Il dossier Filctem-Cgil “Allarme lavoro”: tutti i numeri delle crisi
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Il dossier Filctem-Cgil “Allarme lavoro”: tutti i numeri delle crisi
Vertenze in primo piano nella chimica, tessile, energia, manifatture Il dossier Filctem-Cgil “Allarme lavoro”: tutti i numeri delle crisi industriali 1. Un interminabile elenco di nomi, dati, cifre. ‘Allarme lavoro’ è il dossier elaborato dalla Filctem-Cgil nazionale sulla crisi di imprese, comparti e aree industriali della chimica, del tessile, dell'energia e delle manifatture. Un report sul dramma collettivo che dal 2008 ad oggi - tra licenziamenti, mobilità, cassa integrazione, processi di ristrutturazione, contratti di solidarietà - ha già coinvolto oltre 180.000 lavoratori (90.000 solo nel settore tessile, più di 12.000 nell'industria farmaceutica, oltre 6.000 nella raffinazione, ecc.) e che sembra non avere fine. Ovunque dal nostro osservatorio, dalla grande alla piccola impresa, siamo in una situazione di forte sofferenza e difficoltà. Nella recente assise nazionale dei quadri e delegati svoltasi a Roma il 12 dicembre 2013 – presente la segretaria generale Cgil, Susanna Camusso - gli interventi di delegate e delegati hanno “messo a fuoco” quelle vertenze (Prato, Vinyls, Omsa, Bridgestone, Civita Castellana, Solvay, Pirelli, raffineria Eni di Gela, Tirreno Power, ecc.) che sembrano non avere mai fine, per le quali – in alcuni casi – si aspettano risposte concrete da anni. Probabilmente Prato (dopo la tragedia del 1 dicembre 2013, la Filctem si è costituita parte civile) non rappresenta solo la più grande concentrazione di lavoro nero, al limite della brutalità e della schiavitù che esiste in Europa, ma anche un territorio – è stato detto – che ha perso oltre 12.000 addetti solo nel distretto tessile dall'inizio di quella crisi che non accenna a diminuire. In particolare colpiscono “gli annunci di grandi gruppi – esordisce Emilio Miceli, segretario generale della Filctem-Cgil – che si ritirano dal contesto italiano ed europeo sono davvero pesanti: molti di loro considerano esaurita l'esperienza industriale nel nostro paese, senza che le istituzioni – italiane ed europee – muovano un dito, siano in grado di una vera discussione su ciò che sta avvenendo. Se poi – aggiunge il segretario – ci limitiamo al nostro ambito, le stesse nostre grandi aziende (Enel ed Eni su tutte) agiscono tutte in condizioni di grandi difficoltà nel mercato italiano. Nel caso di Eni poi, se il Governo insiste nella cessione – a mio parere sbagliata – delle quote di partecipazione del Tesoro, si rafforzerà inevitabilmente un orientamento dell'azienda proteso a concentrare la propria attenzione fuori dall'Italia. Così – sostiene Miceli – perdiamo dividendi stabili solo per un ristoro momentaneo del bilancio dello Stato. Risultato? Diminuiranno gli investimenti in Italia, altro che interessi del Paese!”. Che fare per risollevare le sorti dell'economia reale? Due proposte su 1 tutte, avanza Miceli: la prima, investire una parte dei proventi derivanti dal riequilibrio della tassazione delle rendite e dalle cedole milionarie che, ad esempio Eni ed Enel, “staccano” ogni anno allo Stato per contribuire a finanziare almeno il loro lavoro industriale, ricerca, chimica di base e “verde”, raffinazione e settore termoelettrico; la seconda, abbassare il costo dell'energia, decisamente fuori competizione (+30% che in altri Paesi concorrenti) e che purtroppo rappresenta un deterrente formidabile per investimenti nella ceramica, chimica, vetro, gomma-plastica, notoriamente settori energivori: “Non sarebbe utile - si domanda Miceli – chiedere all'Autorità per l'energia una moratoria sugli aumenti dell'energia per almeno tre anni?”. 2. Cominciamo in questo lungo viaggio attraverso la crisi, innanzitutto da Vinyls, il gruppo chimico del ciclo del cloro, prima in esercizio provvisorio poi passata al fallimento, per 4 anni commissariata, con 490 addetti ripartiti nei tre stabilimenti di Porto Torres, Porto Marghera e Ravenna, che diventano il triplo con l’indotto. La vertenza Vinyls è divenuta nel tempo un simbolo: dall’occupazione durata un anno dell’isola dell’Asinara (‘l’isola dei cassaintegrati’), all’arrampicata a 110 metri d’altezza sulle torce spente del polo petrolchimico della laguna di Venezia. Di recente, dopo innumerevoli vicissitudini che hanno visto acquirenti fantasma (prima gli arabi della Ramco, poi gli svizzeri del fondo Gita) e false illusioni alimentate dagli ultimi governi, con gli impianti