Il dossier Filctem-Cgil “Allarme lavoro”: tutti i numeri delle crisi

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Il dossier Filctem-Cgil “Allarme lavoro”: tutti i numeri delle crisi
Vertenze in primo piano nella chimica, tessile, energia, manifatture
Il dossier Filctem-Cgil “Allarme lavoro”:
tutti i numeri delle crisi industriali
1.
Un interminabile elenco di nomi, dati, cifre. ‘Allarme lavoro’ è il
dossier elaborato dalla Filctem-Cgil nazionale sulla crisi di imprese,
comparti e aree industriali della chimica, del tessile, dell'energia e delle
manifatture. Un report sul dramma collettivo che dal 2008 ad oggi - tra
licenziamenti, mobilità, cassa integrazione, processi di ristrutturazione,
contratti di solidarietà - ha già coinvolto oltre 180.000 lavoratori (90.000
solo nel settore tessile, più di 12.000 nell'industria farmaceutica, oltre
6.000 nella raffinazione, ecc.) e che sembra non avere fine. Ovunque dal
nostro osservatorio, dalla grande alla piccola impresa, siamo in una
situazione di forte sofferenza e difficoltà.
Nella recente assise nazionale dei quadri e delegati svoltasi a Roma il
12 dicembre 2013 – presente la segretaria generale Cgil, Susanna
Camusso - gli interventi di delegate e delegati hanno “messo a fuoco”
quelle vertenze (Prato, Vinyls, Omsa, Bridgestone, Civita Castellana,
Solvay, Pirelli, raffineria Eni di Gela, Tirreno Power, ecc.) che sembrano
non avere mai fine, per le quali – in alcuni casi – si aspettano risposte
concrete da anni. Probabilmente Prato (dopo la tragedia del 1 dicembre
2013, la Filctem si è costituita parte civile) non rappresenta solo la più
grande concentrazione di lavoro nero, al limite della brutalità e della
schiavitù che esiste in Europa, ma anche un territorio – è stato detto –
che ha perso oltre 12.000 addetti solo nel distretto tessile dall'inizio di
quella crisi che non accenna a diminuire.
In particolare colpiscono “gli annunci di grandi gruppi – esordisce
Emilio Miceli, segretario generale della Filctem-Cgil – che si ritirano dal
contesto italiano ed europeo sono davvero pesanti: molti di loro
considerano esaurita l'esperienza industriale nel nostro paese, senza
che le istituzioni – italiane ed europee – muovano un dito, siano in grado
di una vera discussione su ciò che sta avvenendo. Se poi – aggiunge il
segretario – ci limitiamo al nostro ambito, le stesse nostre grandi
aziende (Enel ed Eni su tutte) agiscono tutte in condizioni di grandi
difficoltà nel mercato italiano. Nel caso di Eni poi, se il Governo insiste
nella cessione – a mio parere sbagliata – delle quote di partecipazione
del Tesoro, si rafforzerà inevitabilmente un orientamento dell'azienda
proteso a concentrare la propria attenzione fuori dall'Italia. Così –
sostiene Miceli – perdiamo dividendi stabili solo per un ristoro
momentaneo del bilancio dello Stato. Risultato? Diminuiranno gli
investimenti in Italia, altro che interessi del Paese!”.
Che fare per risollevare le sorti dell'economia reale? Due proposte su
1
tutte, avanza Miceli: la prima, investire una parte dei proventi derivanti
dal riequilibrio della tassazione delle rendite e dalle cedole milionarie
che, ad esempio Eni ed Enel, “staccano” ogni anno allo Stato per
contribuire a finanziare almeno il loro lavoro industriale, ricerca,
chimica di base e “verde”, raffinazione e settore termoelettrico; la
seconda, abbassare il costo dell'energia, decisamente fuori competizione
(+30% che in altri Paesi concorrenti) e che purtroppo rappresenta un
deterrente formidabile per investimenti nella ceramica, chimica, vetro,
gomma-plastica, notoriamente settori energivori: “Non sarebbe utile - si
domanda Miceli – chiedere all'Autorità per l'energia una moratoria sugli
aumenti dell'energia per almeno tre anni?”.
2.
Cominciamo in questo lungo viaggio attraverso la crisi, innanzitutto
da Vinyls, il gruppo chimico del ciclo del cloro, prima in esercizio
provvisorio poi passata al fallimento, per 4 anni commissariata, con 490
addetti ripartiti nei tre stabilimenti di Porto Torres, Porto Marghera e
Ravenna, che diventano il triplo con l’indotto. La vertenza Vinyls è
divenuta nel tempo un simbolo: dall’occupazione durata un anno
dell’isola dell’Asinara (‘l’isola dei cassaintegrati’), all’arrampicata a 110
metri d’altezza sulle torce spente del polo petrolchimico della laguna di
Venezia. Di recente, dopo innumerevoli vicissitudini che hanno visto
acquirenti fantasma (prima gli arabi della Ramco, poi gli svizzeri del
fondo Gita) e false illusioni alimentate dagli ultimi governi, con gli
impianti sempre fermi e i lavoratori per molti mesi senza stipendio. L'8
luglio 2013 il Tribunale di Venezia ha deciso di concordare sei mesi di
esercizio provvisorio: il sindacato ha chiesto la prosecuzione della cig
straordinaria (ottenuta per un anno a partire dall'8 luglio sia per i 125
dipendenti di Porto Marghera che per i 90 di Porto Torres, n.d.r.) e
l’apertura di un negoziato con uno dei soggetti interessati (“Oleificio
Medio Piave”). In tutti i casi se non si troveranno acquirenti, dal luglio
2014 scatterà inesorabilmente la mobilità per tutti.
