviste hanno testimoniato una forte mobilità territoriale, dovuta principalmente a: inserimenti lavorativi spesso a breve termine; una continua ricerca di posizioni contrattuali più favorevoli; la necessità di trovare contesti lavorativi che permettano la conciliazione dei tempi di lavoro e di cura della propria famiglia per quelle donne promotrici di riunificazioni familiari o con famiglia già insediata in Italia. Le principali motivazioni riferite dalle assistenti familiari intervistate fanno riferimento a condizioni di crisi economica e di trasformazione repentina delle condizioni socioeconomiche del paese di origine, di fronte alle quali la scelta di emigrare è spesso percepita come l’unica soluzione per migliorare la propria condizione e quella dei familiari, per esempio per garantire il mantenimento dei figli agli studi, soprattutto nei casi di donne sole con figli. Le forti motivazioni alla base di tale scelta permettono alla lavoratrici di affrontare le condizioni lavorative disagevoli, ed al contempo di raggiungere livelli di risparmio notevoli, destinati pressoché totalmente alle rimesse indirizzate alle reti familiari nel paese di origine. Se da una parte la fase iniziale di ambientamento è quella maggiormente carica di difficoltà per tutti i soggetti coinvolti, d’altra parte è emerso, dalle interviste effettuate, come tipicamente le valutazioni positive delle assistenti familiari riguardo il rapporto con il principale caregiver rimandino spesso proprio all’accoglienza iniziale ed al supporto ricevuto nei fasi iniziali dell’esperienza lavorativa. Diversamente, il rapporto tra assistito e assistente si sviluppa con il passare del tempo grazie alla quotidianità, alla conoscenza reciproca ed all’instaurarsi di legami di fiducia e affidamento che permettono di superare le diffidenze e, in alcuni casi, l’iniziale rifiuto dell’assistente familiare. La relazione con l’assistito Riguardo a questa particolare relazione, all’interno di questa ricerca, si sono raccolte e analizzate alcune narrazioni fornite dagli assistiti per ricostruire le principali difficoltà e i punti di forza che caratterizzano la relazione di cura: la natura densa e articolata di questa relazione richiede un’esplorazione e un monitoraggio ravvicinato e costante, attento alle sfumature e consapevole dell’alta variabilità di casi. Nelle testimonianze degli assistiti, l’anziano ricorda con precisione il momento del primo manifestarsi della malattia, spesso un collasso psicofisico repentino che lo costringe a periodi di ricoveri prolungati e cure invasive. Le interviste hanno anche registrato l’estrema consapevolezza, venata in alcuni casi quasi da senso di colpa, dall’onere assistenziale e della spesa che la propria malattia comporta e il riconoscimento del ruolo fondamentale ricoperto dal caregiver, che ha un forte valore di rassicurazione e di tutela per l’anziano. L’assistente familiare è rappresentata, nelle parole degli assistiti, come la garante di una prossimità capace di stemperare ansia e depressione, correlate alla solitudine e alla malattia. Lo stimolo di une relazione continuata e vicina consente infatti all’anziano di non abbandonarsi ad una condizione che progressivamente peggiora quanto di ritrovare motivazione e voglia di comunicare. Emerge inoltre, sull’asse del rapporto con l’assistente familiare, la consapevolezza di 3 una progressiva o repentina perdita di autonomia e di capacità operativa, che ha ridimensionato, spesso drasticamente e in modo irreversibile il ruolo assunto fino a quel momento nell’economia delle relazioni familiari. Si esplicita infatti una sorta di “gelosia di ruolo”, che è di fatto una “nostalgia di funzioni”, di cui si appropria sia il caregiver (nella naturale e culturalmente codificata eredità del vincolo di reciprocità intergenerazionale) sia l’assistente familiare (un’estranea a cui viene esternalizzata una quota di quella prestazione atta a riprodurre la continuità familiare). Il rapporto con l’assistente familiare è caratterizzato, nella maggioranza dei casi raccolti da una relazionalità densa e da una conoscenza reciproca che si ispessisce con il passare del tempo, con l’abitudine quotidiana, nella ripetizione dei gesti di cura e dello svago. Se nel rapporto con l’assistente alcune prime difficoltà generano dalla non conoscenza del tedesco da parte delle lavoratrici immigrate (che più facilmente conoscono l’italiano), dalla poca dimestichezza con la cucina italiana e i piatti tipici altoatesini e dalle difficoltà oggettive ad una comunicazione normale, dovute ai deficit cognitivi e agli handicap dell’assistito, tuttavia sono numerose le testimonianze, anche indirette, della capacità delle assistenti e degli anziani a un linguaggio intimo, un codice della prossimità che permette di superare gli ostacoli della malattia e della differenza culturale e linguistica. Il welfare territoriale L’offerta di servizi dedicati alle assistenti familiari straniere nel territorio della