sempre fermi e i lavoratori per molti mesi senza stipendio. L'8 luglio 2013 il Tribunale di Venezia ha deciso di concordare sei mesi di esercizio provvisorio: il sindacato ha chiesto la prosecuzione della cig straordinaria (ottenuta per un anno a partire dall'8 luglio sia per i 125 dipendenti di Porto Marghera che per i 90 di Porto Torres, n.d.r.) e l’apertura di un negoziato con uno dei soggetti interessati (“Oleificio Medio Piave”). In tutti i casi se non si troveranno acquirenti, dal luglio 2014 scatterà inesorabilmente la mobilità per tutti. “Nel caso di Porto Marghera – avverte Miceli – non c'è solo il problema del recupero dell'area, ma è in gioco la sopravvivenza di quello che è il cuore della chimica italiana, da dove si determina l'impulso per tutto il settore industriale: se nei prossimi anni insomma, qui e altrove, l'Italia sarà o meno un paese che vivrà ancora della sua produzione industriale”.”Certo, – aggiunge Miceli – il recente accordo Eni-Versalis e sindacati con 200 milioni di investimento nella “chimica verde” in partnership con l'americana “Elevance Renewable Sciences”, aiuta - e di molto - perchè rende il sito sempre più competitivo e crea sinergie tra l'industria chimica da fonti rinnovabili e quella tradizionale attraverso l'utilizzo di etilene”. Sempre nell’area industriale veneziana, si contano le difficoltà della raffineria Eni, le chiusure di Montefibre (80 in mobilità dal 1 gennaio 2014), Dow Chemical e Sirma, le crisi di Solvay, Pilkington (rinnovato il contratto di solidarietà per i 150 lavoratori occupati per altri 24 mesi, a 2 partire dal 17 settembre 2013, n.d.r.), Pansac International (su 650 dipendenti dei quattro siti ne verranno riassunti 521 in quattro anni dai nuovi acquirenti di Polirama, società della Selene di Lucca, a seguito della procedura per la cessione di ramo d'azienda 22 ottobre 2013) e Reckitt Benckiser, le difficoltà dei distretti del vetro di Murano e del calzaturiero della Riviera del Brenta: in totale, nell’arco di un quinquennio, sono finiti in mobilità più di 24.000 lavoratori. 3. Il “modello” inizialmente proposto da Electrolux evidentemente rischia di fare scuola anche nei nostri settori: la ex-Memc di Novara (ora SunEdison), la multinazionale americana leader mondiale nella produzione di silicio, ha avanzato una specifica richiesta ai sindacati di riduzione del 15% del costo del lavoro entro aprile agendo principalmente sul fronte salariale e, in caso di mancato accordo, attraverso la disdetta delle intese aziendali raggiunte finora (attualmente i 458 lavoratori sono in cassa integrazione straordinaria fino a maggio 2014). Inoltre per l'altro stabilimento di Sinigo (a Merano) la società ha previsto la chiusura del reparto policristallo: a rischio il lavoro per 235 operai. Non meno grave la situazione del Sulcis Iglesiente: Eurallumina (produzione di allumina dalla bauxite), la società controllata dalla russa Rusal, nella quale lavoravano tra diretti e indotto 700 lavoratori, oggi 302 tutti in cassa integrazione; Carbosulcis, l'azienda mineraria controllata dalla Regione Sardegna, a rischio fallimento (vi lavorano 454 addetti); Rockwool, Portovesme, Rwm, Ssb, Sarmed (biomedicale), Abbanoa, la stessa Enel, tutte società coinvolte in processi di ristrutturazione che, se non scomparse del tutto, hanno lasciato per strada centinaia di lavoratori. Più nello specifico in una grande regione come la Lombardia, i dati dell'Osservatorio regionale Filctem evidenziano una forte riduzione del tessuto produttivo nei settori chimico-farmaceutico, gomma-plastica, tessile, ceramica, energia, vetro: 1) le aziende coinvolte nei processi di ristrutturazione e di riorganizzazione sono, all'inizio di ottobre, 817; 2) i lavoratori coinvolti dagli ammortizzatori sociali sono circa 15.000, di cui 9300 in cassa integrazione; 4500 in mobilità; 1200 fruiscono dei contratti di solidarietà; 3) i posti di lavoro persi e che si perderanno per cessazione di attività e ristrutturazioni sono più di 6800, che si andranno ad aggiungere ai quasi 50.000 persi dall'inizio della crisi. Nel mantovano poi, dopo le notizie poco rassicuranti sul futuro della raffineria “Ies” (410 i lavoratori a rischio), scoppia anche la grana di “Pompea”, uno dei nomi più noti della calzetteria e dell'intimo: l'azienda ha annunciato, nei due stabilimenti di Asola e Medole, 200 esuberi, più della metà della forza lavoro impiegata, per delocalizzare in Serbia. Emblematico poi il caso della “Solvay-Selexis” (30.000 dipendenti nel 3 mondo, 2200 nei 12 stabilimenti italiani), multinazionale belga che opera nel settore della chimica e delle materie plastiche, che nel 2012 ha acquisito “Rhodia”, società chimica di specialità: qui è in atto una riorganizzazione che sta modificando i profili industriali delle attività con possibili ed eventuali impatti sull'occupazione. 