A Linguistic-Semiotic Analysis of British and Italian TV Commercials

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A Linguistic-Semiotic Analysis of British and Italian TV Commercials
NICOLA BORRELLI
Advertising Across Cultures:
A Linguistic-Semiotic Analysis of British and Italian TV Commercials
1. Quadro di riferimento
Nel suo testo Consumer Behaviour and Culture: Consequences for Global Marketing and
Advertising (2004), Marieke de Mooji spiega come il mercato globale, inteso come insieme di
consumatori che attraverso processi mentali analoghi acquistano prodotti standardizzati a basso
costo, sia in realtà solo un mito creato dai marketing manager. I fatti dimostrano che le dinamiche
del consumo sono legate a stimoli interni alla cultura di provenienza e spesso anche l’acquisto di
uno stesso prodotto è determinato da spinte diverse in culture diverse. La cultura collettiva di una
nazione diventa perciò lo schema di riferimento principe a cui ricondurre la preferenza del
consumatore per questo o quel bene. Nella definizione di Geert Hostede (2001: 9), cultura è “[...]
the collective programming of the mind that distinguishes the members of one group or category of
people from another”, per cui molteplici sono le dinamiche comportamentali che ad essa possono
essere ricondotte .
Oggi l’illusione del consumatore unico sembra tramontata anche per marchi simbolo della
globalizzazione come McDonald’s, che propone pubblicità e menù differenziati nei diversi paesi in
cui è presente (De Mooij 2005), e la congiuntura è tale che la differenziazione dei prodotti
rappresenta una potenziale carta vincente contro le merci in serie a basso costo provenienti dalla
Cina. Questa segmentazione dell’offerta contraddistingue anche le agenzie pubblicitarie, che
sembrano adeguare i loro prodotti ai mercati di destinazione, confezionando delle pubblicità
culturalmente compatibili con il mercato a cui sono destinate. Jeremy Bullmore, ex-presidente
dell’agenzia pubblicitaria americana Walter Thompson Co., ha dichiarato:
Do not believe the old saying that good advertising speaks for itself. Good advertising speaks to
those for whom it is intended. Much good advertising speaks quite deliberately in code, or uses
a secret language, and excludes the rest of us. That’s one of the reasons why it’s good (2003:
84).
In tale prospettiva, il linguaggio e paralinguaggio di uno spot publicitario vengono ad essere
qualcosa di più di semplici parole e segni: diventano, infatti, una delle tante pratiche attraverso cui
veicolare i valori di una determinata cultura. Tali valori possono essere pertinenti alla cultura di chi
crea la pubblicità, ma, nella maggior parte dei casi, dovrebbero rispecchiare la cultura di coloro che
tale pubblicità ricevono, ovvero dei consumatori.
1
Scopo della mia ricerca è stato analizzare, in una prospettiva linguistico-semiotica, se ed in
che misura le culture nazionali dei paesi riceventi uno spot pubblicitario influiscano sulla
realizzazione dello spot stesso.
Poiché oggetto della mia ricerca è la pubblicità televisiva,
l’attenzione è stata rivolta al codice comunicativo nel suo complesso, inteso come insieme di codice
verbale e di codice visivo: non solo, perciò, la scelta dei termini, l’uso di figure retoriche, il tono
della voce, i giochi di parole nel messaggio verbale, ma anche la combinazione di immagini, gesti e
atteggiamenti in quello non-verbale. Attraverso tale analisi ho cercato di rispondere a due domande
fondamentali:
1) Se, ed a che livello, gli aspetti linguistici e semiotici di uno spot televisivo
interagiscono tra loro per realizzare un messaggio che è pertinente alla cultura d’arrivo;
2) Quali diverse dimensioni culturali sono alla base delle diverse scelte pubblicitarie
televisive in Gran Bretagna ed in Italia.
2. Il Corpus
Il corpus analizzato nella tesi consta di due sub-corpora comparabili di spot televisivi britannici ed
italiani raccolti nell’anno 2005. La decisione di effettuare un’analisi comparata è scaturita dalla
convinzione che in uno studio volto a determinare l’incidenza della cultura nazionale sulle scelte
comunicative della pubblicità televisiva, il confronto di due sub-corpora di diversa matrice
nazionale avrebbe permesso di delineare più facilmente le peculiarità dell’uno in chiave di
differenze rispetto all’altro.