“Nel caso di Porto Marghera – avverte Miceli – non c'è solo il problema
del recupero dell'area, ma è in gioco la sopravvivenza di quello che è il
cuore della chimica italiana, da dove si determina l'impulso per tutto il
settore industriale: se nei prossimi anni insomma, qui e altrove, l'Italia
sarà o meno un paese che vivrà ancora della sua produzione
industriale”.”Certo, – aggiunge Miceli – il recente accordo Eni-Versalis e
sindacati con 200 milioni di investimento nella “chimica verde” in
partnership con l'americana “Elevance Renewable Sciences”, aiuta - e di
molto - perchè rende il sito sempre più competitivo e crea sinergie tra
l'industria chimica da fonti rinnovabili e quella tradizionale attraverso
l'utilizzo di etilene”.
Sempre nell’area industriale veneziana, si contano le difficoltà della
raffineria Eni, le chiusure di Montefibre (80 in mobilità dal 1 gennaio
2014), Dow Chemical e Sirma, le crisi di Solvay, Pilkington (rinnovato il
contratto di solidarietà per i 150 lavoratori occupati per altri 24 mesi, a
2
partire dal 17 settembre 2013, n.d.r.), Pansac International (su 650
dipendenti dei quattro siti ne verranno riassunti 521 in quattro anni dai
nuovi acquirenti di Polirama, società della Selene di Lucca, a seguito
della procedura per la cessione di ramo d'azienda 22 ottobre 2013) e
Reckitt Benckiser, le difficoltà dei distretti del vetro di Murano e del
calzaturiero della Riviera del Brenta: in totale, nell’arco di un
quinquennio, sono finiti in mobilità più di 24.000 lavoratori.
3.
Il “modello” inizialmente proposto da Electrolux evidentemente
rischia di fare scuola anche nei nostri settori: la ex-Memc di Novara (ora
SunEdison), la multinazionale americana leader mondiale nella
produzione di silicio, ha avanzato una specifica richiesta ai sindacati di
riduzione del 15% del costo del lavoro entro aprile agendo
principalmente sul fronte salariale e, in caso di mancato accordo,
attraverso la disdetta delle intese aziendali raggiunte finora
(attualmente i 458 lavoratori sono in cassa integrazione straordinaria
fino a maggio 2014). Inoltre per l'altro stabilimento di Sinigo (a Merano)
la società ha previsto la chiusura del reparto policristallo: a rischio il
lavoro per 235 operai.
Non meno grave la situazione del Sulcis Iglesiente: Eurallumina
(produzione di allumina dalla bauxite), la società controllata dalla russa
Rusal, nella quale lavoravano tra diretti e indotto 700 lavoratori, oggi
302 tutti in cassa integrazione;
Carbosulcis, l'azienda mineraria
controllata dalla Regione Sardegna, a rischio fallimento (vi lavorano 454
addetti); Rockwool, Portovesme, Rwm, Ssb, Sarmed (biomedicale),
Abbanoa, la stessa Enel, tutte società coinvolte in processi di
ristrutturazione che, se non scomparse del tutto, hanno lasciato per
strada centinaia di lavoratori.
Più nello specifico in una grande regione come la Lombardia, i dati
dell'Osservatorio regionale Filctem evidenziano una forte riduzione del
tessuto produttivo nei settori chimico-farmaceutico, gomma-plastica,
tessile, ceramica, energia, vetro: 1) le aziende coinvolte nei processi di
ristrutturazione e di riorganizzazione sono, all'inizio di ottobre, 817; 2) i
lavoratori coinvolti dagli ammortizzatori sociali sono circa 15.000, di cui
9300 in cassa integrazione; 4500 in mobilità; 1200 fruiscono dei
contratti di solidarietà; 3) i posti di lavoro persi e che si perderanno per
cessazione di attività e ristrutturazioni sono più di 6800, che si
andranno ad aggiungere ai quasi 50.000 persi dall'inizio della crisi.
Nel mantovano poi, dopo le notizie poco rassicuranti sul futuro della
raffineria “Ies” (410 i lavoratori a rischio), scoppia anche la grana di
“Pompea”, uno dei nomi più noti della calzetteria e dell'intimo: l'azienda
ha annunciato, nei due stabilimenti di Asola e Medole, 200 esuberi, più
della metà della forza lavoro impiegata, per delocalizzare in Serbia.