4. In Emilia Romagna, in particolare a Ferrara, all’interno del polo chimico, si collocano sia l’impianto di servizi e attività che il celebre Centro di ricerche ‘Giulio Natta’ (per un complesso di 850 unità) di Lyondell Basell, la multinazionale olandese-americana, che a metà gennaio 2013 aveva annunciato un drastico ridimensionamento del sito (dove ogni anno si producono i due terzi dei brevetti internazionali del gruppo), accompagnato da 105 esuberi, nonostante i ricavi per 51 miliardi di dollari. Poi dietro-front, si accende una speranza, dopo l'accordo del 19 luglio 2013, anche grazie alla mediazione della Regione Emilia Romagna: niente licenziamenti ma una tabella di marcia che – attraverso esodi volontari e prepensionamenti – dovrà conseguire il risultato della fuoriuscita di 39 unità dall'organizzazione “Basell” che potranno essere riassorbite coinvolgendo l'intera platea del sito. L'incontro del 20 settembre, sempre presso la Regione, avrebbe dovuto rappresentare l'avvio di un confronto interno all'azienda anche per favorire la mobilità aziendale in un quadro complessivo di riassetto organizzativo. Da quel momento in poi il gruppo dirigente di Basell non si è più reso disponibile ad aprire un confronto vero sul piano industriale: inevitabile, ai primi di febbraio 2014, una serie di azioni di lotta e di scioperi articolati. Ma Lyondell Basell faceva anche parte del polo chimico di Terni. Poi, a fine 2011, quell’impianto (con 70 addetti) ha chiuso, e successivamente sono finiti in commissariamento o in amministrazione straordinaria Treofan, Meraklon spa e Meraklon Yarn. “Intendiamoci – incalza Miceli – Basell è un'azienda sana, che deve gran parte delle sue fortune alla sua eccezionale esperienza industriale in Italia. A maggior ragione è insopportabile che la multinazionale tenga “in ostaggio” un'area industriale - peraltro dotata di importanti infrastrutture, dalla ferrovia a una centrale di produzione elettrica - all'interno del polo chimico ternano che potrebbe essere utilizzata per rilanciare altre imprese ( è il caso di “Meraklon” ) che hanno mercato ma che rischiano di soccombere”. Sempre a Terni altre grane: la “Sgl Carbon”, la multinazionale tedescoamericana che produce elettrodi in grafite per forni elettrici, ha dimezzato la produzione nell'unico stabilimento italiano di Narni, spento un forno su due e rischia di chiudere, mettendo “in mora” 110 lavoratori, e l'intera industria siderurgica italiana già oggi in sofferenza (caso Ilva insegna) per gli eventuali acquisti della materia prima dai nostri diretti concorrenti. Per non parlare della “Isrim” (l'istituto di ricerca e formazione sui materiali speciali per le tecnologie avanzate) 4 per il quale è ormai decisa la liquidazione: per i 36 ricercatori si prospetta la via della mobilità. La chimica segna il passo anche in Calabria: a Cirò Marina uno stabilimento di Eni Syndial, inserito nel ciclo del cloro con 60 addetti tra produzione e miniera di salgemma a Belvedere Spinello, non ha più molte speranze di ripartire, nonostante le iniziali prospettive tutte prevalentemente legate a Vinyls. Completano la panoramica sui poli chimici i ridimensionamenti avvenuti nelle aree industriali di Siracusa e Gela. 5. Nel Lazio, otto anni dopo, la battaglia continua. È il caso della Videocon (ex Videocolor) di Anagni (Frosinone), del gruppo francese Thomson, leader nella produzione di cinescopi per televisori, chiusa nel 2005 dopo una lunga serie di ristrutturazioni. Gli acquirenti indiani Videocon si erano impegnati alla riconversione alla nuova tv al plasma, con l’ausilio di sindacati, governo e Regione Lazio, attraverso un contratto di programma di 56 milioni. L’operazione non è andata in porto e nel 2012 l’azienda è finita in tribunale per fallimento. L'ennesima brutta notizia per i 1.095 dipendenti rimasti è che il 14 giugno 2013, tutti i lavoratori - terminata la lunga cassa integrazione prevista - sono stati messi in mobilità. Ma anche in questo caso si è riaccesa una speranza: i sindacati e le istituzioni locali che più di altri si erano battuti per realizzare “l'area di crisi” e un accordo di programma che potesse dare risposte alle 160 manifestazioni imprenditoriali di interesse, investire