Le registrazioni in inglese sono state effettuate in diversi periodi dell’anno (dal 31 gennaio
al 16 febbraio; dal 13 al 25 marzo; dal 27 aprile al 2 maggio; dal 13 luglio al 14 agosto; dal 23
ottobre al 26 dicembre), avendo cura di coprire tutte le principali reti TV (Channel 4, ITV, ITV2,
ITV3, Sky One, Living, Challenge, Five, Gold, UKTV Gold) e le diverse fasce orarie (mattino,
dalle 6.50 alle 13.10; pomeriggio, dalle 14.30 alle 19.30; sera o prime time, dalle 20.00 alle 23.00;
seconda serata e notte, dalle 11.30 alle 4). L’ammontare totale delle registrazioni è risultato pari a
264 ore e 50 minuti, di cui circa il 20% costituito da spot pubblicitari.
Un simile criterio di raccolta è stato adoperato nella raccolta del sub-corpus italiano. Le
registrazioni sono state effettuate tra il 22 ed il 30 agosto, dal 1 settembre al 7 ottobre e dal 1 al 31
dicembre, coprendo anche in questo caso diverse fasce orarie (mattino-primo pomeriggio, dalle 8
alle 14; pomeriggio-sera, dalle 14 alle 20; prime time e notte, dalle 20 alle 2) e sia la tv di stato
(Rai1, Rai2, Rai3) che quella commerciale (Canale5, Rete4, Italia1). L’ammontare totale delle
2
registrazioni è risultato pari a 108 ore, con un’incidenza media degli spot pubblicitari calcolata
intorno al 17%.
Nel caso degli spot italiani, l’attività da svolgere è stata particolarmente elaborata per
ragioni di natura tecnica. Diversamente dalle pubblicità britanniche, che sono state registrate
direttamente su supporto digitale, quelle italiane sono state raccolte su normali videocassette. Al
fine di trasformarle in file digitali è stato quindi necessario acquistare il ‘Dazzle DVD Recorder’, un
dispositivo che permette di acquisire direttamente su DVD filmati e registrazioni presenti su
videocassetta. Di conseguenza, il lavoro da svolgere è stato duplice: innanzitutto, selezionare su
videocassetta le sole pubblicità (le registrazioni effettuate comprendevano anche i programmi nel
corso dei quali gli spot erano stati trasmessi); in secondo luogo, trasformare le pubblicità in formato
digitale, attraverso una procedura articolata in diversi passaggi.
Le difficoltà summenzionate e l’esigenza di analizzare in maniera più approfondita un
corpus obiettivamente assai ampio mi hanno portato, d’accordo con la coordinatrice del dottorato e
con la mia tutor, a richiedere proroga di un anno per approfondimento della ricerca, allo scopo di
non trascurare per mancanza di tempo aspetti interessanti del materiale a dispozione, dopo aver
dedicato più del previsto al lavoro meccanico di digitalizzazione degli spot raccolti.
3. L’Approccio Metodologico
Nel confronto dei due sub-corpora, un triplice approccio metodologico è stato adoperato al fine di
esaminare gli aspetti verbali e non-verbali di ciascun campione e collocare i relativi risultati in una
prospettiva socio-culturale.
Sul piano linguistico, ho privilegiato un approccio di discourse analysis, che ho ritenuto il
metodo più consono per un’analisi della lingua che andasse al di là della sua strutturazione in
sintagmi, proposizioni e frasi, e tenesse anche (e soprattutto) conto della sua funzione comunicativa,
di scambio di messaggi tra un emittente ed un ricevente con specifici bagagli culturali. Yule e
Brown (1983: IX) riconoscono l’importanza del processo comunicativo in discourse analysis
quando dichiarano:
We examine how humans use language to communicate and, in particular, how addressers
construct linguistic messages for addressees and how addressees work on linguistic messages in
order to interpret them (1983:IX).
Altrettanto fa Stubbs (1983: 1), il quale pone anche l’accento sulla dimensione sociale del
linguaggio in una prospettiva di discourse analysis:
“Roughly speaking, it [discourse analysis] refers to attempts to study the organization of
language above the sentence or above the clause, and therefore to study larger linguistic units,
3
such as conversational exchanges or written texts. It follows that discourse analysis is also
concerned with language in use in social contexts, and in particular with interaction or dialogue
between speakers (1983:1)”
In altri termini, ogni analisi improntata alla discourse analysis prende in considerazione questioni
semantiche e sintattiche, ma si concentra in primis su problematiche di natura pragmatica. Gli
schemi culturali influenzano i nostri atti comunicativi, e la pubblicità, come forma di
comunicazione prodotta dal un emittente per uno specifico destinatario, non è esente da tali vincoli
culturali.