Emblematico poi il caso della “Solvay-Selexis” (30.000 dipendenti nel
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mondo, 2200 nei 12 stabilimenti italiani), multinazionale belga che
opera nel settore della chimica e delle materie plastiche, che nel 2012
ha acquisito “Rhodia”, società chimica di specialità: qui è in atto una
riorganizzazione che sta modificando i profili industriali delle attività
con possibili ed eventuali impatti sull'occupazione.
4.
In Emilia Romagna, in particolare a Ferrara, all’interno del polo
chimico, si collocano sia l’impianto di servizi e attività che il celebre
Centro di ricerche ‘Giulio Natta’ (per un complesso di 850 unità) di
Lyondell Basell, la multinazionale olandese-americana, che a metà
gennaio 2013 aveva annunciato un drastico ridimensionamento del sito
(dove ogni anno si producono i due terzi dei brevetti internazionali del
gruppo), accompagnato da 105 esuberi, nonostante i ricavi per 51
miliardi di dollari.
Poi dietro-front, si accende una speranza, dopo l'accordo del 19 luglio
2013, anche grazie alla mediazione della Regione Emilia Romagna:
niente licenziamenti ma una tabella di marcia che – attraverso esodi
volontari e prepensionamenti – dovrà conseguire il risultato della
fuoriuscita di 39 unità dall'organizzazione “Basell” che potranno essere
riassorbite coinvolgendo l'intera platea del sito. L'incontro del 20
settembre, sempre presso la Regione, avrebbe dovuto rappresentare
l'avvio di un confronto interno all'azienda anche per favorire la mobilità
aziendale in un quadro complessivo di riassetto organizzativo. Da quel
momento in poi il gruppo dirigente di Basell non si è più reso disponibile
ad aprire un confronto vero sul piano industriale: inevitabile, ai primi di
febbraio 2014, una serie di azioni di lotta e di scioperi articolati.
Ma Lyondell Basell faceva anche parte del polo chimico di Terni. Poi, a
fine 2011, quell’impianto (con 70 addetti) ha chiuso, e successivamente
sono finiti in commissariamento o in amministrazione straordinaria
Treofan, Meraklon spa e Meraklon Yarn. “Intendiamoci – incalza Miceli –
Basell è un'azienda sana, che deve gran parte delle sue fortune alla sua
eccezionale esperienza industriale in Italia. A maggior ragione è
insopportabile che la multinazionale tenga “in ostaggio” un'area
industriale - peraltro dotata di importanti infrastrutture, dalla ferrovia a
una centrale di produzione elettrica - all'interno del polo chimico
ternano che potrebbe essere utilizzata per rilanciare altre imprese ( è il
caso di “Meraklon” ) che hanno mercato ma che rischiano di
soccombere”.
Sempre a Terni altre grane: la “Sgl Carbon”, la multinazionale tedescoamericana che produce elettrodi in grafite per forni elettrici, ha
dimezzato la produzione nell'unico stabilimento italiano di Narni, spento
un forno su due e rischia di chiudere, mettendo “in mora” 110
lavoratori, e l'intera industria siderurgica italiana già oggi in sofferenza
(caso Ilva insegna) per gli eventuali acquisti della materia prima dai
nostri diretti concorrenti. Per non parlare della “Isrim” (l'istituto di
ricerca e formazione sui materiali speciali per le tecnologie avanzate)
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per il quale è ormai decisa la liquidazione: per i 36 ricercatori si
prospetta la via della mobilità.
La chimica segna il passo anche in Calabria: a Cirò Marina uno
stabilimento di Eni Syndial, inserito nel ciclo del cloro con 60 addetti tra
produzione e miniera di salgemma a Belvedere Spinello, non ha più
molte speranze di ripartire, nonostante le iniziali prospettive tutte
prevalentemente legate a Vinyls.
Completano la panoramica sui poli chimici i ridimensionamenti avvenuti
nelle aree industriali di Siracusa e Gela.
5.
Nel Lazio, otto anni dopo, la battaglia continua. È il caso della
Videocon (ex Videocolor) di Anagni (Frosinone), del gruppo francese
Thomson, leader nella produzione di cinescopi per televisori, chiusa nel
2005 dopo una lunga serie di ristrutturazioni. Gli acquirenti indiani
Videocon si erano impegnati alla riconversione alla nuova tv al plasma,
con l’ausilio di sindacati, governo e Regione Lazio, attraverso un
contratto di programma di 56 milioni. L’operazione non è andata in
porto e nel 2012 l’azienda è finita in tribunale per fallimento.