nel territorio, rioccupare i lavoratori ex Videocon, lo hanno finalmente portato a casa il 2 agosto scorso: l'accordo di programma firmato dal ministro dello Sviluppo Economico Zanonato e dal presidente della Regione Lazio Zingaretti prevede un investimento per l'area Frosinone-Anagni di 81 milioni per promuovere programmi di investimento e il reimpiego dei lavoratori espulsi dalla filiera produttiva dell'ex stabilimento Videocon. Per i lavoratori licenziati spunta anche una proposta di aiuto Ue: la Commissione europea (5 marzo 2014) ha infatti proposto di fornire all'Italia 3 milioni di euro del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione. “Ma non bisogna più perdere tempo - sostiene con forza Miceli - , devono divenire immediatamente fruibili l'accesso al credito, lo start up di nuove imprese, l'attivazione di investimenti, gli incentivi all'occupazione” perchè in crisi è tutta l’area industriale di Frosinone: su 65 aziende (chimiche-farmaceutiche e manifatturiere), 45 sono in difficoltà, con più di 5.000 persone coinvolte su un totale di 9.000 (solo i lavoratori finiti in mobilità negli ultimi due anni sono stati 744). In Emilia Romagna, altra vertenza ‘storica’ è quella dell’Omsa di Faenza, il celebre marchio di calze di proprietà della Golden Lady, che nel 2009 ha chiuso lo stabilimento e trasferito parte della produzione in Serbia. Grazie alla lotta delle 340 dipendenti (poi ridotte a 229) e 5 all’impegno di sindacati e istituzioni si è trovato un accordo di nuova industrializzazione del sito con Atl, azienda del legno che ha assunto 145 lavoratrici a conclusione di un processo di riqualificazione professionale. Resta aperta la ricollocazione di 62 addette, attualmente in cassa integrazione in deroga. Nel 2011 Golden Lady ha chiuso l’impianto di Gissi (Chieti), mettendo nei guai 380 persone, solo in parte (220) riassorbite nel tessile-calzaturiero. Sempre nella Regione Emilia Romagna, due altri punti di crisi: è alta tensione con i sindacati alla “Giorgio Armani s.p.a.” per un piano di esodi, ricorso ad ammortizzatori sociali e trasferimenti che riguarda il destino dei 164 dipendenti negli stabilimenti di Baggiovara (Modena) e San Martino in Rio (Reggio Emilia). L'altra “grana” in provincia di Ferrara, dove la “Servizi Ospedalieri” - società del gruppo Manutencoop, leader in Italia nel settore dei servizi specialistici di supporto all'attività sanitaria – si è arrogata il diritto di decidere unilateralmente il destino di 115 lavoratori, con la sospensione del sito di Porto Garibaldi, preludio alla sua definitiva chiusura. Dopo settimane di lotte e mobilitazioni, l'azienda è arrivata a più miti consigli, sottoscrivendo un accordo prima alla Regione Emilia Romagna e poi al ministero del Lavoro (23 gennaio 2014) che prevede 24 mesi di cassa integrazione straordinaria a partire dal 1 gennaio 2014. 6. “Nerviano Medical Sciences”, in provincia di Milano, è il più grosso centro di ricerche e sviluppo di farmaci oncologici in Italia e uno dei più importanti d’Europa. A seguito della crisi e del debito creato dalla precedente proprietà, l’azienda è a rischio , con possibili conseguenze per il personale (575 dipendenti, di cui 170 ricercatori), nonostante proprio recentemente (30 luglio 2013) sia stato siglato un accordo di collaborazione con il Gruppo Ricerca Servier, società europea leader nella ricerca, per lo sviluppo e la commercializzazione di una molecola antitumorale scoperta proprio a Nerviano e, più recentemente (fine ottobre), con la società biotech americana Ignyta (accordo per 113 milioni di dollari) che garantirà a quest'ultima lo sviluppo esclusivo e i diritti di commercializzazione di due diversi inibitori tirosino-chinasi per il trattamento dei tumori del polmone e del colon. In Puglia, veniamo alle situazioni più recenti. Dopo l’annuncio “shock” (4 marzo 2013) della chiusura dello stabilimento di Bari-Modugno della “Bridgestone”, la multinazionale giapponese dei pneumatici, ci sono state numerose riunioni al ministero dello Sviluppo economico per trovare soluzione alla vertenza che pregiudica il lavoro di 950 operai. Una intesa di massima è stata raggiunta (1 agosto 2013) dai sindacati e l'azienda su un progetto triennale che prevedeva la riconversione delle linee di lavorazione per produrre copertoni a basso costo (tipologia general use) al posto di quelli ad alta qualità, a partire dal 2014. Finalmente il 30 settembre al ministero dello Sviluppo Economico si firma l'accordo che consente di mantenere la produzione nello 6 