Provincia di Bolzano ha origine nella consapevolezza che l’ambito familiare oggi garantisca quella completezza del sostegno assistenziale che l’offerta dei servizi non è in grado di assicurare e quindi dalla volontà di sottrarre alle asimmetrie di mercato e di informazione un ambito che si rivela strategico per garantire livelli di assistenza qualitativamente corretti ed erogazioni omogenee, includendo la nuova unità organizzativa composta da “anziano, caregiver e badante” nel sistema pubblico di protezione sociale. Le sperimentazioni di integrazione e valorizzazione delle prestazioni private d’assistenza nell’offerta del sistema locale di welfare, ha richiesto uno schema tripartito di interventi, in considerazione di quella triangolazione di relazioni sopra richiamata, che struttura di fatto il lavoro di cura in tre tipologie: interventi di tutela della qualità dell’assistenza per l’anziano; interventi di sostegno ai familiari o ai responsabili della cura; tutela della salute e della professionalità della lavoratrice. In particolare, le politiche di sostegno all’attività della lavoratrice immigrata, si delineano in: politiche di sostegno alla domanda (agevolazioni fiscali; semplificazione degli oneri amministrativi; erogazione di voucher e assegni di cura; servizi di sollievo); incontro tra domanda e offerta; politiche di sostegno all’offerta (pooling di risorse; formazione delle lavoratrici; registri di badanti) In Alto Adige, le esperienze messe in atto a livello territoriale nei Comprensori, anche se di recente applicazione e di portata ancora limitata rispetto al numero di famiglie e assistenti familiari coinvolte, costituiscono un primo framework entro il quale osservare il fronteggia mento delle problematiche dell’assistenza. Nel complesso, le politiche locali hanno cominciato a dare risposta a qualche esigenza fondamentale, come, ad esempio, facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, garantire un’offerta qualificata e monitorata nel tempo, permettere la turnazione di collaboratori familiari in caso di malattia o infortunio, sostenere la domanda di care attraverso contributi economici destinati alle famiglie. 4 Alcune indicazioni di policy All’interno di tale contesto, una prima indicazione di policy riguarda sicuramente il potenziamento dei servizi altoatesini per l’incontro tra domanda e offerta di cura, ancora poco conosciuti e fruiti, necessari sia per le difficoltà nel definire modalità di valutazione delle candidate alla posizione di assistente familiare che per la repentinità con la quale spesso si presenta la necessità di reperire un’assistente familiare. Nel corso della ricerca si è inoltre riscontrato un deficit informativo da parte delle assistenti familiari riguardo gli aspetti contrattuali del loro lavoro. Nonostante le badanti siano sempre più informate riguardo lo standard di stipendio, le giornate libere, ed i diritti e doveri di lavoratori e datori di lavoro, tale dimestichezza è in realtà fortemente differenziata a seconda delle situazioni, dei profili delle assistenti familiari e delle reti sociali di riferimento. Risulta pertanto necessario un più deciso intervento delle istituzioni altoatesine nel progettare attività di informazione e formazioni onde evitare sacche di sfruttamento e la crescita di insoddisfazioni e tensioni lavorative all’interno di un settore tanto delicato. L’esigenza di una maggiore attenzione delle istituzioni pubbliche nel settore dell’assistenza familiare deriva inoltre dal fatto che l’esistenza di un regolare contratto spesso non garantisce automaticamente il rispetto dei diritti delle lavoratrici, né la piena uscita dal lavoro nero. L’affondo analitico ha sottolineato per il caso territoriale altoatesino come il futuro delle politiche di welfare territoriale sul tema del sostegno della non autosufficienza e dell’integrazione socio-lavorativa delle assistenti familiari straniere, necessita di muoversi su più livelli di intervento, garantendo: una definizione di livelli essenziali di assistenza nell’ambito del lavoro di cura, al fine di promuovere standard d’offerta e di spesa; un collegamento maggiormente rigoroso tra trasferimenti monetari e servizi, promuovendo campagne di orientamento e informazione della popolazione rispetto all’offerta dei servizi territoriali, irrobustendo l’attività del segretariato sociale già esistente e studiando nuove formule di marketing dei servizi; la definizione di un percorso assistenziale con la compartecipazione di tutti gli attori territoriali che si occupano di non autosufficienza, al fine di: 1. immaginare percorsi orientati alla valorizzazione delle risorse residue delle persone fragili 2. attivare e coltivare il dialogo tra competenze specialistiche di operatori e gestori di servizio, sviluppando capacità gestionali e nuove filiere di cura; 3. lavorare sulla qualità e predisporre sistemi di monitoraggio e valutazione non episodici che incorporino anche il punto di vista dell’utente. 5