L'ennesima brutta notizia per i 1.095 dipendenti rimasti è che il 14
giugno 2013, tutti i lavoratori - terminata la lunga cassa integrazione
prevista - sono stati messi in mobilità. Ma anche in questo caso si è
riaccesa una speranza: i sindacati e le istituzioni locali che più di altri si
erano battuti per realizzare “l'area di crisi” e un accordo di programma
che potesse dare risposte alle 160 manifestazioni imprenditoriali di
interesse, investire nel territorio, rioccupare i lavoratori ex Videocon, lo
hanno finalmente portato a casa il 2 agosto scorso: l'accordo di
programma firmato dal ministro dello Sviluppo Economico Zanonato e
dal presidente della Regione Lazio Zingaretti prevede un investimento
per l'area Frosinone-Anagni di 81 milioni per promuovere programmi di
investimento e il reimpiego dei lavoratori espulsi dalla filiera produttiva
dell'ex stabilimento Videocon. Per i lavoratori licenziati spunta anche
una proposta di aiuto Ue: la Commissione europea (5 marzo 2014) ha
infatti proposto di fornire all'Italia 3 milioni di euro del Fondo europeo
di adeguamento alla globalizzazione. “Ma non bisogna più perdere
tempo - sostiene con forza Miceli - , devono divenire immediatamente
fruibili l'accesso al credito, lo start up di nuove imprese, l'attivazione di
investimenti, gli incentivi all'occupazione” perchè in crisi è tutta l’area
industriale di Frosinone: su 65 aziende (chimiche-farmaceutiche e
manifatturiere), 45 sono in difficoltà, con più di 5.000 persone coinvolte
su un totale di 9.000 (solo i lavoratori finiti in mobilità negli ultimi due
anni sono stati 744).
In Emilia Romagna, altra vertenza ‘storica’ è quella dell’Omsa di
Faenza, il celebre marchio di calze di proprietà della Golden Lady, che
nel 2009 ha chiuso lo stabilimento e trasferito parte della produzione in
Serbia. Grazie alla lotta delle 340 dipendenti (poi ridotte a 229) e
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all’impegno di sindacati e istituzioni si è trovato un accordo di nuova
industrializzazione del sito con Atl, azienda del legno che ha assunto
145 lavoratrici a conclusione di un processo di riqualificazione
professionale. Resta aperta la ricollocazione di 62 addette, attualmente
in cassa integrazione in deroga. Nel 2011 Golden Lady ha chiuso
l’impianto di Gissi (Chieti), mettendo nei guai 380 persone, solo in parte
(220) riassorbite nel tessile-calzaturiero.
Sempre nella Regione Emilia Romagna, due altri punti di crisi: è alta
tensione con i sindacati alla “Giorgio Armani s.p.a.” per un piano di
esodi, ricorso ad ammortizzatori sociali e trasferimenti che riguarda il
destino dei 164 dipendenti negli stabilimenti di Baggiovara (Modena) e
San Martino in Rio (Reggio Emilia). L'altra “grana” in provincia di
Ferrara, dove la “Servizi Ospedalieri” - società del gruppo
Manutencoop, leader in Italia nel settore dei servizi specialistici di
supporto all'attività sanitaria – si è arrogata il diritto di decidere
unilateralmente il destino di 115 lavoratori, con la sospensione del sito
di Porto Garibaldi, preludio alla sua definitiva chiusura. Dopo settimane
di lotte e mobilitazioni, l'azienda è arrivata a più miti consigli,
sottoscrivendo un accordo prima alla Regione Emilia Romagna e poi al
ministero del Lavoro (23 gennaio 2014) che prevede 24 mesi di cassa
integrazione straordinaria a partire dal 1 gennaio 2014.
6. “Nerviano Medical Sciences”, in provincia di Milano, è il più grosso
centro di ricerche e sviluppo di farmaci oncologici in Italia e uno dei più
importanti d’Europa. A seguito della crisi e del debito creato dalla
precedente proprietà, l’azienda è a rischio , con possibili conseguenze
per il personale (575 dipendenti, di cui 170 ricercatori), nonostante
proprio recentemente (30 luglio 2013) sia stato siglato un accordo di
collaborazione con il Gruppo Ricerca Servier, società europea leader
nella ricerca, per lo sviluppo e la commercializzazione di una molecola
antitumorale scoperta proprio a Nerviano e, più recentemente (fine
ottobre), con la società biotech americana Ignyta (accordo per 113
milioni di dollari) che garantirà a quest'ultima lo sviluppo esclusivo e i
diritti di commercializzazione di due diversi inibitori tirosino-chinasi per
il trattamento dei tumori del polmone e del colon.
In Puglia, veniamo alle situazioni più recenti. Dopo l’annuncio “shock”
(4 marzo 2013) della chiusura dello stabilimento di Bari-Modugno della
“Bridgestone”, la multinazionale giapponese dei pneumatici, ci sono
state numerose riunioni al ministero dello Sviluppo economico per
trovare soluzione alla vertenza che pregiudica il lavoro di 950 operai.
Una intesa di massima è stata raggiunta (1 agosto 2013) dai sindacati e
l'azienda su un progetto triennale che prevedeva la riconversione delle
linee di lavorazione per produrre copertoni a basso costo (tipologia
general use) al posto di quelli ad alta qualità, a partire dal 2014.