stabilimento di Bari: prevista una riorganizzazione dell'azienda con una riconversione verso un prodotto (“general use”) a più basso valore aggiunto e la produzione a regime di 3,5 milioni di pneumatici sarà possibile anche attraverso il trasferimento di produzioni, attualmente in Asia. Quanto ai 950 lavoratori sono previste fino a 377 mobilità incentivate e volontarie; un piano biennale di cassa integrazione straordinaria; l'abbandono del ciclo continuo per quello a 5 giorni con quattro turni a 6 ore; forte sostegno alla formazione. Era partita come l'ennesima cattiva notizia, sempre nel settore dei pneumatici: l'amministratore delegato della “Marangoni Tyre” di Anagni (Fr) aveva annunciato (5 settembre) la chiusura dello stabilimento: 410 lavoratori (500 se si considera l'indotto) potrebbero presto perdere il posto di lavoro. Ma nell'incontro del 6 novembre scorso al ministero dello Sviluppo Economico, i sindacati sono riusciti ad ottenere un primo risultato: rinviata la procedura di licenziamento (mobilità) per i 410 operai, che sarà avviata solo se il ministero del Lavoro respingerà la cassa integrazione straordinaria per un anno (dal 1 gennaio 2014) per cessazione di attività. Il clima si rasserena perchè al ministero del Lavoro (26 novembre 2013) viene raggiunta l'intesa per la ulteriore proroga di un anno della cassa integrazione, scongiurando così i licenziamenti. 7. La Shell, una delle storiche ‘sette sorelle’ petrolifere, mette in vendita in Italia una serie di attività collegate alla rete, alla distribuzione logistica e al settore Avio: una scelta che, se confermata – temono i sindacati – scorporerebbe le attività più fruttifere da altre a più bassa redditività. Il gruppo energetico tedesco E On., proprietario della centrale di Fiume Santo (Sassari), pur continuando a guadagnare (70 milioni di utili nel 2012) non dà corso all’investimento previsto di costruzione del nuovo complesso a carbone, in sostituzione dei gruppi a olio combustibile, obsoleti e inquinanti: ad inizio 2013 la richiesta era di 130 esuberi su 249 unità. Dopo mesi di scioperi e manifestazioni, E.On. sembra si ravvedi e sta proponendo soluzioni alternative ai licenziamenti tout court (licenziamenti limitati ai soli “volontari”, contratto di solidarietà per 2 anni, outsourcing della logistica dei combustibili). La dinamica sembra simile a ciò che sta accadendo al centro diagnostico della Bracco, a Milano, dove la società farmaceutica e i suoi azionisti incassano 20 milioni e minacciano di licenziare 130 persone. In Friuli Venezia Giulia, inaccettabile poi l'annuncio (17 luglio 2013) della chiusura dello stabilimento “Ideal Standard” di Orcenico a Pordenone che mette a repentaglio il posto di lavoro di oltre 450 lavoratori. “Non possiamo consentirlo – diceva preoccupato Emilio Miceli, chiedendo al ministro Zanonato di riaprire il tavolo. Si possono – prosegue il leader sindacale - e si devono trovare misure alternative, 7 anche perchè l'intero gruppo americano della ceramica sanitaria è interessato da un “contratto di solidarietà difensivo” fin dal 2010, destinato a scadere il prossimo 31 dicembre 2013 e, stante la normativa vigente, non sarà prorogabile”. Gli incontri dell'11 settembre e del 14 ottobre 2013 al ministero dello Sviluppo Economico hanno portato a più miti consigli: la chiusura di Orcenico – ha detto l'azienda al ministero – non è più una pregiudiziale, dichiarandosi disponibile ad un confronto aperto nel cercare una soluzione che risponda sia alla necessità di far fronte ad un mercato in forte recessione e sia all'esigenza di tutelare l'occupazione: sospesa poi - nell'incontro del 21 novembre scorso sempre al ministero - la procedura di mobilità e attivata la richiesta al ministero del Lavoro per il ricorso alla cig in deroga per 6 mesi, dal 1 gennaio al 30 giugno 2014, proprio per ricercare un'intesa e individuare un percorso sul futuro industriale del gruppo: cassa integrazione in deroga che l'azienda ha firmato il 10 febbraio per tre mesi (1 febbraio30 aprile 2014) al ministero del Lavoro che, oltre ad aver determinato il ritiro della procedura di mobilità per i 410 lavoratori del sito di Orcenico (Pordenone), coinvolgerà a rotazione circa 954 unità degli stabilimenti di Orcenico stesso e di Trichiana (Belluno), mentre a Roccasecca (Frosinone) proseguirà il contratto di solidarietà. Poi Air Liquide (1.500 dipendenti) sta riorganizzando il comparto industrial merchant (gas in bombole), con il rischio annunciato inizialmente dal management di 210 esuberi che, nella