Per l’esame degli aspetti non-verbali del linguaggio, un valido schema interpretativo è stato
fornito dalla social semiotics. Diversamente dalla semiotica tradizionale di matrice Saussuriana, che
si concentra sulle relazioni tra le varie parti del linguaggio visto come un sistema auto-sufficiente, la
social semiotics esplora l’uso dei segni – anche e soprattutto non verbali – all’interno di specifici
contesti sociali. Questo è quanto fanno Gunther Kress e Theo Van Leeuwen nel loro Reading
Images (1996), una vera e propria grammatica delle immagini che consente di dare una lettura ai
segnali non-verbali che sono parte integrante della comunicazione quotidiana:
Just as grammars of language describe how words combine in clauses, sentences and texts, so
our visual ‘grammar’ will describe the way in which depicted people, places and things combine
in visual ‘statements’ of greater or lesser complexity and extension (1996: 1).
Uno studio che prende in considerazione gli aspetti linguistici e paralinguistici della comunicazione
rientra a pieno titolo nel novero dell’ analisi multimodale, disciplina che studia come diversi sistemi
di segni sono fisicamente e semioticamente integrati tra loro a creare significati
in testi e
produzioni multimediali di vario tipo.
Le osservazioni di natura linguistica e semiotica fatte su campioni scelti dei due sub-corpora
hanno infine ricevuto un’interpretazione in chiave socio-culturale in base alla teoria delle
dimensioni culturali del sociologo olandese Geert Hofstede. Il testo Culture’s Consequences:
Comparing Values, Behaviors, Institutions, and Organisations across Nations ha costituito il
principale punto di riferimento. In quest’opera, Hofstede identifica cinque dimensioni indipendenti,
relative alle differenze culturali tra nazioni, ciascuna delle quali è radicata in uno dei problemi
fondamentali con cui tutte le società fanno i conti, ma rispetto ai quali le loro risposte variano. Dette
dimensioni sono le seguenti:
1. Power distance (PDI), relativa alle diverse soluzioni date al problema della
disuguaglianza fra gli esseri umani;
4
2. Uncertainty avoidance (UAI), relativa al livello di stress cui sono sottoposte le
diverse società nel dover far fronte a situazioni ambigue e alle incertezze riservate dal
futuro;
3. Individualism versus collectivism (IDV), relativa all’integrazione degli individui in
gruppi primari;
4. Masculinity versus femininity (MAS), relativa alla suddivisione dei ruoli tra uomini e
donne;
5. Long-term versus short-term orientation (LTO), relativa alla scelta, tra presente e
futuro, dell’obiettivo finale degli sforzi di ciascuno.
Attraverso un studio di carattere empirico condotto sui dipendenti dell’IBM di oltre 50 Stati di tutto
il mondo e mediante l’uso di un indice, Hofstede ha misurato il grado in cui ciascuna delle succitate
dimensioni è presente all’interno delle diverse culture di appartenenza del campione analizzato,
schematizzando tutta una serie di differenze culturali transnazionali che forniscono una spiegazione
alla diversità di “effetti” talora determinati da una stessa “causa”.
Il binomio Gran Bretagna-Italia è apparso molto interessante alla luce delle dimensioni
culturali di Hofstede. I due paesi, infatti, sono, in una certa misura, molto simili: entrambi
geograficamente collocati in Europa Occidentale, entrambi membri dell’UE, con situazioni socioeconomico simili e con tipologie di consumo facilmente comparabili. D’altra parte, i risultati
ottenuti da Hofstede nella misurazione delle diverse dimensioni culturali rivelano notevoli
differenze, come mostrato dai grafici in basso:
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Fig.1 Dimensioni Culturali di Hofstede - Regno Unito, 2003, http://www.geert-hofstede.com/
Fig.2 Dimensioni Culturali di Hofstede - Italia, 2003, http://www.geert-hofstede.com/
Il maggiore punteggio (50) ottenuto dall’Italia sull’indice della power distance (PDI) rispetto alla
Gran Bretagna (35) connota quest’ultima come una società più egalitaria rispetto a quella italiana,
con gerarchie non rigide e una maggiore mobilità verso l’alto dei cittadini. La Gran Bretagna
appare anche una società più individualista rispetto all’Italia – 89 contro 76 sull’indice
dell’individualism (IDV) –
il che si traduce in una maggiore importanza assegnata ai diritti
dell’individuo nel contesto sociale. L’Italia è organizzata in senso leggermente più maschilista
(MAS) rispetto alla Gran Bretagna (70 contro 66), il che è sintomo di una maggiore
differenziazione di genere, con gli uomini che dominano una porzione maggiore della società e
delle strutture del potere. Il dato più interessante è, comunque, quello dell’uncertainty avoidance
(UAI): 75 per l’Italia, 35 per la Gran Bretagna, il che spiega l’abisso esistente tra i livelli di stress
che caratterizzano i due paesi come conseguenza del loro rapportarsi con l’ambiguità e l’incertezza,
nonché il diverso grado di tolleranza verso opinioni e stili di vita diversi dai propri.1 Non esistono
dati relativi alla misurazione della long-term orientation (LTO) per l’Italia: tale dimensione, infatti,
è entrata a far parte del novero delle dimensioni culturali di Hofstede in un momento successivo
rispetto alle altre2, inizialmente con riferimento soltanto ai paesi asiatici e sotto forma più di
speculazioni e asserzioni che non di concettualizzazione di considerazioni fatte sulla base dei dati
empirici raccolti (Fang 2003). Ciò spiega l’assenza di dati per alcuni paesi (tra cui l’Italia), ma
anche lo scarso entusiasmo con cui la quinta dimensione è stata accolta dalla comunità di Studi
Interculturali (Fang 2003).