Finalmente il 30 settembre al ministero dello Sviluppo Economico si
firma l'accordo che consente di mantenere la produzione nello
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stabilimento di Bari: prevista una riorganizzazione dell'azienda con una
riconversione verso un prodotto (“general use”) a più basso valore
aggiunto e la produzione a regime di 3,5 milioni di pneumatici sarà
possibile anche attraverso il trasferimento di produzioni, attualmente in
Asia. Quanto ai 950 lavoratori sono previste fino a 377 mobilità
incentivate e volontarie; un piano biennale di cassa integrazione
straordinaria; l'abbandono del ciclo continuo per quello a 5 giorni con
quattro turni a 6 ore; forte sostegno alla formazione.
Era partita come l'ennesima cattiva notizia, sempre nel settore dei
pneumatici:
l'amministratore delegato della “Marangoni Tyre” di
Anagni (Fr) aveva annunciato (5 settembre) la chiusura dello
stabilimento: 410 lavoratori (500 se si considera l'indotto) potrebbero
presto perdere il posto di lavoro. Ma nell'incontro del 6 novembre
scorso al ministero dello Sviluppo Economico, i sindacati sono riusciti ad
ottenere un primo risultato: rinviata la procedura di licenziamento
(mobilità) per i 410 operai, che sarà avviata solo se il ministero del
Lavoro respingerà la cassa integrazione straordinaria per un anno (dal 1
gennaio 2014) per cessazione di attività. Il clima si rasserena perchè al
ministero del Lavoro (26 novembre 2013) viene raggiunta l'intesa per la
ulteriore proroga di un anno della cassa integrazione, scongiurando così
i licenziamenti.
7.
La Shell, una delle storiche ‘sette sorelle’ petrolifere, mette in
vendita in Italia una serie di attività collegate alla rete, alla
distribuzione logistica e al settore Avio: una scelta che, se confermata –
temono i sindacati – scorporerebbe le attività più fruttifere da altre a più
bassa redditività. Il gruppo energetico tedesco E On., proprietario della
centrale di Fiume Santo (Sassari), pur continuando a guadagnare (70
milioni di utili nel 2012) non dà corso all’investimento previsto di
costruzione del nuovo complesso a carbone, in sostituzione dei gruppi a
olio combustibile, obsoleti e inquinanti: ad inizio 2013 la richiesta era di
130 esuberi su 249 unità. Dopo mesi di scioperi e manifestazioni, E.On.
sembra si ravvedi e sta proponendo soluzioni alternative ai
licenziamenti tout court (licenziamenti limitati ai soli “volontari”,
contratto di solidarietà per 2 anni, outsourcing della logistica dei
combustibili).
La dinamica sembra simile a ciò che sta accadendo al centro diagnostico
della Bracco, a Milano, dove la società farmaceutica e i suoi azionisti
incassano 20 milioni e minacciano di licenziare 130 persone.
In Friuli Venezia Giulia, inaccettabile poi l'annuncio (17 luglio 2013)
della chiusura dello stabilimento “Ideal Standard” di Orcenico a
Pordenone che mette a repentaglio il posto di lavoro di oltre 450
lavoratori. “Non possiamo consentirlo – diceva preoccupato Emilio
Miceli, chiedendo al ministro Zanonato di riaprire il tavolo. Si possono –
prosegue il leader sindacale - e si devono trovare misure alternative,
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anche perchè l'intero gruppo americano della ceramica sanitaria è
interessato da un “contratto di solidarietà difensivo” fin dal 2010,
destinato a scadere il prossimo 31 dicembre 2013 e, stante la normativa
vigente, non sarà prorogabile”. Gli incontri dell'11 settembre e del 14
ottobre 2013 al ministero dello Sviluppo Economico hanno portato a più
miti consigli: la chiusura di Orcenico – ha detto l'azienda al ministero –
non è più una pregiudiziale, dichiarandosi disponibile ad un confronto
aperto nel cercare una soluzione che risponda sia alla necessità di far
fronte ad un mercato in forte recessione e sia all'esigenza di tutelare
l'occupazione: sospesa poi - nell'incontro del 21 novembre scorso
sempre al ministero - la procedura di mobilità e attivata la richiesta al
ministero del Lavoro per il ricorso alla cig in deroga per 6 mesi, dal 1
gennaio al 30 giugno 2014, proprio per ricercare un'intesa e individuare
un percorso sul futuro industriale del gruppo: cassa integrazione in
deroga che l'azienda ha firmato il 10 febbraio per tre mesi (1 febbraio30 aprile 2014) al ministero del Lavoro che, oltre ad aver determinato il
ritiro della procedura di mobilità per i 410 lavoratori del sito di Orcenico
(Pordenone), coinvolgerà a rotazione circa 954 unità degli stabilimenti
di Orcenico stesso e di Trichiana (Belluno), mentre a Roccasecca
(Frosinone) proseguirà il contratto di solidarietà.
Poi Air Liquide (1.500 dipendenti) sta riorganizzando il comparto
industrial merchant
(gas in bombole), con il rischio annunciato
inizialmente dal management di 210 esuberi che, nella fase finale del
negoziato, si è ridotto a 160 unità ma salvaguardando l'occupazione
tramite strumenti previsti dall'intesa al ministero del Lavoro (19 luglio
2013): cassa integrazione straordinaria, mobilità volontaria incentivata,
sostegno al reddito, trasferimenti, formazione outplacement, orari. Sul
versante invece dell'area sanità l'azienda ha avviato una procedura di
mobilità per 36 dipendenti.