fase finale del negoziato, si è ridotto a 160 unità ma salvaguardando l'occupazione tramite strumenti previsti dall'intesa al ministero del Lavoro (19 luglio 2013): cassa integrazione straordinaria, mobilità volontaria incentivata, sostegno al reddito, trasferimenti, formazione outplacement, orari. Sul versante invece dell'area sanità l'azienda ha avviato una procedura di mobilità per 36 dipendenti. Infine ancora nel settore chimico una notizia “choc”, recentissima: la “Azko Nobel”, multinazionale olandese specializzata nella produzione di vernici (attiva in 80 paesi, con 50.000 addetti) chiude i battenti, annunciando la chiusura (5 dicembre) dello stabilimento di Romano d'Ezzelino, a Vicenza (altri 112 lavoratori rischiano il posto dopo la riduzione del personale già effettuata nel 2011 a seguito dell'acquisizione del ramo di azienda da “Dow Chemical”). 8. Completano il quadro di difficoltà le vertenze Medtronic-Invatec, Ashai Glass Company, Guess (che ha lasciato Bologna per la Svizzera: 2 anni di cig speciale per i 50 dipendenti di Crevalcore), SCM di Latina (rischio mobilità per 62 lavoratori), Geox, Sinterama, Azimut-Benetti, Eurallumina, Brontejeans (cessa attività a Catania e mette in mobilità 175 addetti), Warmor Sud, Knauf Insulation (la multinazionale tedesca leader nella produzione di pannelli di isolamento termoacustico che a Chivasso ha lasciato a casa 28 lavoratori), la ex Miroglio di Ginosa, a 8 Taranto (230 lavoratori in cassa integrazione), Ferrè, Nardelli, Stefanel, Mandarina Duck (un accordo del 3 ottobre 2013 ha scongiurato la “fuga” dello storico marchio tessile e ha consolidato la sua presenza a Bologna all'interno di un piano industriale di sviluppo: tuttavia rimangono 17 esuberi), MCS Distribuzione (che ha dichiarato di chiudere gli esercizi dal febbraio 2014: si profila la cassa integrazione per i 26 dipendenti), Fac Ceramica di Albisola (Savona) in fallimento, che si appresta a far partire la procedura di mobilità per i 140 operai, nonostante il recente (e sorprendente) annuncio di rivolgersi ad imprenditori cinesi pur di salvare lo storico marchio conosciuto in tutto il mondo. Rimane sempre aperto il problema di tutta la filiera del tessile di Castrovillari (Cs), con grandi gruppi che hanno devastato il territorio (Marlane, Foderauto, MCS, Emiliana Tessile), ora in attesa di nuovi investitori. Ultima in ordine di tempo “La Perla” per la quale è stato firmato al ministero del Lavoro (giugno 2013) un accordo-ponte per due anni di cassa integrazione straordinaria per riorganizzazione aziendale che riguarda 200 lavoratori. Su un totale di 580 addetti nello stabilimento di Bologna, la nuova proprietà tutta italiana (Silvio Scaglia) de “La Perla” ha però messo sul piatto 110 milioni di investimenti e – grazie ad un accordo sindacale – il rientro dei lavoratori dalla cigs: dopo soli 3 mesi i lavoratori in cigs sono ridotti a 50 e il futuro fa ben sperare. Rimangono legati al concordato e in cassa integrazione straordinaria ancora i 130 lavoratori degli stabilimenti di Roseto degli Abruzzi e di Forlì. Resta complicato il destino della “Ittierre”, la fabbrica della moda molisana, per la quale - proprio recentemente – il Tribunale di Isernia ha concesso una proroga di 60 giorni per l'ammissione del concordato preventivo al fine di scongiurare il fallimento per i circa 650 dipendenti di Isernia.Nel frattempo tutto sembra congiurare contro Ittierre che ha perso un altro marchio – quello della francese “Pierre Balmain” - che ha comunicato di aver rescisso in anticipo (sarebbe dovuto restare in vigore fino al 2016) il contratto di licenza firmato nel luglio 2016. 9. Nella crisi che colpisce l'industria non va dimenticato il comparto farmaceutico che, negli ultimi sei anni, ha perso oltre 13.000 posti di lavoro, di cui 8000 informatori scientifici del farmaco, i restanti tra addetti alla produzione e ricercatori. Solo nel 2013 sono a rischio più di 2000 posti di lavoro diretti: infatti Sanofi Aventis, Glaxo, Merck Sharp & Dhome (avviata procedura di mobilità per 206 unità e annunciata la chiusura dello stabilimento di Pavia) hanno accomunato ai licenziamenti degli informatori, la chiusura dei loro Centri di ricerca a Milano, Verona e Pomezia, così come Bristol e Pfizer – oltre agli informatori - hanno dismesso stabilimenti di produzione. Per non parlare poi di Roche, Novartis, Takeda, Daichy Sankio, Sigma-Tau, Menarini e tante altre aziende che stanno avviando programmi di ristrutturazione che comporteranno inevitabilmente dismissioni e licenziamenti. 