1
I punteggi relativi alle diverse dimensioni culturali di Gran Bretagna ed Italia sono stati desunti dalla tabella presente
sul sito http://www.geert-hofstede.com/hofstede_dimensions.php
2
La prima edizione di Culture’s Consequences, apparsa nel 1980, non contiene infatti la LTO (anche nota come “quinta
dimensione”), che fa la sua comparsa nell’edizione del 1991.
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Nella mia ricerca ho cercato di spiegare
le scelte linguistiche ed iconiche degli spot
televisivi in Gran Bretagna ed Italia nel quadro delle dimensioni culturali dei rispettivi paesi di
appartenenza definite dal sociologo olandese. Il collante tra il sistema di classificazione socioculturale ideato da Hofstede e la lingua è stato fornito dalla teoria di Gudykunst e Ting-Toomey
sugli stili comunicativi (1988) e da quella di De Mooij (2005) sugli stili pubblicitari a livello
interculturale.
Gudykunst e Ting-Toomey hanno trattao dell’argomento dei diversi stili di comunicazione
interpersonale in culture diverse nel testo Culture and Interpersonal Communication (1988). Essi
distinguono, innanzitutto, ‘stili verbali’ e ‘stili non-verbali’, a seconda che l’accento sia posto sulla
parola o sul contesto. Nella comunicazione verbale, individuano quattro modalità stilistiche: 1) stile
diretto vs. stile indiretto, distinti in base al maggior o minore livello a cui i parlanti comunicano le
loro reali intenzioni nella comunicazione. Lo stile diretto è tipico delle società ad elevato
individualismo, mentre quello indiretto è più comune nelle società collettivistiche; 2) stile elaborato
vs. stile succinto, che include tre diverse modalità stilistiche (elaborato, esatto e succinto)
caratterizzate rispettivamente da un linguaggio elaborato e ricco di metafore, un linguaggio preciso
ed un linguaggio caratterizzato da un largo uso di pause e silenzi. Lo stile elaborato è tipico delle
società colletivistiche a medio-alta UAI, quello esatto delle società individualistiche con bassa UAI
ed infine quello succinto delle società collettivistiche ad alta UAI dove il valore del singolo è
posposto a quello del gruppo; 3) stile personale vs. stile contestuale, a seconda che l’attenzione sia
rivolta all persona in quanto tale o al suo status e al ruolo che ricopre. Lo stile personale è tipico
delle società individualistiche a bassa PDI, mentre quello contestuale è più comune nelle culture
collettivistiche ad elevata PDI; 4) stile strumentale vs. stile affettivo, che si riferisce alla distinzione
tra comunicazione orientata allo scopo e comunicazione orientata al processo. Nella prima, il
successo comunicativo dipende dal mittente, mentre nella seconda esso è legato allo sforzo di
mittente e ricevente di mostrare
“[...] intuitive sensitivity towards meanings beyond words”
(Guydkunst, Ting-Toomey 1988:112). I membri delle società indinvidualistiche mostrano
preferenza per lo stile strumentale, mentre lo stile affettivo è più tipico delle culture collettivistiche.
In termini di stili non comunicativi, Gudykunst e Ting-Toomey (1988) fanno un’altra
quadruplice distinzione, basata però su una duplice fondamentale distinzione: quella tra stili
comunicativi non verbali accessibili ed inaccessibili dall’esterno. La comunicazione non-verbale è
fatta fondamentalmente di linguaggio del corpo, prossemica, aptica, ecc., e costituisce un mondo di
segni che possono essere compresi o meno da coloro che non ne fanno parte. Alla luce di ciò,
Gudykunst e Ting-Toomey indicano quattro stili: 1) unico-esplicito, quello più accessibile, tipico
delle società individualistiche con bassi PDI e UAI; 2) unico-implicito, orientato verso l’individuo
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ma meno accessibile del precedente, caratteristico delle società individualistiche con alti PDI e
UAI; 3) gruppo-esplicito, orientato verso il gruppo ma tuttavia accessibile, tipico delle società
collettivistiche a PDI e UAI bassi o medi; 4) gruppo-implicito, inaccessibile dall’esterno e tipico di
culture collettivistiche con PDI e UAI alti.