Infine ancora nel settore chimico una notizia “choc”, recentissima: la
“Azko Nobel”, multinazionale olandese specializzata nella produzione di
vernici (attiva in 80 paesi, con 50.000 addetti) chiude i battenti,
annunciando la chiusura (5 dicembre) dello stabilimento di Romano
d'Ezzelino, a Vicenza (altri 112 lavoratori rischiano il posto dopo la
riduzione del personale già effettuata nel 2011 a seguito
dell'acquisizione del ramo di azienda da “Dow Chemical”).
8.
Completano il quadro di difficoltà le vertenze Medtronic-Invatec,
Ashai Glass Company, Guess (che ha lasciato Bologna per la Svizzera: 2
anni di cig speciale per i 50 dipendenti di Crevalcore), SCM di Latina
(rischio mobilità per 62 lavoratori), Geox, Sinterama, Azimut-Benetti,
Eurallumina, Brontejeans (cessa attività a Catania e mette in mobilità
175 addetti), Warmor Sud, Knauf Insulation (la multinazionale tedesca
leader nella produzione di pannelli di isolamento termoacustico che a
Chivasso ha lasciato a casa 28 lavoratori), la ex Miroglio di Ginosa, a
8
Taranto (230 lavoratori in cassa integrazione), Ferrè, Nardelli, Stefanel,
Mandarina Duck (un accordo del 3 ottobre 2013 ha scongiurato la
“fuga” dello storico marchio tessile e ha consolidato la sua presenza a
Bologna all'interno di un piano industriale di sviluppo: tuttavia
rimangono 17 esuberi), MCS Distribuzione (che ha dichiarato di
chiudere gli esercizi dal febbraio 2014: si profila la cassa integrazione
per i 26 dipendenti), Fac Ceramica di Albisola (Savona) in fallimento,
che si appresta a far partire la procedura di mobilità per i 140 operai,
nonostante il recente (e sorprendente) annuncio di rivolgersi ad
imprenditori cinesi pur di salvare lo storico marchio conosciuto in tutto
il mondo. Rimane sempre aperto il problema di tutta la filiera del tessile
di Castrovillari (Cs), con grandi gruppi che hanno devastato il territorio
(Marlane, Foderauto, MCS, Emiliana Tessile), ora in attesa di nuovi
investitori.
Ultima in ordine di tempo “La Perla” per la quale è stato firmato al
ministero del Lavoro (giugno 2013) un accordo-ponte per due anni di
cassa integrazione straordinaria per riorganizzazione aziendale che
riguarda 200 lavoratori. Su un totale di 580 addetti nello stabilimento di
Bologna, la nuova proprietà tutta italiana (Silvio Scaglia) de “La Perla”
ha però messo sul piatto 110 milioni di investimenti e – grazie ad un
accordo sindacale – il rientro dei lavoratori dalla cigs: dopo soli 3 mesi i
lavoratori in cigs sono ridotti a 50 e il futuro fa ben sperare. Rimangono
legati al concordato e in cassa integrazione straordinaria ancora i 130
lavoratori degli stabilimenti di Roseto degli Abruzzi e di Forlì.
Resta complicato il destino della “Ittierre”, la fabbrica della moda
molisana, per la quale - proprio recentemente – il Tribunale di Isernia ha
concesso una proroga di 60 giorni per l'ammissione del concordato
preventivo al fine di scongiurare il fallimento per i circa 650 dipendenti
di Isernia.Nel frattempo tutto sembra congiurare contro Ittierre che ha
perso un altro marchio – quello della francese “Pierre Balmain” - che ha
comunicato di aver rescisso in anticipo (sarebbe dovuto restare in
vigore fino al 2016) il contratto di licenza firmato nel luglio 2016.
9.
Nella crisi che colpisce l'industria non va dimenticato il comparto
farmaceutico che, negli ultimi sei anni, ha perso oltre 13.000 posti di
lavoro, di cui 8000 informatori scientifici del farmaco, i restanti tra
addetti alla produzione e ricercatori. Solo nel 2013 sono a rischio più di
2000 posti di lavoro diretti: infatti Sanofi Aventis, Glaxo, Merck Sharp &
Dhome (avviata procedura di mobilità per 206 unità e annunciata la
chiusura dello stabilimento di Pavia) hanno accomunato ai licenziamenti
degli informatori, la chiusura dei loro Centri di ricerca a Milano, Verona
e Pomezia, così come Bristol e Pfizer – oltre agli informatori - hanno
dismesso stabilimenti di produzione. Per non parlare poi di Roche,
Novartis, Takeda, Daichy Sankio, Sigma-Tau, Menarini e tante altre
aziende che stanno avviando programmi di ristrutturazione che
comporteranno inevitabilmente dismissioni e licenziamenti.