9 Comparto questo dove è indispensabile l'intervento del ruolo pubblico su ricerca e sviluppo (siamo il fanalino di coda in Europa!) Occorre – senza mezzi termini - finanziare seriamente la ricerca pubblica e agevolare fiscalmente quella privata. Quanto alla ricerca farmaceutica Miceli avanza una proposta al Governo: “ Una parte dei notevoli risparmi del Servizio sanitario nazionale derivanti dall'utilizzo del farmaco generico siano utilizzati non per fare cassa o dirottare risorse per coprire altri buchi della spesa statale, ma per incentivare le attività di ricerca pubblica e favorire quella di aziende private, defiscalizzandone gli utili reinvestiti in ricerca”. Non meno delicata è la situazione della raffinazione italiana, dove - su 22.000 addetti tra diretti e indotto – in più di 6.000 rischiano il posto nelle 14 raffinerie rimaste nel nostro paese. Ultima in ordine di tempo la raffineria “Ies” a Mantova i cui proprietari ungheresi della “Mol” hanno annunciato l'interruzione dei processi lavorativi dal 1 gennaio 2014 del proprio sito, con conseguenze disastrose sul piano occupazionale (410 lavoratori diretti e 750 delle ditte appaltatrici). Ciononostante una boccata di ossigeno arriva dall' accordo sottoscritto al ministero dello Sviluppo Economico (15 gennaio 2014) che conferma la cessazione delle attività della raffineria e la trasformazione in un polo logistico, ma prevede una serie di impegni (bonifiche delle aree, reinsediamento compatibile con i processi di raffinazione, sostegno all'autoimprenditorialità, esodi volontari incentivati, ammortizzatori sociali, ecc.) per salvaguardare il patrimonio industriale dell'area e l'occupazione. E proprio nella raffinazione valga per tutti la vertenza in atto nella raffineria Eni di Gela (Caltanissetta) con 1100 dipendenti e con una capacità produttiva di circa 5 milioni di tonnellate di petrolio (prodotti finiti, benzine, gasolio). Il calo dei consumi e il surplus di raffinazione, secondo Eni, ha determinato un bilancio economico negativo che ha portato a sottoscrivere un accordo (aprile 2012) per la cassa integrazione per 400 addetti. Dopo un anno di “fermata”, si sigla un nuovo accordo con Eni (19 luglio 2013) che prevede un interessante progetto di investimento basato sulla raffinazione di gasoli anziché benzine (come richiesto dal mercato europeo), ma un “esubero” di personale – da oggi al 2017 – di 400 lavoratori (alla fine del processo Eni ha detto ai sindacati che la raffineria avrà un organico di 700 unità): il sindacato ora sta verificando, passo dopo passo, il piano di investimenti e quello occupazionale, anche se dietro l'angolo c'è la sentenza del Tar che se dovesse dare ragione al ministero dell'Ambiente sulle emissioni di Co2, la raffineria potrebbe chiudere in tempi brevi. Intanto però una brutta notizia: sono iniziate le procedure esecutive per il licenziamento di 24 dei 44 dipendenti della “Riva & Mariani”, una impresa dell'indotto che opera nel settore della coibentazione di tubi e apparecchiature (proclamate dai sindacati due giornate di lotta). 10 All'Api-IP, la storica raffineria di Falconara, per far fronte alla crisi proseguono anche nel 2014 i contratti di solidarietà per i 350 lavoratori impiegati. Infine anche alla Saras di Sarroch, in provincia di Cagliari, il cui assetto proprietario di maggioranza della raffineria è della famiglia Moratti, si prevedono significativi ridimensionamenti dell'attuale organico (1150 lavoratori). 10. Altrettanti sono i lavoratori interessati nell’indotto chimico con il dramma della Sardegna (Ottana Energia e Ottana Polimeri). Anche all'Eni le attività industriali in Italia (chimica, raffinazione, gas) sono quasi tutte in difficoltà. La stessa Saipem (controllata Eni, che opera nel campo dell'esplorazione, costruzione, ingegneria e “off shore”) annuncia, per la prima volta negli ultimi dieci anni, un forte passivo di bilancio tanto da far temere, anche in questo caso, per l'occupazione. Non ultime vanno ricordate le criticità del comparto ceramica, piastrelle e materiali refrattari (migliaia gli esuberi strutturali e 4500 lavoratori in cassa integrazione), in particolare alla “Cercom” di Ravenna (fermata produttiva, 90 lavoratori a rischio), nei distretti di Modena, Reggio Emilia, Sassuolo, Imola (la “Coop Ceramica” su tutte) Faenza e del distretto industriale di Civita Castellana, nell'Alto Lazio, dove chiude la “San Marciano” e saltano altri 45 posti di lavoro, mentre la “Catalano” e la “Flaminia” hanno annunciato licenziamenti