Sulla base degli stili comunicativi interpersonali di Gudykunst e Ting-Toomey, De Mooij
(2005) basa la sua suddivisione degli stili comunicativi pubblicitari in due categorie fondamentali :
1) stile diretto-esplicito; 2) stile diretto-implicito. Le culture individualistiche, con un basso PDI,
preferiscono uno stile diretto-esplicito, molto articolato verbalmente e ricco di pronomi personali
che si rivolgono al pubblico in maniera diretta. I diversi livelli di UAI determinano uno stile più
dettagliato e ricco di informazioni approfondite (alto UAI) o uno stile informativo ma anche
umoristico (basso UAI). Le culture con alto o medio individualismo caratterizzate da un alto PDI e
le culture collettivistiche mostrano una preferenza per uno stile indiretto con prevalenza di
linguaggio non-verbale.
L’alto UAI combinato con alti livelli di PDI da vita ad uno stile
comunicativo inaccessibile dall’esterno, specie in virtù dell’uso di riferimenti inter-testuali .
Collettivismo ed alto UAI determinano invece uno stile che potremmo definire emotivo, volto a
stabilire un rapporto con lo spettatore. Collettivismo combinato con alti PDI e UAI produce infine
uno stile immediato ma ricco in simbolismi, che si rivolge direttamente solo agli insider della
cultura, che tali simboli riescono a decifrare.
Gli stili comunicativi sono solo una delle componenti della pubblicità indicate da De Mooij:
ad essi si aggiungono gli appeal o richiami, ovvero “something that makes the products particularly
attractive or interesting to the consumer” (Wells, Burnett, Moriarty, 1992: 249); le categorie
pubblicitarie di base (lezione, tranche de vie, intrattenimento, ecc.); l’esecuzione degli spot stessi,
ovvero il modo di rappresentare disparati aspetti della realtà. Tutti questi aspetti sono accomunati
dal fatto di essere variabili in funzione della cultura.
4. Analisi e Risultati
Sebbene il corpus nella sua interezza sia stato oggetto di indagine del presente studio, per ovvie
ragioni di spazio e di tempo ho selezionato soltanto alcune categorie di spot da analizzare. In una
prospettiva di discourse analysis, diventa infatti impossibile lavorare con corpora troppo vasti,
perche, come sottolinea Van Dijk (2001: 99), “[...] there is no such a thing as a ‘complete’ discourse
analysis”:
[A] ‘full’ analysis of a short passage might take months and fill hundreds of pages. Complete
discourse analysis of a large corpus of text or talk, is therefore totally out of the question. […]
Hence […] we must make choices, and select [particular] structures for closer analysis that are
relevant for the study of a social issue (Van Dijk 2001: 99).
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Nel complesso la tesi si articola in 8 parti, 6 capitoli più introduzione e conclusione. Il primo capitolo offre
una panoramica storica sulla pubblicità televisiva in Gran Bretagna e in Italia, ed una riflessione sul legame
esistente tra lingua e cultura. Il secondo capitolo illustra la metodologia ed il corpus. Il terzo capitolo si
incentra sulle teorie della comunicazione interpersonale e degli stili pubblicitari a livello interculturale.
Infine, i capitoli dal quarto al sesto si occupano dell’analisi dei campioni selezionati, secondo la seguente
articolazione: 1) Prodotti bancari e finanziari (capitolo quattro); 2) Supermercati e prodotti di largo consumo
(capitolo cinque); 3)Prodotti pubblicizzati attraverso l’uso del sex appeal (capitolo sei).
5. Prodotti bancari e finanziari
Tale categoria è stata selezionata dopo che osservazioni di tipo quantitativo hanno dimostrato una
enorme sproporzione tra i numerosissimispot inglesi e i ben più rari corrispettivi italiani. Un’ ipotesi
di tipo socio-culturale è stata avanzata per spiegare questo gap significativo: la maggiore diffusione
dei prestiti personali in Gran Bretagna è stata vista infatti non solo come conseguenza della
maggiore faciltà di ottenere credito da una banca nel contesto della società britannica rispetto a
quella italiana, ma anche come effetto del forte individualismo britannico, per cui le banche e
società di prestito sono la prima risorsa a cui attingere, diversamente dalle società più
collettivistiche come quella italiana, dove la famiglia è il primo punto d’approdo per la richiesta di
denaro.
Gli spot selezionati, denomitati BFPS (Banking and Financial Products and Services) sono
stati divisi in sette sub-categorie, organizzate sulla base delle scelte linguistico-retoriche di ciascuno
specifico spot: 1) il linguaggio della fama, ovvero prodotti sponsorizzati da VIP; 2) pubblicità
comparativa; 3) tropi e schemi; 4) ; 5) effetti speciali; 6) uso dei pronomi personali come indicatore
di power distance e auto-affermazione; 7) i limiti della privacy, ovvero vita personale ed emozioni
nella pubblicità dei BFPS.
