Scheda del film

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Scheda del film
UNA VOLTA NELLA VITA
Un film di Marie-Castille Mention-Schaar.
Con Ariane Ascaride, Ahmed Dramé, Noémie
Merlant, Geneviève Mnich, Stéphane Bak
Titolo originale: Les héritiers.
Francia 2014
In Francia, paese notoriamente all'avanguardia, è
stato istituito nel1961, un anno a noi lontano ma
vicinissimo alla fine della seconda guerra mondiale, il
Concours national de la résistance et de la déportation, a cui ogni anno partecipano classi di studenti liceali e
di scuole superiori. Nell'anno scolastico 2008/2009 il tema da affrontare nel lavoro collettivo era “I bambini e
gli adolescenti nel sistema concentrazionario nazista” e a vincere il primo premio furono gli alunni di una
turbolenta seconda del liceo multietnico di Creteil, guidati da un'illuminata professoressa di storia dell'arte ed
educazione civica, Anne Anglés, che non vide in loro dei perdenti ma delle speranze per il futuro.
E' questa la storia raccontata nel film Una volta nella vita, che in francese si intitola, in modo forse più
accurato, Les héritiérs, gli eredi. Perché è questo che sono i giovani, musulmani, ebrei o cattolici che siano:
eredi della memoria, che nel film raccolgono e fanno proprio il giuramento dei prigionieri sopravvissuti nel
campo di Buchenwald, pronunciato nell'aprile 1945, cioè l'impegno a testimoniare e a non permettere la
cancellazione del ricordo di quello che è stato e che oggi, nonostante l'affiorare di nuove ideologie di morte,
tendiamo troppo spesso a dimenticare, nonostante la sua enormità. E' proprio uno dei protagonisti della
vicenda, Ahmed Dramé (che nel film interpreta Malik), ad aver portato in giro la storia che aveva letteralmente
cambiato la vita a lui e ai suoi compagni, in cerca di un regista in grado di capirla, finché è arrivato a MarieCastille Mention-Schaar, di cui aveva apprezzato Ma première fois, che ha risposto all'appello sceneggiando
con lui il film. Poi è entrata nel progetto Ariane Ascaride, perfetta nel ruolo dell'occhialuta professoressa
Gueguen, poco appariscente ma determinata e illuminata e il film, girato nell'autentica location del liceo Léon
Blum di Creteil, è arrivato sugli schermi francesi alla fine del 2014.
E' inevitabile pensare, vedendolo, che sarebbe stato interessante poter registrare in diretta, sotto forma
di documentario, le lezioni, le liti, gli ostacoli e le scoperte di una classe difficile che si riscatta e tira fuori il
meglio di sé, grazie all'empatia col dolore e con la tragica
sorte di giovani come loro. Purtroppo così non è stato,
ma il film ricostruisce comunque – con qualche licenza
poetica - quanto davvero accaduto e ha momenti di
altissima commozione, soprattutto quando a parlare alla
classe con straordinaria forza, suscitando lacrime
autentiche, è il sopravvissuto dei campi Léon Zyguel.
Dal punto di vista cinematografico la regia non è
sempre all'altezza di una storia così umana e
coinvolgente e gestisce in modo un po' frettoloso la
trasformazione della peggior classe del liceo in un
gruppo coeso ed affiatato, così come l'autorità e il
carisma della professoressa - unica a sapersi fare rispettare e a motivare i ragazzi - non risultano
sufficientemente dimostrati. Sono però interessanti anche quelle che sembrano note a margine della storia
principale e che sono scorci realistici della vita di studenti in una scuola laica. A noi italiani farà strano vedere
che l'ostentazione di simboli religiosi è vietata a tutti: a una ragazza viene chiesto di nascondere la croce che
porta al collo sotto la maglia, mentre all'inizio c'è una lite tra una giovane musulmana (ormai diplomata) che
si infuria col preside per il proprio diritto di indossare il velo. E sono ben rese anche le dinamiche intransigenti
e a volte violente di ragazzi un po' sbandati, che crescono soli o non sufficientemente considerati.
Ma soprattutto il film - al di là della sua riuscita artistica - trasmette efficacemente il messaggio che la
memoria è una ricchezza da tramandare e per la cui perpetuazione è necessario coinvolgere i giovani senza
sottovalutarne l'intelligenza e la capacità di empatia, perché i bambini, i ragazzi e gli adulti sterminati ad
Auschwitz non erano diversi da loro e da noi, e di fronte all'inalienabile diritto alla vita nulla significano la fede
religiosa e l'appartenenza alle minoranze. Citando Primo Levi, i cui strazianti e fondamentali libri sulla Shoah
vengono letti dai liceali francesi (e si spera anche da quelli italiani), “Se comprendere è impossibile, conoscere
è necessario”. E dimenticare, aggiungeremmo, non è mai un'opzione praticabile.
(25 gennaio 2016 - Daniela Catelli)
"Ispirato a una storia realmente accaduta poi testimoniata nel libro 'Una volta nella vita' di Ahmed Dramé
(uno degli studenti che prese parte al progetto e che nel film interpreta se stesso) il film non manca di
evidenziare la situazione caotica iniziale e il faticoso percorso di assunzione di responsabilità dei liceali
protagonisti, inseriti in un contesto socio-esistenziale tutt'altro che favorevole. Prezioso seppur molto
didascalico."
(Anna Maria Pasetti, 'Il Fatto Quotidiano', 28 gennaio 2016)
"Superfluo dire che il titolo originale sottolinea il nodo centrale di questo lavoro del tutto straordinario,
fedelmente ispirato a una storia vera. E scritto per lo schermo, con la regista, da uno dei ragazzi che vissero
quell'esperienza, l'allora 16enne Ahmed Dramé, oggi anche tra i protagonisti nei panni di Malik. La questione
dell'eredità, morale e materiale, è infatti il centro di qualsiasi discorso sull'insegnamento e la formazione.
Anche se spesso si fa finta di niente per concentrarsi sugli obiettivi pratici della scuola, di per sé insufficienti a
una vera formazione, o su quelli 'ideali', non meno fragili vista l'accelerazione storica e (multi)culturale in cui
viviamo. Quale eredità trasmettere ai ragazzi di oggi, dunque? Messa così la faccenda suona astratta. E la
professoressa Gueguen (un'elettrizzante Ariane Ascaride) non ha tempo per le astrazioni. Deve prima
conquistare l'attenzione e il rispetto dei suoi studenti, come tutti i film contemporanei sulla scuola (...) ci hanno
insegnato. Deve convincerli, senza dirlo, che non stanno perdendo tempo; che ciò che fanno gli sarà utile; che
vale la pena spegnere il cellulare, togliersi le cuffie, smettere di darsi lo smalto o di sfidarsi tra rivali, per
ascoltare. E magari, utopia delle utopie, fare qualcosa insieme. Tutti insieme, possibilmente. Ma come unire
ragazzi così arroccati nelle proprie divisioni (fisiche, sociali, culturali, religiose)? Semplice: saltando il presente
per tornare a un passato non così lontano che riguarda tutti ma proprio tutti. La seconda guerra mondiale.
L'orrore dei campi nazisti. (...) Mai visto evocare più fatti, e emozioni, con tanta forza e discrezione insieme.
Non fosse una formula abusata, diremmo che è davvero un film da non perdere."
Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 28 gennaio 201