rispettivamente per 80 e 39 operai: lo stesso Papa Francesco ha espresso (2 ottobre) la sua piena solidarietà. “Siamo con voi”, ha detto senza mezzi termini il pontefice. In particolare nel distretto di Civita Castellana dal 2008 ad oggi sopravvivono 35 aziende (3500 lavoratori) su 70 (2300 lavoratori, per 1300 dei quali sono stati attivati ammortizzatori sociali). Non si trova una soluzione nemmeno per la ceramica di Crotone (ex Gres 2000), più di 200 gli addetti per la produzione di piastrelle di alta qualità, il cui destino è rimasto legato ad un imprenditore insolvente che non ha saputo rilanciare il sito, provocando il fallimento dello stabilimento al pari della Kroton Gres (ex Sasol) con 55 addetti nella chimica di base. “Parliamoci chiaro: – conclude Miceli – sono indispensabili finanziamenti e prestiti degli istituti bancari all'economia reale, alle imprese, alla loro crescita e ricapitalizzazione. Nè facciamo mistero dell'interesse alle linee-guida del piano industriale 2013-2015 varato recentemente dalla Cassa Depositi e Prestiti. Gli 80 miliardi previsti per rilanciare sviluppo industriale e crescita territoriale sarebbero anche per noi una bella boccata di ossigeno e darebbero impulso al Piano del lavoro della Cgil”. 11. Infine la crisi economica e sociale che investe il paese non risparmia neppure le criticità nei settori dei cicli combinati a gas, nè il settore elettrico, vuoi per il vistoso calo della domanda (-2,8% nel 2012 sul 2011), vuoi per la complessità dell'iter autorizzativo per i nuovi 11 investimenti, e vuoi per la robusta crescita nella produzione dell'eolico (+34%) e fotovoltaico (+72%). Le ricadute nel solo settore termoelettrico (10.000 circa gli addetti) continuano ad essere pesanti: nel solo 2012 la produzione è scesa del 6,3%. E i riflessi inevitabili sull'occupazione si fanno sentire se grandi impianti come Piombino, Rossano Calabro, Porto Tolle, Fiume Santo, Brindisi Nord, Montalto di Castro. Si riapre addirittura la vertenza della centrale del Mercure, in Calabria, dopo l'ennesimo ricorso al Tar che provoca l'arresto della produzione di energia elettrica da biomasse, proprio in un sito dotato delle migliori tecnologie per la difesa dell'ambiente dalle emissioni: rabbia e sconforto per 50 lavoratori diretti e altrettanti nell'indotto. Desta preoccupazione anche il “no” del Consiglio comunale alla trasformazione a gas della centrale di Porto Empedocle, ad Agrigento: si paralizza un investimento di 80 milioni di euro, si mettono a repentaglio 200 posti di lavoro. Insomma “grandi centrali che rischiano – dicono i sindacati - di divenire cumuli di rottami, andandosi ad aggiungere ai tanti siti termoelettrici già smantellati e da bonificare. E per l'occupazione potrebbe essere una vera e propria Waterloo del sistema elettrico italiano”. Ultima in ordine di tempo la “tegola” di “Sorgenia”, una delle società del mercato libero dell'energia, che ha confermato l'apertura formale delle procedure di mobilità per 49 lavoratori (divenuti poi 40), la cassa integrazione speciale a rotazione per un anno, mobilità volontaria, ma anche reimpiegabilità per un anno nella società “G.Group”. Sulla crisi del settore Filctem-Cgil, Flaei-Cisl, Uiltec-Uil hanno chiesto audizioni alle competenti commissioni di Camera e Senato, e si sono incontrate, insieme ad Assoelettrica e Federutility, il 5 febbraio 2014 con il ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, il quale ha assicurato l'attivazione di un tavolo di confronto permanente presso il ministero dello Sviluppo Economico. In tutti i casi i sindacati non si sono persi d'animo, rimboccandosi le maniche siglando accordi (in molti casi innovativi) con Enel (accordo sul turn-over generazionale che porterà alla fuoriuscita di 3500 lavoratori ma all'assunzione di oltre 1500 giovani), A2A-Edipower, E.On., Edison, Tirreno Power, Cofely, con gli svizzeri di Alpiq, per tutelare quel lavoro che la crisi rischia di travolgere anche in un settore che dove solo pochi anni fa era inimmaginabile che ciò accadesse. …............. NOTA: Questo “Report”- aggiornato al 1 marzo 2014 - non ha la presunzione di essere esaustivo di tutte le vertenze in atto nei nostri settori e presenti nel paese, ma riporta in particolare quelle che hanno avuto una vasta eco sulla stampa nazionale e locale. Sarà nostra cura seguirne gli sviluppi e gli aggiornamenti: ci verranno in aiuto – ne siamo certi – le nostre strutture periferiche che già ringraziamo in anticipo. (a cura di C.Ca. - Comunicazione Filctem-Cgil nazionale) 12 13