L’analisi linguistica e paralinguistica degli spot ha indicato l’IDV come la principale
dimensione culturale atta a spiegare le scelte riscontrate nei sub-corpora britannico ed italiano.
Nella maggioranza degli spot in inglese si è riscontrata una preferenza per uno stile comunicativo
diretto, esatto e strumentale sul piano verbale ed esplicito sul piano visivo, due caratteristiche
tipiche delle società ad elevato individualismo. Al contrario, nella maggioranza degli spot italiani la
comunicazione si è rivelata più indiretta, con uno stile esatto tendente al succinto e caratterizzato da
una maggiore attenzione agli aspetti emotivi.
Una maggiore correlazione con la dimensione della MAS è stata trovata negli spot BFPS
britannici, caratterizzati da un maggiore uso di VIP come sponsor e da un linguaggio che esalta la
vittoria, il successo e lo spirito di competizione.
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Il diverso grado di UAI fra Gran Bretagna ed Italia si riflette ad un livello sia formale che
sostanziale. Ad esempio, negli spot inglesi si è riscontrato un maggior uso di figure retoriche ed
effetti speciali volti a ridurre la modalità generale, anche nella trattazione di argomenti seri, una
maggiore immediatezza nel rispecchiare e descrivere l’incertezza che caratterizza la vita e un uso
ridotto di situazioni volte e colpire la sfera emotiva. Negli spot italiani, al contrario, è stata
riscontrata un’esclusione intenzionale di elementi linguistici e visivi che possano denotare o
connotare ansia e angoscia, preferendo una presentazione del prodotto come sicuro e privo di fastidi
per l’acquirente.
Infine, i dati analizzati non hanno mostrato una corrispondenza diretta con i diversi indici di
PDI misurati in Gran Bretagna ed in Italia. In entrambi i paesi, infatti, la maggior parte degli spot è
apparsa caratterizzata da scelte linguistico-visive indicanti un’elevata power distance fra il
venditore/prestatore
di prodotto/servizio ed il compratore/utente. Tale riscontro ha portato ad
ipotizzare che i rapporti di potere all’interno degli spot di BFPS siano più adeguatamente spiegati
dalle nozioni di small culture (Holliday 1999) e discourse community (Swales 2001) che non da
quella etnico-culturale di PDI.
6. Supermercati e prodotti di largo consumo.
Tale categoria è stata selezionata in considerazione del corollario, ben noto in marketing, secondo
cui quanto più vecchia è la categoria merceologica tanto più forte è l’influenza della cultura
nazionale sulle dinamiche di scelta e acquisto da parte del consumatore di prodotti che in quella
categoria rientrano (De Mooij 2004). Di conseguenza, prodotti di largo consumo, quali alimentari e
detersivi, sono quelli potenzialmente più soggetti ad essere ‘culturalizzati’ all’interno degli spot
pubblicitari e, con essi, anche i supermercati, dove la stragrande maggioranza dei prodotti di largo
consumo e’ reperibile. Gli spot sono stati pertanto sub-categorizzati in tre gruppi: 1) supermercati;
2) prodotti alimentari; 3) detersivi per la casa e per il bucato. Nell’ambito dei prodotti alimentari,
una sezione è stata dedicata all’analisi della rappresentazione culturale dell’Altro attraverso il cibo
(ad es. pubblicità inglesi di sughi italiani, pubblicità italiane di tè inglesi).
Nonostante la grande varietà di prodotti ed argomenti compresi in questa macro-categoria,
l’analisi linguistica e para-linguistica ha mostrato che gli stessi valori sono alla base di diverse
categorie commerciali in entrambe le culture.
La dimensione della UAI si è rivelata la più significativa per spiegare le dinamiche
pubblicitarie privilegiate negli spot dei due sub-corpora. Negli spot britannici è stato riscontrato un
maggior rilievo dei valori di convenienza ed efficienza, in linea con la bassa UAI del paese, mentre
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in quelli italiani, l’alta UAI è parsa rispecchiata dall’attenzione quasi esclusiva alle questioni della
qualità e della genuinità.
La tradizione come valore, insistentemente sottolineata negli spot italiani, non è emersa
come caratteristica di quelli inglesi, dove un approccio più rilassato e persino ironico è stato
riscontrato anche rispetto a tradizioni-culto come quella del tè. Tale divergenza rispecchia e a sua
volta trova spiegazione nei diversi indici di PDI di Gran Bretagna ed Italia.
Il maggior individualismo britannico è risulato evidente nella percezione del tempo quale
valore assoluto, in contrasto con valori colletivistici quali la dedizione alla famiglia riscontrati negli
spot italiani.