9
Comparto questo dove è indispensabile l'intervento del ruolo pubblico
su ricerca e sviluppo (siamo il fanalino di coda in Europa!) Occorre –
senza mezzi termini - finanziare seriamente la ricerca pubblica e
agevolare fiscalmente quella privata. Quanto alla ricerca farmaceutica
Miceli avanza una proposta al Governo: “ Una parte dei notevoli
risparmi del Servizio sanitario nazionale derivanti dall'utilizzo del
farmaco generico siano utilizzati non per fare cassa o dirottare risorse
per coprire altri buchi della spesa statale, ma per incentivare le attività
di ricerca pubblica e favorire quella di aziende private,
defiscalizzandone gli utili reinvestiti in ricerca”.
Non meno delicata è la situazione della raffinazione italiana, dove - su
22.000 addetti tra diretti e indotto – in più di 6.000 rischiano il posto
nelle 14 raffinerie rimaste nel nostro paese. Ultima in ordine di tempo
la raffineria “Ies” a Mantova i cui proprietari ungheresi della “Mol”
hanno annunciato l'interruzione dei processi lavorativi dal 1 gennaio
2014 del proprio sito, con conseguenze disastrose sul piano
occupazionale (410 lavoratori diretti e 750 delle ditte appaltatrici).
Ciononostante una boccata di ossigeno arriva dall' accordo sottoscritto
al ministero dello Sviluppo Economico (15 gennaio 2014) che conferma
la cessazione delle attività della raffineria e la trasformazione in un polo
logistico, ma prevede una serie di impegni (bonifiche delle aree,
reinsediamento compatibile con i processi di raffinazione, sostegno
all'autoimprenditorialità, esodi volontari incentivati, ammortizzatori
sociali, ecc.) per salvaguardare il patrimonio industriale dell'area e
l'occupazione.
E proprio nella raffinazione valga per tutti la vertenza in atto nella
raffineria Eni di Gela (Caltanissetta) con 1100 dipendenti e con una
capacità produttiva di circa 5 milioni di tonnellate di petrolio (prodotti
finiti, benzine, gasolio). Il calo dei consumi e il surplus di raffinazione,
secondo Eni, ha determinato un bilancio economico negativo che ha
portato a sottoscrivere un accordo (aprile 2012) per la cassa
integrazione per 400 addetti. Dopo un anno di “fermata”, si sigla un
nuovo accordo con Eni (19 luglio 2013) che prevede un interessante
progetto di investimento basato sulla raffinazione di gasoli anziché
benzine (come richiesto dal mercato europeo), ma un “esubero” di
personale – da oggi al 2017 – di 400 lavoratori (alla fine del processo Eni
ha detto ai sindacati che la raffineria avrà un organico di 700 unità): il
sindacato ora sta verificando, passo dopo passo, il piano di investimenti
e quello occupazionale, anche se dietro l'angolo c'è la sentenza del Tar
che se dovesse dare ragione al ministero dell'Ambiente sulle emissioni
di Co2, la raffineria potrebbe chiudere in tempi brevi.
Intanto però una brutta notizia: sono iniziate le procedure esecutive per
il licenziamento di 24 dei 44 dipendenti della “Riva & Mariani”, una
impresa dell'indotto che opera nel settore della coibentazione di tubi e
apparecchiature (proclamate dai sindacati due giornate di lotta).
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All'Api-IP, la storica raffineria di Falconara, per far fronte alla crisi
proseguono anche nel 2014 i contratti di solidarietà per i 350 lavoratori
impiegati. Infine anche alla Saras di Sarroch, in provincia di Cagliari, il
cui assetto proprietario di maggioranza della raffineria è della famiglia
Moratti, si prevedono significativi ridimensionamenti dell'attuale
organico (1150 lavoratori).
10.
Altrettanti sono i lavoratori interessati nell’indotto chimico con il
dramma della Sardegna (Ottana Energia e Ottana Polimeri). Anche
all'Eni le attività industriali in Italia (chimica, raffinazione, gas) sono
quasi tutte in difficoltà. La stessa Saipem (controllata Eni, che opera nel
campo dell'esplorazione, costruzione, ingegneria e “off shore”)
annuncia, per la prima volta negli ultimi dieci anni, un forte passivo di
bilancio tanto da far temere, anche in questo caso, per l'occupazione.