Infine, nella reciproca rappresentazione dell’altro, dagli spot britannici è emersa
un’immagine dell’Italia legata a stereotipi culturali, resi anche attraverso l’esagerazione di
caratteristiche prosodiche del linguaggio (ad esempio accento ed intonazione). Diversamente, gli
spot italiani hanno mostrato di rappresentare l’inglesità secondo schemi culturali tipicamente
italiani e attraverso luoghi comuni sfruttati specialmente a livello visivo.
7. Prodotti pubblicizzati attraverso l’uso del sesso.
L’ultimo capitolo della tesi ha preso in analisi spot legati tra loro non tanto dall’appartenenza ad una
stessa categoria merceologica, quanto piuttosto dall’utilizzo di una stessa tecnica pubblicitaria, il
sex advertising, ovvero l’uso di richiami di natura sessuale in pubblicità. Data la trasversalità di tale
tecnica, utilizzata da diverse culture per disparati prodotti, ho ritenuto interessante indagare il
fenomeno, ma, per ragioni pratiche di tempo e spazio, ho comunque selezionato alcune categorie
commerciali inglesi dove l’uso del ‘sex advertising’ risultava più significativo. Tre sono stati i
gruppi di spot scelti: 1) prodotti ad uso personale; 2) birra; 3) automobili. Non sempre le
corrispettive categorie italiane hanno offerto esempi di sex advertising, per cui un’ultima sezione
del capitolo è stata dedicata ad una panoramica sul sex advertising nella tv italiana.
L’analisi linguistica e paralinguistica ha rivelato alcune differenze fondamentali. L’uso di
richiami sessuali nella pubblicità inglese è risultato assai frequente ma limitato a determinate
categorie merceologiche; prevalentemente verbale, esso si è manifestato soprattutto nella forma di
allusione sessuale e quasi sempre in compresenza con strategie umoristiche. Gli spot italiani hanno
invece rivelato un uso del sesso non connesso con particolari categorie commerciali, scarsamente
verbale e prevalentemente visivo, quasi mai combinato con l’irona e spesso connotante sensualità.
Anche in questo caso, la dimensione culturale più significativa è risultata la UAI. Nei paesi a bassa
UAI come la Gran Bretagna, Hofstede ha riscontrato un atteggiamento più rilassato rispetto al
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sesso, visto come componente della vita umana rispetto a paesi ad alta UAI, dove il sesso è
considerato come qualcosa di serio e peccaminoso.
8. Conclusioni
In conclusione, l’analisi linguistico-semiotica degli spot ha rivelato che sia nel Regno Unito che in
Italia gli spot televisivi appaiono fondamentalmente culturalizzati, con alcune eccezioni legate a
specifiche categorie e a determinate dinamiche (ad es., i rapporti di potere negli spot BFPS). Gli
indici delle dimensioni culturali di Hofstede, con i relativi valori chiave e norme sociali, si sono
pertanto rivelati un valido schema all’interno del quale interpretare i modelli pubblicitari britannici
ed italiani.
PDI, UAI and IDV sono risultate le dimensioni più significative a spiegare la differenza fra
cultura pubblicitaria britannica ed italiana. Nello specifico, le scelte linguistico-semiotiche dei
campioni britannici sono apparse correlate fondamentalmente a IDV e MAS, rispetto a UAI e PDI
all’interno degli spot italiani.
Le dimensioni e la varietà del corpus offrono ampie possibilità di studi successivi volti ad
ampliare od integrare i risultati emersi da questa ricerca. Dall’analisi condotta, comunque, il legame
tra linguaggio e cultura appare significativo.
Come hanno sostenuto Hofstede & Hofstede e
Pedersen (2001) “Culture is like the colour of your eyes; you can’t change it or hide it, and although
you cannot see it yourself, it is always visible to other people when you interact with them”.
9. Attività Complementari e Collaterali al Dottorato
Il mio quarto ed ultimo anno di studi per il conseguimento del dottorato in “Lingua Inglese per
Scopi Speciali” si è svolto prevalentemente nel Regno Unito ed ha privilegiato la stesura della tesi.
La mia permanenza all’estero ha avuto inizio 21 febbraio 2007, con il mio arrivo alla
University of Birmingham (UOB) in qualità di visiting researcher. In quanto tale, ho avuto accesso
alle risorse cartacee ed elettroniche delle biblioteche presenti nel campus. I sette mesi trascorsi a
Birmingham (sono rientrato il 7 settembre) sono stati dedicati, oltre che alla scrittura della tesi, al
contemporaneo appronfodimento della letteratura fondamentale, favorito dalla grande disponibilità
di titoli relativi al mio argomento di studio. Molto importante, dal punto di vista formativo e della
strutturazione della tesi, è stato anche il legame stabilito con il gruppo di dottorandi in linguistica
della UOB, coordinati dalla Prof.ssa Susan Hunston. In qualità di visiting researcher, ho infatti
partecipato agli incontri settimanali del gruppo, assistendo sia alle presentazioni dei colleghi
dottorandi, sia ai seminari tenuti da docenti (fra cui la stessa Susan Hunston). Ho altresì avuto modo
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di presentare la mia ricerca in occasione dell’incontro del 16 marzo 2007, ricevendo un feedback
preziosissimo sul lavoro già svolto e spunti interessanti per quello ancora da svolgere.
L’esperienza accademica fatta nel corso dei sette mesi alla University of Birmingham si è
sommata alla raccolta e catalogazione del corpus e alla ricerca bibliografica e selezione della
letteratura di riferimento fondamentale effettuate nei tre anni precedenti, sia a Napoli che nel corso
di permanenze estive nel Regno Unito. Nel complesso, i quattro anni di dottorato sono stati
prevalentemente dedicati alla ricerca e all’analisi finalizzate alla stesura della tesi, ma anche allo
svolgimento di tutta una serie di attività accademiche complementari e collaterali al dottorato.
Durante ciascun anno accademico si sono svolti incontri seminariali volti a fornire strumenti
analitici e spunti metodologici. Inoltre, gli anni 2006 e 2007 sono stati anche caratterizzati da
un’intensa attività didattico-seminariale, nonché dalla partecipazione ad convegni internazionali. Ho
inoltre presentato la mia ricerca in seminari rivolti sia agli studenti della facoltà Scienze Politiche,
sia ai colleghi dottorandi
Durante il secondo trimestre degli anni accademici 2005-2006 e 2006-2007 ho tenuto un
corso d’inglese scientifico, in qualità di docente a contratto, presso il corso di laurea in Scienze
Infermieristiche ed Ostetriche della Facoltà di Medicina e Chirurgia della Seconda Università di
Napoli (S.U.N.). Detto contratto è stato rinnovato anche per l’anno accademico 2007-2008 Nel
mese di maggio, in collaborazione con la Dott.ssa Giovanna Pistillo, ho svolto attività seminariali
per gli studenti di laurea magistrale afferenti alla cattedra della Prof.ssa Gabriella di Martino. Nello
specifico, sono stati proposti due seminari: “Europe and ‘the 25’: Translating Cultures in EU
Official Documents”, basato sull’omonimo articolo pubblicato nel 2005 all’interno del volume
collettaneo “Languaging and Interculturality in EU Domains”; “What’s Behind Words? Cultural
Implications of Language Use”. Quest’ultimo seminario è stato riproposto anche agli studenti di
laurea magistrale afferenti alla cattedra della Prof.ssa Vanda Polese, all’inizio dell’anno accademico
2006-2007. Infine, la mia nomina a cultore della materia sulla cattedra della Prof.ssa Di Martino mi
ha visto coinvolto in tutte le sessioni d’esame di lingua inglese, scritti ed orali, a partire da giugno
2006. Infine, a partire dal secondo semestre dell’anno accademico 2005-2006 ho iniziato, in qualità
di docente di inglese generale, una collaborazione con l’Accademia Aeronautica di Pozzuoli
(Napoli).
Il 27, 28 e 29 settembre 2006 ho partecipato al convegno “Language Contact in Times of
Globalization”, presso l’Università di Groningen (Paesi Bassi) presentando un intervento dal titolo
“Globalisation and Localisation: Translating Cultures Within the EU”. Successivamente, il 19 e 20
ottobre 2006 ho preso parte al seminario di studi “Identity and Culture in English Domain-specific
Discourse” con un paper dal titolo “Workers’ Mobility: Linguistic Representations of European
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Institutions and Citizens” scritto in collaborazione con il Dott. Paolo Donadio e la Dott.ssa Siria
Guzzo.
Sempre nell’ambito del progetto PRIN, ho realizzato, in collaborazione con il dott. Paolo
Donadio, un’intervento dal titolo “The Tabloidization of EU Communication Policies”, presentato
dal dott. Donadio alla conferenza “Discourse and Identity in Specialized Communication” tenutasi
all’università di Milano il 25 e 26 giugno 2007. Tutti e tre gli interventi si concretizzaranno in
pubblicazioni entro i prossimi mesi. Inoltre, l’accettazione di un abstract per il terzo numero della
rivista Textus sul tema “Shakespeare and Gender”, è stata seguita dalla stesura di un articolo dal
titolo “Mental Illness and Sexual Deviations in Shakespeare’s Othello: A Freudian Perspective on
the Case Study of Iago”, che è attualmente in corso di stampa.
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