Non ultime vanno ricordate le criticità del comparto ceramica, piastrelle
e materiali refrattari (migliaia gli esuberi strutturali e 4500 lavoratori in
cassa integrazione), in particolare alla “Cercom” di Ravenna (fermata
produttiva, 90 lavoratori a rischio), nei distretti di Modena, Reggio
Emilia, Sassuolo, Imola (la “Coop Ceramica” su tutte) Faenza e del
distretto industriale di Civita Castellana, nell'Alto Lazio, dove chiude la
“San Marciano” e saltano altri 45 posti di lavoro, mentre la “Catalano” e
la “Flaminia” hanno annunciato licenziamenti rispettivamente per 80 e
39 operai: lo stesso Papa Francesco ha espresso (2 ottobre) la sua piena
solidarietà. “Siamo con voi”, ha detto senza mezzi termini il pontefice. In
particolare nel distretto di Civita Castellana dal 2008 ad oggi
sopravvivono 35 aziende (3500 lavoratori) su 70 (2300 lavoratori, per
1300 dei quali sono stati attivati ammortizzatori sociali). Non si trova
una soluzione nemmeno per la ceramica di Crotone (ex Gres 2000), più
di 200 gli addetti per la produzione di piastrelle di alta qualità, il cui
destino è rimasto legato ad un imprenditore insolvente che non ha
saputo rilanciare il sito, provocando il fallimento dello stabilimento al
pari della Kroton Gres (ex Sasol) con 55 addetti nella chimica di base.
“Parliamoci chiaro: – conclude Miceli – sono indispensabili finanziamenti
e prestiti degli istituti bancari all'economia reale, alle imprese, alla loro
crescita e ricapitalizzazione. Nè facciamo mistero dell'interesse alle
linee-guida del piano industriale 2013-2015 varato recentemente dalla
Cassa Depositi e Prestiti. Gli 80 miliardi previsti per rilanciare sviluppo
industriale e crescita territoriale sarebbero anche per noi una bella
boccata di ossigeno e darebbero impulso al Piano del lavoro della Cgil”.
11.
Infine la crisi economica e sociale che investe il paese non
risparmia neppure le criticità nei settori dei cicli combinati a gas, nè il
settore elettrico, vuoi per il vistoso calo della domanda (-2,8% nel 2012
sul 2011), vuoi per la complessità dell'iter autorizzativo per i nuovi
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investimenti, e vuoi per la robusta crescita nella produzione dell'eolico
(+34%) e fotovoltaico (+72%).
Le ricadute nel solo settore termoelettrico (10.000 circa gli addetti)
continuano ad essere pesanti: nel solo 2012 la produzione è scesa del
6,3%. E i riflessi inevitabili sull'occupazione si fanno sentire se grandi
impianti come Piombino, Rossano Calabro, Porto Tolle, Fiume Santo,
Brindisi Nord, Montalto di Castro. Si riapre addirittura la vertenza della
centrale del Mercure, in Calabria, dopo l'ennesimo ricorso al Tar che
provoca l'arresto della produzione di energia elettrica da biomasse,
proprio in un sito dotato delle migliori tecnologie per la difesa
dell'ambiente dalle emissioni: rabbia e sconforto per 50 lavoratori diretti
e altrettanti nell'indotto. Desta preoccupazione anche il “no” del
Consiglio comunale alla trasformazione a gas della centrale di Porto
Empedocle, ad Agrigento: si paralizza un investimento di 80 milioni di
euro, si mettono a repentaglio 200 posti di lavoro.
Insomma “grandi centrali che rischiano – dicono i sindacati - di divenire
cumuli di rottami, andandosi ad aggiungere ai tanti siti termoelettrici
già smantellati e da bonificare. E per l'occupazione potrebbe essere una
vera e propria Waterloo del sistema elettrico italiano”.
Ultima in ordine di tempo la “tegola” di “Sorgenia”, una delle società
del mercato libero dell'energia, che ha confermato l'apertura formale
delle procedure di mobilità per 49 lavoratori (divenuti poi 40), la cassa
integrazione speciale a rotazione per un anno, mobilità volontaria, ma
anche reimpiegabilità per un anno nella società “G.Group”.
Sulla crisi del settore Filctem-Cgil, Flaei-Cisl, Uiltec-Uil hanno chiesto
audizioni alle competenti commissioni di Camera e Senato, e si sono
incontrate, insieme ad Assoelettrica e Federutility, il 5 febbraio 2014
con il ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, il quale ha
assicurato l'attivazione di un tavolo di confronto permanente presso il
ministero dello Sviluppo Economico.
In tutti i casi i sindacati non si sono persi d'animo, rimboccandosi le
maniche siglando accordi (in molti casi innovativi) con Enel (accordo sul
turn-over generazionale che porterà alla fuoriuscita di 3500 lavoratori
ma all'assunzione di oltre 1500 giovani), A2A-Edipower, E.On., Edison,
Tirreno Power, Cofely, con gli svizzeri di Alpiq, per tutelare quel lavoro
che la crisi rischia di travolgere anche in un settore che dove solo pochi
anni fa era inimmaginabile che ciò accadesse.
….............
NOTA: Questo “Report”- aggiornato al 1 marzo 2014 - non ha la
presunzione di essere esaustivo di tutte le vertenze in atto nei nostri
settori e presenti nel paese, ma riporta in particolare quelle che hanno
avuto una vasta eco sulla stampa nazionale e locale. Sarà nostra cura
seguirne gli sviluppi e gli aggiornamenti: ci verranno in aiuto – ne siamo
certi – le nostre strutture periferiche che già ringraziamo in anticipo.
(a cura di C.Ca. - Comunicazione Filctem-Cgil nazionale)
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